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Raccolta di articoli di Lorenzo Roberto Quaglia
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Politica

Perché votare? Per chi votare?

“Questo è il volto autentico della politica e la sua ragion d’essere: un servizio inestimabile al bene all’intera collettività. E questo è il motivo per cui la dottrina sociale della Chiesa la considera una nobile forma di carità. Invito perciò giovani e meno giovani a prepararsi adeguatamente e impegnarsi personalmente in questo campo, assumendo fin dall’inizio la prospettiva del bene comune e respingendo ogni anche minima forma di corruzione. La corruzione è il tarlo della vocazione politica. La corruzione non lascia crescere la civiltà. E il buon politico ha anche la propria croce quando vuole essere buono perché deve lasciare tante volte le sue idee personali per prendere le iniziative degli altri e armonizzarle, accomunarle, perché sia proprio il bene comune ad essere portato avanti. In questo senso il buon politico finisce sempre per essere un “martire” al servizio, perché lascia le proprie idee ma non le abbandona, le mette in discussione con tutti per andare verso il bene comune, e questo è molto bello”. (discorso di Papa Francesco a Cesena)

Tante persone, tanti amici mi chiedono in questi giorni per chi voterò alle prossime elezioni politiche.
Nei loro occhi vedo un sincero smarrimento, come nei miei del resto è presente forse per la prima volta un senso di timore di non sapere alla fine scegliere per il meglio a quale forza politica offrire ancora una volta la possibilità di rappresentarmi senza riceverne in cambio solo e soltanto delusione.

Lo scenario che ci circonda è certamente di basso, bassissimo livello. Ormai da decenni sembra che alla politica si dedichino soltanto persone che non riescono a realizzarsi in un campo professionale e che quindi scelgono la politica come professione, senza essere mossi da particolari ideali.
Viceversa, chi possiede forti passioni e sensibilità d’animo, non si sente attratto da un mondo finito in mano a dei ragionieri della politica che non hanno in mente di lavorare per il bene comune, ma solo per quello del proprio partito o, peggio, della propria corrente. Non parliamo poi della classe dirigente, dei leader di questi professionisti della politica: il livello, la statura morale e civile è ben lontana da quella generazione di padri fondatori della nostra Repubblica.

Ma se questo è lo scenario, perché il 4 marzo dovremmo andare a votare per eleggere i nostri nuovi rappresentanti? Ebbene, dobbiamo ripartire a mio giudizio proprio dalle parole di Papa Francesco che a Cesena il 1° ottobre 2017, nella Piazza del Popolo, davanti a migliaia di persone, ha spiegato le ragioni di cosa significhi impegnarsi in politica e rivolgendosi in particolare ai giovani, li ha invitati a dedicarsi alla politica perché, aggiungiamo noi, senza il loro impegno di oggi, non ci sarà futuro, non ci sarà più l’Italia così come fino ad ora l’abbiamo conosciuta.

Quindi, per prima cosa direi che andare a votare il 4 marzo non è solo un dovere civico (purtroppo, da quando è stato eliminato dalle scuole l’insegnamento dell’educazione civica, il dovere è sempre meno sentito), ma un dovere morale: quello di contribuire con il proprio voto al corretto funzionamento della vita democratica del nostro Paese. E non abbiamo parlato del diritto al voto che come cittadini abbiamo, solo perché ormai lo diamo per scontato, il diritto. Ma fino a 70 anni fa non era così…

Mi permetto di ricordare a proposito una mia esperienza personale. Da molti anni, per senso civico, svolgo la funzione di Presidente di seggio alle diverse tornate elettorali che periodicamente scandiscono la vita civile. Mi stupisce sempre, ogni volta che sono al seggio, vedere la fedeltà al voto che hanno le persone anziane. Persone di 70, 80 e anche 90 anni che, da sole o accompagnate da figli o nipoti, vengono al seggio a votare. Con pioggia, vento, caldo, freddo, gli anziani sono i primi a votare, a qualsiasi elezione, amministrativa, politica, referendum. Una volta una donna, sui novant’anni, mi ha detto: “Giovanotto, io mi ricordo quando ero giovane che non potevo votare e mi arrabbiavo, e da quando hanno dato il voto alle donne, non ne ho perso uno!”.

Ecco, credo che ogni volta che siamo chiamati alle urne, dobbiamo tenere a mente le parole di questa donna.

Per concludere, un’ultima considerazione: il fatto che in Italia, a differenza che in altri Paesi come per esempio Stati Uniti o Inghilterra, si voti di domenica e non in un giorno feriale, ha un significato da non trascurare. L’espressione del diritto di voto, per come lo intende la nostra cultura politica, deve essere il più possibile popolare e coinvolgere il maggior numero di persone. E quale giorno, se non la domenica, permette ad un maggior numero di persone di andare a votare? Non sprechiamo la possibilità che ci è data, come cittadini, di esprimere il nostro punto di vista.

Ma a questo punto, per chi votare?

Un aiuto nella scelta dei criteri da seguire ci viene dal discorso del Presidente della Repubblica di fine anno. Il Presidente Mattarella, aprendo di fatto con il suo discorso la campagna elettorale ha ricordato ai politici una cosa veramente importante: “Il dovere di proposte adeguate - proposte realistiche e concrete - è fortemente richiesto dalla dimensione dei problemi del nostro Paese”.

La realtà di queste prime settimane di campagna elettorale è invece costellata da proposte politiche da parte di quasi tutti gli schieramenti che oltre ad apparire fantasiose e irrealizzabili provocano illusioni tra i cittadini. Peccato che il 5 marzo il risveglio sarà traumatico se concedessimo fiducia a questi affabulatori di serpenti a sonagli.

Da dove partire quindi?

Personalmente parto dai problemi del Paese. E i problemi maggiori, alcuni enormi come grattacieli, che dovremo affrontare nei prossimi anni, si chiamano debito pubblico, lavoro e crescita economica, immigrazione e sicurezza, calo delle nascite e invecchiamento della popolazione, fonti energetiche e salvaguardia del clima. Metteteli in ordine come volete, a seconda della vostra sensibilità, ma questi sono.

Allora mi domando: cosa ci propongono le forze politiche in campo per affrontare e possibilmente dare delle risposte a queste tematiche? E le risposte devono essere credibili e realizzabili, non propagandistiche ed elettorali. E i candidati in lista devono avere un curriculum di tutto rispetto, perché i compiti che li attendono non sono semplici. Non basta essere votato dagli amici di Facebook per essere in grado, da parlamentare, di contribuire a risolvere problemi come quelli sopra citati, almeno credo.

Oggi i sondaggi ci spiegano che il Paese è spaccato in tre grandi poli: centro destra, centro sinistra e “grillini”. Ma al di là della spaccatura, dopo il voto del 4 marzo, tornerà a farsi sentire il bisogno, la necessità di dare un governo al nostro Paese. E qui tornano in mente le parole, il richiamo al bene comune di Papa Francesco.

E allora, per concludere questo lungo post, credo che, utilizzando il buon senso del padre di famiglia, il nostro voto debba andare a quelle forze, a quelle persone che ci diano la maggior sicurezza che dal 5 marzo si impegnino per cercare di dare continuità di Governo e di crescita all’Italia e che non si mettano su posizioni nette di rottura: o convergi sulle mie posizioni o si ritorna al voto. Così non si fa il bene dell’Italia. In questi anni, nonostante le circostanze interne e internazionali siano state molto difficili, l’Italia economicamente è cresciuta, la tassazione delle imprese, di poco, ma è diminuita, i posti di lavoro sono aumentati, il debito pubblico, di poco, ma è diminuito.
Si poteva fare di più? Senz’altro, ma non per questo si deve buttare a mare quello che si è ottenuto sino ad ora. Si possono migliorare le cose fatte? Si debbono migliorare, ma senza cambiare la rotta, che è quella giusta, riconosciuta anche a livello internazionale. E in Europa, potremo essere sempre più ascoltati se proseguiremo sulla strada intrapresa.

Quindi a mio giudizio, con il voto del 4 marzo dovremo scegliere quei candidati e quelle forze politiche che ci possano garantire il proseguimento della rotta seguita sino a qui, e non dare ascolto alle false sirene degli estremismi e dei grilli parlanti.

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- Religione

Un bimbo di nome Gesù

È sicuramente un caso che la decisione di questi giorni del Presidente Trump di spostare l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme abbia di fatto riacceso l’attenzione dei media internazionali su Gerusalemme e sulla Palestina, terra dove 2017 anni fa è nato un bimbo di nome Gesù del quale a breve ci apprestiamo a celebrare la memoria della sua nascita.

Quel bimbo, divenuto grande grazie alle attenzioni, alle cure e all’educazione ricevuta dai suoi genitori, ad un certo punto della sua esistenza ha iniziato a parlare in pubblico e a rivelare la propria missione, ciò che era venuto a fare sulla terra.

Gesù è stato l’unico uomo, di cui esistono documenti ufficiali e riscontri storici inconfutabili, che si è dichiarato figlio di Dio.

Di fronte a questa affermazione, inaspettata, imprevedibile, potente, sconvolgente, la nostra libertà, ora come allora, è chiamata a confrontarsi.

Credere o non credere alle parole, ai gesti compiuti da quell’uomo e giunti sino ai nostri giorni dai testimoni della Fede? Questa è la domanda radicale dell’esistenza umana.

Il vero mistero della vita non è domandarsi se un Dio esista, ma stupirsi dell’esistenza di un uomo con una libertà simile a quella di Dio. Nessuno infatti rispetta la nostra libertà come lo fa Dio.

L’uomo ha sempre desiderato la libertà più di ogni altra cosa al mondo, ma questo desiderio è anche di Dio e di suo figlio Gesù. È dai tempi di Adamo ed Eva che l’uomo anela alla libertà, la vuole raggiungere con le sue forze, senza dipendere da nessuno. Mentre Dio si è abbassato e si è fatto nostro compagno di viaggio, l’uomo invece si è innalzato al livello di Dio e lo ha rifiutato.

Ma come diceva Sant’Agostino: “Di quanti padroni diviene schiavo, chi non riconosce Gesù come unico Signore!”.

Senza il rapporto con Dio, e con suo figlio Gesù, l’uomo perde l’unico punto di riferimento che lo rende capace di dare significato ad ogni sua azione e l’esito di questa separazione purtroppo è sempre più sotto gli occhi di ognuno di noi.

Approfittiamo di questo Natale per rivolgere uno sguardo, un pensiero a quel Bambino, nato a Betlemme di Giudea, a pochi chilometri da Gerusalemme, la città dove quel bambino, divenuto Uomo, è morto a causa del nostro orgoglio e della nostra libertà.

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- Storia

La Rivoluzione russa: considerazioni finali

Scriveva Giovannino Guareschi che le più grandi sciagure dell’umanità sono state originate da chi ha voluto semplificare la vita, pianificando il mondo.

Questa affermazione ben si adatta a chiudere la serie di post che abbiamo pubblicato sulla rivoluzione russa, perché in fondo, proprio questo Lenin aveva in mente: la creazione di un nuovo mondo e di un nuovo uomo che fosse finalmente libero di vivere felice sulla terra, senza più le costrizioni, le catene e i pesi imposti dalla cultura della borghesia capitalista: in sostanza il paradiso sulla terra, forgiato dagli uomini senza l’intervento di Dio.

Il nuovo leader non lascia passare molto tempo prima di iniziare la sua opera. Appena conquistato il potere, il 26 ottobre 1917, Lenin fa emanare dal Congresso dei Soviet i primi tre decreti attuativi del nuovo ordine che da lì a pochi mesi verrà imposto a tutta la Russia. Il primo decreto chiede una pace giusta ai Paesi belligeranti e pone fine all’intervento russo nella prima guerra mondiale. Il secondo decreto legalizza gli espropri compiuti dai contadini e socializza la terra. Il terzo decreto riguarda la formazione del nuovo governo degli operai e dei contadini, di cui Lenin è nominato Primo ministro.

Il giorno successivo, 27 ottobre, da Premier Lenin emana il decreto sulla stampa borghese, che viene messa fuori legge. Vengono immediatamente chiusi 122 giornali e altre 340 testate saranno chiuse entro l’agosto 1918. Il libero confronto delle idee in Russia è diventato un reato. Il 22 novembre 1917 viene emesso il decreto sui Tribunali che prevede lo smantellamento del sistema giudiziario pregresso e l’instaurazione dei Tribunali rivoluzionari: la giustizia d’ora in avanti è al servizio del partito unico. Il 7 dicembre 1917 viene istituita la Ceka, un ente speciale per la repressione e la lotta alla controrivoluzione il cui comandante risponde al capo supremo del Partito, non del Governo. Insieme a questa struttura nasce anche una nuova categoria umana, il cekista, un tutore dell’ordine che ha devoluto la propria coscienza personale alla causa del partito. Il 16 dicembre 1917 viene rilasciato il decreto sul matrimonio civile che è l’unico riconosciuto legalmente, mentre quello religioso diventa un fatto privato. Inoltre nel 1920 la Russia sovietica diventerà il primo Paese al mondo a legalizzare l’aborto.

La fine della guerra, la terra ai contadini, la libertà di stampa, l’amministrazione della giustizia, il controllo del partito sulla società, il matrimonio: tutti temi caldi nella Russia del 1917 e Lenin capisce che deve partire da essi per iniziare l’opera di sradicamento delle vecchie abitudini e della vecchia cultura pre-rivoluzionaria, anche a costo di rieducare forzatamente milioni di russi alla novità rappresentata dall’uomo sovietico.

In pochi mesi Lenin getta le basi per dare vita ad una rivoluzione culturale, ispirata al marxismo: la creazione di un uomo nuovo che poggi la sua fede esclusivamente nel partito e si identifichi in esso come ideale, modello e valore esaustivo di vita. Ma qui sta il punto dolente: dalla totale liberazione desiderata da Lenin per la sua creatura, l’uomo sovietico, si passa al totale controllo dell’io e dei suoi affetti, sino ad arrivare ad un radicale materialismo e alla creazione di una vera e propria religione atea, al posto di quella cristiana.

Il tentativo di Lenin e dei suoi seguaci è quindi fallito, ma questo è un fatto acclarato e non è questo il momento di analizzare i settant’anni di storia dell’Unione Sovietica. Le ragioni del fallimento sono già tutte presenti nell’emissioni dei primi decreti di Lenin: non è possibile infatti ingabbiare l’uomo per lungo tempo e costringerlo a comportamenti che non lo costituiscono e lo privano della propria libertà: presto o tardi essa risorgerà e si farà sentire.

Scrive Berdjaev nel 1917: “Nella vecchia Russia non c’era abbastanza rispetto per la persona umana. Ma ora ce n’è ancora meno. A intere classi sociali viene negato il valore della persona, non si rispetta la persona; nei riguardi delle classi sociali che la rivoluzione emargina, si compie un omicidio spirituale che poi si trasforma facilmente in omicidio fisico”. E lo storico Pierre Pascal scrive nel 1934: “Il contadino russo che aveva visto nella rivoluzione del 1917 il mezzo per liberarsi dal giogo dello Stato, il cui peso sopportava da secoli, paga oggi il prezzo di un sistema totalitario che non conosce eguali nella storia”.

Quello che Lenin ha ignorato era il fatto che per realizzare il paradiso sulla terra, semmai lo si volesse proprio edificare, non era necessario rivoluzionare con la forza gli usi e i costumi di un popolo, ma era sufficiente puntare al cambiamento del cuore dell’uomo: solo così infatti, parlando al cuore dell’uomo, senza costrizioni, si può pensare di ottenere nel tempo quei piccoli cambiamenti quotidiani che potranno farci vivere attimi di felicità sulla terra.

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- Storia

La Rivoluzione russa: la fase finale

Lenin, grazie all’aiuto della Germania che sperava che lo scoppio della Rivoluzione potesse convincere lo zar a ritirare le sue truppe dal conflitto mondiale, rientra in patria dalla Svizzera i primi giorni di aprile del 1917.

Il 21 febbraio Nicola II parte per il fronte russo – tedesco e lascia il governo in mano a Rasputin.

Il 23 febbraio inizia l’insurrezione di Pietrogrado (dopo l’inizio della prima guerra mondiale la città aveva cambiato nome da Pietroburgo, nome con troppe assonanze con la lingua tedesca) e Nicola II ordina di reprimerla con la forza. Il 27 febbraio avviene però l’ammutinamento della guarnigione della capitale, si ricostituisce il Soviet di Pietrogrado e nasce il Comitato provvisorio della Duma dando inizio di fatto ad un doppio potere in Russia, Soviet e Duma. [Il primo Soviet (Consiglio) degli operai era nato dopo la domenica di sangue del 1905 ed era l’organismo di base per organizzare la protesta nelle fabbriche e gli aiuti alle famiglie degli scioperanti. All’interno del Soviet erano già presenti i meccanismi politici tipici del partito unico bolscevico]. Il 28 febbraio Nicola II lascia il fronte e ritorna a Pietrogrado. Il primo marzo lo zar convoca i generali dell’esercito. Il Soviet di Pietrogrado abolisce la disciplina militare. L’esercito russo è nel caos totale. Nasce il Soviet a Mosca.

Tra il primo e il due di marzo nasce il Governo Provvisorio presieduto dal Principe L’vov, di ispirazione moderata, con il sostegno di Duma e Soviet, anche se di fatto sarà il Soviet a indicare la rotta politica, vista la debolezza interna della Duma. Il 2 marzo lo zar abdica a favore del fratello Michail che rinuncia alla corona il 3 marzo. Il 6 marzo viene chiesto asilo politico per la famiglia Romanov in Gran Bretagna che si era offerta di accogliere lo zar. Il 7 marzo il Soviet di Pietrogrado costringe il Governo Provvisorio a mettere agli arresti domiciliari la famiglia imperiale a Carskoe Selo.

Lenin rientra in patria subito dopo questi eventi e inizia a perseguire l’obiettivo della presa del potere totale proclamando le famose Tesi di aprile. Il rivoluzionario sostiene che è arrivato il tempo di abbandonare la fase borghese della rivoluzione, e inaugurare quella socialista. Ogni ipotesi di valorizzare la democrazia parlamentare deve essere superata in quanto questa forma di governo è tipica della borghesia. Esclude quindi qualsiasi forma di collaborazione con il nuovo governo. Operativamente Lenin propone di non sostenere la prosecuzione della guerra, trasmettere tutto il potere al Soviet, abolire l’esercito, nazionalizzare la terra, fondere le banche in un’unica banca nazionale. È un programma radicale, demagogico e massimalista che lascia perplessi anche molti bolscevichi, oltre ad alcuni partiti radicali che si sentono scavalcati a sinistra. Dal momento dell’arrivo di Lenin, l’ala bolscevica incomincia quindi a distanziarsi dal fronte comune delle sinistre.

Nel frattempo il 10 aprile la Gran Bretagna ritira l’offerta di accogliere lo zar e la sua famiglia. Tra il 20 e il 21 aprile vi sono disordini di piazza fomentati dai bolscevichi con l’intento di far cadere il Governo Provvisorio. Il 28 aprile i bolscevichi danno vita alla Guardia Rossa. Il 5 maggio viene inaugurato un nuovo Governo Provvisorio di coalizione che vede l’ingresso di 6 ministri socialisti provenienti dai Soviet, ma i bolscevichi di Lenin sono ancora una minoranza. Infatti, al termine del primo congresso panrusso dei Soviet che si tiene dal 3 al 24 giugno (vi partecipano 285 delegati socialisti rivoluzionari, 248 delegati menscevichi e 105 delegati bolscevichi) viene deciso da parte dei Soviet di sostenere il nuovo governo di coalizione contro la proposta bolscevica di interrompere subito la guerra e di dare tutto il potere ai Soviet. Il nuovo Governo di coalizione durerà due mesi.

Intanto il 9 giugno i bolscevichi tentano un’insurrezione armata sconfessata dai Soviet e Lenin, che intuisce che i tempi per la Rivoluzione non sono ancora maturi e vede in pericolo la sua persona, il 29 giugno fugge in Finlandia. Dal 3 al 5 luglio a Pietrogrado dopo un nuovo tentativo bolscevico di rovesciare il Governo Provvisorio, vi sono scontri armati e vittime. Il Governo accusa Lenin di spionaggio a favore dei tedeschi e ordina l’arresto di numerosi bolscevichi.

Il 24 luglio avviene un nuovo rimpasto di Governo e il socialista rivoluzionario Kerenskij diventa primo ministro. Costui è ossessionato dal timore di una contro rivoluzione da destra e decide quindi di lasciare mano libera ai contro rivoluzionari di sinistra, i bolscevichi che invece continuano nella loro impresa di far cadere il Governo per riunire tutto il potere nelle mani del Soviet, all’interno del quale però i rapporti di forza stanno mutando.

Il 9 agosto il governo Kerenskij indice le elezioni dell’assemblea Costituente per il 12 novembre, mentre il 15 agosto si apre a Mosca il tanto atteso Concilio della Chiesa Ortodossa. A fine agosto però avviene una nuova crisi di Governo che fa precipitare ulteriormente la situazione politica nel caos: lo spunto è dato dal caso Kornilov, capo dell’esercito, nominato dal primo ministro Kerenskij e poi destituito. Ad un certo punto a fine agosto si sparge la notizia di un presunto golpe militare da parte di Kornilov. Costui smentisce, ma il primo ministro non gli crede e lo destituisce, passando il potere al generale Alekseev. Inoltre, Kerenskij fa liberare tutti i bolscevichi arrestati a luglio e li arma offrendo loro un ruolo di aiutanti della legalità che li riabilita nel favore popolare.

A questo punto Lenin sente che il vento sta cambiando a suo favore. Lui sa perfettamente che le elezioni a suffragio universale non gli darebbero mai la maggioranza, che andrebbe ai socialisti rivoluzionari; inoltre un’assemblea eletta in modo popolare diventerebbe la sola legittima rappresentante del popolo e i bolscevichi non potrebbero più arrogarsi il diritto di parlare a nome del popolo e dei lavoratori. Per questo motivo qualsiasi iniziativa politica bolscevica ha bisogno della legittimazione dei Soviet, senza i quali il partito di Lenin non avrebbe alcun peso.

La crisi politica ha l’effetto per la prima volta di promuovere la politica bolscevica: tra fine agosto e settembre cambiano gli umori dei delegati del Soviet di Pietrogrado e per la prima volta i bolscevichi hanno la maggioranza. Nel tentativo di bloccare il processo di bolscevizzazione il presidium menscevico e socialrivoluzionario del Soviet si dimette con l’intento di delegittimare il consiglio in carica, ma i bolscevichi non rispettano le regole d’onore e di fair play. Approfittando del vuoto che si è creato, il 1° settembre costringono il Direttorio a proclamare la Repubblica senza aspettare la convocazione dell’Assemblea costituente. Il 9 settembre il Soviet passa anche formalmente dalla parte dei bolscevichi che riescono a far eleggere Presidente un proprio uomo, Lev Trockij. Ora il Soviet è praticamente monocolore ed è diventato uno strumento politico per la presa del potere. Il 12, 14 e 29 settembre Lenin scrive tre lettere dalla Finlandia in cui sprona i suoi a prendere il potere con le armi.

Il 25 settembre Kerenskij inaugura un nuovo Governo di coalizione, ma di fatto non governa più. Nella lettera del 29 settembre Lenin scrive ai suoi: “Abbiamo a Pietrogrado migliaia di operai e soldati in armi che possono impadronirsi immediatamente del Palazzo d’Inverno e dello Stato maggiore generale, della centrale telefonica e di tutte le grandi tipografie”. Il 9 ottobre il Soviet di Pietrogrado delibera la creazione di un braccio militare e nasce il Comitato militare rivoluzionario. Subito viene adottato dai bolscevichi che vedono un modo per legalizzare la Guardia Rossa creata ad aprile. In pratica il Comitato diventerà il centro operativo legale del colpo di Stato. Lenin torna a Pietrogrado il 10 ottobre e affronta lo scontro davanti al comitato centrale del suo partito, riesce a far prevalere la propria linea: il colpo di Stato deve precedere di pochissimo l’apertura del congresso del Soviet in modo che questo lo riconosca subito come suo. Il 21 ottobre il Comitato militare rivoluzionario chiede allo Stato maggiore dell’esercito che qualsiasi ordine alle truppe abbia la sua ratifica. Ne nasce un braccio di ferro: le truppe fedeli al Governo occupano una parte di Pietrogrado, i bolscevichi fanno altrettanto. Il Comitato invia i suoi commissari a sostituire i commissari governativi in tutte le unità militari, nei depositi di armi e munizioni, nelle fabbriche e nelle ferrovie.

Il 24 ottobre i commissari del Soviet sono piazzati in tutti i punti strategici della capitale: ponti, stazioni ferroviarie, centrale telefonica e telegrafica, banca di stato, senza di loro nessun ordine del governo può essere eseguito. Il 25 ottobre è la giornata del colpo di Stato: Lenin dichiara deposto il Governo Provvisorio, Kerenskij si allontana dalla capitale, tutto il potere passa al Soviet. Nella notte tra il 25 e il 26 ottobre vengono arrestati dentro il Palazzo d’inverno i membri del governo da un drappello di bolscevichi. Ha inizio il tempo della rivoluzione bolscevica. Il 26 ottobre i bolscevichi aprono il II Congresso dei Soviet e Lenin viene eletto Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo.

Nessuno ricorda che il Governo deposto era un governo formato con il consenso dei partiti rivoluzionari di sinistra, che avevano fatto cadere il regime zarista. La rivoluzione del 25 ottobre non assomiglia affatto ad una rivoluzione, non ci sono movimenti di massa, non c’è resistenza, quel giorno non si conta una sola vittima. Sembra che nessuno si accorga di niente. E il fiume di sangue che seguirà, nessuno quel giorno di ottobre del 1917 lo può prevedere...

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- Storia

La Rivoluzione russa: le forze politiche in campo

All’inizio del XX secolo, il panorama politico della Russia è decisamente variegato, e vede attive sul territorio formazioni di ispirazione liberale e altre di ispirazione socialista, ma tutte di recente costituzione (a partire dal 1898) in quanto l’impostazione autocratica dello Stato ha sempre dissuaso lo sviluppo di un’opposizione politica ufficiale.

L’elemento che unisce le diverse formazioni è la lotta all’autocrazia, che viene combattuta però con diversi metodi: il terrorismo, la propaganda, oppure la stampa. Di fatto, l’opposizione russa è costituita da un mosaico di correnti ideologiche che si combattono di continuo tra loro, e proprio questo fatto ha impedito la formazione di un ideale condiviso in previsione di una riforma dello Stato auspicata da tutte le forze.

Il polo liberale è costituito dal Partito democratico costituzionale (soprannominato dei “cadetti” dalle iniziali russe KaDe), dall’Unione del 17 Ottobre (detto anche partito ottobrista in ricordo del Manifesto zarista del 1905 che istituisce la Duma) e dall’Unione del Popolo russo.

I cadetti nascono nel 1905 e raccolgono parte della nobiltà e dell’intelligencija, ma soprattutto raccolgono adesioni tra le classi medie urbane. Nel momento di massimo successo, il partito conta circa 70.000 iscritti tra Mosca, Pietroburgo e le altre città maggiori di Russia. Il programma prevede la convocazione di un’Assemblea costituente, il suffragio universale, la Costituzione, la divisione dei poteri e tutte le libertà democratiche. Altro punto importante è la riforma agraria che dovrebbe consentire la diffusione della piccola proprietà. Loro obiettivo è creare in Russia una monarchia costituzionale, ma alcuni si spingono oltre, propugnando una democrazia repubblicana. Vi è poi un’amara costatazione: in nessuna occasione ufficiale i cadetti sono arrivati a condannare il terrorismo praticato dagli altri partiti, e questo evidenzia il vuoto ideale che ha caratterizzato tutta la società russa di quel periodo.

L’Unione del 17 Ottobre segue una tendenza liberal conservatrice ed è stata fondata nel febbraio 1906. Sostiene l’instaurazione di uno Stato di diritto, ma è contraria ad un’alleanza con le sinistre, non esclusa dai cadetti. Raggiunge un massimo di 50.000 iscritti tra impiegati e piccoli proprietari terrieri. Punti irrinunciabili del programma sono la conservazione dell’unità dell’Impero contro le autonomie locali, e l’estensione della piccola proprietà agraria senza però requisire le terre ai latifondisti.

L’Unione del Popolo russo nasce nel novembre 1905 a Pietroburgo. Vi aderiscono contadini, artigiani, operai, piccoli commercianti, e tra i leader si trovano anche sacerdoti. Sostiene l’autocrazia contro il costituzionalismo e l’unità dell’Impero. Al suo interno nascono le “Centurie nere” squadre dichiaratamente antisemite che scatenano numerosi pogrom antiebraici. Davanti agli eventi rivoluzionari, non resisteranno e si disintegreranno.

Le sinistre.

Il Partito socialdemocratico nasce clandestinamente a Minsk nel 1898 e unisce i vari gruppi rivoluzionari di ispirazione marxista. Durante il II Congresso di Londra nel 1903 il partito si divide in due fazioni: i menscevichi e i bolscevichi. I primi si aspettano la presa del potere da parte della borghesia, i secondi promuovono un partito centralizzato che instauri subito la dittatura del proletariato. Nel 1907 si contano 46.000 iscritti tra le fila dei menscevichi e 32.000 iscritti tra quelle dei bolscevichi, ma nel 1910 le iscrizioni dei bolscevichi scendono a 10.000. La cosa “curiosa” è che il partito del proletariato raccoglie adesioni per lo più tra i nobili e gli intellettuali e avrà il sostegno dei ricchi industriali. La rottura definitiva tra le due fazioni avviene nel 1912 alla conferenza di Praga.

Il Partito socialista rivoluzionario nasce nel 1902 dall’unione di vari gruppi e punta sull’azione armata, boicotta le elezioni della Duma e le riforme zariste. Non vuole nazionalizzare le terre, come i bolscevichi, ma rafforzare le comunità rurali distruggendo il latifondo. Si rendono protagonisti di diversi attentati, anche a personalità di spicco, nell’agosto del 1918 compiono un attentato a Lenin.

Il Partito del lavoro nasce in occasione della prima Duma, nel 1906, come gruppo parlamentare. Ha tendenze populiste e riunisce contadini e intellettuali. Non ha un programma e non si ritiene neanche un partito. Avversa i bolscevichi e dopo la rivoluzione si sfalda e scompare.

I gruppi anarchici. Il pensiero anarchico circola in Russia già dal 1860 attraverso intellettuali come Bakunin e Kropotkin e si diffonde tra studenti e populisti. Auspica l’abolizione dello Stato e delle leggi per garantire la piena uguaglianza tra gli individui. Nel periodo 1905 -1907 si arriva alla massima diffusione di questi gruppi, circa 250 con 7.000 affiliati. Vi sono gli Anarco-comunisti che perseguono la distruzione totale del capitalismo e dello Stato, gli Autonomi negano qualsiasi fondamento morale della società, i Radicali di Bandiera Nera auspicano azioni partigiane, espropri e terrore di massa, infine i Terroristi senza motivo progettano attentati individuali contro obiettivi scelti a caso, solo per moltiplicare la confusione e il panico tra le persone.

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- Storia

La Rivoluzione russa: la Chiesa ortodossa

Il secondo elemento cardine della Russia di inizio ‘900 è la Chiesa Ortodossa. Secondo la tradizione bizantina, il legame che unisce la monarchia alla Chiesa è strettissimo, sacrale. Lo zar è l’unto del signore, baluardo e sostegno della fede sulla terra. Da questa concezione ne conseguirono però anche dei rischi spirituali.

In apparenza florida e presente con oltre cinquantamila chiese in tutta la Russia, la Chiesa ortodossa in realtà fu compromessa dalla riforma impostale nel 1721 dallo zar Pietro il Grande che con il suo Regolamento ecclesiastico la decapitò, sostituendo il Patriarca con un funzionario pubblico, laico, posto a presiedere l’assemblea dei vescovi, il Santo Sinodo. Accettando la riforma, la Chiesa russa accettò di fatto di diventare un dicastero spirituale, al servizio dello Stato.

Scrive il filosofo Berdjaev: “Prevalse una diversa concezione della Chiesa: quella che la considera un’istituzione e una società di credenti, e la riduce alla gerarchia e al tempio. La Chiesa si trasformò in un istituto di cura nel quale le anime individuali entrano per essere risanate. È in tal modo che si afferma l’individualismo cristiano, insensibile al destino della società umana e del mondo. […] Un’ortodossia di questo genere, esclusivamente ascetico-monastica, in Russia è stata resa possibile solo dal fatto che la Chiesa ha scaricato tutto il peso dell’edificazione della vita sullo Stato. Solo l’esistenza di una monarchia autocratica consacrata dalla Chiesa ha reso possibile questo individualismo ortodosso, questa separazione del cristianesimo dalla vita del mondo. Il mondo era guidato e conservato dalla monarchia ortodossa che guidava anche lo stesso sistema ecclesiastico”.

Il nocciolo del problema risiede proprio qui: se lo zar e le autorità ecclesiastiche sono unite da un unico destino, persa la fiducia nel primo, la Chiesa stessa si troverà allo sbando. Quando nel 1916 fu tolto l’obbligo della confessione pasquale ai funzionari statali, la frequenza al sacramento precipitò dal 100% al 10%. La Chiesa ortodossa alla vigilia della rivoluzione era ormai decaduta nella considerazione popolare che la considerava alla stregua di un potere burocratico senza alcuna autorità morale.

A dire il vero, più parti all’interno della Chiesa supplicarono Nicola II affinché convocasse un nuovo Concilio che avrebbe dovuto occuparsi dei progetti di riforma della vita ecclesiale, ma lo zar si oppose sempre, e il Concilio venne convocato solo dopo l’abdicazione del monarca. Sarà ormai troppo tardi per influenzare la vita sociale: la rivoluzione bolscevica era alle porte.

Quindi, allo scoppio della prima guerra mondiale la situazione politica e sociale della Russia è già in stallo, e il conflitto, più che produrre una crisi, impedirà di uscire da quella in atto. È in questo vuoto, in questa assenza di riferimenti che si inserirà il marxismo, portato avanti con determinata lucidità da Lenin.

Scrive nel 1918 lo scrittore Bulgakov: “Bisogna far rinascere la vita ecclesiale; questo è oggi il compito patriottico, culturale e perfino politico più importante in Russia. Solo da questo centro spirituale può rinascere anche la Russia e perciò vedo nel nostro Concilio l’evento più importante della storia russa recente, in particolare dell’epoca rivoluzionaria con tutti i suoi cambiamenti di scena e le tempeste partitiche”.

Il Concilio tanto atteso si aprì nel mese di agosto del 1917 e il 20 settembre del 1918 fu chiuso forzatamente dai bolscevichi andati al potere.

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- Storia

La Rivoluzione russa: l’ultimo Zar

Nicola II, ultimo zar di Russia, sale al trono a ventisei anni, nel 1894. All’età di tredici anni subì l’esperienza traumatica dell’omicidio del nonno, lo zar regnante Alessandro II, assassinato da un terrorista appartenente al gruppo “Volontà del popolo”. Da allora matura in lui la convinzione profonda della necessità di difendere sino alla morte l’irrinunciabile triade “ortodossia – autocrazia – popolo”.

Nicola II ha una natura mistica, una religiosità fervente ma pietistica e fatalista: è profondamente convinto che il popolo ami devotamente e incondizionatamente il suo zar, benedetto da Dio.
Questa posizione gli impedirà di comprendere fino in fondo la nuova epoca di cambiamenti sociali che si sta facendo strada nella società, convinto di aver ricevuto l’alta missione di trasportare intatta l’autocrazia nel nuovo secolo.

Il primo banco di prova che si presentò allo Zar, fu il conflitto russo – giapponese (gennaio 1904-agosto 1905). Il modo in cui fu affrontata la guerra da parte di Nicola II e del suo establishment dimostrò incompetenza politica e impreparazione militare. L’esercito russo subì tre pesanti sconfitte e il 23 agosto 1905 a Portsmouth, grazie alla mediazione del Presidente statunitense Roosevelt, russi e giapponesi siglarono un accordo di pace. Il danno per la Russia fu più morale che materiale: da quel momento trionfò la totale sfiducia nei confronti dei vertici militari e del governo e il seme rivoluzionario si radicò sempre di più anche nelle forze armate.

Sempre durante la guerra con i giapponesi, avvenne l’episodio che sancì il punto di non ritorno per la monarchia e la fiducia del popolo nei confronti di Nicola II. La carneficina passò alla storia come la domenica di sangue e distrusse per sempre l’immagine dello Zar come padre del popolo.

Il 9 gennaio 1905 a San Pietroburgo un corteo di 140.000 persone, vestite a festa, con famiglie intere, icone, stendardi professionali e ritratti di Nicola II si dirige verso la piazza del Palazzo d’inverno. Manifestano in modo pacifico, e guidate da un sacerdote, Georgij Gapon, intendono esporre direttamente al sovrano le necessità degli operai e delle classi meno abbienti. Nicola II però, avvertito dell’iniziativa che si stava preparando, il 6 gennaio lascia il Palazzo, affidando la gestione dell’ordine pubblico al governatore della città. Ad attendere Gapon in piazza ci sono i soldati e la polizia schierati con i fucili. All’ordine ricevuto, sparano contro la folla inerme: le vittime saranno tra le 1.000 e le 1.200 persone. “Non c’è più Dio, non c’è più uno Zar” urla padre Gapon in mezzo al caos.
La carneficina della domenica di sangue pose fine per sempre all’immagine del monarca cristiano che ha a cuore il bene del suo popolo, e un movimento di rivendicazione sociale che era prettamente operaio e democratico rifluì tra le file rivoluzionarie.

La reazione del Paese alla strage fu immediata, scioperi si organizzarono in tutte le fabbriche della Russia, e le agitazioni si trasferirono anche in campagna dove vennero saccheggiate e incendiate migliaia di tenute nobiliari.
Dieci giorni dopo la domenica di sangue, Nicola II consente a ricevere una delegazione di 35 operai selezionati da un elenco concordato. Lo zar legge un discorso nel quale dice tra l’altro: “È un delitto manifestare a Me le vostre necessità convenendo in folla sediziosa […] Io credo nei sentimenti onesti degli uomini del lavoro e nella loro incondizionata dedizione alla mia persona e per questo perdono la loro colpa”.

Con questo episodio, il vecchio regime arma la mano della rivoluzione, non permettendo di vedere alternative alla totale chiusura conservatrice, se non quella della violenza.

Nel biennio 1905-1907 saranno oltre 4.500 le vittime di attentati terroristici, tra funzionari pubblici, ufficiali e ministri; 2.180 le vittime tra semplici cittadini; nel 1906 vi fu anche l’attentato al Premier Stolypin, che fu poi ucciso nel 1911.

A nulla valse la concessione da parte dello zar della costituzione della Duma, la camera bassa del Parlamento, nell’ottobre 1905: essa rimarrà sempre in balia dell’arbitrio del sovrano che infatti la sciolse per ben due volte, nel luglio 1906 e nel giugno 1907.

La fine della monarchia dei Romanov era incominciata. Nel prossimo articolo analizzeremo la crisi in cui versava la Chiesa ortodossa.

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- Storia

La Rivoluzione russa

Sono trascorsi cento anni dalla “Rivoluzione” russa, che portò al potere per la prima volta nella storia il partito dei bolscevichi, ossia quella frazione minoritaria della società russa, di ispirazione marxista, che guidata da Lenin riuscì in pochi mesi, dal marzo all’ottobre 1917 a rovesciare il potere zarista e sostituirlo con la dittatura del proletariato.

Nonostante l’anniversario sia significativo, non ci sembra che la stampa e i mezzi di informazione lo abbiano ricordato dedicandovi particolare spazio e attenzione. Men che meno il tema è stato affrontato da partiti o associazioni culturali che del marxismo e dei suoi derivati si sono nutriti in questi ultimi cento anni: silenzio assoluto. Voglia di dimenticare le origini?

Unica eccezione un’interessante mostra dal titolo “1917 – Russia il sogno infranto di un mondo mai visto” presentata al Meeting di Rimini ad agosto e curata da Adriano Dell’Asta, Marta Carletti e Giovanna Parravicini i cui pannelli sono stati riuniti in un volume edito da La casa di Matriona con il medesimo titolo.

Cosa accadde in Russia, cento anni fa? Quali furono le cause che portarono alla caduta di un regime, quello zarista, tra i più longevi del continente europeo, il cui capo supremo, lo Zar, era sia capo civile che guida religiosa?

Le motivazioni che per decenni abbiamo letto e ascoltato, facevano riferimento allo sfruttamento delle classi più umili e povere (contadini e operai), da parte della borghesia e della nobiltà legata allo zar che ad un certo punto trovarono la forza e il coraggio di ribellarsi. Queste classi, guidate da personaggi intellettualmente superiori, tra i quali certamente spicca Lenin che fu il vero regista della presa del potere da parte dei bolscevichi, riuscirono ad abbattere il vecchio regime, instaurando il governo del popolo. Questa, in estrema sintesi, la storiografia ufficiale sulla Rivoluzione russa che abbiamo letto in classe nei libri di storia sino a qualche anno fa.

In realtà le cose non andarono proprio così.

La Russia di inizio ‘900 non era così arretrata come la si dipinse dopo la Rivoluzione. Tre dati per rendere l’idea: l’incremento della produzione industriale nel periodo 1900 – 1913 fu del 74,1%; nel 1915 il 51% dei bambini dagli otto agli undici anni aveva ricevuto l’istruzione elementare e il 68% dei soldati sapeva leggere e scrivere. Nel campo delle arti, della letteratura e della scienza, la Russia in quei primi anni del XX secolo non era seconda a nessuno. Certo, esistevano sacche di povertà, la riforma agraria non era ancora compiuta, ma nel complesso la società russa non viveva al di sotto del livello economico e sociale che ritroviamo in altri Paesi europei.

Le cause della crisi che portarono alla Rivoluzione sono da ricercarsi nello svuotamento di significato dell’origine stessa dell’autorità del potere: lo Zar e la Chiesa ortodossa.

Il sistema autocratico impersonato dallo Zar non fu più adeguato ai nuovi tempi e la Chiesa, abituata da secoli ad essere asservita al potere secolare, non sembrò essere in grado di rispondere alle nuove sfide che stavano provocando la società, come l'esigenza di una maggiore libertà di espressione, i diritti dei lavoratori, la riforma della proprietà della terra, le libertà politiche e così via. Diventata religione di Stato, la Chiesa ortodossa smarrì le ragioni profonde della propria missione.

Così il filosofo Berdjaev descrive il periodo precedente la Rivoluzione: “Il nostro popolo è gravemente malato, malato nell’anima, sta attraversando una crisi profonda, ha perduto la luce della vecchia fede e non ha trovato alcuna nuova luce. Il popolo è schiavo dei propri istinti e passioni peccaminose, è facile sedurlo e ingannarlo, è facile fargli violenza. […] Chiunque lo può confondere e può dirigere la sua volontà in qualsiasi direzione, ad attaccare la borghesia e la società colta oppure gli ebrei e gli stessi rivoluzionari. È libero e protetto solo chi ha un centro spirituale, chi ha un nucleo morale che non è scosso e indebolito”.

Nei successivi articoli analizzeremo più da vicino le ragioni del crollo della fiducia nei confronti dello Zar, la crisi in cui si trovò la Chiesa ortodossa all’inizio del ‘900 e la diabolica cronologia di eventi che in otto mesi consegnarono una delle più grandi e popolate nazioni del mondo, la Russia, nelle mani di un manipolo di bolscevichi che per settant’anni tentarono di realizzare l’utopia di creare un uomo nuovo, senza Dio, senza famiglia, senza legami tranne quello che lo stringeva a doppio filo al Partito del popolo.

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- Libri

London Lies

Prendete una donna non ancora trentenne, e quindi ancora alla ricerca del senso della vita, Emma Woodhouse, prendete un belloccio di New York, David Wilson, e catapultatelo dalla stratosfera a Londra, proprio nell’ufficio di consulenza aziendale strategica dove lavora Emma, e infine immaginate il cognato di lei, Matthew Hunt, di cui Emma è perdutamente innamorata, a sua insaputa, che è in procinto di sposarsi con una austera e menzognera geisha giapponese.

Mescolate il tutto con una Londra (e dintorni) affascinante e luccicante, nonostante il suo grigiore climatico, aggiungete q.b. di relazioni velenose vissute sul luogo di lavoro, più simile ad un covo di vipere che altro, dove si elaborano innovative strategie per eliminare i rivali (sia in amore che di carriera); insaporite il tutto con i familiari di Emma, sorella, nonna, zii e nipoti indisciplinati, che coinvolgono, e sono coinvolti da Emma in divertenti episodi, e infine servite il tutto con eleganza di stile e brillantezza di scrittura.

Ecco gli ingredienti di questo dolce (potremmo immaginarlo un riuscitissimo crumble di mele per restare in tema), cucinato a puntino dalla scrittrice Silvia Molinari, alla sua seconda esperienza letteraria.

London Lies è un romanzo coinvolgente sin dalle prime pagine: la storia, che all’inizio può far pensare ad un romanzo rosa, estivo, da leggere sotto l’ombrellone, non deve ingannare. In realtà London Lies, letto con attenzione, è un romanzo dove le relazioni uomo – donna sono analizzate in profondità sotto diversi aspetti, sentimentali, lavorativi, generazionali, in modo preciso, originale e con taglio ironico.

È la vis comica che pervade tutto il romanzo, infatti, la chiave del successo di quest’opera. Raramente ci è capitato di leggere, tra le recenti pubblicazioni, un romanzo così accattivante, capace di raccontare episodi anche banali della vita di tutti noi, in modo così divertente ed ironico.

Non vi raccontiamo il finale, per ovvie ragioni, ma vi consigliamo di scoprirlo da soli e, arrivati alla fine, proverete forse, come noi, una spiacevole sensazione di abbandono, tanto vi eravate abituati al mondo magico e frizzante dentro il quale vi aveva accompagnato questa lettura.

Il romanzo è acquistabile nelle due versioni, ebook e cartacea, su Amazon e nei principali internet store. Da non lasciarselo sfuggire.

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- Politica

Voltagabbana

Da quando sono stati resi noti i risultati dei ballottaggi amministrativi, che hanno visto l’indubbia vittoria delle coalizioni di centro destra, ancorché inaspettatamente per alcuni commentatori, appare evidente che tra i parlamentari italiani qualcosa è cambiato: l’aria che respirano. E l’aria non tira più verso la Toscana del riconfermato segretario PD, ma scavalca il Po e va su, più a Nord, per fermarsi nell’afosa Brianza, nel comune di Arcore.

Intendiamoci, il cambio di casacca dei nostri parlamentari non è un fenomeno né nuovo, né sconvolgente. Ogni Legislatura ha visto innumerevoli transumanze in corso d’opera, e quindi anche gli ultimi salti sul carro del presunto vincitore (Berlusconi) non ci stupiscono.

Però, ogni volta che ne leggiamo sui giornali, questi cambiamenti aumentano la delusione nei confronti di una classe dirigente composta da persone, ciascuna delle quali dovrebbe rappresentare la Nazione, e che invece pare proprio abbia a cuore unicamente sé stessa e il proprio interesse. Che, nel contingente, sarebbe quello di trovare il porto sicuro per una prossima rielezione, visto che ormai la Legislatura è agli sgoccioli.

Inutile fare nomi e cognomi di questi onorevoli deputati e senatori, non sono quelli che ci interessano e poi non li riteniamo meritevoli di essere ricordati, meglio dimenticarli e non fare pubblicità gratuita.

Sarebbe moralmente giusto però che gli elettori di questi personaggi, che sicuramente nella loro circoscrizione elettorale sono ben conosciuti, si ricordassero di costoro il giorno fatidico delle elezioni, e li ignorassero.

Tale comportamento sarebbe una concreta e tangibile lezione di civiltà per coloro che iniziano la Legislatura in un partito all’opposizione, poi passano nella cordata di governo, e alla fine della Legislatura sentono il dovere morale di ripassare all’opposizione, sperando, beati loro, che l’ultimo partito scelto sarà al governo nella Legislatura seguente. Il tutto per poter ambire a qualche posto di vice ministro, di vice segretario, di vice qualcosa…

Esiste una soluzione? Posto che per fortuna la maggioranza degli onorevoli è moralmente e politicamente coerente per tutta la durata della Legislatura, forse l’unico disincentivo ai cambi di casacca effettuati per interesse sarebbe quello di limitare per legge a due Legislature il numero massimo di volte consecutive per poter essere eletti in Parlamento.

Governare gli italiani, diceva qualcuno, è impresa quasi impossibile, ma anche essere governati da italiani mette a dura prova la pressione arteriosa…

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- Politica

Alitalia docet

Era il 4 dicembre 2016 quando Renzi, dopo la vittoria dei NO al Referendum costituzionale da lui proposto, si dimise da Premier e decise di porre termine alla sua prima esperienza di Governo.

All’epoca fummo dispiaciuti per l’esito del Referendum, ma del resto fummo anche tra i primi a scrivere che personalizzare la scelta referendaria e renderla una scelta politica Renzi SI o Renzi No non avrebbe giovato all’esito della consultazione e così avvenne.

Quello fu un grave errore che il giovane Renzi, alle prese con la sua prima esperienza di Premier, commise e di cui si assunse la responsabilità.

Trascorsi cinque mesi Renzi è stato riconfermato, da consultazioni che hanno coinvolto circa due milioni di italiani, leader indiscusso e senza rivali credibili del primo partito del Centro Sinistra, mentre la situazione politica, economica e sociale del Paese è rimasta invariata. Anzi, se consideriamo che in questi cinque mesi gli altri Paesi europei hanno avuto una crescita economica e un calo della disoccupazione, possiamo affermare che l’Italia abbia fatto un ulteriore passo indietro nella classifica generale.

Certamente non penso che in cinque mesi, se l’esito del Referendum fosse stato favorevole ai SI, la situazione in Italia si sarebbe potuta capovolgere. È un fatto però che, di tutti coloro che in campagna referendaria sostennero e votarono per il NO, dichiarando che dal giorno successivo al Referendum si sarebbe ripreso a studiare una nuova riforma costituzionale, non è rimasta l’ombra.

Anche perché la luce sull’argomento riforme è stata spenta, e chi dirige il grande circus dell’informazione ha deciso di spostare i riflettori su altri argomenti più di moda in questo momento: immigrazione clandestina, fine vita, violenza sulle donne, Brexit, guerra in Siria e sullo sfondo un Paese di nome Corea del Nord…

Per il resto della cronaca, peanuts, noccioline.

