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Raccolta di articoli di Salvatore Armando Santoro
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Poesia

Fiammate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lei non lo sa, ma è lei che ispira i versi

solo a pensarla impugno un buon pennello

dipingo bei tramonti e cieli tersi

dalla Maremma fino al Mongibello*.

 

Per sognarla, tante nottate persi,

frizzante è lei come acqua di ruscello

io come un pesce fuor dall’acqua emersi

balzando in aria come un pazzerello.

 

E disegnai guizzando un cuor tremante,

un narciso che ha voglia di stupire,

un sognatore che non conta gli anni

 

e indossa ancora fanciulleschi panni

mentre ascolta monotono il frinire

dei grilli che corteggiano l’amante

 

e cantano con musica stancante

che addormenta il cuore suo sognante.

 

Salvatore Armando Santoro

(Boccheggiano 23.12.2022 – 22:25)

 

- Sonetto ritornellato

 

- La foto dell'Etna (Mongibello) è di Angela Rainieri (g.c.)

 

* Mongibello - Altra denominazione dell’Etna, vulcano della Sicilia, utilizzata da poeti e scrittori per similitudine come “accensione improvvisa, anche di passioni e sentimenti”.

 

 

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- Letteratura

La rivincita della poesia (Intervista ad Armando Santoro)

Patù Veretum: la rivincita della Poesia

Seconda edizione del Bando Letterario internazionale di poesia e saggistica

 

(Pubblicato il 1° Luglio 2016 da "Il Gallo" nel Salento)

 
 

Si terrà sabato 2 luglio alle 20 presso il Palazzo Romano la premiazione dei finalisti della seconda edizione del Bando Letterario internazionale di poesia e saggistica “Veretum”.

L’evento culturale è stato organizzato grazie alla collaborazione tra la Pro Loco di Patù e il Circolo Culturale Mario Luzi di Boccheggiano (GR) e con il patrocinio della Regione Puglia, della Provincia di Lecce, del Comune ospitante e di quello di Montieri (Grosseto).

Salvatore Armando Santoro, presidente di giuria, si illumina parlando del piccolo borgo salentino e quando gli chiediamo: “Perchè Patù?”, risponde: “Ho imparato, con il tempo, ad amare ed apprezzare questo piccolo grande paese, la sua storia, la sua bellezza, le Centopietre, Vereto, San Gregorio. Quando un posto ti entra nell’anima, difficilmente riesci a dimenticarlo”.

La “Poesia” e, più in generale la scrittura, hanno da sempre rappresentato il principale veicolo di trasmissione; attraverso le parole i concetti prendono vita e diventano reali, concreti e attuali.

Cos’è la poesia oggi? “La poesia è pace, armonia e ritmo. È sempre stato così e così sarà sempre! Personalmente ho scelto il rispetto delle regole metriche e le poesie in versi. Piacevole ed apprezzabile è anche la poesia in versi liberi purché abbia musicalità e non di riduca ad una semplice prosa scritta in verticale. Aldilà della forma, scrivere richiede istinto letterario. Bisogna conciliare il ritmo, la musicalità, il contenuto, le idee. Le rime e l’accurata scelta delle parole possono fare di un testo semplice un vero capolavoro. Questa non è una materia che può essere insegnata: poeti si nasce (raramente), oppure si diventa, leggendo i grandi (quelli veri!) . Il segreto è quello di riuscire a lasciare il segno con l’incisività di pochi versi”.

Perché, oggi, i giovani sono molto lontani dalla poesia e dalla prosa? “La Poesia è stata soffocata dal materialismo borghese e da falsi modelli consumistici che hanno smorzato emozioni e sentimenti giovanili; la rivoluzione sessuale ha fatto il resto. Con il tempo sono caduti alcuni valori etici e sono totalmente cambiati i costumi. La colpa è anche un po’ della scuola attuale e forse di alcuni insegnanti che non riescono a trasmettere l’importanza di questo strumento veicolare”.

I social possono essere un veicolo di raccordo per i giovani appassionati di scrittura? “La rete è piena di portali poetici. Molti sono frequentati da poeti della mia generazione, ma vi sono tanti giovani che si stanno avvicinando alla poesia. Anche il Bando “Veretum” ha contribuito a sollecitare il senso poetico di molti giovani. Abbiamo avuto dei giovanissimi che nella graduatoria hanno superato gli adulti. Mi riferisco a Chiara Maggio, Sebastiano De Nuccio e Diletta Giaquinto di Patù. Auspico il fiorire di queste splendide rose affinché possano appassionarsi sempre di più alla poesia e alla prosa”.

