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Raccolta di articoli di Francesco Rossi
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Società

Una nuova opportunità da cogliere valutando i Pro e i Contro

Nell’eterno dibattito tra apocalittici e integrati, l’intelligenza artificiale (IA) sta rapidamente guadagnando terreno nel nostro mondo, influenzando diversi aspetti della nostra vita. Ma come può essere conciliata con i principi democratici che costituiscono la base delle nostre società? La relazione tra democrazia e IA è un tema di crescente importanza che richiede una riflessione attenta. Le opportunità dell’IA nell’esercizio della democrazia: che l’IA possa essere, in potenza, uno strumento formidabile per rafforzare la democrazia è indubbio. La capacità generativa delle intelligenze artificiali applicata alla vita quotidiana ha in sé tutti i numeri per estendere l’esercizio della democrazia. Dall’accesso ai dati e alle informazioni, all’analisi persino predittiva di fenomeni e mutamenti sociali. Uno strumento, insomma, dalle grandi potenzialità. L’IA può essere un prezioso strumento per migliorare la partecipazione democratica. L’uso di piattaforme online e applicazioni mobili può rendere più accessibile il voto e coinvolgere i cittadini in dibattiti politici. Gli strumenti di partecipazione online possono consentire ai cittadini di esprimere le proprie opinioni e fornire feedback in modo più diretto. Avere un facile accesso alle informazioni, lo abbiamo visto con lo sviluppo del web e della società delle piattaforme è fondamentale: maggiori conoscenze portano maggior dibattito e a sviscerare temi e argomenti in modo più analitico e inclusivo. Ad esempio, gli algoritmi di intelligenza artificiale possono analizzare grandi quantità di dati per identificare tendenze, problemi emergenti e punti di vista contrastanti. Ciò può consentire ai cittadini di prendere decisioni più informate e partecipare attivamente al processo democratico. Inoltre, l’IA può migliorare l’efficienza dei servizi governativi. I chatbot e gli assistenti virtuali possono rispondere alle domande dei cittadini in modo rapido ed efficace, riducendo i tempi di attesa e migliorando l’accesso ai servizi pubblici. L’automazione di alcune funzioni governative può ridurre il rischio di corruzione e garantire una maggiore trasparenza nell’erogazione dei servizi pubblici.

I Pericoli.

Se è vero, come abbiamo visto, che l’IA ha un enorme potenzialità di sviluppo nelle società odierne e in quelle future è anche vero che, in quanto strumento, può essere utilizzato in maniera poco etica. E può diventare uno strumento pericoloso, soprattutto laddove non esiste una conoscenza reale di ciò che può o meno fare e determinare.

Vantaggi e svantaggi.

Ed è così che da viatico per un rafforzamento delle potenzialità democratiche, diventa un pericolo stesso per la democrazia e un supporto non indifferente per i regimi e l’avvento di movimenti totalitaristi. La stessa informazione può diventare propaganda in un modo veloce e subdolo: lo abbiamo visto, del resto, con il fenomeno delle fake news.


Siamo prossimi a varie tornate elettorali: buona parte del mondo si confronterà, nel 2024, con nuove elezioni, a partire dall’Unione Europea, fino alle elezioni negli Stati Uniti e in India. E molte, anzi tutte, le strategie elettorali stanno trovando nell’IA terreno fertile. Immagini, video, discorsi, dibattiti, sono già prodotti o preparati con la magia dell’algoritmo. Una giungla di informazioni, controinformazioni, dati, affermazioni che si accavallano le une alle altre e che, grazie alla potenza virale dei social media, ci raggiungono a raffica, senza garantirci un efficace sistema di “controllo” della verità. Il rischio che l’IA possa essere utilizzata per manipolare l’opinione pubblica è elevato: gli algoritmi di social media e di raccomandazione dei contenuti possono amplificare le convinzioni esistenti e isolare le persone in camere echo, impedendo il dibattito pubblico e la comprensione reciproca. Questo può minare la democrazia se le persone non sono esposte a diverse prospettive e vengono bloccate in una bolla informativa che conferma solo ciò che già credono. Il filtro delle informazioni alimentato dall’IA è diventato un problema critico per la democrazia, poiché può portare a una polarizzazione crescente e alla diffusione di disinformazione. Del resto, l’uso dell’IA nei processi decisionali potrebbe portare a discriminazioni o ingiustizie: gli algoritmi possono essere influenzati dai pregiudizi presenti nei dati con cui vengono addestrati. Ad esempio, se un sistema di IA previsionale viene addestrato su dati che riflettono discriminazioni razziali o di genere, esso potrebbe perpetuare tali discriminazioni nei risultati che produce. E alimentare una catena di ignoranza – nel senso etimologico del termine – realmente pericolosa. Se poi consideriamo il risvolto economico, produttivo e commerciale dell’IA possiamo facilmente vedere come un utilizzo sbagliato, o meglio, strumentale dell’intelligenza artificiale sia essa generativa, analitica o predittiva possa portare a divaricare ancora di più la forbice tra i ricchi e poveri .

Solo imparando a conoscere l'intelligenza artificiale si ha la possibilità di diffendersi.

Evitando di averne timore. Lasciando che se ne parli e la si regoli, come sta iniziando a fare l’UE (entro il 2024 dovrebbe già entrare in vigore il primo AI act del Parlamento Europeo che affronta il tema dell’utilizzo dei dati biometrici). Per affrontare queste sfide, è necessario sviluppare regolamentazioni e linee guida chiare per l’uso dell’IA nei contesti politici e sociali. Gli organismi di regolamentazione devono collaborare con gli esperti di IA per stabilire normative che garantiscano l’equità, la trasparenza e la responsabilità nell’uso dell’IA. È importante anche sviluppare strumenti di audit e controllo per garantire che gli algoritmi siano conformi a tali regolamentazioni. L’intelligenza artificiale, per essere realmente strumento positivo di rafforzamento e anche, perché no, evoluzione della democrazia in forme ancora più alte e raffinate, deve poter essere conosciuta e riconosciuta da tutti e, soprattutto, deve essere progettata per rispettare i principi di non discriminazione e giustizia. Infine, anche l’alfabetizzazione digitale e l’educazione pubblica sono essenziali per aiutare i cittadini a comprendere l’IA e le sue implicazioni. Gli individui devono essere in grado di valutare criticamente le informazioni generate dall’IA e riconoscere la disinformazione. Per le prossime campagne elettorali, Google si è imposta delle nuove regole al fine di informare gli utenti con etichette, tag o watermark sull’origine artificiale o meno di immagini, audio o altri elementi. È già un primo passo. Ma il più deve necessariamente venire da noi e dalle nostre, capacità di discernimento, ragionamento, creatività.
Per il futuro, poi, è importante che le scuole e le istituzioni educative integrino nei programmi l’educazione sull’IA per preparare le future generazioni a comprendere e utilizzare in modo responsabile questa tecnologia. l’IA offre sia opportunità che sfide per la democrazia. È importante riconoscere il suo potenziale per migliorare la trasparenza e l’efficienza dei processi democratici, ma allo stesso tempo affrontare le questioni etiche e sociali che essa solleva. La chiave per un futuro di successo è trovare un equilibrio tra l’innovazione tecnologica e la tutela dei principi democratici fondamentali. È essenziale che governi, organizzazioni, e cittadini collaborino per garantire che l’IA sia un alleato della democrazia, piuttosto che una minaccia. La strada da seguire richiede attenzione, responsabilità e la costante ricerca di soluzioni che possano migliorare la vita di tutti in modo equo e giusto.
Feedback : informazione utile o critica/recensione che viene fatta o inviata a qualcuno per mettere in evidenza ciò che si può fare per migliorarne le prestazioni, i prodotti, i servizi
Algoritmi di intelligenza artificiale: sono procedure di calcoli, schemi con i quali l'uomo codifica le modalità di elaborazioni dei dati.
Chatbot : software che simula ed elabora le conversazioni umane consentendo agli utenti di interagire con i dispositivi digitali come se stessero comunicando con una persona reale.
Watermark : Il termine watermark significa letteralmente filigrana, infatti per specificare l'ambito informatico si utilizza solitamente digital watermarking.

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- Scuola

L’importanza del sapere.

1- Nel corso della storia italiana, si sono avvicendante numerose e importanti riforme nel sistema scolastico del paese, spesso specchio dell’energia – rivoluzionaria, riformista o conservatrice – delle varie forze di governo. Tra queste, una delle più significative è stata la legge n.1859/1962 che ha introdotto la scuola media unica e obbligatoria e che ha contribuito a cambiare i connotati del sistema educativo italiano e del tessuto sociale. Entrata in vigore il 31 dicembre 1962, la riforma è nata sotto il primo governo di centro – sinistra e ha portato alla creazione di un nuovo ciclo di istruzione: i primi due anni della scuola media inferiore (11-13 anni) e la scuola media superiore (14-16 anni) furono unificati in un ciclo unico di tre anni, obbligatorio Sessant’anni fa, dunque, dal primo ottobre 1963, il mondo della scuola e la società civile ebbero a che fare con un nuovo modello formativo: una vera e propria rivoluzione che non mancò di generare critiche, dibattiti anche aspri e considerazioni più o meno generose sull’adeguatezza della riforma della scuola al tessuto sociale di quell’epoca. Quello che per noi, oggi, rappresenta la normalità è il frutto di un grande lavoro riformista, fortemente voluto dal PSI per rendere l’istruzione più accessibile a tutti i ragazzi, indipendentemente dalla situazione economica delle famiglie. La Scuola Media Unica aveva, dunque, l’obiettivo di fornire una base educativa solida e comune a tutti gli studenti, garantendo che fossero preparati per affrontare le sfide del futuro. Il tutto, in pieno accordo con il principio affermato dall’art.34 della Costituzione, entrata in vigore quindici anni prima. La portata innovatrice dell’introduzione della Scuola media unica è indiscutibile: nella società intera si apriva, per la prima volta, un dibattito importante sull’educazione, la formazione e il futuro dei giovani e si agiva per rompere le dighe di uno status quo rigido e conservatore.
2- Erano gli anni del grandissimo fermento, in cui la crescita e la consapevolezza collettiva veniva alimentata dall’esigenza di raggiungere obiettivi di emancipazione civile e sociale. Quella fu la stagione delle grandi riforme: dalla scuola media unica, allo statuto dei lavoratori, alla legge su divorzio. Riforme che nascevano non solo da una classe politica appassionata ma anche da una grande partecipazione popolare.
3- La scuola media unica ebbe un grandissimo impatto sulla società e raggiunse obiettivi importantissimi: l’obbligo scolastico coinvolgeva i giovani studenti fino al 14esimo anno di età, prese corpo il concetto momento della democratizzazione della scuola e dell’educazione, non più esclusiva ma inclusiva e indipendente dalle possibilità economiche e, si rafforzò culturalmente il concetto del diritto allo studio per tutti. È proprio grazie all’introduzione della scuola media unica che, nei decenni successivi, si affermò la scuola secondaria superiore, aprendo la strada al progresso.
4- E' essenziale continuare a investire nell’istruzione come mezzo per promuovere la crescita individuale e collettiva. Affrontando le sfide attuali per garantire un sistema educativo all’altezza delle aspettative delle nuove generazioni. La scuola è il cuore della nostra società e del nostro futuro, e la sua evoluzione continua a essere una priorità fondamentale.

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- Alimentazione

Breve storiografia Congressi Psi 1953


30° Congresso Milano Teatro Lirico Da l'8 al 11 gennaio 1953.

Cosi titola l'Avanti il giorno Venerdì 9 gennaio 1953

Nella sua relazione il Segretario del Partito ha posto l’esigenza dell’alternativa Socialista per una politica nuova di distensione interna e internazionale.

Sono passati trent'anni dall'ultima Assise milanese che si tenne nell'anno 1923 in una saletta di riunione presso la redazione dell'Avanti! In via San Gregorio. "Nenni e Vella, presentano una mozione di opposizione alla fusione con il PCd’I, e all’adesione al Komintern, dando vita ad un comitato di difesa Socialista.

Da una attenta lettura della storiografia di Pietro Nenni si desume o si potrebbe desumere che la scelta della parola d'ordine alternativa socialista altro non era che una operazione politica che determinava un cambiamento rispetto allo status quo ante.

Gli interventi di Lizzadri, Lombardi, Jacometti, Fenoaltea, Gatto, Vitale, Bigi, Corona Tolloy e Foa si concentrano sulle battaglie per la libertà, il lavoro e la pace.

Segretario Politico Nenni
Vice Morandi
Direttore dell’Avanti! Vecchietti .

Direzione: Elena Caporaso, Corona, De Martino, Lami, Lizzadri, Lussu, Luzzatto, Mancini, Matteucci, Mazzali, Morandi, Nenni, Panzieri, Pertini, Santi, Sansone, Targetti, Tolloy, Vecchietti Valori.

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- Politica

Breve storiografia PSI anno 1951


29° Congresso. Bologna. Teatro comunale. Dal 17 al 20 gennaio 1951

Il Partito giunge al Congresso concentrando il dibattito sul tema della pace in un clima intimidatorio. Come riportato dall'Avanti! del 16 gennaio 1951 il Consiglio dei ministri ha approvato una serie di provvedimenti intimidatori che costituiscono il risultato del più scrupoloso spulciamento dei codici fascisti.
I sindacalisti sono minacciati di arresto, gli esercenti del ritiro della licenza se abbasseranno le saracinesche.

Nella relazione del Segretario si esplica la posizione dei Socialisti sui temi della pace, delle riforme e dei dettami Costituzionali.

1°- Per le pubbliche libertà e l'ordinamento democratico dello Stato: niente fuori dalla Costituzione né poteri eccezionali al governo, né usurpazione di funzioni da parte dell'esecutivo, né privilegi a classi o partiti.

2°- Per le riforme sociali e di struttura come per le pubbliche libertà e per l'ordinamento dello Stato, le esigenze del Paese non vanno oltre i limiti fissati dalla Costituzione. I diritti contemplati nel titolo dei rapporti economici; le riforme di struttura delineate per le nazionalizzazioni. Per la riforma agraria, per la cooperazione dei consigli di gestione dagli articoli che vanno dal 43 al 46 della Costituzione.

3°- Per la Pace il punto d'incontro di tutte le forze nazionali è nella neutralità e comunque in una politica che cerchi la sicurezza del Paese nella Pace, nel disarmo progressivo e contemporaneo di tutte le nazioni nella coesistenza pacifica dei diversi sistemi politici e sociali.

Sono stati esaminati in una atmosfera congressuale di unanimità le questioni del lavoro, della Pace, della Democrazia.

E' suggerita dai Socialisti una nuova politica economica nello spirito della Costituzione.

Nello statuto del Partito vengono inserite le norme che prevedono l'espulsione per i frazionisti.

Direzione: Cacciattore- Elena Caporaso- Corona- De Martino- Lizzadri- Lussu- Luzzatto- Malagugini- Matteucci- Mazzali-Morandi-Nenni- Panzieri- Pertini-Santi-Sansone-Targetti-Tolloy-Tony- Vecchietti-Valori.


Segretario: Nenni
Vice: Morandi
Direttore dell'Avanti! Vecchietti

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- Politica

Breve Storiografia Congressi PSI 1949 Firenze 28° Congresso

28° Congresso. Firenze Teatro del Monopolio Dal 11 al 16 maggio 1949
L'undici maggio si inaugura a Firenze il 28° Congresso Socialista.
Nella relazione del segretario si riafferma la funzione di guida della classe lavoratrice.
Il dibattito congressuale fin dalle prime battute della seconda giornata si sviluppa articolato.

Luzzatto: Per un movimento giunto alla sua piena maturità i problemi ideali si risolvono nell'azione.

Scaramuzzi: Il parossismo di lotta fra gli estremismi è veramente un fenomeno di pazzia collettiva.

Pieraccini: Autonomia e politica unitaria di classe in questa sintesi sta la vita del Partito.

Gli interventi di Lombardi, Nenni, Romita portano un ulteriore contributo al dibattito congressuale.

Una mozione del Congresso contro il divieto per il Convegno della Pace.

Mozione Sinistra 51,2
Mozione Per il Partito e la Classe 39,1
Mozione Per il Socialismo 9,7

Direzione: Basso- Bottai- Buschi -Cacciattore- Elena Camporaso- Laura Conti-Corona- De Martino- Giuia- Lizzadri-Luzzatto- Malagugini- Matteucci- Mazzali-Morandi-Nenni- Pertini-Sansone-Targetti-Tony- Trebbi.

Segretario Politico Nenni
Vice Segretario Morandi
Direttore dell'Avanti! Pertini

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- Politica

Breve storiografia Congressi Psi Genova 1948

27° Congresso
Genova. Palazzo Ducale. Dal 27 al 30 giugno 1948

Deludenti i risultati del Fronte Popolare nella tornata elettorale del 18 aprile 1948. Insuccesso del PSI che, in seguito alle preferenze, riuscì a eleggere soltanto 46 deputati a fronte dei 137 Comunisti. Ciò nonostante favorevoli a proseguire l'esperienza unitaria con i Comunisti: Basso, Nenni, Morandi, Luzzatto, Tolloy, Lizzadri per la mozione di sinistra. Da l'AVANTI!

La mozione Riscossa Socialista presentata da Pertini, Lombardi, Pieraccini, Jacometti seppur favorevole al mantenimento del Patto di unità d'azione con il PCI riteneva conclusa l'esperienza del Fronte Popolare.


Riscossa Socialista 42%
Sinistra 31,5%
Autonomia Unificata 26,5%

Nessun accordo tra le varie mozioni per la nomina della nuova Direzione e con l’astensione degli aderenti alla mozione Autonomista unificata, prevalse la proposta presentata da Riscossa socialista. La nuova direzione risultò così composta: Adinolfi, Barbano, Borghese, Carli-Ballola, Dugoni, Fabbricotti, Fiorentino, Foa, Jacometti, Lombardi, Lombroso, Lupis, Manno, Giancarlo Matteotti Nitti, Pellanca, Perrotti, Pieraccini, Pierantoni, Santi.

Segretario Politico Jacometti
Vice Segr. Politico Matteotti
Direttore Avanti! Lombardi

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- Politica

In simbiosi con la Repubblica. Un uomo una storia.

Pietro Nenni nasce a Faenza il 9 febbraio 1891 da Giuseppe e Angela Castellani. I genitori sono al servizio dei conti Ginnasi. Nel 1896 muore il padre. Nel 1898 a Faenza Nenni assiste ad una carica della cavalleria contro lavoratori e soprattutto donne che hanno assaltato i forni. Sono i giorni dei moti della fame. Nel 1900, per interessamento della contessa Ginnasi, che vorrebbe farlo diventare prete, è accolto nell'orfanotrofio laico "Maschi Opera Pia Cattani".
E' uno scolaro ribelle dopo il regicidio scrive nei corridoi della scuola "Viva Bresci", inneggiando all'uccisione di Umberto I. Nel 1908 è assunto come scrivano in una fabbrica faentina di ceramiche, ma viene subito licenziato per aver preso parte ad uno sciopero. Contemporaneamente è espulso dall'orfanotrofio. Il 5 aprile sul "Popolo di Faenza" appare il suo primo articolo. Altri ne appaiono sul settimanale repubblicano "Il Lamone".
Si iscrive al Partito Repubblicano, partecipa a numerose manifestazioni e conosce i primi giorni di prigione. Nel 1909 promuove scioperi politici in Lunigiana fra i cavatori di marmo. E' fra i promotori dello sciopero generale di protesta per la fucilazione in Spagna del rivoluzionario Francisco Ferrer Guandia. Dirige il settimanale "Il pensiero romagnolo" e collabora a "La lotta di classe", diretto dal socialista Benito Mussolini.