La conclusione: l’Italia rimane bloccata, cristallizzata in un sistema di norme e regole che sulla carta tutti vogliono cambiare perché obsolete e non adeguate ai tempi moderni, mentre invece nella realtà dei fatti sembra che queste norme vadano bene a molti partiti politici e a molti italiani…

E quindi non ci resta che continuare a ringraziare quel 60% di concittadini che, andando a votare NO, hanno permesso ai falsi profeti seduti fuori e dentro il Parlamento, di ottenere l’ennesima vittoria di Pirro e di lasciare l’Italia ancora una volta immobile, ferma a terra nel cammino delle riforme che a questo punto nessuno sa quando potranno riprendere il via. Del resto Alitalia docet.

A questo punto, forse, la cosa migliore sarebbe mettersi d’accordo almeno sulle regole del gioco e andare a votare quanto prima.

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- Società

Il silenzio dei moderati

Ormai ci siamo quasi abituati, ma c’è stato un tempo in cui le uniche urla che si sentivano in TV erano quelle di Tarzan e della simpatica Cita. Ora invece un programma televisivo ha successo solo se gli ospiti presenti si insultano a vicenda e urlano a squarciagola le proprie presunte ragioni. Così milioni di italiani possono tifare in diretta per la propria fazione, scelta davanti al video in quell’istante, senza un particolare motivo, facendo nel contempo salire l’audience e gli introiti pubblicitari della rete.

È un modo surrettizio per far credere allo spettatore di essere parte del programma, di fargli scaricare le proprie frustazioni dal personaggio che in quel momento è in video a lanciare grida all’indirizzo della parte avversa.

Oggi sembra impossibile raggiungere l’obiettivo di incrementare i guadagni e sostenere quindi lo star system senza portare all’esasperazione i protagonisti di un talk show.

Questo modello, partito dai programmi di intrattenimento, a largo ascolto, si è esteso nel tempo anche ad altri programmi del palinsesto, meno seguiti, come ad esempio i talk ad argomento politico. Le vecchie tribune hanno lasciato spazio a programmi di intrattenimento con ospiti politici che sempre di più hanno incominciato a comportarsi come attori, comici, macchiette, gente di spettacolo.

Da tempo ormai assistiamo, da parte degli stessi leader di partito, all’adozione di forme sempre più estreme di manifestazione del pensiero, che non viene più declamato nei comizi, o dalle pagine dei giornali, ma urlato attraverso i canali TV e i moderni social media.

E in questi ultimi anni siamo arrivati alla chiusura del cerchio, con un comico di nascita che ha dato vita ad un movimento politico e si è candidato alla guida del Paese urlando al pubblico il proprio pensiero attraverso un blog.

Questo modo di comunicare ha permesso anche a personaggi non estremamente dotati di idee brillanti e di una prosa adeguata, di urlare a squarciagola quello che passava loro nella mente, senza apparentemente mostrare che il pensiero espresso fosse stato prima meditato ed elaborato, con il risultato di abbassare di molto il livello qualitativo della discussione politica.

Le conseguenze: potenzialmente pericolose, nella misura in cui gruppi di perone possono legittimamente credere a quanto loro urlato in faccia ogni giorno, mentre perdura il silenzio dei moderati, di coloro che non si riconoscono in questo sistema, ma per mille ragioni non intendono utilizzare il medesimo canale espressivo degli urlatori.

Arriverà però un giorno che i moderati di questo Paese dovranno ribellarsi, e dire basta a questo modo di gestire la comunicazione e la politica. Se non lo faranno, diventeranno complici dell’inesorabile disfacimento della società, perché ad avere l’ultima parola sarà sempre colui che urla di più, e non colui che pensa e ragiona meglio, e lo sa dimostrare con i fatti.

In fondo, se ci pensiamo bene, basta un dito per cambiare canale e far tacere l’urlatore.

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- Esperienze di vita

Sul fine vita

Il suicidio assistito di Dj Fabo ha riaperto in queste settimane il dibattito pubblico sul tema del fine vita.

Tutti noi siamo stati inghiottiti dalla campagna mediatica dei sostenitori della legalizzazione anche in Italia dell’eutanasia e dalla contro campagna di chi invece è contrario, tendenzialmente i cattolici, gli ultimi rimasti a difendere il valore della vita umana a prescindere da qualsiasi forma estrema essa possa assumere.

La mia impressione è che, partendo da questa contrapposizione, non si arrivi da nessuna parte e ognuno resti arroccato alle proprie posizioni, senza che le ragioni degli uni e quelle degli altri vengano realmente a contatto e si comprendano vicendevolmente.

Il mio contributo sul tema del fine vita parte da una dichiarazione, e dal racconto di un’esperienza vissuta.

La dichiarazione è che sono un cattolico praticante.

Il racconto dell’esperienza vissuta è il seguente. Il 31 dicembre 2015, poche ore prima della mezzanotte, il mio amico Ugo è salito al cielo. Era malato di SLA da sei anni e forse qualcuno di voi ha già letto i post che parlano di lui su questo blog. Sono stati anni di fatica, tantissima, per Silvia, la moglie, che non lo ha mai lasciato solo un giorno, e nel frattempo ha cresciuto i due figli che ora hanno dieci e otto anni, ma anche per Ugo che, oltre a dover subire la malattia che avanzava a passi da gigante, vedeva passare davanti agli occhi la vita dei suoi cari senza poter fisicamente agire.

Eppure dal rapporto tra marito e moglie, dove ad operare era l’essenziale e non altro, attraverso la fatica del quotidiano, giorno dopo giorno, sono germogliati un’infinità di relazioni, di situazioni, di incontri che hanno cambiato la vita stessa delle persone coinvolte. Era impossibile rimanere gli stessi dopo una visita a casa di Ugo e Silvia. A casa loro si stava bene, tutti stavano bene. Ci si sentiva meglio, si usciva cambiati.

Si andava a casa loro con la scusa di salutare Ugo, ma in realtà era come si volesse vivere un poco vicino a quell’unione, si volesse contemplare l’unità presente tra un corpo immobile, Ugo e sua moglie Silvia. Unità che rimandava a qualcosa d’altro, ad una Presenza che la rendeva possibile, umanamente possibile.

Un’alternativa alla clinica svizzera della dolce morte abbiamo quindi visto che esiste, e produce anche frutti meravigliosi il cui sviluppo nel tempo rimane misterioso, ma allora tutto si esaurisce qui, di fronte al racconto di questo fatto?

Assolutamente no. Mi rendo benissimo conto che un tale approccio ad una malattia estrema come la SLA sia possibile solo se si possiedono principi morali laici o religiosi molto forti o si è sostenuti da una fede, o dalla Fede, ed anche da un gruppo di persone, (almeno all’inizio, poi arriva il centuplo inaspettato, ma promesso) disponibili ad aiutare la famiglia colpita dall’evento.

Di solito infatti, non è solo il malato che rimane vittima del suo nuovo status, ma è tutta la vita che gira intorno a lui a rimanerne coinvolta e sconvolta. E quindi la risposta che si dà a questa nuova situazione è per forza una risposta interpersonale, di relazioni umane.

Ho letto da parte di alcuni che lo Stato dovrebbe maggiormente sostenere finanziariamente le famiglie impegnate a gestire questi tipi di malati. Certamente gli aiuti economici in questo caso non si rifiutano mai. Specialmente quando il malato viene gestito a casa, senza gravare su posti di cura pubblici e molto costosi.

Ma sinceramente, nel caso che ho potuto seguire da vicino, quello che ha fatto la differenza è stato il punto di partenza, l’ideale che Ugo e Silvia hanno abbracciato il giorno del matrimonio e che non hanno mai abbandonato, a tenere unita la famiglia anche in circostanze così drammatiche, per chi le vedeva dall’esterno. Perché, a casa loro, non ho mai vissuto un solo attimo di tristezza, ma sempre momenti di normale vita familiare, di gioia e di profonda amicizia tra tutti coloro che si alternavano a venire a trovarli anche solo per un saluto.

E chi non possiede questa forza morale, questa incrollabile fede che gli permette di scegliere la vita al di là di qualsiasi cosa, perché è consapevole del dono che ha ricevuto e per nessuna ragione se ne priverebbe, cosa può decidere di fare in casi simili? Potrebbe decidere che non vale più la pena di vivere incollati in un letto e senza più alcuna speranza di guarigione? Potrebbe decidere che non vuole vedere soffrire i suoi cari e volersi togliere la vita come ultimo gesto d’amore nei loro confronti?

Penso di sì. Potrebbe optare per questa scelta.

Io non credo che un cattolico possa giudicare un essere umano che decide di togliersi la vita, in nessun caso. Un cattolico è dispiaciuto per il gesto che viene compiuto dal suicida, nel caso in cui magari lo conosca anche personalmente, può sentirsi in colpa per non essere riuscito a stargli più vicino e a fargli scegliere la vita, piuttosto che la morte, ma non debba mai sostituirsi all’Unico in grado di comprendere fino in fondo l’animo umano.

Pertanto personalmente non sono contrario ad una legge che anche in Italia regolamenti questo tipo di realtà, questo tipo di situazioni estreme perché penso che il problema non sia la morte, ma sia a monte.

O le persone incontrano qualcosa per cui valga la pena vivere, oppure nel caso in cui la vita ponga loro degli ostacoli superiori alla quotidianità (ogni giorno ha già la sua pena), possono sentirsi perse, abbandonate. La solitudine fa il resto.

Allora per noi cattolici, la responsabilità di questo momento storico è grandissima. La vita delle persone non cambia con dei richiami etici, ma cambia se vedono che qualcuno sta vicino a loro, li aiuta gratuitamente e offre loro la possibilità di re-imparare che un modo diverso di vivere e morire è possibile.

Tenendo sempre presente che il libero arbitrio esiste e che nostro Signore ce lo ha donato perché Lui stesso ci ha voluto così.

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- Politica

L’ideale che unisce

Come la maggior parte degli italiani, assisto basito in questi giorni all’ultimo atto di una disfida politica, tutta interna al maggior partito politico rappresentato in Parlamento: il Partito Democratico.

E non riesco a comprendere le ragioni politiche di questa lotta intestina che si protrae da mesi.

Per inciso: non sono un elettore del PD, ma comprendo bene che se il maggior partito politico a vocazione governativa è in crisi da mesi, molto probabilmente anche tutta la macchina di governo ne risentirà, e quindi, per il bene comune, sarebbe meglio che si facesse chiarezza una volta per tutti, chi sta con chi e soprattutto quali sono gli obiettivi da perseguire. Prima occorrerebbe che tutti i dirigenti del PD facessero un’analisi sui temi e sui problemi da risolvere e solo dopo, si dovrebbero considerare i nomi e gli incarichi da distribuire.

Fermo restando che un Governo in carica, al momento, il nostro Paese lo possiede.

Non credo di esprimere un pensiero particolare, ma anzi abbastanza ovvio e banale, un pensiero se vogliamo di buon senso.

Detto ciò, forse questa è finalmente l’occasione per fare una volta per tutte chiarezza sulla genesi di questo partito. Il Manifesto dei valori, approvato dal PD il 16 febbraio 2008, recita: “Il Partito Democratico intende contribuire a costruire e consolidare, in Europa e nel mondo, un ampio campo riformista, europeista e di centro-sinistra, operando in un rapporto organico con le principali forze socialiste, democratiche, progressiste e promuovendone l'azione comune”.

Una dichiarazione d’intenti sicuramente ambiziosa, ma di tutto rispetto e, se vogliamo, necessaria in un Paese come l’Italia, non particolarmente vivace e attivo nel promuovere cambiamenti allo status quo in molti settori della vita civile, economica e sociale. Basti pensare a cosa succede ancora oggi quando si cerca di modificare qualche privilegio o rendita di posizione di particolari “corporazioni”…

Il Comitato promotore del partito era costituito dai seguenti illustri personaggi:

Giuliano Amato, Mario Barbi, Antonio Bassolino, Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi, Paola Caporossi, Sergio Cofferati, Massimo D'Alema, Marcello De Cecco, Letizia De Torre, Ottaviano Del Turco, Lamberto Dini, Leonardo Domenici, Vasco Errani, Piero Fassino, Anna Finocchiaro, Giuseppe Fioroni, Marco Follini, Dario Franceschini, Vittoria Franco, Paolo Gentiloni, Donata Gottardi, Rosa Jervolino, Linda Lanzillotta, Gad Lerner, Enrico Letta, Agazio Loiero, Marina Magistrelli, Lella Massari, Wilma Mazzocco, Maurizio Migliavacca, Enrico Morando, Arturo Parisi, Carlo Petrini, Barbara Pollastrini, Romano Prodi, Angelo Rovati, Francesco Rutelli, Luciana Sbarbati, Marina Sereni, Antonello Soro, Renato Soru, Patrizia Toia, Walter Veltroni, Tullia Zevi .

Già solo scorrendo velocemente questo elenco di nomi, si può intuire la diversità delle storie personali di ciascun membro e la scarsa omogeneità delle posizioni politiche di cui invece il neo costituito PD si candidava a strutturare in una sintesi unitaria, per proporre all’Italia un’azione politica che fosse convergente su determinati principi e obiettivi di interesse comune.

La situazione oggi?

All’interno del PD coesistono una pluralità di “correnti” o, per meglio dire, centri di interesse particolare quali:

• Sinistra Riformista ispirata da Pierluigi Bersani e Roberto Speranza,
• ConSenso ispirata da Massimo D’Alema, e vicina a Sinistra Riformista,
• Rifare l’Italia (i c.d. Giovani Turchi) ispirata da Matteo Orfini, Andrea Orlando,
• Sinistra è cambiamento guidata da Maurizio Martina
• Rete Dem con il suo leader Giuseppe Civati
• Sinistra Dem guidata da Gianni Cuperlo
• Socialisti e Democratici fondata nel 2015 da Marco di Lello
• Liberal PD che fa riferimento a Enzo Bianco
• Rottamatori di Matteo Renzi
• FutureDem seguiti da Benifei e Bonomo
• AreaDem di Dario Franceschini
• Ecologisti democratici guidati da Ermete Realacci

Dietro ciascuna di queste sigle troviamo uno o più leader che, forse anche con diritto, tentano di portare avanti le proprie legittime idee, condizionando quanto più possibile la vita del partito secondo le proprie convinzioni.

Purtroppo però non sempre il risultato è la somma degli sforzi che si prodigano, talvolta anzi nel PD si sono viste posizioni politiche diametralmente opposte su grandi temi di interesse generale (ultimo caso in ordine di tempo la posizione sul Referendum costituzionale) e allora viene da chiedersi che utilità possa dare alla governabilità dell’Italia un partito che prende il 30% di voti alle elezioni, ma che poi non è unito sui grandi temi e non riesce quindi ad essere forza propulsiva del tanto desiderato cambiamento.

La domanda vera, dopo quello che abbiamo sin qui descritto, è allora la seguente: può il PD essere considerato un partito politico in senso stretto o piuttosto, dalla sua nascita, dieci anni fa, è stato il risultato da parte di gruppi politici affini, di unire interessi differenti, e in un certo senso anche convergenti, che hanno trovato una grande casa per un certo periodo di tempo, per portare avanti battaglie comuni? Quella famosa fusione a freddo di cui qualche esponente politico parlò nel 2007…

Ma da chi è composto un partito politico, mi domando. La risposta che mi verrebbe è: da persone che hanno un ideale in comune.

Ora, nella società liquida in cui viviamo, parlare di ideale può sembrare eccessivo o fuori moda, ma nella politica, quella con la P maiuscola, se si toglie l’ideale si toglie tutto, e rimane solo la ricerca del proprio interesse, del potere, della ricchezza fine a sé stessa.

Quale ideale comune persegue oggi il PD?

Una delle più belle riflessioni sulla politica a favore dell’uomo in generale, e quindi del bene comune in particolare, è secondo me quella del Mahatma Gandhi: “L'uomo si distrugge con la politica senza princìpi, col piacere senza la coscienza, con la ricchezza senza lavoro, con la conoscenza senza carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità, con la fede senza sacrifici.”

Una politica senza princìpi, coscienza, lavoro, carattere, morale, umanità e sacrificio si rivela essere una politica contro l’uomo, contro il bene comune.

Io, come la maggior parte degli italiani, non sono in grado di valutare se all’interno del PD, ci sia o ci sia mai stato, un ideale comune. Ma in questi giorni, penso che sia questo il vero tema che i dirigenti del PD debbano discutere de visu per poi assumere le decisioni conseguenti.

Tenendo conto di tutti i fattori in gioco, della situazione politica interna, ma anche di quella internazionale. Una classe dirigente che voglia candidarsi alla guida del Paese, dovrebbe valutarli tutti e poi prendere responsabilmente una decisione definitiva che ponga finalmente termine a questo tira e molla che sta esaurendo le energie psicofisiche degli elettori italiani e soprattutto non trasmette serenità all’azione del Governo in carica.

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- Politica

Il New Deal trumpiano

Come penso moltissimi milioni di persone in tutto il mondo, sono reduce dall’aver seguito in televisione l’insediamento del 45° Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Che dire: personaggio più diverso dal suo predecessore, Barack Obama, il neo Presidente non poteva essere.

Basterebbe un'occhiata ai due profili Twitter per farsi subito un’idea delle distanze.

Il profilo di Trump si riassume in questi numeri:
iscritto dal marzo 2009
34.300 tweet
42 following (persone che lui segue)
20,7 milioni di follower (persone che lo seguono)

Il profilo di Obama invece:
iscritto dal marzo 2007
15.400 tweet
632.000 following
80,9 milioni di follower

Le differenze sono sotto gli occhi di tutti: quelli di Trump sono fissi sul suo ombelico (formato da 42 persone, metà suoi familiari, tutti statunitensi), quelli di Obama sono spalancati sul mondo e il mondo lo ricambia seguendolo (quasi 81 milioni di persone contro i 21 che seguono il neo president).

Trump esterna tweet a ripetizione, praticamente uno ogni volta che gli viene in mente un pensiero degno di nota, secondo lui (circa 12 tweet al giorno, dalla data di creazione del profilo), mentre Obama è più riflessivo nell’uso dello strumento (4 tweet in media al giorno).

Rileggendo (http://www.corriere.it/Speciali/Esteri/2009/Discorso_Obama/) il discorso di insediamento di Obama di 8 anni fa, le parole che ritornano sono correre rischi, fatiche di uomini e donne, lotta, sacrificio, ovunque guardiamo c’è lavoro da fare, bene comune.

Viceversa ( http://www.corriere.it/esteri/17_gennaio_20/trump-discorso-insediamento-presidente-usa-f07d48f4-df2d-11e6-ac31-10863be346e7.shtml) il discorso di questo pomeriggio di Trump ha indubbiamente un taglio populista, in continuità con i temi della sua campagna elettorale, terminata tre mesi fa. Gli slogan utilizzati: torneremo a fare grande l’America, il potere passa al popolo, riportare a casa il lavoro, cancellare il radicalismo islamico, american dream, american first.

Cosa farà da domani il neo Presidente? In pochi oggi lo sanno, ma sicuramente il personaggio tirerà dritto perseguendo il suo programma che è risultato quello scelto dalla maggioranza degli americani.

E qui veniamo alla fine del mandato di Obama: dopo otto anni di Obama policy, cosa resta di lui all’America? Probabilmente meno di quello che gli americani si aspettavano da un uomo che nel 2008 aveva vinto le elezioni con una grandissima aspettativa, primo Presidente di colore, originario di una famiglia della classe media, giovane e convincente con quel suo motto Yes, we can, aveva ringalluzzito gli americani dopo la batosta di una crisi economica che aveva lasciato il segno.

Nel 2009 il premio Nobel per la Pace lo aveva definitivamente lanciato nella classifica delle aspettative come l’uomo che tutto poteva, ma dopo otto anni i risultati ottenuti sono in realtà deludenti. Forse quelli più lusinghieri Obama li ha ottenuti sul fronte interno, con l’approvazione dell’Obama Care che però ha portato ad un aumento delle tasse per tutti gli americani che hanno continuato a pagarsi una polizza sanitaria extra privata e con la politica economica portata avanti grazie a forti investimenti pubblici e con l’aiuto di stimoli finanziari che di fatto hanno interrotto la crisi e fatto ripartire l’occupazione.

Nella politica di Obama era centrale il coinvolgimento degli storici partner alleati degli USA, Europa in primis, mentre con gli amici/nemici Russia e Cina negli otto anni si è scontrato su diversi scenari internazionali. Infine, un punto che sicuramente gioca a favore di Obama è stato quello di riportare gli USA ad un’autosufficienza energetica, la stessa che permetterà ora a Trump di poter fare a meno di occuparsi attivamente degli scenari mediorientali.

Dove Obama ha fallito è stato in politica estera e nella lotta al terrorismo. Nonostante l’uccisione di Osama Bin Laden, nemico giurato numero uno degli USA, il terrorismo ha continuato a dilagare e nuovi gruppi, Isis in testa sono subentrati e sono ben lungi dall’essere sconfitti. Per non parlare delle primavere arabe: dovevano portare la democrazia nei Paesi del Nord Africa e il risultato è stato: più guerre, più civili morti, più dolore e Stati ancora in bilico tra un ritorno alla normalità di una nuova dittatura che ha sostituito la precedente (vedi Egitto) oppure Stati ancora coinvolti in guerre civili (vedi Libia) o Stati che non esistono più (vedi Siria). Per non parlare di punti di tensione come il Medio Oriente, Israele – Palestina o la Corea del Nord che restano senza soluzioni definitive. L’unico passo in avanti è stato fatto nel rapporto con l’Iran dopo aver preteso e ottenuto la fine della corsa al nucleare bellico di quel Paese. Poca cosa in otto anni da un uomo con quel potenziale di autorità e autorevolezza da spendere.

Ma forse tutto questo non ha nulla a che vedere con la vittoria di Trump del novembre scorso. Ci sono momenti della storia dove gli americani sentono il bisogno di rinchiudersi in loro stessi e di coccolarsi nel loro sogno di americani: dove la frontiera è quella che corre verso Ovest, ma si ferma alla California e non oltrepassa il Pacifico. Questo è uno di quei momenti e Trump ha fiutato il cambiamento che era in atto già da alcuni anni nel popolo americano e lo ha cavalcato. Gli errori compiuti dai Democratici in campagna elettorale hanno fatto il resto.

A questo punto, occorre che noi europei iniziamo a rendercene conto da subito, perché l’uomo non aspetterà a prendere le sue iniziative. Forse è quello che serviva anche a noi. Con Trump Presidente o l’Unione europea ritrova le ragioni per cui esiste e per cui è stata pensata dai suoi padri fondatori, subito dopo l’immane sciagura della Seconda Guerra mondiale, oppure l’era Trump potrebbe trasformarsi in una spallata definitiva alla sua esistenza.

E se così fosse, ricordo quello che pensava il filosofo napoletano Giambattista Vico. Egli sosteneva che alcuni accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di tanto tempo; e ciò avveniva non per puro caso ma in base ad un preciso disegno stilato della divina provvidenza. Qui, nel nostro blog, siamo abituati ad essere più modesti, e non scomodiamo certamente la Divina Provvidenza. Riteniamo che sia sufficiente l’umana scelleratezza…

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Ricominciamo da Uno

Inutile nasconderlo, la delusione per come hanno votato gli italiani ieri è fortissima.

Alla fine pensavo, nonostante i sondaggisti, che invece questa volta possono tirare un sospiro di sollievo, che il buon senso (dal mio punto di vista) prevalesse, e invece…hanno vinto i NO.

Benissimo, in democrazia si accettano le sconfitte, ci mancherebbe altro… però mi spiace che gli italiani non abbiano capito cosa c’era in gioco, quale era la posta in palio che si può riassumere in questo: non fermarsi al proprio interesse particolare, di bottega, e fare un piccolo passo in avanti, avendo in mente unicamente il bene del Paese.

Questo era il cambiamento che aveva proposto Renzi agli italiani, migliorabile, perfettibile, senza dubbio. Ma nulla vietava di modificare le cose più avanti, se si fosse visto che quello che si era pensato non funzionava. Mi riferisco in questo caso alla forse più controversa riforma, quella del Senato. Era comunque un tentativo di modificare lo status quo, da tantissimi in passato criticato e messo in discussione, a partire da D’Alema e Berlusconi, per esempio.

Ma tant’è. Ha vinto il desiderio di votare contro qualsiasi cosa venisse proposta, un voto No “a prescindere”, un voto contro Renzi.

Le analisi sociologiche e politiche del perché il Premier abbia perso ci accompagneranno per i prossimi giorni, e francamente già ora non mi entusiasmano più di tanto.

Così a caldo mi sembra però doveroso chiudere il discorso Referendum con alcune brevi considerazioni.

1. Hanno detto in molti che Renzi aveva voluto formare il partito della Nazione, però, a vedere gli schieramenti in campo, mi è sembrato piuttosto che Berlusconi, Grillo, Salvini, Meloni, Bersani e D’Alema abbiano costituito un’unione elettorale di comodo, in funzione anti Renzi, che alla fine ha vinto… più partito della Nazione di questo…

2. Alla fine, per quello che ho potuto constatare negli ambienti della società civile che frequento, la maggior parte della gente votava No perché voleva mandare a casa Renzi, piuttosto che perché ritenesse così nefasta la riforma della Costituzione.

3. Mi domando, raggiunto l’obiettivo di far cadere il Governo, che cosa si aspettino adesso gli italiani che hanno votato NO. Credono forse che da nuove elezioni che ci saranno a breve possa uscire una maggioranza forte e stabile, capace di proporre delle riforme migliori di quelle appena bocciate e di farle approvare all’unisono da un Parlamento coeso?

4. La verità, che era del tutto prevedibile in caso di vittoria dei NO, è quella che ci sarà una modifica della legge elettorale in senso proporzionale, così da “accontentare” tutti i partiti; che ci saranno nuove elezioni che ancora una volta fotograferanno una Nazione tripolare (centro destra, centro sinistra e populisti) e che a fatica, forse, si riuscirà a formare un Governo instabile che non avrà la forza in Parlamento di proporre riforme sostanziali e decisive per il Paese.

5. Risultato: abbiamo perso ulteriormente tempo nel tentativo, sfumato ancora una volta, di cambiare volto al nostro Bel Paese e, fattore non trascurabile, in Europa abbiamo dato l’idea di non essere in grado di attuare riforme incisive della nostra macchina burocratica, concausa della mancata crescita sia economica che sociale.

6. Ultimo punto, ma fondamentale: questa infinita campagna referendaria, iniziata di fatto in primavera, ha lacerato come non mai il Paese e ha posto in luce, a mio modo di vedere, quanto ci sia da lavorare per ricostruire negli italiani un minimo di coscienza civica che abbia a cuore la ricerca del bene comune e il superamento del proprio interesse particolare o di partito.

A questo punto, e concludo, direi che bisogna ricominciare non dal 40% dei Sì, ma da Uno dal quale scaturisca il senso e il significato dell’agire dell’uomo in politica e nella vita di tutti i giorni.

Altrimenti a prevalere, come è accaduto ieri, saranno sempre e solo gli egoismi dei Capi popolo e poco più.

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Il vincitore è Donald Trump

Donald Trump sarà il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America, vale a dire, sino ad oggi, della nazione leader mondiale in campo militare, economico, finanziario, industriale ma anche in quello della difesa dei diritti dei più deboli e delle minoranze e all’avanguardia nella ricerca scientifica. In pratica la nazione faro della comunità civile dei Paesi più avanzati al mondo. Donald Trump è stato eletto dagli elettori di quella nazione, in barba a quasi tutti i sondaggisti, gli opinion leader, i tycoon televisivi e l’establishment culturale che tifavano Hillary Clinton. Un commentatore televisivo americano, questa mattina, ha detto che si è reso conto, dopo questo voto, di non conoscere più il Paese in cui vive. Può essere. Questo dipende però dalla sua sensibilità politica. Resta un fatto: che il nostro mondo occidentale in questi ultimi 16 anni è profondamente cambiato e l’elezione di Trump negli USA, come la scelta della Brexit nel Regno Unito, l’affermazione di Orbán in Ungheria, dei partiti xenofobi in Austria e della estrema destra in Francia sono solo alcuni dei segnali di questo cambiamento. Le cause di questa mutazione genetica del pensiero dell’uomo occidentale contemporaneo, che vive in comunità mediamente più ricche rispetto ad altre zone del mondo, a nostro giudizio sono da ricercarsi in primo luogo nella globalizzazione. Essa è intervenuta con velocità esponenziale in moltissimi ambiti della vita umana nello stesso periodo di tempo. Ciò ha disorientato intere classi sociali in ogni Paese dell’Occidente, o meglio, le ha spaventate. E quando una persona ha paura, per prima cosa pensa a difendersi da quello che considera il nemico, il diverso da sé, che può essere l’uomo di colore, il rifugiato, l’islamico e via così. Si è globalizzata l’economia, e quindi il lavoro. Si sono globalizzati i mercati e quindi la finanza. Si sono globalizzate le fonti d’informazione e i social media hanno dato il colpo definitivo: oggi chiunque può twittare 140 caratteri di stupidaggini ed essere letto da milioni di persone. Questa è la realtà che stiamo vivendo. Oggi le aziende globalizzate, le multinazionali, perseguono budget e rendiconti trimestrali per cercare di soddisfare i propri investitori che ogni tre mesi decidono se mantenere masse enormi di denaro, frutto della globalizzazione dei mezzi di produzione, investiti in questa o quella azienda. Se per caso l’utile aziendale di un trimestre è inferiore alle previsioni stimate dagli analisti finanziari, allora il valore in borsa del titolo scende e se nei 2 trimestri successivi non si verifica un’inversione di tendenza, si inizia a parlare di crisi. Capite: stiamo parlando di 6 o 9 mesi di vita di un’azienda. Cosa rappresentano 9 mesi se paragonati alla durata della vita media di un dipendente o di un cliente di quella società? Quando l’unica cosa che conta è l’oggi e non il domani, quando importa solo quello che si riesce a produrre qui, adesso, perché domani si potrebbe produrlo lontano da qui e ad un costo inferiore, allora l’unica reazione possibile per l’essere umano è quella di usare l’istinto. Si vota di pancia, per colui che sembra darti ascolto. La ragione per essere messa in moto ha bisogno di più tempo, di una pausa di riflessione, di analisi dei fattori in gioco. È proprio questo tempo che ci è stato tolto, ci è stato rubato. Inoltre ci si deve rendere conto che il tempo concesso per la produzione del profitto, 3 – 6 o 9 mesi, ormai non coincide più con il tempo dell’orologio biologico del pianeta sul quale viviamo, che tra l’altro è globalizzato per definizione, da sempre, e in un modo migliore del nostro. La nostra globalizzazione, quella imposta alla Terra dagli uomini in questi ultimi 15/20 anni, viaggia a ritmi stressanti per soddisfare la fame di profitti delle multinazionali che si sono create proprio a seguito di questo processo. E per sostenere questo ritmo frenetico, le risorse del pianeta purtroppo sono a rischio. Anche perché la favoletta che il mercato si auto regolamenta e si pone dei limiti interni non è più credibile. Chi con la globalizzazione è cresciuto, desidera espandersi sempre di più a scapito del più piccolo e meno globalizzato. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti nei diversi settori economici, dalla chimica alla farmaceutica, dall’informatica alle telecomunicazioni. Siamo partiti da Trump per arrivare sin qui. Che ruolo giocheranno Trump e l’America in tutto questo? Nessuno al momento lo può sapere. C’è solo da augurarsi che il popolo americano abbia fatto la scelta giusta, e al di là del folclore del soggetto scelto come Presidente, abbia intravisto la possibilità per Trump di essere un Presidente “conservatore” nel senso di porre una decelerazione alla globalizzazione per fermarsi a riflettere dove l’Occidente sta dirigendo la prua. E per l’Italia, che conseguenze avrà l’elezione di Trump? Nel breve periodo è la partita referendaria per la modifica della Costituzione quella che può essere maggiormente toccata dall’esito del voto. Obama aveva apertamente appoggiato il SI al quesito referendario italiano, sostenendo di fatto la riforma e il Governo. Se vincesse il NO, è chiaro che anche in Italia si aprirebbe un periodo di incertezza politica per non dire di crisi di Governo vera e propria. Ora con un’Europa alle prese con la Brexit e con tutti i problemi relativi all’integrazione religiosa e all’immigrazione dai Paesi del Mediterraneo in guerra, con le elezioni politiche in Germania l’anno prossimo, con le spinte antagoniste in diversi Paesi (Ungheria e Austria in primis), l’apertura di un nuovo fronte italiano di crisi provocherebbe un’ulteriore nube tossica sui cieli europei dall’esito tutto da scrivere. Occorrerà tenere presente anche questo fattore quando si andrà a votare per il referendum il 4 dicembre.

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L’ultimo miglio di Renzi

Ora che finalmente conosciamo la data del referendum costituzionale – il 4 dicembre salvo sorprese dell’ultima ora - è giunto il momento di tirare le fila e prendere una posizione: o votare Si al cambiamento proposto dal Parlamento oppure lasciare le cose come stanno.

Sgombriamo il campo subito dagli equivoci: noi voteremo Si a questo referendum anche se non siamo elettori di Renzi e non ci sentiamo di appartenere al Partito della Nazione. Semmai abbiamo a cuore le sorti del nostro Paese, questo Sì!

Le motivazioni razionali che ci hanno spinto nella direzione del Sì sono molteplici e cercheremo di esplicitarle nel modo più semplice possibile.

Primo: è una riforma che va nella direzione di semplificare la vita politica e istituzionale. In nessun Paese al mondo si è mai visto che un Organismo parlamentare voti di fatto quasi la propria eliminazione fisica. In Italia è accaduto. Il “vecchio” Senato ha votato a favore della riduzione del numero dei propri componenti e a favore di una limitazione importante delle proprie competenze legislative. Il nuovo Senato avrà 100 senatori (ora sono 315) precedentemente eletti dal popolo delle grandi città italiane e dai Consigli regionali. Questi signori dovranno svolgere un doppio lavoro? Assolutamente Sì e vedremo alla prova dei fatti se vi riusciranno o meno.

Teniamo presente che già ora il sindaco di una grande città almeno una volta alla settimana si reca a Roma per dialogare con dirigenti e funzionari della Pubblica Amministrazione centrale. Inoltre, le ridotte competenze legislative che saranno lasciate al Senato non inducono a prevedere un impegno così gravoso per questi cento senatori. Infine, nulla vieta che si possa intervenire nuovamente sul funzionamento del Senato nel caso ci si renda conto che, così come ipotizzata, l’attività istituzionale non funziona al meglio. Ma intanto un primo passo verso la velocizzazione dell’iter deliberativo delle leggi è stato compiuto. Votare No a questo referendum significherebbe rimanere impantanati nel doppio binario legislativo che ci ha rallentato sino ad ora.

Secondo: l’eliminazione del CNEL, organo di rilevanza costituzionale, sconosciuto ai più. Le sue funzioni ormai sono state avocate dall’Unione Europea, ma per eliminarlo occorre una modifica della Costituzione. Il suo costo stimato: 20 milioni di euro all’anno. Direi che almeno su questo punto possiamo essere tutti d’accordo sulla sua soppressione.

Terzo: questa riforma porterà alla fine del potere legislativo regionale? La riforma del 2016 interviene su tutti e tre i livelli di competenza legislativa attraverso la soppressione della competenza concorrente tra Stato e Regioni, l’ampliamento delle materie di competenza esclusiva dello Stato (comma 2) e l’individuazione delle materie di competenza delle Regioni (comma 3). La riforma introduce inoltre la c.d. clausola di supremazia (comma 4), che consente allo Stato di intervenire in materie di competenza regionale, quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale.

Francamente negli ultimi quindici anni (dalla Riforma del 2001) non possiamo vantarci molto del lavoro che la maggior parte delle Regioni ha compiuto in molti degli ambiti sui quali gli Enti territoriali avevano ricevuto in devoluzione dallo Stato centrale una parte delle competenze legislative. Al di là quindi di quanto ciascuno di noi si senta più o meno federalista nell’anima, l’esperienza negativa vissuta ci porta a sostenere una ridistribuzione delle diverse materie. Ritornano quindi con questa riforma, di esclusiva competenza dello Stato, le legiferazioni in tema di: mercati assicurativi, programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica, previdenza complementare integrativa, sicurezza e politiche attive del lavoro, commercio con l’estero, ordinamento sportivo, porti e aeroporti, infrastrutture strategiche di interesse nazionale; solo per citare le materie più importanti.

Quarto: Sarebbe molto miope se gli italiani votassero No. Il Paese è in una situazione molto precaria. La sua performance economica è scadente, il sistema bancario è straordinariamente fragile malgrado la sua enorme importanza per l’economia. Gli italiani devono pensare che un No sarebbe interpretato dall’Europa, Germania in primis, come una replica del voto greco. Un modo di dire: al diavolo le riforme. Sarebbe estremamente pericoloso perché all’estero la fiducia nel nostro Paese potrebbe affondare molto precipitosamente e si sarebbero sprecati nuovamente anni a parlare di riforme senza poi riuscire ad attuarle.

Quinto: Affidare ad un referendum popolare senza quorum (la maggioranza dei votanti decide la vittoria del Sì o del No) una decisione così importante per il futuro del Paese può sembrare un azzardo. È ancora fresca nella memoria la vittoria dei sostenitori della Brexit nel Regno Unito. Tuttavia a questo punto non è più possibile tornare indietro e quindi occorre che tutti coloro che hanno a cuore la volontà di cambiare, un poco, le ormai datate regole del gioco della nostra vita politica e istituzionale si diano da fare per portare i propri vicini di casa a votare il 4 dicembre e votare Sì.

Speriamo di essere riusciti, con i nostri scritti, in questi mesi ad esservi stati d’aiuto nelle vostre riflessioni. Se vi è rimasto ancora un po’ di tempo e di voglia, vi invitiamo a guardare il video dell’incontro tra Matteo Renzi e il costituzionalista Zagrebski andato in onda la scorsa settimana su La7 ( https://youtu.be/Xevo3V7_paA ). Il dibattito dura un paio d’ore, tuttavia se non avete a disposizione tutto questo tempo, possono bastare i primi quaranta minuti per comprendere le diverse motivazioni civili e morali di chi sostiene il Sì e di chi sostiene il No.

Premesso che entrambi gli uomini politici istituzionali erano sicuramente in buona fede nel difendere le proprie posizioni, le loro visioni sul futuro dell'Italia divergevano profondamente.

Ecco, proprio qui sta il punto: che visione dell’Italia abbiamo? Se pensiamo che l’Italia di oggi vada bene così com’è e che sia impossibile ottenere qualcosa di migliorativo da questa riforma, allora votiamo No.

Se pensiamo invece che valga la pena finalmente provare a cambiare in parte le regole del gioco, per non avere più per esempio le proposte di legge che viaggiano avanti e indietro tra Camera e Senato senza apparente motivo, allora votiamo Sì alla riforma. Ma soprattutto andiamo a votare. In questo caso chi si astiene fa il gioco del vincitore e a vincere potrebbero essere i No.

Quindi andiamo a votare e votiamo SI'.

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Renzi vs resto del mondo...

Ormai è chiaro: al referendum costituzionale la partita sarà giocata tra Renzi vs Resto del mondo… Tutti i partiti infatti, oltre alle sigle dei principali movimenti e associazioni, voteranno NO e Renzi con la parte maggioritaria del PD (di fatto la maggioranza che l’ha eletto segretario) più i piccoli partiti satelliti, voteranno SI. Almeno questo è lo scenario che appare evidente a due mesi circa dalla votazione. Sconfitta annunciata quindi per il premier? Non è detto. Avere contro la galassia dei partiti politici italiani potrebbe rivelarsi un vantaggio per Renzi. Quante persone infatti oggi seguono le direttive di voto del partito in cui dicono di riconoscersi? Anzi, per dirla meglio: quante persone oggi si riconoscono in un partito? Poche, pochissime, se analizziamo i flussi di votanti delle ultime tornate elettorali, sia politiche che amministrative. Solo per citare l’ultimo caso, Roma è amministrata da un sindaco votato da 453.806 romani su una popolazione di aventi diritto al voto di 2.363.444 cittadini, cioè il 19,2% dei romani ha scelto Virginia Raggi come proprio sindaco.

L'astensione è stata del 44%.

(Fonte: http://www.elezioni.comune.roma.it/elezioni/2016/comunali/A062016/vsin99.htm)

 

Se il premier saprà spiegare chiaramente agli italiani quali sono i vantaggi e i punti di forza di questa riforma, allora forse non tutto è perduto.

 

Certo, Renzi con l’aver voluto personalizzare il voto referendario (se vincono i NO mi dimetto, è stato il suo slogan d’esordio) è il primo artefice di questa situazione che ora sulla carta lo vede in svantaggio. Ma si è accorto dell’errore compiuto e lo ha ammesso. In politica, come nella vita, è meglio ammettere un errore e ripartire che perseverare fino a farsi male per davvero. E poi Renzi è giovane ed alla sua prima esperienza politica di un certo spessore. Ci può stare. Ora che le dichiarazioni di voto sono state formulate, rimane la curiosità di vedere quanti italiani si lasceranno convincere dal leader del proprio partito, ma soprattutto quanti italiani andranno a votare e sosterranno quella riforma costituzionale licenziata dal Parlamento con il voto, ricordiamo, del PD e di alcuni di quei partiti che ora la criticano e vogliono affossarla, a partire da Forza Italia. Ma è sicuramente più facile che un cieco faccia l’elemosina ad un altro cieco che pretendere che la lealtà e la coerenza di un leader politico resistano al cambio di stagione. Intanto, per il momento, al buio siamo rimasti noi italiani.

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Referendum costituzionale: le ragioni del Sì

Dopo aver analizzato nel post precedente le ragioni del No, passiamo ora ad esporre quelle dei sostenitori del Si al Referendum del prossimo autunno.

Per prima cosa evidenziamo che, dopo oltre venti anni di tentativi finiti male, finalmente si ha la possibilità di imprimere una svolta al nostro sistema istituzionale. Forse non sarà un cambiamento determinante e risolutivo, ma da qualche parte bisognava pur incominciare.

Da un bicameralismo perfetto, arriviamo ad un monocameralismo imperfetto, ma tant'è. La riduzione del numero dei senatori e delle competenze e delle funzioni del Senato vanno nella direzione di snellire i processi legislativi del Paese.

Di contro il Governo vede da questa riforma aumentare la propria sfera di influenza sulla vita politica a discapito del Parlamento inteso come Camera più Senato. Questo significherà una maggiore responsabilizzazione del Premier con i suoi ministri. In ultima analisi avremo finalmente in Italia un Governo che avrà a disposizione gli strumenti per governare e allo scadere della Legislatura risponderà agli italiani del proprio operato, senza potersi giustificare denunciando un ostruzionismo da parte del Parlamento che viene ridimensionato nei suoi poteri, ma per nulla azzerato.

Infatti la Camera dei deputati rimane l'unica ad esercitare pienamente la funzione legislativa, di indirizzo politico e di controllo sul Governo, diventando quindi la sola titolare del rapporto di fiducia con il Governo. I deputati rimangono anche gli unici "rappresentanti della Nazione".

Anche la nuova legge elettorale ormai definitiva (che però non rientra nel pacchetto delle riforme) contribuirà ad eleggere un Parlamento più coeso e rappresentante, con una maggioranza qualificata, la forza politica più votata nel Paese. Certo i partiti avranno il gravoso compito di inserire nelle proprie liste di candidati persone non solo degne, ma anche preparate per affrontare le sfide del futuro. Solo così potranno pensare di vincere la competizione elettorale.

I sostenitori del Si non stanno facendo l'elogio di un Governissimo con a capo un Premier dittatore, bensì chiedono un Governo che nei cinque anni di durata della Legislatura (che, per chi scrive, potrebbero anche diventare quattro) abbia la concreta possibilità di realizzare il proprio programma elettorale e che allo scadere si vedrà giudicato dal popolo. Osano troppo?

Quante volte in Italia i Governi sono durati solo alcuni mesi, tenuti sotto scacco da maggioranze parlamentari mutanti dalla sera alla mattina? Se forse sino a qualche decennio fa era possibile per un Paese sopportare una simile situazione, in tempi complessi, fluidi, liquidi, come si usa dire oggi, non è più possibile per una Nazione che vuole rimanere al passo delle maggiori potenze mondiali, essere governata in questo modo.

Occorrono maggioranze parlamentari stabili e governi coesi che possano esercitare il potere, per un periodo limitato di tempo, entro rigide regole democratiche, ma senza essere sottoposti a ricatti politici.

L'eliminazione delle Province, del CNEL e lo snellimento di altre procedure amministrative concorrono a rendere questa riforma interessante più che altro perché incomincia a smuovere le acque stagnanti della vita politica e istituzionale.

Da troppi anni si vede fallire ogni tentativo di riformare il nostro sistema istituzionale, da qualsiasi parte politica provenga il tentativo. Questa volta sarebbe veramente un peccato rinunciare ad imprimere il primo colpo al cambiamento.

Per queste ragioni a ottobre i sostenitori del cambiamento andranno a votare Si, non per sostenere Renzi e il suo Governo, ma per tenere vivo il desiderio di modernizzare il bel Paese.

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Referendum costituzionale: le ragioni del No

L'appuntamento referendario si avvicina e in queste sere estive vogliamo riprendere le riflessioni sul futuro assetto istituzionale del nostro Paese per aiutarci ad arrivare a quella ragionevole certezza che ci permetterà di esprimere un voto consapevole al momento opportuno.

Analizziamo in questo primo post le ragioni del No al Referendum e nel post successivo quelle del Si.

Dichiariamo subito che non vogliamo inserirci nel coro di coloro che decidono di votare No per far cadere il Governo Renzi. Non ci sembra corretto unire le sorti di un Governo a quelle del futuro istituzionale dell'Italia. Troppo importante il secondo rispetto al primo.

Entriamo nel merito della riforma proposta: appare evidente come per certi aspetti si sia persa l'occasione di realizzare un taglio netto con il passato. Mantenere un Senato non elettivo di 100 membri che avranno un doppio incarico (i 100 senatori saranno contemporaneamente membri di Consigli regionali o Sindaci di grandi città) e per di più con funzioni e compiti ridotti risulterà inutile e costoso.

Inoltre politicamente il nuovo senato non avrà voce in capitolo se non nei seguenti casi, come recita il riscritto articolo 55 della Costituzione:

“Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all'esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l'Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l'attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l'attuazione delle leggi dello Stato”.

A questo punto forse si poteva puntare direttamente al monocameralismo.

Il Governo è l'istituzione che più aumenterebbe la propria sfera di influenza nella vita politica, a scapito di un Parlamento dimezzato. Tecnicamente vi sono diverse innovazioni nella riforma proposta che permetterebbero all'esecutivo di dare corso a iniziative legislative prioritariamente, limitando i tempi entro cui il Parlamento verrebbe chiamato ad occuparsi della materia. Un po’ come accade già oggi con l'utilizzo della decretazione d'urgenza.

Se a questo limite temporale cui i parlamentari si dovranno attenere, si aggiunge il fatto che la nuova legge elettorale ormai in vigore (che però non è inserita nel pacchetto delle riforme costituzionali) di fatto consegna nelle mani dei partiti la possibilità di scelta della stragrande maggioranza dei deputati, il pericolo di avere un Parlamento fotocopia del Governo e pronto a ratificarne l'operato e non Organo Costituzionale autonomo esercitante in primis la funzione di Legislatore, è reale.

Tutto ciò porterebbe ad un calo dello spazio della vita democratica del Paese danneggiando di fatto l'intera comunità.

Ulteriore aspetto negativo di questa riforma: l'abolizione delle Province. Non convince perché di fatto non raggiunge lo scopo di ridurre le spese di gestione amministrativa dello Stato che saranno sostenute dagli Enti che si dovranno far carico delle competenze delle ex Province.

Vengono anche introdotte alcune modifiche nel meccanismo di elezione del Presidente della Repubblica e di nomina dei giudici della Corte costituzionale. La riforma contempla inoltre l'abolizione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) e la soppressione dell'elenco delle materie di legislazione concorrente fra Stato e Regioni; sono previste anche modifiche in tema di referendum popolari.

Non si pretende qui di analizzare nel profondo le norme modificate, ma nel complesso le ragioni del No emergono chiaramente dall'analisi eseguita.

Infine, si può anche obiettare che una riforma di tal portata si sarebbe dovuta approvare con una più larga maggioranza politica in Parlamento, cercando di coinvolgere anche l'opposizione che invece risulta schierata decisamente contro la riforma del sistema.

A questo punto per i sostenitori del No appare chiaro che le modifiche che ci vengono proposte non risolveranno i problemi dell'Italia di oggi e forse anzi li peggioreranno e pertanto sono da respingere in toto.

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Brexit: presente e futuro

Mai sottoporre al popolo quesiti così “tranchant”, questo probabilmente starà pensando in queste ore l’ex premier inglese David Cameron dopo l’esito del referendum sulla Brexit che ha segnato un punto di non ritorno nella storia europea.

Con questo referendum Cameron è riuscito, suo malgrado, a spaccare il suo stesso Paese (dove il Nord, Scozia e Irlanda, ha votato in maggioranza per rimanere in Europa mentre l’Inghilterra -a parte la zona di Londra- con il Galles per uscire dalla UE) e a dare una fortissima spallata alla tenuta politica dell’Europa.

Sulle cause e le motivazioni che hanno provocato questo inaspettato risultato se ne discuterà per i prossimi mesi, se non anni. Ora, a caldo, ci sentiamo di esprimere solo alcune considerazioni di pancia, che poi probabilmente è quella parte del corpo cui gli elettori inglesi hanno dato ascolto.

La prima: il voto ha rivelato un’opinione pubblica britannica scollata dall’establishment del Paese. La Confindustria inglese, la finanza, i maggiori partiti politici, ad eccezione degli euro scettici, i media, tutti si erano pronunciati a favore della permanenza in Europa. Risultato: la Brexit. Di questo iato tra la popolazione e la classe dirigente bisognerà che i leader inglesi se ne facciano carico se vogliono governare il prossimo cambiamento che inevitabilmente attenderà quel Paese.

La seconda: il voto inglese modificherà per sempre la visione europea cui ci eravamo abituati sino a ieri. È stato un voto contro l’Europa, così come l’abbiamo pensata, organizzata e attuata, che evidentemente non è riuscita ad appagare la maggioranza degli inglesi. È quindi necessario ripensare al funzionamento e alla riorganizzazione, alla rifondazione di un’Europa che ormai non risulta più attrattiva, ma viene anzi percepita come una sovrastruttura burocratica di cui si può fare a meno.

Evidentemente non è stato sufficiente il mercato unico delle merci e dei servizi ed una moneta unica (di cui peraltro gli inglesi non godevano) per creare un Unione tra Stati che sia percepita positivamente, con favore, dai cittadini. Ci vuole altro.