Luana Prontera

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- Letteratura

Il poeta al servizio della poesia - Ricordando John Keats

Il poeta al servizio della poesia era questo uno dei concetti molto sentiti da John Keats, una sorta di missione da sostenere e portare avanti a tutti i costi e lui, morto giovanissimo, lasciò un patrimonio poetico immenso pur non avendo ricevuto in vita ne meriti e neppure onori per i suoi scritti.

Per questo io odio i critici e detesto gli editori, tutti presi dal guadagno, e che spesso ignorano le tante penne illustri che vi sono anche tra i dilettanti e che poi avidamente "spolpano" quando da morti si accorgono che le loro opere sono dei veri capolavori di letteratura.

Ma ormai il dio  denaro impera ed i grandi mecenati di un tempo non esistono più. Oggi è il profitto facile e immediato quello che conta. Della cultura a nessuno interessa più e le grosse case editrici pubblicano volumi su volumi di attori squallidi, di calciatori ignoranti ma imbottiti di denaro e di adulatori che osannano il potere ed i potenti.

Anche per questo mi fa una rabbia immensa quando le grosse case editrici italiane si affannano a riprodurre le opere dei tanti grandi che i loro pari hanno lasciato vivere nella miseria e morire di inedia.

Una traduzione in italiano delle opere di Keats è sicuramente un fatto encomiabile ma ricordiamoci che la traduzione letterale di certe poesie sminuisce di molto la resa nella forma e che bisogna sempre modulare le traduzioni ricercando di adottare una terminologia poetica aderente a quello che l'autore voleva esprimere nella sua lingua. E spesso non a tutti quest'opera di interpretazione riesce. Quindi occorre plaudire sempre coloro che cercano di dare un contributo nuovo all'approfondimento della poetica di questo grande autore inglese o di altri suoi contemporanei.

(Salvatore Armando Santoro)

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- Politica

Politici nuovi

IN RISPOSTA AD ENRICO ROSSI (Presidente Regione Toscana) – BLOG DEL 10.5.2017

 

Sono stato a Firenze nel 1961 alla scuola sindacale della Cisl in Via della Piazzola. Allora si respirava un'altra aria in città. E sindaco di Firenze era Giorgio La Pira, mistico quanto vi pare ma sensibile ai problemi della gente che lavorava. Forse c'era tanto massimalismo ed anche tanta faziosità ma c'era fermento vero con gruppi di discussione popolare ad ogni angolo delle strade, soprattutto sotto i portici di Piazza della Repubblica. Ora i tempi sono cambiati anche perché politica e sindacato non hanno affrontato il problema (che Landini oggi vede in maniera giusta e che io avevo cominciato a denunciare nel 1990 tra l'indifferenza generale) della caduta delle frontiere e della globalizzazione. Ci si è persi dietro l'aspetto di politica generale e si è persa la visione d'insieme della tutela delle classi più indifese. Ed i risultati sono quelli di oggi con degli esponenti del PD che eliminano gli ultimi diritti dei lavoratori (art. 18 dello Statuto) e poi vedo una fila di persone (che io definisco imbecilli) che addirittura pagano per andare a votare chi quei diritti ha cancellato. A meno che a votare non siano stati altri ceti ed allora ci rido sopra come fa Travaglio nel suo “Fatto Quotidiano”, che è uno dei pochissimi quotidiani che ancora riesce a denunciare le magagne dei nuovi nocchieri del nostro paese. Ma sicuramente immagino che Gramsci e Berlinguer (ma anche il compianto Aldo Moro) si stiano rivoltando nella tomba dove tranquillamente riposano.

