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Raccolta di articoli di Fausta Genziana Le Piane
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Arte

Io, Frida Kahlo

Dal 20 marzo al 31 agosto alle Scuderie del Quirinale

 

Io, Frida Kahlo

 

            Oltre 40 straordinari capolavori, una selezione di disegni, alcune eccezionali fotografie, il famoso corsetto in gesso che tenne Frida Kahlo (1907-1954) -prigioniera negli ultimi, difficili anni della sua malattia e che l’artista decorò con una serie di simboli dipinti: ecco ciò che potrete ammirare della grande artista messicana alle Scuderie del Quirinale fino al 31 agosto.

            Frida – totalmente autodidatta - rappresentò essenzialmente se stessa perché la sua vita dopo l’incidente fu solitaria e ciò che poteva osservare senza limiti di tempo era se stessa riflessa in uno specchio piazzato sopra il letto. Tra i capolavori ricordiamo Autoritratto con collana di spine e colibrì (1940),per la prima voltaesposto in Italia o Autoritratto con abito di velluto (1926), dipinto a soli 19 anni ed eseguito per l’amato Alejandro Gòmez Arias. Nel primo autoritratto, ricco di metafore, le spine non rimandano a quelle della Croce di Gesù CristoFrida Kahlo.

Mentre nelle rappresentazioni sacre la corona di spine – riconducibile all’iconografia religiosa – cinge la testa delle persone, negli autoritratti dell’artista diventa una collana (qui molte spesso interrotta) che cinge il collo e provoca ferite sanguinanti. Queste ferite suscitano una sensazione di angoscia che tuttavia non trova un corrispettivo nello sguardo di Frida che continua a guardare impassibile davanti a sé. Il senso di angoscia e di claustrofobia è aumentato dalla fitta presenza di fogliame nello sfondo, dal fatto che la tela è interamente dipinta, dalla stretta vicinanze delle scimmie. Le farfalle, presenti sovente nei dipinti dell’artista, qui sono rigide e senza plasticità a significare mancanza di speranza

Nel secondo, Frida si rappresenta in un abito rosso su sfondo scuro, con il collo allungato recupera l’estetica di Parmigianino  e di Modigliani, anche nella posizione della mano.

Altri due autoritratti meritano di essere osservati con attenzione:

Nel primo, Autoritratto come Tehuana o Diego nei miei pensieri o Pensando a Diego (1943), Frida si rappresenta con l’abito della festa, della domenica e in fronte il terzo occhio che è Diego Rivera. I mille lacci che si irradiano dall’abito rappresentano i mille pensieri della donna per l’uomo amato. Nel secondo, compaiono ancora le scimmie conosciute per la loro agilità, il dono dell’imitazione e la buffoneria. Presso gli Aztechi e i Maya, il simbolismo della scimmia è apollineo. I nati sotto il segno della scimmia sono esperti nelle arti: ben rappresenta Frida.

Frida si specchiava anche nelle nature morte. Questa intitolata  La sposa che si spaventa vedendo la vita aperta (1943) ha più di un significato. Oltre a rappresentare l’uomo  e la donna (le banane  e le angurie) è la raffigurazione di una celebre favola La cicala e il gufo:

Una cicala non smetteva mai di cantare e suonare con la sua vecchia chitarra.

Un gufo un giorno disse: -Basta, per carità smetti almeno qualche ora! Sto sveglio tutta la notte per cacciare e di giorno devo dormire!-

-Allora vorrei tanto, tanto che smettessi di suonare e di disturbarmi!-

La cicala rispose: -Va bene,va bene però tu devi promettere di non mangiarmi.-

Un giorno il gufo aveva tanta fame, dimenticò la promessa e si mangiò il povero animaletto indifeso.