Questa è la cruda realtà emersa dal voto inglese. L’Europa come l’abbiamo pensata non funziona. Del resto sui temi che solitamente costituiscono la base di una Federazione di Stati, come la fiscalità generale, la politica estera, la difesa, l’occupazione, i grandi investimenti, non si è mai attivata una politica europea comune. La nuova Commissione a guida Juncker aveva promesso un piano di investimenti straordinario per far ripartire lo sviluppo e l’occupazione, ma ancora non si è visto nulla o quasi. Anche il grande tema del debito pubblico europeo, di cui è sempre più evidente la necessità in questo perdurante clima di instabilità finanziaria, rimane per ora lettera morta.

In occasione delle ultime elezioni europee avevamo già evidenziato come ci fosse bisogno di un cambio di passo che a distanza di due anni non si è visto. Sul banco degli imputati non solo la Commissione guidata da un inadeguato Junker, ma anche e soprattutto la politica tedesca di Angela Merkel.

La Germania di fatto, in questi ultimi 15 anni è stato il Paese che ha più influito sulla politica del rigore e di austerity che ha portato l’Europa alla situazione attuale. Non è populismo, come molti dicono, ma la realtà basata sui numeri: per esempio quelli del surplus della bilancia commerciale della Germania rispetto agli altri Paesi, Francia e Italia per cominciare. Il voto inglese contiene anche un no a questo modello di politica europea e a questa impostazione germano centrica che l’Europa deve per forza modificare se vuole continuare ad esistere.

Ed infine, il voto inglese pone a nostro giudizio una questione non secondaria relativa al suffragio universale. Nella scelta di lasciare l’Europa, i giovani under 25 hanno votato al 70% per rimanere nell’Unione, mentre gli over 65 hanno votato in maggioranza per uscirne. Vi sono state differenze di voto anche dal punto di vista della formazione culturale, ma lasciamo perdere questo aspetto.

Rimane il fatto che una generazione di anziani la cui aspettativa di vita media si aggira intorno ai 10 anni, ha deciso del futuro di quella dei ventenni che per il resto della loro vita dovrà rinunciare a giocarsi la partita europea.

E questo non è giusto. Forse, quando in gioco ci sono decisioni su questioni che avranno ripercussioni per decine di anni, come in questo caso, si potrebbe pensare a porre un limite di età al diritto di voto.

Non sarebbe una discriminazione, ma una forma concreta e reale di democrazia “pesata”, due punto zero, forse più consona e adeguata ai tempi che stiamo vivendo.

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- Politica

Ttip e Loi Travail

Che cosa collega il negoziato in corso tra Europa e Stati Uniti, noto con il nome di Ttip, e la riforma del lavoro francese, voluta dal Governo e fortemente osteggiata dai sindacati dei lavoratori?

In apparenza poco o niente.

Il Ttip, acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership, vuole creare tra Stati Uniti ed Europa la più vasta area del mondo dove si possa commerciare in beni e servizi il più liberamente possibile, riducendo dazi e tariffe che ne rallentano la circolazione e unificando il più possibile le regole del libero scambio. Questo accordo, se andasse in porto, coinvolgerebbe centinaia di milioni di famiglie residenti nella parte più ricca del pianeta. Il massimo dell’omologazione immaginabile, dal punto di vista dei produttori di questi beni e servizi. Il vecchio sogno di David Rockefeller che nel luglio 1973 con alcuni amici fondò la Commissione Trilaterale con lo scopo dichiarato di sostenere e diffondere il libero scambio mondiale di beni e servizi con meccanismi flessibili di circolazione della moneta. Dopo poco più di quarant’anni quel sogno è sul punto di realizzarsi.
(Leggi anche: http://lorenzorobertoquaglia.blogspot.it/2013/03/ttip-nuovo-cavallo-di-troia.html)

La riforma del lavoro varata nelle settimane scorse in Francia, viceversa, riguarda unicamente il popolo francese e tenta di rendere il mercato del lavoro più flessibile e dinamico, dal punto di vista dei datori di lavoro. Ma non solo. Tutte le novità che vengono introdotte dalla riforma, all’insegna della maggiore flessibilità del lavoratore, in entrata e in uscita dal mercato, possono essere normate da una contrattazione integrativa aziendale che va a sostituire quella nazionale in vigore sino ad ora. Cosa significa? Banalmente che il lavoratore vedrà tutelati i propri diritti dai sindacati (se presenti) dell’azienda in cui lavora, i quali sindacati non avranno alle spalle una legislazione nazionale cui far riferimento e da usare come argine alle richieste della proprietà. Tutta la contrattazione sindacale potrà essere effettuata all’interno delle singole aziende; così facendo si avranno contratti diversi da azienda ad azienda, con minori tutele in generale e con possibili disparità di trattamenti tra lavoratori. Si azzera quel minimo sindacale in tema di diritti basilari del lavoratore conquistato dai francesi in decenni di lotte sindacali e che ora viene eliminato di colpo.

Ma tutto ciò come si collega al Ttip?

In modo molto semplice. La filosofia che sostiene entrambi i tentativi e i provvedimenti in corso è la medesima e viene portata avanti dai medesimi soggetti: si possono chiamare Multinazionali, Corporations o con nomi similari. Esse rappresentano nel mondo realtà più importanti e potenti degli Stati nazionali medesimi e con i profitti accumulati negli ultimi decenni, con il potere delle lobby che sono al loro servizio in ogni Stato e nelle istituzioni politiche sovranazionali, riescono sempre di più a condizionare le scelte politiche generali a loro favore per un unico scopo: fare più business.

Ecco che allora appare chiaro come da un’area comune di libero scambio, nella zona più ricca del pianeta, a guadagnarci maggiormente non sarà l’artigiano del mobile della Brianza, che potrà esportare i suoi divani nel Texas senza pagare dazi, ma la multinazionale americana di mobili per ufficio che potrà vendere i suoi prodotti in tutta Europa a prezzi più competitivi addirittura dei produttori europei.

Abbiamo volutamente toccato nell’esempio un settore non core business per noi italiani. Pensate cosa potrebbe succedere, se entrasse in vigore questa mega area di libero scambio, ai prodotti alimentari italiani che verrebbero invasi da prodotti similari a prezzi più che concorrenziali. Sarebbe il disastro di interi distretti e filiere alimentari del nostro Paese.

La stessa filosofia è contenuta nella nuova legge sul lavoro approvata in Francia. La possibilità di chiudere la contrattazione con il lavoratore in casa, senza dover più sottostare a contratti quadro di natura pubblicistica, giova sicuramente più alle multinazionali presenti sul territorio, piuttosto che ad un artigiano che con il suo praticante non ha problemi a trovare un accordo.

E quindi? Cosa fare di fronte a questi fenomeni? Ma soprattutto, posto che il mondo non sta mai fermo, il futuro che ci aspetta sarà sempre più omologato e con meno regole? Meno pubblico e più multinazionale? E in un mondo governato da Big Company che cercheranno sempre di più di sottrarre la propria responsabilità allo Stato nazionale e riconosceranno come referente unicamente il proprio Stakeholder, come saranno regolati i rapporti tra quest’ultimo e i cittadini?

Chi tutelerà i diritti dei singoli, dei consumatori, delle persone, di fronte all’invadenza delle Corporations?

Domande al momento senza risposta, che generano inquietudine.

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- Politica

La Riforma costituzionale: un po’ di storia

Prima di analizzare nel dettaglio la riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi, crediamo sia importante ripassare un po’ di storia recente.

Ci limiteremo brevemente a ricordare i tentativi di riforma della Costituzione compiuti dai Governi della Repubblica, senza citare le diverse Commissioni bicamerali per le riforme costituzionali istituite dal Parlamento nel corso delle diverse Legislature.

Già dai primi anni Novanta, i Governi della Repubblica sentirono l’esigenza di studiare eventuali interventi atti a migliorare e snellire la vita democratica del Paese che iniziava ad attraversare un periodo di crisi politica, economica e sociale.

L’idea di semplificare il nostro sistema istituzionale (improntato su un bicameralismo perfetto che per forza di cose dilata quasi all’infinito i tempi per l’approvazione di una legge) per restare al passo con le nuove esigenze dei tempi, era e rimane sicuramente positiva.

Antonio Maccanico (Governo De Mita) nel 1988 fu il primo politico nominato Ministro per gli Affari regionali e i problemi Istituzionali (prima volta nella Repubblica) cui seguì Mino Martinazzoli (VII Governo Andreotti) nel 1991. Il suo ministero venne rinominato Ministero per le riforme istituzionali e per gli affari regionali.

Già da questi brevi cenni, possiamo renderci conto che sono passati più di venticinque anni da quando il mondo politico iniziò a discutere di riforme istituzionali, senza di fatto giungere ad una modifica sostanziale delle nostre procedure e dei nostri organi costituzionali.

Un primo progetto di riforma costituzionale di un certo respiro, promosso dai Governi di Centro Sinistra, fu approvato dal Parlamento e si concretizzò nel 2001 con la modifica del titolo V della parte seconda della Carta (quello riguardante gli enti locali e le competenze Stato - Regioni). Il successivo referendum costituzionale che si svolse in Italia confermò le modifiche varate dal Parlamento. Tale riforma però non modificò sostanzialmente il funzionamento dei principali poteri costituzionali, Governo e Parlamento.

Un secondo tentativo, più incisivo, di modificare il funzionamento della vita istituzionale dello Stato, promosso dal Governo Berlusconi, fu invece bloccato dal referendum costituzionale del 2006 che lo bocciò. Con la riforma del 2005 si voleva, in estrema sintesi, proporre per l’Italia un modello di Repubblica federale, con un Esecutivo forte a scapito di un Parlamento che vedeva limitati i suoi poteri. Non vogliamo qui entrare nel merito di quella riforma fallita per volere del popolo italiano.

Con questo breve excursus desideriamo solo ricordarci da dove veniamo: cioè da un periodo di 25 anni durante i quali si è parlato molto su come riformare questo Paese, ma poi nei fatti si è riuscito o voluto fare ben poco.

Tra alcuni mesi avremo nuovamente la possibilità di prendere posizione su questa nuova proposta di riforma del nostro ordinamento repubblicano. Utilizziamo bene questo tempo per informarci, riflettere e quindi votare un Sì o un No a quello che per noi sarà il giudizio finale sulla riforma costituzionale del Governo Renzi.

Ma ricordiamoci per bene una cosa: il nostro non dovrà essere un Sì o un No al Governo Renzi, ma solo a questa proposta di modifica costituzionale.

Personalizzare il voto sarebbe un grosso errore.

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- Politica

Il rosicone

Alcune riflessioni a caldo sulla legge “Cirinnà”.

Da cattolico quale sono, dovrei passare queste ore a “rosicare” secondo quanto asseriscono i sostenitori della legge. A parte il fatto che, non capisco per quale motivo, debbano ritenersi non cattoliche le persone a favore della Cirinnà: e quindi a quale religione dovrebbero appartenere: musulmana, ebraica, induista, scintoista? Oppure sono tutte atee?

In realtà, tranquillizzo subito i nostri maître à penser, il sottoscritto è assolutamente contento che finalmente si sia fatta anche in Italia una legge che regolamenti le unioni civili.

Oggettivamente il tema era “caldo” da parecchi anni ed effettivamente, senza arrivare a toccare il punto delle convivenze omosessuali, esisteva una lacuna normativa ampia che riguardava in generale tutte le persone conviventi, anche non legate da vincoli affettivi e sessuali.

Ma il sottoscritto è assolutamente contento di questa legge per un semplice motivo: finalmente anche l’Italia ha una legge che regolamenta questo tipo di unioni e spera vivamente che da oggi in avanti il Governo e il Parlamento si preoccupino non di alcune migliaia di persone, ma di alcune decine di milioni di persone che hanno formato una famiglia (l’unica cellula fondante la vita civile dello Stato in tutto il mondo) e che faticano a portarla avanti ed a svilupparla.

Penso alla crisi economica che ha lasciato uno o entrambi i genitori senza lavoro, penso alla denatalità ormai impressionante perché gli orari di lavoro (quando ancora c’è) mal si conciliano con l’attività di crescere i figli, soprattutto per le donne; penso alle famiglie numerose, sempre meno presenti, che non hanno aiuti seri dallo Stato. Penso alle scuole e a tutti i problemi legati all’educazione.

In questo senso non credo che un referendum abrogativo sulla Cirinnà sia una buona idea. C’è il rischio che a prevalere siano gli schemi ideologici, mentre invece la Cirinnà dovremmo lasciarla operare così com’è e tra dieci anni si potrà verificare quanto, nei fatti, sarà stata utilizzata dalle coppie di fatto per regolarizzarsi.

Anche perché, parliamoci chiaro, la Cirinnà qualche “paletto” importante, dal nostro punto di vista di “rosiconi” l’ha pure messo: no alle adozioni per le coppie dello stesso sesso. Una cosa invece non mi è chiara: l’assenza dell’obbligo di fedeltà. Forse che un amore omosessuale è meno fedele di un amore tra un uomo e una donna? Semmai è opportuno evitare che sentenze “artistiche o interpretative” di alcuni giudici introducano la possibilità per le coppie omosessuali di adottare figli. Questo è il vero tema per il futuro.

Io penso che il Governo Renzi, che tanto si è beato in queste ore su giornali e televisione per essere stato capace di portare sino in fondo la legge Cirinnà, sarà giudicato dai cattolici da quanto farà sui temi legati alla famiglia tradizionale.

Certo, il metodo usato da Renzi per far approvare la Cirinnà può essere criticato. Utilizzare la fiducia, obbligare i deputati e i senatori a votare un testo blindato non è mai positivo, soprattutto quando in gioco ci sono temi così sensibili, ma tant’è. Il nostro fiorentino ormai lo conosciamo.

È pur vero che senza una imposizione decisa da parte del Governo, oggi avremmo ancora il Parlamento che discute di massimi sistemi e una legge di questo tipo sarebbe ancora nel limbo. Noi italiani, per storia, siamo il popolo dei mille comuni, dei mille campanili e questo fatto in politica si è tradotto a volte in uno stallo conservativo che non ha fatto bene al progresso del Paese.

Per chiudere, bene questa legge Cirinnà, ma d’ora in avanti capitolo chiuso, guardiamo avanti ed occupiamoci dei temi caldi che riguardano le famiglie degli italiani, i figli che non nascono e la loro educazione: Renzi ci sei? Batti un colpo, coraggio!

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- Politica

Le riforme costituzionali

Nei giorni scorsi si è concluso l'iter legislativo delle riforme costituzionali. Il prossimo mese di ottobre sarà dunque decisivo per il proseguimento o meno del Governo di Matteo Renzi. Il premier infatti ha volutamente legato la tematica del Referendum confermativo sulle modifiche costituzionali alle sorti del suo esecutivo.

Gli italiani hanno quindi circa sei mesi di tempo per meditare sulla riforma varata dal Parlamento e decidere se sostenerla o abrogarla tramite il voto referendario.

Prima di analizzare, nei post successivi, le ragioni dell'una e dell'altra parte, proponiamo ora alcune considerazioni di carattere generale su quanto abbiamo ascoltato e letto negli ultimi due anni sul tema delle riforme.

Una premessa generale per chiarire subito il campo: chi scrive non è un sostenitore del Governo Renzi, semmai uno strenuo supporter del nostro Bel Paese, delle persone che vi abitano, dei giovani che non partono per cercare lavoro altrove oppure di quelli che ritornano dopo un’esperienza lavorativa all’estero per contribuire alla rinascita della nostra Patria. Noi crediamo che quando si affrontano tematiche di così ampio respiro e di così vitale importanza per il futuro della nazione, dovrebbero essere costoro i riferimenti con cui confrontarsi: le generazioni future degli italiani.

Per poter esprimere con una ragionevole certezza il nostro voto non dovremmo focalizzarci sul binomio, Governo SI, Governo NO; Matteo SI o Matteo NO. Con l'esito del referendum non ci giochiamo il Governo di Matteo Renzi, ma probabilmente ci giocheremo un pezzo importante del futuro del nostro Paese.

Pertanto cari concittadini, informiamoci da fonti diverse e riflettiamo su quello che leggeremo: al termine di questo lavoro saremo pronti per andare a votare secondo quello che ci detterà la nostra coscienza. Non lasciamoci tirare dentro il gioco di essere pro o contro il Governo. Perché, in questa storia, l’unico pericolo che dobbiamo assolutamente cercare di evitare, è quello di cadere nella demagogia, cioè nel lasciarci ammaliare dalla retorica dei capi bastoni vicini unicamente alle proprie fazioni politiche ed elettorali e distanti dal bene comune.

Per tutti i sei mesi che ci separano dal referendum, sentirete o leggerete pochissime volte riflessioni come queste: ragionate con la vostra testa.

E' il bene comune del nostro Paese la stella polare che ci dovrà guidare mentre esprimeremo il giudizio finale su quanto proposto dal Parlamento. Da parte nostra, l'impegno che prendiamo è quello di analizzare nelle prossime settimane le ragioni del si e quelle del no e di cercare di proporre una sintesi che si riveli, a distanza di tempo, la più eticamente corretta.

Che poi Matteo Renzi, in base al voto espresso dagli italiani, opti per le dimissioni o decida di continuare il suo servizio alla nazione, francamente non ce ne importa nulla.

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- Religione

Tradimento Misericordia e Resurrezione

Tra poche ore noi cristiani celebreremo la Pasqua del Signore. In questi momenti, chiamato a riflettere sul significato di questa festa, mi vengono in mente tre parole.

La prima è tradimento. Ce ne parla il Vangelo di Matteo: “Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà». Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: - Sono forse io, Signore?”.

Purtroppo il nostro cuore non riesce a non tradire. Anche l’amico più amico, il sentimento più nobile, lo sforzo più energico, alla fine devono cedere di fronte alla fatica del quotidiano. E a prendere il sopravvento sono da un lato la noia, dall’altro l’istinto.

Da soli non ce la facciamo a vincere noi stessi, la nostra debolezza: da soli l’unica esperienza veramente umana che possiamo mettere in atto è il tradimento. Non ci sono riusciti nemmeno gli Apostoli, che pure erano stati con Lui tre anni, oltre mille giorni in Sua compagnia, mattina, pomeriggio e sera: alla prima difficoltà lo hanno tradito. Lo ha tradito Giuda, lo ha tradito Pietro.

Siamo quindi stati creati per tradire?

La seconda parola che mi viene in mente è la parola misericordia.

Dio è misericordioso, amoroso, caritatevole. Dio è infinito amore e infinito perdono. E’ l’unico che può abbracciare il cuore dell’uomo improntato al tradimento e consolarlo.

Nella storia del mondo, sino ad oggi, solo un essere umano che ha calpestato questa terra si è dichiarato Figlio di Dio. Questa persona si chiama Gesù di Nazareth ed è venuta al mondo per prendere su di sé il tradimento del nostro cuore e redimerlo, riscattarlo, purificarlo, donarci un cuore nuovo capace di amare veramente.

Ma che prove abbiamo di ciò?

La terza parola che mi viene in mente è la parola resurrezione.

La Pasqua che andremo a celebrare tra poche ore è una Pasqua di resurrezione. Perché quell’uomo di nome Gesù, morto crocifisso dal tradimento dei suoi concittadini, dei suoi confratelli, dei suoi amici, rinchiuso in un sepolcro, dopo tre giorni è resuscitato.

Gesù, l’unico giusto al mondo che non ha mai tradito il suo destino umano, è passato dalla condizione cui tutti noi tendiamo, la morte, e l’ha vinta tornando in vita. Solo seguendo la sua via, il nostro cuore può imparare a rimanere fedele a sé stesso, al proprio desiderio di felicità, di solito infranto dall’inevitabile tradimento.

Anche oggi, immersi come siamo in un mondo fatto principalmente di immagini, quante volte al giorno siamo testimoni del nostro e dell’altrui tradimento? Quando poi il tradimento ultimo, la morte, colpisce i più indifesi, i più piccoli tra di noi, a volte il nostro cuore non riesce a sopportare la fatica ed arriva anche a ribellarsi a Dio. Ci chiediamo le ragioni di tutto questo male, di questo dolore. Ma non troviamo una risposta.

Ebbene, non sempre esiste una risposta al male del mondo. Non esiste una persona al mondo, neanche il Papa, che sappia dare una spiegazione razionale al dolore di una mamma che vede morire il proprio bambino, magari affogato in mare mentre stava cercando di portarlo in una terra accogliente (l’Europa) lasciandosi alle spalle anni di guerre e carestie. Nessuno può giustificare il dolore derivante dalla perdita di una persona che esce di casa per recarsi al lavoro e rimane vittima di un attentato in una stazione della metropolitana.

Solo la misericordia di Cristo è capace di abbracciare questo dolore e farsi sua compagnia. Occorre però che il cuore dell’uomo si renda disponibile a questo abbraccio misericordioso, che metta in gioco la propria libertà e dica il suo sì.

Questa è l’unica condizione per evitare di essere solo burattini nelle mani di un Altro.

Buona Pasqua a tutti.

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- Politica

Renzi e il festival di Sanremo

Premessa: non siamo mai stati teneri con Berlusconi e i suoi governi. All’esperienza politica del Centro Destra italiano degli ultimi vent’anni addebitiamo il tradimento di quella rivoluzione liberale che avrebbe dovuto rimodernare il Paese, ma che nei fatti non si è vista.

Questo mancato rinnovamento ha comportato per l’Italia, rimasta fanalino di coda della UE, dopo quattro anni di crisi economica mondiale e l’uscita di scena pilotata dell’ultimo governo Berlusconi nel 2011, di dover subire i draconiani tentativi di salvataggio del proprio sistema economico, tutt’altro che riusciti, per motivi diversi, dei Governi Monti e Letta.

Fu per questo che gli italiani nel 2014 accolsero il giovane premier Renzi con entusiasmo e gli aprirono un mandato di credito quasi illimitato. Certo, forse non tutti i proclami del nuovo leader vennero accolti seriamente, con convinzione profonda, come quando all’inizio egli si presentò, promettendo di attuare nel Bel Paese una riforma al mese. Quella affermazione, agli occhi ormai senza più lacrime degli italiani, sembrò una boutade piuttosto che una to do list, un programma da attuare. Ma la fiducia rimase, anche perché alternative all’orizzonte non se ne vedevano…

Poi finalmente arrivarono i primi tentativi concreti di cambiare il Paese, a partire dalla riforma costituzionale e dalla legge elettorale, tutt’ora non approvate, ma in dirittura d’arrivo. Seguirono la riforma del lavoro, della pubblica amministrazione, quella fiscale. Altre riforme invece si arenarono quasi subito. Come quella relativa alla riduzione dei costi della macchina amministrativa, la c.d. spending review, sbandierata nei primi mesi, letteralmente evaporata dopo la vendita delle prime dieci auto blu.

Ma tant’è. Il credito degli italiani a Renzi era tale e l’economia mondiale in ripresa, che il 2014 e l’inizio del 2015 passarono con il vento in poppa. Il grande successo del PD alle Europee del 2014 e l’indubbio successo di Expo nel 2015, di cui il Premier non mancò di evidenziarne la riuscita come fosse stata opera del suo Governo, contribuirono a rendere la leadership renziana sempre più convinta di avere l’appoggio della maggioranza degli italiani.

Ed è proprio da questa convinzione di aver in pugno il Paese, che hanno inizio i problemi attuali del governo Renzi. Alcune riforme attese da tempo, come quella del Jobs Act, nel corso del 2015 non hanno dimostrato di portare gli esiti sperati, cioè una riduzione della disoccupazione. Quella del sistema bancario, impostata nel 2015, sino ad ora non ha contribuito a creare quel clima di fiducia dei mercati nei confronti del nostro sistema economico, del nostro Sistema Paese, che rimane osservato speciale.

Di più, in Europa Renzi ha cercato di monetizzare troppo presto il pacchetto delle riforme interne, alcune ancora in corso, altre solo abbozzate (i famosi compiti a casa), chiedendo alla Commissione alcuni punti di flessibilità in più per la nostra spesa pubblica in un momento storico dove purtroppo la crescita economica vista nel biennio 2014/2015, peraltro debole, si sta fermando.

E arriviamo agli ultimi mesi, trascorsi con il dibattito politico interno focalizzato sulla riforma costituzionale e sulla legge per la parità dei diritti per le coppie omosessuali, mentre i pensieri degli italiani andavano da tutt’altra parte. Un tentativo per distogliere la mente dalla gravità della situazione economica?

Diciamo la verità: se al posto di Renzi ci fosse stato Berlusconi e la Borsa di Milano avesse perso dall’inizio dell’anno ad oggi quasi il 25% del suo valore di capitalizzazione, il leader di Centro Destra sarebbe stato oggetto di una potente campagna denigratoria e costretto alle dimissioni, come accadde nel 2011.

Con Renzi invece, come si sta comportando l’establishment che conta in Italia? Per ora tace, cercando appunto di distrarre l’opinione pubblica portandola ad occuparsi di grandi tematiche, di massimi sistemi che coinvolgono emotivamente le persone e le allontanano dagli argomenti spigolosi.

Fino a quando potrà durare il giochetto?

Perché una cosa è certa: in politica si guadagna il consenso e il potere con le promesse di un mondo migliore, ma si perde potere e consenso quando la borsa della spesa rimane vuota.

Ma da stasera ricomincia il Festival di Sanremo...

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- Politica

E alla fine, la solita montagna partorì il solito topolino..

E alla fine, la solita montagna partorì il solito topolino...

Viene da dire che il Ministro Padoan forse poteva concedersi qualche ora di sonno in più nella giornata di ieri ed evitare un tour de force con la dura commissaria danese Margrethe Vestager per spuntare un risultato come quello ottenuto sulla bad bank italiana che, alla fine, come voleva l’Europa, non si farà.

Dodici mesi di dibattiti, polemiche, incontri, più o meno istituzionali, sui diversi tavoli europei per poi partorire un accordicchio come quello di ieri. Che disastro. Per il nostro Governo, per Renzi, ma anche per l’economia italiana e in ultima analisi anche per l’Europa.

Questo i falchi delle Nazioni del Nord non l’hanno ancora capito: ostacolare la ripresa della nostra economia e del nostro sistema finanziario, alla lunga non gioverà neanche a loro, sempre che alla lunga ci sia ancora una parvenza di unità economica europea da difendere.

Per rendere comprensibile al maggior numero di lettori il nocciolo dell’accordo ottenuto dal nostro ministro ieri sera possiamo dire che al posto di una bad bank italiana, ci saranno più cartolarizzazioni di crediti a sofferenza.

Mi spiego: i crediti a sofferenza delle banche (circa 200 miliardi di euro) resteranno nei bilanci delle singole banche che però potranno (non saranno obbligate) a fronte di un pacchetto di crediti ben individuato e con ancora qualche possibilità di recupero (in sostanza quelli meglio garantiti in via reale con ipoteche) cartolarizzarli, ossia emettere obbligazioni di pari valore dei crediti individuati.

Inoltre, alla garanzia reale già collegata a questi crediti cartolarizzati, lo Stato italiano per renderli maggiormente appetibili a coloro che sottoscriveranno le obbligazioni, offrirà, dietro il pagamento di una commissione a carico della banca emittente, una ulteriore garanzia pubblica, statale.

Così confezionato, il pacchetto regalo di obbligazioni “ex spazzatura” potrà essere allocato presso la BCE dove il nostro concittadino Draghi li accetterà in conto deposito elargendo alla banca depositaria liquidità che potrà essere spesa per sostenere, in teoria, gli investimenti di famiglie e imprese.

Questo in estrema sintesi.

Di fatto questo è un modo elegante per prendere tempo senza risolvere il problema. E' certo infatti che prima o poi le obbligazioni dovranno essere rimborsate dalla banca emittente la quale per giunta si troverà sempre nei suoi bilanci i crediti a sofferenza, quelli appunto che nel frattempo ha cartolarizzato. E quindi mantenendo questi incagli nel suo bilancio, la banca dovrà sempre effettuare accantonamenti di fondi a scopo prudenziale come prevede la normativa bancaria europea. Questi accantonamenti continueranno pertanto, come accade oggi, ad essere una zavorra alla crescita economica.

In sintesi da questa super manovra del nostro Ministro Padoan non si otterrà quella spinta che tutti aspettavano per dare una scossa alla nostra economia che, ormai è chiaro, ha riacceso il motore, ma è rimasta in folle, e la strada non è in discesa.

Ci si accorge ora che non aver affrontato il problema banche negli anni passati, quando altre Nazioni hanno approfittato dei fondi Salva Stati per ripianare i buchi nei bilanci degli istituti di credito, è stato un errore strategico. Ora la normativa europea è cambiata con l’entrata in vigore del c.d. Bail in e non è più possibile operare come in passato, ma questo è avvenuto anche grazie al voto dei rappresentanti italiani presenti in Europa.

Allora viene un dubbio: ma i nostri parlamentari e politici eletti nelle diverse istituzioni europee hanno idea di cosa votano, e si rendono conto se i temi che si discutono possano o meno danneggiare il Paese?

L’impressione che si ricava da questa come da altre vicende europee è quella che abbiamo eletto in Europa una massa di politici impreparati ad affrontare temi tanto complessi, che si riempiono la bocca in campagna elettorale di parole di cui probabilmente ignorano il significato e che forse sono più interessati agli emolumenti che le cariche europee riconoscono che a portare avanti politiche sensate per il nostro Paese.

Alla fine, si ritorna sempre al punto fondamentale: quello che fa la differenza è la coscienza con cui si compie il proprio lavoro, qualunque esso sia, dal pulire una strada al votare una legge a Strasburgo o scrivere un articolo alla sera dopo cena, perché l’ultima a morire è la passione per questo Paese, il più bello del mondo, se non fosse per certi concittadini.

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- Politica

Le référendum est-nous

L'appuntamento politico italiano più importante dell'anno 2016 sarà il referendum costituzionale che si terrà in ottobre. Il Premier Renzi non smette di sottolinearlo in queste prime giornate di ripresa della vita politica. Tutto ruoterà attorno a quell'evento. Dall'esito della consultazione dipenderà il futuro politico di Renzi e del Governo. Almeno, è in questi termini che la questione è stata posta dai medesimi.

In effetti, a ben pensarci, tutto quanto ha fatto sinora il Governo, indipendentemente dal giudizio positivo o negativo che ciascuno di noi dà al suo operato, trova le sue fondamenta nelle riforme di quelle norme costituzionali che sono state votate, attenzione non decise, ma solamente votate, in Parlamento.

Da tali riforme l'Italia si dovrebbe aspettare la ripresa di quel circolo virtuoso che rimetterebbe in moto la vita politica, quella civile e infine quella economica del Paese. Personalmente crediamo e speriamo che un forte contributo alla rinascita del nostro Paese possa veramente arrivare da queste riforme, attese da anni.

Ecco allora che diventa fondamentale per il destino del Paese, in questi dieci mesi che ci dividono dall'appuntamento referendario, approfondire e comprendere le modifiche che sono state approvate dal Parlamento, cercando di essere liberi il più possibile da pregiudizi e steccati ideologici perché in gioco c'è il futuro dell’Italia.

Se venissero bocciate le riforme, significherebbe che la stagione riformista del più giovane Premier che l'Italia repubblicana abbia avuto è arrivata al capolinea. Viceversa, se confermate, il Governo avrebbe il via libera nel proseguire la sua opera riformatrice almeno sino alle politiche del 2018.

Ma il problema secondo noi sta proprio qui. E' corretto collegare la vita del Governo Renzi all'esito del referendum? Tutti noi siamo consapevoli di come l'Italia abbia bisogno di ridisegnare il suo abito costituzionale, in alcuni punti desueto e tagliato su misura per un'Italia diversa da quella di oggi.

Ma c'è modo e modo per giungere ad un risultato. Quello scelto da Renzi, lo diciamo senza problemi, non ci convince in alcuni passaggi, soprattutto perché in gioco c'è la modifica della Costituzione. Certo, il Premier fa valere il fatto che si è comunque giunti ad una riforma, mentre in passato i tentativi di modificare il sistema si erano sempre arenati. Ma è sufficiente l'aver voluto raggiungere un risultato a tutti i costi per ritenersi soddisfatti?

Sono solamente due i precedenti analoghi referendum costituzionali: il referendum del 2001 (su modifica della Costituzione proposta dal Governo D'Alema) e quello del 2006 (su modifica della Costituzione proposta dal Governo Berlusconi). Il primo confermò la decisione del Parlamento (con una partecipazione al voto decisamente bassa: 34,1% degli aventi diritto che approvarono la riforma con il 64,2% dei voti) e la riforma entrò in vigore; mentre il secondo venne bocciato dal popolo (la partecipazione al voto fu superiore al 2001 e pari al 52,30% degli aventi diritto ma la riforma fu bocciata dal 61,32% dei votanti).

Nel primo caso, nel 2001, quando si tenne il referendum, le forze politiche (di Centro Destra) che sostenevano il Governo in carica (Berlusconi) erano opposizione al tempo della riforma votata dal Parlamento e confermata dal voto popolare (Riforma D'Alema). Nel 2006 capitò la medesima cosa: quando si tenne il referendum (25 e 26 giugno 2006) era da un mese salito in carica il secondo Governo Prodi e le forze politiche che avevano proposto la modifica della Costituzione (di Centro Destra) erano diventate minoranza nel Paese. La riforma però questa volta fu bocciata nel referendum con una maggioranza superiore a quella del 2001.

Questo per dire che un conto è sostenere la politica di riforme, anche coraggiose, che sta portando avanti l'attuale Governo Renzi, diverso è valutare nel merito la bontà o meno delle riforme stesse.

Certo non è un compito facile, ma abbiamo ancora dieci mesi per informarci e pensarci. L'importante è non sprecare questo tempo. Facciamoci trovare preparati perché questa volta sarebbe un errore imperdonabile mancare l’appuntamento con la storia.

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- Esperienze di vita

L’ultima parola non è la parola fine, ma la parola bene

Il 31 dicembre 2015, poche ore prima della mezzanotte, il mio amico Ugo è salito al cielo. Era malato di SLA da sei anni e forse qualcuno di voi ha già letto i post che parlano di lui su questo blog. Ora, dopo aver partecipato al suo funerale questa mattina, in una chiesa strapiena di persone, non mi resta che ringraziare lui e Silvia, la moglie, per la testimonianza che ci hanno dato in questi anni. Sono stati sei anni di fatica, tantissima, per Silvia che non lo ha mai lasciato solo un giorno, e nel frattempo ha cresciuto i due figli che ora hanno sei e otto anni, ma anche per Ugo che, oltre a dover subire la malattia che avanzava a passi da gigante, vedeva passare davanti agli occhi la vita dei suoi cari senza poter fisicamente agire. Eppure dal rapporto tra marito e moglie, dove ad operare era l’essenziale e non altro, attraverso la fatica del quotidiano, giorno dopo giorno, sono germogliati un’infinità di relazioni, di situazioni, di incontri che hanno cambiato la vita stessa delle persone coinvolte. Era impossibile rimanere gli stessi dopo una visita a casa di Ugo e Silvia. A casa loro si stava bene, tutti stavano bene. Ci si sentiva meglio, si usciva cambiati. Si andava a casa loro con la scusa di salutare Ugo, ma in realtà era come si volesse vivere un poco vicino a quell’unione, si volesse contemplare l’unità presente tra un corpo immobile, Ugo e sua moglie Silvia. Unità che rimandava a qualcosa d’altro, ad una Presenza che la rendeva possibile, umanamente possibile. Come ha detto Don Giorgio nell’omelia, non siamo qui così in tanti per celebrare la fine di tutto questo, la fine di Ugo. Sarebbe assurdo fare una cerimonia se tutto finisse qui. Ugo ci ha testimoniato con il suo sacrificio cos’è l’essenziale della vita e sua moglie Silvia ci ha documentato con il suo sì - nella salute e nella malattia - ripetuto il giorno del matrimonio e ogni giorno della malattia di Ugo, il miracolo quotidiano che si compie con la Grazia di Cristo. Quello che Ugo ci ha lasciato, ci ha affidato, sono le persone e i momenti di rapporti vissuti insieme che ci hanno testimoniato l’esistenza di una Presenza che può dare una risposta di senso e verità anche al dolore più intenso, in apparenza più assurdo. Sta a noi fare memoria e rendere testimonianza di questo dono ricevuto. Come scrive Giovanna De Ponti Conti nella sua favola “Arco di Luce”: “l’ultima parola non è la parola fine, ma la parola bene”. Ugo e Silvia ci hanno aiutato a sperimentare un assaggio di quel bene. E per questo li ringraziamo.

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- Religione

Il Natale del Bambino Gesù

Tra pochi giorni è Natale. I fedeli cattolici di tutto il mondo ricorderanno per la 2015° volta la nascita del Bambino, figlio di Dio.

E’ sufficiente entrare in una chiesa e inginocchiarsi davanti a quel Bambino, nato grazie al Sì di sua Madre, una giovane donna divenuta la nostra Mamma celeste, e di Suo Padre, Creatore dell’Universo e di quel Bambino. Il significato del Natale è tutto qui.

Certo, da un punto di vista puramente razionale, può sembrare una follia. Ma quale idea di ragione possediamo? Una ragione limitata ad accettare solo i dati provenienti dal mondo tangibile, misurabile, verificabile? Oppure un’idea di ragione aperta ad ogni possibilità offerta dalla realtà? L’amore di una mamma per il proprio figlio è misurabile con strumenti meccanici? Eppure esiste, è ragionevole che esista, anzi è un’evidenza che esiste. Ed è proprio questo amore “non misurabile” che permette al bambino di crescere e di diventare adulto.

Ciò non di meno, riconoscere questo Avvenimento è in parte anche una Grazia. Riconoscerlo significa al fondo essere onesti con se stessi, con la propria umanità ed accettare l’evidenza che è un Altro a reggere i fili della nostra esistenza. Noi non ci siamo dati la vita, qualcun Altro ce la può togliere in qualsiasi momento.

Il fatto della morte, del morire, dello scegliere il giorno e l’ora della propria morte sono forse i concetti che più vengono combattuti e dibattuti nella società attuale, eppure è proprio da questa evidenza che il messaggio di Cristo acquista maggiore forza e chiarezza.

Quel Bambino, nato in una mangiatoia riscaldata dal calore fisico di due animali, cresciuto e diventato adulto, dopo aver predicato sulla terra la sua buona novella, è stato ucciso, inchiodato su una croce ed è risorto dopo tre giorni.

Il tutto documentato attraverso i Vangeli e testimoniato sino a noi dalla vita di milioni di uomini che ci hanno trasmesso il Suo messaggio.

Da qui ha avuto origine la nostra storia, la nostra civiltà, il nostro modo di pensare e di agire. Da qui dobbiamo ripartire ancora oggi per affrontare il domani.

Il 25 dicembre facciamo memoria di questo Avvenimento, di questa nascita.

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- Religione

Parigi come Baghdad

Con l’attentato di Parigi, il secondo quest’anno, di venerdì 13 novembre, diventa evidente che il sedicente Stato islamico ha deciso di portare gli attacchi terroristici nel cuore delle capitali europee che partecipano in Siria alla spedizione anti Isis. Parigi come Beirut, Kabul, Gaza, Baghdad, Islamabad, Londra, New York, Boston e si potrebbe continuare, purtroppo.

 

Quello che i terroristi hanno voluto colpire questa volta è lo stile di vita del nostro mondo occidentale, non simboli religiosi, ma quelli laici di un normale venerdì sera: la partita di calcio allo stadio, un concerto rock, una serata al bistrot con gli amici. Una sera qualsiasi, una location tranquilla, non a rischio, secondo un normale ragionamento che non attribuisce particolare valore simbolico ad un locale dove si ascolta musica dal vivo ed ecco che di colpo un terrorista si fa esplodere e un altro fa strage di giovani impugnando un kalashnikov. Ormai non c’è luogo in Europa che possa dirsi al sicuro dal pericolo del terrorismo islamico.

 

Gesti non umani li ha definiti Papa Francesco. Uccidere, massacrare gente inerme senza una ragione non è umano, questo è evidente a tutti, ma non è a ben vedere neanche animale, perché gli animali uccidono altri animali per una ragione, o per fame o per difesa. Come si reagisce a questa situazione che provoca angoscia e lascia dentro ciascuno di noi un senso di rabbia e impotenza? Con la legge dell’occhio per occhio, dente per dente? O ci sono altre vie? Sicuramente nell’immediato occorre una mobilitazione unitaria di tutte le Nazioni civili, possibilmente sotto l’egida dell’Onu, contro l’Isis che porti il più velocemente possibile alla sua sconfitta militare. In questo caso, l’azione sarà più efficace politicamente quante più nazioni “islamiche” parteciperanno alla coalizione.

 

Ma il passo successivo a nostro giudizio dovrà prevedere una forte azione politica e culturale per cercare da un lato di porre fine, non con le bombe ma con le parole scritte sotto forma di trattati e accordi, ai molteplici conflitti che da troppo tempo affliggono il Medio Oriente, iniziando da quello israeliano palestinese. Finché un bimbo israeliano avrà negli occhi l’orrore delle esplosioni dei razzi di Hezbollah sulla sua città e un bambino di Gaza crescerà con la visione dei carri armati israeliani che sparano a suo fratello più grande o a suo padre, non ci potrà essere pace in quella regione.

 

Occorre che i leader delle nazioni più influenti del mondo escogitino il modo di convincere i leader di quei popoli a trovare il modo di vivere insieme in pace in Palestina. Solo così potranno nascere e crescere giovani generazioni che non avranno negli occhi e nei cuori immagini di guerra, di dolore e di rabbia con l’inevitabile certezza che crescendo quei sentimenti si trasformino in desiderio di vendetta.

 

Ormai è chiaro che non ci sono alternative: con l’uso della forza non si è ottenuto quanto auspicato, da nessuna delle parti in causa. La democrazia, il rispetto dei diritti umani, i temi tanto cari al mondo occidentale, non si possono imporre con la forza e l’uso delle armi ai popoli, ma attraverso un lavoro che deve essere di tipo politico e culturale, fermo restando che questi medesimi valori devono essere accettati consapevolmente dalle popolazioni per far sì che portino in quelle società un reale cambiamento e diano frutti. E’ un processo lento, un lavoro continuo che va sostenuto da tutti gli uomini di buona volontà, di qualsiasi fede essi siano, ognuno può e deve fare la sua parte nel proprio quotidiano senza dimenticare però che l’esito rimane incerto.

 

Necessita quindi cambiare strategia per raggiungere l’unico vero risultato che conta: riportare la pace in Medio Oriente. D’altra parte come scrisse il grande scienziato Albert Einstein, follia è fare sempre la stessa cosa e aspettare risultati diversi. Il mondo di oggi ha quanto mai bisogno di nuovi leader, che non siano necessariamente giovani di età (di esempio la figura di Papa Francesco che si impone a tutti per la sua autorità morale associata ad una personale ed umana autorevolezza), ma giovani di idee e desiderosi di impegnarsi per un reale cambiamento di mentalità e di approccio al problema medio orientale. Solo così vedremo la luce in fondo al tunnel che il mondo intero sta percorrendo.

 

Perché una cosa è certa: non sappiamo se questa che stiamo vivendo sia la terza guerra mondiale, ma sicuramente è una guerra globale che interessa tutte le Nazioni ed è una guerra tra due visioni differenti del mondo che devono trovare il modo di convivere in pace implementando la reciproca conoscenza e il reciproco rispetto.

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- Politica

Cos’è la destra, cos’è la sinistra?

Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra? cantava venti anni fa Giorgio Gaber.

Chissà cosa avrebbe cantato oggi il grande poeta, profeta laico milanese. Di certo al tempo di Renzi la domanda proprio non si pone. Non esistono più né destra, né sinistra, ma un unico grande centro con a capo l’uomo della Nazione, giovane, bello, sempre più popolare sia da noi che in Europa. Cosa gli può essere precluso?

Insegnano ai corsi aziendali per manager di agire in totale libertà sino a quando ciò è tollerato o permesso dal proprio superiore gerarchico o concorrente diretto. Dopo, avviene lo scontro e vince il più forte, più abile, più intelligente, più tenace, più più...E questa regola vale per ogni gradino della piramide che compone l’organizzazione del nostro vivere “civile”.

E’ ciò che ha fatto il nostro Premier, sfidando prima il suo partito, poi il suo predecessore e poi i suoi alleati di governo e tutti coloro che in un modo o nell’altro non sono stati in sintonia con il suo pensiero galoppante e visionario. Perché quello che conta, lo insegnano sempre nei corsi aziendali, è la Vision.

Sino ad ora, bisogna dire che ci ha saputo fare. Per essere sinceri, l’ascesa è stata aiutata anche da fattori esogeni alla sua volontà, vale a dire la totale assenza di uomini politici di pari livello.

Renzi, cavallo di razza occorre ammetterlo, si è trovato un parterre di ronzini che si sono divisi di fronte alla sua discesa in campo: alcuni, gli idealisti e gli stolti, si sono messi di traverso, gli altri, i più, in coda sperando che la corda fosse abbastanza lunga da arrivare a trainarli.

Oggi, con la legge di stabilità, la prima veramente renziana, la sua Vision sociale ed economica appare chiara e limpida. Per capire a chi strizza l’occhio il Giovin Signore fiorentino, basta osservare da dove arrivano le lodi e gli applausi e da dove i fischi e le pernacchie. Ma del resto, come dargli torto. Egli è fatto per durare a lungo, senza di lui l’Italia intera sarebbe una scialuppa alla deriva. Da che mondo è mondo il nostro Paese si guida conquistando il Centro e al centro ora c’è lui e nessun altro.

Ed in Europa? Se la Commissione ci boccia la legge di stabilità, gliela si rimanda paro paro, ha dichiarato il Premier alla stampa. Corso di manager docet… Fino a dove arriverà la corsa del cavallo renziano?

Cos’è la destra, cos’è la sinistra?

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- Politica

Questa notte ho fatto un sogno, ovvero...

Questa notte ho fatto un sogno, ovvero "Roma è vita" - il programma elettorale più votato e meno realizzato d'Italia -Ehm ehm è permesso? C’è qualcuno? La musica è dolce e il canto melodioso… all’improvviso sento un rumore, mi volto e la vedo, bellissima, seduta sul trono in fondo al salone… mi avvicino lentamente, quasi accecato dal chiarore che si origina alle sue spalle. -Chi sei? Sei tu, mio amato Euriloco? Quanto tempo è passato? Più o meno di tremila anni? -No, no, non sono Euricolo o chi hai detto, sono Marino, mi chiamo Marino e vengo da Roma… -Marino? Marino chi? - Sono Marino, il, cioè volevo dire, l’ex sindaco della magna Roma! - Roma? Allora è vero che alla fine sono riusciti a fondarla… - Cosa? - Niente, pensavo tra me. Cosa sei venuto a fare qui nel mio Palazzo? Cosa vuoi sapere da Circe? - Scusa grande Maga, ma mi hanno detto che tu sai predire il futuro… e vorrei conoscere il mio, tutto qui. - Perché? Cosa hai combinato di tanto grave per temere il futuro? - Ma io non ho combinato niente di grave! - Tu menti! Chi ha paura del futuro è perché ne teme l’avverarsi… altrimenti vivrebbe senza pensare al domani, concentrato sul presente. Silenzio. -Allora? - Beh forse non sono riuscito a spiegare bene il mio pensiero ai miei sudditi, cioè volevo dire concittadini, ho mancato nella comunicazione e mi sono fidato delle persone sbagliate, ma dopo tutto l’ho fatto a fin di bene… - Tutto qui? - Forse negli ultimi due anni ho viaggiato troppo e mi sono allontanato dalla mia città dimenticando che i romani volevano avermi vicino e percepire la mia presenza quotidiana in Campidoglio… - Solo questo? - Beh, forse avrei dovuto iniziare a dare corso al programma elettorale, ma pensavo di avere ancora tanto tempo davanti a me, avevo sempre in mente quattro numeri: 2 0 2 4. - E quindi? - E quindi oggi il mio partito, il partito democratico, non so se lo conosci Maga Circe, mi ha tolto la fiducia, dopo mesi che mi sosteneva nonostante tutto… - Nonostante cosa? - Nonostante il mio impegno, le mie fatiche quotidiane passate a cercare di governare Roma, la città eterna. - Eppure è strano, io della costruzione di Roma non ne sapevo nulla … - Cosa hai detto Circe? Non ho sentito… - Niente niente, pensavo tra me. Allora cosa vuoi sapere Marino, è così che ti chiami giusto? - Sì ! - Cosa vuoi conoscere? -Che ne sarà di me? Che ne sarà del mio partito? Silenzio. Per quindici minuti la Maga armeggia con un bastoncino immerso in un liquido denso contenuto in un vaso trasparente. Di colpo alza la testa e mi fissa negli occhi. -Cosa accadrà? le chiedo. -Vedo un tempo sereno e tranquillo per la tua città. Un uomo solo al comando, nominato dal Giovin Signore fiorentino, accompagnerà per dodici mesi i tuoi concittadini. Poi vi saranno nuove elezioni e anche tu vorrai candidarti, ma l’esito sarà disastroso... - Il mio partito non vincerà? -Tu non avrai più un partito, sarai solo contro la Destra e la Sinistra. Il popolo si ricorderà di te, ma non nel segreto dell’urna. -Solo? Dopo tutto quello che ho fatto per loro? - Poi a Roma arriveranno altri, i discendenti del cielo pentastellato, i nemici dei Proci conquisteranno il tuo scranno e per molti anni regneranno sulla città. -Non è possibile, quel movimento è una bufala, l’ho inventato io nel 2013, le loro idee sono le mie…mi devi credere, se vuoi ti recito il mio programma elettorale… -Silenzio! E poi dalla tua città il movimento, come tu lo chiami, si allargherà a macchia d’olio sino a conquistare lo scranno più alto del potere, ma così facendo, affonderà nel profondo, nero e contaminato male italico…questo è quanto…nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma…E’ la Legge. -Non è possibile…mi sa che questa volta l’ho combinata grossa… -Questo è quello che vedo nel mio pentolino…la Maga Circe non sbaglia mai… - Forse aveva ragione la mia mamma, dopo l'anno sabbatico, dovevo rimanere a vivere negli States…

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- Libri

Ancora più vita

Un romanzo lieve e autentico, l'ultimo di Angelo Roma, giornalista e scrittore ormai affermato nel panorama italiano.

Ancora più vita è una bella storia, da leggere e da meditare. E' una storia di un'Italia d'altri tempi, siamo nel 1930, ma che ha molto da dire all'Italia di oggi.

E' la storia di un giovane, orfano di padre dalla nascita, figlio di contadini pugliesi di Ostuni. Non è il massimo iniziare la vita da figlio di contadini, soprattutto negli anni Trenta, eppure la volontà ferrea e il coraggio della madre, poco più che ragazza, colmano le assenze iniziali e fortificano il giovane nel corso degli anni.

Il ragazzo cresce in una di quelle famiglie allargate tipiche della civiltà contadina del secolo scorso; con nonni e zii da guardare e osservare per imparare a stare al mondo e con cugini con i quali iniziare a competere sul grande palcoscenico della vita.