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- Letteratura

Scrivere Poesie

Ho letto per puro caso una sintesi molto interessante delle interviste fatte da Renzo Montagnoli a diversi autori che ospita nel suo portale www.arteinsieme.net. 
Le risposte fornite dalle persone intervistate, pur nella loro essenzialità e diversità anche professionale, sono risultate abbastanza in linea con il progetto che il Webmaster ha costruito nelle sue interviste.
Forse la penserò in modo differente rispetto ad alcune sue conclusioni sul metodo di comporre poesie, e rispetto chi non condivide i miei punti di vista, ma ritengo che la poesia sia arte pura e di veri poeti sui portali ce ne sono pochi. Se fossero in tanti sicuramente sarebbero coinvolti in progetti più ampi e non avrebbero tempo a sufficienza per coltivare anche le relazioni con i tanti dilettanti che affollano i portali di poesia.
Davanti ad un foglio di carta tutti siamo capaci a scrivere qualcosa, ma una cosa è scrivere un'altra è comporre.
La poesia, mettiamocelo bene in testa, è un'arte complessa ed ha le sue regole che sono tantissime e non facili da digerire. Basta approfondire qualche manuale di metrica o di composizione poetica per accorgersi dell'enorme ignoranza che ci accompagna. A volte metaforicamente esterno qualche battuta e ripeto sorridendo che a suonare la chitarra tutti siamo capaci ma alcuni producono soltanto vibrazioni altri, e pochi, musica pura.
Forse per questo alcuni rinunciano ad approfondire la tematica ma non è il mio caso. In questi ultimi tempi sto cercando di digerire alcuni volumi molto interessanti e che suggerisco a chi volesse scrivere poesia pura.
Oltre ai classici sulla storia della letteratura (in primis Francesco De Sanctis o Natalino Sapegno), consiglio anche il dotto Profilo Storico della Letteratura Italiana di Claudio Marazzina (ordinario di Storia della lingua italiana nell'università "A.Avogadro" di Vercelli) che dovrebbero essere le basi indispensabili per costruire un percorso ed un progetto minimo di approccio alla letteratura italiana.
Per i più esigenti propongo anche "La letteratura italiana" raccontata da Giuseppe Petronio (già docente di letteratura italiana a Cagliari e Trieste), Mondadori, 1995, ma trattandosi di 5 volumi penso sia una indicazione azzardata e, forse, poco percorribile.
Per coloro che, poi, vogliono approfondire il metodo di composizione delle poesie indico tre volumi abbastanza corposi nei contenuti ma non voluminosi e di facile lettura (anche se per certi versi noiosi per i non addetti ai lavori). Sono volumi indispensabili per coloro che vogliono rendersi conto che l'arte della composizione poetica non è così semplice come si penserebbe e richiede conoscenza ed applicazione perchè è vero che poeti si nasce ma è anche vero che specialisti nell'arte di comporre poesie si diventa con letture e studi approfonditi.
I volumi che suggerisco sono: "Scrivere in versi" di Gabriella Sica (docente di letteratura alla Sapienza di Roma), "Leggere Lirica" di Angelo Roncoroni (studioso di retorica, stilistica e composizione presso diverse università italiane) e "La poesia - come si legge e come si scrive" di Alberto Bertoni (docente di letteratura contemporanea presso l'Università di Bologna). E poi ce ne sarebbero tanti altri ma per iniziare basta ed avanza con quelli indicati in queste note.
Iniziando a leggere alcuni di questi testi ogni persona, amante convinta della poesia e non semplice esibizionista, può costruirsi un bagaglio minimo di conoscenze (il massimo si potrà ottenere dopo anni di studi davvero approfonditi) e poter così riuscire ad apprezzare la lettura delle liriche dei maestri della poesia italiana e comprendere i vari metodi di composizione e le strutture più o meno complesse del modo di scrivere poesie.

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- Letteratura

Perché scriviamo poesie

Presentazione di Santoro Salvatore Armando al 1° incontro dei poeti salentini a Patù (Lecce) – Palazzo Liborio Romano – 24.11.2013