Nel 1911, sposa Carmen Emiliani. Giolitti annuncia la decisione di occupare la Libia e come conseguenza viene proclamato lo sciopero generale. Nenni, che durante le manifestazioni a Forlì è stato ferito da tre sciabolate, è arrestato e condannato a un anno e quindici giorni. In carcere ha come compagno Mussolini, anch'egli condannato per i moti contro la guerra in Libia. Il 26 dicembre nasce la prima figlia Giuliana. Il 9 aprile del 1913 a Jesi nasce la seconda figlia Eva, chiamata Vany.

Nenni tra il 1912-13 si trova nelle Marche tra Jesi, Ancona e Pesaro e svolge una intensa attività di giornalista, nel dicembre del '13 è nominato direttore del "Lucifero". Diventa segretario della Federazione giovanile repubblicana. Nel 1914 Nenni, con l'anarchico Malatesta, è uno dei promotori delle manifestazioni a carattere insurrezionale che riguardano la Romagna e le Marche e note come la "Settimana Rossa".
Arrestato e condannato sarà liberato alla fine dell'anno per l'amnistia concessa per la nascita di Maria di Savoia.

Nel marzo del 1915 l'Italia entra in guerra. Nenni è per l'intervento e parte volontario. La sua decisione matura in carcere ed è espressa nell'articolo del 6 settembre 1914 dal titolo "Vogliamo la guerra perché odiamo la guerra" apparso sul Lucifero grazie alla complicità di un secondino.
Per il rifiuto di prestare giuramento al Re, viene spedito in carcere, richiede l'intervento del ministro repubblicano Barzilai per essere inviato al fronte. Viene ammesso al corso ufficiali e supera l'esame finale con una ottima votazione, ma "le informazioni sfavorevolissime intorno ai precedenti politici del sergente Pietro Nenni hanno vietato al Ministero di far luogo alla nomina ad Ufficiale".
Il 31 ottobre del 1915, ad Ancona, nel corso dell'offensiva delle truppe italiane per conquistare Gorizia, nasce la terzogenita alla quale Nenni darà il nome augurale di Vittoria. Nell'autunno del 1916 un barile di polvere da sparo esplode vicino all'osservatorio di Nenni. All'ospedale di Udine è curato per un forte trauma e poi inviato a casa in convalescenza. Nel 1917, durante la convalescenza, assume la direzione del "Giornale del Mattino" di Bologna, che riprenderà dopo la guerra, fino al giugno 1919.
Dopo la rotta di Caporetto chiede di tornare in prima linea. Il 1919 è un anno di crisi ideale e politica nel corso della quale matura la sua adesione al movimento socialista. Nel 1920 Nenni inizia per "Il Secolo", l'attività di inviato speciale all'estero. Molto importante è il viaggio a seguito della missione in Caucasia guidata dal Senatore Ettore Conti, con finalità commerciali e politiche, che permette a Nenni di entrare in contatto con il mondo sovietico. In questo anno lascerà definitivamente il partito repubblicano.

Il 23 marzo del 1921, una squadra fascista devasta la sede dell'Avanti!, Nenni accorre alla sede del giornale per dare manforte alla sua difesa. Conosce Serrati che dopo pochi giorni gli chiede di andare a Parigi come corrispondente dell'Avanti in prova per sei mesi a 1800 franchi mensili "comprese per ora le piccole spese di tram, posta, ecc.".
Il 19 aprile appare per la prima volta la sua firma sul quotidiano socialista sotto l'articolo "La bancarotta dell'interventismo di sinistra". A Parigi si iscrive al PSI. Il 1 dicembre del 1921 nasce la quarta figlia Luciana.

Nel 1922 incontra a Cannes Mussolini e avverrà l'ultimo colloquio tra i due amici ormai su posizioni opposte. A maggio è nominato redattore capo dell' Avanti! che difende ai primi d'agosto da una nuova aggressione fascista. Nell'ottobre, mentre Mussolini si prepara alla marcia su Roma, i socialisti si dividono: i riformisti di Turati, Treves e Matteotti escono dal PSI e danno vita al PSU.

Il 26 ottobre una delegazione socialista composta da Serrati, direttore dell'Avanti!, Maffi, Romita e Garuccio, si reca a Mosca dove concorda un progetto di fusione tra il PSI e il Pcd'I. Il nuovo partito dovrebbe chiamarsi Partito comunista unificato d'Italia.
Negli organi dirigenti la maggioranza sarebbe comunista e l'Avanti! diretto da Gramsci.
Per Nenni questa è la liquidazione del partito. Costituisce con Arturo Vella un Comitato di difesa socialista per "l'autonomia socialista". Nasce da ciò un violento contrasto con Serrati che da Mosca ordina di sbarazzarsi di Nenni. Ma né la Direzione, né l'Avanti! obbediscono: in realtà il partito è contro la fusione.
Nel 1923 al rientro da Mosca Serrati, che viene arrestato destituisce Nenni che il 2 marzo viene convocato dal Questore di Milano, che a nome di Mussolini, gli intima di cessare la campagna denigratoria contro il Prefetto di Milano, Lusignoli; Nenni rifiuta e viene arrestato.

In aprile si tiene il congresso del PSI a Milano e le tesi autonomistiche di Nenni prevalgono su quelle fusioniste di Serrati. Nenni assume la direzione dell'Avanti!.
Il 6 aprile del 1924 in un clima di violenza e illegalità si tengono le elezioni con la nuova legge maggioritaria, la "legge Acerbo", che decretano il trionfo del "listone di destra". Il 30 maggio, nel corso di una tumultuosa seduta, Giacomo Matteotti denuncia l'illegalità, i soprusi e i brogli e chiede l'invalidazione delle elezioni. Il 10 giugno rapito da una banda di sicari fascisti mentre si reca alla Camera dei Deputati, viene barbaramente ucciso.
Nenni, l'anno dopo, è condannato a sei mesi di prigione per l'opuscolo sull'assassinio del deputato riformista: "L'assassinio di Matteotti e il processo al regime". Il 1926 è l'anno dell'incontro con un giovane intellettuale socialista, Carlo Rosselli : insieme pubblicano la rivista "Quarto Stato". Pubblica il volume "Storia di quattro anni". Nel novembre del 1926 si sarebbe dovuto tenere il congresso del PSI, che non si svolge perché il fascismo ha emanato leggi speciali per lo scioglimento dei partiti e la soppressione di tutte le libertà.
Il 13 novembre Nenni e Mario Bergamo, con l'aiuto di Parri e Rosselli, raggiungono il territorio svizzero ed il 21 novembre arrivano a Parigi. Nel dicembre del 1926 si trasferisce a Parigi la direzione del PSI.
Negli anni tra il 1927-1929, in Francia Nenni promuove la costituzione della Concentrazione di azione antifascista, della quale diviene il segretario generale. Nenni inizia a collaborare a molti giornali francesi. Dal 1928 avvia il processo di unificazione dei due rami del socialismo italiano.
Il 16-17 marzo del 1930 al congresso di Grenoble avviene la scissione tra l'ala massimalista guidata da Angelica Balabanoff e la maggioranza del PSI guidata da Nenni. Il 19-20 luglio, il congresso dell'unita socialista che si tiene a Parigi, sancisce l'unione del PSI e del PSULI. Filippo Turati, Claudio Treves, Franco Clerici sono delegati a rappresentare il partito presso la Concentrazione; Modigliani, Nenni e Treves presso l'esecutivo dell'Internazionale operaia socialista.
Tra il 1930-1933, Nenni intensifica la sua attività giornalistica su importanti testate francesi e pubblica "Six ans de guerre civile", "La lutte de classe en Italie", "Le conquerant en chemise rouge", "Marx e il marxismo".
Il Comintern ha lanciato a partire dal 1929, la campagna diretta a distruggere i partiti Socialdemocratici definiti socialfascisti.
Nenni che al XXII congresso del PSI, nell'aprile del 1933, è eletto segretario e direttore dell'Avanti!, viene preso particolarmente di mira dai comunisti francesi e italiani. Nenni viaggia moltissimo in Europa partecipando a manifestazioni e congressi. Nei comizi e nelle conferenze il tema dominante è la lotta al fascismo. E appurato che il fascismo assume dimensioni europee, Nenni apre il discorso su l"unità proletaria che è lo strumento per combattere la reazione". Nel mese di maggio del 1934, si scioglie la Concentrazione antifascista, vengono avviati contatti fra il PSI e il PC d'I, i quali il 17 agosto firmano il primo patto di unità d'azione in difesa delle libertà democratiche.
Nenni è convinto che la scissione del 21 sia stata un "fatale errore".
Tra il 1936 e il 1939 a Mosca si svolgono i processi con i quali Stalin distrugge moralmente e fisicamente i suoi oppositori di sinistra e di destra.
A tali processi Nenni dedica alcuni articoli nei quali la lucida critica non fa venir meno la consapevolezza che i processi non debbono incrinare l'unità tra i due partiti nella lotta antifascista.
Il titolo di uno dei primi articoli è significativo: "Viva l'Unità d'azione. I processi dividono, la lotta antifascista ci unisce". Il riavvicinamento e l'alleanza elettorale tra socialisti e comunisti favoriscono le vittorie della sinistra in Spagna (16 febbraio 1936) e in Francia (3 maggio 1936). Cinque mesi dopo la vittoria del fronte popolare in Spagna, vi è il pronunciamento militare del generale Franco. Comincia la guerra civile. Nella guerra civile spagnola vi erano tutti gli ingredienti per esaltare Nenni: la battaglia per la repubblica, la democrazia e il socialismo.
Il 4 agosto Nenni si reca in Spagna per un viaggio di informazione con Louis de Brouchère, presidente dell'IOS, effettua ricognizioni nella zona del fronte e incontra Alvarez del Vayo, Francisco Largo Caballero e Fernando De Rosa. Il 16 settembre muore in combattimento Fernando De Rosa capo, come dirà Nenni, "più che amato, idolatrato dai soldati". Nenni è ferito in un incidente aereo. In ottobre progetta la formazione di una colonna di volontari che raccoglie tutte le forze di ispirazione socialista, progetto che sottopone al segretario dell'IOS Adler.
Il 27 ottobre a Parigi repubblicani, socialisti e comunisti firmano l'atto costitutivo della "Legione italiana", della quale viene designato a comandante Randolfo Pacciardi esponente storico del Partito Repubblicano Italiano. La formazione assume poi il nome di Battaglione Garibaldi e viene inquadrata nelle Brigate Internazionali.
Il 14 novembre Nenni è riconfermato quale fiduciario IOS in Spagna. Alla fine di novembre è nominato Commissario politico delle Brigate Internazionali. Svolge instancabile opera di organizzazione politica e propagandistica insieme ad una intensa attività giornalistica. In incontri internazionali espone la sua intenzione di fare della guerra spagnola il simbolo della lotta contro il fascismo e delinea la sua idea della necessità dell'unità d'azione antifascista.
Il 9 giugno del 1937 Nello e Carlo Rosselli sono assassinati dai fascisti francesi. A luglio Nenni è tra i firmatari del secondo e più ampio patto d'unità d'azione tra socialisti e comunisti. Alla fine di gennaio del 1939, dopo la caduta di Barcellona, Nenni incontra per l'ultima volta i compagni della Brigata Garibaldi e a marzo le truppe di Franco entrano a Madrid.
A seguito del patto di non aggressione del 22 agosto del 39 tra Stalin e Hitler, Nenni scrive un articolo il 31 agosto, dal titolo "Il voltafaccia della politica sovietica", pur restando fermo il patto d'unità d'azione con i comunisti. La direzione del PSI è di tutt'altra opinione e Nenni rischia addirittura l'espulsione dal partito.
Dopo la firma del patto viene completamente isolato e costretto a lasciare la segreteria del partito , la direzione del giornale e la rappresentanza dell'Internazionale. Collabora con i giornali della Svizzera italiana e francese, e per l'interessamento di Luigi Antonini, col "New York Post".
Il 10 giugno del 1940 l'Italia entra in guerra, il 12 giugno Nenni lascia Parigi e, dopo un viaggio tra molte difficoltà, si stabilisce con la famiglia nei Pirenei orientali, a Palalda.
il 17 giugno il maresciallo Petain annuncia la resa della Francia, ma Nenni continua la sua battaglia "per cercare di riallacciare le fila della resistenza fra italiani, spagnoli e francesi".
Nel giugno del '41 la Germania invade il territorio russo, a ottobre viene firmato a Tolosa un nuovo patto d'azione di unità tra socialisti e comunisti.
Nel '42 scrive e stampa con l'ausilio della figlia Giuliana e della moglie il "Nuovo Avanti!".
La figlia Vittoria arrestata e dedeportata ad Auschwitz dove morirà.
L'8 febbraio del 1943 viene arrestato dalla Gestapo a Saint-Flour. Rinchiuso nel carcere parigino di Fresnes, vi rimane circa un mese e il 5 aprile viene consegnato alla polizia fascista al Brennero.
Trasferito a Regina Celi, viene successivamente confinato a Ponza dove rimane fin dopo il 25 luglio.
Il 22 agosto alla riunione di ricostituzione del Partito Socialista PSIUP, è eletto segretario e nominato direttore dell'Avanti! e rappresentante del partito nel Comitato di Liberazione Nazionale.
L'8 settembre, Roma è occupata dai tedeschi e Nenni è costretto a rifugiarsi in Laterano.
Il 28 febbraio 1944, si riunisce a Bari il primo congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale.
Oreste Lizzadri, a nome dei socialisti, comunisti e azionisti, presenta un ordine del giorno in cui si chiede di mettere in stato di accusa il re e si invita il congresso ad autoproclamarsi assemblea rappresentativa dell'Italia liberata.
Questo ordine del giorno è superato da uno successivo, votato da tutti i partiti presenti nel CLN, in cui si chiede l'abdicazione immediata del re e la formazione di un governo del CLN con i pieni poteri. In questo clima scoppia la "bomba Ercoli": al ritorno dalla Russia, Togliatti sostiene la necessità di anteporre a tutto la lotta antifascista, collaborando con il Re e rinviando la questione istituzionale alla fine delle ostilità: è la cosiddetta "svolta di Salerno".
Il 4 giugno Roma è liberata dalle truppe alleate.
Il 12 giugno nasce il primo governo Bonomi, Nenni rifiuta di entrarvi. Bonomi nel novembre si dimette.
Il 25 aprile 1945 l'Italia è libera.
Alla fine del mese di maggio Nenni ha la conferma della morte della figlia Vittoria ad Auschwitz.
Il 13 giugno Bonomi si dimette, Ferruccio Parri viene nominato capo di un governo di coalizione dei partiti del CLN. Pietro Nenni è uno dei due vicepresidenti del Consiglio e ministro per la Costituente. Inoltre Nenni assume anche l'incarico di Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo. Il Governo Parri nel novembre è costretto alle dimissioni. Nel dicembre si forma il I Governo De Gasperi. Nenni mantiene gli stessi incarichi.

Nei primi mesi del '46, dopo ampia discussione, si giunge alla decisione, sostenuta anche da Nenni, di demandare la questione istituzionale non all'Assemblea Costituente ma ad un referendum popolare.
Al referendum vengono abbinate anche le votazioni dell'Assemblea Costituente. Il referendum popolare segna la vittoria anche se di misura della Repubblica. L'Avanti! intitola "Grazie a Nenni". Il partito socialista ottiene un gran risultato : è il primo partito della sinistra. Il 18 ottobre Nenni entra a Palazzo Chigi, come ministro degli Esteri, ricoprirà tale carica fino al mese di gennaio del '47.

Il 27 ottobre Nenni firma con Saragat e Pertini il nuovo patto d'unità d'azione con il Partito comunista italiano, rappresentato da Togliatti Longo e Scoccimarro. Il 9 gennaio del '47 si apre a Roma, a Palazzo Barberini, il XXV congresso del Partito socialista che si conclude con la scissione.
Il 18 aprile del 1948 il fronte poolare che unisce socialisti e comunisti esce sconfitto dalle elezioni , che decretano la netta vittoria della DC.
Dal 27 giugno al 1° luglio si tiene a Genova un congresso straordinario, in cui Nenni viene messo in minoranza, a causa della base autonomista.
L'11 marzo del 1949 il governo annuncia l'adesione al Patto Atlantico. In Parlamento e nelle piazze è subito battaglia.
Nello stesso anno Nenni aderisce al movimento internazionale dei "partigiani della pace", di ispirazione sovietica e ne diviene vicepresidente. Nel mese di maggio, nel congresso a Venezia, viene eletto segretario del partito, carica che occuperà fino al 1963.
Nel 1951 gli viene assegnato il premio Stalin per la pace; qualche anno più tardi, dopo la denuncia dei crimini staliniani di Kruscev al XX Congresso, Nenni devolve la somma alla Croce Rossa e all'ENAOLI.

Tra il '52 e il 53 è protagonista della battaglia in Parlamento contro la riforma elettorale, denominata "legge truffa" , che assegna un forte premio al partito o alla coalizione di partiti che ottenga il 50,01 % dei voti.
Nel 1955 al XXXI congresso di Torino (31 marzo-3 aprile), il PSI propone una intesa con la DC nel quadro del dialogo con i cattolici. La Dc pone le condizioni che il PSI rompa con il PCI. Nenni in Cina ha colloqui con Ciu-En-Lai e Mao -Tse-Tung. Nel giugno del 1956 viene pubblicato l'atto di accusa contro i crimini di Stalin, pronunciato da Kruscev al XX congresso dl PCUS. Nenni è profondamente scosso. Ad agosto incontra Saragat nella località di villeggiatura di Pralognan: è avviato il processo di unificazione socialista.
Il 5 ottobre le segreterie del PSI e del PCI concordano di trasformare il patto d'unità d'azione in patto di consultazione. Ma pochi giorni dopo si consuma la tragedia ungherese con l'invasione dei carri armati sovietici.
Tra socialisti e comunisti è segnata la rottura.