Soddisfatto esclamò:-Uhm… che bontà!-

I dipinti di Frida Kahlo non sono soltanto lo specchio della sua vicenda biografica segnata dal terribile incidente in cui fu coinvolta all’età di 17 anni, dalle 32 operazioni, la sua arte si fonde con la storia e lo spirito del mondo a lei contemporaneo, riflettendo le trasformazioni sociali e culturali che avevano portato alla Rivoluzione e che ad essa seguirono. Attraverso il suo spirito ribelle, reinterpretò il passato indigeno e le tradizioni folk loriche, codici identitari di un’inedita fusione tra l’espressione del sé. Fu influenzata dal surrealismo, dal Pauperismo rivoluzionario, dal Estridentismo, dal Realismo magico.

 

Fausta Genziana Le Piane

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- Letteratura

Lo spirito dell’altrove nella poesia di Iole Chessa Olivares

“Nuda passeggio sulla lastra del cielo”

 

Lo spirito dell’altrove nella poesia di Iole Chessa Olivares

 

Lo spirito dell’altrove è fortemente radicato nella poesia di Iole Chessa Olivares con varie sfaccettature ed illumina la sua visione esistenziale.

Soprattutto è il desiderio, l’aspirazione al dopo terreno, all’oltre (titolo anche di una lirica della raccolta In piena sulla conchiglia) dove perdiamo consistenza d’ombra e vive l’amore dell’Eterno, il Seminatore del mondo. E’ il cosmo, le ignote quinte dell’universo dove brillano stelle e armonie sconosciute agli uomini: “E la vera festa?/Non è qui. (In piena sulla conchiglia, Pagine, 2002, Sono quei pochi passi…, p. 31). Più lontano è la vera melodia.

Ma è anche  l’”Azzurro”, il sogno, l’ideale cantato da Mallarmé – barlume, lucina, virgola stregata, radice viva – che sperde la Poetessa in un laggiù lontano agognato. Irresistibilmente attirata dall’azzurro, Iole Chessa Olivares si sente incapace di raggiungere la perfezione poetica che sogna. Talvolta l’attrazione diventa ossessione. Invano la Poetessa tenta di sottrarsi, ogni fuga è inutile, il richiamo dell’”azzurro” resta il più forte: “L’Azzurro trionfa, lo sento che canta/nelle campane, anima, che si fa voce/e più ci spaventa con la sua cruda vittoria,/ed esce dal vivo metallo in celesti angelus!” (Stéphane Mallarmé, Poesie, Feltrinelli, 1991, L’Azzurro, pp. 36-37). E non è fuga dalla realtà, bensì desiderio di non provvisorio, di assoluto e di permanenza. Di un senso alla vita che non naufraghi: “Intatto sul lago solitario/ancora una volta t’inoltri/complice il sogno/e anche se il corpo a corpo/con l’attimo apre all’imboscata, /io dallo schianto ti riparo/e mano, nella mano,/da Re ti accolgo nell’antica radura/densa di fruscii d’ala,/anche se l’estate è fuggita,/appostata spia l’autunno,/congeda gli uccelli (…) (op. cit., Anche se…(all’ideale), p. 54). Il sogno – scomposto -, è speranza viva: “”Oltre il sipario/solo la reliquia del sogno/attraversa e indora l’edera” (op. cit., Oltre il sipario, p. 47).