Il nostro protagonista però è diverso, ha un'intelligenza e soprattutto una sensibilità non comune agli altri ragazzi e una madre che, dal giorno della morte prematura del marito, vive per realizzare la felicità del figlio. Il legame madre - figlio è l'asse portante sul quale si sviluppa la trama del romanzo e contemporaneamente prendono forma le scelte di vita del giovane.

La forza vitale che scorre nelle pagine del libro si alimenta da quest'unione, da questo sodalizio così intimo, spirituale e umano al tempo stesso, di una madre con suo figlio.

Senza raccontare il seguito, possiamo anticipare che l'avverarsi dei sogni giovanili non modifica il carattere del protagonista che anzi rimarrà sempre grato al suo passato e legato affettivamente alla sua terra natale, sino al colpo di scena finale.

Una storia narrata in prima persona, miscelando memoria e desiderio; una pennellata su un periodo storico lungo una vita vissuta inseguendo il proprio io più vero, senza lasciarsi condizionare da giudizi e pre-giudizi.

L'emozione che rimane sulla pelle, alla fine della lettura, è quella di aver fatto l’esperienza di una vita intera e al tempo stesso di un sogno realizzato; di aver sentito scorrere tra i capelli quell'alito di vento che spazza il cielo azzurro della bella Ostuni e che fa veleggiare, "sopra la città", i due giovani disegnati da Chagall, per noi una madre con il suo unico figlio.

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- Religione

Cristianesimo e Islam: per una pacifica convivenza in Europa

Il contraccolpo emotivo che quotidianamente subiamo di fronte alle immagini dei profughi che cercano la salvezza all'interno della nostra cara e vecchia Europa (che in questo periodo storico si presenta al mondo con il vestito dell'Unione europea a 28) ci lascia attoniti e senza parole. Di pensieri invece ce ne vengono molti e ci interroghiamo su come e perché sia potuto accadere tutto questo e soprattutto cosa potrebbe capitare domani.

Una riflessione che ci interpella di frequente riguarda la fede religiosa delle persone che in questi giorni stanno varcando i confini del nostro continente. E' ragionevole pensare che la religione della maggioranza dei profughi sia l'Islam. Quello che il mondo musulmano non è riuscito a compiere con gli eserciti nel XVI secolo (ricordiamo tutti la famosa battaglia di Lepanto che pose fine all'espansione del regno ottomano in Europa), potrebbe riuscire a portare a termine in altro modo ai giorni nostri. Intendiamoci, non stiamo dicendo che esiste una "strategia" da parte dell'Islam di invadere l'Europa con milioni di profughi e successivamente, una volta insediatisi e stabilizzatisi, cercare di islamizzare il continente. Tuttavia, vista la situazione attuale e alcuni scenari tendenziali di cui più avanti parleremo, nel medio periodo qualche problema di "convivenza" tra i due mondi, il nostro e il loro, si potrebbe presentare.

Iniziamo con il dire che la situazione attuale è il frutto di scelte sbagliate anche da parte dei Paesi europei. L'origine dei conflitti che oggi stanno provocando una marea umana di esuli e rifugiati, che vagano senza una meta per il Mediterraneo e per mezza Europa, dipende in larga parte dalle centenarie politiche egemoniche dell'Occidente in Asia e Africa. Su questo tema si potrebbe discutere per giorni, ma non ci interessa in questo momento. Evidenziamo solo che l'ultimo atto di questa pretesa egemonica dell'Occidente, cui è stato dato il nome, tragicamente ironico per l’esito che sta avendo, di "primavere arabe", che pretendeva di esportare la "democrazia" in popoli e nazioni che erano governate da barbari tiranni e despoti dittatori, ha generato morti e distruzioni mille volte superiori e aperto la strada all'Islam più radicale e guerrafondaio (vedasi l'autoproclamatosi Stato islamico sorto sul vuoto di potere in atto).

La situazione attuale però, al di là della sua genesi, va affrontata e gestita. E' ipotizzabile pensare che la risoluzione dei conflitti in atto e una normalizzazione della vita politica e civile dei Paesi dai quali oggi si fugge, richieda anni, decine di anni. Nel frattempo quindi le persone che adesso stanno arrivando per vivere in Europa si saranno stabilizzate e più o meno integrate nelle nostre città e nei nostri Paesi. L'esigenza di integrazione, che dovrebbe, per logica e interessi, essere avvertita maggiormente dai “vecchi” residenti cioè dagli attuali cittadini europei, presuppone che si realizzino luoghi aggregativi dove i nuovi arrivati, che si sommano ai musulmani già residenti in Europa, possano essere accolti e iniziare una nuova vita rispettando quelli che sono i principi costitutivi della nostra cultura e della nostra concezione del vivere insieme in pace. Noi dobbiamo insegnare ai nuovi arrivati che l’Europa è un luogo che accoglie le vittime delle guerre e delle persecuzioni, che c’è posto per tutti, a condizione che desiderino vivere in pace lavorando onestamente e rispettando le idee e le credenze di tutti.

Non è più possibile ignorare questo problema e non gestirlo. Nelle grandi città metropolitane europee si sono costruite moschee, di dimensioni più o meno grandi, per permettere ai nuovi arrivati di esercitare il proprio culto. E’ la libertà religiosa infatti, la prima che deve essere garantita alle persone in quanto quella più costitutiva dell’essere umano e quella da cui può partire il dialogo tra uomini con fedi diverse, ma uniti dalla medesima tensione del senso religioso. Occorre che anche in Italia, rimasta indietro sino ad ora nell’affrontare il problema, si incominci a riflettere e ad agire. L’esempio di Milano in questo caso è significativo. Il comune ha deciso di permettere agli esponenti di altre religioni la costruzione di luoghi di culto e le associazioni islamiche si sono pre-aggiudicate due delle tre aree rese disponibili dall'amministrazione. Ma attenzione: a questo punto incontriamo un problema. Con quale Islam abbiamo a che fare? La religione islamica infatti non ha una personalità che, come il Papa per la Chiesa Cattolica, rappresenta univocamente tutti i fedeli di Maometto. Storicamente si sono sviluppati diversi Islam che hanno dato vita a diverse letture dei testi sacri e quindi a diversi modi di vivere e professare la religione islamica.

Non è un fattore di secondaria importanza, perché in base alle comunità musulmane cui si apriranno le porte del dialogo, si darà voce all'islam moderato o a quello più estremista e radicale. Non è certo il caso di rischiare di sostenere e dare voce al secondo islam, semmai occorre allacciare rapporti sempre più stretti con il primo per fare in modo che la nostra società continui ad essere il luogo di sviluppo, di pace e di crescita culturale e religiosa per ogni cittadino. Infatti la risposta che daremo al tema della questione religiosa per i milioni di musulmani che vivranno sui nostri territori nei prossimi anni contribuirà a mantenere in Europa un clima di pace e di stabilità politica e civile che a sua volta permetterà un progresso economico e sociale per tutti. Ma solo se a svilupparsi sarà l'islam moderato e responsabile e si metterà ai margini quello più violento e radicale. In caso contrario il rischio per le medesime nazioni europee che oggi stanno accogliendo i profughi sarà quello di aver coltivato in seno dei potenziali nemici che, una volta integratisi all'interno dei singoli Paesi, utilizzando le regole democratiche della nazione ospitante, acquisiti i diritti politici, civili e religiosi, tentino l'islamizzazione forzata del Paese.

Il pericolo esiste anche perché, in Europa, la secolarizzazione ha provocato l'abbandono dalla pratica religiosa di milioni di persone che non percepiscono più il cristianesimo come punto di riferimento per la loro vita. Il nichilismo esistenziale permea milioni di europei e una modalità religiosa come quella espressa dall'Islam radicale, potrebbe sicuramente fare breccia nel vuoto esistenziale dei nostri giorni e risultare attrattiva soprattutto sui giovani europei.

Da come riusciremo a gestire oggi queste sfide epocali, dipenderà il futuro del nostro continente e dei nostri figli.

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- Libri

Ma che cos’è una famiglia?

E' uscito nell’ultimo mese di agosto per la casa editrice Edizioni Ares, tradotto da Flora Crescini, il nuovo lavoro del filosofo francese Fabrice Hadjadj dal titolo: "Ma che cos'è una famiglia? con sottotitolo – seguito da La trascendenza nelle mutande & altri discorsi ultra - sessisti".

L'opera non tratta esclusivamente di famiglia, di fatto è una raccolta di quattro interventi scritti dall'autore tra il 2013 e il 2014 con temi prettamente filosofici: le domande inevase che la vita contemporanea ancora oggi pone e le risposte che il cristianesimo ha la "presunzione" di poter fornire alle donne e agli uomini contemporanei.

Hadjadj, per chi non lo conoscesse, è sicuramente una delle menti più brillanti del cattolicesimo francese. Nato nel 1971, di origini ebree, convertito al cattolicesimo, i suoi scritti sono la manifestazione vivente della Gloria di Cristo che affascina le persone dalla gioventù movimentata nello spirito, alla sant'Agostino per intenderci. In sintonia con altre personalità convertite al cattolicesimo, come il Cardinale Newman o il Cardinal Lustiger, ma non consacrato alla vita religiosa bensì felicemente sposato e padre di sei figli, come descrive nella prefazione del libro, le opere di Hadjadj comunicano all'uomo contemporaneo la Bellezza che lo ha folgorato da giovane e la potenza sconvolgente del messaggio di Cristo, valido anche nel 2015!

In particolare quest'ultima fatica esce in un periodo storico che vede proprio la famiglia, potremmo dire la "Sacra Famiglia" sul banco degli imputati ad opera del pensiero dominante…

Come c'era da aspettarsi, Hadjadj nel suo saggio rovescia l’idea tutto sommato negativa che oggi si ha riguardo la famiglia, riportando il significato della parola all'essenziale. L’inizio destabilizza: "La famiglia è sempre l'amore del vecchio coglione e del giovane idiota ed è questo che la rende così ammirevole, è questo che la rende scuola di carità. La carità è l'amore soprannaturale del prossimo, quello che non abbiamo scelto e che, di primo acchito, ci è antipatico. Ora, i primi prossimi che non abbiamo scelto e che spesso ci sono insopportabili sono i nostri congiunti, dati per vie naturali". I nostri figli.

Il linguaggio è diretto, il significato chiaro. Ognuno di noi proviene da una famiglia, la famiglia è il punto di partenza di ognuno di noi nella storia, quindi essa è un fondamento. Ma se è un fondamento, se viene prima, non si può fondare la famiglia. Essa è già data prima di noi.

Ma che cos'è la famiglia? Molti insistono su tre punti che ritengono fondanti la famiglia, costitutivi della famiglia: l'amore. La famiglia è il luogo dell'amore, dei genitori verso il figlio. Secondo: la famiglia è il luogo della prima educazione. Il bambino nasce in una famiglia a partire da un progetto parentale responsabile. E terzo, la famiglia è il luogo del rispetto delle libertà.

Ma attenzione, ecco il pensiero di Hadjadj in proposito: "Ecco dunque la conseguenza ineluttabile: pretendendo di fondare la famiglia perfetta sull'amore, l'educazione e la libertà, quel che si fonda, in verità, non è la perfezione della famiglia, bensì l'eccellenza dell'orfanotrofio. E' fuori dubbio: in un eccellente orfanotrofio, si amano i bambini, li si educa, si rispetta la loro persona. In qualche modo si è nella pienezza del progetto parentale, perché prendersi cura dei bambini è il progetto costitutivo di una simile impresa".

In sostanza spiega Hadjadj, "…considerare la famiglia solo a partire dall'amore, dall'educazione e dalla libertà, fondarla sul bene del figlio in quanto individuo e non in quanto figlio e sui doveri dei genitori, in quanto educatori e non in quanto genitori, è proporre una famiglia già de-familiarizzata".

E quindi "…occorre riconoscere dal punto di vista dell'esistenza concreta, che è la famiglia a fondare l'amore, l'educazione e la libertà" e non viceversa.

Da questo inizio il filosofo prosegue la sua analisi sino a toccare il vertice del significato della parola famiglia, che possiamo definire come "…lo zoccolo carnale dell'apertura alla trascendenza...E' il luogo del dono e della ricezione incalcolabile di una vita che si dispiega con noi ma anche nostro malgrado e ci spinge sempre più avanti nel mistero dell'esistere".

Certamente non siamo abituati oggi a leggere parole come queste riguardo alla famiglia.

Non è la difesa di una vecchia istituzione un po’ fuori moda quella del filosofo, piuttosto una riflessione personale che si spinge in luoghi una volta di comune sentire (la coscienza), ma oggi totalmente oscurati da una nebbia tecnologica.

La tecnologia infatti non sempre aiuta la famiglia, il tablet ha sostituito la tavola attorno alla quale la famiglia si riunisce per il pranzo insieme (sempre più raro) o per la cena.

Ancora il francese: "Con il tablet, la funzione ha la meglio sul dono e la trasmissione tra le generazioni è interrotta. E' l'ultimo grido che deve prevalere. La tecnologia si sostituisce al genealogico. In questa situazione, l'adolescente diventa il capofamiglia. La sua abilità di cavarsela con i software diventa più decisiva dell'esperienza degli anziani - non designando più questo termine qualcosa di venerabile, ma soltanto di vetusto, di superato, da rottamare".

Non andiamo oltre. Chiudiamo la recensione consigliando la lettura di quest’opera, forse non alla portata di tutti per la difficoltà di comprensione di alcuni concetti filosofici che non si leggono tutti i giorni su Facebook, ma che apre la mente a nuove (o forse vecchie) riflessioni.

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- Filosofia

Il tempo presente

Viviamo in un periodo storico di grandi cambiamenti e il futuro ci spaventa. Questo è il luogo comune che, come un mantra, sentiamo ripetere e a nostra volta noi stessi ripetiamo, quasi a volerci nascondere dietro di esso per evitare di affrontare l’ignoto. Poiché affrontare la novità, ci porta ansia, preoccupazione, meglio l'ormai conosciuto e metabolizzato tran tran della nostra solita vita, il tanto amato quieto vivere.

Ma è proprio così? E' così vero che quello attuale è un periodo straordinario, fatto di grandi cambiamenti?

Ogni epoca, ogni periodo storico ha avuto accelerazioni e poi anni più "tranquilli", dove i nuovi equilibri si consolidavano per poi dare origine a nuove metamorfosi. E i famigerati cambiamenti altro non sono che gli inevitabili progressi che l'homo sapiens ha compiuto da quando è apparso sulla terra.

Ascoltavo, forzatamente perché ad un passo dalle mie orecchie in metropolitana, due signore non più giovani che ricordavano la propria vita lavorativa e la fatica del viaggio quotidiano in treno, con i frequenti ritardi che non permettevano il ritorno a casa la sera ad un'ora certa. E una delle due signore chiudeva: "E non esistevano neanche i cellulari, ma nessuno a casa si preoccupava. Si sapeva che il treno faceva ritardo. Adesso se mia figlia tarda cinque minuti dal lavoro e non mi avvisa, io sono in pensiero".

Rispetto a trenta, venti anni fa, oggi si sono fatti enormi passi avanti in moltissimi ambiti della vita umana. Abbiamo raggiunto traguardi impensabili anche solo pochi anni addietro, ma questi nuovi traguardi stanno rompendo i vecchi equilibri consolidati del "mondo" precedente e agiscono per creare i nuovi equilibri. Inoltre, anche la crisi economica in atto dal 2007 ha contribuito a modificare le abitudini consolidate del periodo storico precedente. Perché le scelte e gli stili di vita individuali hanno sempre delle conseguenze, interagiscono con l’insieme sociale superiore, sia esso la famiglia, o una comunità di persone prossima, un partito politico per esempio, per poi arrivare all’organismo amministrativo vero e proprio, Comune o Regione, per giungere infine a trasformare le comunità remote, lo Stato e le Unioni di Stati.

Ora, l’essere umano, inserito in questo continuo flusso di cambiamenti che è la vita, cosa può fare per sopravvivere e non essere sopraffatto, non essere annientato da quello che oggi sembra una montagna alta quanto l'Everest, ma che domani potrebbe risultare una semplice collinetta?

L'unico modo è vivere il presente. Non lasciarsi prendere dall'ansia del futuro che non riusciamo ancora a governare, ma che sappiamo dipenderà certamente dalle scelte che compiamo oggi. E non vivere rivolti al passato perché è un luogo vissuto che non possiamo più modificare e i cui frutti stanno già condizionando il nostro presente.

Se ci riappropriamo del tempo presente, allora possiamo camminare senza timori e con la serenità di chi dovrebbe conosce bene il proprio compito quotidiano. E la sera, il buio, la notte, non ci faranno più paura. Perché domani è un nuovo giorno.

In fondo, se ci pensate bene, nessuno ci ha mai chiesto di più.

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- Educazione

Toglieteci tutto ma non la libertà di educare i nostri figli

Toglieteci tutto, ma non la libertà di educare i nostri figli.

Periodicamente, dal giorno in cui è stata promulgata la Carta Costituzionale, ritorna in Italia il tema degli aiuti economici che lo Stato dovrebbe o non dovrebbe fornire alle scuole libere, non statali, o paritarie come vengono definite adesso. Aiuti diretti o esenzioni dal pagamento di certe imposte, come nel caso dell’ICI di cui si sta discutendo in queste ore.

Ci preme ribadire alcune considerazioni elementari, di buon senso, accessibili a tutti insomma.

Uno. Da un punto di vista prettamente economico, un ragazzo italiano che frequenta una scuola statale costa allo Stato circa 6.000 euro l’anno (i numeri vengono dalla Pubblica Amministrazione) mentre un ragazzo che frequenta una scuola paritaria ne costa circa 600. Già questa semplice e banale considerazione dovrebbe far riflettere tutti sul fatto che la chiusura delle scuole paritarie porterebbe un notevole aggravamento delle finanze dedicate alla scuola statale, che sarebbe costretta a dividere i fondi a disposizione su una platea di alunni più ampia (oltre un milione e trecentomila studenti frequentano le paritarie), per non parlare del costo dei docenti e non docenti.

Due. Ogni famiglia che, il più delle volte con fatica e sacrifici, decide di mandare i propri figli a studiare alle scuole paritarie, versa comunque regolarmente una quota delle proprie tasse anche a favore della scuola statale di cui però, per scelta, non beneficia. Inoltre questi alunni che hanno frequentato le scuole paritarie, un domani entreranno a far parte della vita sociale e civile della comunità e renderanno disponibile la propria formazione personale a tutti, favorendo la crescita spirituale, economica e sociale della nostra nazione. Ciò comporta un arricchimento della vita civile, a meno che non si pensi che una diversa e pluralista libertà di educazione delle giovani generazioni sia negativa e nociva per la crescita morale dell’Italia e solo un’impostazione statalista della scuola sia positiva e da valorizzare. Noi pensiamo esattamente il contrario.

Tre. Le famiglie italiane sono, in Europa, le meno aiutate e sostenute economicamente dallo Stato, soprattutto quelle con più figli. Ora alle scuole non statali si vorrebbe far pagare anche l’ICI sugli immobili dove vengono tenute le lezioni. Cosa dovrebbero fare queste scuole? L’unico modo per sostenere i nuovi oneri sarebbe quello di aumentare le rette degli studenti impedendo di fatto a moltissime famiglie il reale diritto, garantito in Costituzione, di educare liberamente i propri figli. E’ questo che si vuole? Far diventare le scuole paritarie scuole d’elite, frequentate da poche migliaia di alunni figli di genitori ricchi? Noi questo non lo vogliamo.

Le scuole paritarie svolgono un ruolo fondamentale nel processo educativo delle giovani generazioni e dovrebbe essere cura di uno Stato laico, cioè aconfessionale, del popolo, mantenere e sviluppare la base delle famiglie che possono scegliere liberamente a quali educatori affidare i propri figli.

Quello che è in discussione è il diritto fondamentale di ogni genitore di poter educare il proprio figlio secondo la concezione della vita e della religione cui si appartiene. Una famiglia cattolica, una famiglia ebrea, una famiglia musulmana ha il diritto di mandare il proprio figlio in una scuola statale, oppure in una scuola paritaria, dove trovi docenti che oltre ad insegnare i programmi previsti dallo Stato per quel tipo di studi, educhino il giovane a quella particolare visione del mondo e della vita condivisa con la famiglia di origine. E perché mai lo Stato dovrebbe osteggiare questo tipo di impostazione cultuale? In base a quale diritto soprannaturale? Noi proprio non comprendiamo il motivo.

Come non comprendiamo il motivo che delega una scelta di questo tipo, prettamente politica, ad un’aula di una Corte di Tribunale. Ma le leggi non le scrive il Parlamento? O siamo diventati uno stato di Common Law? E’ ora che tutti i nostri politici, perché questo è un tema generale di libertà che deve coinvolgere tutti, riprendano in mano il compito che spetta loro di diritto e che pongano la parola fine definitivamente su questo argomento che si trascina da troppi decenni in Italia. Siamo stanchi di leggere periodicamente di questi attacchi alla libertà di educazione, per di più portati avanti da piccole frange di estremisti ideologici che fanno riferimento a concezioni di società e di Stato che sono uscite miseramente sconfitte dalla Storia.

E’ tempo che si faccia un passo in avanti in Italia anche sul tema della libertà di educazione, così come lo si sta cercando di fare in altri campi e in altri settori.

Che sia #lavoltabuona?

Noi tutti, donne e uomini di buon senso, lo speriamo.

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- Politica

Grecia vs resto d’Europa?

La vittoria dei no al referendum greco non era per nulla scontata. Almeno per la stampa occidentale che sostiene la Germania e i gruppi di potere che in questo momento dettano legge in Europa.

In molti speravano che con la mossa del referendum, Tsipras si fosse infilato da solo in un vicolo cieco e che alla fine a chiudere l'accordo con la triade (BCE, Fondo Monetario e UE) sarebbe stato un altro primo ministro.

E invece Tsipras che per alcuni è solo un giocatore di poker piuttosto che un leader politico, ha rischiato ed ha avuto ragione ad affidarsi al popolo greco che, a maggioranza, ha confermato la scelta delle elezioni politiche di gennaio.

Quindi Tsipras ha vinto? E’ presto per dirlo.

A nostro avviso, perché il no al referendum si traduca in una vittoria comune, sia del popolo greco che dell’Unione europea, occorre approfittare della situazione che si è creata per cambiare marcia e rivedere radicalmente le politiche adottate sino ad ora.

Ormai è chiaro che il popolo greco dopo anni di austerity non è riuscito a rimettersi in carreggiata. E dopo di lui altri popoli incominciano a chiedersi se vale la pena rimanere in un'Europa come quella attuale. Nei prossimi mesi ci saranno elezioni politiche in diverse nazioni europee e il pericolo che il “no” greco si diffonda è reale.

Eppure, le reazioni dei leader europei, soprattutto dei più rigoristi ed intransigenti, al no della Grecia, non sembrano indirizzate ad un cambiamento di linea politica.

Il punto fermo dell’intransigenza e del rigorismo finanziario è rappresentato dalla Germania e dai suoi Paesi satelliti nord europei. Il nodo è arrivato al pettine. O la maggioranza dei Paesi europei convince Berlino e i suoi alleati in Consiglio a cambiare approccio al problema greco, oppure una mediazione diventa impossibile.

La verità è che si è costruita un’unione monetaria e finanziaria che ruota intorno all’area forte dell’ex Marco tedesco che ha semplicemente cambiato nome in Euro. E’ chiaro che i tedeschi difenderanno sino allo stremo la loro politica del rigore che li ha portati ad avere un’economia forte come non l’avevano mai avuta negli ultimi cento anni, ma ciò è avvenuto anche grazie ai sacrifici che hanno dovuto sopportare gli altri Paesi europei che si sono trovati in tasca una valuta sovra stimata rispetto alle proprie economie. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Ora questa è forse l'ultima occasione per cambiare impostazione e metodo per affrontare la crisi in atto. Se si fallisse, la parola passerebbe ai populismi che pure già stanno raccogliendo proseliti in ogni nazione d’Europa e le conseguenze politiche potrebbero essere molto gravi, da non ritorno.

Però, a pensarci bene, un’ultima opzione ci sarebbe: e se al posto della Grecia, ad uscire dall’Unione monetaria fosse la Germania?

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- Politica

Grexit? E se invece ridiscutessimo Maastricht...

Dalle prime avvisaglie della crisi che ha scosso l'eurozona sono passati poco più di tre anni. A fine 2011 oltre la Grecia, anche Italia, Spagna, Portogallo e Irlanda erano sull'orlo del baratro finanziario e avevano urgente bisogno di riforme strutturali che rimettessero in carreggiata i rispettivi Paesi.

Ad oggi, solo la Grecia non è riuscita a porre in essere quelle riforme strutturali che, più o meno, hanno posto in atto gli altri Paesi riuscendo a togliersi dall'occhio del ciclone della triade (Commissione Europea, BCE e Fondo Monetario).

Potremmo scrivere migliaia di parole sulle ragioni per le quali la Grecia non sia riuscita nell'intento ed ognuno di noi potrebbe esprimere in merito il proprio parere che, da un punto di vista di logica economica, potrebbe avere o non avere un suo fondamento, un suo valore.

Vogliamo dire che sul caso Grecia tutti, dai politici locali agli economisti di fama internazionale, dai politici europei al popolo greco, tutti hanno commesso degli errori, di analisi, di studio, di prospettiva, di impegno civile, di mancanza di volontà; anche se però non tutti ne pagheranno le conseguenze nel caso la situazione dovesse degenerare.

Ma detto ciò, non è sui motivi che hanno spinto la situazione sino al punto dove adesso si trova, l'orlo di un burrone, che vorremmo concentrarci, bensì a questo punto su come uscire da questo vicolo cieco e dove ri-orientare il cammino europeo.

L'Europa, insieme alla Grecia, appare ormai giunta ad un punto di non ritorno. Come si risolverà la crisi greca avrà infatti ripercussioni sul modo di concepire e pensare da oggi in avanti l'Unione europea.

In una logica mercantilistica e affaristica, in tutto il mondo, il socio di minoranza che non si allinea, ma anzi si mette di traverso al volere della maggioranza, viene liquidato ed esce dalla società. Tradotto, la Grecia che conta circa il 3% del PIL dell'Unione, o si adegua ai diktat della triade oppure può tranquillamente dirigersi verso l'uscita. Questa posizione è molto diffusa in diversi ambiti e gruppi economici e finanziari europei.

Ma è questa l'Unione europea che abbiamo costruito e che vogliamo? Ciò che contano oggi in Europa sono solo ed esclusivamente gli interessi economici? In Europa oggi comandano i finanzieri e gli industriali oppure insieme alle Istituzioni europee elette con il suffragio universale (a dir la verità solo il Parlamento europeo) vi sono altre logiche, altre politiche che devono essere considerate quando si affronta la crisi greca?

Perché questo è lo snodo centrale di una situazione che appare ingarbugliata sino all'inverosimile dal punto di vista giuridico e finanziario, ma che si può risolvere in mezz'ora se c'è la volontà politica di guardarla con altri occhi.

I politici europei che siedono in queste ore nei palazzi che contano hanno davanti a loro la possibilità di compiere una scelta che passerà alla storia: irrigidirsi sulle proposte di austerity nei confronti della Grecia, arrivando alla rottura delle trattative (lasciamo perdere di chi sarebbe la “colpa” finale che rappresenta un discorso sterile) oppure rimettere in discussione i parametri (valevoli per tutte le nazioni europee) e le condizioni che regolano i rapporti economici e finanziari degli Stati all'interno della UE (ridiscutere Maastricht per intenderci).

Il motivo per fare ciò: perché i valori che hanno portato all'idea di unità europea, i valori di pace, sussidiarietà, fratellanza, amicizia tra i popoli, perché il periodo di tempo più lungo di prosperità e pace che l'Europa ha vissuto negli ultimi settant'anni, sono più forti e valgono infinite volte di più di un parametro finanziario pensato da un burocrate con l'ausilio di un computer.

Poi, ci si mette tutti intorno ad un tavolo e si discutono le cose da fare e come aiutare, oggi la Grecia, domani qualcun altro, a risalire la china.

Mai come oggi si sente la mancanza di quella Costituzione europea che non vide mai la luce e che se si fosse riusciti a varare, ci avrebbe potuto indicare la rotta da seguire in casi come quello che stiamo attraversando.

Di un’Unione che predilige un parametro matematico alla salvezza di una Nazione francamente non abbiamo bisogno.

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- Religione

Laudato si’

Settecento novanta anni dopo la stesura del Cantico delle creature, un altro Francesco, questa volta Papa, compone un documento che inizia con le medesime parole di quello scritto dal Santo di Assisi, patrono d’Italia.

Laudato Sì è la lettera enciclica che Papa Francesco, così hanno scritto sui giornali i diversi commentatori professionisti, dedica al tema dell’ecologia, della cura del pianeta. Un’enciclica verde insomma, in sintonia con il politically correct, magari non condiviso da tutti, ma che ha un sensibile seguito nel pensiero attuale.

In effetti, leggendola, scopriamo che prima di lui, a partire da Giovanni XXIII, anche altri pontefici hanno trattato il tema della salvaguardia del creato. Ma certamente quella di Francesco è la prima enciclica focalizzata sul tema ecologico e nel primo capitolo viene messa in evidenza, senza tacere nulla, la situazione attuale: inquinamento, rifiuti, cultura dello scarto, riscaldamento climatico, gli oceani, la questione dell’acqua, la perdita delle biodiversità. Ogni argomento è approfondito e analizzato nelle sue conseguenze sull’essere umano e sulla qualità della vita umana.

Ma poi, cosa succede? Dove ci vuole portare l’enciclica del Papa. Dentro al nocciolo della questione, al centro del problema ecologico che stiamo vivendo oggi.

“A nulla ci servirà descrivere i sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisi ecologica. Vi è un modo di comprendere la vita e l’azione umana che è deviato e che contraddice la realtà fino al punto di rovinarla. Perché non possiamo fermarci a riflettere su questo? Propongo pertanto di concentrarci sul paradigma tecnocratico dominante e sul posto che vi occupano l’essere umano e la sua azione nel mondo” [101].

E’ l’essere umano il punto di partenza per affrontare la crisi che stiamo vivendo, questo ci sta dicendo il Papa.

“Si tende a credere che «ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di pienezza di valori», come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia. Il fatto è che «l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza», perché l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza. Ogni epoca tende a sviluppare una scarsa autocoscienza dei propri limiti. Per tale motivo è possibile che oggi l’umanità non avverta la serietà delle sfide che le si presentano, e «la possibilità dell’uomo di usare male della sua potenza è in continuo aumento» quando «non esistono norme di libertà, ma solo pretese necessità di utilità e di sicurezza»” [105].

Nei capitoli successivi il Santo Padre analizza i rapporti tra il malessere che il nostro pianeta attraversa in questo periodo e la situazione umana che non sembra vivere in tempi migliori.

“Quando non si riconosce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità – per fare solo alcuni esempi –, difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa. Tutto è connesso. Se l’essere umano si dichiara autonomo dalla realtà e si costituisce dominatore assoluto, la stessa base della sua esistenza si sgretola, perché «Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura.” [117]

Non c’è vera ecologia senza vera antropologia: questo ci sta dicendo il Papa.

“Quando l’essere umano pone sé stesso al centro, finisce per dare priorità assoluta ai suoi interessi contingenti, e tutto il resto diventa relativo. Perciò non dovrebbe meravigliare il fatto che, insieme all’onnipresenza del paradigma tecnocratico e all’adorazione del potere umano senza limiti, si sviluppi nei soggetti questo relativismo, in cui tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati. Vi è in questo una logica che permette di comprendere come si alimentino a vicenda diversi atteggiamenti che provocano al tempo stesso il degrado ambientale e il degrado sociale” [122].

Ecco che allora dimenticarsi dell’ambiente si collega alla mancanza di cura degli ambiti nei quali si svolge la vita degli uomini: basta pensare a certi quartieri degradati nelle periferie delle nostre città.

Questo ha in mente il Papa: un’ecologia integrale, cioè umana.

“L’ecologia studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui si sviluppano. Essa esige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo” [138].

L’uomo deve trovare il coraggio di ripensare ai propri modelli di sviluppo, economici e sociali se vuole invertire la rotta del degrado ambientale, altrimenti questo degrado continuerà sino a portarci alla distruzione definitiva delle risorse del pianeta.

“D’altra parte, la crescita economica tende a produrre automatismi e ad omogeneizzare, al fine di semplificare i processi e ridurre i costi. Per questo è necessaria un’ecologia economica, capace di indurre a considerare la realtà in maniera più ampia. Infatti, «la protezione dell’ambiente dovrà costituire parte integrante del processo di sviluppo e non potrà considerarsi in maniera isolata». Ma nello stesso tempo diventa attuale la necessità impellente dell’umanesimo, che fa appello ai diversi saperi, anche quello economico, per una visione più integrale e integrante. Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa, che genera un determinato modo di relazionarsi con gli altri e con l’ambiente”. [141]

E qui sono chiamati in causa amministratori pubblici, architetti, ingegneri, economisti, ma anche filosofi, insegnanti, tutti coloro che hanno le competenze e il potere per cambiare lo status quo.

“L’ecologia umana è inseparabile dalla nozione di bene comune, un principio che svolge un ruolo centrale e unificante nell’etica sociale. E’ «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente». [156]

E’ anche una questione di giustizia tra generazioni quella che Papa Francesco vuole mettere in evidenza:

“La nozione di bene comune coinvolge anche le generazioni future. Le crisi economiche internazionali hanno mostrato con crudezza gli effetti nocivi che porta con sé il disconoscimento di un destino comune, dal quale non possono essere esclusi coloro che verranno dopo di noi. Ormai non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni. Quando pensiamo alla situazione in cui si lascia il pianeta alle future generazioni, entriamo in un’altra logica, quella del dono gratuito che riceviamo e comunichiamo. Se la terra ci è donata, non possiamo più pensare soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttività per il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno”. [159]

La crisi dell’uomo contemporaneo è profonda. Esso non si rende più conto del legame che lo unisce alla terra da cui è stato generato e che ha ricevuto in dono:

“La difficoltà a prendere sul serio questa sfida è legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico. L’uomo e la donna del mondo postmoderno corrono il rischio permanente di diventare profondamente individualisti, e molti problemi sociali attuali sono da porre in relazione con la ricerca egoistica della soddisfazione immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a riconoscere l’altro. Molte volte si è di fronte ad un consumo eccessivo e miope dei genitori che danneggia i figli, che trovano sempre più difficoltà ad acquistare una casa propria e a fondare una famiglia. Inoltre, questa incapacità di pensare seriamente alle future generazioni è legata alla nostra incapacità di ampliare l’orizzonte delle nostre preoccupazioni e pensare a quanti rimangono esclusi dallo sviluppo. Non perdiamoci a immaginare i poveri del futuro, è sufficiente che ricordiamo i poveri di oggi, che hanno pochi anni da vivere su questa terra e non possono continuare ad aspettare. Perciò, «oltre alla leale solidarietà intergenerazionale, occorre reiterare l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà intragenerazionale”. [162]

Cosa possiamo fare per uscire dalla situazione attuale? Occorre un cambio di mentalità, sia a livello personale che comunitario. I politici in questo senso hanno un ruolo fondamentale, più volte ricordato dal Papa:

“Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi. Molte volte la stessa politica è responsabile del proprio discredito, a causa della corruzione e della mancanza di buone politiche pubbliche. Se lo Stato non adempie il proprio ruolo in una regione, alcuni gruppi economici possono apparire come benefattori e detenere il potere reale, sentendosi autorizzati a non osservare certe norme, fino a dar luogo a diverse forme di criminalità organizzata, tratta delle persone, narcotraffico e violenza molto difficili da sradicare. Se la politica non è capace di rompere una logica perversa, e inoltre resta inglobata in discorsi inconsistenti, continueremo a non affrontare i grandi problemi dell’umanità. Una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sana dovrebbe essere capace di assumere questa sfida”. [197]

Ma la politica da sola non basta. E’ il cuore dell’uomo che deve domandare il cambiamento.

“Quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non esiste nemmeno un vero bene comune. Se tale è il tipo di soggetto che tende a predominare in una società, le norme saranno rispettate solo nella misura in cui non contraddicano le proprie necessità. Perciò non pensiamo solo alla possibilità di terribili fenomeni climatici o grandi disastri naturali, ma anche a catastrofi derivate da crisi sociali, perché l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca”. [204]

Non tutto è perduto. L’uomo è capace di scegliere tra il bene e il male e può quindi decidere di cambiare il proprio stile di vita, l’uomo è capace di rigenerarsi. Siamo di fronte ad una vera e propria sfida educativa.

“Gli ambiti educativi sono vari: la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi, e altri. Una buona educazione scolastica nell’infanzia e nell’adolescenza pone semi che possono produrre effetti lungo tutta la vita. Ma desidero sottolineare l’importanza centrale della famiglia, perché «è il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un’autentica crescita umana. Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della vita». Nella famiglia si coltivano le prime abitudini di amore e cura per la vita, come per esempio l’uso corretto delle cose, l’ordine e la pulizia, il rispetto per l’ecosistema locale e la protezione di tutte le creature. La famiglia è il luogo della formazione integrale, dove si dispiegano i diversi aspetti, intimamente relazionati tra loro, della maturazione personale. Nella famiglia si impara a chiedere permesso senza prepotenza, a dire “grazie” come espressione di sentito apprezzamento per le cose che riceviamo, a dominare l’aggressività o l’avidità, e a chiedere scusa quando facciamo qualcosa di male. Questi piccoli gesti di sincera cortesia aiutano a costruire una cultura della vita condivisa e del rispetto per quanto ci circonda”. [213]

Anche l’educazione al bello contribuisce al cambiamento dello stile di vita e genera rispetto al posto del degrado.

“In questo contesto, «non va trascurata […] la relazione che c’è tra un’adeguata educazione estetica e il mantenimento di un ambiente sano». Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico. Quando non si impara a fermarsi ad ammirare ed apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli”. [215]

La crisi ecologica ci propone in definitiva una vera e propria conversione ecologica interiore.

“Tuttavia, non basta che ognuno sia migliore per risolvere una situazione tanto complessa come quella che affronta il mondo attuale. I singoli individui possono perdere la capacità e la libertà di vincere la logica della ragione strumentale e finiscono per soccombere a un consumismo senza etica e senza senso sociale e ambientale. Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie, non con la mera somma di beni individuali: «Le esigenze di quest’opera saranno così immense che le possibilità delle iniziative individuali e la cooperazione dei singoli, individualisticamente formati, non saranno in grado di rispondervi. Sarà necessaria una unione di forze e una unità di contribuzioni». La conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria”. [219]

Il finale dell’Enciclica è un richiamo profondo, accorato alla riscoperta per il cristiano, per il credente, del significato dell’Amore divino che ci ha donato il proprio Figlio per testimoniare l’unitarietà tra questa terra, ora bistrattata e il Cielo.

In conclusione: un documento che merita un’attenta lettura e che pone al cuore dell’uomo contemporaneo, credente o non credente, domande scomode, ma proprio perché scomode, domande vere, nei confronti delle quali rimane difficile restare indifferenti.

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- Politica

Chi non si fida di Renzi?

Ai pochi che ancora non avevano compreso con che stoffa è confezionato il nostro Presidente del Consiglio, la giornata di oggi ha certamente tolto ogni dubbio. Matteo Renzi non ha paura, come lui stesso a twittato, di andare a casa, ma anzi vuole a tutti i costi portare avanti le riforme promesse all’inizio del mandato ed è disposto a sfidare le opposizioni, esterne ed interne, sul tema per lui decisivo della legge elettorale.

Quindi, la stoffa è di quella iper resistente, non si piega, semmai si può spezzare, ma chi avrebbe il coraggio di tirarla così tanto sino a romperla? Del resto Matteo se è arrivato dove è arrivato, non è per il voto popolare, ma perché è stato abile, come in questa giornata, ad occupare lo spazio, meglio, le praterie, lasciategli di fronte dal vuoto cosmico che alberga nella politica italiana. Chi oggi può pensare di mettersi contro il giovin Signore e batterlo alle urne?

C’è qualcuno in Italia che pensa che con l’Expo alle porte, con la congiuntura economica che forse incomincia ad essere favorevole, ci siano in Parlamento deputati disposti a far cadere il Governo su un argomento che, in fondo, non interessa quasi a nessuno se non agli addetti ai lavori?

E invece l’argomento dovrebbe interessare tutti, visto che con le riforme costituzionali in atto, con un Senato della Repubblica ridotto al valore di un soprammobile, con il Quarto Potere asservito alla politica e non alla Verità, una riforma elettorale come quella in approvazione in effetti potrebbe creare qualche problema di tenuta democratica della nostra vita politica. La conseguenza potrebbe essere un ulteriore allontanamento delle persone dalla politica, mentre invece ci sarebbe bisogno del contrario.

Evidentemente all’attuale Primo Ministro questa legge piace così come è uscita dalle lunghe sedute con l’ex Premier Berlusconi, altrimenti non si capiscono i continui dinieghi a modificare alcuni punti che in effetti non paiono del tutto consoni alla Costituzione. Del resto, dopo anni di attesa, non crediamo che un mese in più o in meno facciano la differenza sul cammino delle riforme.

In più, la legge che dovrebbe garantire la partecipazione democratica degli italiani alla vita politica del Paese si dovrebbe decidere con la più ampia maggioranza politica possibile, mentre invece Renzi sembra che abbia cercato proprio lo “scontro” finale con tutte le opposizioni per esplicitare ancor più che solo lui è in grado, in questo momento, di far progredire l’Italia.

Una figura esce da questa giornata un po’ appannata ed è quella del Capo dello Stato. Avrebbe potuto, trattandosi di un tema così delicato come quello della Legge elettorale, invitare il Governo a cercare una maggiore condivisione sul tema in Parlamento. Non lo ha fatto. Forse un po’ più di coraggio non avrebbe fatto male al Paese.

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- Filosofia

L’inevitabile certezza

Ci sono parole al giorno d’oggi il cui significato risulta di difficile comprensione o forse, meglio, non si comprendono più in quanto vengono percepite come legate ad un tempo passato, superato dagli avvenimenti, dalla storia, dal tempo appunto; risultano in sostanza fuori moda.

Una di queste parole è la parola certezza.

Mentre anche solo un secolo fa la parola certezza appariva come fonte positiva, costitutiva dell’agire umano (se non eri certo di qualcosa, come potevi muoverti?) oggi la stessa viene vista come fonte di chiusura, di immobilismo. La certezza viene vista come un minerale, un fossile. Una persona certa non si mette in discussione, non dialoga, rimane immobile. La certezza fa paura, è fuori moda.

Le ideologie del XX secolo hanno prodotto la distruzione della libertà individuale e di quella collettiva di interi popoli.

Quindi oggi l’uomo certo ci appare irrigidito nel suo orgoglio e nella sua intolleranza, come un uomo morto.

E’ vero, viviamo nell’epoca delle incertezze. Questa è una certezza!

Siamo nell’epoca del relativismo. Ma la certezza è inevitabile, l’abbiamo appena letto. Senza un minimo di certezza, non possiamo vivere. Non possiamo alzarci alla mattina e fare un passo. Quando parliamo di certezza dal punto di vista esistenziale, la parola certezza non va associata ad un minerale, statico, ma piuttosto alla possibilità del movimento, ad un cammino.

Quello che blocca il cammino, la vita, non è la certezza, ma il dubbio. Un uomo che dubiti della solidità di un ponte non lo attraverserà mai, starà fermo a guardarlo. I teorici dello scetticismo, sono sempre conformisti nella vita pratica. Non cambiano nulla. E’ solo la certezza che mette in movimento.

Ma chi ci garantisce che la certezza non riproduca i disastri prodotti dal nazismo e dal comunismo nel XX secolo? La vera certezza non può fondarsi su un sentimento interiore, soggettivo o collettivo che sia. Perché dopo un po’, il sentimento muterebbe e non sarebbe più certo, ma diventerebbe incerto.

Il nostro tempo, il tempo moderno, è il tempo del crollo del progressismo, della morte dell’umanesimo. Se fino a pochi decenni fa si affermava Dio è morto, oggi possiamo affermare l’Uomo è morto. La parola moderno significa recente, dei nostri giorni.

La rottura del legame con il passato, con la tradizione di un tempo, ha ridotto il tempo moderno al culto del recente, alla moda. La moda che va continuamente fuori moda. Nella moda non c’è veramente nulla di nuovo. La moda è il culto di ciò che sarà antiquato e fuori moda tra dodici mesi.

Chi di noi possiede oggi un iPhone6 è di moda, tra dodici mesi, quando uscirà l’iPhone7, sarà fuori moda.

Ma c’è ancora qualcosa, esiste oggi un’inevitabile certezza moderna cui l’uomo del nostro tempo e quello di domani potranno guardare e abbracciare per vivere e che non andrà fuori moda?

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- Religione

Christianity is better

Christianity is better, il cristianesimo è meglio.

Questo slogan incomincia a circolare sulle bocche e negli articoli dei maitre à penser soprattutto da quando la violenza di una parte dei fedeli di religione musulmana, una minima parte per fortuna, ha iniziato una nuova guerra di religione per imporre la propria visione del mondo al mondo.

Certo, i massacri di esseri umani, senza alcuna motivazione se non quella di essere fedeli di altre religioni, la distruzione dei segni millenari lasciati dalle civiltà che si sono succedute sulla terra gridano vendetta agli occhi di chiunque abbia ancora dentro di sé un barlume anche minimo di umanità.

Tra tutte le fedi religiose perseguitate, sembra che ai cristiani sia riservato un trattamento speciale dai tagliagole jihadisti e non c’è da stupirsi. Il cristianesimo è l’unica fede che predica di amare i propri nemici ed è l’unica che ha la pretesa di trovare il proprio fondamento nell’azione stessa di Dio che è entrato per mezzo del proprio Figlio nella storia dell’uomo. Questa pretesa cristiana è uno scandalo per le altre fedi religiose, soprattutto per quelle più radicali che hanno anch’esse la pretesa, questa volta totalmente umana, di essere depositarie della Verità. E poi amare i propri nemici è cosa impossibile per un essere umano. Solo ad un Dio totalmente Amore che abbia condiviso la condizione di essere uomo su questa terra è stato possibile vivere questo sentimento e lasciarcelo in eredità. E’ il mistero della Croce del Venerdì Santo e il Mistero della Resurrezione che celebriamo in questa giornata.

Il Cristianesimo è meglio. Fa piacere che gli intellettuali che cercano di indirizzare le nostre menti e le nostre coscienze, si stiano accorgendo che sostenere l’omologazione del pensiero non è la strada giusta da percorrere. Non è così che funziona. Ma il Cristianesimo non è solo quello che predica l’amore tra gli uomini e la pace come valore universale. Il Cristianesimo è anche difesa della vita ad ogni costo, quindi no all’aborto e all’eutanasia. Il cristianesimo è difesa della famiglia come cellula fondante la società umana, famiglia composta da un uomo, una donna ed aperta alla procreazione di nuovi esseri umani. Senza procreazione l’umanità è destinata ad estinguersi. Sembra banale ma oggi sono altri gli aspetti che vengono presi in considerazione quando si parla di famiglia. Il cristianesimo è anche difesa totale della libertà rispettosa della dignità personale. Tra queste libertà una particolarmente bistrattata è la libertà di educazione che molto spesso invece viene osteggiata da chi pretende di controllare il pensiero del mondo.

Allora del cristianesimo o si prende tutto, si abbraccia il pensiero nel suo complesso oppure è comodo sostenerlo contro l’islam radicale e poi combatterlo quando sono in gioco altri interessi.

A questo punto viene spontanea una domanda: Christianity is better è l’ennesimo slogan momentaneo, frutto di una reazione emotiva ai violenti accadimenti posti in atto da quei musulmani che hanno abbracciato una nuova guerra santa oppure è il risultato di un reale cambiamento di approccio al pensiero cristiano?

Ci auguriamo la seconda ipotesi, ma temiamo che sia in realtà il frutto della prima.

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- Economia

La puzza della corruzione


L'ultimo dato Ocse riferisce che in Italia il livello percepito di corruzione nelle Istituzioni è pari a 90 su una scala di 100. Solo per citare il Paese europeo meno corrotto, la Svezia, il livello di percezione è pari al 15%.

Purtroppo da anni noi italiani siamo completamente assuefatti e senza reazioni a questo genere di statistiche, e questo è un male, se vogliamo una nostra colpa che ci caratterizza, ci marchia sin dai primi anni di vita.

Appena nati, giusto il tempo di iniziare a muovere i primi passi e la prima percezione di un evento corruttivo che riceviamo dai nostri genitori è la lotta per ottenere un posto all'asilo nido pubblico. La prima esperienza di raccomandazione, a nostra insaputa.

Se siamo stati bravi e abbiamo superato il periodo di studi primario (elementari, medie e liceo come si chiamavano una volta i cicli scolastici) sbarchiamo all'università dove ci troviamo di fronte professori i cui cognomi si ripetono con curiosa periodicità a distanza di decenni…

Se poi, una volta terminati gli studi, si riesce ad entrare nel mondo del lavoro, le residue speranze giovanili di cambiare il mondo, svaniscono miseramente. Se si punta sul settore pubblico, la situazione appare immediatamente chiara: il giovane e brillante laureato farà carriera se si troverà uno sponsor politico che lo sorreggerà e lo farà arrivare fino a dove la sua capacità camaleontica potrà farlo arrivare, ad un certo punto troverà sulla sua strada uno più camaleonte di lui che lo fermerà. La parola meritocrazia non rientra nel vocabolario del dipendente pubblico.

Se invece il giovane si orienta verso il settore privato, la situazione che troverà in aziende multinazionali o comunque di dimensioni medio grandi non sarà molto diversa, anche se almeno all'inizio un minimo di carriera la potrà tentare puntando sulle sue capacità. Ma ad un certo punto si accorgerà che la mala pianta della “raccomandazione” in senso lato ha attecchito anche nel settore privato. E quindi solo se farà parte di un determinato gruppo di potere o di una determinata corrente politica, se l’azienda ha rapporti con la PA, riuscirà a fare carriera. Altrimenti resterà sempre un brillante quadro direttivo, un buon funzionario ma nulla più.

Il dramma italiano risiede in questo: sia che si lavori nel pubblico, sia che si lavori nel privato, si troverà sempre qualcuno che tenterà di corromperci offrendoci una regalia, grande o piccola che sia, per farci compiere qualcosa che già avremmo dovuto compiere in quanto rientrante nei nostri doveri. In Italia molti pensano questo: senza fare una regalia a qualcuno, si crede che la prestazione cui si ha diritto sia di qualità inferiore, di livello più basso del dovuto.