Nel 1957 dal 6 al 10 febbraio si tiene a Venezia il XXXII congresso del PSI. Nenni pronuncia una lucida critica dello stalinismo; quando sottolinea la differenza tra socialisti e comunisti, i delegati gli tributano un'ovazione interminabile: ma, a sorpresa, la corrente autonomista è battuta dall'apparato filocomunista nelle votazioni per il Comitato Centrale.
Dal 15 al 17 gennaio del 1959 si svolge a Napoli il XXXIII congresso del PSI, nel quale la linea autonomista promossa da Nenni prevale sulla sinistra del partito. Fra il 1959 e il 1960 Nenni viaggia attraverso l'Europa per intrecciare e rinsaldare i rapporti con la sinistra europea. Nell'aprile del 1960 si forma il governo monocolore DC presieduto da Tambroni, che ottiene la fiducia con i voti del MSI. Si crea subito un clima di tensione anche con scontri tra polizia e manifestanti. Cade Tambroni e il 4 agosto alla Camera, Nenni annuncia l'astensione socialista nei confronti di Fanfani e del governo delle "convergenze parallele".
Nel febbraio del 1962 si forma il governo Fanfani, il primo con un programma di centrosinistra concordato con il PSI e appoggiato dell'esterno. Il 1° luglio Nenni incontra a Roma Kennedy, favorevole al centrosinistra. A dicembre del 1963, nasce il primo governo organico del centrosinistra con Moro presidente del Consiglio e Pietro Nenni vicepresidente.
Sull'accordo di governo con la DC si consuma la rottura con la sinistra del partito socialista. Nel 1964 nasce il PSIUP; l'anno si presenta drammatico a causa del golpe organizzato dal generale dei Carabinieri De Lorenzo che può condurre il paese a una svolta autoritaria. Dopo varie trattative, si forma un nuovo governo di centro-sinistra con Moro presidente e Nenni vice-presidente.
Il 28 dicembre, sale al Quirinale Giuseppe Saragat, la cui elezione è stata favorita dal ritiro della candidatura di Pietro Nenni. Il 19 febbraio del 1965, a New York, nel quadro dell' "Anno della Cooperazione Internazionale", organizzata dall'ONU, Nenni parla in rappresentanza del governo italiano nell'ambito di una conferenza internazionale dedicata ai principi dell'enciclica "Pacem in terris" di Giovanni XXIII.
In vista del Congresso del PSI, che si terrà in novembre, sull'Avanti! del 5 settembre 1965, viene pubblicata la "lettera ai compagni", redatta da Pietro Nenni, che si puo' considerare il manifesto dell'unificazione socialista. Il 10 novembre si tiene a Roma il XXXVI Congresso del PSI, centrato sul problema dell'unificazione socialista. Il 1966 è l'anno dell'unificazione socialista: quasi venti anni dopo la scissione di Palazzo Barberini l'obiettivo dell'Unità socialista, costantemente perseguito da Nenni, diventa realtà. Il 6 maggio Nenni pronuncia un discorso a Stoccolma, al congresso dell'Internazionale socialista. E' il primo passo per il rientro nell'Internazionale dopo 17 anni. Nelle elezioni del 19 e 20 maggio il Partito socialista unificato subisce una sconfitta.
Il 21 agosto le truppe sovietiche invadono la Cecoslovacchia.
Il 29 Nenni pronuncia alla Camera un discorso di condanna dell'invasione. Viene costituito un nuovo governo di centro-sinistra presieduto da Rumor. Nenni assume la carica di ministro degli Esteri. Come ministro degli Esteri si impegna per il riconoscimento della Repubblica popolare cinese da parte dell'Italia. Condanna duramente il colpo di stato dei colonnelli greci. Compie importanti visite ufficiali in Inghilterra e Jugoslavia. In giugno è eletto vicepresidente a vita dell'Internazionale socialista.
Il 1969 è anche l'anno del fallimento dell'unità socialista: nel luglio gli ex socialdemocratici escono dal partito. In seguito alla scissione Nenni dà le dimissioni da presidente del partito e da ministro degli Esteri. Il 25 novembre del '70 Nenni viene nominato senatore a vita.

Tra il 1970-71 va in Israele e in Cina. Il 9 febbraio compie ottanta anni. Il 4 marzo pronuncia il suo primo discorso al Senato. Il 28 febbraio del '72, Leone scioglie le Camere e indice elezioni anticipate, che si svolgono il 7 maggio. Il 26 giugno Andreotti forma un governo di centro e il PSI passa all'opposizione. Nenni pronuncia in Senato un discorso di dura critica al ministero.
In novembre al Congresso di Genova del PSI, prevale la linea Nenni-De Martino su quella Lombardi-Mancini.
Nel '73, a luglio si forma un nuovo governo Rumor, che segna il ritorno del centro-sinistra.
Il 10 ottobre Nenni accetta la Presidenza del PSI.
Il 12 maggio la proposta di abrogazione della legge istitutiva del divorzio viene respinta con il 60% dei voti referendari. Nenni si è impegnato in prima persona: memorabile il suo ultimo comizio in Piazza del Popolo a Roma.
Nel 1976 il 13 luglio, si tiene il Comitato Centrale del PSI. I giovani "quarantenni" appoggiati da Nenni, Lombardi e Mancini, esautorano De Martino e nominano segretario del Partito Bettino Craxi.
Nel dicembre, dopo quarant'anni, Nenni ritorna in Spagna, per partecipare al congresso del PSOE. Il congresso gli tributa un 'interminabile ovazione.
Nenni, pur con grande fatica per le condizioni di salute, presiede la seduta di apertura dell'VIII legislatura repubblicana, per evitare che i lavori siano aperti da un senatore del MSI. Siamo nel 1979.

Il primo gennaio del 1980 alle 3,20 del mattino, Nenni si spegne nella sua casa di piazza Adriana. Il giorno seguente l'Avanti! pubblica il suo ultimo articolo scritto per l'Almanacco socialista, intitolato "Rinnovarsi o perire".

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- Politica

Breve storiografia dei Congressi PSI 1948

26° Congresso
Roma Teatro Astoria dal 19 al 22 gennaio 1948.

Sono settecento i delegati convenuti da ogni parte d'Italia, hanno portato al Congresso la voce e la volontà di milioni di lavoratori.
La relazione di apertura dei lavori congressuali da parte del Segretario Lelio Basso la si può sintetizzare con il corsivo dell'Avanti! del giorno martedì 20 gennaio: “uno spirito di collaborazione aperta e cordiale ha fugato le critiche e le interpretazioni errate che si erano fatte sul patto d'unità d'azione”.
Il Socialismo internazionale è rappresentato da dodici delegazioni.
Il dibattito congressuale si concentrò sulla costruzione del Fronte Democratico Popolare in accordo con i Comunisti Italiani. Per il Partito Comunista Italiano intervenne Togliatti; Berlinguer per il Fronte della Gioventù.
Il terzo giorno dei lavori Congressuali Pieraccini presentò il testo della mozione elaborata da una commissione eletta il primo giorno del Congresso e composta da: Cacciatore-Pertini-Mazzali- Luzzatto- Lizzadri- Tolloy- Romita- Lombardi- De Martino.
La mozione conteneva una parte generale comune, in cui era specificata la funzione e gli obiettivi del Partito in campo politico: attuazione Costituzione, difesa laicità e democrazia, difesa della scuola. In campo economico: consigli di gestione, nazionalizzazioni, riforma agraria, riscatto del Mezzogiorno. In politica estera: difesa dell’unità politica ed economica dell’Europa e dell’autonomia dell’Italia dall’asservimento straniero. Oltre a questo la mozione conteneva due varianti: una per per la tattica elettorale, l'altra per la lista del Fronte con i Comunisti, l’altra ancora per le liste separate. La mozione Pieraccini ottenne per la parte generale oltre il 99% dei voti, per la variante frontista il 66,8%, la variante per le liste separate il 33,2%. La mozione filo atlantista, firmata da Gaetano Russo e da Ivan Matteo Lombardo ottenne appena lo 0,6%. Lombardo uscirà dal partito pochi giorni dopo per fondare un nuovo partito: l’Unione dei Socialisti italiani.

Segretario Politico Lelio Basso
Vice Segretario Luzzatto
Direttore dell'Avanti! Nenni

Direzione: Basso Luzzatto Nenni Bottai, Bernardi Cacciatore Casadei Laura Conti Faralli Giua, Jacometti, Foscolo Lombardi, Riccardo Lombardi, Lombroso, Luzzatto, Mancini, Morandi, Perrotti, Sansone, Santi, Talamona Vecchietti.

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- Politica

Breve storiografia dei congressi del PSI 1947


25° Congresso
Roma. Università “La Sapienza”. Dal 9 al 13 gennaio 1947

Nonostante le premesse riportate dall'Avanti! PER L'UNITA' E L'AVVENIRE NEL SOCIALISMO il Congresso si aprì con polemiche.

Le correnti di Iniziativa Socialista e Critica Sociale accusarono la componente di sinistra di aver usato metodi antidemocratici durante la campagna precongressuale.
Il dibattito si concentra sulla subordinazione del Partito verso i Comunisti e la deriva fusionista da parte della componente di sinistra.

L'undici di gennaio Angelica Balabanoff, arrivata dall'America saluta i congressisti.

Giuseppe Saragat, interviene in modo duro nei confronti di Nenni, Basso, Lizzadri e gli altri esponenti della mozione di sinistra e si trasferisce seguito dai principali esponenti della sua corrente autonomista a palazzo Barberini dove già da due giorni Iniziativa Socialista e una parte di Critica Sociale, avevano iniziato un Congresso scissionista trasformatosi poi in Congresso di fondazione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani al quale aderirà la Balabanoff che seguirà il percorso della Socialdemocrazia Italiana fino alla sua morte. Lasciò scritto: “è sparito dalla memoria il ricordo di sconfitte, di amarezze, di tragedie grandi e piccole che non sono mancate nella mia vita. Rimane invece viva, feconda di sempre nuove energie, la incommensurabile gioia di aver potuto rimanere fedele al Socialismo, fedele a me stessa. Una fortuna più grande di questa non me la sarei potuta sognare”.

Il Congresso approvò per acclamazione la proposta di Vernocchi: il Partito riassuma il vecchio e glorioso nome di Partito Socialista Italiano.

Mozione di Sinistra 87,9
Mozioni Locali 6,1

Segretario Politico Lelio Basso
Vice Segretari Foscolo- Lombardi
Direttore dell'Avanti! Nenni

Direzione: Bertelli- Bonfiglio- Bottai- Cacciatore- Faralli- Giuia- Jacometti- Mancini- Merlin- Morandi- Nenni- Perotti- Romita- Rossi- Sansone- Tolloy.

Nella prima riunione della direzione del Partito la parola d'ordine è: nessuna scissione alla base.

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- Politica

Breve storiografia dei congressi del PSI

24° Congresso
Firenze. Teatro Comunale Dal 11 aprile al 17 aprile anno: 1946

Il Partito giunse al Congresso dopo la buona affermazione alle elezioni amministrative in diverse grandi città.
Al centro del dibattito la battaglia referendaria e le elezioni del 2 giugno. Secondo le fonti rilevate presso l'archivio della fondazione Nenni e Turati ci furono divisioni, frutto di interpretazioni politiche diverse. Tra le tutte la principale era quella del rapporto con il Partito Comunista. Duro fu il confronto. Uno dei temi importanti del dibattito Congressuale fu la Democrazia nel Socialismo e il Socialismo nella Democrazia.
Altro argomento dell'Assise la questione dell'autonomia particolarmente sentita da Pertini, Silone, Zagari, Vassalli e dai Giovani Socialisti.
Nella terza giornata dei lavori il dibattito si concentra sul piano politico-ideologico cito due nomi su tutti: Rodolfo Morandi e Giuseppe Saragat.
Morandi, argomentava le posizioni che proponevano l'unità d'azione con i Comunisti. Saragat su posizioni legate a una visione Socialdemocratica nel solco della tradizione Socialista espressa da Filippo Turati.
Il 17 aprile 1946 l'Avanti! intitolava la prima pagina: a Firenze ha vinto il Socialismo.
L'unità del Partito riaffermata nella sua fisionomia classista e democratica.

Mozione Base 46,10
Mozione Autonomista 40,60
Mozione Critica sociale 11,40
Mozione Fed. Genovese 1,90

Segretario Politico Ivan Matteo Lombardo
Vice Segretario Riccardo Lombardi
Presidente Pietro Nenni

Direzione: Basso-Cacciattore- Morandi-Jacometti-Foscolo- Lombardi-Chignoli- Pertini-Simonini- Merlin-Silone- Saragat-Valcarenghi-Zagari-Lizzadri- Matteotti- Mazzali.

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- Politici

Scartabellando i giornali

“La regia di Scalfari sulle vicende politiche della sinistra non aiuta certo la ricerca di convergenze”: così, un “fedelissimo” di Enrico Berlinguer come Luciano Barca, commenta la pubblicazione dell’intervista del segretario del PCI su “Repubblica” del 2 agosto 1978.
Del resto la politica condotta da Berlinguer dal momento in cui abbandonando la maggioranza di “solidarietà nazionale” ripropone la “diversità” comunista, non in nome del leninismo ma della “questione morale” In questo periodo cresce il contrasto tra Napolitano e Berlinguer.
Quando nel gennaio 1984 Giorgio Napolitano si trovò nuovamente in contrasto con Enrico Berlinguer, Giorgio Ruffolo scrisse su “Repubblica” un articolo intitolato “Il caso Napolitano”. Di che si trattava? Giorgio Napolitano era già entrato in polemica con Berlinguer nell’estate 1981 dopo l’intervista del segretario del PCI del 28 luglio sulla “questione morale”. Come capogruppo comunista alla Camera, tra la fine del 1983 e l’inizio del 1984, Giorgio Napolitano aveva nuovamente suscitato il dissenso del segretario del PCI in relazione al modo di contrastare alla Camera l’azione del governo guidato dal segretario Socialista.
Napolitano anziché boicottare il dibattito sulla finanziaria e provocare l’esercizio provvisorio aveva con l’appoggio di Nilde Jotti presidente comunista della Camera, concordato il calendario dei lavori ottenendo in cambio maggiori risorse per gli enti locali e un incremento del fondo investimenti. Berlinguer lo avrebbe definito un “increscioso episodio”. Contro Napolitano erano allora insorti Renato Zangheri e Alfredo Reichlin della segreteria nazionale. Napolitano reagì spiegando le sue ragioni in un articolo sull’”Unità” del 4 gennaio intitolato “Il ruolo dei comunisti oggi in Parlamento”. In esso Napolitano aveva polemicamente giustificato un “confronto non settario che può portare risultati positivi”.
Giorgio Ruffolo era intervenuto il 18 gennaio come esponente della sinistra socialista a sostegno della posizione assunta dal capogruppo comunista alla Camera.
Il contrasto tra l’arroccamento di Berlinguer e la tessitura di rapporti di Napolitano rispecchia una dialettica di “lungo corso” in seno al PCI.
In Berlinguer, vi è il primato della tradizione “centrista”. Nel comitato centrale del novembre 1979 Berlinguer volle puntualizzare in polemica con la “destra” di Giorgio Amendola con questa argomentazione: non so cosa sarebbe avvenuto, da trentacinque anni a questa parte, se il nostro partito non avesse avuto sempre a dirigerlo un “centro” Essere il centro affermava Berlinguer non significa essere equidistanti, significa, di volta in volta, combattere contro quegli scarti, quelle incoerenze rispetto alla linea del partito, che si manifestano, e che si rivelano, ora in un senso ora in un’altro. Ai lettori il giudizio.
Giorgio Napolitano, cresciuto nella realtà campana come segretario di federazione, consigliere comunale e parlamentare secondo due direttrici: rapporti unitari con gli altri partiti e analisi della situazione economica. Con tutti i suoi limiti, contraddizioni ed errori la storia di Napolitano nel PCI suscitano rispetto e simpatia per due ragioni: il livello culturale e l’indiscutibile coerenza politica.
La traversata da Botteghe Oscure al Quirinale (Rizzoli, 425 pagine, 18 euro) di Paolo Franchi da leggere per comprendere le dinamiche.
La questione di fondo per mio conto, da Socialista, non è quella di aver avuto sufficiente coraggio oppure no, ma riguarda le ragioni per cui le posizioni “riformiste-miglioriste” nel PCI non sono state popolari.
Il traguardo di dichiarare il PCI parte integrante della sinistra europea fu raggiunto nel Congresso di Firenze del 1986 grazie ad un’azione di vertice.
Berlinguer morì l’11 giugno 1984. L’intervento che in quell’assise riscosse la più grande ovazione fu quello di Pietro Ingrao. La “sinistra europea” nell’interpretazione di Ingrao erano “i movimenti” (pacifisti, ecologisti e femministi, ecc,) e non i partiti dell’Internazionale socialista. Così come sempre in quel periodo della segreteria Natta Giorgio Napolitano riuscì ad introdurre nella Direzione del PCI – per la prima volta il tema del debito pubblico. Non senza registrare crisi di rigetto.
Mi chiedo: come mai nel popolo di tradizione comunista e poi di identità postcomunista l’alternativa “escatologica” di Berlinguer ha scaldato gli animi e ha trascinato consensi mentre l’alternativa “politica” è risultata sostanzialmente minoritaria ed “impopolare”.
Si dovrebbe guardare con occhio più attento alla mancanza di coraggio che vi è stata nella sinistra italiana nei confronti di posizioni irrealistiche ed estremiste. Non è una questione di casi personali. Nella storia del comunismo e del postcomunismo bisogna anche tener presente la “mancanza di coraggio” come ricordava Giorgio Amendola: non solo della classe politica, ma pure della cosiddetta società civile di sinistra.

