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Raccolta di articoli di Eugenio Nastasi
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Letteratura

Angoli interni: Un atto di effusione nella vita del tutto

 

La scelta di poesie che in questo suo ultimo lavoro Roberto Maggiani presenta è estremamente rigorosa e comprende gli aspetti salienti, o che a lui paiono tali, della sua ricerca poetica avviata, come osserva il prefatore, verso la piena maturità. Nelle dodici sezioni di questo compatto e pervasivo elaborato, il Nostro intende testimoniare soprattutto quel bisogno di fedeltà alla propria immagine interiore, uno scandaglio di esistenza come luogo per le esperienze vissute e vagliate nella sua inevitabile materia di conoscenze scientifiche. S’avverte subito tra le righe un’ispirazione panico-sensuale di naturalismo intinto di scienza che, per certa ombrosa eppure solare ansia di comunione cosmica ovvero per   tendenza a mescolare evoluzionismo e filosofia, antropologia e fisica della materia in una sorta di manutenzione della vita quotidiana, ci richiama la prospettiva creaturale di questo poeta che risolve la propria ispirazione in un immaginismo rutilante e simbolico. Ma non di simbolismo di maniera quanto di certe note, di certe frasi o formule che provano a infrangere il rituale e a rinominare (da qui il riferimento giovanneo richiamato da Roberto Deidier) la simultaneità dei fatti umani proclamando, in qualche modo, il diritto del poeta a ricongiungersi col tutto ridefinendo il riflesso metafisico di quella cosmicità, quel sentirsi uno nel molteplice, persona contingente, con quel tanto di terrestre che tale contingenza comporta. Un atto di effusione nella vita del tutto, compresi la natura del cosmo e dell’esistenza come luogo per contaminazioni molecolari e di effusione di sentimenti umani in cerca di nuove soluzioni, la cui cifra stilistica è declinata dall’effusione della parola. Nasce così una poesia che si rigenera nei suoi temi mai paga dei risultati, delle risposte: una poesia che riprende sine die spunti e motivi a cui Maggiani tenta di dare formulazione con la diversa disposizione delle cadenze, ma che sfugge al suo strenuo desiderio di sintesi, spogliandosi di ogni forma accademica per divenire concretezza e continuità di afflato:

Dalla mattina alla sera/ non faccio altro/che scomparire in abissi letali/ tra l’io reale/ e quello che vorrei essere”.

Sensazioni visive, affetti familiari, impulsi erotici, stupite suggestioni d’amore, paesaggi dell’anima immersi nella luce pulviscolare di spazi sconfinati, contaminazioni psicologiche e autobiografiche, formule di fisica quantistica, tutto l’ambiente naturale in cui l’altrove si combina con gli “angoli interni” dell’individuo per renderlo assolutamente partecipe del proprio processo evolutivo in funzione della specie. Il fondale su cui si staccano le sue concrete immagini è steso in chiave mitologica e, via via, metaforica non per inclinazione al dato specialistico, ma al contrario per pura necessità documentaria, per ritrarre con aderenza ogni forma di conoscenza anche nel suo aspetto più problematico e sfuggente:

“La questione è la vita:/ Il vero grande problema da risolvere/ è come io possa essere vivo/e chiedermi “chi sono?”.

La domanda è quasi inavvertibile nella sua pagina ma diventa, a me sembra, una delle chiavi di volta del valore e del merito del libro che pullula, nel suo magmatico sentire, di vitali rapporti tra sé e il mondo e li ripensa e rivive all’interno, come legami fisici e spirituali.

Quasi inavvertitamente, allora, la sensualità panica che circola nei versi si concretizza in un sentimento “religioso”, in accensioni ampie dove le percezioni del suo stare nel mondo si stemperano in modi espressivi di grazia creativa:

“Chi dice che io non veda ora e qui/- dietro le vostre spalle -/la fine del mondo che avanza inesorabile”, e più avanti nell’ineluttabile slancio senza confini: “…chi può dire che non conosca/ quei segreti che tanto cercate/ e non veda Dio e con lui parli/ ogni giorno?”

Sia ben chiaro, non si sta, qui, tirando la poesia di Maggiani dentro ambiti “confessionali”, non è in gioco la weltanshauung del poeta; si vuole semmai riconoscere che la movimentata sua pagina è aperta a tutte le nuove e più impensabili proiezioni scientifiche senza tralasciare gli strapiombi dell’anima nella sensibilità antica e nuova del dramma umano. Così la poesia di Roberto Maggiani e la sua equazione scienza-poesia sgretolano ogni astrattezza arricchendole di significati altri e alti, senza rimuovere gli “angoli” di vita rimasti col loro ardore e il loro significato negli anfratti più riposti dell’esistenza: la parola poetica si definisce e si propaga come messaggio volontario e tutto l’amore alla vita si distende nella pronunzia di un “colloquio infinito”.