Altre volte è la scrittura, la parola stremata ma salvifica, variegata che è tensione, sollievo, bisogno impellente e ricerca inesausta sempre pronta alle scoperte; è la parola nascente (“attendo parole”): “Ancora non dice,/sibila/la parola nascente./Deraglia dalla bocca/di un fiore/non sa dove andare,/un passo più in là/dal silenzio/sbanda, come risalire?/In abbandono/prende il largo,/prova a significare/quello che può/anche se tutta l’aria/montante non basta/a dare al sibilo/sapiente misura di voce” (La buccia del grido, Lepisma, 2008, La parola nascente, p. 53) laddove per “significare” s’intende dare un senso al mondo, esprimerlo, palesarlo, comunicarlo. E’ insomma la poesia: “In pura perdita/scrivo per imparare/a scrivere/e…mi apro alla deriva” (op. cit., In pura perdita, p. 19) e “Spesso la poesia/non mette galloni sulla giacca,/intinta negli acidi del dolore,/respira alta e allo scrutinio finale,/emerge, illesa dal tempo (In piena sulla conchiglia, Pagine, 2002, Illesa dal tempo, p. 117). Ecco allora, però, che la scrittura consente il viaggio, fa sua la meta: “Arriva dalla bruma/la parola screziata/soccorre l’osso in cordoglio,/l’orma stellata del passero/e…cambia pelle/mentre ondeggia sul labbro/ormai maturo,/mentre balla tra denti consunti/svenata di turgore, erosa,/ma con l’ala aperta a nuovi voli/nella solitudine egemone/dell’oltre” (La buccia del grido, Lepisma, 2008, La parola screziata, p. 38).

Può essere ancora è la Sardegna, esilio ritornante, luogo di nascita della Poetessa: “Nell’aria di questa terra/ improvviso un fragore di radici,/un nascere e morire ancora/nell’imprevisto come nell’altrove “ (Quel tanto di rosso, Terre Sommerse, 2007, Nell’aria di questa terra, p. 5). Senso dell’altrove duplicato, perché la Sardegna è lontana - “leggeva anche il cammino/degli astri, e, tra le palpebre,/sulla cancellata,oltre il mirto,/oltre un cadente pigolio di piume/puntava il dito nascosto su una stella/inerme, arresa all’aurora” (In piena sulla conchiglia, Pagine, 2002, Il richiamo, all’isola della Maddalena, p. 80).

Questa continua tensione, necessità, navigare inquieto dello sguardo, questo cammino incessante si concretizzano nel lessico che esprime questo continuo ondeggiare dal qui al lontano: disfarsi e ricomporsi, salire e scendere, andare, tornare, nascere, crescere e morire, perdersi e ritrovarsi accompagnati dai termini di confine, limite, riva, sponda, argine, margine a dire le contraddizioni e la complessità dell’esistenza e che il cammino – andare, andare -, la strada sono interrotti. Mai il canto della Poetessa è disperato bensì ha un “supplemento di speranza”.

 

Fausta Genziana Le Piane

 

Iole Chessa Olivares, In piena sulla conchiglia, Pagine, 2002

Iole Chessa Olivares, La buccia del grido, Lepisma, 2008

Iole Chessa Olivares, Quel tanto di rosso, Terre Sommerse, 2007

 

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- Letteratura

Nina Maroccolo, “veggente” del XXI secolo

Riflessione

Nina Maroccolo, “veggente” del XXI secolo

 

Nina Maroccolo è un talento raro, uno di quelli che si è felici di incontrare perché tanto c’è da imparare dal loro modo di scrivere e vivere la realtà. E’ un’artista vera dalla personalità originale e spiccata anche nel modo di vestire e di porgersi, del tutto personali, sorprendenti e stravaganti. Vengono in mente i grandi dandies (senza la loro ostentazione di eleganza, il loro disprezzo, il loro distacco dalla realtà), da Oscar Wilde a Charles Baudelaire per i quali l’abbigliamento era già poesia, un modo di presentare con orgoglio la propria diversità in un mondo omologato. In un’epoca in cui l’Arte è grigia, appiattita, fatta di luoghi comuni, Nina, sincera e imbarazzante, è una voce fuori dal coro: propone sperimentazioni di linguaggi e contenuti mai fini a se stessi.

Questa non vuole essere una recensione a Malestremo perché altri meglio di me sapranno farla ma, solo una riflessione.

La formula breve data ai racconti di Malestremo – Sedici saggi sull’altrove, Edizioni Tracce, 2013 - ne facilita la lettura: ogni racconto è come un lampo accecante. Nina si tuffa nell’abisso del suo io che diventa sé e poi noi: “Je est un autre”, fissando le sue vertigini.