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- Storia

Bruno Buozzi

Il 3 giugno del 1944 un camion carico di prigionieri provenienti dal “mattatoio” di via Tasso, si fermò a La Storta, nella tenuta Grazioli, all’ombra del Castello della Spizzichina. Quattordici antifascisti in catene e spietati “guardiani” nazisti, il più spietato dei quali si era tragicamente esibito già nell’eccidio delle Fosse Ardeatine insieme a Priebke e Kappler. In quel camion c’era Bruno Buozzi, leader sindacale, l’uomo che insieme a Roveda, Di Vittorio, Grandi e Gronchi aveva tessuto, in clandestinità, la tela della nuova unità sindacale. Poi l’arresto, di prima mattina, nella casa di Viale del Re, l’attuale Viale Trastevere; la prigionia in via Tasso dove incrociò anche Giuliano Vassalli; i tentativi per liberarlo (anche con una azione armata che non venne mai attuata perché troppo complicata e pericolosa) a cui si dedicò anche Giuliana Nenni che negli anni giovanili, nell’esilio parigino, aveva assiduamente frequentato casa Buozzi. Perché fu fatto salire su quel camion? Si è detto che Benito Mussolini lo volesse a Verona per convincerlo a sostenere la nuova carta del lavoro con la quale il dittatore, ormai agli ultimi atti della sua tragedia, pensava di recuperare consensi nelle fabbriche del nord (che, invece, avevano provveduto a dare agli scioperi caratteri sempre più insurrezionali). Li uccisero tutti il 4 giugno facendoli inginocchiare, con un colpo alla nuca mentre a Roma entravano le armate americane, i “liberatori”. Un mese dopo, il 4 luglio, Pietro Nenni in un vibrante discorso ricordò il compagno di mille battaglie. In quel discorso, però, ci sono già tutti i punti di forza che caratterizzeranno l’azione del leader socialisti nei due anni successivi, quelli che porteranno al referendum e alla Costituente. Ecco perché ci è parso utile, in occasione del settantesimo della Repubblica, riproporre alcuni brani di quell’intervento. Una maniera per rendere omaggio a un uomo, Buozzi, che settantadue anni fa diede la vita per quella libertà che a noi oggi appare naturale come l’aria, godibile gratuitamente e senza alcun sacrificio.
Brani tratti dal discorso pronunciato da Pietro Nenni al teatro Adriano di Roma il 4 luglio del 1944 :
Signore, cittadini, compagni, una lunga consuetudine di battaglie comuni con Bruno Buozzi mi consente questa sera, davanti alla popolazione romana, di evocare il suo ricordo in una forma insolita cercando non tanto di parlare di lui, ma di evocare quello che egli avrebbe detto se a lui fosse toccato l’onore che meritava, di stabilire il primo contato politico tra il nostro partito e la classe lavoratrice (applausi). Consuetudine di battaglie comuni e una certa affinità di temperamento, di formazione, una formazione fatta nella strada e non nelle scuole, una tendenza alla osservazione della vita più che allo studio astratto della vita, che ci veniva ad entrambi dal fatto che fino dai giovanissimi anni ci toccò risolvere da soli e subito il duro problema del pane quotidiano. Ma prima che io cerchi di dire a voi quello che Bruno Buozzi avrebbe detto questa sera, bisogna che qualche parola dica di lui.
Lo hanno definito, nei giorni seguiti al suo barbaro assassinio, “l’operaio ideale”, ed era veramente l’operaio ideale, non l’uomo uscito dalla sua classe per passare ad altra classe, ma l’uomo che aveva abbandonato il lavoro manuale restando profondamente convinto che nel lavoro manuale è la più squisita nobiltà dell’uomo (applausi). Un uomo che ha sempre pensato in termini di classe, che si è sempre posto di fronte ai problemi della vita e della lotta sentendosi il rappresentante di coloro che giovane lo avevano strappato all’officina per farne prima un segretario di Leghe, poi il segretario generale della Fiom, infine il segretario generale della Confederazione del Lavoro. Tutta la sua vita Bruno Buozzi aveva serbato nella sua figura fisica massiccia, nei suoi impeti, nelle sue riflessioni, questo vivo legame col popolo e con la classe lavoratrice, e perché era legame vero non fu mai istrionico come nel ventennale carnevale dei falsi amici del popolo (applausi)…
…Ed ecco la situazione di fronte alla quale noi ci troviamo oggi, a dover risolvere i più terribili problemi della nostra esistenza nazionale, a doverli risolvere in una tragica condizione d’inferiorità che dobbiamo alla politica delle nostre classi dirigenti. E ancora una volta voglio cercare su questi problemi di ridare la parola a Bruno Buozzi.
Cosa avrebbe detto questa sera di fronte ai tre problemi della partecipazione del popolo alla guerra, della difesa del lavoro e delle classi lavoratrici, della Costituente?
Io penso che avrebbe detto che la partecipazione del nostro popolo alla guerra condiziona il nostro riscatto nazionale. Noi non domandiamo agli alleati nessuna elemosina (applausi), ci risparmino le loro sigarette (applausi), non ci neghino i fucili che decine di migliaia di giovani reclamano coscienti come sono che è col loro sacrificio che si può rifare il paese. Finora questo appello è rimasto inascoltato e avremo fra non molto il diritto di dire che dietro le parole di fraternità si cela un certo disprezzo che non meritiamo e non accettiamo (applausi) se queste forze che comandano l’onore del combattimento continuassero ad essere neglette e respinte (applausi).
E di fronte ai problemi della resurrezione economica del paese, Bruno Buozzi avrebbe detto che tutto essendo fradicio della vecchia impalcatura borghese e fascista bisogna avere il coraggio di ricominciare da capo. L’epurazione che comincia con l’usciere del ministero che prese la tessera del fascio per dare da mangiare ai figli (applausi) e che si arresta sulla soglia dei consigli di amministrazione, è una commedia che non accetteremo (applausi). L’epurazione deve cominciare dall’alto: la gente da epurare è nei consigli di amministrazione delle grandi industrie e della banche, nelle alte sfere dell’esercito e della polizia (applausi), è nei consigli aulici della Corona. Si cominci di là e ci si arresti là (applausi) perché gli antifascisti hanno troppo sofferto per non essere giusti e per non compatire umanamente coloro che non poterono sottrarsi alla fatalità della tessera. (applausi).
Sulla Costituente, io credo che Buozzi avrebbe detto che se ce la offrono come un diversivo elettorale, se ce la promettono come un espediente che calma e attenua le impazienze, si sbagliano. La Costituente sarà una cosa seria e per essere una cosa seria bisogna che attorno ad essa il popolo monti la guardia senza un minimo di pausa; perché sia una cosa seria essa deve iscrivere nel suo programma tre rivendicazioni principali attorno alle quali il partito socialista chiama a raccolta tutti i cittadini d’Italia. La repubblica prima di tutto (applausi vivissimi), una repubblica presidiata dal popolo in armi, che sia l’espressione dei lavoratori, non un dono di classi dirigenti che vogliono salvarsi dietro il berretto frigio. Il processo dei responsabili dell’abuso di potere che va dal 28 ottobre 1922 al 10 giugno 1940, al 23 luglio ’43 (applausi). La Costituente deve costituirsi come supremo tribunale del popolo per giudicare Mussolini e il re (applausi). Infine noi attendiamo dalla Costituente che dia una nuova assisi economica al paese basata sulla democrazia dei consigli. La fonte della nostra salvezza è nel lavoro, l’organizzazione del lavoro è nei consigli di fabbrica, di azienda, degli enti pubblici e privati, delle associazioni operaie e contadine, dei tecnici, è nel fronte unico del lavoro al quale devono partecipare tutti coloro che vivono di lavoro (applausi).
Ecco io credo, signore, cittadini e compagni, le cose che meglio di me avrebbe detto stasera Bruno Buozzi se un mese fa i briganti nazi-fascisti in fuga non lo avessero abbattuto come un cane assieme a tredici volontari della libertà. E giacché il nostro Bruno era un ottimista, giacché su lui il dubbio non aveva presa (a tal punto che quando il venerdì 2 giugno lo caricarono sul camion che doveva diventare la sua bara, al compagno Bonfigli col quale scambiò le ultime parole disse: “non succederà niente, tutto andrà bene”) così egli, questa sera, in mezzo alle ragioni d’angoscia che ci assalgono da ogni parte, in questa nostra dolente Italia ieri invasa, oggi occupata e che anela al giorno in cui saremo soli a decidere del nostro destino (applausi) egli avrebbe trovato un motivo di fiducia inalterabile nel prossimo domani. E credo d’essermi imbattuto anch’io in questo motivo di fiducia venendo ieri da Napoli e passando a Cassino. Cassino è una allucinante rovina quale nessuno di noi, reduci da altre guerre, ha mai visto. Sembra il retaggio di una favolosa civiltà di millenni indietro, un irriconoscibile mondo in cui non c’è nulla che ricordi la nostra civiltà. Ma mentre l’automobile correva lungo la Casilina verso altre rovine vidi un vecchio contadino sotto il peso della solforatrice e che nel sole infocato andava alla ricerca di qualche tralcio di vite scampata per miracolo all’uragano di ferro e di fuoco. In quel contadino Bruno Buozzi avrebbe celebrato il lavoro che fa rinascere la civiltà dove la guerra ha tutto distrutto e avrebbe salutato il mondo nuovo che rinasce sulle rovine del vecchio mondo. Aggrappiamoci a questa speranza, a questa certezza: ci salveremo col lavoro liberato dallo sfruttamento del capitalismo e dal socialismo ricondotto alla fatica senza fatica dei costruttori di nuova civiltà (lunghi, frenetici applausi).
Brani tratti dal discorso pronunciato da Pietro Nenni al teatro Adriano di Roma il 4 luglio del 1944 :
Signore, cittadini, compagni, una lunga consuetudine di battaglie comuni con Bruno Buozzi mi consente questa sera, davanti alla popolazione romana, di evocare il suo ricordo in una forma insolita cercando non tanto di parlare di lui, ma di evocare quello che egli avrebbe detto se a lui fosse toccato l’onore che meritava, di stabilire il primo contato politico tra il nostro partito e la classe lavoratrice (applausi). Consuetudine di battaglie comuni e una certa affinità di temperamento, di formazione, una formazione fatta nella strada e non nelle scuole, una tendenza alla osservazione della vita più che allo studio astratto della vita, che ci veniva ad entrambi dal fatto che fino dai giovanissimi anni ci toccò risolvere da soli e subito il duro problema del pane quotidiano. Ma prima che io cerchi di dire a voi quello che Bruno Buozzi avrebbe detto questa sera, bisogna che qualche parola dica di lui.
Lo hanno definito, nei giorni seguiti al suo barbaro assassinio, “l’operaio ideale”, ed era veramente l’operaio ideale, non l’uomo uscito dalla sua classe per passare ad altra classe, ma l’uomo che aveva abbandonato il lavoro manuale restando profondamente convinto che nel lavoro manuale è la più squisita nobiltà dell’uomo (applausi). Un uomo che ha sempre pensato in termini di classe, che si è sempre posto di fronte ai problemi della vita e della lotta sentendosi il rappresentante di coloro che giovane lo avevano strappato all’officina per farne prima un segretario di Leghe, poi il segretario generale della Fiom, infine il segretario generale della Confederazione del Lavoro. Tutta la sua vita Bruno Buozzi aveva serbato nella sua figura fisica massiccia, nei suoi impeti, nelle sue riflessioni, questo vivo legame col popolo e con la classe lavoratrice, e perché era legame vero non fu mai istrionico come nel ventennale carnevale dei falsi amici del popolo (applausi)…
…Ed ecco la situazione di fronte alla quale noi ci troviamo oggi, a dover risolvere i più terribili problemi della nostra esistenza nazionale, a doverli risolvere in una tragica condizione d’inferiorità che dobbiamo alla politica delle nostre classi dirigenti. E ancora una volta voglio cercare su questi problemi di ridare la parola a Bruno Buozzi.
Cosa avrebbe detto questa sera di fronte ai tre problemi della partecipazione del popolo alla guerra, della difesa del lavoro e delle classi lavoratrici, della Costituente?
Io penso che avrebbe detto che la partecipazione del nostro popolo alla guerra condiziona il nostro riscatto nazionale. Noi non domandiamo agli alleati nessuna elemosina (applausi), ci risparmino le loro sigarette (applausi), non ci neghino i fucili che decine di migliaia di giovani reclamano coscienti come sono che è col loro sacrificio che si può rifare il paese. Finora questo appello è rimasto inascoltato e avremo fra non molto il diritto di dire che dietro le parole di fraternità si cela un certo disprezzo che non meritiamo e non accettiamo (applausi) se queste forze che comandano l’onore del combattimento continuassero ad essere neglette e respinte (applausi).
E di fronte ai problemi della resurrezione economica del paese, Bruno Buozzi avrebbe detto che tutto essendo fradicio della vecchia impalcatura borghese e fascista bisogna avere il coraggio di ricominciare da capo. L’epurazione che comincia con l’usciere del ministero che prese la tessera del fascio per dare da mangiare ai figli (applausi) e che si arresta sulla soglia dei consigli di amministrazione, è una commedia che non accetteremo (applausi). L’epurazione deve cominciare dall’alto: la gente da epurare è nei consigli di amministrazione delle grandi industrie e della banche, nelle alte sfere dell’esercito e della polizia (applausi), è nei consigli aulici della Corona. Si cominci di là e ci si arresti là (applausi) perché gli antifascisti hanno troppo sofferto per non essere giusti e per non compatire umanamente coloro che non poterono sottrarsi alla fatalità della tessera. (applausi).
Sulla Costituente, io credo che Buozzi avrebbe detto che se ce la offrono come un diversivo elettorale, se ce la promettono come un espediente che calma e attenua le impazienze, si sbagliano. La Costituente sarà una cosa seria e per essere una cosa seria bisogna che attorno ad essa il popolo monti la guardia senza un minimo di pausa; perché sia una cosa seria essa deve iscrivere nel suo programma tre rivendicazioni principali attorno alle quali il partito socialista chiama a raccolta tutti i cittadini d’Italia. La repubblica prima di tutto (applausi vivissimi), una repubblica presidiata dal popolo in armi, che sia l’espressione dei lavoratori, non un dono di classi dirigenti che vogliono salvarsi dietro il berretto frigio. Il processo dei responsabili dell’abuso di potere che va dal 28 ottobre 1922 al 10 giugno 1940, al 23 luglio ’43 (applausi). La Costituente deve costituirsi come supremo tribunale del popolo per giudicare Mussolini e il re (applausi). Infine noi attendiamo dalla Costituente che dia una nuova assisi economica al paese basata sulla democrazia dei consigli. La fonte della nostra salvezza è nel lavoro, l’organizzazione del lavoro è nei consigli di fabbrica, di azienda, degli enti pubblici e privati, delle associazioni operaie e contadine, dei tecnici, è nel fronte unico del lavoro al quale devono partecipare tutti coloro che vivono di lavoro (applausi).
Ecco io credo, signore, cittadini e compagni, le cose che meglio di me avrebbe detto stasera Bruno Buozzi se un mese fa i briganti nazi-fascisti in fuga non lo avessero abbattuto come un cane assieme a tredici volontari della libertà. E giacché il nostro Bruno era un ottimista, giacché su lui il dubbio non aveva presa (a tal punto che quando il venerdì 2 giugno lo caricarono sul camion che doveva diventare la sua bara, al compagno Bonfigli col quale scambiò le ultime parole disse: “non succederà niente, tutto andrà bene”) così egli, questa sera, in mezzo alle ragioni d’angoscia che ci assalgono da ogni parte, in questa nostra dolente Italia ieri invasa, oggi occupata e che anela al giorno in cui saremo soli a decidere del nostro destino (applausi) egli avrebbe trovato un motivo di fiducia inalterabile nel prossimo domani. E credo d’essermi imbattuto anch’io in questo motivo di fiducia venendo ieri da Napoli e passando a Cassino. Cassino è una allucinante rovina quale nessuno di noi, reduci da altre guerre, ha mai visto. Sembra il retaggio di una favolosa civiltà di millenni indietro, un irriconoscibile mondo in cui non c’è nulla che ricordi la nostra civiltà. Ma mentre l’automobile correva lungo la Casilina verso altre rovine vidi un vecchio contadino sotto il peso della solforatrice e che nel sole infocato andava alla ricerca di qualche tralcio di vite scampata per miracolo all’uragano di ferro e di fuoco. In quel contadino Bruno Buozzi avrebbe celebrato il lavoro che fa rinascere la civiltà dove la guerra ha tutto distrutto e avrebbe salutato il mondo nuovo che rinasce sulle rovine del vecchio mondo. Aggrappiamoci a questa speranza, a questa certezza: ci salveremo col lavoro liberato dallo sfruttamento del capitalismo e dal socialismo ricondotto alla fatica senza fatica dei costruttori di nuova civiltà (lunghi, frenetici applausi).
Brani tratti dal discorso pronunciato da Pietro Nenni al teatro Adriano di Roma il 4 luglio del 1944 :
Signore, cittadini, compagni, una lunga consuetudine di battaglie comuni con Bruno Buozzi mi consente questa sera, davanti alla popolazione romana, di evocare il suo ricordo in una forma insolita cercando non tanto di parlare di lui, ma di evocare quello che egli avrebbe detto se a lui fosse toccato l’onore che meritava, di stabilire il primo contato politico tra il nostro partito e la classe lavoratrice (applausi). Consuetudine di battaglie comuni e una certa affinità di temperamento, di formazione, una formazione fatta nella strada e non nelle scuole, una tendenza alla osservazione della vita più che allo studio astratto della vita, che ci veniva ad entrambi dal fatto che fino dai giovanissimi anni ci toccò risolvere da soli e subito il duro problema del pane quotidiano. Ma prima che io cerchi di dire a voi quello che Bruno Buozzi avrebbe detto questa sera, bisogna che qualche parola dica di lui.
Lo hanno definito, nei giorni seguiti al suo barbaro assassinio, “l’operaio ideale”, ed era veramente l’operaio ideale, non l’uomo uscito dalla sua classe per passare ad altra classe, ma l’uomo che aveva abbandonato il lavoro manuale restando profondamente convinto che nel lavoro manuale è la più squisita nobiltà dell’uomo (applausi). Un uomo che ha sempre pensato in termini di classe, che si è sempre posto di fronte ai problemi della vita e della lotta sentendosi il rappresentante di coloro che giovane lo avevano strappato all’officina per farne prima un segretario di Leghe, poi il segretario generale della Fiom, infine il segretario generale della Confederazione del Lavoro. Tutta la sua vita Bruno Buozzi aveva serbato nella sua figura fisica massiccia, nei suoi impeti, nelle sue riflessioni, questo vivo legame col popolo e con la classe lavoratrice, e perché era legame vero non fu mai istrionico come nel ventennale carnevale dei falsi amici del popolo (applausi)…
…Ed ecco la situazione di fronte alla quale noi ci troviamo oggi, a dover risolvere i più terribili problemi della nostra esistenza nazionale, a doverli risolvere in una tragica condizione d’inferiorità che dobbiamo alla politica delle nostre classi dirigenti. E ancora una volta voglio cercare su questi problemi di ridare la parola a Bruno Buozzi.
Cosa avrebbe detto questa sera di fronte ai tre problemi della partecipazione del popolo alla guerra, della difesa del lavoro e delle classi lavoratrici, della Costituente?
Io penso che avrebbe detto che la partecipazione del nostro popolo alla guerra condiziona il nostro riscatto nazionale. Noi non domandiamo agli alleati nessuna elemosina (applausi), ci risparmino le loro sigarette (applausi), non ci neghino i fucili che decine di migliaia di giovani reclamano coscienti come sono che è col loro sacrificio che si può rifare il paese. Finora questo appello è rimasto inascoltato e avremo fra non molto il diritto di dire che dietro le parole di fraternità si cela un certo disprezzo che non meritiamo e non accettiamo (applausi) se queste forze che comandano l’onore del combattimento continuassero ad essere neglette e respinte (applausi).
E di fronte ai problemi della resurrezione economica del paese, Bruno Buozzi avrebbe detto che tutto essendo fradicio della vecchia impalcatura borghese e fascista bisogna avere il coraggio di ricominciare da capo. L’epurazione che comincia con l’usciere del ministero che prese la tessera del fascio per dare da mangiare ai figli (applausi) e che si arresta sulla soglia dei consigli di amministrazione, è una commedia che non accetteremo (applausi). L’epurazione deve cominciare dall’alto: la gente da epurare è nei consigli di amministrazione delle grandi industrie e della banche, nelle alte sfere dell’esercito e della polizia (applausi), è nei consigli aulici della Corona. Si cominci di là e ci si arresti là (applausi) perché gli antifascisti hanno troppo sofferto per non essere giusti e per non compatire umanamente coloro che non poterono sottrarsi alla fatalità della tessera. (applausi).
Sulla Costituente, io credo che Buozzi avrebbe detto che se ce la offrono come un diversivo elettorale, se ce la promettono come un espediente che calma e attenua le impazienze, si sbagliano. La Costituente sarà una cosa seria e per essere una cosa seria bisogna che attorno ad essa il popolo monti la guardia senza un minimo di pausa; perché sia una cosa seria essa deve iscrivere nel suo programma tre rivendicazioni principali attorno alle quali il partito socialista chiama a raccolta tutti i cittadini d’Italia. La repubblica prima di tutto (applausi vivissimi), una repubblica presidiata dal popolo in armi, che sia l’espressione dei lavoratori, non un dono di classi dirigenti che vogliono salvarsi dietro il berretto frigio. Il processo dei responsabili dell’abuso di potere che va dal 28 ottobre 1922 al 10 giugno 1940, al 23 luglio ’43 (applausi). La Costituente deve costituirsi come supremo tribunale del popolo per giudicare Mussolini e il re (applausi). Infine noi attendiamo dalla Costituente che dia una nuova assisi economica al paese basata sulla democrazia dei consigli. La fonte della nostra salvezza è nel lavoro, l’organizzazione del lavoro è nei consigli di fabbrica, di azienda, degli enti pubblici e privati, delle associazioni operaie e contadine, dei tecnici, è nel fronte unico del lavoro al quale devono partecipare tutti coloro che vivono di lavoro (applausi).
Ecco io credo, signore, cittadini e compagni, le cose che meglio di me avrebbe detto stasera Bruno Buozzi se un mese fa i briganti nazi-fascisti in fuga non lo avessero abbattuto come un cane assieme a tredici volontari della libertà. E giacché il nostro Bruno era un ottimista, giacché su lui il dubbio non aveva presa (a tal punto che quando il venerdì 2 giugno lo caricarono sul camion che doveva diventare la sua bara, al compagno Bonfigli col quale scambiò le ultime parole disse: “non succederà niente, tutto andrà bene”) così egli, questa sera, in mezzo alle ragioni d’angoscia che ci assalgono da ogni parte, in questa nostra dolente Italia ieri invasa, oggi occupata e che anela al giorno in cui saremo soli a decidere del nostro destino (applausi) egli avrebbe trovato un motivo di fiducia inalterabile nel prossimo domani. E credo d’essermi imbattuto anch’io in questo motivo di fiducia venendo ieri da Napoli e passando a Cassino. Cassino è una allucinante rovina quale nessuno di noi, reduci da altre guerre, ha mai visto. Sembra il retaggio di una favolosa civiltà di millenni indietro, un irriconoscibile mondo in cui non c’è nulla che ricordi la nostra civiltà. Ma mentre l’automobile correva lungo la Casilina verso altre rovine vidi un vecchio contadino sotto il peso della solforatrice e che nel sole infocato andava alla ricerca di qualche tralcio di vite scampata per miracolo all’uragano di ferro e di fuoco. In quel contadino Bruno Buozzi avrebbe celebrato il lavoro che fa rinascere la civiltà dove la guerra ha tutto distrutto e avrebbe salutato il mondo nuovo che rinasce sulle rovine del vecchio mondo. Aggrappiamoci a questa speranza, a questa certezza: ci salveremo col lavoro liberato dallo sfruttamento del capitalismo e dal socialismo ricondotto alla fatica senza fatica dei costruttori di nuova civiltà (lunghi, frenetici applausi).Brani tratti dal discorso pronunciato da Pietro Nenni al teatro Adriano di Roma il 4 luglio del 1944 :
Signore, cittadini, compagni, una lunga consuetudine di battaglie comuni con Bruno Buozzi mi consente questa sera, davanti alla popolazione romana, di evocare il suo ricordo in una forma insolita cercando non tanto di parlare di lui, ma di evocare quello che egli avrebbe detto se a lui fosse toccato l’onore che meritava, di stabilire il primo contato politico tra il nostro partito e la classe lavoratrice (applausi). Consuetudine di battaglie comuni e una certa affinità di temperamento, di formazione, una formazione fatta nella strada e non nelle scuole, una tendenza alla osservazione della vita più che allo studio astratto della vita, che ci veniva ad entrambi dal fatto che fino dai giovanissimi anni ci toccò risolvere da soli e subito il duro problema del pane quotidiano. Ma prima che io cerchi di dire a voi quello che Bruno Buozzi avrebbe detto questa sera, bisogna che qualche parola dica di lui.
Lo hanno definito, nei giorni seguiti al suo barbaro assassinio, “l’operaio ideale”, ed era veramente l’operaio ideale, non l’uomo uscito dalla sua classe per passare ad altra classe, ma l’uomo che aveva abbandonato il lavoro manuale restando profondamente convinto che nel lavoro manuale è la più squisita nobiltà dell’uomo (applausi). Un uomo che ha sempre pensato in termini di classe, che si è sempre posto di fronte ai problemi della vita e della lotta sentendosi il rappresentante di coloro che giovane lo avevano strappato all’officina per farne prima un segretario di Leghe, poi il segretario generale della Fiom, infine il segretario generale della Confederazione del Lavoro. Tutta la sua vita Bruno Buozzi aveva serbato nella sua figura fisica massiccia, nei suoi impeti, nelle sue riflessioni, questo vivo legame col popolo e con la classe lavoratrice, e perché era legame vero non fu mai istrionico come nel ventennale carnevale dei falsi amici del popolo (applausi)…
…Ed ecco la situazione di fronte alla quale noi ci troviamo oggi, a dover risolvere i più terribili problemi della nostra esistenza nazionale, a doverli risolvere in una tragica condizione d’inferiorità che dobbiamo alla politica delle nostre classi dirigenti. E ancora una volta voglio cercare su questi problemi di ridare la parola a Bruno Buozzi.
Cosa avrebbe detto questa sera di fronte ai tre problemi della partecipazione del popolo alla guerra, della difesa del lavoro e delle classi lavoratrici, della Costituente?
Io penso che avrebbe detto che la partecipazione del nostro popolo alla guerra condiziona il nostro riscatto nazionale. Noi non domandiamo agli alleati nessuna elemosina (applausi), ci risparmino le loro sigarette (applausi), non ci neghino i fucili che decine di migliaia di giovani reclamano coscienti come sono che è col loro sacrificio che si può rifare il paese. Finora questo appello è rimasto inascoltato e avremo fra non molto il diritto di dire che dietro le parole di fraternità si cela un certo disprezzo che non meritiamo e non accettiamo (applausi) se queste forze che comandano l’onore del combattimento continuassero ad essere neglette e respinte (applausi).
E di fronte ai problemi della resurrezione economica del paese, Bruno Buozzi avrebbe detto che tutto essendo fradicio della vecchia impalcatura borghese e fascista bisogna avere il coraggio di ricominciare da capo. L’epurazione che comincia con l’usciere del ministero che prese la tessera del fascio per dare da mangiare ai figli (applausi) e che si arresta sulla soglia dei consigli di amministrazione, è una commedia che non accetteremo (applausi). L’epurazione deve cominciare dall’alto: la gente da epurare è nei consigli di amministrazione delle grandi industrie e della banche, nelle alte sfere dell’esercito e della polizia (applausi), è nei consigli aulici della Corona. Si cominci di là e ci si arresti là (applausi) perché gli antifascisti hanno troppo sofferto per non essere giusti e per non compatire umanamente coloro che non poterono sottrarsi alla fatalità della tessera. (applausi).
Sulla Costituente, io credo che Buozzi avrebbe detto che se ce la offrono come un diversivo elettorale, se ce la promettono come un espediente che calma e attenua le impazienze, si sbagliano. La Costituente sarà una cosa seria e per essere una cosa seria bisogna che attorno ad essa il popolo monti la guardia senza un minimo di pausa; perché sia una cosa seria essa deve iscrivere nel suo programma tre rivendicazioni principali attorno alle quali il partito socialista chiama a raccolta tutti i cittadini d’Italia. La repubblica prima di tutto (applausi vivissimi), una repubblica presidiata dal popolo in armi, che sia l’espressione dei lavoratori, non un dono di classi dirigenti che vogliono salvarsi dietro il berretto frigio. Il processo dei responsabili dell’abuso di potere che va dal 28 ottobre 1922 al 10 giugno 1940, al 23 luglio ’43 (applausi). La Costituente deve costituirsi come supremo tribunale del popolo per giudicare Mussolini e il re (applausi). Infine noi attendiamo dalla Costituente che dia una nuova assisi economica al paese basata sulla democrazia dei consigli. La fonte della nostra salvezza è nel lavoro, l’organizzazione del lavoro è nei consigli di fabbrica, di azienda, degli enti pubblici e privati, delle associazioni operaie e contadine, dei tecnici, è nel fronte unico del lavoro al quale devono partecipare tutti coloro che vivono di lavoro (applausi).
Ecco io credo, signore, cittadini e compagni, le cose che meglio di me avrebbe detto stasera Bruno Buozzi se un mese fa i briganti nazi-fascisti in fuga non lo avessero abbattuto come un cane assieme a tredici volontari della libertà. E giacché il nostro Bruno era un ottimista, giacché su lui il dubbio non aveva presa (a tal punto che quando il venerdì 2 giugno lo caricarono sul camion che doveva diventare la sua bara, al compagno Bonfigli col quale scambiò le ultime parole disse: “non succederà niente, tutto andrà bene”) così egli, questa sera, in mezzo alle ragioni d’angoscia che ci assalgono da ogni parte, in questa nostra dolente Italia ieri invasa, oggi occupata e che anela al giorno in cui saremo soli a decidere del nostro destino (applausi) egli avrebbe trovato un motivo di fiducia inalterabile nel prossimo domani. E credo d’essermi imbattuto anch’io in questo motivo di fiducia venendo ieri da Napoli e passando a Cassino. Cassino è una allucinante rovina quale nessuno di noi, reduci da altre guerre, ha mai visto. Sembra il retaggio di una favolosa civiltà di millenni indietro, un irriconoscibile mondo in cui non c’è nulla che ricordi la nostra civiltà. Ma mentre l’automobile correva lungo la Casilina verso altre rovine vidi un vecchio contadino sotto il peso della solforatrice e che nel sole infocato andava alla ricerca di qualche tralcio di vite scampata per miracolo all’uragano di ferro e di fuoco. In quel contadino Bruno Buozzi avrebbe celebrato il lavoro che fa rinascere la civiltà dove la guerra ha tutto distrutto e avrebbe salutato il mondo nuovo che rinasce sulle rovine del vecchio mondo. Aggrappiamoci a questa speranza, a questa certezza: ci salveremo col lavoro liberato dallo sfruttamento del capitalismo e dal socialismo ricondotto alla fatica senza fatica dei costruttori di nuova civiltà (lunghi, frenetici applausi).