Altri invece in ragione del posto che occupano, soprattutto pubblico, si sentono autorizzati a chiedere una regalia a coloro con i quali entrano in contatto per motivi lavorativi, facendo credere che in questo modo la prestazione da ricevere arriverà prima o non ci saranno problemi ad ottenerla. A tanto è arrivato il nostro modo malato di pensare…

Del resto la stessa parola scandalo (nel suo significato di caduta, inciampo, impedimento) ha perso quel sensazionalismo che fino a pochi anni fa ancora possedeva. Non ci stupiamo più di nulla. Cosa fare allora, da dove partire? Non ci interessa qui approfondire l’aspetto morale della questione, che pure sarebbe il nocciolo fondamentale da cui iniziare. Le recenti parole del Papa a Napoli sulla puzza della corruzione sono indicative da questo punto di vista.

Il nostro approccio al tema corruzione qui è di tipo pragmatico: basterebbe partire da alcune piccole azioni concrete e non da grandi e corposi interventi legislativi per incominciare ad invertire la tendenza.

• A titolo di esempio: se una persona viene condannata per reati contro la Pubblica Amministrazione perde il diritto a vita di candidarsi ad una carica pubblica e non può più intrattenere rapporti con la PA.

• I membri dei Consigli di Amministrazione delle società quotate e di quelle che superano una determinata soglia di fatturato non possono cumulare più di due incarichi di pari livello in società diverse.

• La nomina dei membri dei Collegi Sindacali cui spetta per legge il compito di verificare il corretto operato dei Consigli di Amministrazione non devono più essere scelti dai membri del CDA stesso, ma devono essere nominati da una parte terza, possibilmente pubblica e scelti da un elenco anch’esso pubblico di professionisti abilitati.

• Tutte le cariche pubbliche elettive possono essere ricoperte al massimo per due mandati consecutivi, esauriti i quali non ci si può ricandidare alla medesima carica per i successivi due mandati.

• Per tutte le posizioni dirigenziali e apicali all'interno della pubblica amministrazione devono valere i medesimi principi: i dirigenti non possono rimanere per più di un numero prefissato di anni nella medesima posizione, dopo di ché devono essere spostati ad altri incarichi.

Basterebbero queste poche e banali regole di buon senso per iniziare veramente ad inviare agli italiani un segnale forte di inversione di tendenza… Probabilmente alcuni di voi giudicheranno eccessivi certi divieti, ma non è anche eccessivo il livello di corruzione raggiunto? Quando finalmente l’Ocse ci informerà che il livello della corruzione percepita in Italia sarà pari al 50%, allora forse potremo ripensare a modificare le norme, non prima.

Non c'è come iniziare veramente a fare una cosa per essere già a metà dell'opera. Quando si capirà che l'aria è cambiata, allora anche chi proprio non riesce ad abbandonare la mentalità corruttiva, inizierà a pensare che forse il gioco non vale la candela...

Naturalmente per fare tutto ciò occorre una forte e decisa volontà politica… il governo di Matteo Renzi avrà questa volontà?

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- Politica

Il tempo della verità

Stiamo vivendo il tempo della verità.

La politica del rigore di Angela Merkel, quella interventista in campo economico della BCE di Draghi, il piano di investimenti promosso dalla Commissione Juncker, il calo del prezzo del petrolio, il pareggio euro dollaro: la simultanea presenza di questi fattori, mai vista prima d'ora nel panorama europeo, dovrebbe portare il vecchio continente fuori dalle secche della stagnazione e dare il via ad un nuovo ciclo di sviluppo economico.

Ma sarà veramente così?

Sono in molti ormai a pensare che tutti questi interventi non porteranno al risultato sperato. Alcuni perché ormai già in atto da diversi anni senza ottenere risultati (come la politica del rigore perseguita dalla Germania); altri (come la parità euro-dollaro) perché se possono portare un vantaggio all’export contemporaneamente procurano uno svantaggio al settore delle importazioni. Ed in Europa purtroppo gli Stati più deboli economicamente (come l'Italia) sono costretti ad importare le materie prime che vengono pagate in dollari.

Il calo del prezzo del petrolio è certamente un fattore positivo, ma in un momento di stagnazione economica come l’attuale, una diminuzione di prezzo dell’oro nero non è certamente in grado di produrre quell'effetto shock nei bilanci delle aziende produttive che hanno già ridotto in questi anni i consumi e la bolletta energetica a seguito del calo dei fatturati.

Rimangono il Q.E. di Draghi e il piano di investimenti promosso da Juncker.

Lasciando per ultimo il piano Juncker, veniamo al c.d. bazooka in mano al capo della BCE. Siamo veramente sicuri che sparare liquidità a raffica nel sistema produca quell'effetto benefico che Draghi si aspetta? Sino a questo momento gli unici a rallegrarsi sono stati i mercati finanziari e gli attori di quei mercati, le banche. Ma cosa succede quando si droga un mercato, falsandone le regole con un intervento pubblico, limitato nel tempo? L'ultimo esempio in ordine di tempo lo abbiamo avuto con gli incentivi pubblici forniti al settore delle energie rinnovabili, il settore fotovoltaico. All'inizio moltissime aziende, anche senza esperienza specifica nel settore, si sono letteralmente buttate nella costruzione di campi fotovoltaici mirando solamente a godere degli incentivi statali. Nel tempo il valore di questi incentivi si è assottigliato sempre di più ed alla fine il mercato si è completamente fermato e il settore delle rinnovabili da volano dello sviluppo è diventato un mercato fermo e senza più capacità di generare nuova occupazione.

Cosa succederà quando la BCE smetterà di introdurre liquidità nel sistema? E la liquidità introdotta dove si sta posizionando? Al momento notiamo che le banche stanno utilizzando la liquidità ricevuta da BCE per sostenere il debito pubblico interno dei singoli Stati e non per finanziare investimenti produttivi delle aziende clienti. La grande assente infatti è la domanda interna da parte dell’iniziativa privata che non dimostra nessuna intenzione di promuovere investimenti in un clima di incertezza generale come l’attuale.

E' la domanda che manca, non l'offerta di liquidità. Se non viene creata la domanda interna, la BCE potrà inondare il mercato di miliardi di euro, ma non ci sarà nessuna vera ripresa dell'economia reale.

Ed arriviamo all'ultimo punto: il piano Juncker. Circa 350 miliardi di investimenti pubblici in sette anni non sono pochi, ma neanche una cifra tale da dare una scossa all'economia. Certo si spera nell’effetto leva. Ed è proprio questa la strada da battere: quella degli investimenti.

Occorrerebbe modificare il parametro dello sforamento del 3% del rapporto debito/PIL per far sì che gli interventi nel settore pubblico generino a cascata una domanda seria e consistente da parte dei privati, altrimenti tutto quello messo in campo sino ad ora sarà stato inutile e non solo, si sarà perso del tempo prezioso e la stessa struttura dell’Unione Europea potrebbe uscirne a pezzi.

La crisi che stiamo vivendo è iniziata in ambito finanziario, ma non potrà essere risolta dalla finanza, solo la Politica potrà porvi rimedio con scelte coraggiose da effettuarsi subito.

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- Politica

Berlusconi, Peter Pan e l’isola che non c’è

Purtroppo, o per fortuna, non possiamo riportare indietro le lancette dell'orologio. Nessuno lo può fare, almeno che non si dichiari Onnipotente, ma poi dovrebbe renderne conto...

Ciò premesso, a questo punto della storia politica di Silvio Berlusconi, quale novità potrebbe mai introdurre nella scenario nazionale l'assoluzione in via definitiva dell'ex premier nel processo Ruby?

Dopo la prima discesa in campo, oltre venti anni fa, con la creazione di Forza Italia, dopo la rifondazione del movimento siglata dal c.d. discorso del predellino, dopo lo scioglimento del PDL e la rinascita del Movimento delle origini, che cosa mai potrebbe riservare il politico Silvio Berlusconi ai suoi elettori e all'Italia intera? Forse indicare la via per l'isola che non c'è?

Francamente non riusciamo ad immaginarlo.

Di certo abbiamo sotto gli occhi cosa è rimasto del popolo del Centro Destra dopo venti anni di discesa in campo del nostro Uomo. La novità è proprio questa: la completa dissoluzione di un elettorato, quello di Centro Destra che, affidatosi in buona fede venti anni fa all'uomo nuovo, il liberale Silvio Berlusconi, ne esce completamente diviso e distrutto quattro lustri dopo.

Che il nostro Uomo in tutto questo tempo abbia pensato prima al benessere suo personale, della sua famiglia, del suo gruppo / movimento e poi al bene dell'Italia è un'evidenza che appare agli occhi di tutti. Il vuoto di offerta politica generatosi dalla dissoluzione della Democrazia Cristiana è stato riempito da un movimento familiare, padronale, creato ad immagine e somiglianza di Berlusconi, che in tutti questi anni è rimasto legato a doppio filo agli alti e bassi delle sue vicende personali.

Ora, giunta al termine la parabola politica, il movimento creatosi attorno al leader maximo non ha saputo trovare al proprio interno un degno successore, ma anzi ha iniziato a sgretolarsi in diverse correnti e gruppi di potere che pretendono di rispondere a particolari interessi dell’elettorato di Centro Destra, ma che in realtà hanno come unico effetto quello di creare confusione negli elettori e di diminuire il peso politico complessivo di chi si riconosceva una volta negli ideali democristiani e popolari.

Abbiamo assistito in questi ultimi mesi alla spaccatura interna a Forza Italia, alla nascita di diverse formazioni di Centro ed ora anche alle spaccature interne alla Lega di Salvini: tutto il fronte del Centro Destra una volta unito da Berlusconi è ora diviso ed in balia di capibastone estemporanei e inadeguati a proporsi come leader unici del fronte anti Renzi.

Se la “colpa” dello stato comatoso attuale del Centro Destra è per la maggior parte di Berlusconi, il ventennio berlusconiano è invece dipeso da responsabilità di altri. Infatti la responsabilità politica e morale del ventennio berlusconiano ricade su tutte quelle forze politiche che, avendo avuto in Parlamento i numeri per poter agire diversamente, hanno lasciato fare, per comodità, compiacenza, tornaconto.

Basta solo un esempio per capirci: il nodo mai risolto, anzi, mai affrontato veramente da nessun Governo degli ultimi venti anni, della risoluzione del conflitto d'interessi. In qualsiasi Paese civile, la normativa che disciplina il conflitto d'interesse di quelle persone che detengono un consistente potere economico e che desiderano anche impegnarsi nella vita politica candidandosi a cariche pubbliche apicali, impedisce che si possa verificare un caso Berlusconi. In Italia questo non è accaduto.

Ormai è acqua passata, il tempo è trascorso. Per fortuna le lancette degli orologi non possono tornare indietro, Peter Pan continuerà a volare da solo nell'isola che non c'è e tutti noi ci auguriamo che Silvio Berlusconi, dopo l'assoluzione tanto attesa, decida di proseguire nelle opere di carità... rassegnandosi a passare il testimone al nuovo leader moderato del partito unico della Nazione, il democraticamente eletto premier Matteo Renzi... forse l'unico degno successore dell'ex Cavaliere.

Sic transit gloria mundi.

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- Politica

Buon compleanno Matteo!

Ormai lo sappiamo, viviamo una vita talmente intensa e totalizzante che a volte, quando ci fermiamo un secondo a riflettere, ci accorgiamo che è già passato un anno mentre ci sembrava ieri che fossero accaduti i fatti trattenuti dalla memoria.

Per esempio, il 22 febbraio prossimo sarà il primo compleanno del Governo di Matteo Renzi, nominato Primo Ministro dopo le dimissioni pronunciate qualche giorno prima dal compagno di partito Enrico Letta sfiduciato dalla Direzione del PD di cui Renzi stesso era divenuto segretario il 15 dicembre 2013.

Sembra ieri e invece è già trascorso un anno. E le promesse di dodici mesi fa del nostro giovane Premier sono state mantenute? Come è cambiata l’Italia durante questo arco temporale?

Forse qualcuno si ricorderà del piano di riforme mensili di Renzi presentato a suon di diapositive nelle sue prime conferenze stampa preavvisate da tweet… per marzo la riforma del mercato del lavoro, per aprile la pubblica amministrazione, a maggio il fisco e così via. Ve lo ricordate?

Poi, all’improvviso è apparso il bonus di 80 euro per chi ha già un lavoro ed uno stipendio e con questo il nostro Premier si è aggiudicato un posto al sole facendo vincere le elezioni politiche europee al suo partito.

Da lì è stato un crescendo di attività e di iniziative politiche e legislative che hanno portato ad ottenere… il nulla. Nessun cambiamento definitivo e sostanziale è maturato in Italia in questi dodici mesi.

In proposito, se avete voglia di leggerlo, è uscito in questi giorni un interessante mini dossier pubblicato dall’associazione Openpolis dal titolo “Il Governo al tempo della crisi” dove vengono analizzati i dodici mesi del governo Renzi. (http://openpolis.it)

Cosa emerge? Proviamo a riassumere.

* Per quanto riguarda gli equilibri istituzionali, la transizione verso la “Terza Repubblica” è avviata su un percorso ancora non ben definito ma con alcune certezze. La principale è armonizzare da un punto di vista normativo ciò che è già prassi: il conferimento al Governo di maggiori poteri.
* Rapporto Governo-Parlamento: la prova della centralità del Governo nel sistema politico italiano è la sua enorme capacità di determinare il processo di formazione delle leggi. Trattandosi di uno spostamento di potere, ovviamente, vi è chi ha subito la diminuzione delle proprie capacità, ed è il Parlamento.
* Processo Legislativo: lo si evince da diverse analisi: Iniziativa (80% delle leggi di iniziativa del Governo – 20% di iniziativa del Parlamento), percentuale di successo (il 30% delle proposte del Governo diventa legge mentre neanche l’1% del Parlamento), tempi (mediamente una proposta del Governo diviene legge in 112 giorni mentre una del Parlamento in 337).
* Voto di fiducia: è stato sempre maggiore il ricorso. Non solo sui provvedimenti particolarmente dibattuti ma anche come metodo consolidato per compattare la maggioranza e restringere il dibattito d’Aula. Il rapporto fra leggi approvate e fiducie richieste ha raggiunto nuove vette con gli esecutivi Monti e Renzi, entrambi intorno al 45%.
* Interrogazioni. Compito del Parlamento è anche quello di vigilare sull’attività del Governo, operazione che svolge perlopiù attraverso la presentazione di interrogazioni e interpellanze. Le risposte che riceve però sono bassissime, in totale viene data attenzione solo al 35% dei quesiti, con la percentuale che tocca il punto più basso con il Governo Renzi, sotto il 25%.

A questo punto riteniamo che un’idea ce la possiamo essere fatta sull’attività del governo Renzi.
Ora, cosa augurarci per l’anno in corso? Personalmente crediamo che, per come si sono palesate le intenzioni dell’esecutivo nei precedenti dodici mesi, l’ideale sarebbe portare a compimento almeno la riforma della legge elettorale e poi andare a votare per legittimare con il voto degli italiani o un secondo esecutivo Renzi, che a questo punto avrebbe l’autorità e la legittimità del nuovo Parlamento di governare per l’intera legislatura, o una nuova maggioranza che dovrebbe uscire dal voto con la possibilità anch’essa di offrire un Governo duraturo al Paese.

L’alternativa? Continuare a vivacchiare. Ma ce lo possiamo permettere con quello che accade intorno a noi?

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- Politica

Utopia, oligarchia o dittatura?

Quello che si sta consumando in queste ore alla Camera dei Deputati è solo l'ultimo atto di una delegittimazione del Potere Legislativo in corso in Italia da almeno venti anni, dalla fine cioè della Prima Repubblica.

A noi giovani studenti di Giurisprudenza, trent'anni fa, alla prima lezione di Diritto Costituzionale, l'esimio professore insegnava: la Repubblica italiana si fonda sulla distinzione di tre poteri: quello esecutivo che spetta al Governo, quello legislativo che riguarda il Parlamento e quello giudiziario rappresentato dalla Magistratura.

Senza questa netta separazione non esiste lo Stato di diritto, non esiste la democrazia. Uno Stato dove a prevalere è un potere sugli altri due diventa un'altra cosa, chiamatelo Stato di polizia, dittatura, governo del principe o come volete voi.

E l'Italia di oggi è ancora una democrazia? Viviamo in una repubblica parlamentare oppure di fatto stiamo già vivendo in una repubblica del presidente (in questo caso del Consiglio)? Perché la differenza non è formale, ma sostanziale.

La nostra opinione è che da almeno vent'anni in Italia praticamente tutte le forze politiche, consapevolmente o meno, abbiano progressivamente minato la reputazione e la credibilità del Parlamento, candidando all'assemblea più importante della nazione e facendo eleggere in liste bloccate personaggi di basso profilo sia morale che professionale. Questi omuncoli, questi quaquaraquà hanno operato guardando più agli interessi particolari dei singoli gruppi di potere che li hanno candidati rispetto a quelli generali della nazione.

Come conseguenza di questa miope scelta, operata con l’intento di avere un Parlamento più docile, più disponibile a seguire le indicazioni del Potere esecutivo, le aule parlamentari si sono rivelate sempre meno idonee a svolgere il compito loro affidato dalla Costituzione e questo vuoto di fatto è stato occupato dagli Esecutivi che si sono succeduti, venendo però a modificare l'assetto e l'equilibrio dei tre poteri voluti dai Padri della Patria.

Arriviamo infine ai giorni nostri dove un Governo non scelto dal voto popolare decide di modificare le principali regole della vita democratica e lo vuole fare imponendo al Parlamento un'inutile discussione in aula. Le principali norme e regolamenti che dovrebbero modificare un aspetto sostanziale della nostra democrazia vengono solo formalmente trattate dai parlamentari i cui Gruppi risultano condizionati dalla maggioranza politica espressa dall'Esecutivo, facendo venir meno il potere costituzionale delle Camere di scrivere, discutere e licenziare le leggi in totale autonomia e libertà.

Inoltre l'attuale riforma costituzionale che elimina il bicameralismo perfetto (di per sé un fatto positivo che permetterà di ridurre di molto i tempi per arrivare al termine di un procedimento normativo), ma di fatto lascia in essere solo una Camera con la potestà di esercitare il Potere legislativo, in pratica aumenta ancora di più la sfera d'influenza del Potere Esecutivo. Quest’ultimo verrebbe a trovarsi con un potere spropositato rispetto agli altri due e concentrerebbe nelle mani del premier di turno una forza enorme non contro bilanciata adeguatamente dagli altri Poteri.

In democrazia quando l'equilibrio dei poteri viene in qualche modo alterato, non si preannunciano tempi sereni... Certo, tutti noi conosciamo l’estremo bisogno di riforme che ha il nostro Paese e che aspetta da troppo tempo. Ma la fretta, si sa, è una cattiva consigliera. E allora prima di imboccare una strada pericolosa, irta di curve ed in discesa, forse è meglio fermare l’auto e fare un passaggio elettorale per capire cosa desiderano gli italiani. Quindi eleggere possibilmente un Premier che abbia il consenso degli elettori ed un Parlamento dove siedano deputati e senatori che non devono dire grazie ai tre/quattro segretari di partito che li hanno fatti eleggere e poi ripartire lasciando che il Parlamento, e non il Governo, predisponga le riforme costituzionali, possibilmente a larga maggioranza, e le porti a compimento.

Utopia? Forse, ma l’alternativa si chiama oligarchia (se va bene) o dittatura.

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- Politica

Sarà un Pupo?

Dunque è fatta, ancora poche ora di attesa e poi avremo il nuovo Capo dello Stato e sarà (diamo la probabilità al 50% che è già molto) Sergio Mattarella. Oltre il 50% di probabilità, se non vi dispiace, non andiamo, tenuto conto delle indubbie capacità camaleontiche già dimostrate dai leader di partito italiani.

Certo, il nome estratto dal cilindro dal premier non è un nome facile da respingere. Anzi sembra fatto apposta per far convergere tutto il PD, quello di Renzi e il resto del mondo, tutta la sinistra eccetto il M5S e anche ai centristi il nome di Mattarella non è inviso, anzi. L’unico che a torto o ragione non lo sopporta è Berlusconi che non si trova a suo agio con le persone non ricattabili (vedi l’ex Presidente Scalfaro) e Mattarella tutto sommato appartiene a quella categoria: è una persona per bene.

E allora che Mattarella sia, anche se non mi sembra ricalchi proprio al 100% tutti i criteri di selezione per la figura del Capo dello Stato che per settimane ci hanno propinato tutti i politici intervistati in televisione.

Ci hanno ripetuto sino alla nausea che il nuovo Capo delle Stato doveva essere una persona al di sopra delle parti, non essere divisivo, garante di tutti, conosciuto all’estero con una fitta rete di legami internazionali e possibilmente empatico e con una buona capacità comunicativa.

Ora se per i primi requisiti, il nome di Mattarella rientra benissimo nelle caselle, per gli ultimi due francamente abbiamo delle perplessità. Al di fuori della provincia di Roma, non parliamo del Lazio, ci fermiamo prima, Mattarella sino all’altro ieri credo che non lo conoscesse nessuno, Sicilia esclusa. In ambito internazionale, la situazione appare peggiore, ci fermeremmo allo Stato del Vaticano, forse San Marino. Riguardo l’empatia, probabilmente un’orsa al risveglio primaverile lo è di più con i suoi cuccioli.

Quindi è evidente che i criteri per la scelta, quelli veri, erano altri. E Perché Renzi ha puntato su Mattarella allora? Semplice, perché è una brava persona, nel significato del termine che andava di moda nella Prima Repubblica. E’ un galantuomo poco avvezzo ai giochetti di bassa lega degli ultimi venti anni, tipo quelli che hanno portato Renzi alla guida del Governo per intenderci e quindi il nostro Uomo nuovo pensa che da Capo dello Stato si atterrà scrupolosamente ai dettati della Costituzione lasciando al Capo del Governo il compito di governare appunto…senza inutili intromissioni. Ed è per lo stesso motivo, ma con opposte valutazioni, che Berlusconi non lo vuole al Colle.

Se fosse al posto di Renzi, Berlusconi un Mattarella lo voterebbe, ma nella situazione attuale, con la sua agibilità politica praticamente vicina allo zero, un garante della Costituzione a Capo dello Stato per sette anni rappresenterebbe la definitiva scomparsa del politico Berlusconi. Ma al contrario, Mattarella rappresenta la garanzia che per i prossimi sette anni Renzi governerà e dirigerà la scena politica italiana. E allora, se i giochi domani mattina andranno come previsto e Mattarella verrà eletto Presidente con i voti di tutti quelli che contano ad eccezione di Berlusconi, perché non andare a votare ad aprile, prima che inizi la passerella dell’Expo, visto che i dati economici sembrano essere positivi per i prossimi mesi? D’altronde se salta il Patto del Nazareno, saltano le riforme e l’argomento per sciogliere la legislatura è servito su un piatto d’argento…

Si incassa la cambiale del primo anno di Governo, ci si assicura un parlamento più accomodante, si fa fuori la meteora 5 Stelle, si regolano i conti con Forza Italia e si finiscono le riforme come Renzi vuole e poi, dopo sette anni, chi credete si candiderà alla carica di Capo dello Stato?

Ma l’età direte voi? Ai cinquant’anni non ci si arriverebbe… Beh, quella si può sempre rottamare al ribasso... che ganzo!

Mattarella…Mattarella.

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- Libri

A tu per tu con: Paolo Pasubio

Conosciamo oggi il giovane commissario Paolo Pasubio, protagonista del romanzo Il destino qualche volta ha ragione di Lorenzo Roberto Quaglia.

L’appuntamento è per un freddo sabato pomeriggio di gennaio nel suo ufficio in Piazza San Sepolcro a Milano. All’ingresso chiedo di lui e l’agente Esposito, dopo avermi domandato chi fossi, mi accompagna davanti alla sua porta, che è parzialmente aperta, e mi lascia solo. Provo a bussare.

- E’ permesso?

- Avanti!

Entro lentamente e lo vedo seduto alla scrivania che mi dà le spalle. Di colpo si gira e mi accorgo che ha un libro in mano.

- Salve commissario io sono…

- Lo so chi è lei, e poi avevamo un appuntamento… per l’intervista, giusto?

- Si infatti sono qui per questo, possiamo incominciare?

- Prego.

- Allora iniziamo dal libro che ha in mano: che cosa legge, commissario Pasubio?

- E’ un’avventura di Corto Maltese, un fumetto.

- Che cosa l’affascina di Corto Maltese?

- Il senso di libertà, di infinito, il viaggiare per il mondo, sì in fondo la libertà…

- Non si sente libero?

- Beh, essere un commissario di Pubblica Sicurezza a Milano…c’è di meglio in fatto di libertà

- Visto che siamo entrati subito nel merito: che commissario ritiene di essere?

- Ma guardi che non ho ancora 40 anni, mi sento un po’ come il nostro premier Renzi, un commissario giovane ed in divenire. Ascolto tutti, ma alla fine decido io il da farsi…E poi di casi importanti ne ho risolti ancora pochi, sono un commissario in fase di crescita…ma con l’aiuto dei lettori…crescerò.

- Beh ma avrà in testa un’idea di quale commissario vuole diventare?

- Certo! Un’ idea tutta mia ce l’ho.

- E sarebbe?

- Mi piacerebbe diventare un po’ Maigret e un po’ Montalbano…

- Addirittura… modesto…

- Visto che me lo ha chiesto, perché porre limiti alla fantasia…

- Cambiamo argomento, come le sembra la prima storia che la vede protagonista? Le è piaciuta?

- Se posso esprimere un parere, personale s’intende, a me sì. C’è azione, suspense, mistero e tutto quello che fa giallo un giallo, però…

- Però?

- Con Elena, beh sì insomma, avrei potuto…

- Dica, dica…

- Non mi sento poi così timido, lei come mi vede?

- La conosco ancora troppo poco per rispondere, vedremo con il passare degli anni…

- Anni?

- Va bene, facciamo mesi…

- D’accordo. Come vuole lei. C’è altro? Perché dovrei…

Alle mie spalle sento entrare una persona. Pasubio si alza e diventa leggermente rosso in volto. Mi alzo anch’io e mi giro, ma faccio solo in tempo a vedere quello che mi sembra un nastro rosa scomparire dietro lo stipite della porta.

- Ora devo lasciarla, mi spiace. Se vuole possiamo continuare un’altra volta.

- Va bene, la ringrazio.

- Ah solo una cosa, mi sono dimenticato il suo nome…

- Si certo, mi chiamo Lorenzo Roberto Quaglia.



Il destino qualche volta ha ragione, di Lorenzo Roberto Quaglia, Ed. ilmiolibro.it , 2015 http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=1094173

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- Società

Bancario ti amo!

Forse ancora pochi sanno che il prossimo 30 gennaio i bancari italiani sciopereranno per la seconda volta nel giro di neanche 18 mesi. Il motivo: la disdetta unilaterale da parte dell’ABI del contratto nazionale di categoria. Non vogliamo qui ed ora entrare nel merito delle proposte economiche e contrattuali di entrambe le parti e nemmeno commentare la recente riforma delle banche popolari proposta dal Governo Renzi in fretta e furia l’altro giorno con l’approvazione di un Decreto Legge di cui peraltro ci sfuggono i motivi straordinari di necessità ed urgenza…

Ci preme in questo momento rappresentare ai lettori la figura del dipendente bancario di oggi che non è quella descritta nella lettera di disdetta dell’ABI firmata il 16 settembre 2013 ove viene affermato che “le competenze e professionalità (del bancario) non risultano più coerenti con l’attuale modo di fare banca”. E quindi cosa si propone: licenziamo la metà dei trecentomila bancari italiani per rientrare nei parametri di efficienza previsti dalle società di consulenza internazionale i cui esperti non hanno lavorato neanche un giorno in banca?

Il bancario è quella figura che, insieme al carabiniere delle barzellette e alla suocera, rimane nell’immaginario collettivo come una figura stereotipata, immutabile, tendente al grigio, un po’ orso, riservato. Non sono bastate le recenti pubblicità televisive che hanno tentato di farlo uscire dalla sua tana e riportarlo alla vita reale, quando si parla del bancario il pensiero ce lo fa immaginare seduto dietro una scrivania, il famoso posto fisso, davanti ad un computer a fare conti, sfogliare e timbrare documenti.

Ebbene, ecco una simpatica descrizione del bancario di oggi inviatami da un’amica bancaria che parla di se stessa. E, credetemi, potrà sembrare sopra le righe, ma la situazione è proprio quella descritta.

“Siccome c'è la crisi, il mio primario Istituto di credito non può pagarmi gli straordinari e mi chiede di non farli...

Siccome c'è la crisi, la Banca non assume, i colleghi che se ne vanno non vengono sostituiti e ora ho un portafoglio di 850 clienti. Tutti i giorni devo ricevere almeno 5 clienti e registrarli in ABC (agenda elettronica su PC) Devo rispondere al telefono quando squilla, farlo velocemente altrimenti non "sono OK" e sorridere mentre lo faccio perché il sorriso "si sente".

Devo rispettare il budget trimestrale: vendere 23 polizze auto e mezzo milione di fondi "consigliati" senza dimenticare di rogitare almeno 3 mutui, erogare 12 prestiti, aprire 50 conti e rilasciare 100 carte di credito.

Bisogna anche che io trovi il tempo di far firmare al Direttore i contratti sottoscritti, che scansioni la documentazione prevista che la archivi secondo le normative vigenti. Già, le cose cambiano e bisogna tenersi aggiornati!

Faccio 200 km per le riunioni con i capi ma, per fortuna, i corsi più tecnici si fanno on-line: ne ho giusto 6 da completare entro il prossimo mese per sole 50 ore... Senza contare la certificazione IVASS da rinfrescare ogni anno che dura 560 ore...da fare in orario di lavoro ma non a scapito del servizio, quando non ci sono clienti che però entrano fino alle 20 di sera.

Quando gli altri sono in pausa carico il bancomat che, anche se si guasta un giorno sì e uno no, è il biglietto da visita della filiale.

Poi devo collegarmi al sito della Polizia per controllare i documenti dei clienti, al sito dall'Agenzia delle entrate per verificare il codice fiscale ed è mia responsabilità controllare la residenza...questo per l'antiriciclaggio! Perché altrimenti rischio una multa o una denuncia penale!!!

L'unica cosa che mi è venuta in mente per risparmiare tempo, è fare più cose contemporaneamente! Così mentre erogo un mutuo rispondo al telefono e intanto mi collego al sito della Polizia. Quando vado in bagno mi porto le cuffie cosi intanto seguo un corso...senza dimenticarmi di sorridere!

Durante i 5 incontri giornalieri con i clienti, mentre sottoscrivono fondi, archivio e spedisco documenti...Ho un po' di confusione so che devo andare dal Direttore e, mentre gli chiedo di firmare qualcosa, ritiro una raccomandata, carico il bancomat e gestisco con fermezza ed educazione la lamentela di un cliente che viene da un'altra città senza documenti e vuole che gli cambiamo un assegno probabilmente trafugato...

So che non hai tempo ma se ti riconosci, quando sei in bagno, gira ai tuoi amici bancari!”

Ecco il lavoro quotidiano che svolgono ogni giorno i 300.000 dipendenti bancari per i loro clienti. Ma in ABI hanno cognizione di quello che accade nelle filiali delle banche che dirigono?

Perché l’impressione è che gli attuali banchieri abbiano smarrito le competenze e le professionalità necessarie per guidare le banche italiane che si apprestano a sfidare il futuro prossimo venturo.

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- Religione

Ritorno alle origini

I tragici fatti di Parigi hanno posto con urgenza il tema del rapporto tra il nostro mondo e il mondo islamico, chiaramente quello "moderato", sino ad ora forse considerato da noi occidentali un mondo di serie B.

L'islam è una religione seguita da miliardi di persone, ma dal punto di vista strategico non condiziona, non coinvolge i popoli degli attuali Paesi leader: Stati Uniti, Cina, Russia, India. Non per questo il popolo dell'Islam va sottovalutato perché forse, ad oggi, sono i musulmani le persone più religiose al mondo, nel senso che riconoscono la propria vita come dipendente da un Dio unico creatore, dal quale discendono le leggi, i precetti, i comandamenti che permettono all'uomo di vivere la propria vita in sintonia con il Padre celeste, prosperando sulla terra.

Ma questo senso religioso islamico cosa significa per noi, uomini occidentali? E' evidente che il popolo dell'islam ci richiama a quello che per noi ha importanza, rappresenta il nostro sistema valoriale, la nostra visione della vita. Ma è in grado l'uomo occidentale del XXI secolo di tenere testa alla sfida lanciatagli dall'uomo islamico?

Dopo la cristianizzazione dell'Europa, le crociate, le guerre di religione, la presa del potere nel pensiero dominante della Ragione a scapito della Religione, l'affermarsi del positivismo, dello scientismo, dopo la nascita e la morte dei diversi totalitarismi, cosa è rimasto dell'uomo occidentale? A quali Valori, Idee, Pensieri può aggrapparsi per dialogare con l'uomo islamico? Su quale Dio può contare per giustificare, far valere e difendere il proprio mondo?

La sensazione è che pochi lo sappiano.

Il rischio allora è che a prevalere nel dibattito religioso, culturale e quindi alla fine politico, sia l'uomo musulmano.

La realtà che stanno vivendo le nostre città è ben visibile agli occhi di tutti: sempre più famiglie di religione musulmana, con molti figli, che vivono e crescono pacificamente, mantenendo la loro fede e le loro usanze. I figli di questi emigrati nascono cittadini italiani, francesi, tedeschi, cittadini europei, ma rimangono musulmani.

Allora è evidente che tra dieci, venti anni, si porrà un problema forte di convivenza nelle nostre strade, nelle nostre città. Questa parte di popolazione di religione islamica ma di nazionalità europea che abiterà nei nostri Paesi legittimamente vorrà poter esercitare il diritto a svolgere la propria pratica religiosa. E noi uomini occidentali, saremo chiamati, quotidianamente, a scontrarci con una visione della vita diversa dalla nostra, in alcuni casi opposta.

L'integrazione va bene, ma presuppone che colui che integra conosca bene il soggetto da accogliere e ad oggi il mondo islamico non è conosciuto dai cittadini europei. Secondo, presuppone che l'integrato abbia desiderio di farsi integrare, cosa al momento distante nei fatti.

Se non ritorniamo alle nostre origini, al significato, al perché noi siamo, ci sentiamo diversi dagli uomini musulmani, rischiamo di perdere in un futuro ormai prossimo, molto più della nostra identità, della nostra storia, della nostra cultura, rischiamo di perdere la nostra stessa libertà.

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- Società

Charlie Hebdo, San Francesco e il nipote del Saladino

"Non sono d'accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo". Questa frase, scritta dalla saggista britannica Evelyn Beatrice Hall con riferimento al grande pensatore illuminista Voltaire, è stata utilizzata in questi giorni a sostegno delle ragioni del mondo occidentale in risposta all’atroce azione terroristica degli estremisti islamici contro la redazione di Charlie Hebdo.

Ma che cosa ci ha colpito in particolare della strage di Parigi?

Quasi ogni giorno accadono attentati terroristici in Iraq o in Afghanistan. In Nigeria i terroristi di Boko Haram sono mesi che mettono a ferro e fuoco città e villaggi, massacrando chi si oppone a loro e imponendo con la forza il Corano. Il dicembre scorso, in Pakistan un gruppo di Talebani ha assaltato una scuola con 500 studenti, uccidendone, prima di essere sconfitto dalle forze di polizia, 130. Infine, tra Siria ed Iraq, i terroristi islamici hanno addirittura riportato in vita il “Califfato” occupandone parte del territorio e imponendo con la forza a tutte le popolazioni la legge islamica. E potremmo continuare, purtroppo, citando altri esempi di azioni criminose portate avanti da gruppi terroristici islamici ed integralisti in questi ultimi anni.

Eppure l’opinione pubblica occidentale, che pure rimane scossa ogni volta che viene informata di questi fatti terribili, si indigna, si lamenta, invoca magari la pena di morte per gli autori di questi crimini, ma poi il giorno dopo riprende come se nulla fosse accaduto, guarda avanti, gira la pagina del tablet alla ricerca di una nuova notizia.

Questa volta, per l’eccidio di Parigi, sembra che sia diverso. Forse il mondo occidentale ha compreso che il livello dello scontro cui vogliono arrivare i terroristi islamici ha toccato un punto fondamentale, la libertà di esprimere le proprie idee, il proprio pensiero, ma anche la propria concezione della vita, degli ideali in cui si crede e per i quali una volta anche gli occidentali erano pronti a sacrificare l’esistenza.

Quegli uomini uccisi nella redazione del loro giornale satirico stavano esercitando un diritto “naturale” che il mondo occidentale riconosce universalmente come fattore costitutivo dell’essere umano: quello di esprimere liberamente il proprio pensiero. Certo la satira di per sé è uno strumento potente e può essere utilizzata in vario modo, dipende sempre dal cervello umano che se ne avvale. La satira può persino arrivare ad offendere quei principi e ideali per cui un uomo è disposto anche a morire pur di non rinnegarli, come fecero per esempio i martiri cristiani uccisi dai romani all’interno del Colosseo. Piuttosto che banale ed offensiva, la satira più efficace sarebbe quella rispettosa degli ideali e dei valori in cui credono milioni di uomini, siano essi cristiani, ebrei o musulmani.

Ma comunque il punto centrale di tutto quanto è accaduto a Parigi, non è la satira, ma ruota attorno al concetto di libertà. Il terrorista, ogni terrorista, indipendentemente dalla fonte, dall’idea che origina il suo gesto, crede, è convinto che la sua visione della vita sia l’unica giusta e valida e pretende di imporla agli altri con la forza, in nome di un Dio, di una Fede, di un Principio, di un’Idea. E noi cosa pensiamo di questa concezione della vita che hanno i terroristi islamici?

Il mondo occidentale nel quale viviamo sembra essere in bilico. Da un lato c'è la paura del diverso cui si risponde con la reazione violenta dell’inasprimento dei controlli, delle pene e della difesa arroccata del proprio modo di vivere. Dall’altro c’è il nichilismo esistenziale che permea ormai il pensiero di tante persone per le quali una fede, una religione è uguale ad un’altra, purché non venga imposta con la forza. Ma il punto è proprio questo. Se non si propone un altro modello, se non si contrappongono altri valori che rispondono meglio, per noi europei, alle nostre ragioni esistenziali, al nostro modo di vivere e pensare, alla nostra cultura e storia, non sarà facile resistere al disegno dei terroristi islamici.

Storicamente, è con l’affermarsi del cristianesimo e dei valori cristiani che l’Europa ha iniziato quel cammino culturale e sociale che l’ha portata, nei secoli, dopo aver sperimentato sui propri territori tutte le più grandi atrocità possibili ed immaginabili, dalle guerre di religione alla schiavitù, dal comunismo al nazismo, ad avere una concezione dell’uomo, della vita, della libertà che sono ormai considerati valori sacri ed inviolabili.

E’ nella verifica quotidiana con la realtà che si sperimentano questi valori e si dà risposta ai desideri del cuore dell’uomo. L’essere umano è l’unico “vivente” che ha consapevolezza dello scorrere del tempo e della destinazione finale della propria esistenza che è la morte. Questo principio è valido per ogni uomo che vive ora sulla terra, di qualsiasi razza sia ed a qualsiasi religione appartenga.

Occorre partire dai desideri e dai bisogni comuni degli esseri umani, indipendentemente dalla fede professata, dal colore della pelle o dalla razza cui appartengono, per stabilire punti di dialogo e riflessione reciproci che permettano di creare nuovi ponti tra culture e modi di vivere differenti così da impedire il dilagare di idee estremiste e radicali che portano all’odio e alla guerra.

Nei secoli passati, gli Unni di Attila o i Tartari di Gengis Khan misero a ferro e fuoco l’Europa, ma alla fine, quello che sopravvisse alla distruzione e alle macerie, fu il pensiero e la cultura cristiana, non quella di quei popoli barbari. E pensate che le imprese e le azioni di quei barbari invasori siano state meno cruenti e sanguinose di quelle odierne degli uomini del califfato? Non credo. Eppure alla fine, a prevalere fu il nostro modo di pensare, la nostra concezione della vita, della libertà, dell’uomo.

Certo, bisogna avere qualcosa in cui credere e qualcosa da proporre sul piatto della bilancia, in contrapposizione al pensiero e alle idee di questi nuovi terroristi che si rifanno ai precetti di Maometto, interpretandoli però secondo una loro ideologia, una loro visione della vita che non è condivisa dalla stragrande maggioranza dei musulmani.

E allora i cuori degli uomini, di tutti gli uomini, devono reagire uniti alla deriva dell’islam radicale e devono creare un ponte con i giovani musulmani di oggi, tentati da questa ideologia islamica criminale, per portare il dialogo al posto della voce mono tona dell’imam estremista di turno. Nel 1219, all’epoca della quinta Crociata, San Francesco si recò a suo rischio e pericolo nel campo saraceno per incontrare il comandante dei musulmani, al Malik, nipote dell’acerrimo nemico della cattolicità di allora, il feroce Saladino, con lo scopo di predicare la parola di Gesù e por fine alle ostilità sul campo.

Riscopriamo le nostre radici cristiane e i nostri valori europei che derivano dal nostro glorioso passato: solo così saremo in grado di dialogare con i giovani musulmani integralisti e trovare nuovi mo(n)di di vivere insieme ed in pace. Solo così si sconfigge il terrorismo, non con la spada, ma con il dialogo.

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- Politica

Italiani state sereni

Ma l’Italia ha un problema reputazionale?

Vi ricordate come è iniziato il 2014? Con la famosa frase pronunciata dall'allora sindaco di Firenze: Enrico stai sereno! Dopo poche settimane Renzi divenne Primo Ministro al posto del collega di partito, quasi senza colpo ferire e con un programma rivoluzionario per noi italiani: in 100 giorni avremmo avuto tutte le riforme promesse e mai realizzate nei venti anni precedenti.

Poi i giorni da 100 sono diventati 1.000 e il cammino riformista del Premier ha dovuto fare i conti con l’italica realtà, abbandonando il magico mondo dell’adolescenza e della gioventù dal quale il nostro leader e i suoi fedeli leopoldini sono stati generati ed hanno mosso i primi passi.

Come può essere credibile uno Stato che propone tre Governi in tre anni?

Come può essere attendibile un Premier che quando faceva opposizione interna al PD di Bersani e Letta si dichiarava a favore del mantenimento dell'art.18 e da Primo Ministro propone la sua abolizione nel Job Act? In questi mesi, sul fronte interno, a cosa abbiamo assistito? La riforma della legge elettorale è stata solo abbozzata, quella istituzionale neppure. La riforma del lavoro ancora da riempire di contenuti. La spending review ferma al palo dopo la vendita di 10 auto blu. Gli 80 euro non hanno generato il volano previsto e l'economia è in completa stagnazione.

Per quanto riguarda la politica estera, sinceramente dal semestre europeo a guida Renzi ci si aspettava qualcosa di più. Sul tema Ucraina vi è stato il completo appiattimento sulle posizioni statunitensi, provocando tra l’altro proprio alle imprese italiane un importante danno economico e creando con la Russia di Putin un congelamento delle relazioni bilaterali Europa – Russia che potrebbe spingere in futuro i russi a guardare più verso oriente che verso occidente.

La situazione nel Mediterraneo è completamente fuori controllo e quello che sta accadendo in Paesi come la Libia, a due passi da casa nostra, è sotto gli occhi di tutti. Francamente non si capisce cosa si stia aspettando per affrontare la questione: forse la creazione di un nuovo califfato dell’Isis in Cirenaica? Infine la situazione dei due militari italiani ancora prigionieri in India è lontana dall'essere risolta. Anche in questo caso il Governo Renzi non è riuscito ad imprimere quella svolta che noi tutti ci aspettavamo e che avrebbe tra l’altro giovato moltissimo in termini di immagine al nostro Paese.

I problemi veri dell'Italia di fine 2014 sono ancora tutti fermi al palo: la riforma della giustizia ed in particolare la rapidità nell’esecuzione dei processi e la certezza della pena. Due aspetti che portano con se' la lotta alla corruzione che ci vede anche quest'anno maglia nera in Europa, senza considerare l’ultima inchiesta che sta riguardando il comune di Roma. La riforma della pubblica amministrazione, vera piaga del Paese e responsabile dei mancati investimenti esteri nel nostro Paese, altro che articolo 18. La riforma generale del fisco che dovrebbe però essere affrontata a livello dei Ministri delle Finanze europei, se vogliamo tenere in considerazione il recente scandalo che ha colpito il nuovo Presidente della Commissione.

La lotta ai centri di potere economici e finanziari (oligopoli si chiamavano una volta, prima della loro abolizione sulla carta) che ancora esistono e dettano la propria linea ai Governi. Un caso per tutti: il prezzo del barile di petrolio è sceso del 30% da inizio anno, mentre il prezzo alla pompa di benzina e GPL è stabile, granitico. Qualcuno nel Governo Renzi si è accorto di questo fatto oppure tutti i membri dell'esecutivo usano la bicicletta per gli spostamenti?

Insomma, cose da fare in Italia ce ne sono tante e forse non basterebbero neppure 1.000 giorni per portarle a termine tutte. Quindi non hanno totalmente torto le società di revisione che rivedono al ribasso il nostro rating. Ed anche la cancelliera Merkel avrà sbagliato la forma, ma nella sostanza ha un po’ di ragione nell'affermare che i cambiamenti reali visti quest'anno in Italia sono oggettivamente pochini.

La reputazione di Renzi è ad un bivio: o riesce nei prossimi mesi a portare a casa qualche risultato concreto sul piano delle riforme che però produca anche effetti concreti sui risultati economici, oppure gli italiani lo abbandoneranno. Gli ultimi sondaggi effettuati mostrano che la popolarità del Premier è in discesa, dal picco massimo toccato alle europee, ma dicono anche che secondo una maggioranza crescente, gli italiani ritengono che la punta più bassa della curva della crisi sia alle spalle.

Non sappiamo su quali basi razionali poggi questa convinzione, ma ci fa piacere sapere che la maggioranza degli italiani, dopo cinque anni, si sia stancata di tifare per i gufi e stia guardando ad altri animali.

Italiani state sereni: tra poco sarà Natale e sono in arrivo Babbo Natale con le sue renne. Dopo Renzi potremmo affidarci a lui e il nuovo animale di moda non avrà più le ali, ma le corna.

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- Politica

Elogio del consociativismo

Il consociativismo che ha contraddistinto per decenni la vita politica del nostro Paese è stato da alcuni considerato una delle anomalie italiane, intendendo con il termine anomalia qualcosa di negativo. Per consociativismo noi intendiamo una forma di governo che garantisca una rappresentanza proporzionale ai diversi gruppi che compongono un paese profondamente diviso per ragioni storiche, etniche o religiose. L'obiettivo sarebbe quello di garantire la stabilità stessa del governo, assicurare la sopravvivenza degli accordi di divisione del potere e la sopravvivenza della democrazia, evitando in ultima analisi l'uso della violenza.

Dal nostro punto di vista quindi il consociativismo è da considerarsi un valore positivo della vita politica e nella sua forma più alta, le scelte consociative attuate da politici responsabili dovrebbero tendere al raggiungimento del bene comune della Nazione.

Sin dalla sua genesi, il nostro Stato unitario è stato "costretto" al consociativismo. Il Regno d'Italia nacque per impulso di un singolo Stato che da solo rappresentava una piccola parte della penisola, sia da un punto di vista economico che propriamente territoriale. La conquista "violenta" dello Stivale da parte del Regno sabaudo con tutte le conseguenze che ne derivarono, obbligò per forza di cose i politici del tempo, sia di destra che di sinistra, a cercare la condivisione del potere per gestire la cosa pubblica, desiderando mantenere la pace sociale interna e l'unità nazionale. In effetti solo il fascismo interruppe lo sviluppo del pensiero consociativo in Italia, anche se il corporativismo fascista voleva essere un richiamo al principio consociativo che comunque riprese all'indomani della caduta di Mussolini, con l'avvento del periodo repubblicano.

Fu la stessa nascita della Repubblica, ancora oggi non accettata da alcuni gruppi di nostalgici fedeli alla monarchia, a riportare subito in auge la necessità di condividere il potere per risanare le ferite della guerra civile e il passaggio alla nuova forma di Stato. E’ corretto ammettere che nel periodo della prima repubblica, il consociativismo diede risultati positivi, permettendo lo sviluppo e la crescita del nostro Paese. L’Italia infatti raggiunse le prime posizioni nella classifica mondiale dei Paesi più sviluppati. Tipicamente i due partiti "accusati" di consociativismo furono la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, entrambi di estrazione popolare.

I critici del consociativismo evidenziano come quasi tutte le più importanti leggi e riforme votate dal parlamento italiano nel periodo 1950 fine anni ‘80 (sino al periodo del terrorismo), siano state volute da entrambi quei partiti che, sulla carta, si presentavano agli antipodi per quanto riguarda i principi ispiratori e la visione di sviluppo che avevano sull’Italia. Questo fatto in massima parte è vero (ci sono gli atti parlamentari a testimoniarlo), ma non è certo che abbia una valenza negativa, anzi.

La questione morale, già denunciata negli anni '70 sia da Berlinguer che da alcuni esponenti democristiani (Moro), divenne ad un certo punto il fattore decisivo della vita politica. E la questione morale, diciamolo subito, nulla ha a che fare con il consociativismo. Semmai, con l’avvento di Craxi e del craxismo entrò nella vita politica italiana un nuovo modo di leggere il consociativismo. Dagli anni 90 il meccanismo iniziò ad incepparsi e a dare cenni di invecchiamento. L'ingranaggio poco per volta si fermò. Nella vita pubblica, a prevalere fu l'interesse di una singola parte al governo, escludendo dalla divisione del potere le altre forze. Le nascenti lobby, esterne ai partiti, condizionarono nel tempo l'attività politica, forti di un potere economico e finanziario sempre crescente, generatosi e sviluppatosi grazie proprio al consociativismo dei decenni precedenti.

Di fatto nel corso degli ultimi trent’anni i partiti politici intesi come partiti popolari hanno esaurito la loro spinta propulsiva in seguito anche al mutamento radicale della società italiana, sempre meno contadina e paesana e sempre più industrializzata e terziarizzata nelle città. Dalle loro ceneri sono nate nuove organizzazioni di gestione del potere che non hanno manifestato interesse ad operare con una logica consociativa vecchio stampo, bensì hanno operato con una logica di spartizione del potere, sia politico che economico.

Così facendo però è sotto gli occhi di tutti che l'agire della nuova classe di politici non ha generato un reale progresso nel Paese, ma anzi ha prodotto di fatto lo stallo politico, economico e sociale in cui versa l'Italia di oggi ed ha lasciato, e forse è il frutto più amaro, una Nazione divisa, rancorosa e sfiduciata.

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- Politica

L’anomalia italiana

La crisi economica che stiamo attraversando ebbe inizio negli Stati Uniti alla fine del 2007 con lo scoppio della bolla del mercato immobiliare. Dall’anno successivo, trasformatasi in crisi finanziaria, si trasferì in Europa e quindi nel resto del pianeta.