 

 

Leggi anche la recensione di Franca Alaimo...

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- Letteratura

L’ordine morale del Paradiso

 

Mi pare intanto si possa evidenziare subito, nella scrittura, l’incantato nitore, il “calcinato” spessore degli elementi che costituiscono il libro: un diario in cui la trama sembra voler contestualizzare motivi umanissimi e civili prima o accanto al colloquio serrato che l’autore imbastisce prima con sé stesso, attraverso la raffigurazione di una realtà interna-esterna che sfocia nell’assunto: “Vi sono anime fatte per domandare…”. E la domanda è “perché”, perché la coscienza si ribella, perché la natura, perché il contesto sociale opera distinzioni, perché la religione cattolica, perché la storia, perché l’antropologia, perché “è toccato a me?” e la serie di domande potrebbe continuare.

Quella di Roberto è sicuramente una battaglia di principi, la disamina di un archetipo primordiale dove lo scontro tra l’essere “omo” e l’apparire “etero” trova il suo climax più rovente nella dualità io-la mia coscienza e il muro della diversità operata dal contesto sociale in ogni aspetto. Fino allo scarto di una dimensione che, intravista sulle prime (cioè nella fase degli anni tardo adolescenziali) potrebbe indurre a fingere la vita, per poi esplodere nella presa diretta: “perché vivermi accanto?” come fossi un altro, come fosse possibile, ogni giorno, ogni notte, nei sogni, sempre, darsi una lavata di faccia e resettare la propria psicologia, l’intensità del proprio essere e del proprio amare come se fosse possibile espellere la centralina del proprio io costitutivo e sostituirla con quella “omologante” della cosiddetta “normalità”, (ma poi cos’è la normalità?) Secondo natura, gay è normale; quando poi è vissuto consapevolmente, con annessi e connessi di educata civiltà e con amore, è soddisfacente per chi lo vive.

 

“Di che reggimento siete/fratelli? // Parola tremante nella notte// Foglia appena nata// Nell’aria spasimante / involontaria rivolta/dell’uomo presente alla sua/ fragilità// Fratelli”

 

I versi di “Fratelli” (Mariano, 15 luglio 1916) di Ungaretti esplosi a picco nella memoria sono diventati improvvisamente per chi scrive questa nota il paradigma metaforico pensando alla dichiarazione di omosessualità non come categoria appartata ma rientrante in un più comprensivo quadro di esperienze di cui fanno parte, e Maggiani lo esprime con disarmante lucidità, conoscenza morale, storica, culturale e tecnica, adoperate nel senso di una globale traduzione del dato di fatto in dato di essere e di esistere: questa traduzione vuole rimanere fedele al vitale processo di interrelazione fra le persone, in primis, e fra gli aspetti della realtà senza rinunciare a requisiti come la comunicazione e l’oggettività, pur rimanendo il contesto “un campo di battaglia”.

 

Carissimo Roberto, la trincea di Mariano del 1916 è ancora quella che individua nell’opposto schieramento dei “nemici”, e, fuor di metafora, ancora troppi, dappertutto, guardano gli omosessuali come “malati” se non appestati, untori. L’accettazione dell’omosessualità va definita, e mi trovi consenziente, nel suo aspetto “morale” e anche civile e religioso, con una programmatica illustrazione naturale del nostro tempo, come evento in sé sussistente, modo di essere e di esistere che non si interessa dei fatti come fossero compartimenti stagni ma da intendere come essenziale “dasein”, interpretato vitalmente quale altro affacciarsi allo sguardo nativo del mondo.

 

Prendo atto di questo abbandono appassionato alla propria sincerità (a pag. 100 sconfini in un grido di opposizione totale) e di assoluto nella seduzione dell’antico e nuovo “fantasma” della bellezza e dell’amore, scoperto e disarmante al limite di resistenza, nella sua straordinaria materia di essenza corporale, di flora accesa e delicato e perentorio altruismo. Non ultimo il messaggio finale alle tribù di giovani che si sentono e scoprono su quella sponda e dovranno vedersela con sé stessi, con la propria accettazione, con l’altrui comprensione, coi propri stati d’animo ecc., ecc.