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- Società

Nulla cambierà se

Non si manifesta tra le persone quel sentimento di rigetto e di indignazione nei confronti della criminalità, dell’ignoranza, della demagogia, del dilettantismo, del servilismo informativo.
Non ci si illuda che la salvezza sia quella di affidarci alla persona buona per tutte le stagioni, bensì alla politica, con i suoi conflitti di idee, di valori e di interessi.
Non potrà nascere nulla di buono se non si riconosce alla serietà un valore assoluto.
Nulla di positivo se non si mette in discussione da destra a sinistra quella che è stata per tutti i governi della seconda Repubblica da Berlusconi a Prodi, passando
da D Alema Letta, Gentiloni, Conte la nuova ideologia delle società industriali di fine millennio, basata sul concetto di modernità come necessario adeguamento di politica, cultura, scienza, tecnologia al servizio della globalizzazione del capitalismo.

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- Politica

Prima di santificare Mario Draghi

Riflettiamo.
Questo scriveva L’UNITA’ nel 1992
Siamo nel giugno del 1992. In una calda giornata sul lussuoso Panfilo Britannia della Regina Elisabetta, in navigazione al largo delle coste dell’Argentario, con a bordo banchieri, e imprenditori, si ebbe il battesimo delle privatizzazioni delle aziende italiane. Tra un cocktail e fiumi di ostriche un soddisfatto Mario Draghi, direttore generale del tesoro ha venduto l’Italia: “oggi è partito il primo contatto tra le aziende (di Stato, nda) italiane comprese nell’elenco delle società privatizzabili e le grandi banche d’affare della city candidate a condurre in porto quella che il direttore generale del Tesoro Draghi ha definito la più rivoluzionaria operazione di politica economica italiana nell’ultimo ventennio”(L’Unità 3 giugno 1992).

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- Società

Appello

25 aprile Ricorrenza della Liberazione,
1° maggio Festa dei lavoratori,
2 giugno il giorno della Repubblica.
Mai come in questo momento i valori che queste date esprimono sono di grande attualità.
Date collegate dall'espressione del valore comune dell’affermazione della libertà, dell’uguaglianza, del riscatto sociale.
Il 2 giugno nacque la Repubblica e come conseguenza immediata la Costituzione.
La Costituzione deve essere ripresa in mano riaffermandone i principi di fondo:
nella relazione tra prima e seconda parte, nella necessità di modificare alcune storture che vi sono state introdotte con modifiche improprie come nel caso del titolo V e dell’articolo 81, nell'uscire dal un accentuato senso di abbandono da parte del pensiero in cui è stata relegata centralità del parlamento , nella riaffermazione del predominio del pubblico sul privato, del collettivo sull'individuale. La centralità del Parlamento è stata proditoriamente messa in mora nel corso di questi anni, com'è apparso evidente in questi giorni di emergenza affrontata in modi e forme assolutamente ai limiti della legalità repubblicana. Pensiamoci per tempo al 25 aprile, al 1° maggio, al 2 giugno in tempo d’emergenza, non facciamoci cogliere impreparati: quale sia la situazione nelle quale verremo a trovarci queste tre date dovranno essere ricordate con grande forza anche se si verificasse un caso deprecabile di impossibilità di trovarci in piazza. Soprattutto le tre date andranno ricordate riflettendo su di un necessario collegamento ideale da sviluppare nel nome della Democrazia Repubblicana, un principio che non può essere abbandonato nemmeno nei momenti più difficili. Tutto ciò chiama in causa l’esistenza di una sinistra politica che non c’è capace di vedere il nuovo stando collegata alla grande tradizione del movimento operaio italiano: un discorso che ci porterebbe lontano in questa occasione ma che necessariamente dovrà essere ripreso alla svelta.

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- Politica

Si comprende

Si comprende il perché si vorrebbe cancellare tutto da parte delle forze liberali, pace fiscale, appalti liberi, ecc.. Sono terrorizzati, vedono lo stato
padrone dell’economia e forse il loro potere economico in decrescita esponenziale; vedono pure che lo stato si prende cura dei suoi cittadini attraverso la forza trainante della sanità pubblica con medici, infermieri, tecnici e personale estremamente impegnato in questo gravoso compito svolto senza le misure di sicurezza per i tagli imposti da più parti e, non assolvo nessuno della classe politica che da un trentennio governa il nostro paese. Avrebbero dovuto vedere i vari Berlusconi, Prodi, D'Alema, Monti, Gentiloni la crescita esponenziale delle disuguaglianze e ad ogni livello. Avrebbero dovuto.
La pandemia sarà tra noi ancora per molto tempo e, le scelte che si compiranno nel durante saranno decisive nel determinare il dopo. Prevedo tanti scontri e, l’esito dipenderà dalla natura e dalla consistenza delle forze attive nel paese. Siano esse liberaldemocratiche, di destra o di centro, come potete notare in questo ragionamento è assente la sinistra.
Per quanto riguarda le destre e i liberal democratici cosa dire? Li conosciamo.
Eccome se li conosciamo.Per contro il numero crescente di pentiti:politici,studiosi, opinionisti, operatori economici e sociali che hanno cambiato idee e orientamenti e riscoperto antichi valori. Senza il compromesso tra capitalismo e democrazia non ci sarebbe stata la lotta vittoriosa contro il nazifascismo, né il “welfare state”. La strada potrebbe essere quella della cultura universale del socialismo democratico che alla parola libertà aggiunge quella di eguaglianza e soprattutto di fraternità. Quando parliamo di sinistra, quanti, provenienti da altri orizzonti politici e culturali, sono disposti a battersi contro i nuovi fautori del vecchio ordine? Non saranno i socialismi e le sinistre ufficialmente presenti sulla scena politica il motore, per il semplice motivo che questi sono diventati simulacri privi di vita. Lo sono diventati dal momento in cui hanno cessato di scommettere sul loro futuro perché convinti della vittoria del loro tradizionale antagonista:il capitalismo finanziario,globalizzato.Da quel momento in poi,tutti separati l’uno dall'altro e tutti a giocare nel giardinetto di casa,senza impicciarsi minimamente di quello che stava avvenendo all'esterno. Un’impotenza di vedute, di prospettive che li ha resi tutti, incapaci di capire ciò che stava accadendo, dalla crisi del 2007/2008 in poi; e di reagirvi nel modo giusto. Oggi,nel periodo del corona virus “sono passati due/tre mesi” e sembra un’eternità,abbiamo sentito migliaia di voci; ma praticamente nessuna che fosse oltre il minimo sindacale da parte della sinistra ufficialmente iscritta all'albo. La sinistra che verrà non nascerà da quella ufficiale, non avrà la fisionomia partitica ma piuttosto quella di un fronte costituito dal comune sentire di aree diverse tra loro. Avrà una dimensione internazionale e internazionalista, perché non nascerà da accordi di vertice ma sarà il frutto della crescita di tanti movimenti e di tante esperienze separate.
Il suo fattore determinante sarà il crescere dell’indignazione e della protesta suscitata dall'enormità delle sofferenze dei governati rapportata alla cecità criminosa dei governanti. Crescerà e si cimenterà lungo la discriminante tra cultura della solidarietà e, quella delle barbarie. Utopia? Mito? Non credo, Un’idea,l’unica a disposizione della nuova generazione che verrà..

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- Storia

La lezione che ho imparato

Filippo Turati non amava la definizione “riformisti”, ma la riconosceva perché permetteva di contraddistinguere la sua corrente. Egli fondò nel 1892, a Genova (dove i congressisti si riunirono per usufruire degli sconti ferroviari concessi per le Celebrazioni Colombiane – 400° anniversario della scoperta dell’America) il Partito dei Lavoratori, divenuto poi Partito Socialista Italiano, insieme ad Anna Kuliscioff. Si identificò con il PSI dalla fondazione (1892) sino al 1912 quando venne messo in minoranza. Tuttavia sino al 1926 fu la personalità eminente del socialismo e, dopo la sua fuga in Francia, fu tra i capi più ascoltati ed apprezzati dell’antifascismo. Turati morì il 29 marzo 1932, a Parigi, in casa della famiglia di Bruno Buozzi, dove era ospitato.
Venne considerato un perdente, perché non riuscì ad impedire l’avvento di Mussolini e del regime fascista, di cui aveva lucidamente e profeticamente intuito le intenzioni totalitarie, al contrario di Gramsci e Togliatti (e della stessa Kuliscioff) che prevedevano una breve durata della ‘parentesi’ Mussolini. “ Consultare archivi storici all’interno delle fondazioni Comuniste e Socialiste”. Il ‘riformismo’ era bandito nei due maggiori partiti del movimento operaio, il PCI e il PSI, uniti tra loro dal patto di unità d’azione, sottoscritto prima della guerra e rimasto in essere sino al 1957.
Vent’anni fa i comunisti più corretti diedero ragione a Turati.
In seguito a questo ‘rilancio’ del riformismo, proprio nel 1982, in piena era come ancora si usa definire i socialisti dell’epoca “Craxiani” in occasione del 50° della morte di Turati in esilio, e in parallelo all’evidente crisi del sistema sovietico e del comunismo, ci fu finalmente un dibattito storico politico su scala nazionale che investì la sinistra ed ebbe eco sui grandi organi di stampa e in televisione. Autorevoli dirigenti e fondatori del Partito Comunista, come Umberto Terracini, riconobbero che Turati aveva avuto ragione
Nel suo profetico discorso al Congresso di Livorno del 1921 (quello della scissione che diede luogo al Partito Comunista d’Italia) aveva tra l’altro detto: “…Ond’è che quand’anche voi aveste organizzato i soviet in Italia, se uscirete salvi dalla reazione che avrete provocata e se vorrete fare qualcosa che sia veramente rivoluzionario, qualcosa che rimanga, come elemento di società nuova, voi sarete forzati a vostro dispetto – a ripercorrere completamente la nostra via (riformista) la via dei socialtraditori di una volta, perché essa è la via del socialismo, che è il solo immortale, il solo nucleo vitale che rimane dopo queste nostre diatribe…”.
La sua considerazione dell’estremismo di sinistra come comportamento pernicioso per la crescita e le lotte del partito socialista e del movimento dei lavoratori non fu dissimile da quella di Lenin che, pur attestato su altra sponda, vedeva i pericoli del settarismo.
Le sue compromissioni (una delle accuse dei massimalisti) con i governi Giolitti riguardarono le garanzie (ottenute) per il lavoro delle donne e dei fanciulli, le ‘otto ore’ lavorative, il suffragio universale, le leggi per le cooperative.