Perché scriviamo poesie?
Le poesie si scrivono per dare sfogo alle passioni che fermentano continue dentro di noi e che ci fanno vivere. Si scrivono per comunicare emozioni (ed il genere umano è ricco di passioni che generano le emozioni) e spesso incontriamo anche anime pure che socializzano queste nostre emozioni e le condividono. E tutto ciò è condizionato dal fatto che le emozioni variano da individuo ad individuo. Ma quando riusciamo a socializzare proviamo gratificazione e siamo spinti a continuare a scrivere perché in fondo la poesia regala pace e serenità all'anima, ci fa credere nella possibilità di un mondo migliore e, come sosteneva Mario Luzi, nella certezza che serva ad eliminare la guerra dal cuore dell'uomo e dal mondo e, soprattutto, di poter diventare, in questo modo, anche noi migliori.
Anch'io stamattina appena mi sono svegliato ho analizzato i miei sentimenti, e i miei comportamenti anche passati, ed ho considerato che l'unico errore che fa l'uomo è quello di pensare che i propri sentimenti siano condivisi al 100% dalle persone che incontriamo. E lo stesso errore si verifica anche in amore. Ma non bisogna mai stancarsi di amare gli altri ed io non mi stanco di farlo e, da quello che ho capito, lo stanno facendo anche tante persone qui presenti, che si dedicano al volontariato. E, questa voglia di amare l'ho notata anche in molte delle poesie che hanno scritto i giovani scolari che oggi sono qui tra noi, ed anche numerosi, e questo mi riempie di gioia perché sono certo che lasceremo il testimone della poesia, e dell'amore che la poesia racchiude, in ottime mani.
Da queste considerazioni traggo le conclusioni dicendo che molti di voi siano migliori di me perché io non trovo più il tempo per fare altro, in quanto per me la poesia è come una droga e mi avvince e coinvolge totalmente al punto che "perdo tempo" a sognare e non mi accorgo che il tempo passa e con il tempo vanno via velocemente anche i miei anni e ritengo, razionalmente parlando, che il mondo abbia anche bisogno di testimoni d'amore reali e non di sognatori.
Ma io sono pascoliano e quindi appartengo a quella razza di poeti che ondeggia tra crepuscolarismo e decadentismo letterario ed alla mia età, ormai, non riuscirò più a cambiare. Ma il mio impegno l'ho dato anch'io nel sindacato, con oltre trent'anni di attività sindacale alle spalle e di dedizione completa agli altri, trascurando anche, e soprattutto la mia famiglia, e questo non è stato né buono e neppure giusto perché poi si paga sempre un prezzo. Ma con il senno del poi non si riparano le cose. Ma questo è un altro errore che bisognerebbe evitare e che spesso prende la mano, forse per una sorta di esibizionismo infantile che sopravvive in molte persone che pensano che senza di loro il mondo precipiti nel baratro e si fermi. Ma non è così e molti, tanti direi, non se ne accorgono e pensano di essere eterni, insostituibili, indispensabili ed unici.
Purtroppo in Italia di veri poeti ne sono rimasti forse meno di dieci, visto che sono scomparsi da non molto tre ultimi testimoni, Mario Luzi, Ada Merini e Andrea Zanzotto* (che ho avuto la fortuna di ascoltare per l'ultima volta al telefono pochi mesi prima che morisse perché eravamo stati inclusi dalla Regione Toscana nell'antologia** “Pater” sulla figura del padre dove c'erano due nostre poesie), e quelli che sono rimasti viaggiano in ordine sparso e senza coordinarsi tra loro e, qualcuno, ed evito di fare il nome, si è dato al "commercio della poesia" inondando i portali di "annunci promozionali", illudendo migliaia di persone buone ed ingenue, solo per fare affari alle loro spalle. Ma queste persone illudendosi da certe valutazioni non veritiere, e distribuite ad arte ed a pioggia, a volte pensano di poter diventare veri poeti ed investono e sprecano quattrini in pubblicazioni che in fondo dovrebbero servire solo per socializzare sentimenti e suscitare emozioni ma non sposta di una virgola la propria condizione sociale o professionale.
E forse è anche per questo che la poesia non riesce più a trovare terreni fertili come ai tempi della mia generazione che usciva fuori da un conflitto che aveva disumanizzato il mondo.
Per certi versi, allora, dovremmo ringraziare Benigni, che non è un poeta ma uno che ci fa affari con la poesia, che sta tentando di rilanciarla. E dovremmo ringraziare prima di lui Paolo Limiti, che nessuno ricorda più, che in una sua vecchia trasmissione televisiva “Ci vediamo in TV” di qualche anno indietro, ci aveva inserito un bel capitolo sulla poesia utilizzando un bravissimo poeta e declamatore eccezionale, Alessandro Gennari, che poi è deceduto, anche in età molto giovane, per un male incurabile.
Tutti gli altri poeti che affollano anche la rete sono, e siamo, soltanto o dei poeti mediocri o dei dilettanti, disposti in ordine gerarchico vario, ma sempre compresi in questa categoria, anche se poi tra questi magari si nascondono poeti anche validi, ma che non sono né massoni e neppure amici degli amici di certe case editrici e di certi critici letterari, che ormai non fanno più letteratura e cultura ma commercio.
A molti di questi poeti piace anche una certa poesia particolare (ma forse non più di moda perché troppo complessa a comporla) e l'approfondiscono leggendo testi e manuali pesanti e noiosi per cercare di perfezionarsi (senza presunzione di diventare maestri), ma questi, se avranno fortuna, saranno scoperti qualche centinaia di anni dopo la loro morte. Ma l'unica azione buona che avranno fatta sarà stata quella di tenere viva la passione per la poesia e di cercare di trasmetterla agli altri, come stiamo facendo noi, senza aspettarci ricompense o prebende, anzi spesso esponendoci anche economicamente in prima persona e dimostrando, però, che non è vero il vecchio detto che dice che "neppure i cani muovono la coda per nulla".