La personale coscienza e l’aspetto religioso: qui mi trovi convinto sul punto: io vivo secondo natura e secondo coscienza. C’è solo il rapporto con Cristo Signore che resta personale nella misura in cui vivere alla sua sequela (e qui non parlo di uomini di chiesa, ma si uomini di Dio) i n d i p e n d e n t e m e n t e dalla natura sessuale, presuppone l’adesione al programma del Vangelo che recita: “CHI VUOLE SEGUIRMI, RINNEGHI SÉ STESSO, PRENDA LA SUA CROCE E MI SEGUA”.

Non pensi che ciò è detto a tutti i cattolici a prescindere dall’orientamento sessuale? È l’immagine che mi resta più concreta pensando al risvolto religioso del tuo lavoro. Ma a dare sostegno al tuo libro ancora un riferimento offerto dalla Lettera di s. Paolo ai Romani, nel passo Rm 2,1-11: “Chiunque tu sia, o uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l’altro, condanni te stesso: tu che giudichi, infatti, fai le stesse azioni…” e mi pare si possa essere in linea col commento : “Dato che Dio usa misericordia a tutti gli uomini, senza distinzione alcuna, (quindi neanche di natura sessuale (nota del firmatario) non abbiamo diritto di giudicare l’operato di nessuno. Noi per primi abbiamo ricevuto misericordia da Dio, per comportamenti che probabilmente sono anche peggiori di quelli che biasimiamo negli altri. Dunque perché spesso ci ergiamo a giudici inflessibili? (…) “…c’è un solo Padre che ci ama così come siamo” (da 14 ottobre 2015, “Sulla tua parola, Messalino – Letture della Messa commentate per vivere la Parola di Dio”. A me pare che queste indicazioni possano dare man forte alle tesi di Maggiani, soprattutto nel campo che più duole: omosessualità e rapporto con Dio, fatte salve le dovute questioni di un riconoscimento tutto da imbastire e rendere operativo secondo intenzione dettate dallo stesso credo e dalla comune appartenenza alla Chiesa cattolica.

 

Va anche sottolineato e, nella maniera in cui Maggiani racconta o “si racconta”, la centralità del tema è ineccepibile: amare un’altra persona dello stesso sesso non è un evento intellettuale, ma tocca la necessità della propria condizione umana: “è l’anima a volerlo”. Prendere atto di questo assume la consistenza fisiologica insita nel genere umano, senza divenire discorso da audience, come è accaduto al frastuono attorno alla questione del “gender”, sul cui aspetto soffiano venti più di natura politica o pseudo-antropologica che brezze razionali. Essere gay non è un fenomeno, non è una scoperta di questa generazione, piuttosto è uno dei perni attorno a cui ha ruotato e ruota, storia alla mano, molta parte della cosiddetta “civiltà degli uomini”.

 

Mons. Krzysztof Charasmsa, officiale della Congregazione per la dottrina della fede e secondo segretario della Commissione Teologica Internazionale ha fatto coming out alla vigilia, meglio, il giorno stesso in cui si è aperto a Roma, qualche giorno fa, il Sinodo sulla Famiglia: non è semplicemente una imprudenza sul tempismo, una “pressione” indebita sullo svolgimento dell’assise cattolica: verrebbe da dire piuttosto “se non adesso, quando” spalancare la porta al tema dell’omosessualità nella Chiesa?

Eduardo Savarese, giurista napoletano, pubblica in questi giorni “Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma” Ed. e/o, e compie un salto nel mezzo del problema, magari non esibendo lo stesso piglio con cui certe proposizioni cominciano e non finiscono, ma il problema vero rimane, e rimane aperto come una ferita: la Chiesa ufficiale non considera i gay persone “affidabili”.

 

Dunque il romanzo di Roberto Maggiani è stato solo il primo, in ordine temporale, a scaldare i ruggiti contro l’omofobia; ce n’è abbastanza, credo non ci fermeremo qui, per alzare una barricata, per stipare di specchi le strade e costringere “il comune senso del pudore” della gente per bene, ma soprattutto degli uomini di Chiesa (e non di Dio) e di politici di destra o i leghisti, a specchiare la propria coscienza senza nascondere la testa nella sabbia o trincerarsi dietro l’andante “si fa ma non si dice” ovvero “vizio di natura fino a morte dura”.

Spero che questi appunti diano la stura a dibattere il tema e a rimpolpare di senso il problema dell’omosessualità: nel normale corso della vita vivere la diversità conduce alle stesse conclusioni di chi non lo è (cioè alla morte) e la vita si vive una volta sola. Non è ammissibile che questioni di pseudo-cultura o perbenismo o intolleranza arroccata nei corridoi del Vaticano, costringano esseri umani a sentirsi “un errore genetico” ab intra e ad extra del consorzio umano.

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La recensione di Franca Alaimo