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- Società

Niente sarà come prima .

Niente sarà come prima mi auguro lo sia negli animi, non solo nelle parole. Consentitemi, nutro dei dubbi, sono convinto che la maggior parte degli italiani si accontenti che molto resti com'era prima della pandemia. Solo una minoranza vorrebbe che le cose cambiassero radicalmente. Nonostante che oggi si sia toccato con mano quanto i tagli alla sanità abbiano prodotto un contemporaneo arricchimento di quello che è chiamato privato e un arretramento progressivo e inaccettabile del pubblico. Quando una visita specialistica, viene fissata dalla ASL dopo 18 mesi dalla richiesta. Quando una TAC non è realizzabile prima di duecento giorni. Quando un intervento urgente viene fissato magari a 40/60 giorni; penso che le energie sane e migliori del paese debbano incominciare a preparare un progetto in attesa della fine di questa pandemia per essere pronte a fronteggiare le emergenze in futuro e, assicurare a tutti la pari opportunità nella quotidianità con chi per disponibilità finanziaria ha fruito fino a ieri di questi servizi rivolgendosi ai privati, soddisfacendo i bisogni in tempo reale. Ricordiamoci che il numero chiuso a medicina è stata una baggianata voluta da incompetenti che oggi ci obbliga a chiamare in servizio medici in pensione e, a dichiarare superato l’esame di abilitazione e considerare specializzati gli specializzandi. Urliamo, dimenticandoci che i responsabili non sono gli impiegati al di là del vetro ma coloro che tale stato di cose lo hanno programmato, realizzato. Tanti urlano, si lamentano, votando nonostante tutto, per quelle stesse forze politiche, che hanno creato la drammatica situazione che viviamo. Questo vale per la scuola, per la ricerca, per l’università, per le forze dell’ordine, per la cultura.

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- Politica

A chi vuole ripartire.

Dopo questa drammatica emergenza si dovrà fare la conta dei danni. E, il conteggio sarà inevitabile dovremo farlo tutti. Ci sarà la necessità di scrivere nuove regole che valgano per tutti, nessuno escluso, cambiando strutturalmente il sistema attuale.
1° : Riordinare le competenze tra Stato centrale ed Enti Locali.
2°: Abbattere la privatizzazione dei profitti e la pubblicizzazione delle perdite. Ps: “finiamola con le idiozie di turno, non si può statalizzare Alitalia e lasciare le concessioni autostradali che danno profitti enormi ai propri azionisti.
3°: Chiarire una volta x tutte il rapporto tra speculazione finanziaria ed economia reale.
4°:Ricostruire l’economia del Paese, favorendo una re-industrializzazione di ritorno dalle troppe delocalizzazioni. (Abbiamo toccato con mano cosa succede quando dipendi da cose fatte solo altrove.
5° digitalizzare la Pubblica Amministrazione e la Scuola. “basta basarsi su gare al massimo ribasso che danno evidenti ritorni negativi”.
6°: Ripensare alla proprietà privata delle infrastrutture strategiche come le telecomunicazioni.

Servirà una nuova costituente che con rigore e serietà, metta in condizione di ricostruire un Paese come il nostro che ne ha immenso e urgente bisogno. Istituzione di un prelievo che parta dall'alto e arrivi al basso tenendo conto dei valori che determinano la ricchezza individuale per finanziare il sistema sanitario pubblico dando una giusta retribuzione a personale medico e paramedico. In tempi di pandemie, la tentazione autoritaria è come un virus che potrebbe entrare nelle coscienze della gente. Sta a ognuno di noi rilevarne il pericolo e contrapporvi l’ordinamento democratico che non vuol dire permettere, ma regole da rispettare per un futuro migliore sul piano umano da lasciare in eredità ai nostri figli e nipoti che dovranno sobbarcarsi il peso economico della rinascita

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- Storia

“Vivà” Vittoria Nenni

Dalla lettura del libro di Charlotte Delbo
“Spettri, miei compagni”.

A tutt'oggi gli storici non sono riusciti a spiegare perché mai duecentotrenta donne prigioniere politiche francesi, il 24 gennaio del 1943 vennero caricate sul convoglio “31.000” (una sorta di treno per bestiame), in una stazione vicino Parigi, per essere poi deportate nel campo di sterminio di Auschwitz. Non sono le uniche francesi ad aver popolato il “campo dell’esecuzione lenta” ma certamente sono state le sole francesi “politiche” presenti ad Auschwitz.
Tra di loro anche due italiane: Alice Viterbo, una brava e famosa cantante lirica, che aveva una gamba di legno, e Vittoria Nenni, figlia del noto leader socialista italiano Pietro Nenni, che con la famiglia viveva in esilio in Francia dal 1926 dopo la promulgazione delle leggi fasciste. Duecentotrenta donne in tutto, un gruppo assai variegato: madri, mogli, giovani e anziane; più della metà erano sposate e tante già vedove, con i mariti fucilati dai tedeschi. Molte avevano lasciano a casa figli piccoli. Poco più della metà (centodiciannove) erano militanti comuniste, dodici golliste, mentre le restanti non avevano una precisa collocazione politico-ideologica ma si erano arruolate, con grande coraggio e fede, nella dura lotta contro la barbarie e l’oppressione nazifascista.
Questa è la loro storia:
nel giugno del 1940 Hitler decise di dare una svolta alla guerra con la Francia e l’esercito tedesco attraversò il confine francese.
Dopo aver occupato la Cecoslovacchia, la Polonia, il Belgio, il Lussemburgo e l’Olanda, bastarono solo sei settimane ai tedeschi per sbarazzarsi della fievole resistenza di quello che era considerato uno degli eserciti più valorosi e meglio equipaggiati al mondo.
La Francia improvvisamente si ritrovò con i nazisti che occupavano gran parte delle regioni del nord. Parigi, dopo il bombardamento del 3 giugno, il 14 venne completamente occupata. I tedeschi entrarono nella capitale francese dalla Porte de la Villette alle 5:30 del mattino e a mezzogiorno la svastica sventolava già sul Senato, sulla Camera dei Deputati, sulla porta dei grandi alberghi. Vetture munite di altoparlanti giravano per Parigi ordinando agli abitanti di restare in casa e di obbedire alle truppe di occupazione.
Il coprifuoco venne fissato alle 23:00. L’indomani gli orologi della città vennero portati avanti di un’ora per adeguarsi all'ora di Berlino. Parigi piombò nell'incubo, diventando una città tetra, dove il silenzio dell’attesa per quello che sarebbe successo, era spezzato dal suono dei panzer e dai tamburi di una banda che suonava una marcetta passando sotto l’Arco di Trionfo il tutto immortalato da una cinepresa. Pochi giorni dopo apparvero sui muri dei manifesti che invitavano i francesi a collaborare con i tedeschi: “FRANCESI, FIDATEVI DEI TEDESCHI!”. Il 17 giugno 1940 il Primo Ministro francese Reynaud passò il potere al maresciallo Pétain che concluse l’armistizio con la Germania il 24 giugno e si insediò con il nuovo governo nella città di Vichy (Alvernia), situata nella parte del Paese formalmente non occupata dai tedeschi.
Pétain, cattolico conservatore, vide nell'occupazione tedesca un’opportunità per instaurare un regime rivoluzionario, autoritario, paternalistico e filo germanico.
Se nei primi mesi di occupazione le truppe tedesche si erano sentite relativamente al sicuro, non subendo attacchi o perdite di uomini, nell'estate del 1941 clandestinamente stava prendendo corpo una fitta rete capace di far girare le informazioni, volantini e fogli di propaganda anti nazista. Alcune tipografie parigine diventarono il centro nevralgico della resistenza. Di giorno stampavano materiale non compromettente e la notte producevano riviste, opuscoli, giornali che inneggiavano alla Resistenza contro l’invasore. Per distribuire questo materiale si utilizzavano dei corrieri: insospettabili donne eleganti che tutto sembravano fuorché rivoluzionarie: erano le tecniche del movimento della Resistenza parigina.
Quello che la Resistenza e soprattutto le donne impegnate nella lotta volevano contrastare era l’indifferenza e la puzza di complicità, cioè il collaborazionismo. Mentre la maggioranza dei francesi assisteva impotente al campeggiare della svastica sui monumenti più importanti della città, mentre il regime mostrava il suo volto più nero e iniziavano le discriminazioni contro gli ebrei e i patrioti venivano torturati, alcune donne coraggiose alzarono la testa.
Vittoria Nenni insieme a Danielle Casanova, Betty Langlois, Carmen Serre, Cécile Charua, Maï Politzer, Charlotte Delbo, Georgette Rostaing, Simone Sampaix, e tante altre, trasportavano messaggi, proteggevano i ribelli, aiutavano a passare la linea di confine, nascondevano gli ebrei e ingannavano i nazisti. Erano pronte a tutto, anche alla lotta armata e a correre ogni pericolo, perfino a morire.
La rete degli stampatori e delle tecniche del movimento guidate dal meccanico comunista Arthur Tintelin, tra la primavera e l’estate del 1942 venne smantellata dalla polizia francese dello spietato David.
Le donne ad una ad una vennero tradotte nel forte di Romaville. Vittoria Nenni perse quasi subito il marito fucilato sul Monte Valerien l’11 agosto. Stessa sorte toccò a molte altre donne resistenti che si ritrovarono improvvisamente vedove. Chiamata nel proprio ufficio dal comandante del carcere, a Vittoria venne offerta la possibilità, rinunciando alla cittadinanza francese, acquisita nello sposare Henri Daubeuf e facendo valere quella italiana, di scontare il carcere in Italia.
Vittoria senza alcuna esitazione rifiutò.
Non voleva servirsi di quel privilegio per avere un trattamento migliore di quello riservato alle compagne francesi. Come un tempo aveva convinto il marito Henri a mettersi a lavorare per la resistenza, dicendo che Pietro Nenni lo avrebbe fatto, ora respinse l’offerta dei tedeschi, sostenendo che il padre non l’avrebbe accettato: «Papà si sarebbe vergognato della mia debolezza».
Vittoria si era legata romanticamente alle sue amiche e riteneva di doverne seguire la sorte. Non ha mai avuto una parola di rammarico e di rimpianto perché, in fondo, ha sempre pensato che sarebbe tornata. Dopo pochi mesi di prigionia le donne vennero deportate ad Auschwitz, Il complesso di campi di concentramento era il più grande realizzato dal regime nazista. Esso comprendeva tre strutture principali, tutte destinate inizialmente ai prigionieri selezionati per i lavori forzati. Quando le donne giunsero nel campo erano sconvolte. Non avevano mai visto tanto orrore. Vittoria Nenni, provata dal massacrante viaggio, aveva l’impressione fisica di essere entrata in una tomba; osservava intorpidita e con grande inquietudine i reticolati che cingevano il campo percorsi da corrente elettrica. Con un filo di voce confessava alle compagne il proprio timore: «Non usciremo più!». Dopo aver marciato per alcuni chilometri giunsero al campo di Birkenau (uno dei tre campi della struttura, il cui nome in tedesco significa Boschetto di betulle e, avviate subito al rito di iniziazione: doccia, rasatura dei capelli e marchiatura.
Le donne vivevano giornate terribili nel gelo della Polonia: sveglia alle tre, ore con i piedi nella neve per l’appello e dodici ore di lavoro nelle paludi. Solo una brodaglia a mezzogiorno e del pane secco con margarina la sera.
Quello che teneva in vita molte donne era l’amicizia, la solidarietà, l’unità.
Da sole non avrebbero potuto salvarsi. Alcune resistevano perché desideravano raccontare, da sopravvissute, l’incubo peggiore che l’umanità abbia mai conosciuto. Le più anziane e le più fragili morivano subito. Il 10 febbraio del 1943 le donne vennero costrette a fare un’assurda corsa nel gelo, in mezzo a due file di SS che puntualmente le picchiavano con pesanti manganelli e fruste gridando: Schnell! Schnell.
Nessuna pietà per chi cadeva.
L’Italiana Alice Viterbo cadde quasi subito nella neve impedita nella corsa dalla gamba di legno e venne bloccata da una SS. Al ritorno nelle baracche le prigioniere iniziarono a contarsi, disperate: Chi c’è? Dov'è Vittoria? Charlotte è tornata?
Una giornata terribile per le resistenti: la folle corsa nella neve aveva provocato quattordici vittime. Vittoria e Charlotte erano stremate ma vive; dalla finestra del blocco scrutavano qualcosa che emergeva dalla neve. Quando si avvicinarono videro che si trattava della gamba di legno di Alice Viterbo.
Dopo due mesi e mezzo di internamento il numero delle donne francesi sopravvissute si ridusse ad ottanta. Il tifo ne aveva uccise oltre cento, le altre invece erano morte nelle camere a gas, di dissenteria, di congelamento, di polmonite o sbranate dai cani. Resistevano quelle più forti, non troppo vecchie, né troppo giovani. Mai e Danielle erano morte mentre Vittoria e Charlotte erano ancora vive. Vittoria era coraggiosa, forte ed intrepida. Giorno dopo giorno diventava il punto di riferimento per molte. Diceva sempre a Charlotte e alle altre amiche che bisognava tenere la testa alta e i piedi davanti ai Kapò, alle spietate Draxler e Toube.
Charlotte guardava con grande ammirazione Vittoria e si chiedeva: come fa lei a trovare ancora la forza? Ogni giorno arrivavano al campo camion e treni carichi di deportati; ebrei e zingari soprattutto. Convogli di disperati che spesso giungevano al campo mezzi morti di fame mentre i bambini venivano quasi subito uccisi nelle camere a gas. Vittoria e le compagne vedevano le ciminiere eruttare fiamme circa tre quarti d’ora dopo l’arrivo di un convoglio. Dopo tanti mesi di amarezze nel mese di aprile del 1943 un inaspettato colpo di fortuna per le donne francesi. I tedeschi avevano un disperato bisogno di gomma per gli aumentati sforzi bellici e avevano deciso di adattare, per tali scopi produttivi, un vecchio edificio scolastico a Raisko a tre chilometri da Birkenau.
Maria-Claude, che lavora in amministrazione, informava le compagne che i tedeschi erano alla ricerca di chimici e biologi. Vittoria, Charlotte, Cécile, Carmen, Lulu ed altre compagne finsero conoscenze scientifiche e chiesero di poterci lavorare. Le condizioni per le deportate impiegate all'interno delle fabbriche erano migliori. Avevano minori possibilità di contrarre malattie, il lavoro era meno pesante e le condizioni igieniche accettabili. Il lavoro forse era la salvezza per Vittoria. ma l’undici aprile, al momento di partire si svegliò con la febbre, un malessere generale.
Erano i chiari sintomi del tifo. All'inizio venne curata da Charlotte e lottò con tutte le sue forze per guarire. Ed era pressoché guarita quando sopravvenne una complicazione forse nefritica e fu costretta ad andare all'infermeria, il “Revier” che era quasi sempre l’anticamera della stanza dei gas. Nel Revier non c'erano né medicine né bende ma solo pezzi di carta. Il Revier era temutissimo dalle detenute. Stipati tutti insieme, i malati di tubercolosi nella stessa cuccetta con chi era affetto da dissenteria o da tifo, i pazienti emanavano un fetore terribile. Vittoria sembrò affrontare con determinazione la malattia pensando sempre a suo padre, che intanto era stato consegnato alla polizia italiana per scontare il carcere nel suo paese d'origine. Anche Pietro Nenni e la sua famiglia pensavano disperatamente alla loro figliola. Vittoria non aveva compiuto ancora ventotto anni e i suoi riccioli sono l’ultima immagine che si ha di lei. Ha resistito fino alla fine, con coraggio e tenacia ma il 15 luglio del 1943 nell'orrida baracca, dove in punto di morte le deportate venivano gettate a mucchi, ridotta tutta una piaga, divorata dalla febbre tifoidea, gonfia nelle gambe per il lavoro nelle mortifere paludi, trovò l’energia di affidare all'amica Charlotte un ultimo messaggio: dite a mio padre che ho avuto coraggio fino all'ultimo e che non rimpiango nulla.
Dal campo di sterminio di Auschwitz delle duecentotrenta donne deportate con Vittoria rimasero in vita solo in quarantanove. Si salvarono le amiche di Vittoria, Christiane, Lulu, Carmen e Charlotte che, attraverso i suoi scritti racconterà la tragica esperienza di quel luogo degli orrori.
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Ps . Per Delbo la memoria è lasciare traccia di ciò che gli uomini hanno vissuto, ma anche vigilanza sul presente. Non ha mai voluto fare letteratura per fare letteratura, ma per porre ai lettori delle domande. Lo vediamo chiaramente in Spettri, la sua è una scrittura che non ci accompagna, non asseconda i nostri pregiudizi; interroga le nostre coscienze, mina le nostre consapevolezze. A tratti è una scrittura che dà fastidio. Sarà lei stessa a dirci quale ruolo affida alla scrittura quando affermerà: la poesia è la migliore arma per combattere i nemici che voglio combattere.
Attraverso la lettura del libro e documentazioni d’archivio questo breve spaccato di orrore vissuto.
Ps. Il primo libro che pubblica, siamo nel 1961, è un libro che denuncia la tortura nella guerra francese in Algeria. Per Delbo la memoria è lasciare traccia di ciò che gli uomini hanno vissuto, ma anche vigilanza sul presente.
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- Arte e scienza

Relazionarci.

Se noi adottiamo la scienza e l’arte alla nostra percezione sensoriale in una certa misura definiamo i decorsi della vita. Quest’aspetto simbiotico spiega che il creare, il produrre quello che prima non esisteva ha bisogno di essere alimentato da questi due elementi essenziali, ponendo attenzione a non trascurare un altro aspetto importante e vitale che lega l’insieme della correlazione e della proporzionalità. Il terzo elemento lo prenderemo in esame in seguito. Ora concentriamoci sul bisogno dell’essere umano di queste due funzioni vitali, a dire il vero che ha sempre avuto e, che alimenta quotidianamente.
Un valore assoluto. Basta pensare agli strumenti che si usano scientemente e manualmente in sala operatoria per avere chiaro il concetto. Gli strumenti chirurgici costruiti da mani creative che spesso hanno una relazione non casuale con gli strumenti da lavoro che si usano per modellare, forgiare, rifinire, spezzare e via dicendo.
Penso siano proporzionali perché io osservo una relazione funzionale.
Esistono scuole di pensiero diverse su quest’argomento, io appartengo alla corrente che si rifà ad Arrigo Levi. Del resto chi ama la poesia in tutte le sue forme, utilizzando in questa contemporaneità elementi di scrittura creativa tutela la voce poetica, spesso minacciata dal mercato. Ecco che il terzo elemento, ultimo in questo caso per pura casualità calza alla perfezione con la contestualità poetica che ci slancia nell’oltre del tempo, svincolandoci dalle incertezze della nostra fisicità e del turpiloquio che l’essere umano declama verso se stesso, per la sua sopravivenza.