Dal 2008 ad oggi, in Italia, si sono alternati 5 Governi: Prodi sino a maggio 2008, poi Berlusconi sino al novembre 2011, quindi il tecnico Monti fino all’aprile 2013 per passare al Governo Letta (eletto a seguito delle elezioni politiche) restato in carica sino al febbraio di quest’anno, quando è stato sostituito dal Governo Renzi, alternanza decisa dalla maggioranza del Partito Democratico, principale forza della maggioranza governativa.

Nello stesso periodo (2008-2014) il Regno Unito ha visto 2 Primi Ministri, dal giugno 2007 Gordon Brown e dal maggio 2010 David Cameron, tuttora in carica. La Germania ha il medesimo Cancelliere dal novembre 2005, Angela Merkel. In Francia si sono alternati due Presidenti: dal maggio 2007 Nicolas Sarkozy e dal maggio 2012 François Hollande, ancora in carica. Anche la Spagna ha visto due Primi Ministri: dall’aprile 2004 José Luis Rodríguez Zapatero e dal dicembre 2011 Mariano Rajoy. Negli Stati Uniti infine la crisi è stata tutta gestita dal Presidente Obama in carica dal gennaio 2009.

Sarà un caso che tutti i Paesi citati, ad eccezione del nostro, abbiano affrontato la crisi economica e ne stiano uscendo, di fatto, prima e con migliori prospettive, dell’Italia?

Certamente uno dei pregi (o dei difetti?) di noi italiani è quello di avere la memoria corta e di dimenticare presto tutte le promesse, non mantenute, dei nostri leader politici. Ma è anche vero che un Paese che vuole gestire una crisi economica mondiale come quella che stiamo attraversando, non può cambiare 5 Governi in 7 anni.

Come si possono prendere decisioni strategiche nei vari ambiti della vita pubblica senza poi avere il tempo di vederle attuate e soprattutto il tempo per verificare se le scelte effettuate abbiano portato i benefici previsti?

Prendiamo ad esempio la riforma del mercato del lavoro (c.d. Jobs Act) che l’attuale Governo Renzi ha deciso di portare avanti. Nel dicembre 2011, il Governo Monti, dopo solo un mese dal suo insediamento, fece approvare dal Parlamento la c.d. legge Fornero, una pesante riforma che colpì sia il mercato del lavoro sia il settore previdenziale. Ebbene a distanza di neanche tre anni si pensa di ricominciare tutto da capo e nel farlo, non si modificano solamente quelle parti della precedente riforma che si è già visto non funzionare (ad esempio l’allungamento dell’età pensionabile che ha di fatto creato un blocco all’assunzione dei giovani), ma si decide di partire da zero, rinnovando tutto il settore del mercato del lavoro.

Ma siamo così sicuri che questo modo di procedere sia quello giusto?

E’ vero, oggi il mondo corre ad una velocità non immaginabile anche solo cinque anni fa, ma scelte così importanti per la vita di un Paese, come quelle in materia economica e sociale, dovrebbero essere prese non sull’onda del “fare qualcosa purché si faccia presto e subito”.

Certamente la situazione è grave e la mancanza di lavoro, soprattutto per i giovani, è una delle cause che contribuisce al perdurare della situazione di crisi, creando di fatto uno stallo economico-sociale nel Paese. Ma è proprio per questo che le scelte prese oggi dovrebbero essere ben ponderate e condivise il più possibile con tutte le parti in causa: associazioni di categoria, lavoratori, imprenditori, sindacati.

Solo così si può ottenere che il Paese remi tutto dalla stessa parte, altrimenti la navicella Italia resta ferma mentre tutte le altre imbarcazioni stanno già uscendo dalla secca.

L’anomalia della vita pubblica italiana dipende da noi stessi: non abbiamo ancora compreso come la ricerca del bene comune debba essere anteposta all’ottenimento di benefici personali, per la mia famiglia, il mio gruppo, il mio partito.

Se non impariamo, in questo caso sì in fretta, questa lezione, tra pochi mesi avremo un nuovo Governo, una nuova riforma e un Paese ormai impantanato nelle sabbie mobili che lentamente lo cancelleranno dal panorama mondiale delle nazioni più industrializzate. E per l'Italia non parleremo più di crisi economica, ma di declino economico...

E’ questo che vogliamo?

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- Esperienze di vita

Ugo, la SLA e la maglia di Pogba

Conosco Ugo da quasi trent’anni, è stato il mio testimone di nozze e da più di quattro anni è malato di SLA, la ormai non più rara malattia meglio nota come Sclerosi Laterale Amiotrofica. Vive a casa sua insieme alla moglie Silvia e ai suoi due splendidi figli, Riccardo che quest’anno frequenta la prima elementare e Letizia di quattro anni che è nata quando Ugo era già malato. Ogni giorno poi transitano dalla sua abitazione tanti amici che non fanno mancare il loro appoggio morale e materiale.

Qualche giorno fa, il 4 di ottobre, Ugo ha compiuto i suoi primi cinquant’anni. Un evento non previsto per il primo medico che gli ha diagnosticato la malattia e che gli aveva predetto al massimo due anni di vita. Ad oggi ne sono passati più di quattro.

Alcune settimane prima, Silvia ha pensato di organizzargli una festa a sorpresa ed ha contattato tutti i suoi amici per invitarli a questo momento. Eravamo più di cento intorno ad Ugo e alla sua famiglia a fare festa.

Per questa ricorrenza così importante, mi sono detto, ci vorrebbe un regalo speciale, ma cosa regalare ad Ugo? Pensa e ripensa, ad un certo punto ecco la lampadina accendersi!

Piccolo antefatto: Ugo è un tifoso sfegatato della Juventus! Quando potevamo ancora scambiarci amichevoli “insulti” calcistici (chi scrive è profondamente interista) lui era straordinariamente attaccato ai colori bianconeri che difendeva “a prescindere” da qualsiasi evidenza della realtà (almeno così la vedevo io!). Purtroppo ora che Ugo è intubato e non può usare neanche più il sintetizzatore vocale, gli scambi verbali si sono come dire, affievoliti, ma sono sicuro al 100% che dentro di sé è rimasto il solito ultrà juventino…

A questo punto, decido di scrivere una mail alla sua squadra del cuore, la Juventus. Presento Ugo e la situazione che sta vivendo e chiedo, se possibile, in regalo una maglia della società con la firma dei calciatori da portare ad Ugo come regalo di compleanno. Credo proprio che lo farebbe felice.

Passano i giorni e arriva anche il 4 ottobre, compleanno di Ugo. Nessuna risposta. Non importa, penso, con tutte le richieste che la società riceverà da tutto il mondo, magari la mail non l’hanno neanche letta. Comunque facciamo una bellissima festa ad Ugo, in un cortile all’aperto di fronte alla sua abitazione e anche il sole esce a fargli gli auguri. Proprio un bel compleanno!

Venerdì 10 ottobre alle ore venti suona il mio citofono di casa e un corriere annuncia che deve consegnare un pacco alla mia attenzione. Strano. Non aspettavo nulla, né da Amazon né da altri e non avevo ancora ordinato la spesa on line. Domando: chi è il mittente? Juventus, la risposta!

Non ci posso credere! Vuoi vedere che mi hanno spedito la maglia? Corro di sotto a prendere il pacco e lo apro con delicatezza. Non si sa mai…con i “bianconeri” meglio andarci cauti…ma devo ricredermi, dentro, con dedica personale per Ugo, c’è la maglia di Pogba! Questa Juventus…in Zona Cesarini riesce sempre a stupire!

Chissà cosa penserà Ugo quando l’indosserà?

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- Educazione

A tu per tu con: Alberto Bonfanti

Incontriamo oggi il Prof. Alberto Bonfanti, docente di Storia e Filosofia alle scuole superiori e Presidente dell’Associazione Portofranco Milano onlus, un centro di aiuto allo studio rivolto agli studenti delle scuole medie superiori che offre assistenza didattica gratuita nello svolgimento dei compiti, nel recupero dei debiti formativi e delle conoscenze disciplinari.

D.: Ci racconti cos’è Portofranco e come nasce questa realtà?
R.: Portofranco è un luogo dove alcuni volontari (adulti e studenti universitari) aiutano i ragazzi più giovani a studiare.
Nasce dall’idea di un grande educatore, Don Giorgio Pontiggia, una vita passata in mezzo ai ragazzi, a scuola e all’oratorio, che a sua volta è partito dalla necessità di soddisfare la domanda di significato, di senso di compagnia dei ragazzi di fronte alla vita. Per rispondere a questo bisogno, Don Giorgio è partito dalla vita quotidiana dei ragazzi e dai loro bisogni. Un bisogno che hanno tutti i ragazzi che frequentano la scuola è quello di fare i compiti e di essere aiutati in quelle materie più “impegnative”, mi viene in mente la matematica per capirci. Così è iniziata l'avventura di Portofranco Milano nel novembre 2000. Da quel momento un crescendo di iscrizioni. Ora abbiamo ogni giorno oltre 100 ragazzi che vengono aiutati singolarmente nelle più diverse materie da una cinquantina di volontari (40 universitari e 10 adulti) al giorno... Facendo un calcolo sono passati da Portofranco dal 2000 ad oggi oltre 20.000 ragazzi per oltre 8000 volontari per circa 100.000 ore di ripetizioni.

D.: Il bisogno educativo è uno dei grandi bisogni che la nostra società mostra drammaticamente di avere, a tutti i livelli, quello degli educatori e quello degli educati. Come educatore cosa si può fare per rispondere a questo bisogno oggi nella scuola italiana?
R.: Oggi a scuola, come nella vita i giovani sfuggono il rapporto con la realtà. Proprio questo sembra il problema. I ragazzi hanno paura della realtà e questo si documenta nel disimpegno, nel terrore della fatica, nella paura del futuro, nel non poter concepire qualcosa che non riescono ad immaginare. Magari hanno interessi, ma hanno paura di qualcosa d'altro, della realtà.
Portofranco da questo punto di vista è una grande provocazione per me, sia come insegnante che come Responsabile, perché in qualche modo mi richiama al mio stesso bisogno di significato. Può succedere che i ragazzi di oggi lo nascondano con un apparente disinteresse, o con la difficoltà a prendere sul serio la realtà e l’impegno con essa, ma al fondo hanno lo stesso bisogno di verità, di senso e di gusto che ho anch’io. Il compito di noi educatori consiste proprio in questo: trasmettere ai ragazzi il desiderio di verità, di bellezza che alberga in noi. Perché senza significato la realtà perde il suo interesse!

D.: Uno dei più grandi educatori contemporanei, Luigi Giussani, ha scritto nel Rischio Educativo: "Educare vuol dire sviluppare la coscienza, cioè il sentimento di sé come responsabilità verso qualcosa di più grande di sé". In base alla tua esperienza di insegnante di Liceo, cosa chiedono i giovani di oggi ai propri insegnanti?
R.: Sulle scale di Portofranco, salendo abbiamo scritto questa frase di Plutarco: "I ragazzi non sono vasi da riempire ma fuochi da accendere". I ragazzi desiderano essere introdotti alla realtà, ma da soli non ce la fanno. Il significato non è qualcosa di astratto ma una presenza affettiva, una presenza amorevole alla loro vita, alla nostra vita! Quid est veritas? Vir qui adest!
Ecco, io penso che la grande forza di questo mare di gratuità che è Portofranco sia questa: il gesto di gratuità che ciascuno dei ragazzi ha ricevuto lo ha introdotto alla positività dell'essere, gli ha fatto percepire che la realtà non è qualcosa di noioso, di lontano. Introduzione alla realtà: questo è Portofranco. E quando dico Portofranco penso ai volontari che hanno aiutato i ragazzi ad introdursi alla realtà attraverso una presenza amorosa, a non fuggirla cercando in devianze più o meno gravi quella realizzazione che la frustrazione scolastica impediva loro. Si perché per i ragazzi è un'ingiustizia, è una frustrazione andare male a scuola tanto che devono compensarla primeggiando in qualcosa d'altro. L'insuccesso scolastico è la prima sconfitta, è una delle prime circostanze dopo gli affetti familiari e personali in cui possono percepire la negatività, l'ottusità del reale o la sua positività. Per questo è stato così geniale partire dall'affronto del loro bisogno, del primo loro approcciarsi al reale. Infatti Il problema non è la scuola, ma la realtà.

D.: Cosa ti ha insegnato in questi anni l'esperienza di Portofranco e cosa ti aspetti per il futuro della scuola in Italia?
R.: Moltissimo. La sfida educativa è entrare in rapporto con l’altra persona, incontrarla e accoglierla per quello che è, ma senza rinnegare le proprie origini. Per esempio Portofranco è diventato un luogo ecumenico senza nessuna progettualità di volerlo diventare! Quando abbiamo iniziato non pensavamo questo.Ma già dal terzo anno sono aumentati gli stranieri che ora rappresentano più del 30% degli iscritti provenienti da oltre 30 Paesi, i più numerosi da Egitto, Marocco, Ecuador, Filippine e Perù e tra l'altro gli stranieri sono i frequentanti più assidui, quelli che, spesso per condizioni familiari particolari, vivono Portofranco come una loro seconda casa. Questo fatto mi ha insegnato molto. Si incontra l'altro non rinnegando la propria identità, il proprio volto ma in forza di essa e l'identità cattolica proprio in quanto cattolica è universale e quando è vissuta come esperienza di pienezza dell'umano e quindi apertura all'umano, è in grado di abbracciare e incontrare chiunque! Noi non nascondiamo la nostra identità, organizziamo feste di Natale e Pasqua a cui partecipano ragazzi atei o di altre religioni...
Partendo da un approccio non ideologico, ma dalla persona, attraverso il suo bisogno si può incontrare chiunque perché il cuore dell'uomo desidera la stessa cosa!! Questo l'ho proprio visto a Portofranco. Si diventa amici tra egiziani musulmani ed egiziani copti, ci si rispetta tra marocchini e latinos.. Non ci mai stato un episodio di intolleranza.Il dialogo che tra culture diverse appare così difficile, risulta possibile tra persone perché il cuore dell'uomo desidera la stessa cosa, la felicità.

Tra l'altro Portofranco non è diventato solo un luogo di integrazione tra gruppi etnici e religiosi diversi ma anche tra persone di estrazioni culturali diverse ( tra i nostri volontari adulti diversi non sono cristiani ma sposano il nostro progetto educativo) ma anche un luogo di convivenza multi generazionale (convivono 4 generazioni). Quando passando per le aule vedo lo sguardo tra un volontario di 80 anni ed un ragazzino di 16 mi chiedo: ma dove esistono i conflitti generazionali?

Per concludere penso che partendo da esperienze come quella di Portofranco si possa ripensare anche al modo di come immaginare la scuola del futuro. E’ un lavoro sfidante, ma la vera riforma della scuola deve partire da esperienze come queste o sarà solo una riforma giuridica e amministrativa, non educativa.

Un ultimo pensiero: per tanti Portofranco è stata una casa, una famiglia e ora ha bisogno di aiuto perché i contributi pubblici coprono solo il 10% delle spese che superano € 300.000. Portofranco lancia una campagna: acquistare un’azione simbolica della Onlus chiedendo a chi ci conosce e a chi desidera, di essere parte del patrimonio dell’associazione. Vogliamo che Portofranco rimanga gratuito per i ragazzi.

Grazie Alberto.


per info: direzione@portofranco.org / www.portofranco.org

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- Religione

L’uomo del nostro secolo saprà trovare la felicità?

Qual è il filo rosso che collega l’introduzione nel “mondo” cristiano di istituzioni come il divorzio e l’aborto? Che cosa unisce le attuali tendenze che danno voce a richieste quali la dolce morte, per anziani malati, ma anche ormai per bambini piccolissimi, alla campagna a favore della possibilità di scegliersi e produrre il proprio figlio in provetta, anche da parte di coppie omosessuali?

La parola che prova a spiegare tutto ciò è la parola secolarizzazione.

Essa è insita nel concetto di mondo cristiano appena citato, in quanto derivata della parola secolo, cioè lungo spazio di tempo e per estensione, Mondo, cosa mondana. La secolarizzazione è quindi un fenomeno collegabile al concetto stesso di cristianesimo, di religione cristiana.

Geograficamente, il primo “mondo” cristiano in cui il processo ha avuto origine è stato l’Europa. Quello che ha contraddistinto il continente europeo non sono stati però confini geografici o politici, bensì le idee, cioè una certa concezione dell’uomo, della vita, del lavoro, della felicità che si sono sviluppate storicamente in quella parte di mondo. Pensiamo alla filosofia greca, al diritto romano e allo sviluppo che hanno avuto in Europa le due grandi religioni nate in Asia, l’ebraismo e il cristianesimo.

Ciò che ha differenziato l’uomo europeo non è stato l’appartenenza ad una tribù, ad un gruppo etnico, ma l’uso che ha fatto delle idee, della ragione. E dall'incontro tra cristianesimo e ragione è nata quella miscela esplosiva che per secoli ha caratterizzato positivamente la vita dei popoli europei. Da quest’incontro nasceranno la cultura, l’arte, il diritto e l’economia europea. Tutto questo per più di mille anni.

Storicamente, possiamo datare l’inizio del processo di secolarizzazione della società europea con la Riforma di Lutero. L’Europa, che ha assistito al matrimonio tra Fede e Ragione, ne è anche stata l’artefice del suo divorzio. Illuminismo e Positivismo porteranno avanti convinti la separazione sempre più marcata tra il destino dell’uomo e quello di Dio, all’inizio senza negarne l’esistenza. “Dio non c’entra con la vita dell’uomo” descrive bene la situazione il teologo Cornelio Fabro.

E arriviamo ai nostri anni. Per quanto ci consta, la secolarizzazione è un fenomeno umano che ha avuto delle cause fondanti e sta avendo il suo sviluppo nella contemporaneità, proprio in questo nostro tempo.

Molti vedono nella secolarizzazione, e non a torto, un processo in cui l’uomo si auto fonda, non riconoscendo più il proprio legame con Dio, il bisogno del rapporto con la trascendenza. Un uomo che cerca di governare da solo il proprio destino. Tutti gli esempi posti all’inizio dell’articolo vanno in questa direzione. La tecnica raggiunta dagli scienziati sembra sostenere questo desiderio dell’uomo di non aver più bisogno di Dio per gestire la propria vita. Da questo punto di vista, proprio in questi anni stiamo assistendo all’apoteosi della secolarizzazione. L’uomo secolarizzato ha abbandonato il suo Unico riferimento per ritrovarsi a fare i conti con i suoi mille desideri e si è perso nella “selva oscura” della sua ragione.

Ma forse c’è un altro punto di vista da cui guardare la parola secolarizzazione. Occorre partire dal rapporto che Dio Padre ha verso gli uomini. In quanto Padre, Dio non può che desiderare la pienezza di vita e di libertà dell’uomo, come ogni padre umano desidera ciò per il proprio figlio. La storia dell’umanità, della secolarizzazione può allora essere vista come la crescita dell’umano, della sua consapevolezza, della sua libertà di scelta di stare o non stare in rapporto con Dio Padre.

Ecco che allora, da questo punto di vista, la parola secolarizzazione diventa il tentativo dell’uomo “adolescente” di staccarsi da Dio Padre per vedere se le sue forze sono sufficienti per camminare e governare da solo il Mondo. Ma ce la farà quest’uomo, in balia della sua ragione, a giungere alla meta tanto desiderata, la felicità?

Da come l’Europa, il “mondo” ormai non più cristiano sembrano essersi organizzati negli ultimi decenni, sorgono molti dubbi…

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- Politica

Il Jobs Act renziano

E’ un classico. Finite le ferie estive, quest’anno per la verità più brevi del solito un po’ per tutti, la situazione politica in Italia torna a surriscaldarsi. I temi del giorno sono la riforma del lavoro e l’eliminazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge num. 300 del 20 maggio 1970).

Ormai il governo Renzi non ha più scusanti e i mille giorni che si è dato per portare a termine le riforme scorrono uno dopo l’altro inesorabili. E’ quindi costretto per forza ad affrontare anche i temi più delicati che sino ad ora ha lasciato decantare. Uno dei più spinosi per la sua stessa maggioranza interna (parliamo del PD) è la riforma del mercato del lavoro. Su questo tema esistono due PD, forse anche tre. Ma Renzi sa benissimo che non può fare a meno di portare avanti questa riforma, perché la situazione italiana è tragica e l’Europa ci chiede a gran voce di cambiare marcia.

Il problema è come cambiare, dopo che la riforma Fornero ha, sembra impossibile, peggiorato ancora di più il quadro legislativo e la crisi economica negli ultimi due anni ha colpito duro soprattutto la fascia d’età giovanile e i cinquantenni rimasti senza lavoro e senza pensione. Una situazione potenzialmente devastante dal punto di vista della tenuta sociale del sistema.

L’idea di Renzi sull’argomento è nota dai tempi della Leopolda e trova sponda nei partiti di centro destra dentro e fuori il governo (NCD e Forza Italia più satelliti), ma è all’antitesi di quella di metà PD e degli altri partiti di sinistra.

Al momento una mediazione sembra impossibile e forse neanche auspicabile perché provocherebbe l’ennesima riforma fatta a metà che non risolverebbe il problema.

Noi ci permettiamo di mettere sul tavolo due o tre considerazioni.

Primo: l’articolo 18. Senza entrare in tecnicismi, ricordiamo che il licenziamento comminato da un datore di lavoro nei confronti di un singolo lavoratore incorre in particolari conseguenze qualora il provvedimento manchi di una giusta causa o di un giustificato motivo oggettivo o soggettivo. In tali casi si parla di illegittimità del licenziamento e può essere applicato il famoso articolo se l’impresa ha più di 15 dipendenti.

Renzi e il suo governo, con il Jobs Act, sembrano convinti che eliminando questo articolo, il mercato del lavoro in Italia sarà meno ingessato e potrà riprendere a crescere. A parte che l’articolo 18 è già stato fortemente limitato nella sua applicabilità dalla riforma Fornero, non sembra che ciò abbia portato ad un aumento di occupati. E poi l’articolo 18, dalla sua nascita nel 1970, ha trovato applicazione per la metà circa dei lavoratori, visto che l’Italia è il Paese delle piccole e piccolissime imprese, sotto i 15 dipendenti, e pertanto escluse dall’applicazione dell’articolo. Nonostante ciò, l’occupazione in Italia dal 1970 al 1990 è cresciuta e il nostro Paese è diventato tra le 8 nazioni più sviluppate al mondo, con l’articolo 18 in vigore, non senza l’articolo 18.

Non ho mai letto o conosciuto un imprenditore italiano o straniero, che si lamentasse dell’esistenza dell’articolo 18 e che decidesse di non investire in Italia per questo motivo.

Riteniamo invece che l’idea di fondo espressa nell’articolo sia un’idea di civiltà giuridica che pochi Paesi al mondo hanno sviluppato e non a caso essa è presente nell’ordinamento giuridico dell’Italia, patria e culla del diritto romano che ha civilizzato l’intera Europa duemila anni fa.

Secondo: i mali dell’Italia invece sono ben altri e Renzi li conosce bene e dovrebbe affrontarli: la giustizia civile lenta a livelli inverosimili che ci pone agli stessi livelli dei Paesi dell’Africa nera. La burocrazia esagerata che obbliga gli imprenditori a sostenere costi assurdi. Per aprire un’unità produttiva in Italia ci possono volere sino a sei anni contro i dodici mesi del resto d’Europa. La corruzione che si annida nelle lungaggini burocratiche in Italia è praticamente endemica. Il costo dell’energia è più alto di tutti gli altri nostri competitors europei. E si potrebbe continuare (non abbiamo citato per esempio il tema fiscale), ma si capisce bene che già così è quasi un miracolo che esistano ancora imprenditori che hanno la voglia e il desiderio di investire in Italia.

I sindacati, chiamati inevitabilmente in causa quando si attacca l’articolo 18, sicuramente in passato hanno commesso errori, non capendo che il mercato del lavoro stava cambiando, ma è indubbio che non hanno scritto e promulgato le leggi che nel corso degli anni hanno portato alla situazione attuale.

Renzi sbaglia quando li accusa di non tutelare le partite IVA e i lavoratori temporanei e tutte le altre forme di precariato. Il sindacato queste forme di lavoro “anomalo” non le vuole, non le voleva e le ha subite. I veri colpevoli di questa situazione sono i partiti politici che, in piena crisi di valori, dagli anni 90 in avanti si sono piegati ai nuovi poteri forti rappresentati dai grandi gruppi industriali e dalla finanza internazionale che sempre più globalizzati hanno iniziato a chiedere alla politica una maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro, foriera a sua volta di una riduzione di costi e quindi di un maggior guadagno per loro stessi.

Cosa ci aspetta? Personalmente riteniamo che oggi abbiamo davanti a noi un’opportunità incredibile: ripensare alla concezione del lavoro umano e a quello che esso significa per la vita di ciascuno di noi, lasciando per un attimo da parte i diritti e i doveri, ma riflettendo sul significato della parola lavoro.

“L'UOMO, mediante il lavoro, deve procurarsi il pane quotidiano e contribuire al continuo progresso delle scienze e della tecnica, e soprattutto all'incessante elevazione culturale e morale della società, in cui vive in comunità con i propri fratelli. E con la parola «lavoro» viene indicata ogni opera compiuta dall'uomo, indipendentemente dalle sue caratteristiche e dalle circostanze, cioè ogni attività umana che si può e si deve riconoscere come lavoro in mezzo a tutta la ricchezza delle azioni, delle quali l'uomo è capace ed alle quali è predisposto dalla stessa sua natura, in forza della sua umanità. Fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso nell'universo visibile, e in esso costituito perché dominasse la terra, l'uomo è perciò sin dall'inizio chiamato al lavoro. Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l'uomo dal resto delle creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro; solo l'uomo ne è capace e solo l'uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua esistenza sulla terra. Così il lavoro porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura.”

Così inizia l’Enciclica LABOREM EXERCENS scritta nel 1981 da Giovanni Paolo II.

Iniziamo a riflettere su queste parole e magari domani al governo Renzi potremmo inviare un tweet con qualche suggerimento per il Jobs Act.

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- Cultura

Il Meeting delle periferie

Si è chiusa ieri a Rimini la 35° edizione del Meeting per l’amicizia tra i popoli. Il titolo del Meeting di quest’anno era: “Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo”.

Per chi ha potuto verificare di persona, pure solo per una giornata, l’esperienza del Meeting, anche quest’anno si sarà commosso nel vedere decine di migliaia di persone, soprattutto giovani e giovanissimi ragazzi, partecipare attenti e curiosi a quanto accadeva nei saloni della fiera riminese.

Per prima cosa diamo l’idea di quello che è accaduto nella settimana del Meeting: 100 convegni con 280 relatori provenienti da tutti i continenti, 14 mostre, 17 spettacoli, 10 eventi sportivi e oltre 4.000 volontari provenienti da 43 Paesi del mondo che hanno reso possibile tutto questo.

Forse il Meeting di quest’anno è stato, dal punto di vista mediatico, un po’ sotto tono per la mancanza di ospiti politici italiani di primo piano, ma invece dal punto di vista culturale e religioso sarà ricordato sicuramente come un’edizione che lascerà un segno negli anni a venire.

Le “periferie” non sono lontane – ha scritto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio che ha mandato per l’inizio del Meeting - fanno anzi parte del nostro mondo e del nostro vissuto e le tragedie che si verificano quotidianamente in molte parti del pianeta ci riguardano da vicino».

«Il cristiano non ha paura di decentrarsi, di andare verso le periferie, perché ha il suo centro in Gesù Cristo», ha scritto invece papa Francesco nel messaggio augurale al Meeting. Le periferie, ricorda il Santo Padre, «non sono soltanto luoghi, ma anche e soprattutto persone (...). Non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria».

Le periferie del mondo sono state raccontate attraverso grandi testimoni come Padre Pizzaballa, Custode di Terrasanta, Aleksandr Filonenko, professore Ucraino, il vescovo di Aleppo, Georges Abou Khazen e ancora Panteleimon, Vicario di Sua Santità il Patriarca di Mosca e dell’intera Russia, Shlemon Warduni, Vescovo Ausiliare Caldeo in Iraq, ma anche da personalità italiane come il Card. Gualtiero Bassetti, Padre Antonio Spadaro, il Presidente Luciano Violante, il Prof. Giorgio Buccellati.

Tra tutti gli incontri a cui abbiamo assistito, sicuramente uno dei più emozionanti è stato quello con il fisico, filosofo e teologo ortodosso Filonenko che ha trattato la sua relazione avente a tema il titolo del Meeting. “La periferia non è una questione geografica, è questione di un incontro che ci rende vivi", così ha esordito Filonenko. Che poi ha continuato: "La periferia è quel luogo in cui Gesù ci si fa incontro, affinché dalla stanza soffocante dell’abbandono e della solitudine possiamo uscire nell’universalità, nella cattolicità. La periferia è più simile alla riva dell’oceano, all’apertura che rende possibile il contatto con il mistero”.

Del resto anche il Salvatore dell’uomo, per venire al mondo, ha scelto una terra di periferia rispetto al centro del mondo che allora era Roma, e non sarà stata certamente una casualità.

Aspettiamo a questo punto in trepida attesa il prossimo Meeting 2015 che avrà il titolo: Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?

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- Cinema

Arrivederci Robin...

Quando leggiamo notizie come quella letta questa mattina al risveglio, la morte, o meglio il suicidio dell'attore Robin Williams, rimaniamo per forza di cose senza parole, afoni, sgomenti.

Robin Williams ci ha fatto compagnia per tantissimi anni, al cinema, in televisione. Quando avevamo voglia di rivedere il suo volto così sorridente e al tempo stesso velato da un filo di malinconia, accendevamo la TV o inserivamo un DVD, con la consapevolezza che da qualche parte nel mondo Robin stava girando per noi un nuovo film che ci avrebbe fatto ridere e commuovere, insomma ci avrebbe aiutato a vivere.

Ora il suo futuro si è fermato, lui stesso l'ha fermato, per sempre. Certo, potremo rivederlo ancora, tutte le volte che vorremo, in TV o al cinema, ma sarà diverso perché ci mancherà l'attesa per la sua nuova interpretazione della realtà, sempre magica, sempre unica.

Molti si stanno chiedendo in queste ore il perché del gesto. Nessuno, tranne Robin, conosce la risposta. Si potrebbe parlare e scrivere per ore sul mondo dello spettacolo, sulla vanità che lo circonda, sulla falsità dei rapporti umani che lo costituiscono, sulla solitudine compagna di vita e via dicendo...

La verità è che ognuno di noi, prima o poi, deve fare i conti con lo scorrere del tempo e con il senso del proprio esistere. Si viene al mondo con due compiti: imparare ad amare e prepararsi a morire e questo fatto costituisce il filo rosso dell'esistenza di ciascuno di noi, sia che nella vita si svolga il mestiere di attore o quello di semplice impiegato od operaio.

Robin Williams, di fronte a questi due compiti, ha pensato di dare una risposta radicale e senza possibilità di ripensamento, togliendosi la vita. Purtroppo non possiamo dirgli più nulla. Ma se solo potesse sentirci ancora una volta, gli diremmo che in questo caso ha sbagliato copione, che non doveva recitare sino in fondo quella parte. Dopo tutti gli anni passati sullo schermo e tutti i film interpretati, questa volta caro Robin hai scelto una sceneggiatura sbagliata.

C'è sempre una ragione per cambiare strada e iniziare un nuovo cammino, a qualsiasi età, con qualsiasi tempo...Le scelte radicali, quelle che non contemplano una possibilità di ripensamento, non sono scelte di competenza di noi fragili umani, ma delle divinità. E tu caro Robin, eri uno come noi, un essere umano, perché hai voluto compiere un gesto divino? Solo Dio può decidere la nascita e la fine di una vita.

Questo ti avrei detto, caro Robin, se solo avessi potuto parlarti prima che tu compissi l'insano gesto. Ma sono sicuro che ti sei già pentito per quanto hai combinato poche ore fa e saprai farti perdonare dal buon Dio, del resto tra veri artisti ci si intende…

Addio Robin. Grazie alla tua arte ci hai fatto vivere momenti emozionanti che rimarranno nella nostra mente e nel nostro cuore finché vivremo. E ci impegneremo per farlo bene, nel migliore dei modi, cercando di imparare ad amare e preparandoci, con animo sereno -sperando di riuscirci- alla nostra fine.

E se vi riusciremo, sarà un po’ anche merito tuo.

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- Politica

Onorevole Presidente del Consiglio Matteo Renzi...

Onorevole Presidente del Consiglio Matteo Renzi,

sono uno degli undici milioni e duecentomila italiani che l’hanno votata alle ultime elezioni europee. Io, come molti altri, per la prima volta (ho quarantotto anni). Non ho votato il PD, ho votato lei, Signor Primo Ministro.

Ho votato lei perché è giovane e Dio solo sa quanto gli italiani siano stanchi di settantenni e ottantenni al comando, incollati ai posti chiave della Nazione…

Ho votato lei perché ho intravisto un segnale di discontinuità propositiva, nel suo modo di parlare di politica, di futuro, di fiducia nelle nostre capacità e nel nostro lavoro, rispetto ai mestieranti della politica…

Ho votato lei perché ha promesso di cambiare l’Italia in meglio, di lottare contro i burocrati e la burocrazia…

Ho votato lei, Signor Presidente, perché non si è messo ad urlare nelle piazze come hanno fatto alcuni politici improvvisati, mirando a distruggere piuttosto che a costruire una nuova Italia…

Ho votato lei perché ha l’energia giusta per andare sino in fondo in questa sfida di cambiare il Paese incartapecorito da decenni di pseudo vita democratica e perché, mi consenta la franchezza, non ha molto da perdere e quindi ha con sé la forza per tirare dritto davanti agli ostacoli…

Ho votato lei perché l’Italia ha bisogno di un cambio di passo e un giovane di solito ha la camminata svelta…

Ho votato lei perché mi è sembrata una persona coraggiosa, perché ci è voluto molto coraggio per sfidare i Moloch del Partito Democratico ed uscirne vincitore…

Ho votato lei, Signor Presidente, perché avevo bisogno di vedere facce nuove nei talk show, non i volti noti dei soliti politici che siedono in Parlamento da decenni e vengono in TV a parlare del rinnovamento della politica, ma loro sono sempre seduti nel solito scranno…

Ho votato lei anche perché, purtroppo, non avevo molte alternative Signor Presidente, ma di questo lei non si deve preoccupare, anzi, deve essere un motivo in più per cercare di conquistare altro consenso…

Intendiamoci, non vorrei che pensasse che la considero un super uomo, no per carità, qui sulla terra siamo tutti persone normali, i santi e i demoni vivono nell’altro mondo, Superman è un personaggio dei fumetti…

Ho votato lei ed ho aspettato il trascorrere dei fatidici cento giorni che si concedono ad ogni nuovo Primo Ministro, giusto per permettergli di capire in che mondo è finito…

però caro Presidente, così non va…

Dal giorno del giuramento (si ricorda quel 22 febbraio vero?) sono trascorsi più di cinque mesi e dal suo Governo abbiamo avuto molte dichiarazioni d’intenti e visto molti grafici sui programmi e sulle cose che intende fare per cambiare il Paese, ma pochi atti concreti…

Dal giorno del giuramento, abbiamo letto sui giornali le moltissime riforme che si vogliono realizzare: la riforma della spesa pubblica, la riforma del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione, la riforma della legge anti corruzione, la riforma della legge elettorale, del titolo quinto, quella costituzionale solo per citare le più importanti.

Se però guardiamo agli atti concreti, leggi e decreti promulgati ed operativi, le cose cambiano. Al momento poi il Parlamento è impegnato in una estenuante discussione sulla riforma del Senato, come se riformare il Senato a tutti i costi fosse la soluzione ai mali d’Italia.

Così non va, Signor Presidente. Le riforme costituzionali devono avere la più ampia maggioranza parlamentare se vogliono avere una minima possibilità di successo. L’esperienza docet in questo caso. Quante volte negli ultimi due decenni si è cercato di portare avanti una riforma sostanziale della nostra Costituzione senza riuscirci? Non si può proporre al Parlamento un piatto surgelato da scongelare e cucinare in cinque minuti, preparato e precotto in un’altra cucina…

Perché per esempio puntare i piedi sull’elezione indiretta dei Senatori quando tutti i sondaggi e il buon senso dicono che agli italiani piace, giustamente, scegliere il proprio candidato? Non raccontiamoci la storiella che un Senato elettivo costerebbe di più di uno di seconda mano…basterebbe dimezzare il numero dei Senatori, da 315 a 150, e ridurre gli stipendi ai restanti, per ottenere i medesimi risultati di costo della struttura. E questo è solo uno tra i molti punti della riforma in discussione che sono fortemente invisi al popolo, Signor Presidente…

I motivi per cui l’ho votata, Signor Presidente, glieli ho elencati all’inizio di questa lettera. Come me, mi creda, la pensano tanti italiani. Ci ascolti, la prego. Per noi lei rappresenta l’ultima possibilità, l’ultimo tentativo serio per cercare di cambiare le cose in Italia.

Non usi i muscoli per portare a casa una vittoria sul Senato non elettivo, mi creda, non ne vale la pena…

Cerchi anzi di uscire il più in fretta possibile dalla pastoia della riforma costituzionale e di quella elettorale per dedicare le sue energie e quelle dei suoi giovani ministri nel cercare soluzioni al lavoro che manca, alle imprese che chiudono (alcune perché falliscono e altre perché spostano la produzione all’estero) e vedrà che alle prossime elezioni gli italiani la voteranno ancora…

Ci sono solo due giorni all'anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama ieri, l'altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e, principalmente, vivere.

Questo scrive il Dalai Lama, Signor Presidente: oggi tocca a lei decidere il futuro dell’Italia. Non si faccia intimidire dai vecchi volponi della politica, ascolti il popolo e vada avanti senza indugio. Gli italiani che l’hanno votata sono ancora con lei, ma non per molto tempo ancora…

In bocca al lupo, se mi consente.

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- Politica

L’ombelico del mondo

E' sempre impegnativo raccontare la politica estera di una nazione. Quando poi il Paese di cui vogliamo parlare sono gli Stati Uniti d’America, l’analisi si complica ancora di più. Proviamo comunque ad esporre alcune riflessioni.

La politica estera degli Stati Uniti, prima potenza militare mondiale, sotto la presidenza Obama, è mutata. Si è abbandonato l'interventismo militare diretto, proprio delle presidenze di Reagan prima e poi di Bush padre e Bush figlio e di Clinton per teorizzare un mondo che finalmente potesse fare a meno dell'intervento militare americano per auto governarsi pacificamente.

Il risultato? E’ un bene questo ritorno americano all’analisi del proprio ombelico? Guardiamoci intorno.

Le tanto osannate primavere arabe che dovevano segnare l’avvio di un nuovo rinascimento dei popoli arabi hanno visto, con l'appoggio "esterno" degli USA, la caduta dei vecchi "dittatori" e la contemporanea rinascita di guerre tribali tra opposte fazioni etniche religiose, armate per abbattere il vecchio potere ed ora intente a sopraffarsi le une sulle altre.

Nei Paesi devastati da decenni di guerra, Iraq e Afghanistan, la situazione se vogliamo è ancora più tragica. Dopo la deposizione di Saddam Hussein, l'Iraq è stato formalmente normalizzato dall'intervento delle forze di pace, guidate dagli USA. Peccato che ancora oggi, ogni settimana a Baghdad esplodano autobombe che provocano decine di morti e le diverse componenti etnico religiose presenti, sunniti, sciiti e curdi sono in continua lotta tra di loro per la gestione del potere e non si sia riusciti ancora a contribuire alla formazione di un Governo di unità nazionale che affronti la ricostruzione del Paese. Inoltre, è cosa delle ultime settimane, i movimenti ultra estremisti islamici dell'Isis, attivi in Siria contro il regime di Assad, hanno conquistato parte dell'Iraq settentrionale e della Siria, proclamando la rinascita del Califfato islamico abolito nel 1924 nell'ambito delle riforme promosse dal leader turco Mustafa Kemal.

In Afghanistan la situazione è altrettanto grave. Dopo l'invasione sovietica della fine degli anni 70, durata dieci anni e terminata nel 1989 con la vittoria dei Mujaheddin sostenuti dagli Stati Uniti, il Paese è precipitato in una guerra civile religiosa che nel 1996 ha visto prevalere la fazione dei Talebani. Costoro applicarono al Paese una versione estrema della shari'a e ogni deviazione dalla loro legge venne punita con estrema ferocia. Molti ricorderanno la cattura dell'ultimo presidente della repubblica democratica afgana Mohammad Najibullah; venne preso dal palazzo delle Nazioni Unite di Kabul, dove era rifugiato, e venne torturato, mutilato e trascinato per le strade con una jeep prima di essere giustiziato con un colpo alla testa. Altro episodio che ha fatto clamore è stata la distruzione dei Buddha di Bamiyan nel 2001. Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 gli Stati Uniti e le forze della coalizione da loro guidata invasero l'Afghanistan e sconfissero i talebani nel novembre dello stesso anno. Dopo 13 anni di controllo politico militare dell'Afghanistan la situazione interna è tutt'altro che risolta e vaste zone di territorio sono sotto lo stretto controllo dei fanatici religiosi talebani. Ora, con la situazione sopra descritta, Obama già nel corso di quest’anno e poi nel 2015 ritirerà le sue truppe dal Paese e nel 2016 dovrebbero restare solamente 1000 uomini dell'esercito statunitense in appoggio alle forze regolari afghane. Cosa succederà nel Paese asiatico dopo la ritirata dei militari della coalizione è facile immaginarlo, visto quello che è successo in Iraq dopo il ritiro dell’esercito USA nel 2011.

E’ evidente a tutti ormai che fu un errore invadere quindici anni fa questi due Paesi come è stato un errore abbandonare l’Iraq al suo destino (e domani abbandonare l’Afghanistan) senza averlo dotato di una robusta struttura democratica che fosse in grado di governare pacificamente la nazione. La democrazia non si impone con la forza militare, semmai la si esporta negli anni attraverso gli scambi culturali tra persone di fede ed educazione diverse che si conoscono, si stimano e imparano reciprocamente il modo migliore di vivere sulla terra.

E veniamo all’ultimo errore che, a nostro giudizio, stanno commettendo gli USA nell’approccio alla crisi dell’Ucraina. Non è con le sanzioni commerciali e con la minaccia di ritorsioni che si deve trattare con la Russia di Putin su come risolvere la crisi in atto che, ricordiamolo, coinvolge pesantemente gli interessi dell’Unione europea.

Che i territori dell’est del Paese siano storicamente più legati alla nazione russa a differenza di quelli dell’ovest, più europeizzati, è cosa nota. Basterebbe prendere un manuale e leggere la storia dell’Europa centrale degli ultimi mille anni. Ora non si capisce perché non si possa dare la parola al popolo ucraino e indire un referendum per decidere liberamente da quale Governo vuole essere amministrato? Dopodiché se le province dell’est vogliono essere governate dalla Russia di Putin, si troverà il modo di ricompensare l’Ucraina per la perdita di quei territori e a questo punto la situazione tornerà assolutamente pacifica. Fanta politica? Non ci sembra. Certo che se l’Europa continuerà a brillare per la sua assenza dagli scenari internazionali e lascerà agli Stati Uniti gestire, in casa propria, questo tipo di situazioni, non prevediamo un finale entusiasmante per la crisi ucraina.

Non dimentichiamo poi che se si prosegue sulla scia delle ritorsioni e contro ritorsioni, il tempo che passa gioca a favore di Putin. Con l’arrivo dell’inverno il Capo del Cremlino avrà in mano un’arma di ricatto potentissima: bloccare il flusso di gas verso l’Europa. Ora con la situazione poco tranquilla (per usare un eufemismo) in Libia e con la Russia che chiude i rubinetti del gas, come passerà la nostra cara Italia il prossimo inverno? Certo, i francesi, gli inglesi, i tedeschi hanno le centrali nucleari, noi però quelle che stavamo costruendo le abbiamo bloccate ed ora sono ferme in attesa di essere smontate, come la Concordia che aspetta a Genova di essere fatta a pezzi. Certo, gli Stati Uniti sono lontani migliaia di miglia dall’Ucraina e poi sono diventati da poco auto sufficienti dal punto di vista energetico. Una bella cosa, per loro. Noi italiani invece, per scaldarci, dipendiamo dai Paesi arabi e dalla Russia…quindi potremmo affermare che il nostro prossimo futuro lo prevediamo molto caldo…

Riuscirà l’Europa in questo caso a suonare una musica differente da quella proposta dagli USA e ad evitare di esasperare sempre di più una situazione già al limite? Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane vedremo se il premier Renzi e il ministro Mogherini sapranno rappresentare agli alleati una via d’uscita dalla crisi ucraina diversa da quella che si sta intravedendo, decisa e condotta dagli Stati Uniti.

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- Politica

Imprenditori italiani...

La notizia è apparsa sulle pagine dei quotidiani senza lasciare strascichi o commenti particolari, forse perché in questo caso in ballo ci sono denari privati (siamo sicuri che sia proprio così?), ma iniziamo dalla notizia.

Il 23 luglio scorso i soci di Sorgenia spa (la CIR dell’imprenditore De Benedetti con il 53% e l’austriaca Verbund AG con il 46%) hanno sottoscritto un accordo con le banche creditrici per la ristrutturazione del debito della stessa. Il risultato finale di questo accordo (previsto entro la fine dell’anno in corso) sarà il passaggio del controllo di Sorgenia dai due soci attuali alle banche creditrici.

Ma facciamo un passo indietro. Sorgenia nasce nel 1999 all’indomani della liberalizzazione del mercato dell’energia in Italia ad opera del gruppo De Benedetti alleato, in questa impresa, con gli austriaci di Verbund AG (operatore austriaco attivo anch’esso nel mercato energetico).

Sorgenia cresce velocemente e nel 2003 acquista da Enel una quota del 39% di Tirreno Power che le permette di fare un importante salto dimensionale. Nel 2013, secondo quanto pubblicato sul sito internet istituzionale della controllante CIR, il gruppo Sorgenia ha generato ricavi per 2,3 miliardi di euro, diventando il secondo fornitore elettrico delle aziende italiane, dietro Enel.

Una storia di successo quindi? Non proprio. L’altra faccia della medaglia della crescita dei ricavi è il pesantissimo debito accumulato con le banche finanziatrici: 1,8 miliardi di euro. Dopo quindici anni di vita, Sorgenia è arrivata al capolinea e per sostenere gli investimenti e le quote di mercato acquisite nel tempo a suon di debito, i due soci fondatori cosa hanno pensato di fare? Passare il testimone alle banche che con i loro generosi finanziamenti evidentemente hanno creduto nell’iniziativa molto più dei soci industriali.

A questo punto la storia di Sorgenia diventa molto simile a quella di altre vicende che hanno interessato l’imprenditoria italiana. Purtroppo in Italia esiste ancora una classe di pseudo imprenditori che investono in settori ritenuti “promettenti” facendo ricorso ai finanziamenti bancari e quando la situazione volge al peggio si tirano indietro e passano la mano ai soci “occulti”, cioè alle banche.

A questo punto sorge spontanea una domanda: per quale ragione le banche italiane, che dal 2008 vivono comunque la crisi economica come ogni altra impresa ed hanno attraversato un periodo di stretta creditizia, hanno concesso a Sorgenia finanziamenti così cospicui? Le cifre lette sui giornali parlano di 600 milioni di euro prestati dal Monte Paschi di Siena, 371 milioni di euro da Banca Intesa, 180 milioni di euro rispettivamente da Unicredit e da UBI, 177 milioni di euro da Popolare di Milano, 157 milioni da Banco Popolare per finire con importi minori da parte di banche più piccole. Sollecitazioni politiche? Nooooo…..

Ma ancora: è moralmente accettabile in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo, concentrare su un unico soggetto economico finanziamenti così importanti senza chiedere ai soci dell’iniziativa uno sforzo finanziario almeno equivalente? Perché tutti sono capaci di giocare a fare gli imprenditori con i denari altrui (delle banche in questo caso): quando le cose vanno bene gli utili se li incassano i soci, quando invece vanno male, come in questo caso, i cocci vanno alle banche che sono obbligate ad accettare, pena l’azzeramento dei propri crediti in caso di fallimento dell’iniziativa.

Certo, gli istituti di credito prestano il denaro a chi vogliono, secondo criteri di merito creditizio, ma svolgono anche un ruolo sociale importantissimo: senza il loro supporto le imprese, soprattutto le più piccole e le più giovani, non riescono a crescere e a svilupparsi. Di conseguenza non può crescere e svilupparsi neanche il nostro Paese. Ecco perché i denari privati delle banche svolgono anche una funzione pubblica e di questo le aziende di credito devono tenerne conto.

Ma torniamo al nostro caso: l’imprenditore questa volta è stato addirittura diabolico: nell’accordo siglato con le banche ha fatto inserire una clausola c.d. di earn – out: in sostanza se negli esercizi successivi all’entrata degli istituti di credito in Sorgenia le cose dovessero migliorare e la società producesse utili, la parte di questi utili che eccedesse quanto versato dalle banche creditrici, verrà ristornata ai vecchi soci. Quindi: se rimangono le passività, queste restano in bilancio alle banche, se arriveranno gli utili, una parte di questi andranno ai vecchi soci De Benedetti e Verbund. La logica di tutto ciò? A noi sfugge.

In conclusione: mentre tutti i media in questi giorni si sono focalizzati sull’affaire Alitalia, sulla Costa Concordia e sulle riforme istituzionali che non decollano, a noi ha colpito la vicenda di questo ennesimo tentativo, purtroppo finito male, di creare in Italia una vera concorrenza in un mercato così strategico come quello dell’energia.

Probabilmente una sfida così impegnativa ai moloch ENI ed ENEL andava affidata a gruppi imprenditoriali più strutturati, con maggiori disponibilità finanziarie e con la voglia di investirle in Italia. L’anomalia italiana è legata ai rapporti malsani tra politica e classe imprenditoriale. Quando la politica sponsorizza l’imprenditore amico di turno, che magari ha una visione imprenditoriale, ma non vuole rischiare più di tanto il proprio patrimonio e quindi cerca altri mezzi finanziari e altri appoggi per realizzare quello che ha in mente, allora il risultato è quasi sempre fallimentare. Il caso Alitalia è da questo punto di vista, emblematico.

Cosa faranno le banche di Sorgenia è presto per dirlo. Di certo non si metteranno a vendere il contratto di luce e gas allo sportello….o forse….perché no?

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- Politica

Gira la giostra...