La sua scrittura – del tutto particolare – insolita, evocativa, a volte surreale, a volte allucinata - che ricorda, come ho già detto quella di Arthur Rimbaud - scava l’insondabile, cerca sogni, miti, destinazioni, magie, luoghi d’appuntamento. Istanti. Dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Dal racconto intitolato Cronistoria di un’attesa dove un appuntamento segnato dallo scorre dei minuti diventa pretesto per indagare se stessi a quello intitolato In viaggio dove la ricerca spirituale - cominciata nei due libri precedenti - continua puntuale.

Il libro è, infatti, sospeso tra realtà – la terra – e spiritualità – il cielo, l’alto, tra realtà e sogno. Ricorre l’immagine della montagna (In viaggio, Si è frantumata la montagna): alta, verticale, vicina al cielo è il simbolo della trascendenza e del centro. La montagna frana, bisogna iniziare un nuovo cammino.

Indimenticabili sono i ritratti femminili dalle multiformi personalità, intriganti e misteriose, da Musidora a Jeanne, da Annette a Marianne narrate ora in prima persona, ora in terza.

Vale per Nina ciò che Kezich disse del film Persona di Bergman: Nina riduce all'osso le ambientazioni per indirizzare il lettore verso i personaggi, come "un diabolico dominatore". Proprio in questo aspetto trova adempimento l'intenzione sperimentalista del racconto. Tutte le donne si presentano infatti come le rispettive facce della stessa medaglia, cioè di Nina. E la medaglia è l'anima della donna contemporanea. Passata la fase dell’identificazione - che è solo una fase di passaggio  dall’io si arriva all’altro, all’amore, all’amore che dà la vita. Dice Bergman: “La vita si manifesta in mille modi diversi” ed uno di questi è l’amore.

Il senso della letteratura è quello di rappresentare la realtà, la realtà ultima che è non solo il non senso dell'essere ma anche la primordiale irrazionalità dell'uomo: Nina con la sua scrittura si addentra nel sottosuolo del reale.

 

Fausta Genziana Le Piane

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- Letteratura

SENZA LACRIMARE, canto alla vita di Iole Chessa Ol

SENZA LACRIMARE, canto alla vita di Iole Chessa Olivares

 

dedicata a Casa Duir

Vicine e lontane altezze

inquietudini

che non si lasciano

domare.

Nel salire sfuggente

pause affilate

brevi

per la sfida in allerta

accolta solo

da un vibrato del cielo.

Il sangue fiduciosa linfa

gioca

tutto il suo intimo

con strappo di farfalla

allaga il cuore

avanti contemplando

lascia affiorare

meraviglia e candore

vive

la distanza dallo zenith

senza lacrimare.

Iole Chessa Olivares

Il protagonista di questa bella lirica inedita di Iole Chessa Olivares è il sangue – fiduciosa linfa - che addirittura ALLAGA il cuore. Denso di significato questo verbo ALLAGARE: il sangue – che inonda e irriga - infatti simboleggia tutti i valori del fuoco, del calore e della vita che si ricollegano al sole. A questi valori si aggiunge tutto ciò che è bello, nobile, generoso, elevato. Partecipa anche della simbologia generale del rosso. E noi sappiamo che Iole ama questo colore: basta citare il titolo della bellissima raccolta “Quel tanto di rosso”. Non ne occorre molto, di questo colore, ma è necessario come il sangue: simboleggiano entrambi la vita con la sua forza, la sua potenza, il suo sviluppo. Il sangue è infatti universalmente considerato come il veicolo della vita. “Il sangue è la vita”, si dice in modo biblico e questa lirica è un canto alla vita proprio in quell’allagare del sangue il cuore, il centro di ogni sentire, veicolo delle passioni. Direi anche che il sangue veicola l’anima come è considerato da alcune popolazioni. E’ questo che spiegherebbe, secondo Frazer, i riti dei sacrifici, durante i quali c’è grande cura affinché il sangue della vittima non si sparga sul suolo.