A queste condizioni, la poesia potrà vivere in eterno in noi senza bisogno che altri valutino i nostri scritti e non dovremo mai stancarci di scrivere, stroncando la possibilità di trasmettere ai nostri figli, o nipoti od amici, le nostre emozioni, o pensare che la valutazione altrui su quello che scriviamo sia un incentivo o meno (e determinante) per poter continuare o smettere di scrivere poesie.
Spesso non uso l'ipocrisia per valutare gli altrui lavori anche perché il sentimento non può essere pesato o valutato da entità estranee alla nostra ragione ed al nostro cuore. Lo faccio quando sono costretto a "selezionare" dei testi nelle Giurie di diversi Bandi Letterari dove mi hanno voluto immeritatamente inserire. Ma in quel momento non giudico i sentimenti ma effettuo una analisi del testo, cerco le eventuali novità in esso nascoste, la forma ed il contenuto della lirica e la sua composizione in particolare, avendo sempre presente che da oltre 2600 anni si scrivono poesie e già i Lirici greci hanno detto tutto quello che nell'animo umano matura anche ai giorni nostri e che oggi è difficile scrivere altro e, chi riesce a farlo, è davvero un poeta ma neppure lui lo sa.

* Andrea Zanzotto è deceduto il 18.10.2011 a Conegliano Veneto
** Pater, Edizioni Morgana – 2007 – Firenze
http://www.morganaedizioni.it/default.asp?sec=34&ma1=product&pid=148

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- Letteratura

Fiata, fiate, Bembo e la questione della lingua

FIATA, FIATE, BEMBO E LA QUESTIONE DELLA LINGUA (1.525)
(Saggio di Salvatore Armando Santoro)