E’ un mese di luglio particolare quello che stiamo vivendo in questo 2014. L’estate stenta a decollare, almeno in Italia e nel mondo vagano venti di crisi, per non chiamarli venti di guerra vera e propria. Ucraina, Israele, Palestina, Siria, Iraq, Afghanistan, Sudan, Somalia, Eritrea, Nigeria, Egitto solo per citare alcuni Paesi ove i conflitti sono alla luce del sole o momentaneamente sopiti.

Per fortuna che l’Unione europea si appresta nel prossimo mese di agosto a nominare un Alto Rappresentante per gli Affari esteri di esperienza così da far sentire con forza tutto il peso politico di cui, come noto, è capace…

Tuttavia è del conflitto italiano che desideriamo occuparci oggi: il conflitto in atto e tutto interno alle forze politiche che sono ormai giunte al punto di non ritorno delle riforme renziane.

Ormai non c’è più tempo per la discussione, nelle aule parlamentari è giunto il momento di passare alle votazioni. Da domani si fa sul serio, si vedrà chi vuole le riforme e chi no.

Ma quali riforme? Siamo proprio sicuri che così come stiamo architettando la nuova struttura costituzionale, il nostro Paese ne uscirà meglio attrezzato per affrontare le sfide del futuro?

Francamente in questo caso concordiamo con il M5S che vede una deriva autoritaria negli uomini del governo Renzi. Del resto, che i sodali del nostro Primo Ministro ogni tanto si facciano prendere la mano, non è cosa nuova...

Ma le riforme andrebbero condivise da un’ampia maggioranza, dicono tutti. Ma le riforme, comunque sia, vanno portate a termine, altrimenti non siamo credibili in Europa, dicono i renziani. Ma se i grillini avessero iniziato a collaborare con il Governo Letta due anni fa e non si fossero ritirati sull’Aventino, magari oggi Firenze avrebbe ancora il suo vecchio sindaco e noi forse avremmo già una nuova legge elettorale, un nuovo Senato composto da 100 senatori eletti dal popolo e Berlusconi e Alfano sarebbero ancora amici per la pelle, come lo sono sempre stati…

Purtroppo la storia non si fa con i se e con i ma, però qualcuno nel M5S dovrebbe comunque fare autocritica e ammettere che sono stati persi due anni durante i quali il renzismo ha preso piede, l’Italia è rimasta in stato comatoso ed ora ci troviamo il fiato sul collo delle riforme che vanno fatte a qualunque costo…

Ma siamo proprio sicuri che vadano fatte a qualunque costo? E se qualcuno volesse fermare la giostra e scendere? Nessun problema compagni: il Comandante in Capo scende in campo e con la forza incredibile che caratterizza questo indomito ottantanovenne viene data una nuova spinta e la giostra riprende a girare, a girare, a girare…

Il tempo è un grande maestro: trova sempre il finale migliore.

Questo pensava il grande Charlie Chaplin. In un Paese dove un comico si crede leader politico e dove i politici di professione ormai fanno solo ridere, mi sembra il finale più corretto…

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- Educazione

Berlusconi e il caso Ruby

Speravamo di non doverci più occupare delle vicende personali dell’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ormai definitivamente fuori dall’agone politico a seguito di una condanna definitiva passata in giudicato per reati fiscali (per il c.d. processo Mediaset).

E invece poche ore fa, per alcuni inaspettatamente, per altri finalmente, la Corte di Appello di Milano ha prosciolto Berlusconi da tutte le accuse, a dire il vero piuttosto infamanti per un ex Primo Ministro, legate alla storia boccaccesca del così detto caso Ruby.

E subito abbiamo visto apparire sui mass media, in televisione e alla radio, i sodali dell’ex Premier che, commentando la sentenza di assoluzione della magistratura, favorevole in questo caso all’imputato Berlusconi, chiedono a gran voce la riabilitazione politica del Cavaliere e auspicano la sua ridiscesa in campo per il bene del Paese.

Eppure l’ex Premier rimane condannato per un reato molto grave (frode fiscale) dalla stessa magistratura italiana che oggi lo ha assolto in via definitiva. E’ grave perché commesso da una persona che ha ricoperto negli anni prestigiose cariche pubbliche. E nel processo Ruby non mi sembra che sia emerso che l’imputato non si sia intrattenuto con giovani ragazze disponibili a passare allegre serate con lui, all'epoca Presidente del Consiglio italiano in carica.

Quindi, riassumendo, la condotta dell’ex Premier nel caso Ruby, come hanno deciso i giudici di Appello, non rappresenta una condotta da sanzionare penalmente (leggeremo poi le motivazioni di questa decisione), ma tutto il sottofondo di degrado morale che avvolge la vicenda, quello rimane eccome anche se non possiede una valenza penalmente rilevante.

Ricordiamo che molto recentemente, per una storia per certi versi molto simile, l’ex Presidente del Fondo Monetario Internazionale è stato costretto alle dimissioni e la sua carriera politica è terminata immediatamente.

Non mi sembra quindi che nel caso italiano ci sia molto da festeggiare per gli elettori di Forza Italia che non hanno più in Berlusconi la possibilità di trovare il leader in grado di rappresentare il futuro dei moderati italiani.

Speriamo che l’eco di questa sentenza si spenga presto perché altri sono i problemi che l’Italia si trova ad affrontare per colpa dei governanti che si sono succeduti negli ultimi due decenni almeno. Forse a Berlusconi, come del resto a Prodi e a D’Alema, solo per citare tre ex Premier i cui governi potevano tentare di portare a termine le riforme del sistema Italia, si potrebbe chiedere conto delle mille occasioni perse che hanno portato il nostro Paese alla situazione attuale, altro che caso Ruby…

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- Educazione

Esame di Stato...e dopo?

Anche quest’anno si è concluso l’esame di maturità per gli studenti italiani. D’accordo, da alcuni anni si chiama Esame di Stato, ma la morale è sempre quella: un ciclo di studi e di vita si chiude e se ne apre uno nuovo: per alcuni lavorativo, per altri l’inizio di un nuovo ciclo di studi, più specialistico, universitario.

Quello della scelta dell’università è un problema che attanaglia il cuore e la mente di molti giovani in queste settimane. Per chi non ha la fortuna di avere le idee chiare ed ha già deciso che cosa farà da grande (lavoro permettendo) si aprono sentieri ampi come autostrade che portano in direzioni opposte.

Purtroppo, stante il perdurare della crisi economica che non accenna a concludersi, una scelta di vita a diciotto / diciannove anni è ancora più complicata soprattutto per chi decide di continuare gli studi.

Mi iscrivo oggi a medicina, ma tra dieci anni chi mi dice se ci sarà bisogno di medici oppure i laureati in medicina saranno in soprannumero rispetto ai posti disponibili? Mi iscrivo a ingegneria meccanica, ma tra cinque anni ci sarà un’azienda italiana che avrà bisogno di un nuovo ingegnere da inserire nel proprio organico?

Questo ragionamento, cari maturati del 2014, è sbagliato! Non bisogna pensare al lavoro di domani, perché tanto oggi nessuno è in grado nemmeno di prevedere come andrà l’economia italiana da qui a Natale, figuriamoci immaginare come sarà il mondo del lavoro e delle professioni tra cinque o dieci anni!

Che la vostra scelta universitaria sia una scelta dettata dalla passione per quella materia in particolare che avete scoperto negli anni delle scuole superiori. Sono l’amore e la passione che muovono il mondo, anche quello del lavoro! Se vi siete appassionati alla storia, studiatela senza pensare all’occupazione di domani. Se non troverete lavoro come storico in Italia, lo troverete in un altro Paese del mondo.

Perché questa, cari ragazzi, è l’unica certezza che voi avete mentre pensate al vostro futuro: voi siete una generazione che avrà come confine il mondo intero. Il vostro lavoro futuro, la vostra vita personale potrà svolgersi in Italia come in Europa o in qualsiasi altra parte del mondo.

Questo fatto può essere visto da alcuni come il frutto della crisi che ha investito fortemente la nostra economia e quindi come un aspetto negativo, come un ritorno ai secoli scorsi quando gli italiani erano costretti ad emigrare per trovare un lavoro.

Ma se ci pensiamo bene non è così: gli italiani che emigravano nell’Ottocento erano poveri contadini o figli dei primi operai che volevano tentare la sorte e cercare fortuna nel nuovo mondo. Erano quasi tutti analfabeti e senza istruzione, i lavori che andavano a svolgere nei Paesi stranieri erano inizialmente umili e non certamente prestigiosi.

Voi giovani italiani del 2014, che tra cinque anni deciderete di accettare una proposta di lavoro all’estero, sarete brillanti laureati, parlerete almeno la lingua inglese come l’italiano e andrete a svolgere professioni autorevoli.

Quindi, giovani maturati, impegnatevi nello studio scegliendo una facoltà che gratifichi il vostro desiderio di conoscere la materia che più amate e studiate le lingue straniere, indispensabili per essere cittadini del mondo e vedrete che il futuro, nonostante tutto, vi sorriderà.

In bocca al lupo!

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- Economia

Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA)

La notizia è per gli addetti ai lavori: dal primo di luglio è entrato in vigore anche in Italia Il Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA).

Di cosa stiamo parlando? Il FATCA è una legge statunitense del 2010 rivolta alle istituzioni finanziarie straniere (denominate FFI) e ad altri intermediari finanziari che mira ad evitare l’evasione fiscale da parte di US Person (soggetti giuridici di cittadinanza statunitense) tramite l’utilizzo di conti offshore.

Lo scopo che si pone l’Amministrazione statunitense con il FATCA è molto semplice: individuare e ostacolare l’evasione fiscale offshore da parte dei cittadini statunitensi o dei residenti negli Stati Uniti, richiedendo informazioni in merito a tali persone per aumentare la trasparenza nei confronti dell'Internal Revenue Service (IRS – l’Agenzia delle Entrate USA) e imponendo una ritenuta alla fonte laddove non siano soddisfatti i requisiti in materia di adeguata documentazione e rendicontazione.

In termini generali, le entità straniere come banche, intermediari/operatori di borsa, compagnie di assicurazione, hedge fund, veicoli di cartolarizzazione, società capogruppo, determinati trust e fondi di private equity saranno ritenuti FFI. Tra le entità esonerate da tale legislazione si annoverano le società di capitali quotate, i governi stranieri e le agenzie interamente controllate da organizzazioni o banche centrali straniere.

Di fatto le banche e istituzioni finanziarie italiane, come quelle di tutti gli altri Paesi aderenti al FATCA, dovranno obbligatoriamente mappare e profilare i propri clienti statunitensi e consegnare alla IRS tutta una serie di informazioni di natura patrimoniale e fiscale. Una serie di incombenze burocratiche tutte a favore del fisco USA che se ne servirà in patria per aggiornare il profilo fiscale dei propri contribuenti.

I Paesi che hanno già aderito al Fatca sono: Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Norvegia, Isole Cayman, Irlanda, Costa Rica, Danimarca, Messico, Paesi Bassi, Mauritius, Malta, Jersey, Italia, Isola di Man, Ungheria, Guernsey e Canada. Belgio e Lussemburgo sono in fase di negoziazione.

A questo punto sorge spontanea una domanda: visto che l’Italia ha aderito al progetto statunitense di monitorare il profilo finanziario estero dei propri cittadini, non era possibile chiedere agli USA l’applicazione reciproca di questo accordo? Non si poteva organizzare uno scambio reciproco di informazioni tra le due Agenzie delle Entrate, quella italiana e quella statunitense?

E poi, visto che aderiscono al FATCA diversi Paesi facenti parte dell’Unione europea, non è possibile predisporre a livello europeo una disciplina simile al FATCA statunitense?

In effetti qualcosa si sta muovendo e tra i Paesi aderenti all’OCSE dal 2017 dovrebbe entrare in vigore il Common Reporting Standard (Crs), il nuovo standard multilaterale per lo scambio automatico delle informazioni finanziarie. Vogliamo crederci.

Ma, come spesso accade in Italia, si parla tanto di lotta all’evasione fiscale e si perde l’occasione concreta di compiere un passo avanti in questa direzione. Intanto forniamo gratis al fisco USA i dati dei contribuenti americani con investimenti nel nostro Paese, per conoscere quelli dei nostri concittadini che hanno conti e disponibilità finanziarie negli States aspettiamo fiduciosi una delle riforme del Governo Renzi…

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- Società

La famiglia normale

Il 3 luglio 1993 mi sono sposato a Milano con la mia attuale consorte presso la parrocchia del Sacro Cuore di Gesù alla Cagnola.

Il giorno delle nozze entrambi avevamo in cuore il desiderio, non la pretesa, di formare qualcosa di più di una coppia, di formare una famiglia. E per grazia di Dio, nel giro di alcuni anni, sono nati due figli, ora adolescenti.

Non abbiamo mai effettuato analisi mediche particolari e, una volta in attesa, diagnosi prenatali per conoscere lo stato di salute dei nascituri.

Se non fossero arrivati figli nostri, ci saremmo rivolti a qualche struttura assistenziale per adottare un piccolo orfano. E se i nascituri avessero avuto qualche problema di salute, l'avremmo accettato sic et simpliciter.

Non racconto queste mie vicende personali per motivi particolari. Credo che io e mia moglie siamo due persone come tante, assolutamente normali e siamo circondati da amici che, come noi, hanno effettuato le nostre medesime scelte e condividono il nostro medesimo modo di pensare.

In realtà, raccontare pubblicamente questi pensieri, oggi, ha un significato particolare, perché questa nostra normalità di vita e di pensiero sembra essere diventata originale, a-normale.

Se leggiamo i giornali e le riviste alla moda, se guardiamo la televisione o navighiamo in rete, siamo colpiti da messaggi, pensieri e opinioni che considerano normale e alla moda vivere tutta la vita da single, consumare avventure occasionali con partner diversi, costituire unioni con persone anche del medesimo sesso spacciandole come unioni normali, rappresentanti il modo di oggi di formare una famiglia.

E per queste unioni normali, i maître à penser chiedono a gran voce i medesimi diritti concessi alle altre unioni, ma raramente sento parlare di medesimi doveri che vengono invece richiesti alle famiglie tradizionali.

Posto che il termine famiglia presuppone la presenza all'interno di una coppia di almeno un figlio (e dalla relazione tra due persone del medesimo sesso qualcuno mi deve ancora spiegare come è possibile che nasca un figlio), non credo che i nuovi modelli di vita oggi proposti rappresentino la regola sulla quale una società di esseri umani possa crescere, progredire, prosperare.

Neanche il mondo animale (quello dei mammiferi intendiamoci) vede un approccio simile al vivere quotidiano. Non mi risulta infatti che esistano coppie stabili nel tempo di animali della stessa specie e del medesimo sesso.

Ma certo l'uomo, nella sua grandezza, dotato del suo libero arbitrio, può sicuramente superare gli animali per immaginazione e intelligenza...

Intendiamoci, nessuno ormai, nel 2014, credo che si permetta di condannare la scelta di vita di una persona. Sono finiti i tempi dell'oscurantismo e dell'ignoranza che facevano vedere il diverso da noi come una persona malata o pericolosa, da eliminare.

Tuttavia non è accettabile la mistificazione della realtà. Non è possibile che l'unione stabile, fondata sul reciproco amore e collaborazione, tra due persone del medesimo sesso, venga propagandata come modello e come normalità di vita, come famiglia dei tempi moderni.

Tra l’altro questo tipo di unione non può generare figli e quindi non credo che i partner possano pretendere di adottarne uno per il semplice motivo che la natura stessa di questa particolare unione non permette la nascita di un figlio. E credo che questa mancata possibilità non sia casuale.

Escludendo pertanto il discorso adozioni, penso invece che sia giusto e doveroso, per queste unioni, una volta rese pubbliche per mezzo della loro iscrizione nei registri dello Stato Civile, garantire i medesimi diritti e doveri esistenti per le persone coniugate civilmente che hanno deciso di costituire una coppia che sia in grado di formare in seguito una famiglia, nel senso che sopra abbiamo descritto.

Dobbiamo ripartire da questo semplice buon senso per riuscire a porre un limite al delirio di onnipotenza dell’uomo contemporaneo, che da solo non riesce a distinguere il legittimo desiderio di felicità dalla pretesa della sua realizzazione a tutti i costi.

C’è bisogno di questo buon senso? Osserviamo la realtà intorno a noi e diamoci la risposta.

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- Cultura

Cambio di mentalità

Vito Gulli è un nome che al grande pubblico non dice nulla. Non partecipa ad incontri politici o mondani, non appare settimanalmente nei talk show, non ricopre cariche pubbliche. Ma per chi lo conosce, specialmente in Sardegna, è un nome che dice molto e bene.

Vito Gulli è l’imprenditore che ha acquistato dalla multinazionale Bolton il marchio Palmera rilevando uno stabilimento decotto per l’inscatolamento del tonno ad Olbia e l’ha rilanciato a livello nazionale con il marchio As do mar salvando oltre duecento posti di lavoro in un territorio tra i più difficili dal punto di vista lavorativo qual’ è la Sardegna.

Ebbene ieri sera Vito Gulli, ospite in via eccezionale del programma di Lilli Gruber, Otto e Mezzo, ( http://www.la7.it/otto-e-mezzo/rivedila7/otto-e-mezzo-27-06-2014-133978 ) ha dichiarato che un imprenditore si deve porre l’obiettivo del profitto nel tempo, perché se l’obiettivo è fare profitto subito, quella non è attività imprenditoriale, bensì speculazione. Ed ha continuato affermando che prima l’imprenditore compie l’investimento e poi ne trae benefici per sé e per i propri dipendenti. Perché, ha continuato Gulli, l’imprenditore deve preoccuparsi che il proprio dipendente abbia il denaro per acquistare i prodotti che la propria azienda produce, altrimenti quella persona non è un imprenditore. Molti hanno pensato che delocalizzare la produzione in Paesi con la mano d’opera meno cara permettesse di ottenere profitti più velocemente e aumentare le vendite, ma il risultato è che adesso in Italia le aziende non ci sono più e le persone non hanno più potere d’acquisto anche per quei beni prodotti all’estero con costi più competitivi.

E questo, aggiungiamo noi, ha prodotto un altro risultato: che le aziende rimaste a produrre in Italia hanno puntato sulla contrazione, a loro volta, del salario dei lavoratori italiani per rimanere competitive a livello interno e internazionale, visto che in Italia su altri costi, come energia e tasse, non vi sono molte possibilità di ottenere sconti.

Siamo convinti che Gulli abbia toccato un punto fondamentale che caratterizza i tempi che stiamo vivendo. Non è possibile uscire dalla crisi economica, creare occupazione e quindi crescita se non si riparte da qui. Il semestre europeo a guida italiana che Renzi si appresta a dirigere dovrebbe servire per mettere a tema, a livello delle politiche europee, queste tematiche.

La situazione descritta da Gulli non riguarda solo l’Italia, ma trasversalmente tutte le principali economie europee ed anzi, all’interno dei partner dell’Unione europea, stupisce ancora e colpisce sempre di più il trasferimento della produzione e del lavoro verso Paesi a più basso costo di mano d’opera, che creano situazioni assurde di concorrenza, a nostro avviso sleale, tra i medesimi membri dell’Unione europea.

Senza questo cambio di mentalità, non solo da parte imprenditoriale, tutto quello che Renzi si è impegnato a fare in Italia, nei prossimi mille giorni, rischia di non sortire gli effetti sperati.

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- Fede

La normalità del male

E' la normalità del male che non ci aspettiamo, che ci sconvolge.

Siamo abituati a quello che vediamo in televisione, al male che colpisce civili innocenti morti sotto un bombardamento o ai corpi dei soldati divisi in due da una raffica di mitra.

Siamo assuefatti alle pene e ai tormenti dei parenti delle vittime degli incidenti stradali, delle vittime degli incidenti sul lavoro, delle vittime della criminalità organizzata. Ormai siamo diventati insensibili al male che si sviluppa in queste circostanze.

Eppure sono dolori forti per chi li subisce, che lasciano disegnato sul volto delle persone l’urlo senza voce di Munch. Sono vicende che possono arrivare a spezzare a loro volta altre vite, sicuramente le cambiano per il resto dei loro giorni.

Ma è il male che prende la forma di un padre che sgozza i suoi due bambini di cinque e due anni, addormentati nei loro lettini, dopo aver pugnalato la madre di quei piccoli, la sua sposa, e poi si reca ad un pub e insieme agli amici esulta vedendo la partita di calcio dell'Italia, che ci lascia senza fiato.

E' ancora lo stesso male che prende la forma di un padre di tre ragazzi che un giorno di quattro anni fa tenta di violentare e poi lascia in fin di vita, in un campo abbandonato, una ragazzina della stessa età dei suoi figli e dopo, ogni giorno che passa da quel bestiale episodio, si comporta come se nulla fosse successo, come se il mostro non fosse mai esistito. La ragazzina muore per le sevizie e lo shock subito e lui, il padre di famiglia, come se nulla fosse successo, ogni Natale confeziona sotto l'albero i regali per i suoi cari.

Non siamo abituati a questo tipo di male, ci sembra impossibile che il mostro esista così vicino a noi. In televisione, al cinema, nei romanzi va bene, lo accettiamo, lo cerchiamo anche, ma non vicino a noi, non dentro di noi.

Eppure questa malattia esiste in ogni uomo. Chi crede ha una spiegazione a tutto ciò: la malattia è il peccato originale, la grande presunzione dell'uomo di essere capace di soddisfare se stesso senza dover dipendere da altri, da un Altro.

E' il super ego che porta ad uccidere una moglie e due figli perché ci si è invaghiti di un'altra donna e si decide di cambiare vita. I demoni che agitano il nostro io stuzzicano il desiderio e lo portano a volere qualsiasi cosa passi nella mente. Non ci sono più limiti al desiderio, non ci sono più barriere alla malattia.

L'episodio di Motta Visconti ci fa tornare alla memoria una vicenda di 69 anni fa, altrettanto drammatica, altrettanto legata al demone del super ego. In un bunker ormai distrutto nel centro di Berlino, una giovane mamma ariana, per non veder crescere i suoi quattro figli in un mondo senza Fuhrer, in un mondo senza Dio, li accarezza per l’ultima volta e li avvelena prima di togliersi la vita insieme al marito.

Da solo l'uomo non riesce a sconfiggere questi demoni, ha bisogno del soccorso di un Altro, di ricevere uno sguardo nuovo, lo sguardo di un Dio creatore e rigeneratore che, ripartendo dal male originale, lo ricopra con la Sua Grazia e lo trasformi in amore universale. Pensiamo a San Francesco e capiremo questo cammino di Fede.

Solo se riceve questo sguardo l'uomo, qualsiasi uomo, può guardare il suo male e ripartire da esso, vincitore e non vittima. Come diceva il grande poeta Paul Claudel: “Quando l’uomo prova ad immaginare il Paradiso in terra, il risultato è un molto rispettabile Inferno”.

E credo che la realtà di oggi ce lo stia ampiamente testimoniando…

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- Politica

La tentazione renziana

L'abbiamo scritto all'indomani delle elezioni europee e del primo turno delle amministrative: il PD deve resistere alla tentazione di strafare, di stravincere. E' vero che ha ricevuto un ampio mandato popolare nell’ultimo turno elettorale; molto, anzi moltissimo, lo deve al nuovo corso rappresentato da Matteo Renzi, ma è anche vero che questa ampia maggioranza non dovrà trasformarsi in arroganti diktat della nuova classe dirigente.

L'Italia forse, finalmente, si trova alla vigilia di un importante periodo di cambiamenti. Le nuove regole che si stanno scrivendo e che riguarderanno l'Italia dei nostri figli, dovranno essere poste in essere senza indugio e celermente, ma con la più ampia condivisione possibile. Il che non vuol dire che le riforme debbano rimanere bloccate per un interesse particolare o di poco valore, ma non si può nemmeno accettare di eliminare ogni minima voce che differisca dal coro.

Purtroppo, a distanza di 24 ore, abbiamo assistito all'epurazione in perfetto stile vecchio PCI, di due voci che tentavano di separarsi dalla maggioranza dei riformisti renziani. Ci riferiamo, come noto, alle sostituzioni dell'onorevole Mauro e dell'onorevole Mineo dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato.

Non è così che funzionano le regole democratiche e non è così che Renzi riuscirà nel suo intento di cambiare l'Italia, cosa peraltro che tutti si attendono e che tutti si aspettano dal volto nuovo della politica italiana.

Ormai sono passati i fatidici cento giorni dalla sua elezione a premier e Renzi sa bene che gli annunci televisivi e le diapositive proiettate sullo schermo non bastano più per soddisfare l'appetito degli italiani, adesso occorrono provvedimenti legislativi approvati dai due rami del Parlamento e subito esecutivi.

La riforma della legge elettorale, quella del titolo V, la riforma della giustizia, quella del lavoro, la riforma della pubblica amministrazione, la spending review, la riforma della normativa anticorruzione: tutti temi di cui si fa un gran parlare, ma nulla più. Adesso è ora di passare ai fatti, anche perché per i prossimi sei mesi il nostro Governo avrà la grande opportunità di guidare il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell'Unione Europea.

Se Renzi, in questi sei mesi, riuscirà a catalizzare le forze politiche italiane che seriamente desiderano il cambiamento, potrà beneficiare di questa iper visibilità per portare a casa buoni risultati. Ma dovrà riuscire a convincere, senza imporre le sue idee ai potenziali alleati e alla fronda interna al PD, sempre viva e vegeta, come dimostra il recente voto parlamentare sulla responsabilità civile dei magistrati, altrimenti perderà per strada tutti i compagni e si ritroverà solo.

Senza alcuna riforma portata a casa nel giro dei prossimi sei mesi, Renzi è destinato ad essere fagocitato nel magma della politica italiana, fatta di promesse non mantenute e quindi a diventare un ex leader, uno dei tanti.

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- Libri

Mala Tempora

Da poche settimane è uscito il nuovo romanzo di Fabrizio Carcano, il giornalista scrittore da alcuni soprannominato il Dan Brown milanese, dal titolo “Mala Tempora”.

Ritroviamo subito i personaggi che abbiamo imparato ad amare nei due precedenti romanzi, Gli angeli di Lucifero e La tela dell’Eretico, il capo della Squadra Omicidi Bruno Ardigò e il giornalista, amico – rivale, Federico Malerba impegnati in una serie di delitti di giovani donne nella torrida estate milanese del 2013.

Nel romanzo sono presenti i temi cari all'autore che ce lo hanno fatto conoscere come il maestro del romanzo giallo a sfondo storico – esoterico. Caratteristica del Carcano è quella infatti di riuscire a creare un legame emotivamente forte tra le indagini su omicidi dei nostri tempi che rimandano, per qualche ragione che via via si palesa nel corso della lettura, ad altri delitti compiuti a Milano da personaggi vissuti in secoli precedenti. Il tutto avvolto da un alone di misteri e riti segreti che rendono ancora più intrigante la trama e la lettura.

Non riveleremo certo qui il finale della storia che, per inciso, si svelerà al lettore, come in ogni buon giallo, solo nelle ultime pagine, ma possiamo aggiungere un’ultima annotazione prima di lasciarvi alla lettura: l’amore dell’autore, vero e intenso che traspare in ogni pagina del libro, verso Milano, quella di oggi e quella di ieri.

La città è raccontata nei suoi angoli più conosciuti e nelle sue viuzze meno note. L'autore la rende più amabile di quello che appare agli stessi milanesi, come il sottoscritto, abituati ad usarla ogni mattina, a scivolarle accanto, a sfiorarla ma non ad osservarla con attenzione come meriterebbe nella realtà.

Nella recensione de La Tela dell’Eretico suggerivamo al Sindaco Pisapia la nomination di Carcano all’Ambrogino d’Oro. Ci pare di non essere stati ascoltati, ma noi ci riproviamo nuovamente, dopo aver letto questo nuovo intrigante romanzo giallo milanese!

Buona lettura a tutti in attesa della nuova avventura del duo Ardigò – Malerba.

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- Società

Qualcuno si ricorda della Questione Morale?

Nei primi anni '80 irrompeva sulla scena politica italiana il tema della c.d. "questione morale". Fu il segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, il 28 luglio 1981 a parlare di questione morale nella storica intervista a Repubblica.

Eccone alcuni stralci: "...I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti".

E ancora: "La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano..."

A parlare, ricordiamolo, era colui che da mezza Italia di allora veniva visto come il diavolo che mangia i bambini… Ma nell’Italia di oggi c’è qualche uomo politico che dice ancora queste cose?

Dopo questa denuncia che, ammettiamolo almeno ora, non chiamava però in causa tutti i partiti allo stesso modo, gli italiani hanno assistito a tangentopoli, alla fine della prima repubblica, all'arrivo della seconda repubblica, all'epoca di Berlusconi, Prodi e D'Alema e poi ancora agli scandali finanziari, italiani e internazionali. Ora siamo forse arrivati alla fine della seconda repubblica e siamo all’inizio di una nuova era, liquida, reticolare, multiforme e agnostica, nella quale sembrerebbe che i partiti tradizionali non esistano più e che gli elettori esprimano, in base a circostanze differenti, risposte puramente emotive.

Risultato? L'occupazione della società da parte dei partiti? Completata. Quello che Berlinguer denunciava 33 anni fa come un sinistro presagio si è realizzato. Ormai nessun anfratto della nostra società è immune dall'influenza dei partiti. Partiti non da intendersi solamente con riferimento alle forze politiche. Partiti nel senso di parti, sodali riuniti da interessi comuni, professionisti che si sostengono a vicenda, classi sociali privilegiate che difendono ad ogni costo i loro privilegi.

Quindici anni dopo l'intervista di Berlinguer, un altro personaggio pubblico italiano, non politico, ma religioso, Don Luigi Giussani, rispondendo ad un giornalista de "La Stampa" che lo interrogava su Mani Pulite diceva: "…la situazione è grave per lo smarrimento totale di un punto di riferimento naturale oggettivo per la coscienza del popolo, per cui il popolo stesso venga spinto a ricercare le cause reali del malessere e a salvarsi così dagli idoli. Questo smarrimento comporta una inevitabile, se non progettata, distruzione dello stato di benessere, che risulta così totalmente minato nella tranquillità del suo farsi. Perché riprendere, bisogna pur riprendere!".

In realtà si è continuato ad occupare sempre di più gli spazi della società civile incuranti del bene comune che è rimasto una frase di circostanza sulla bocca di uomini politici e delle istituzioni.

Le cronache di questi giorni purtroppo sono la prova che la situazione italiana è arrivata al limite. Quando gli indagati per reati penalmente gravi sono banchieri e magistrati, ex Ministri della Repubblica, medici e avvocati, imprenditori e ingegneri e non solo capi di famiglie camorristiche e mafiose, significa che le parole di un politico, considerato da molti un povero diavolo e quelle di un uomo Servo di Dio, che ha cercato di cambiare il modo di vivere la Chiesa e quindi di vivere la realtà e la politica, erano profetiche.

Sta ai politici di oggi, visto che quelli di ieri non ci sono riusciti, trovare il modo per lasciare più spazio alla società e far fare un passo indietro alla politica, allo Stato. Solo così si potrà iniziare a risolvere la questione morale.

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- Politica

Il Buono, il Brutto e il Cattivo

Il Buono ha vinto la sua sfida, al di là di ogni più rosea previsione. Il Brutto ha perso, forse, l'occasione della vita ed ora trovare una via d'uscita per il suo movimento appare difficile. Il Cattivo è stato messo nell'angolo e la soluzione per ritornare al centro dell'attenzione ci sarebbe, ma...

 

Riflessioni italiane.

 

Certamente gli elettori hanno votato più Matteo Renzi che il suo partito, più la sua "pacata" determinazione, che la rivoluzionaria dialettica del Capo Popolo genovese. Il PD di oggi non è il partito del 40% degli italiani. Se fossero state elezioni politiche interne, il risultato sarebbe stato più vicino a quello degli exit poll che infatti quotavano il PD intorno al 30%. Cosa significa? Significa che il 10% degli intervistati all'uscita dal seggio non ha dichiarato che aveva dato il voto al PD. Come mai? Vergogna della “prima volta”?

 

Questo non toglie che ora Renzi abbia una responsabilità enorme: sulle riforme che devono procedere spedite, ma senza imposizioni “totalitarie” e sulla ricerca di soluzioni per l'emergenza principale del Paese, il lavoro che manca, soprattutto per i giovani.

 

Per i cinque stelle, forse ora quattro stelle, la lezione è stata tosta, non se l'aspettavano. Il Guru non ha pronosticato in modo corretto l’evento. Intendiamoci, in valore assoluto non è un risultato da disprezzare: i grillini sono il secondo movimento in Italia, ma in termini relativi sono stati doppiati dal primo partito. Forse è giunto il momento per i penta stellati di provare a liberarsi del Grillo parlante, a tagliare il cordone ombelicale.

 

Ormai sono una forza consolidata, ma questo patrimonio di voti non può rimanere isolato e improduttivo, per il bene del Paese. Se Grillo capirà questo, allora farà fare un passo in avanti al movimento e al Paese, in caso contrario molto probabilmente la sua leadership sarà destinata al declino.

 

Il Cavaliere, azzoppato dalle note vicende, non è stato però disarcionato, ma dovrà prendere atto che una stagione è arrivata al capolinea, la sua. Come reagire? La soluzione potrebbe essere "alla francese", visto il fascino che Marine (Le Pen) ha saputo trasmettere all'elettorato del partito creato dal padre. La "nostra" Marina sarà capace di negarsi al papà ancora una volta?

 

Riflessioni europee.

 

L'Italia insieme alla Germania (e a pochi altri) è stato il Paese dove hanno vinto le forze a favore dell'Unione. In altri Paesi, anche importanti, come Francia, Inghilterra e Spagna, le forze politiche anti euro hanno avuto risultati molto significativi, più che nel nostro Paese.

 

Questo fatto dovrebbe far riflettere i due principali gruppi del Parlamento europeo (i popolari e i socialisti). La legislatura che prenderà il via a breve, o sarà capace di farsi costituente di un nuovo modo di concepire l’Unione o rischierà di essere l'ultima del Parlamento europeo.

 

L’ottimismo però non manca: alla fine gli elettori europei si sono recati alle urne, meno che nella passata votazione del 2009, ma non si è verificato il forte astensionismo temuto. E questa è una punta di speranza che ci lascia fiduciosi per il futuro…

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- Politica

Di cosa stiamo parlando?

Di cosa stiamo parlando?

Ormai mancano pochi giorni alla tornata elettorale (in Italia elezioni europee più rinnovo di circa 4.000 comuni e 2 consigli regionali) e tutti i leader politici sono in cerca della più ampia visibilità. Risultato: superamento di ogni logica e buon senso nella comunicazione e dichiarazioni che promettono di tutto e di più: aumento di pensioni, aumento di buste paga, reddito di cittadinanza, reddito a cani e gatti e via così. Le coperture: dal recupero dell’evasione ai fondi europei non spesi e perché non dall'aumento dei gelati o del chinotto ci domandiamo… in fondo chi non si beve un chinotto adesso che viene la bella stagione? Povera Italia in attesa di un Expo che latita (ma non in Libano, a Rho, vicino a Milano) e poveri italiani in attesa di un lavoro che invece all'estero ci finisce veramente.

E mentre la giostra continua a girare sempre più lentamente, ma senza accennare a fermarsi, fuori dal luna park cosa succede?

Notizia di oggi: nel primo trimestre del 2014 il prodotto interno lordo (PIL) è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dello 0,5% nei confronti del primo trimestre del 2013.
Nello stesso periodo il PIL è aumentato dello 0,8% in Germania ed è rimasto stabile in Francia.

Notizia di ieri: la Banca d’Italia ha certificato che il debito pubblico, nel mese di marzo 2014, è salito a 2.120 miliardi di euro (nuovo record). Dalla correlazione di queste due notizie possiamo dedurre che il rapporto debito/PIL, nel primo trimestre 2014 sia vicino al 136%, in aumento di oltre 3 punti percentuali rispetto ai valori registrati lo scorso 31 dicembre 2013. La prima riflessione che ne consegue è che le previsioni contenute nel DEF 2014, sono già superate e irrealizzabili (e siamo al mese di maggio, per arrivare a dicembre mancano ancora 7 mesi).

E i nostri cari leader politici, alle prese con i primi caldi primaverili, di cosa ci stanno parlando in questi giorni? Che è meglio votare per chi vuole veramente le riforme, no per chi vuole le riforme, ma quelle giuste, no no, per chi vuole il ritorno alla lira, al franco, alla dracma… senza accorgersi che le riforme, il Paese, le sta portando avanti da solo, ma nella direzione opposta.

Manca solo il deciso rialzo dello spread (oggi ha lanciato qualche segnale) e poi il triangolo malefico è pronto: diminuzione del PIL e aumento del debito e dello spread e il Governo Renzi è servito. Complotto anche questa volta? Propenderei di più per un casalingo malgoverno e malcostume italiano.

Arrivati a questo punto, visto che appare impossibile fermare con azioni ordinarie la salita del debito pubblico, aumentano esponenzialmente le possibilità che si scelgano per forza maggiore soluzioni straordinarie per ottenere la riduzione del debito, come imposte patrimoniali una tantum o misure con analogo effetto. E sarebbe meglio iniziare a pensarci da soli, perché se ci arrivasse prima il Fondo monetario, le soluzioni che ci verrebbero proposte sarebbero sicuramente più drastiche…

Vogliamo incominciare a parlarne oppure iniziamo a pensare alla formazione dell'Italia che scenderà in campo ai prossimi mondiali di calcio brasiliani? In effetti, almeno nel gioco del calcio, siamo stati 4 volte Campioni del Mondo e nel medagliere siamo davanti alla Germania... pensate come rosicano i tedeschi...

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- Politica

Elezioni europee del 25 maggio (7 fine)

Giunti al termine del "cammino europeo" che abbiamo percorso insieme, proviamo ad esporre alcune riflessioni conclusive.

Prima considerazione: le elezioni del 25 maggio costituiscono un appuntamento importante, da non perdere se vogliamo modificare l'attuale stagnazione politica che l'Unione sta attraversando.
Quindi, è necessario recarsi alle urne e votare: solo così manderemo ai politici il giusto segnale, vale a dire che i cittadini europei desiderano più Europa e non meno Europa. Se vincesse l'astensionismo, vincerebbe lo status quo e in ultima analisi vincerebbero i paladini di questa Europa, fondata solo sull'economia e sulla finanza e non sulla persona e sul lavoro.

Secondo: è proprio dal binomio "persona lavoro" che dobbiamo ripartire per portare avanti la costruzione dell'Unione europea. Il desiderio più profondo dell'uomo, quella sete di verità e giustizia che lo contraddistingue, deve trovare la giusta possibilità di realizzazione in ambito europeo. Se non serve a questo, a cosa serve l'Europa unita? A far circolare le merci più velocemente perché sono stati aboliti i controlli alle frontiere? A pagare con la stessa moneta una brioches a Roma e a Berlino? Un po’ pochino, non vi pare? Noi all'Europa chiediamo di più.

Terzo: ci permettiamo di suggerire ai nuovi parlamentari europei che forse, per ripartire, l’Europa ha bisogno di un nuovo patto, un accordo nel quale vengono declinati i principi costitutivi e irrinunciabili sui quali si vuole fondare l’Unione dei prossimi decenni. Una Carta costituzionale insomma, come quella che era stata approvata e sottoscritta a Roma il 29 ottobre 2004 dai 25 Capi di Stato e di Governo dell’epoca.

Purtroppo quella scelta, a nostro giudizio fondamentale per il futuro dell’Unione, non ebbe il seguito che meritava e fu accantonata negli anni successivi dalla mancata ratifica da parte di alcuni Stati. In particolare la bocciatura tramite referendum popolare di Francia e Paesi Bassi affossò definitivamente l’idea di avere una Costituzione europea. Quello fu un grave errore di cui adesso stiamo pagando le conseguenze.

La nostra intenzione, con questa serie di articoli, è stata quella di aiutare a comprendere meglio la posta in gioco in queste elezioni europee. Soprattutto, con uno sguardo alle nuove generazioni, che forse danno per scontato che l'Unione europea esista oggi ed esisterà anche domani. Ma non è così. Senza un impegno costante nelle Istituzioni politiche, l'Europa resterà in mano ai burocrati, ai professionisti dell'amministrazione ed ai finanzieri che ne controllano le scelte economiche, ma non diventerà quell'Europa dei popoli che avevano in mente i Padri fondatori.

Perciò il nostro impegno nei confronti dell'Europa, in questi ultimi giorni prima del voto, sarà quello di informarci sulle posizioni che le forze politiche italiane porteranno nel nuovo Parlamento. Che idea di Unione hanno in mente, a quali Gruppi parlamentari europei fanno riferimento e quali iniziative propongono per uscire dallo stallo attuale. In attesa che l’Unione organizzi delle tribune elettorali europee, dove i gruppi presenti al Parlamento europeo possano condividere con gli elettori i loro programmi, una buona fonte d’informazione si rivela il sito internet ufficiale del Parlamento europeo:

http://www.europarl.europa.eu/portal/it

Vi si possono trovare tutte le indicazioni riguardanti le funzioni e i compiti dell’Istituzione e i riferimenti ai siti internet dei gruppi politici presenti. Sarà così possibile conoscere nei dettagli i programmi politici dei singoli movimenti e trovare la forza politica con la quale siamo più in sintonia.

Nel 1978 Vaclav Havel scrive ne "Il potere dei senza potere": “Oggi più che mai, la nascita di un modello economico e politico migliore deve prendere le mosse da un più profondo cambiamento esistenziale e morale della società: non è qualcosa che basta concepire e lanciare come il modello di una nuova automobile; se non si tratta solo di una nuova variante del vecchio marasma, è qualcosa che si può configurare solo come espressione di una vita che cambia. Non è detto quindi che con l’introduzione di un sistema migliore sia garantita automaticamente una vita migliore, al contrario solo con una vita migliore si può costruire anche un sistema migliore”.

E noi che Europa vogliamo?

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- Politica

Elezioni europee del 25 maggio (6 continua)

Giunti quasi al termine del nostro “percorso europeo”, vogliamo ricordare cosa ha spinto i Padri fondatori a pensare, immaginare e realizzare un’Europa di popoli che affrontassero insieme il futuro.

Che cosa permise ad un italiano (De Gasperi), un francese (Schuman) e un tedesco (Adenauer) dopo la tragedia della Seconda Guerra mondiale, di sedersi attorno ad un tavolo a parlare di unità e pace tra i loro popoli che si erano combattuti fino allo stremo sino al giorno prima?

La risposta è nella consapevolezza, acquisita con l’immenso spargimento di sangue di milioni di persone, militari e civili, dell’impossibilità di eliminare l’avversario. Da questa coscienza si incominciò a comprendere il valore della persona nella sua unicità e il valore del lavoro come strumento per realizzare compiutamente la vita umana.

Persona e lavoro: dall’aver posto al centro dell’idea di unione europea questi concetti, si generò come conseguenza un periodo carico di attese che permise in tempi assolutamente rapidi la rinascita sociale ed economica dell’Europa devastata dalla guerra. Dunque, per l’avvio del progetto europeo, lo slancio ideale dei nostri nonni e dei nostri padri è stato decisivo. Ma a differenza di oggi, lo scopo di partenza non rimase confinato alle questioni economiche. I nostri avi si mossero per un ideale più grande. Il crollo del muro di Berlino nel 1989 è, se vogliamo, il frutto conclusivo di questo primo periodo della storia dell’Unione.

Successivamente, con il passare degli anni e il passaggio delle generazioni, lo slancio ideale delle origini si è perso. Il mezzo (l’economia, la finanza, il profitto) è diventato lo scopo e l’Unione si è via via trasformata in un luogo dove si stringono compromessi tra gli interessi inevitabilmente contrapposti dei singoli Stati. Non ci si combatte più con i cannoni e con le bombe, ma con le armi dell’economia e della finanza.

Questa perdita di tensione ideale si è avvertita anche all’interno delle Istituzioni europee che si sono ingigantite a dismisura diventando esse stesse abnormi macchine burocratiche che rallentano il processo di unificazione anziché favorirlo. E soprattutto allontanano dalla gente l’idea che l’Unione europea serva e favorisca il benessere dei popoli e non rappresenti solamente un livello superiore di burocrati da mantenere.

Occorre un risveglio delle nuove generazioni e un ritorno verso gli ideali che sono stati alla base della nascita dell’Unione europea. L’Europa non è costituita una volta per tutte. Le nuove generazioni non si devono sentire escluse dal lavoro di edificazione dell’Europa di domani, anzi in questa fase sono proprio i giovani che possono dare nuovo impulso e far compiere un passo in avanti verso una nuova Unione. Occorre uscire dall’illusione che le risposte arrivino sempre dall’alto. Non è così. Una nuova generazione è ora chiamata ad impegnarsi in Europa. Una generazione che è la prima generazione veramente europea, nata in Paesi che vivono in pace da più di sessant’anni (cosa mai accaduta nella storia europea se ci pensiamo) e che in questi decenni ha raggiunto livelli di benessere economico e sociale inimmaginabili alla fine della Seconda Guerra mondiale.

Perché questo avvenga, bisogna mettere di nuovo al centro del progetto europeo la persona e il lavoro. Le persone in particolare devono riprendere consapevolezza della propria dignità, del proprio compito. In una parola, bisogna rimettere al centro l’educazione. Non bastano le norme e le leggi, occorre trasmettere ai giovani esperienze educative vere che mettano in movimento la libertà e la responsabilità personale nei confronti della vita. Da giovani educati alla verità e alla conoscenza della realtà potrà ripartire l’Europa di domani. E’ questa la sfida che ci aspetta, il rischio educativo di oggi per costruire un’Europa diversa domani.

Se ciò avverrà, allora l’Europa unita continuerà il suo cammino e potrà assicurare pace e prosperità ai popoli che l'abitano. In caso contrario, al momento credo che nessuno possa immaginare un finale degno di essere ricordato nei libri di storia.

Nel prossimo articolo proveremo a tirare le fila del percorso sin qui compiuto.

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- Politica

Elezioni europee del 25 maggio (5 continua)

Se tanto malcontento nei confronti dell’Unione europea è diffuso tra la popolazione di tutti i Paesi che la compongono, dalla Svezia alla Grecia, dalla Germania alla Spagna, probabilmente qualcosa che non ha funzionato esiste veramente e va cambiato.

Certo, magari quello che dell’Unione non piace ad un tedesco non è la medesima cosa che non piace ad un greco, ma il punto è proprio questo: giungere ad una sintesi che possa contemperare e sostenere interessi comuni. Ma quali sono gli interessi comuni che vogliamo tutelare e difendere attraverso l’Unione europea?

Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, prevede quali siano le competenze esclusive dell’Unione europea:

- unione doganale

- definizione delle regole di concorrenza (regolazione dei mercati)

- politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro

- conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca

- politica commerciale con gli Stati Internazionali.

L'Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali nelle materie oggetto di una sua competenza legislativa esclusiva, oltre che negli accordi che richiedono che venga applicato il Principio della Sussidiarietà e in quelli di Associazione.

In tutti gli altri campi e settori della vita di ogni giorno, l’Unione europea possiede competenze concorrenti, di coordinamento o di sostegno agli Stati membri i quali mantengono pertanto un potere sussidiario o monopolistico di legiferare.

Appare dunque subito chiaro un punto: l’attuale Unione basa di fatto le sue competenze esclusive sul controllo dei mercati e della finanza (moneta unica Euro). Questa è ad oggi la situazione: in tutti gli altri campi di attività, la concorrenza con la politica (e gli interessi) dei singoli Stati impedisce concretamente all’Unione di agire come fattore unificante appunto di un superiore interesse europeo.

Ecco un punto di debolezza del sistema sin qui ideato: non è possibile creare una moneta che rappresenti un insieme di Paesi se prima non si è proceduto ad una vera unificazione dei singoli Stati membri. Altrimenti quello che ne esce è una forma giuridica di Unione federale ibrida, destinata al fallimento.

La politica estera, di difesa del territorio, la politica energetica, la politica del lavoro, la politica industriale, la politica sociale e previdenziale, quella sanitaria: tutti questi settori che concorrono a formare un sistema Paese, non possono essere lasciati nelle mani dei singoli Stati se si vuole costruire un’Unione europea che abbia senso come Unione federale di Stati. L’Unione di oggi non è il modello che serve per governare 28 Paesi. Il modello organizzativo a cui guardare, peraltro l’unico che offra certe garanzie di funzionamento nel mondo in questo momento, è quello offerto dagli Stati Uniti d’America. In quella organizzazione federale le competenze che spettano allo Stato Federale e quelle demandate ai singoli Stati membri sono chiare e ben specificate.

Del resto che le cose così come sono non vadano bene, lo si è visto in questi anni di crisi. Con il solo controllo della politica monetaria esercitato tramite la BCE, peraltro con poteri limitati, non si è ancora riusciti a portare l’Unione fuori dal tunnel della mancata crescita economica e dell’aumento della disoccupazione. Mentre è notizia di queste ore che gli Stati Uniti sono tornati al livello di disoccupazione (6% circa) che avevano nel 2008, all’inizio della crisi. In Europa siamo oltre l’11%.

Abbiamo bisogno di politiche industriali e regole del lavoro comuni che spingano tutta insieme l’Unione a reagire a questa situazione, altrimenti essa stessa si rivelerà una zavorra alla crescita, non un soggetto propulsivo. Non è ammissibile per esempio che all'interno dell’Unione si chiudano fabbriche in Italia per spostarle in Polonia o viceversa a causa del minor costo dell’energia o del lavoro. Un imprenditore della UE può decidere di fare impresa dove vuole, questo è chiaro, ma la scelta non deve dipendere da variabili che devono avere analogo valore per tutti gli Stati membri. Altra cosa è poi decidere di sostenere alcune regioni dell’Unione particolarmente arretrate dal punto di vista economico o sociale. Ma i fattori comuni per fare impresa devono essere uguali per tutti, dalla Svezia alla Grecia.

Questo è il lavoro che il nuovo Parlamento che andremo ad eleggere il 25 maggio dovrebbe portare avanti insieme ad una Commissione europea che abbia la volontà politica di far fare all’Unione un passo in avanti. Altrimenti è meglio fermarsi a riflettere se le ragioni che ci hanno portato sino a questo punto siano ancora delle buone ragioni.

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- Politica

Elezioni europee del 25 maggio (4 continua)

Il nuovo Parlamento europeo avrà tra i suoi primi compiti quello di eleggere il Presidente della Commissione europea, cioè il Capo dell’esecutivo europeo, sulla base di una proposta del Consiglio europeo, tenuto conto del risultato politico del voto del 25 maggio.

Abbiamo già analizzato quali sono i principali gruppi politici presenti nel Parlamento europeo. Alcuni di questi gruppi hanno formalizzato il proprio candidato alla guida della Commissione, nel caso risultassero vincitori delle elezioni.