Un altro richiamo è importante, quello alla farfalla. Iole ama questo spirito viaggiatore, simbolo della leggerezza e della femminilità:

 

UNA VAGA QUIETE

Mi difende

una vaga quiete

nell’assurdo del cuore:

sboccia provvisoria,

dondola in punta di voce

sullo scempio

di un passo affrettato.

 

Mi difende

con in tasca farfalle

pronte ai rumori di fondo,

al graffio del pesco,

ad altre mutazioni di pelle.

 

Iole Chessa Olivares, Una vaga quiete, La buccia del grido, Lepisma, 2008

Fausta Genziana Le Piane

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- Letteratura

Alice nel paese delle meraviglie: la pittrice Adri

Un quadro-manifesto alla maniera di Paul Klee

 

Alice nel paese delle meraviglie: la pittrice Adriana Centi

 

Alice, la sorella Anna e il gatto Oreste cercano un po’ di refrigerio sotto un bell’albero dalle fronde folte e ombrose…Alice è una bambina che adora fantasticare e, quasi senza accorgersene, si addormenta, mentre la sua fervida fantasia si perde in un mondo popolato da tanti stravaganti personaggi, dove poter vivere mille avventure fantastiche…

Compare Bianconiglio: ha i pantaloni viola e la giacca rossa…E’ in ritardo, corre, Alice lo segue. Bianconiglio, Alice e Oreste, che segue la padrona senza chiedere nulla, si inoltrano in un bosco, ecco un buco nero, il coniglio vi si è intrufolato dentro come in una tana. Alice si mette in ginocchio e infila la testa nell’apertura. Per essere un posto dove si fa festa, puzza troppo di muffa1 Che importa? Alice vuol sapere a tutti i costi cosa c’è dentro.

Ma stiamo parlando di Alice, della pittrice Adriana Centi o di noi stessi? Osserviamo il dipinto intitolato Albero nudo. Come Alice, Adriana Centi ama la natura, ha una fervida fantasia, vive mille avventure fantasiose, invita chi guarda ad entrare in quel buco nero ai piedi dell’albero e ad immergersi nel mondo dei sogni e delle meraviglie. L’artista vuole sapere a tutti i costi cosa c’è dentro, ma dentro cosa? Nel mistero della vita e della morte. Alice piomba nel vuoto del tronco d’albero, ma né lei né Adriana né noi abbiamo desiderio di interrompere questo viaggio fantastico che ci condurrà nel mondo dell’arte che è ricerca: Adriana come Alice è curiosa ed ama la Bellezza.

Procediamo in silenzio, fermiamoci davanti a questo albero, tocchiamolo, il tronco si spalanca scricchiolando: passiamo di meraviglia in meraviglia! Per non perdersi, basta seguire la strada della poesia: nel paese delle meraviglie si raccontano storie o meglio si declamano storie-poesie come quella del Tricheco e il carpentiere o come quella di Ieri o Quel ragazzo davanti al supermercato.

Restiamo in adorazione dinanzi a questo albero, simbolo dell’arte e della vita, e traiamone ogni forma di energia e di vitalità.

Nella teoria dell’arte moderna, Paul Klee (1879-1940) usa la parabola dell’albero per spiegare il processo creativo che attinge al subconscio. Lo paragona alle radici dell’albero: “Da questa regione arriva all’artista la linfa che penetra in lui e che penetra nei suoi occhi. L’artista si trova così nella situazione del tronco. Sotto l’impressione di questa corrente che l’assale, fa procedere nell’opera i dati della sua visione. E come si possono vedere i rami di un albero espandersi in tutte le direzioni, così è l’opera. A nessuno viene in mente di esigere da un albero che formi i suoi rami ssul modello delle sue radici. L’alto non può essere che un semplice riflesso del basso”.