Nel canto X, cerchio VI (quello degli eretici) della Divina Commedia (verso 48 e 50) incontriamo un paio di termini tutt'ora in uso nel linguaggio popolare del Salento: “Fiata”, volta... “fiate”, volte.
Dante adopera questi termini rispondendo a Farinata degli Uberti che l'aveva interpellato con la nota esclamazione (versi 22 e 23)
“O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto”.
Nel corso del colloquio si parla degli avvenimenti di Firenze e delle battaglie sanguinose tra Guelfi e Ghibellini che si svolsero tra il 1248 ed il 1260.
Durante il dialogo Farinata chiede a Dante “chi fur li maggior tui” (cioè i suoi antenati) ed avuto risposta che erano stati suoi “avversi”, (ovvero Ghibellini, mentre lui apparteneva alla fazione Guelfa) risponde (versi 46-47-48):
…..........”Fieramente furo avversi
a me e ai miei primi e a mia parte,
sì che per due fiate li dispersi”.
E Dante replica (versi 49-50):
“S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte
….................... l'una e l'altra fiata”
Qualche tempo indietro ho pubblicato alcune note sulla “questione della lingua” sollevate dal vescovo Pietro Bembo (veneziano) che aveva sviluppato ai suoi tempi un ampio ed acceso dibattito culturale sul modello linguistico di riferimento per la composizione dei testi poetici e letterari e nel 1525, nel famoso trattato del Bembo, “Poesie della volgare lingua”, viene fissato il primato della lingua dei grandi scrittori fiorentini trecenteschi Dante, Petrarca e Boccaccio (dette le "tre corone") che diventano punto di congiunzione tra gli autori del passato e del futuro.
Nel trattato vengono proposti i modelli del Petrarca per la lingua poetica e del Boccaccio per la prosa. Dante è svalutato per il suo forte pluristilismo.
Quindi, il toscano trecentesco assurge a lingua ufficiale per eccellenza.
“Nel terzo libro del suo trattato egli redasse una vera e propria grammatica del toscano letterario, fondato essenzialmente sull'uso dei grandi autori trecenteschi: Dante, ma soprattutto Boccaccio e Petrarca, di cui Bembo possedeva tra l'altro l'autografo nel Canzoniere”.
Estrapolando da Wikipedia “La questione si risolse di fatto con l'affermazione del modello bembiano, e quindi con la sanzione della lingua letteraria toscana. Dante venne escluso dal canone degli autori che facevano testo in materia di lingua in quanto il lessico del poeta era più vasto e meno riapplicabile; egli, inoltre, utilizzava vocaboli ora di livello alto ora di livello basso (è noto che nella Divina Commedia compare, ad esempio, la parola "cul")*.
Il fatto che il Bembo avesse ragione è confermato da questi ulteriori due termini (ma penso ce ne saranno molti altri), “FIATA” E “FIATE”, che sono un residuo, anche nella Divina Commedia, del linguaggio iniziale maturato presso la Corte dei Normanni nella prima esperienza della Scuola Siciliana che, logicamente, adoperava anche dei termini che non potevano essere toscani, tant'è che ancora oggi alcuni autori siciliani sostengono che il dialetto siciliano dovrebbe recuperare il suo ruolo di lingua in quanto è stata la prima lingua letteraria adoperata alla corte dei Normanni per il rilancio della letteratura italiana.
Devo annotare che nel 1.594 viene stampato a Venezia un volume etimologico della lingua Toscana (Thesoro della lingva Toscana – stampato “In Venetia” presso Giacomo Antonio Somasco nel 1.594 a cura di Gio Stefano da Montemerlo Gentilhvovmo di Tortona).
Nel volume si trova la parola “fiata” come vocabolo ancora in uso corrente nel 1.594, data di stampa del volume. Quindi, esattamente 70 anni dopo la famosa data sulla “Questione della Lingua”, questo termine veniva ancora usato in Toscana, ma sinceramente, per me che ho sposato una Toscana e che quindi in questa regione ci vivo fin dal 1961 (soprattutto nelle zone di Pistoia e Grosseto) questo termine, fiata, non l'ho mai sentito utilizzare.

Recentemente, a dare fiato a questo discorso, si è levata anche la voce della docente siciliana Concetta Lanza Greco, da poco deceduta che rilancia il discorso del dialetto siciliano inteso come lingua, che si era sviluppato ed imposto, al punto da essere utilizzato dal ceto colto nel regno Normanno, nel corso della esperienza della prima scuola letteraria italiana nata in Sicilia alla corte dei Normanni.
Questi concetti vengono ripresi recentemente anche da Tullio De Mauro, di origini partenopee ma anch'esso da poco deceduto, seguito da Andrea Camilleri, di origini siciliane, che rilanciano per similitudine questi principi nel recente volume “La lingua batte dove il dente duole”, Edizioni Laterza, dove si parla dell'importanza del dialetto come strumento utile di comunicazione orale delle classi popolari ed ambienti.
E' noto che le alterne vicende storiche non solo creano nuovi stati, ma assorbono anche culture precedentemente esistenti e, nel caso della Scuola Siciliana, sappiamo che con la sconfitta dei Normanni e degli Svevi, anche il sistema culturale esistente viene espropriato ed utilizzato dal nuovo potere inglobandolo nell'ingranaggio culturale dei vincitori che poi regnano in territori nuovi e più vasti. E nel corso di questo adeguamento molti termini preesistenti rimangono imprigionati nel nuovo linguaggio colto che lentamente poi si forma.
Nel caso della Divina Commedia, “fiata” e “fiate” dimostrano che il Bembo avesse ragione quando parlava di termini impropri rimasti nel Dolce Stil Nuovo sviluppatosi sulle radici della prima esperienza della Scuola Siciliana, che il Petrarca aveva cercato di bonificare, e nella Commedia, pertanto, la graduatoria di merito dei poeti e scrittori colti (le cosidette tre Corone) da lui stilata mi trova perfettamente concorde.