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- Società

Globalizzazione, quale futuro?

Anni fa si pensava che il mondo globale, abolendo distanze e frontiere di ogni tipo – fisiche e culturali –, avrebbe reso le varie popolazioni di ogni continente molto più vicine. I fatti ci hanno dimostrato il contrario. E cioè che alcune posizioni – ideologiche e religiose in particolare – sono divenute sempre più radicali fino a sfociare in un vero e proprio scontro armato fra integralismi che non intendono dialogare, bensì obbligare con la violenza la controparte a far proprio un punto di vista anche se non le appartiene.
Se sul piano culturale ha fallito, al contrario la globalizzazione è perfettamente riuscita su quello economico. A che prezzo, lo sappiamo tutti. Comunque è così che sono andate le cose e, suppongo, che continueranno negli anni avvenire a scapito delle popolazioni incapaci (per limiti strutturali e sociali) ad entrare in questo meccanismo mondiale votato al massacro dei più deboli.
Se una volta il senso del viaggio era quello di fare esperienza di realtà straniere per arricchire la propria cultura di origine, oggi per via della globalizzazione non è né sarà più così. I mezzi di comunicazione di massa, sempre più tecnicamente raffinati, danno la possibilità alle persone che li subiscono di andare all'estero senza muovere un passo da casa. Basta pensare ai giochi per la playstation che ambientano storie o battaglie in metropoli quali New York o Pechino o dove che sia: al di là della partecipazione emotiva alla finzione, le riproduzioni di ambienti urbani stranieri sono talmente perfette che quando ci si trova realmente in questi luoghi si finisce per conoscerli (o, quanto meno, è ciò in cui si crede fermamente).
Per non parlare delle reti televisive straniere, oggi facilmente fruibili grazie alle antenne satellitari. Grazie anche a questo, per tutti (colti e ignoranti) non sarà un problema affinare la familiarità delle lingue straniere e, di conseguenza, non percepire più l’inglese o il francese come idiomi che rappresentano un modo diverso di ragionare e pensare da integrare rispetto a quello che la nostra terra natia ci ha fornito dalla nascita.
In parole povere: se la tecnologia digitale ha reso il mondo un villaggio, rendendolo piccolo in modo da conoscere tutto di ogni realtà, perché viaggiare? Quale il suo significato?
Tanto vale restarsene a casa se la sensazione che si ha andando a New York, per esempio, è quella di aver girato l’angolo della strada in cui abitiamo. Sensazione accresciuta anche dal fatto che durante i voli intercontinentali vi è, ora, la barbara consuetudine di viaggiare oscurando gli oblò per non disturbare la visione di films o serie televisive – tutti prodotti stranieri – che le compagnie aeree mettono a disposizione per ingannare il lungo tempo fra il decollo e l’atterraggio. Un tempo, invece, si approfittava dei lunghi voli per dialogare, leggere qualche buon libro (o un giornale alle brutte) o guardare il panorama che si stava sorvolando.
Il villaggio globale, o globalizzazione, ha finito per uccidere il senso bello e profondo del viaggiare: scoprire e stupirsi per un periodo di tempo, e poi tornare per vedere ciò che si era lasciato con occhi diversi e arricchirlo di immagini nuove.
Si può recuperare tutto ciò? Indubbiamente sì. Basterebbe riprendere l’esempio di Salgari, che pur non avendo mai visitato i luoghi in cui ambientava le sue storie gli bastava una cartina geografica e dell’immaginazione – associata a qualche buona lettura – per ricreare nel lettore la sensazione di estraneità rispetto a un mondo che non conosceva.
In alternativa si può adottare un’altra soluzione: invece di visitare subito le grandi metropoli del mondo, per disabituarsi alle immagini stereotipate che i mezzi di comunicazione di massa offrono di esse, sarà bene recarsi in quelle piccole comunità rurali e urbane straniere distanti dai centri abitati che l’occhio del grande fratello non ha ancora raggiunto. Allora sì che lo stupore, mai sopito nell'animo umano, tornerebbe ad alimentare sogni e sguardi della popolazione del villaggio globale.

Ps : Paesi visitati nei loro angoli meno conosciuti dal 1980 al 1984 con l’amico Giacomo : Olanda – Austria – Spagna – ex Iugoslavia – Malesia – Indonesia – Tailandia – Svizzera
DUBAI- Poi nel 1985 mi sono sposato, abbiamo con mutuo acquistato una casa, sono arrivati i figli, e abbiamo girato l’Italia a seconda delle nostre possibilità.
Operaio metalmeccanico in Fincantieri Riva Trigoso Liguria ( GE )

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- Poesia

Rifletto

Rifletto sull'onda d’urto leghista perché credo sia utile ragionare sul fatto che la Lega avanza in consensi elettorali più che soffermarmi sulla risicata vittoria alle regionali dell’Emilia Romagna. Se non si cambia strategia la prossima volta verremo travolti. Mi auguro che il gruppo dirigente del Partito Democratico non si crogioli nell'analisi del risultato con superficialità.
Per dirla con Gramsci, dobbiamo passare dalla guerra di posizione alla guerra di movimento. Primo, ineludibile, compito: recuperare il senso della propria missione politica; far rinascere una visione nobile, a tutto tondo, che motivi alla militanza. Mi domando qual è il messaggio che la sinistra trasmette,a parte il rifiuto categorico del razzismo e del fascismo, francamente, non saprei rispondere. Oggi la sinistra è una nebulosa.
Se vogliamo battere Salvini pure nei prossimi appuntamenti elettorali dobbiamo esplorare questo personaggio anche nelle pieghe più nascoste.
Il leader della Lega ha un notevole fiuto politico, ed è una scheggia nella comunicazione corsara che oggi va per la maggiore sui social media. Ha plasmato un personaggio pubblico perfetto per questi tempi: repellente per la sinistra intellettuale e benpensante, ardito per i molti delusi che desiderano un’Italia diversa, angosciati per il declino incombente. È un surfista che sa navigare sulle onde impetuose della contemporaneità.
La forza trainante della Lega è nella chiarezza e semplicità della sua visione politica; chiarezza e semplicità hanno un effetto dirompente perché sono la linfa vitale della comunicazione.
È legittimo che gli elettori desiderino e pretendano sicurezza dal crimine nonché protezione sociale. Così avviene che, tramontate le ideologie assistiamo a questo: il tesserato CGIL che vota Lega. Un perché pure ci sarà? Io credo di sì. Non c’è alcuna follia mentale come alcuni novelli dirigenti locali spesso scrivono perché l’equazione è semplice: il sindacato ti protegge sul luogo di lavoro; la Lega ti protegge a casa tua. E la sinistra, che fa? Beh, lei si occupa d’altro: decanta le magnifiche sorti e progressive del mercato unico. Eppure oggi occorre una protezione in più: quella dagli effetti nefasti della globalizzazione, abbattutisi come un maglio anche sul ceto medio, spina dorsale di ogni società avanzata. E infatti la Lega, scartato l’aggettivo Nord, ha scaltramente compiuto una torsione verso la destra sociale: parla il linguaggio dei diritti, promette il ritorno alla spesa pubblica come volano allo sviluppo, vagheggia uno Stato vigile sulle periferie in mano a bande di spacciatori.
Non ha nulla, in comune con un partito liberale. Per mio conto il problema di fondo è che nella fusione a freddo del PD ci sono stati e ci sono ancora oggi i residui del ex PCI e la nuova nomenclatura post democristiana.
In sostanza prima Prodi e poi altri hanno sostenuto in questi anni l’austerità, i tagli indiscriminati alla spesa pubblica, i diktat europei, la marginalità politica dell’Italia. Certo non avevano possibilità alternative per il fatto che si sono posizionati al centro e poco a sinistra. Entusiasti per la moneta unica europea, fiduciosi nel mercato globale propulsore di sviluppo ed equità. L’Euro era un salto nel vuoto, eppure non è stata predisposta una rete di protezione. Se le promesse di prosperità non vengono mantenute, si paga sempre il conto. Se in politica ci sono dei vuoti il più scaltro si getta a pesce nella voragine lasciata aperta. E, se qualcuno pensa che la sinistra non ha lasciato spazio fertile a questi movimenti populisti, in modo particolare alla Lega, allora non ha visione politica ed è meglio che si occupi di altre cose. Questo vale per il centro e per le periferie. Occorre comprendere che oggi le battaglie di identità portano consensi a chi sa combatterle con aggressività. Abbiamo tutti identità plurime, ma c’è ancora un bisogno forte di radici. Non si può buttare alle ortiche la nostra storia in nome di un europeismo astratto. Tutto ciò che si è cristallizzato in tradizioni secolari, rimarrà a lungo stampato nelle mappe, nei libri e nel cuore della gente. Non si può pretendere che il concetto di nazione, solidificatosi durante secoli di dibattiti culturali, aspre lotte politiche e guerre sanguinose, scompaia d’incanto senza che avvengano reazioni. Sembra che il maggiore partito dello schieramento di sinistra voglia rifondarsi.
Mi auguro che non intenda più rincorrere il sogno della sinistra democratica americana perché ancora oggi la questione sociale deve rimanere il nostro tratto distintivo. Il socialismo italiano in tutte le sue declinazioni, pure quelle dell’ex PCI ha una storia ricchissima che non può essere stata quella dell’odierno Partito Democratico. Non importa il nome di un nuovo soggetto politico che si vuole rifondare l’importante è sapere che il grande capitale non ha patria quindi non funziona la formula Stato- Capitale. Solo una sinistra aperta, senza preconcetti, quindi una sinistra di ispirazione liberal-socialista non tanto per il termine socialista che ha più di un preconcetto, quanto per le idee di fondo che devono essere alla base di un progetto nuovo che sappia coniugare diritti, doveri, modernità, protezione sociale e sviluppo economico.
Se questi saranno i temi portanti del dibattito per il rinnovamento io sono dalla vostra parte. Altrimenti come mi è congeniale continuo a dire la mia in mezzo alla strada senza casa come è stato dal 1992 a oggi.

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- Politica

Lo sciopero di Torino del 1944.

Lo sciopero generale del marzo 1944 che, sotto l’apparenza economica non riusciva a nascondere il suo significato politico, è un vero gesto di sfida delle masse popolari alla tirannica dominazione nazi-fascista. Può assumersi a simbolo di una trasformazione maturatasi rapidamente, da questo momento le forze popolari salgono alla ribalta della lotta di liberazione per condurla senza esitazione fino al suo esito vittorioso attraverso i loro organi rappresentativi, i Comitati di Liberazione Nazionale.
La mattina del 1° marzo 1944 a Torino, non tutti gli operai poterono recarsi al lavoro, perché, durante la notte erano stati fatti saltare i binari della ferrovia. In molti stabilimenti gli operai raggiunsero i posti di lavoro, ma rimasero inattivi. Alla Fiat Mirafiori, dove le maestranze erano circa 15.000 e in qualche altro stabilimento, commissioni di operai chiesero di conferire con le rispettive direzioni. Tale richiesta fu respinta. Stanchi di stare senza far niente durante l’ora della refezione, gli operai abbandonarono le officine senza bollare la cartolina d’uscita. La manifattura tabacchi fu fatta saltare la centrale elettrica. In quella prima giornata si ebbe un’astensione attorno al 50 per cento. Il prefetto, d’accordo col Comando tedesco fece affiggere un manifesto nel quale era scritto che se gli operai non riprendevano subito il lavoro, tutti gli stabilimenti sarebbero stati chiusi a tempo indeterminato. Le maestranze sarebbero state licenziate con la perdita di quanto era loro in credito e un determinato numero di operai sarebbe stato deportato. Agli esonerati dal servizio militare sarebbe stato tolto l’esonero e inviati ai corpi. A questa provocazione i lavoratori torinesi risposero astenendosi dal lavoro. Alle maestranze già in sciopero, se ne aggiunsero altre. Gli industriali e le direzioni aziendali non intervennero in alcun modo. Intimidazioni vennero dai fascisti i quali sostenevano: occorre lavorare, o verranno i tedeschi, con le armi, a farvi lavorare. Il terzo giorno lo sciopero fu fatto anche dalle maestranze della Fiat-Grandi Motori, dalle Acciaierie, dalle Ferriere e dal Materiale ferroviario. In questa giornata, pure una discreta percentuale di tranvieri urbani aderì allo sciopero. Alla fine del quarto giorno, il Comitato di agitazione del Psi, constatato il pieno successo del movimento e quindi della protesta che era riuscita con successo diramò l’ordine di ripresa del lavoro.
Nel volantino del comitato d’agitazione del Psi si legge: lo sciopero effettuato in questi quattro giorni ha raggiunto lo scopo di protestare contro le autorità fasciste e naziste che, governando arbitrariamente l’Italia settentrionale, hanno instaurato un regime di miseria, di schiavitù e di terrore, che non ha precedenti nella storia. Fu da parte dei lavoratori torinesi una dimostrazione di maturità classista e di compattezza disciplinata. Le giornate di lotta lasciano un amaro ricordo ai socialisti torinesi. Filippo Acciarini che curava la stampa dell’"Avanti!" clandestino torinese, fece un ampio resoconto sullo sciopero e che apparve sul numero 14 del marzo 1944 del giornale socialista. Purtroppo non poté mai leggerlo, perché la Gestapo lo aveva arrestato, trasferito prima a Milano poi al campo di concentramento di Fossoli (Mo). Ai primi di agosto 1944, Acciarini fu deportato a Mauthausen, dove, in seguito alle crudeli privazioni e alle sevizie sofferte, morì il 1° marzo, 1945.

Nota a margine.
Con l’avvento del fascismo Acciarini fu il segretario della Federazione socialista riorganizzata segretamente. Nel 1927 fu arrestato per sospetta attività sovversiva e in seguito rilasciato per insufficienza di prove. Nel 1930 trovò impiego presso la Società dei Telefoni e vi rimase fino al 1942. Nel 1943 entrò a far parte della direzione del Partito Socialista e, poi, ebbe l’incarico di curare l’edizione clandestina dell’"Avanti!" di Torino. Filippo Acciarini partecipò attivamente all’organizzazione del grande sciopero dei lavoratori torinesi che si svolse nel marzo 1944.

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- Politica

Idee in libertà: dal “Movimento dei Movimenti” alle “sardine

Vi ricordate quel lontano e fatidico anno 2001, quando a Genova scesero in piazza più di 300 mila persone riunite in un solo, unico soggetto politico, il “Movimento dei Movimenti”, per contrastare le politiche dissennate di enti come la Banca Centrale Europea (BCE), il Fondo Monetario internazionale (FMI), il World Trade Organization (WTO), le società multinazionali, rappresentate dagli otto Paesi più industrializzati? Per gli italiani si trattò anche del prosieguo della lotta contro l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi, ma soprattutto dell’elaborazione di un pensiero politico mondiale complesso, perché in grado di coniugare al proprio interno, pur con il rischio di cadere nella più insanabile delle contraddizioni, un netto rifiuto della globalizzazione dei mercati (quindi, del primato dell’economia sulla politica e sul diritto all'autodeterminazione), da ciò la definizione di no-global che il movimento si diede fin dall'inizio. Non è durato neppure un decennio ma le sue idee sulla decrescita e l’analisi dei processi migratori, la ricerca di energie alternative, la riconversione militare, il cambiamento delle pratiche nell'agricoltura e nell'alimentazione, il divario economico spalancatosi tra ricchi e poveri nel mondo nell'era globale, il rischio ambientale, il netto rifiuto della guerra “umanitaria” esportatrice di democrazia e della sua morale ipocrita, sono, oggi, di stringente attualità.
Vi ricordate che in quegli stessi anni (2002), intorno alla figura inquieta di un regista romano, Nanni Moretti, e di un sino ad allora sconosciuto Francesco Pancho Pardi, si coagulò un movimento che volle darsi il nome gentile e un po’ infantile di “Girotondi”, dal movimento circolare che i partecipanti compivano intorno al palazzo di giustizia romano, il famoso “palazzaccio”, allo scopo di denunciare l’incompatibilità di Silvio Berlusconi, allora sottoposto ad una serie infinita di processi, con il proprio ruolo politico e istituzionale?
Quel movimento di pura testimonianza, in difesa della legalità democratica ma dallo sguardo limitato alla sola realtà italiana, durò qualche stagione e poi si dissolse. Berlusconi, invece, è ritornato in Europa!!…
Vi ricordate che intorno al 2009, nuovo soggetto politico buono per le piazze romane questa volta dal nome suggestivo di “Popolo Viola”.
L’8 settembre 2007) nacquero i Cinque stelle, subito diventati partito d’opposizione e successivamente di governo, smarrendo,qualsiasi connotazione movimentista. in uno scenario desolante di fine decennio (siamo nel 2019),ecco riempirsi all'improvviso le piazze. Un altro nome. Il nome di un pesce. Tra le altre cose il fatto, di chiedere a gran voce l’abolizione del decreto sicurezza e richiamarsi all'antifascismo non definisce,un manifesto politico o un programma, ma un semplice ammonimento all'attuale governo.
Quella romana di San Giovanni (14 dicembre), infatti, festosamente riempita andrebbe letta come l’apice della testimonianza collettiva di un malessere che dallo spazio liquido della Rete finisce, in rispetto a una tradizione consolidata, in quello concreto di una piazza reale. Malessere etico e politico,che difficilmente troverà uno sbocco concreto se non quello elettorale prossimo futuro, dove dovrà confrontarsi con una piazza assai più grande, quella di un’Italia per la maggior parte sempre più volta all'impoverimento culturale, sociale e morale. Facile ma illusorio, dunque, sostituire entro il perimetro di una grande piazza, una massa,se non vi è ancora il terreno politico reale, il brodo di cultura su cui costituire una vera alternativa di sinistra, consapevole e pronta a farsi, ancora una volta, soggetto politico unitario.

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- Religione

Scambio di vedute.

Al seguito di uno scambio di opinioni con un sacerdote delle mie zone ho approfondito e rilevo che in tutti i libri sacri delle religioni monoteiste sono trascritti avvenimenti fondati su rivelazioni o miracoli; acquisiti per divine o misteriose virtù nel meravigliato stupore dell’impossibile, dell’ignoto.
Dal monoteismo semitico/ebraico al monoteismo cristiano/europeo, Maometto nella sūra del Corano
Gesù di Nazareth nei vangeli del Nuovo Testamento ascende, in vita o in morte, al cielo.
Sara, moglie del patriarca Abramo partorisce in età infertile; le vergini sono o potranno essere partorienti. I morti risorgono e i malati guariscono; le voci, senza labbra, si fanno ascoltare; luci e astri divampano; le spade, concesse dal dio, sono vittoriose contro i nemici.
Gli psichiatri gli definirebbero stati deliranti; in ostetricia, fecondazioni assistite; in clinica medica, malattie psico-somatiche; in biofisica, alterazioni da irradiazione di particelle; in genetica, catene riproduttive di staminali; in meteorologia, luci globulari.
Rimango affascinato quando m’imbatto per la prima volta nella lettura del
Zoroastrismo che è stata in passato la religione più diffusa dell'Asia nel momento in cui Zoroastro lascia il suo seme nel lago Kansaova a Saveh oggi una cittadina a sud ovest dell’attuale Teheran, dove una vergine (il caso) si bagnerà, rimanendo incinta dando alla luce il salvatore. Io mi sono limitato a fare delle considerazioni, forse inopportune per una moltitudine. Un’affermazione da parte mia e di chi la condividerà: la poesia è la sintesi naturale della narrazione perché va oltre la logica come ogni forma di religiosità assoluta, che io credo sia indeterminabile nel suo probabilismo.