L’albero, secondo Mircea Elide, rappresenta il cosmo vivente in continua rigenerazione. Infatti, chi osserva il quadro nota che il tronco liscio - la vita che invecchia - occupa la maggior parte dello spazio ed è allegro come l’abito di una ragazza in festa, che ai suoi piedi lascia cadere foglie - ricordi, esperienza vissuta – mentre la chioma nascosta dietro il muretto è pronta già a rinascere, occhieggiando il tutto il suo splendore.

Simbolo della vita, in perpetua evoluzione, in ascensione verso il cielo, l’albero evoca tutta la simbologia della verticalità ed è il tramite con il cielo.

Adriana – donna e artista - appartiene al cosmo e al regno di Alice.

 

Fausta Le Piane

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- Letteratura

Sogno e realtà nella poesia di Iole CheIo, formica

SOGNO E REALTA’ NELLA POESIA DI IOLE CHESSA OLIVARES

 

Io, formica

 

Vorrei essere possibile conca

per lo sguardo totale dell’aquila

ma rimango formica

che intende solo ogni erba e fiore

del proprio minimo angolo.

 

Da: In piena sulla conchiglia, Pagine, 2002

 

Questa breve e intensa lirica si muove secondo due metafore che incarnano il concetto del contrasto tra sogno e realtà.

La poetessa vorrebbe poter accogliere lo sguardo dell’aquila (essere conca avvolgente) ma resta formica: non si può cambiare la propria natura. Attenzione: Iole non dice che vorrebbe essere aquila ma che vorrebbe accogliere il suo sguardo. C’è molto da dire. Non l’aquila desidera essere la Poetessa ma l’attira il suo modo di vedere poiché è profondo, vede lontano…Infatti, l’aquila vede 6 volte meglio dell’uomo con un raggio visivo di 300°! E il Poeta vuole arrivare a vedere l’essenza delle cose. Si noti il contrasto espresso dai due aggettivi possibile riferito  a se stessa e totale riferito invece all’aquila: il certo e l’incerto, il sicuro e l’insicuro, il piccolo (Iole-formica è nel minimo angolo) e il grande! Eppure quanto è grande la formica che conosce bene il suo mondo fatto di erba e fiori, che sta bene nel suo universo! L’aquila è il re degli uccelli, incarnazione, sostituto o messaggero della più alta divinità e de l fuoco  celeste, il sole che lui solo osa fissare senza bruciarsi gli occhi: la formica è il simbolo dell’attività laboriosa, della vita organizzata in società, della preveggenza. Si tratta in fondo di due aspetti della personalità e dell’anima di Iole e forse di ognuno di noi perché poiché la condizione umana: aspiriamo all’Azzurro (aquila cioè forza, sicurezza, fierezza  e bellezza) e siamo condannati all’inferno terrestre (la formica) (Charles Baudelaire).

 

Fausta Genziana Le Piane

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Letteratura

Una donna d’altri tempi che sa parlare di noi, don

Una donna d'altri tempi che sa parlare di noi, donne eccellenti...

 

Conoscete Barbara Pym? Sono sicura di no eppure se è così perdete una scrittrice di primo ordine.

Barbara nacque nel 1913 e morì, nubile, nel 1980. Passò parte della guerra all'ufficio censura della corrispondenza con l'estero, e parte in divisa di ausiliaria; per un certo periodo fu di stanza a Napoli. In seguito lavorò all' International African Institute, fra l'altro come redattrice del giornale antropologico “Africa”. Scrisse dieci romanzi, sei dei quali uscirono fra il 1950 e il 1961, e gli altri fra il 1977 e il 1981.

Provate a cominciare a leggere “Donne eccellenti” (La Tartaruga  edizioni, 1996, con prefazione di Masolino D'Amico) e vi renderete conto che la Pym è stata definita a ben ragione la Jane Austen dei nostri tempi.