 

* Canto XXI° Inferno, Bolgia ottava (quella dei malversatori) - verso 139 (Ed elli avea del cul fatto trombetta).


(Donnas 24.5.2017)

 

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- Letteratura

Alle origini della nascita della lingua italiana

ALLE ORIGINI DELLA NASCITA DELLA LINGUA ITALIANA E LA SCUOLA SICILIANA

 

Qualche giorno indietro mi ero svegliato con la curiosità delle origini della lingua italiana ed in rete che trovo? L'articolo, che riporto nel link in calce a queste mie note, che mi sembra molto interessante per chi avesse la mia stessa curiosità e volesse cercare delle risposte su questo argomento.
Dando per scontato che la prima Scuola di Letteratura italiana sia nata in Sicilia alla corte de Normanni intorno all'anno 1.166, confermato che altri documenti della scuola siciliana siano stati trovati sparsi un po' qua ed un po là per l'Italia, ed alcuni manomessi e trasformati dai copisti toscani successivi, considerato che probabilmente Dante sia nato nel 1.265, ma può darsi anche dopo, ovvero 100 anni dopo la nascita della Scuola Siciliana, anch'io concordo con l'autore della ricerca, sostenendo che probabilmente con il tempo altre scoperte potrebbero sconvolgere le sicurezze di date certe sulle origini della lingua italiana.
Intanto è certo che il "Placito Capuano" o la "Carta Capuana" cassinese, sia il primo documento in volgare italiano, ed abbia la data del 960 ma si ha conferma che un altro documento in volgare, “L'indovinello veronese" (collocato intorno all'VIII°- inizio IX° secolo), abbia una data ancora anteriore (e questo proverebbe la "vicinanza" della lingua veneta alla lingua siciliana).

Non è finita qui.

Nel comune di Montieri, dove possiedo un appartamento, esiste un documento in volgare "La Guaita di Travale" (con contenuti simili alla Carta Capuana) che porta la data del 1.158 e, sempre nel comune d Montieri esiste un altro importante documento in volgare, il Breve di Montieri, datato 1.219, che regolarizzava la vita all'interno del castello ed era prevalentemente legato all'estrazione e fusione della pirite.

Ma non è ancora finita qui: il francescano Andrea da Grosseto, nato a Grosseto a meta del 1200, che insegnò a Parigi letteratura ed arti poetiche, è considerato uno dei primi scrittori in lingua italiana avendo utilizzato un volgare purificato dai termini toscaneggianti e comprensibile in tutta la penisola per tradurre dal latino i "Trattati morali" di Albertano da Brescia, fornendo un primitivo esempio di prosa letteraria in italiano ed il suo contributo nella letteratura italiana è molto importante, poiché è considerato da alcuni studiosi come il primo scrittore in lingua italiana in una città a carattere prevalentemente agricolo, in cui le lettere fiorirono solamente a partire dal XVIII secolo.

Con molta probabilità Andrea fu influenzato dalle continue frequentazioni con la corte imperiale di Federico II di Svezia, il quale raggiungeva Grosseto, ospite degli Aldobrandeschi per tantissimi anni, per la caccia con il falco in Maremma.
Tutte queste date, però, alla fine confermano che la lingua volgare italiana fosse già ampiamente in uso in varie parte d'Italia anche prima della nascita della Scuola Siciliana, anche se i Normanni hanno il merito di aver dato sistematicità e prestigio alla lingua italiana cominciando ad impiegarla ufficialmente in letteratura nelle loro composizioni e nei loro incontri poetici.
Furono loro, infatti, a far arrivare in Sicilia il fior fiore dei poeti verseggianti sia italiani che stranieri (i cosiddetti Trobador provenzali in lingua d'Oc della Francia meridionale) e sancendo ufficialmente la nascita del sonetto e delle prime forme liriche che applicavano ritmo e metrica ai loro versi e dando l'avvio ufficiale ad una vera e propria scuola di letteratura.
Ma quello che molti ignorano o trascurano è che il merito principale della nascita della nuova lingua spetti al popolo, a quella massa informe, vituperata ed emarginata, che cominciando a parlare in massa un volgare a loro più congeniale, rispetto al latino, costrinse poi anche la classe dominante e colta a parlare ed accettare quel linguaggio come mezzo di comunicazione comune se volessero essere capiti dal popolo.

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