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- Società

Contestualizzo una domanda.

Dal mio punto di osservazione le culture le vedo come espressione di una funzione definita, quella che si cimenta all'interno della terra d’origine. Sintetizzo il mio pensiero:
le culture si fondono, le civiltà si confrontano, le socialità si scontrano. Un dato che credo non possa essere contestato e dal quale partire per un ragionamento senza pregiudizi è la costante dipendenza delle popolazioni stanziali e native ai gruppi migranti o invasivi. E questa forma di subordinazione investe le dinamiche delle società.
Le migrazioni oggi in atto sono indicate da una parte considerevole come guerra di religioni o scontro di culture.
Io penso che sia in atto un progetto di una ben più drammatica sopraffazione delle socialità. La velocità degli eventi è determinata dall'ambizione di una globalizzazione finanziaria che alimenta le vacuità cognitive, gli esibizionismi comportamentali, le mercificazioni delle coscienze.
Che nel corso dei secoli si formino confusioni genetiche e culturali tra le varie stirpi sembra inevitabile e, a mio parere auspicabile. Purché fin da oggi siano marcati i valori di civiltà trasmissibili.
Qual è la cultura che fa da argine allo sterminio che incombe, nel prossimo e futuro, sulla socialità indoeuropea?

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- Politica

E’ giusto.

Non è altro che una preposizione affermativa ormai epitaffio per la ragionevolezza o, almeno per il buon senso.
Con questa preposizione le società, hanno operato e consolidato ogni sorta d’ignominia. Tutti gli spergiuri sulla condizione della libertà hanno trovato considerazione e proselitismo.
Probabilmente solo la fase dell’istinto dell’essere umano ha praticato l’etica suprema della necessità. Escludendo a ragione la condizione morale del giusto.
La violenza e con essa la strage dei competitori, invasori o invasi, era nell’obbligo della sopravvivenza.
Il progressivo stanziale e, prima ancora, la richiesta di sopravvivenza proiettata nell'incomprensibile, nel soprannaturale e,sempre maggiori flussi migratori hanno obbligato alla previsione progressiva di un sistema scandito da atti e gesti identificativi dell’appartenenza.
Riti, ritualità, e tramite essi, esclusivismi, estraniazioni hanno contribuito all'affermarsi di culture, che disperdevano l’umanità.
Il giusto diventa la forza delle leggi; sia nell'ambito dei costumi, sia nel rituale della religione.
E’ giusto incominciava a risuonare nelle liceità concesse dalle leggi o nell’utile dei costumi o nella pietà della religione.
E’ giusto risuonava nel coltello azteco pronto a colpire il cuore del sacrificato. E’ giusto risuonava negli zoccoli della schiera d’oro lanciata verso il Volga.
E’ giusto risuonava nell’abiura del Galilei.
Ingiustizie. Giuste per i sostenitori del giusto.
La giusta ingiustizia ha richiesto per sé sopportazioni devastanti e ancor oggi, nella complessità della società globalizzata dovrebbe necessitare l’affermazione di un’ideologia partecipativa, con l’esautorazione d’incrostazioni moraliste.
Proprio perché la giusta ingiustizia invade la vita dei cittadini.

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- Filosofia

Proviamo a discernere il concetto base.

Siamo alla resa dei conti sull’essersi affidati a irrisolte questioni di contemporaneità; un modesto tentativo, forse utopico di sanare, le progressive dissolvenze della società contemporanea. Il concetto d’idealità ha cessato di esistere nei rapporti sociali.
Spesso con le voci dei sottintesi, degli inganni, delle provocazioni, delle illusioni e, ancora con le sufficienze, le giustificazioni, i pentimenti.
Mi si smentisca quando affermo che oggi il rapporto sociale si svolge nell'idea d’imperio della ragione conveniente o compiacente.
Dal mio punto di osservazione noto che tutti corrono verso l’utile, il conveniente.
Non è forse vero che per certi aspetti dell’ideale e l’idea stessa si è venuta a trasferire nell'arrendevolezza alle necessità dei bisogni; questi, espansi da un rapportarsi, dell’idea del vivere, all'evoluzione della tecnologia.
L’idea, legata all'ideale,ne è dispersa; frazionata perché mutevole e conflittuale nella sua essenza del fine spesso e volentieri barattato con la convenienza.
Una morte dell’idea esclusa da ogni possibilità di essere rigeneratrice.
Senza alcuna destinazione, senza nessun punto di approdo, rilevo che se il punto di arrivo non è chiaro la destinazione certa è la barbarie del niente, del nulla dove, ogni scempio ha ipotesi e perdoni in religiosità e in moralismi, in compiacenze, in collusioni, in profezie di giustizia e in deserti di consapevolezza. La contemporaneità troppo spesso soffoca, nel sangue l’umanità.

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- Politica

Un appunto.

A distanza di due mesi dalla morte di Francesco Saverio Borrelli faccio un ragionamento tranquillo. Anzitutto scindo il mio giudizio su l’ex Procuratore generale di Milano capo del pool Mani pulite dall'uomo. In questo momento deve prevalere il rispetto.
Evito di appiattire il giudizio su una sola stagione. Quella di mani pulite. C’è, sempre un prima e un dopo.E,non mi pare che alla fine di quel percorso Borrelli sia stato un sostenitore acritico di quella stagione. Gli uomini possono avere ripensamenti,e pentirsi delle loro azioni.
Ancora oggi molti vedono in mani pulite un evento mitico,di riscossa nazionale,un risorgimento moralizzatore,come ripeteva,senza provare vergogna,Giorgio Bocca.
Da una parte c’era un’Italia onesta;il PCI, le aziende taglieggiate. Dall'altra, corrotti e corruttori.
Oggi che siamo vicini al trentennale dai fatti,rileggendo con occhi disincantati l’operazione mani pulite vedo molto chiaramente le ripetute offese allo stato di diritto. La custodia cautelare era usata per estorcere confessioni.E poi ancora la vergognosa sinergia con la stampa giustizialista cui era dato il bollettino quotidiano degli inquisiti in barba ai principi di civiltà giuridica.
E,il buon Santoro presiedeva il processo popolare condotto dai tribuni della plebe in via etere. Non dimenticherò mai il tragico suicidio del deputato socialista Sergio Moroni e quello del Presidente ENI Gabriele Cagliari.
Mi domando perché le indagini colpirono solo una parte?
Perché la fecero franca la FIAT e i grandi gruppi industriali, che avevano finanziato illegalmente la politica per oltre quaranta anni di vita repubblicana?
A dire il vero, qualche illustre pentito di quell'orda giustizialista c’è,questo va riconosciuto.
Meglio tardi che mai. Fra tutti spicca il giornalista Piero Sansonetti, che ha saputo fare autocritica. Non ho mai creduto in un complotto ordito da toghe rosse, bensì in una mirata operazione politica concepita ai massimi livelli tesa a liquidare un’intera classe dirigente che credeva fermamente nel primato della politica e dello Stato.
Questo era il cuore del problema, non la corruzione. Si saldarono interessi internazionali e nazionali.I socialisti,in particolare,avevano due aggravanti: non piegavano il capo a diktat stranieri(il Craxi di Sigonella mica respingeva barconi di disgraziati…) e intralciavano gli scalpitanti spiriti animali del capitalismo italiano.
I magistrati furono le teste d’ariete nell'ambito di un disegno politico più vasto.
È doveroso puntare il dito contro i loro eccessi, ma i veri responsabili dell’orda giustizialista furono altri: i poteri forti dell’economia e, soprattutto, quei politici dell’opposizione che cavalcarono la tigre sperando di usurpare per via giudiziaria il ruolo che altri svolgevano legittimamente, sulla base di maggioranze parlamentari. Fra i politici opportunisti figurano comunisti, leghisti,post fascisti di AN.
Si è proseguito per quasi trenta anni sulla via della corruzione con una serie di avvenimenti che penso seguano ineluttabilmente, una sorta di compensazione dei paladini del nodo scorsoio agitato in parlamento,del lancio delle monetine a Milano e via dicendo. Stiamone certi anche chi fino ad oggi l’ha scampata dovrà comunque fare i conti se non con la giustizia, con la propria coscienza. Del resto si sa che chi semina vento raccoglie la tempesta. In un’altra occasione, Francesco Saverio Borrelli nel 2011 alla presentazione di un libro inchiesta sul Bunga.Bunga di Berlusconi, pronunciò queste parole: “Mi scuso per il disastro seguito a Mani Pulite”. “Non valeva la pena buttare all'aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale”. Più di così non poteva dire. A me basta e avanza.

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- Politica

Comprensione

Non pensate che per comprenderci dobbiamo immergerci nella nostra intima nudità, nella varietà delle pulsioni e delle passioni, nei disagi e in questa nudità discernere la limitazione del nostro tempo? Penso siano le barbarie che hanno il sopravvento sulla nostra provvisorietà.
L’ inclusione del rapporto società-stato e essere umano, la minaccia, l’ annientamento del sorriso, della poetica, del certo.
La poetica che per mio conto ci slancia nell’oltre tempo, ma non solo, pure nell’ oltre umano, svincolandoci dalle incertezze della fisicità e dai dinieghi delle devastazioni compiute dall’ uomo verso sé stesso, per la sua sopravvivenza.
Le diversità non possono spaventare se non quando sono una acquiescenza di costume che precipita verso l’ intollerabilità. In un sistema in cui la fragilità si fonda e si affonda nelle categorie, nelle appartenenze certificate, nel destino assegnato, immodificabile, alle appartenenze, dovremmo ben accorgerci che il fine del sistema resta sconosciuto.
Molti, hanno ricondotto nel sistema e nelle separazioni dal sistema, l’etica o lo storicismo. Pure la conflittualità sulle necessità primarie, filtrate per le incognite religiose. Ovvero, tutte quelle plausibili ipotesi di funzionalità e di sussistenza, di incentivazioni.
Dalla esperienza solitaria, al bisogno; dalla costrizione mistica, alla solidarietà secolare; dalla conflittualità alla paura. Quindi ricondurre la compiacenza affermativa della propria fisicità, la perpetuazione della propria fisicità. attraverso dei, oppure senza.
E’ un processo di accumulo del piacere in una trasversalità temporale e geografica che si alimenta e si preserva con il bisogno.
La solidarietà e l’ assorbimento alternante,
l’annullamento persistente di ciò che è esterno sono le funzioni del sacerdozio del sistema.
Sacerdozio e casta; la casta concede indigenza, la manipola, la snatura, la redime, la rinnova.
La casta promuove l’ etica, la lotta, il conflitto verso sé stessa. Le mutazioni in cui si impantana la memoria con il proselitismo alla servitù delle generazioni.
Oggi più di ieri.
Se vogliamo soffermarci sulla costituzione di una comunità politica possiamo affermare ragionevolmente che la casta ne sancisce la sinteticità su cui fondare la propria alternativa delimitando
il confine strategico.
Attenzione, perché non ci si potrà nascondere nella protesta delle appartenenze, non si potrà nel corso della nostra vita secolare impedire il formarsi del processo di predominio in atto.
Forse potremmo rallentare questo processo esasperando i movimenti di disgregazione viziati da una debolezza di analisi e impregnati di pretese lobbistiche e reazionarie, in sostanza maschere della sinistra, della destra tra cui io non ci sono e non ci potrò mai essere.
Oggi occorre fare una riflessione puntuale e articolata perché sull'assenza delle radici storiche proiettate nel moderno piaccia o non piaccia, si contrasti o si approvi, la sostanza è che su questa questione politica di prospettiva si è infranto il Partito Socialista e, con esso, il corollario laico.
Non è stata percepita fino in fondo dal gruppo dirigente socialista la reale portata dei meriti e dei bisogni, mentre era un passo avanti a tutte le altre forze politiche nell'individuazione delle povertà vecchie e nuove.
Il non coniugare questi due aspetti di per sé vincolanti ha portato a una democrazia avulsa dal territorio e a una sorta di liberalismo tradotto in profitto, quindi chiave di accesso alla permeabilità della casta; perciò non vi è stato distinguo tra meriti e bisogni. Non ha saputo il Socialismo italiano disancorarsi dalla parzialità di strategie del consenso, alterando quella volontà di potenza del riformismo che era e che dovrebbe essere pure a divenire la “ rivoluzione in cammino”. Io lo posso affermare, si precipitò nel vago, si assecondò la progettazione di una società
dell’equivoco, sollecitata a tacitarsi nella appropriazione di un parziale e disarmonico uso delle tecnologie e delle economie. In questo vago e in un asservimento verso chi foraggiava i frati e non il convento, per usare un eufemismo, si assecondò la prospettiva di una società dell’equivoco sollecitata a tacitarsi in quella che è stata l’appropriazione di un disarmonico uso delle tecnologie e ancor più marcatamente delle economie.
In questo senso la politica della seconda fase degli anni ottanta non fu limpida e per molti aspetti non si individuò il futuribile, perché c’è stata la modificazione dei sistemi produttivi, energetici e pure comunicativi, mancò la volontà di indagare, di annusare. Visione temporale mancata per molti aspetti da una classe politica consociativa che non ha colto in modo particolare a sinistra la lotta al commercio delle culture, così come lotta alla massificazione delle informazioni, lotta alla robotizzazione umana.
Noi uomini o meglio noi umani, acceleriamo i processi, ci muovono le ambizioni di devastare le regole e le leggi, alteriamo le necessità rapportandole alla nostra convenienza. Tutto questo è stato ed è patrimonio della casta politica di destra e di sinistra, non del Socialismo.
Chi appartiene ancor oggi a una corrente di pensiero che sfocia nel Socialismo dovrebbe essere attento a discernere e a non patrocinare in nessun modo tutte quelle forme improprie della libertà, confuse nell'abuso dell’ individualità.
Quindi sfuggire gli adescamenti semplicistici e riconfigurare i ruoli del progetto politico e umano del quale le religioni si sono appropriate in assenza di un’ ideologia riformista e Socialista.
Il progresso, l’evoluzione, non possono essere sprecati nel riciclo del rammarico, la storia è satura di illusioni, esperimenti, pentimenti, riparazioni, maledizioni.
Il Socialismo contemporaneo, per aspirare ad essere il Socialismo del futuro, non può essere discosto dalle diversità, deve affidarsi ai giovani, ai lavoratori, penso al Socialismo degli operosi, dei dedicati.
La mia classe è la classe degli uomini nudi, degli uomini del sorriso, degli uomini di pace, che rifugge gli interessi di poteri forti e i privilegi dei poteri minimi. Occorre un ripiegamento veloce e sottrarre la produzione intellettuale della ricerca e delle derivazioni applicative alla economia del libero mercato riconducendone la gestione alle comunità, agli stati, alle organizzazioni internazionali.
Occorre che i Socialisti si approccino al confronto- scontro della politica del nostro secolo anche ripiegando, retrodatandosi.
Ad ogni popolo, ad ogni etnia, ad ogni comunità non può essere negato il diritto- dovere di lavorare la propria storia sul territorio coltivato per le proprie esigenze culturali e morali e religiose.
Nel comune interesse planetario che siano tutelati i diritti fondanti della vita e della personalità umana degli uomini. delle donne, dei bambini, dell’ ambiente, della pace.
Non è ideologicamente sostenibile, da Socialisti, nessun modello internazionale che si fondi sulla globalizzazione finanziaria, sull'unicità delle sedi di decisione, sulla imposizione. Spero che queste mie considerazioni non ledano le sensibilità dei lettori, con storie e memorie diverse dalle mie.
Se questo stato di cose non sarà possibile che avvenga allora che ciascuno per la propria onestà, coerenza e dedizione, allora ognuno giochi la propria storia, io da tempo la mia l’ho già giocata, e va oltre la sinistra.

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- Politica

Indulgenza?

Siete convinti come lo sono io nell’ affermare che l’ indulgenza produce insolvenza?
A questa domanda rispondo in modo provocatorio ma assolutamente ragionato: dalle insolvenze si generano dissonanze, rancori, abbandoni, contrasti, perché l’ eccessiva giustificazione porta ad evadere le regole del contratto sociale, esaspera i conflitti e le ribellioni; agita le piazze fomentando sempre atteggiamenti individuali a volte non solo di dissenso ma in uno sfociare di pericolosa e ingiustificata violenza.
Sembra che questa indulgenza tesa sempre a giustificare soddisfi le esigenze dei più deboli invece con l’ aiuto della chiesa cattolica le sacrifica a un particolare oscurantismo che nulla apporta alla definizione e alla evoluzione dello stato sociale nell’ affrancamento dei bisogni reali.
Focalizziamo la nostra attenzione su una riflessione che proviene da una lettura critica delledinamiche religiose che si sono succedute nei tempi per affermare, ovviamente lasciando spazio ai detrattori di queste riflessioni: le religioni, in questo senso si può affermare, tutte, sul valore del tempo lineare cadenzano presenze di perdoni e motivazioni salvifiche mentre gli stati si contrastano su temi politici di esportazione e importazione di modelli dimenticandosi delle stratificazioni ambientali e culturali dei popoli.
Un macello. In cui il buonismo si erge a depositario delle buone ragioni morali sacrificando le insolvenze dell’apparire per un’ etica di stupore che definisco senza ombra di dubbio, in questo caso mi arrogo il diritto di sentenziare, per quel che vale: untuosa carità che concede false speranze allo strato della popolazione più debole, irretendola e dettaglia in maniera minuziosa le tematiche e le metodologie per quello che è un nuovo schiavismo.
Oggi, nella nostra contemporaneità e mi riferisco a quello che avviene nell’ anno 2019 c’è una dose sostanziosa di buonismo alimentato dalla chiesa cattolica e dalla morale su cui si fortificano i poteri.
Dallindulgenza e in particolare da quella plenaria verso il bravo ragazzo o la piccola corruzione, la immigrazione clandestina o la conflittualità culturale che il buonismo così come l’ indulgenza, giustifica e scruta il vantaggio.
In sostanza non interessano le morti o le disperazioni, interessa compiangerle, erigere monumenti di parole, apparizioni salvifiche per ottenere il timore, con esso il consenso, che poi sfocia in dominio, escludendo a priori la comprensione dei fenomeni per porvi rimedio.
No, non è questa la sinistra, è tutto fuorché sinistra.
Il buonismo, l’ indulgenza non stanno nel patrimonio genetico delle forze autenticamente si sinistra, la sinistra è una regola di comportamenti austeri il cui fine è la tolleranza nella individualità, e nella particolarità dei bisogni; faticheranno a comprendere questo aspetto tutti quelli che hanno vissuto esperienze politiche e non all’interno della chiesa e in questo caso il riferimento è alla chiesa cattolica e a quella che si è riconosciuta dal lontano 1921 nel Partito Comunista Italiano.
Quindi è la contemporaneità che ha sconfitto la sinistra priva di un progetto, non la necessità di una sinistra che sappia cogliere sempre le nuove sfide, rinnovandosi, a volte pure arretrando ma sempre oltre questa sinistra.