La protagonista, Mildred, è impiegata a mezza giornata presso il Centro per la tutela delle gentildonne anziane, è una single che difende la sua indipendenza (“esistenza che mi sono fatta da sola a Londra”, “il matrimonio non è tutto”, “il matrimonio non è sempre rose e fiori”) considerato poi che “ciascuno dei due sessi ha difficoltà a capire l'altro” (p. 136) e che dimostra grande conoscenza del genere umano, dagli uomini definiti egoisti ed “eterni bambini” alle donne, incomprensibili, che spesso dimenticano le loro incombenze casalinghe per coltivare i propri ideali. Mentre gli uomini “che non sono affatto  indifesi e patetici come talvolta piace immaginare alle donne” (p. 204), sono costretti a occuparsi di tutto, devono cucinare e lavare i piatti...sono stremati (p. 57). I costumi infatti cambiano e...che cosa fanno le donne che non si sposano?... Stanno in casa con un genitore anziano e si occupano dei fiori, almeno così facevano un tempo, ora però è più probabile che lavorino, facciano carriera e vivano in un monolocale o in una pensione...” Considerazioni di una lungimirante realtà...

Quale è la donna eccellente? E' Mildred, figlia di ecclesiastico, che non deve sposarsi poiché la vita è già abbastanza difficile senza questi propositi allarmanti: “Ti ho sempre creduta così equilibrata e assennata, una donna davvero eccellente. Mi auguro che tu non stia pensando al matrimonio”, è quello che le dice nel corso di una cena il suo amico William. Mildred è sempre pronta ad aiutare gli altri e a farsi carico dei loro problemi.

E' in fondo la pacata e profonda saggezza, una lezione di buonsenso ed equanimità (se il matrimonio non funziona “le colpe sono sempre di entrambi”, p. 196) che emerge dalla scrittura della Pym, sempre limpida ed equilibrata, e dalla sua visione della vita in cui ognuno è felice stando al proprio posto nel rispetto della posizione sociale e dei sentimenti degli altri.

Il modello femminile che propone è quello di una donna emancipata che si dedica talmente al suo lavoro – la protagonista è un'antropologa – da dimenticare  le faccende domestiche: “Ora sono costretto a occuparmi di tutto, devo cucinare e lavare i piatti...sono stremato” dice il marito, Rocky, esempio antesignano di parità...Questo modello assumerà sempre più importanza anche se ancora: “appartenevano a quella generazione di uomini che non pensa di dover contribuire ai lavori domestici (p. 217)”.

La capacità di introspezione psicologica, accompagnata da una vivace ironia  è lo sguardo che la protagonista porta sugli altri, è la penetrazione di osservazioni dei vizi e delle virtù di uomini e donne: “Le coppie sono così abituate a chiamarsi “caro” e “cara”, che non si accorgono di quanto suoni falso quando sono arrabbiati o annoiati” (p.57).

Fa piacere scoprire che l'autrice è una fine conoscitrice di “languide sciocchezze” di Christina Rossetti o Matthew Arnold o Omar Khayyam o Keats:

“Meglio che tu dimentichi e sorrida

che non che tu ricordi, e t'intristisca...”

oppure

poco conoscer è cosa pericolosa

bevi a fondo, o non toccar dalla sorgente Pieria

oppure

“Sì! Isolati nel mare della vita,

Con abissi echeggianti tra di noi,

Pulviscoli nel liquido deserto senza sponde,

Noi, milioni di mortali, viviamo SOLI”

conoscenza che lascia intravedere la grande cultura posseduta da Barbara che era infatti laureata in Lingua e letteratura Inglese a Oxford.

Infine è da notare che su tutto troneggia la metafora del tè: è vero che si tratta di un’abitudine tutta britannica ma è anche vero che è il momento nel libro dela resa dei conti, dell’assunzione di responsabilità e consapevolezza, delle grandi decisioni

 

Fausta Genziana Le Piane