Ecco i nomi dei politici europei che sono stati candidati per la guida dell’esecutivo europeo:

• per il PPE, Jean-Claude Juncker nato in Lussemburgo il 9 dicembre 1954

• per il PSE, Martin Schulz, nato in Germania (all’epoca Germania Ovest) il 20 dicembre 1955

• per ALDE, Guy Verhofstadt, nato in Belgio l’11 aprile 1953

• per i Verdi, Ska Keller, nata in Germania (all’epoca Germania Est) il 22 novembre 1981

• per SE, Alexis Tsipras, nato in Grecia il 28 luglio 1974


Altri gruppi non hanno formalizzato un proprio candidato e molto probabilmente si limiteranno a sostenere uno dei cinque prescelti.

Ciascun candidato alla Presidenza della Commissione europea ha, come logico, una propria idea di Europa e una propria concezione ideologica e politica che lo porterà a compiere determinate scelte.

E’ importante in queste elezioni cercare di capire quale idea di Europa hanno in mente i candidati e verificare se corrisponde a quello che noi pensiamo e desideriamo per il nostro futuro europeo. La sensazione che si respira, non solo in Italia, ma in tutti i Paesi europei, è che queste elezioni stiano interessando poco la gente.

Sarebbe un errore invece disinteressarsi a questa partita perché, volenti o no, il futuro prossimo dell’Italia dipenderà anche in buona parte da quello che si deciderà in Europa nei prossimi anni. E un ruolo fondamentale verrà giocato dal Parlamento che noi concorreremo ad eleggere. Se non faremo sentire la nostra voce il 25 maggio, saremo tagliati fuori domani dalle partite che ci interesseranno e non potremo che prendercela con noi stessi.

Ormai sempre più aspetti della vita sociale, economica, finanziaria, fiscale sono sottoposti alla normativa comunitaria, a discapito della legislazione nazionale. E’ una limitazione della sovranità nazionale in funzione dell’appartenenza ad un’Organizzazione sovranazionale (l’Unione europea) che “promette” di ripagare la perdita con un vantaggio superiore.

E’ pur vero che in questi ultimi cinque anni, da quando la crisi economica si è fatta maggiormente sentire, certamente non tutto ha funzionato a dovere in Europa. Cosa non ha funzionato, proveremo ad analizzarlo nel prossimo articolo.

Una cosa però vogliamo qui ricordare, pro Europa. Nel 2012 il Comitato per il Nobel norvegese ha assegnato il Nobel per la Pace all’Unione Europea con la motivazione che "per oltre sei decenni ha contribuito all'avanzamento della pace e della riconciliazione della democrazia e dei diritti umani in Europa".

Può sembrare un riconoscimento simbolico, ma non lo è. La Pace ha un riscontro molto concreto e non la si ottiene con facilità, senza impegno e sacrifici.

La storia del mondo, dalla fine della Seconda Guerra mondiale ai giorni nostri è un susseguirsi continuo di guerre tra popoli e nazioni, di ogni continente, tranne che tra gli Stati dell’Unione europea. E non è un caso.

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- Politica

Elezioni europee del 25 maggio (3 continua)

Tra meno di un mese, il 25 maggio, saremo chiamati ad eleggere il nuovo Parlamento europeo. In Italia l’appuntamento elettorale quel giorno sarà duplice, politico e amministrativo, in quanto si eleggeranno anche i consigli comunali di oltre 4.000 comuni e i consigli regionali del Piemonte e dell’Abruzzo.

Non dobbiamo perciò cadere nell’errore di considerare sullo stesso piano le due consultazioni, quella politica per il Parlamento europeo e quella amministrativa. Si può benissimo votare per una forza politica alle europee e per un’altra lista alle amministrative.

I leader politici italiani tendono, volontariamente o inconsapevolmente, a “nazionalizzare” lo scontro elettorale e portarlo su un terreno più semplice e schematico in modo che risaltino le caratteristiche della propria ideologia politica ritenuta, a torto o a ragione, vincente sull’elettorato. Ma in queste elezioni europee i temi caldi sul tappeto sono molti e a nostro parere non esistono risposte valide a priori. Deve esserci invece da parte delle forze politiche, di tutte quelle che saranno rappresentate al Parlamento europeo, l’apertura intellettuale a ricercare nuove soluzioni e nuove ricette per far uscire l’Europa dalla crisi economica e dalla crisi d’identità che da troppi anni ne stanno bloccando lo sviluppo.

Ma procediamo con ordine. Sulla carta, i principali partiti e movimenti italiani si collocano nel seguente modo rispetto allo scenario presente nel Parlamento europeo:

• Forza Italia è inserita nel gruppo PPE (Partito popolare europeo)

• Partito Democratico è inserito nel gruppo S&D (Alleanza Progressisti e Socialisti)

• Movimento Cinque Stelle non si è mai presentato in Europa prima d’ora

• Nuovo Centro Destra è inserito nel gruppo PPE

• Lega Nord è inserita nel gruppo ELD (Europa della Libertà e della Democrazia)

• Fratelli d’Italia si presenta per la prima volta alle elezioni europee

• Scelta Europea (in Italia il partito di riferimento è Scelta Civica) si inserisce nel gruppo ALDE (Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa)

• Verdi si inseriscono nel gruppo VERDI/ALE

• Italia dei Valori si inserisce nel gruppo ALDE

• L’altra Europa con Tsipras (in Italia il partito di riferimento è SEL) si inserisce nel gruppo GUE/NGL (Sinistra Unitaria Europea).

Come si può subito notare, votare per esempio per Forza Italia o Nuovo Centro Destra alle prossime elezioni europee significa di fatto dare lo stesso voto al Partito Popolare Europeo, così come votare per Italia dei Valori o per Scelta Europea significa sostenere il medesimo gruppo ALDE al Parlamento europeo.

Tuttavia, ben sappiamo come il voto dato a Forza Italia di Berlusconi o in alternativa al NCD di Alfano abbia dal punto di vista della politica nazionale un diverso significato. NCD sostiene l’attuale esecutivo Renzi, mentre Forza Italia è all’opposizione.

A nostro parere l’elettore dovrà sì tenere anche conto del valore politico “interno” che avrà il voto europeo, ma senza perdere di vista il più ampio respiro di queste elezioni. Quello che si andrà ad eleggere il 25 maggio sarà un Parlamento che, con i limiti e i poteri attuali che caratterizzano l’Istituzione, dovrà affrontare e gestire una situazione di grave crisi ed incertezza riguardo il futuro dell’Europa.

E’ chiaro ormai a tutti gli europei che così come si è proceduto sino ad ora (solo puntando sul rigore dei conti e sul taglio fine a se stesso delle spese, senza puntare realmente alla crescita e allo sviluppo) le situazioni di crisi non si risolvono. Le regole esistenti vanno modificate. Come? Questo è il punto.

Riteniamo che soluzioni già pronte non esistano. Spetterà all'intelligenza e al buon senso di tutti trovare le migliori soluzioni che, ne siamo certi, esistono e vanno ricercate nell'interesse di tutti i popoli. Sarebbe un peccato fermarsi ora e fare un passo indietro anziché portare a compimento quell'Unione europea, unica esperienza al mondo, mai realizzata prima nella storia, di convivenza pacifica e civile di popoli con lingue, culture e origini diverse.

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- Politica

Il Parlamento europeo

Il prossimo 25 maggio i cittadini dei 28 Stati membri dell’Unione Europea eleggeranno i nuovi deputati del Parlamento, unica Istituzione europea eletta direttamente dai suoi cittadini.

Vista l’importanza dell’Istituzione di cui stiamo per rinnovare i membri, cerchiamo di approfondire la sua conoscenza. E come da consuetudine, partiamo dalle origini.

Quello che oggi viene nominato Parlamento europeo nasce il 18 aprile 1951 come Assemblea comune della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) con sede a Strasburgo. I deputati sono 78 in rappresentanza dei 6 Stati membri della CECA (tra i quali l’Italia).

Il 19 marzo 1958, a seguito dei trattati firmati a Roma nel 1957, nasce l’Assemblea parlamentare europea, allargata a 142 deputati.

Il 30 marzo 1962 l’Assemblea muta la denominazione in Parlamento europeo che dal 1° gennaio 1973 si compone di 198 membri a seguito dell’allargamento dell’Unione da 6 a 9 Stati membri.

Il 20 settembre 1976 il Consiglio europeo decide di rendere il Parlamento eleggibile a suffragio universale diretto. Le prime elezioni del Parlamento europeo vengono celebrate nei nove Stati dell’Unione il 10 giugno 1979 (in Italia il 3 giugno si tengono anche le elezioni politiche nazionali anticipate). I deputati eletti la prima volta direttamente dai cittadini europei sono 410.

Da quel lontano 10 giugno 1979 è stato un susseguirsi di richieste di entrare nell’Unione da parte delle Nazioni confinanti con il nucleo originario della Comunità. Con l’ingresso della Croazia il 1° luglio 2013, i Paesi membri sono 28 e i deputati che saranno eletti il 25 maggio saranno 766.

La nazionalità dei deputati: 96 membri dalla Germania, 74 dalla Francia, 73 dall’Italia e dal Regno Unito, 54 dalla Spagna, 51 dalla Polonia, in diminuzione per arrivare ai 6 deputati ciascuno di Cipro, Estonia, Lussemburgo e Malta.

All’interno del Parlamento, i deputati si riuniscono in gruppi transnazionali che rappresentano i diversi orientamenti politici. I principali gruppi presenti sono:

· PPE (Partito popolare europeo) riunisce il liberalismo conservatore e i cristiani democratici

· S&D (Partito socialista europeo) riunisce la socialdemocrazia, il socialismo democratico e il cristianesimo sociale

· ALDE (Alleanza dei democratici e liberali e Partito democratico europeo) rappresenta il pensiero liberale

·V-ALE (Partito Verde europeo e Alleanza Libera europea) rappresenta le istanze ambientali e il regionalismo

· ECR (Alleanza dei conservatori e Riformisti europei e Movimento Politico cristiano d’Europa) rappresenta il conservatorismo liberale, il liberismo, l’Atlantismo

·GUE-NGL (Partito della Sinistra europea, Alleanza della Sinistra Verde Nordica) rappresenta il comunismo, il socialismo democratico e la sinistra ecologista

· ELD (Movimento per un’Europa della Libertà e della Democrazia) rappresenta l’euroscetticismo

· NI è il gruppo degli indipendenti.

Come si nota, all’interno del Parlamento europeo si ritrovano, più o meno, le medesime ideologie e i medesimi programmi politici presenti nei Parlamenti nazionali. Tuttavia è importante conoscere a quale gruppo europeo è collegato il partito o la forza politica nazionale che si è deciso di votare. Perché, non dimentichiamoci, il voto che daremo il 25 maggio non è un voto politico nazionale, ma europeo ed è in quest’ottica che dobbiamo ragionare e scegliere la forza politica che meglio ci rappresenta in Europa.

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- Politica

Elezioni europee del 25 maggio (1 continua)

Tra poco più di un mese, il 25 maggio, si voterà nei 28 Paesi facenti parte dell’Unione Europea per eleggere i rappresentanti al Parlamento Europeo. Sarà l’ottava elezione del Parlamento europeo a partire dal 1979. Gli aventi diritto al voto sono più di 388 milioni di persone ed eleggeranno 766 deputati in rappresentanza di oltre 500 milioni di abitanti. E’ il secondo Parlamento al mondo per numero di deputati eletti democraticamente, dopo la Camera del Popolo dell’India.

Di questa Istituzione stiamo parlando quando leggiamo sui giornali e ascoltiamo per radio o per televisione i nostri politici parlare e discutere, a volte a sproposito, delle elezioni politiche europee.

Con questo post vogliamo iniziare una serie di articoli per spiegare ai nostri lettori, soprattutto quelli più giovani che andranno a votare per la prima volta, qual'è la posta in gioco e perché vale la pena recarsi ai seggi il 25 maggio.

Ma iniziamo con ordine. Per prima cosa è bene avere le idee chiare sul ruolo e sulle funzioni del Parlamento europeo che siamo chiamati ad eleggere e sulle principali Istituzioni europee.

Il Parlamento europeo è l’unica istituzione europea ad essere eletta direttamente dai suoi cittadini. E non è cosa da poco. Insieme al Consiglio dell’Unione europea costituisce una delle due Camere cui spetta il potere legislativo, da intendersi in questo caso principalmente come quello di approvare le Leggi. Il Consiglio dell’Unione è invece composto da un rappresentante per ogni Stato membro a livello ministeriale e perciò è anche detto Consiglio dei Ministri europei. La Presidenza del Consiglio è assunta a rotazione da uno Stato membro ogni sei mesi. Dal prossimo primo di luglio la Presidenza spetterà all’Italia.

Tornando al Parlamento europeo, le principali funzioni che gli competono sono:

- il controllo politico sull'operato della Commissione europea tramite interrogazioni scritte o orali e lo strumento di emettere mozioni di censura
- l’esame delle proposte legislative della Commissione
- l’approvazione del bilancio annuale dell’Unione, insieme al Consiglio
- l’istituzione di commissioni d’inchiesta
- la nomina del mediatore europeo.

Come si può notare, la funzione legislativa proponente non è esercitata in via principale dal Parlamento, ma spetta alla Commissione europea, organo esecutivo dell’Unione. Essa è composta da un delegato per stato membro. A ciascun delegato è richiesta la massima indipendenza dal governo nazionale che lo ha indicato.

La Commissione difende e rappresenta gli interessi dell’Unione europea nella sua interezza, ha il monopolio del potere dell’iniziativa legislativa, propone l’adozione degli atti normativi comunitari la cui approvazione ultima spetta però al Parlamento e al Consiglio dell’Unione. La Commissione infine è la responsabile dell’attuazione delle decisioni politiche derivanti dalle scelte degli organi legislativi e gestisce i programmi e le spese dei fondi europei.

Per chiudere questa prima parte, ecco che le tre principali istituzioni europee sono il Parlamento, il Consiglio dell’Unione e la Commissione europea. Ma delle tre, l’unica istituzione eletta direttamente da noi cittadini è il Parlamento europeo.

Se ci fermiamo un minuto a riflettere, i numeri sono da brivido: il 25 maggio quasi 390 milioni di europei potranno pacificamente recarsi al proprio seggio elettorale e votare per la persona che più li rappresenta e contribuire ad eleggere il secondo Parlamento al mondo per numero di deputati. Un’occasione da non perdere. Del resto, è evidente a tutti che è molto meglio trovarsi a discutere e scontrarsi in un emiciclo che su un campo di battaglia. Ucraina docet.

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- Società

Corte Costituzionale e fecondazione eterologa

Gioiscono gli avvocati che hanno vinto la loro battaglia e le coppie di sposi da loro difesi che potranno essere assistite nel nostro Paese.

Gioiscono i medici italiani che finalmente saranno liberi di dimostrare le loro capacità e competenze.

Gioiscono le associazioni liberal che hanno sostenuto la campagna di stampa a favore della fecondazione eterologa come segno di civiltà.

Gioisce l'intellighenzia europea e internazionale, quella dei diritti civili e delle libertà tout court che vede gli esseri umani titolari del diritto di progettare e realizzare i propri desideri senza limitazioni.

Ma il punto centrale è proprio questo: non sono in gioco i diritti dell'umanità, ma il giusto desiderio dell'uomo di vivere con pienezza la propria esperienza umana.

Da un punto di vista tecnico, ormai lo sappiamo, siamo in grado di manipolare qualsiasi tipo di cellula, anzi abbiamo acquisito la capacita di modificare addirittura la struttura costitutiva delle singole cellule.

Ma ci deve essere un limite a questa capacità di manipolare la realtà oppure per il fatto stesso che si possa realizzare, una “tecnica di fecondazione” diventa lecita? Questo è il tema centrale sul quale riflettere.

Può il desiderio legittimo di un uomo e di una donna di pensare e cercare di realizzare il progetto di generare un figlio andare contro l'evidenza di una realtà negativa, contraria ai loro desideri?

Non sempre, anzi quasi mai, la vita corrisponde al cento per cento a quello che il nostro cuore desidera.

Noi pensiamo e viviamo come se fossimo immortali, eppure moriamo. Ci comportiamo come fossimo onnipotenti, eppure non riusciamo ad andare d'accordo per un giorno intero neanche con la nostra donna o i nostri figli, se ne abbiamo.

Si vive per imparare ad amare e per prepararsi a morire, ma mentre viviamo ci dimentichiamo perché siamo al mondo. E allora desideriamo realizzare a tutti i costi, come fossimo bambini, quello che abbiamo in mente, anche se la realtà ci dice no, tu questo non lo puoi fare, non lo puoi ottenere, per te c'è un'altra strada.

Perché il bello della vita è proprio questo: esiste sempre una strada nuova e diversa per ciascuno di noi. Pensavamo di svoltare a destra e invece inaspettatamente si apre una via nuova a sinistra. Questo è un dato fattuale del quale ognuno di noi fa esperienza ogni giorno. E così si va avanti, passo dopo passo. Per fortuna non siamo tutti uguali anche se il Potere tende all'omologazione per mantenere sotto controllo il nostro desiderio e renderlo il più possibile conforme ai suoi progetti.

Ma a questo punto perché non desiderare e ottenere un figlio biondo con gli occhi azzurri, oppure no: io lo voglio nero, ma con gli occhi chiari: lo voglio, lo voglio! Purché sia sano, altrimenti l'embrione appena installato verrà prelevato dall'utero e distrutto.

La sentenza della Corte Costituzionale non ci equipara agli altri Paesi europei sul piano della civiltà giuridica e su quello dei diritti civili, tutt'altro.

Quando si abbandona il riferimento ad una legge morale, quello che rimane è il desiderio dell'uomo che assurge a legge universale.

Ed allora ecco che in Europa, ogni Stato ha una propria legge sulla procreazione assistita e quello che è lecito in Francia non lo è in Germania e così via. Non esiste più un limite riconosciuto al desiderio dell'uomo. L'unico limite è quello posto dalla tecnica, medica in questo caso.

La conseguenza che ne deriva è il caos. Il ministro della Sanità si è subito espresso sulla necessità, a questo punto, di un nuovo quadro normativo. Bene, va benissimo il quadro normativo.

Ma quando diventa legge di uno Stato il volere a tutti i costi diventare padre e madre, ecco che si legifera a favore di un proprio desiderio, lecito e nobile quanto si vuole, ma pur sempre desiderio e non diritto che deve per forza essere garantito.

Proseguendo su questa strada, tutto quello che passa per la mente di un uomo al potere, potrebbe un domani diventare norma cogente per l’intera società. Se ciò avvenisse, le conseguenze aprirebbero scenari imprevedibili per la vita di ciascuno di noi.

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- Libri

Titina, Storia di un cane Nobile

Titina, Storia di un cane Nobile è l’ultima opera scritta dal Professore Giuseppe Carfagno.

Titina, realmente esistita, è la simpatica cagnetta Fox – Terrier che accompagnò il Generale Umberto Nobile, sul finire degli anni Venti, nelle due spedizioni italiane dirette al Polo Nord.

L’autore prende spunto dalle memorie e dai ricordi della figlia del Generale Nobile: all’inizio del libro viene riportata una sua testimonianza mentre in coda sono pubblicate alcune fotografie raffiguranti Titina e il Generale in diverse occasioni pubbliche e private.

La storia è raccontata dal basso, cioè dal punto di vista di Titina. La narrazione scorre agile e veloce. Gradevole e ben riuscito l’utilizzo dei caratteri di stampa che variano in grandezza, spessore e tipologia utilizzata, fornendo anche visivamente al lettore il mutare degli stati d’animo dei protagonisti durante il racconto.

E’ un libro per bambini dai 9 anni, ma attenzione, adatto e consigliato anche agli adulti sino a 99 anni, proprio come recita il motto della casa editrice Il Ciliegio. L’autore infatti si è ben documentato sui fatti storici accaduti che vengono riportati e raccontati fedelmente nell’opera, anche se per bocca di una dolce e simpatica cagnolina.

L’esposizione che la protagonista fa della seconda spedizione a bordo del dirigibile Italia che, transitato sopra il fatidico Polo Nord, a causa di una violenta tempesta di neve e ghiaccio, è costretto ad atterrare sul pack, è coinvolgente e sconvolgente allo stesso tempo.

La voce di Titina, come quella di un bambino, ci descrive tutti gli avvenimenti che accadono attorno a sé, senza comprenderne pienamente le drammatiche conseguenze che però non sfuggono al suo padrone e a noi lettori.

Per un attimo siamo come immersi nella landa desolata di ghiaccio insieme a Titina e osserviamo, dal basso verso l’alto, quegli uomini rinchiusi nella tenda rossa che aspettano i soccorsi che non arrivano. I sentimenti di Titina sono i nostri sentimenti, la sua paura la nostra, il suo stupore all’arrivo dei soccorritori, il nostro.

Arricchiscono la lettura i magnifici disegni di Alessia Coppola che ci riportano, per tratto e stile, all’epoca del Corriere dei Piccoli, tanto in voga al tempo di Titina e della sua storia.

In conclusione, un libro scritto con gioiosa ironia, semplice efficacia e amorevole cura dei particolari, da non perdere, possibilmente da leggere la sera a figli e nipoti per far conoscere loro uno spicchio di mondo, ricco di magia e di generosità, ormai lontano negli anni, ma che merita assolutamente di essere ricordato.

Sono sicuro che anche a Titina sarebbe piaciuto sentirsi raccontare la sua storia…

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- Politica

Lo Stato siamo noi

Quello che solitamente viene definito diritto internazionale, si divide in diritto internazionale privato e diritto internazionale pubblico.

Il primo si occupa dei rapporti tra il cittadino italiano e gli Stati stranieri e viceversa. Il diritto internazionale pubblico al contrario si interessa, regola i rapporti tra gli Stati sovrani. E’ un diritto per buona parte consuetudinario. Una regola per diventare consuetudine deve essere accettata dalla maggior parte degli Stati considerati più influenti a livello internazionale. Il diritto internazionale pubblico è però anche un diritto convenzionale, basato cioè sugli accordi liberamente stabiliti tra gli Stati che si impegnano a rispettarne i contenuti.

Per questo motivo, il diritto internazionale pubblico non gode di quella certezza giuridica, di quella sacralità che è tipica di altri ambiti del diritto, come per esempio il diritto privato o il diritto penale.

Il diritto internazionale, generatosi nel tempo per dirimere le controversie tra gli Stati, è ontologicamente dipendente dalla politica estera dei singoli Stati e soprattutto dall'importanza politica che a livello internazionale viene riconosciuta alla singola Nazione.

Non che questa aleatorietà manchi di ragioni. Appare ovvio che gli interessi vitali di una Nazione possano mutare nel tempo. Solitamente sono le dipendenze economiche quelle che possono influenzare la politica estera di un Paese e generare tensioni e conflitti con i vicini.

Sotto il cappello normativo del diritto internazionale pubblico, che dovrebbe assicurare la pacifica risoluzione delle controversie internazionali, vivono i popoli che vengono governati secondo questi principi e accordi sovranazionali.

A livello puramente teorico, le norme esistenti dovrebbero assicurare al popolo la migliore esistenza possibile ed una civile coesistenza con le genti vicine, ma purtroppo la storia, anche recente, ha dimostrato il contrario.

Il fatto è che sono i Governi, le Amministrazioni che hanno il potere esecutivo, a decidere quali sono le politiche da adottare in ambito internazionale, quali scelte portare avanti nel caso si generassero conflitti tra Stati.

E non è detto che le scelte dei Governi coincidano con quelle dei popoli.
L'ultimo caso cui stiamo assistendo, la crisi in Ucraina e Crimea, è emblematico da questo punto di vista. Ancora una volta sembra che i Governi siano incapaci di interpretare il desiderio delle persone e dei popoli.

Appare miope e lontana dalla realtà la presa di posizione in politica estera dell’Amministrazione Obama, seguita a ruota da tutti i Governi europei e dalla stessa Commissione europea, di contrastare il ritorno della Crimea alla madre patria russa.

E’ ben noto come la Crimea passò dalla Russia all’Ucraina per volere di Chruscev nel 1954, insensibile a quella che era la storia del popolo di Crimea. Ma erano altri tempi, almeno sulla carta. Perché sembra che anche oggi le decisione dei Governi non tengano conto dei desideri delle persone.

Intendiamoci, non difendiamo il modus operandi che è stato utilizzato da Yanukovych per reprimere le giuste aspettative e corrette aspirazioni del popolo ucraino di voler avvicinarsi all’Europa unita e staccarsi dalla Russia. Come non difendiamo il Presidente Putin per il modo e i mezzi utilizzati per trattare il caso della Crimea.

Ma nella sostanza quello che si doveva fare, e si può ancora fare, in questa crisi è sedersi intorno ad un tavolo e trovare una soluzione pacifica, conveniente a tutte le parti in causa, affinché l’Ucraina incominci un percorso che la porterà ad entrare nell’Europa unita e la Crimea possa tranquillamente rientrare, come di fatto è già rientrata, nell’ambito della Federazione Russa. Questo, se la maggioranza dei rispettivi popoli lo desidera. In questo senso il referendum che si è tenuto in Crimea mi pare lasci pochi dubbi sulla volontà dei crimeani di ritornare con la Russia.

Anche in questa occasione, come già successo in passato, l’Amministrazione americana sembra in difficoltà nell’analisi e nella comprensione delle ragioni profonde che stanno alla base di questa nuova crisi internazionale. Vietnam, Afghanistan, Iraq, Palestina, sono aree calde del pianeta dove nel tempo le amministrazioni statunitensi si sono fortemente impegnate, anche militarmente, senza riuscire ad arrivare alla risoluzione del problema, così come l’avevano immaginata e proposta al mondo.

Al di là comunque della politica estera statunitense, spesso rivelatasi inadeguata, quello che non comprendiamo è come gli altri Governi alleati degli Stati Uniti, compreso il nostro, non facciano alcuno sforzo per spiegare le proprie ragioni che dovrebbero spingere verso una soluzione negoziale e pacifica con la Russia. Altro che sanzioni.

Giusto per ricordare solo un piccolo particolare: l’Italia si approvvigiona di gas dai Paesi arabi e dalla Russia. Siamo proprio sicuri che aprire un contenzioso con la Russia per obbligarla a riportare il popolo di Crimea sotto la giurisdizione dell’Ucraina sia la cosa giusta da fare?

Questo non vuol dire rinunciare a difendere davanti alla Comunità Internazionale i diritti naturali dei popoli, qualora questi siano messi in discussione. Ma se fossimo noi stessi a violarli?

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- Politica

Il venditore di auto usate, ma blu...

La prima conferenza stampa del Presidente del Consiglio Matteo Renzi è stata sicuramente un avvenimento che lascerà il segno nella storia della Repubblica. Con Renzi, per la prima volta, è entrato nelle stanze più importanti dei palazzi della politica, un nuovo modello di comunicazione, peraltro già da tempo utilizzato sia dai top manager delle aziende private come dai venditori di auto usate.

Chi non l’avesse potuta seguire in diretta televisiva, può vederla con tranquillità al seguente indirizzo: http://youtu.be/P9-ryuKwqDk , ne vale veramente la pena.

A parte il tema del contrasto ai bracconieri, della tutela delle stelle alpine sopra i tremila metri e della solitudine dei pesci rossi nella boccia di vetro, Renzi ha parlato a ruota libera di tutti i mali cha affliggono il nostro Paese. Il tutto aiutandosi con la proiezione di slide molto empatiche, di supporto all’argomento via via presentato.

Nel dettaglio poi il Presidente Renzi si è più soffermato sulle prime riforme affrontate dal Governo e che arriveranno all’esame del Parlamento nelle prossime settimane: lo sblocco dei pagamenti della P.A., il taglio dell’IRPEF di dieci miliardi per dieci milioni di italiani, il taglio dell’IRAP del 10% sulle aziende private con il contestuale aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, che passa dal 20% al 26%, Titoli di Stato esclusi. Vi è poi il taglio del 10% della bolletta energetica per le PMI e per i giovani, dai 18 ai 29 anni, dal primo di giugno ci saranno importanti novità come il Fondo per le imprese sociali. E via così…

Tutti provvedimenti doverosi e necessari, nulla da eccepire, che gli italiani attendono da decenni e che Renzi ha dichiarato essere stati approvati quest’oggi dal Consiglio dei Ministri.

Ma, e qui giungiamo al punto della conferenza stampa che non ci ha convinto, tutte le enunciazioni del Presidente del Consiglio sono tali, cioè sono rimaste al momento dichiarazioni d’intenti, di programma e non sono state “concretizzate” in alcun decreto o disegno di legge. Il Presidente del Consiglio oggi pomeriggio ha enunciato agli italiani quello che il Governo ha deciso di fare da domani in avanti, nei prossimi cento giorni.

Ma questo lo sapevamo già a grandi linee, sono settimane che se ne parla sui giornali e nei talk show televisivi. Probabilmente sarebbe stato più incisivo presentarsi con meno carne al fuoco, ma con due o tre provvedimenti approvati in CDM, presentati nei dettagli alla stampa e portati in Parlamento subito dopo per una rapida discussione.

Renzi evidentemente vuole sfruttare al massimo l’effetto sorpresa che accompagna la sua persona e il suo Governo composto da giovani ministri non ancora avvezzi alla politica romana. Ma c’è un problema: non è possibile cambiare in cento giorni venti e più anni di “modus vivendi” italico. In apertura della conferenza stampa, Renzi ha dichiarato che i nemici del Governo sono tutti coloro che pensano che il cambiamento è impossibile perché si è sempre fatto così. In questo il Premier ha ragione, è un concetto che vale non solo in politica, ma per la vita stessa di ognuno di noi. Solo cambiando, si spera in meglio, il neonato diventa bambino, poi giovane e quindi adulto. La vita stessa è cambiamento, ma non si può cambiare la vita politica italiana in cento giorni. Chi pensa di farlo, o è in mala fede o è fuori di sé.

Del resto il primo vero e concreto banco di prova di Renzi, l’italicum, è andato come è andato. Renzi, è vero, ha portato a casa al 50% (ma il Senato è tutta un’altra storia e vedremo come finirà) la nuova legge elettorale, ma a quale prezzo? Il suo partito si è spaccato su preferenze e parità di genere, la legge non viene applicata per l’elezione del Senato (prima volta nella storia della Repubblica che si andrà a votare con leggi ontologicamente diverse per le due Camere) e non pochi costituzionalisti ritengono che sia anch’essa incostituzionale come il porcellum. Non è certo un buon inizio per il nuovo Premier.

L’Italia e gli italiani hanno bisogno di un Governo e di una classe politica che seriamente si metta a riformare il Paese. Tutte le situazioni indicate da Renzi questo pomeriggio sono reali, ma vanno affrontate con meno enfasi e spettacolarità e più serietà e rispetto. L’ultima cosa che vogliamo è vederci rifilare un’auto nuova e scoprire, dopo cento chilometri, che era usata (e magari è una delle cento auto blu che Renzi ha deciso di mettere all’asta)…

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- Politica

Nostalgia di Craxi...

Lo spread dei titoli di Stato italiani vs. i Bund tedeschi è tornato ai livelli di maggio 2011, cioè prima dell’inizio della tempesta che ha investito l’Italia negli ultimi tre anni. Non solo, l’ultimo cambio di Governo, il terzo in tre anni, non ha provocato alcun temuto sobbalzo negli ambienti finanziari internazionali.

Eppure l’Italia di oggi non è diversa dall’Italia di tre anni fa, anzi, per dirla tutta, dall’Italia di venti anni fa.

A ben leggere la storia, l’ultimo uomo politico che ha prodotto, nel bene e nel male, un cambiamento evidente, portato avanti con coraggio e decisione nella vita politica e sociale italiana, è stato Craxi, vent’anni fa. Giusto per ricordare alle giovani generazioni e solo a titolo esemplificativo, Craxi fu l’uomo del nuovo Concordato con la santa Sede, dell’otto per mille alla Chiesa cattolica, della riforma dell’insegnamento della religione nelle scuole. Craxi fu l’uomo del taglio di tre punti della Scala Mobile, sotto i suoi Governi l’inflazione in Italia passò dal 12,30% del 1983 al 5,20% del 1987. I Governi Craxi introdussero l’uso dei registratori di cassa e degli scontrini fiscali per i commercianti al minuto. Ma Craxi fu anche l’uomo che nei suoi anni di Governo fece decollare il debito pubblico italiano, passato da 234 a 522 miliardi di euro, vale a dire dal 70% al 90% del PIL di allora.

Dopo la sua caduta, per la c.d. questione morale che investì sostanzialmente tutta la classe politica di quegli anni, l’Italia entrò nel ventennio berlusconiano dal quale ancora oggi di fatto dipende.

Ed ora, quale ciclo si sta aprendo con il nuovo premier Renzi? Che cosa ci dobbiamo aspettare? Impossibile saperlo. Di certo l’onda lunga di cui beneficiò Craxi, vale a dire le situazioni economiche “favorevoli”, il clima di fiducia dei mercati, sembrano essere presenti anche in questi giorni di insediamento del nuovo esecutivo. Sta a Renzi saperne approfittare per dare una vera svolta al sistema. Non basta intervenire su lavoro, economia, giustizia, riforme: le solite vuote parole che sentiamo ripetere da tutti i politici, da vent’anni a questa parte. Bisogna mettersi d’impegno e andare fino in fondo per cambiare la macchina organizzativa e burocratica dello Stato, in tutti i settori. Altrimenti potremo fare tutte le riforme di questo mondo, ma le cose non cambieranno mai.

Un esempio semplice, banale se vogliamo. Come abbiamo letto da articoli di stampa, il Comune di Roma avrebbe (sono stime per difetto) 62.000 dipendenti, considerando le aziende municipalizzate e il Comune in senso stretto. Come è possibile modificare una situazione del genere? Come faremo a risalire la china noi italiani se continueremo a scambiare una forma di assistenzialismo per diritto al lavoro?

Noi apparteniamo a coloro che pensano che se il lavoro non c’è, bisogna crearlo, occorre favorire le condizioni che lo sviluppano, non assumere nella pubblica amministrazione, senza reali bisogni, le persone per esigenze clientelari ed in ultima analisi elettorali. Situazioni del genere sono ampiamente presenti in tutta la penisola, a Nord come a Sud.

Altra questione che deve assolutamente affrontare il nuovo Premier, se vuole lasciare un segno positivo del suo passaggio al Governo, è quello di rivedere, senza pre-giudizi, tutte le grandi scelte di investimenti strategici effettuate dai suoi predecessori. I fondi a disposizione non sono molti e i soldi vanno spesi nella direzione di favorire la crescita economica in tutto il Paese e non solo a favore di alcuni fortunati operatori.

Mi spiego: è assolutamente necessario ripensare se conviene investire nella TAV o forse non sarebbe meglio spendere i fondi per migliorare tutta la rete ferroviaria italiana, soprattutto quella del servizio locale, sprofondata in una situazione veramente drammatica? Oppure, non sarebbe meglio spendere una parte dei fondi destinati all’acquisto di aerei militari da combattimento, per iniziare ad occuparsi delle nostre città, delle nostre campagne, per eseguire quella manutenzione ordinaria di fiumi, canali, ponti, argini, fossati e così impedire alle prime piogge autunnali di provocare disastri ambientali ed economici che finiscono poi comunque per pesare sul bilancio dello Stato?

E infine, in politica estera, è ormai chiaro ed evidente anche ai ciechi che gli accordi presi in ambito UE sul rigore economico e finanziario, sul mantenimento del 3% massimo di deficit / PIL, vanno ridiscussi e modificati trovando un nuovo assetto con i partner europei. Berlusconi non è riuscito, se mai ne avesse avuto veramente voglia, a farsi ascoltare sul tema. Monti e Letta non ci hanno neanche provato. Ora tocca a Renzi. Qualcuno deve porre il problema sul tavolo a Bruxelles e deve aprire una nuova stagione, dove le scelte di un tempo che non esiste più, vengano ripensate, ridiscusse e riviste in un’ottica che vada a favore dei popoli, della gente comune che tutti i giorni, da cinque anni a questa parte, affronta la fatica di far quadrare i conti e cresce, nel migliore dei modi possibili, i propri figli, che rappresentano il futuro di questa Europa.

Questo passo Renzi deve farlo subito, prima delle elezioni europee di maggio, altrimenti sarà troppo tardi. Renzi deve osare, essere coraggioso come a suo tempo lo fu Craxi. Altrimenti la gente che ora gli dà fiducia, lo giudicherà uguale agli altri politici che l’hanno preceduto. Il suo Governo potrà durare anche sino al 2018, oppure cadere un giorno qualsiasi del 2014, ma anche lui sarà solo ricordato come il sindaco di Firenze che ha voluto provare a fare il più giovane Presidente del Consiglio d’Italia.

E noi torneremo a pensare a Craxi con nostalgia…

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- Politici

The Truman Show

C'è qualcosa di nuovo oggi nella politica italiana, anzi d'antico…

Parafrasando il grande Pascoli, sembra questo l'incipit che contraddistingue il tentativo di Matteo Renzi di formare il nuovo Governo. Partito come innovatore, il rottamatore dei vecchi schemi come delle vecchie nomenclature, il nostro giovane profetico Savonarola rischia di rimanere da solo ad affrontare questa grande sfida. Per ora spiccano i no che ha raccolto dai volti nuovi che avrebbe voluto nella squadra di Governo e i si dei soliti noti e di qualche boiardo di Stato, nuovo forse per un incarico nell’Esecutivo, ma ben noto ai circoli economici e ai salotti della politica che conta. Quindi dove sta il vento nuovo propugnato da Renzi? Mah, per ora nessuna traccia. Aspetteremo, non abbiamo fretta.

Invece un'affermazione del giovane Premier incaricato lascia proprio sbigottiti. E sembra strano che pochi commentatori abbiano colto il lato comico, per non dire tragico, dell’uscita renziana e cioè che il programma del Governo prevede una riforma al mese per i prossimi tre mesi. Si incomincia con marzo, mese della riforma del mercato del lavoro, poi si passa ad aprile, il mese dedicato alla Pubblica Amministrazione. A maggio sarà la volta del Fisco. Per il mese di giugno ci sono ancora dei dubbi da sciogliere su quale abissale problema italiano risolvere. Questo ha promesso Renzi agli italiani.

Ora, delle due l'una. O siamo di fronte ad un novello Superman e allora perché limitarsi a risolvere un problema al mese. Sfruttiamo la circostanza e chiediamogli anche l'azzeramento delle tasse, i tetti d'oro sulle case e una vacanza pagata per tutti (in fondo ci accontentiamo di poco).

Oppure siamo stati governati sino ad ora da incompetenti, ignoranti e incapaci. Però ci sembra anomala, anche solo dal punto di vista statistico, una così alta concentrazione temporale di inetti proprio alla guida del Governo italiano. Ma possibile che siamo proprio così….

O forse il giovane Renzi, come capita spesso ai leader politici ed ai Premier italiani, è stato travisato dai giornalisti e la sua affermazione, così intrinsecamente e comicamente riformista, si riferiva alla Terra di Mezzo, avendo il nostro appena terminata la lettura del romanzo di Tolkien? Tutto è possibile in questa Italia che assomiglia sempre più ad un grande studio televisivo, dove viene mandato in onda, davanti ai nostri occhi, un programma preregistrato e la vita reale sembra stare altrove, al di fuori della cupola che ci circonda.

Una cosa invece il nuovo Premier non deve fare, prendere in giro gli italiani dicendo che questo sarà un Governo destinato a durare sino alla fine della Legislatura. Come, quando al Governo c’era il suo collega di partito Letta, bisognava urgentemente varare la riforma della Legge elettorale e poi andare a votare per restituire dignità al Parlamento, eletto in maniera illegittima, non dimentichiamolo. Ed ora che al Governo, forse, ci andrà Renzi, si può andare avanti sino al 2018? A noi sfugge qualcosa, a voi no?

La verità è che sono venti anni che noi italiani viviamo all'interno di questo grande set mediatico che è diventato il nostro Paese ed ora, che forse stiamo arrivando alla fine della serie televisiva (perché il produttore ha finito i soldi) ritornare alla vita vera ci fa paura, ma è l’unica cosa che ci salverà. Coraggio Italia!
Ah, dimenticavo: “Buongiorno! E caso mai non vi rivedessi… buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!”

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- Politica

La staffetta di San Valentino

Certo, dai politici italiani ci si può aspettare di tutto, ma francamente quello che sta succedendo in queste ore, la cosiddetta staffetta tra il Presidente del Consiglio proveniente dal Partito Democratico, Enrico Letta, e il nuovo candidato Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, proveniente dal Partito Democratico, ha dell’incredibile.

Ma andiamo con ordine.

Solo un anno fa, il 14 febbraio 2013, Matteo Renzi era il sindaco di Firenze, eletto nel 2009 a 34 anni di età, dopo essere stato, dal 2004 al 2009, Presidente della Provincia di Firenze. Una brillante carriera per un giovane politico italiano, se si considera l’età media della classe dirigente del nostro Paese. Rimanendo nel centro sinistra, ricordiamo che quando il giovane, a detta di tutti, Walter Veltroni fu eletto Segretario politico nazionale del Partito Democratico, nel 2007, aveva 52 anni. E quando si candidò come Premier alle elezioni politiche del 2008, ne aveva 53.

Ancora, quando Prodi divenne Premier la prima volta nel 1996 aveva 57 anni, Berlusconi la prima esperienza da Premier la fece a 58 anni. E sono entrambe personalità che, prima di ottenere la prestigiosa carica politica, ricoprirono ruoli di grande responsabilità, sia economica che politica, in Italia e all’estero, non svolsero solo incarichi amministrativi modesti su base regionale.

Tornando al nostro probabile nuovo candidato Premier, Matteo Renzi, nato l’11 gennaio 1975, il risultato più eclatante l’ha forse ottenuto vincendo le primarie del PD del dicembre 2013 diventando così il nuovo Segretario politico del partito.

Chiariamo un punto: a quelle “elezioni” volontarie indette dal PD per far scegliere al popolo della sinistra il nuovo Segretario del partito votarono 2.797.938 persone in tutta Italia. I dati sono presi dal sito del Partito Democratico. Renzi ottenne 1.887.396 voti (pari al 67,68% dei votanti), Cuperlo 505.800 voti e Civati 395.715 voti, il resto schede nulle. Quindi Matteo Renzi divenne Segretario del PD ottenendo poco più di 1,8 milioni di voti degli italiani. Sapete quanti italiani hanno diritto di voto? Alle elezioni politiche del 2013 (le ultime in ordine di tempo) avevano diritto di voto per la Camera dei Deputati num. 26.088.170 donne e num. 24.361.809 uomini per un totale di 50.449.979 italiani. Quanti italiani hanno votato per Renzi Segretario del PD? Il 3,7% degli aventi diritto alle elezioni politiche. Se Renzi fondasse un suo partito politico, con il nuovo sistema elettorale che lui stesso sta portando avanti insieme a Forza Italia, il renzellum, non supererebbe lo sbarramento del 4%.

E questo personaggio, simpatico per carità, come lo sono tutti i toscani per quel loro accento tipico che risulta accattivante, ha deciso di far cadere una personalità degna di stima e rispetto come Enrico Letta, tra l’altro politico del suo stesso partito, per occupare il suo posto di Primo Ministro a che titolo? In cosa Matteo Renzi dovrebbe essere migliore di Enrico Letta? Sono questi i punti che non riescono a convincere gli italiani che assistono basiti a questo cambio in corsa di un Premier e di un Governo che, ricordiamolo, erano in carica da neanche un anno e che comunque si erano fissati un obbiettivo temporale massimo di un nuovo anno, per portare a termine quelle riforme minime di cui l’Italia ha bisogno, da venti anni, per poi portare il popolo alle urne.

Ma siamo proprio sicuri che il giovane Renzi abbia le capacità e le competenze per ricoprire un ruolo così importante? L’Italia non è Firenze e la politica di Roma non è la Segreteria del PD. Questo Renzi sicuramente lo sa, ma quello che vorrebbero sapere gli italiani è: se fallisse anche lui, cosa ci rimane? Del resto non si capisce in cosa il Parlamento attuale potrebbe aiutare il nuovo Governo a guida Renzi che non avesse potuto fare con il Governo Letta.

Tra l’altro è vero che il Governo Letta è stato voluto da Giorgio Napolitano dopo la sua rielezione, ma è stato pur sempre un Governo derivato dal risultato elettorale. Quello di Renzi sarebbe un Governo pastrocchio venuto fuori da beghe interne del PD e alla lunga, in politica, i vizi di partenza vengono al pettine. Oltretutto, dopo la sentenza della Consulta che ha eliminato il Porcellum, il Parlamento stesso risulta nominato in modo illegittimo e, per decenza, andrebbe rapidamente sostituito. Quindi il programma del Governo Letta, se fosse stato attuato con convinzione da tutti i partiti che lo hanno appoggiato, in primis dal PD, poteva andare benissimo. In questo 2014 avrebbe potuto portare a termine le riforme e nel 2015 si sarebbe andati a votare tranquillamente.

Adesso Renzi si trova a dover per forza portare avanti e chiudere le principali riforme, nella duplice veste di Premier e di Segretario del PD e non è detto che il doppio incarico giochi a suo vantaggio. Inoltre sulla legge elettorale dovrà scendere a patti con Berlusconi, mentre sul Governo dovrà dialogare per forza con il Nuovo Centro Destra e con Scelta Civica e non è scontato che gli interessi degli altri partiti coincidano con quanto ha in mente il nuovo Premier.

Ma noi auguriamo ogni bene al giovane Premier, sempre che il Presidente Napolitano all’ultimo ci ripensi e decida di non affidare l’incarico al nipotino. Noi comunque al futuro Premier Renzi auguriamo di riuscire a portare l’Italia fuori dal pantano e di proseguire nella sua brillante e fulgida carriera. A quando la Presidenza della Commissione Europea, caro Matteo?

Al dimissionato Enrico Letta, che ringraziamo per la serietà e l’impegno dimostrati in questi dieci mesi, vogliamo solo ricordare, immaginando comunque che non lo possa consolare, la seguente frase di Joseph Conrad : “Tradire. Parola grossa. Che significa tradimento? Di un uomo si dice che ha tradito il paese, gli amici, l’innamorata. In realtà l’unica cosa che l’uomo può tradire è la sua coscienza.”
Beato è l’uomo quindi che non tradisce l’amico e se stesso.
Prosit.

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- Politica

In attesa della legge elettorale...

Mentre l’opinione pubblica italiana, o almeno quella che scorre ancora un quotidiano o guarda sonnecchiando un telegiornale, segue febbrilmente le sorti della riforma della legge elettorale, due notizie sono apparse questa settimana, sulle pagine dei giornali, come meteore che hanno lasciato dietro di loro solo polvere di stelle e nulla più.

La prima: Fiat, dopo aver terminato l’acquisto del 100% di Chrysler, ha deciso di spostare la sede legale in Olanda e la sede fiscale nel Regno Unito. Reazione del Governo italiano a questa notizia? La stiamo ancora aspettando. Nel senso che il premier Letta ha dichiarato che i vertici di Fiat l’avevano avvisato già qualche giorno prima (beato lui che era al corrente già da qualche giorno) e il ministro per lo Sviluppo Economico Zanonato ha dichiarato che vigilerà che tutta l’operazione rispetti la normativa vigente. Come se i vertici della Fiat fossero dei ragionieri delle scuole serali e prendessero una decisione che non rispettasse le leggi vigenti… Di fatto nessuna reazione. Dai sindacati invece è arrivato…. il medesimo atteggiamento. Preoccupazione espressa dai leader nazionali per l’occupazione degli operai in cassa integrazione e per gli investimenti promessi anni addietro e subitanea dichiarazione distensiva dei vertici di Fiat: non preoccupatevi, la scelta di de localizzare le sedi legali e fiscali non pregiudicherà gli investimenti in Italia. A dire il vero unica voce fuori dal coro quella della CGIL che ha toccato il tema del mancato gettito delle imposte che non saranno più versate in Italia, ma nessuno ha ripreso il ragionamento e tutto è tornato sotto silenzio.

Proviamo a fare un po’ di conti. Siamo andati a prendere gli ultimi dieci bilanci consolidati ufficiali del Gruppo Fiat dal 2003 al 2012 (si trovano facilmente su internet) e di seguito trovate i numeri (espressi in milioni di euro) delle imposte pagate dal Gruppo in Italia, dal 2003 al 2012. Una nota e una precisazione. La nota: per gli anni 2011 e 2012 non sono state conteggiate le imposte aggregate pagate da Chrysler, versate negli USA. La precisazione: nel 2004 il Gruppo non ha versato imposte causa le pesanti perdite registrate nei due esercizi precedenti, quando la Fiat rischiò il fallimento. Ecco i numeri:

Bilancio Consolidato GRUPPO FIAT Imposte versate in milioni di euro
ANNO 2003 650
ANNO 2004 zero
ANNO 2005 844
ANNO 2006 490
ANNO 2007 719
ANNO 2008 466
ANNO 2009 448
ANNO 2010 484
ANNO 2011 464
ANNO 2012 420

Siete riusciti a fare il conto del totale delle imposte pagate in Italia dal Gruppo Fiat in dieci anni? Sono state pari a quattro miliardi novecentottantacinque milioni di euro. Arrotondiamo a cinque miliardi. Diciamo che ogni anno il Gruppo paga, pagava all’Italia cinquecento milioni di euro di tasse. E consideriamo che gli ultimi dieci anni sono stati anni difficili e di crisi per il mercato dell’auto, in Italia e nel mondo. Ora Fiat si aspetta dall’unione con Chrysler anni in crescita, sia come vendite e sia come margini e quindi anche come tasse, che però da quest’anno andranno nelle casse del Regno Unito di Gran Bretagna. Non tutte, è vero. L’IMU sugli stabilimenti italiani continuerà ad essere versata in Italia, così come l’IRAP sui dipendenti italiani verrà versata in Italia, ma possiamo stimare una perdita, per il fisco italiano, del 50% di entrate fiscali da parte di Fiat? Secondo noi sì. Ma, badate bene, non è il mancato introito di per sé a preoccupare. E’ come questa situazione si è svolta: nell’assoluta indifferenza di tutti. Certo, gli organi di stampa ne hanno parlato, qualche politico e sindacalista nazionale ha fatto finta di indignarsi e poi più nulla.

Il fatto è che la scelta di Fiat di spostare le sedi legali e fiscali, pienamente legittima e legale, nulla di eccepire dal punto di vista formale, viene presa nei confronti di due Paesi facenti parte della Comunità Europea, non del Far East o del Sud America. E’ questo il nocciolo del problema: due Paesi nostri partner europei, con i quali ci sediamo gomito a gomito nei summit internazionali in Europa, ci hanno soffiato da sotto il naso la prima industria privata italiana (ex italiana) e noi non abbiamo preso nessuna contro misura. Qualcuno si è chiesto perché il management di Fiat abbia scelto una sede legale in Olanda? E perché sia stata scelta una sede fiscale in Gran Bretagna? E’ questa l’Europa unita che hanno sognato i nostri nonni, i nostri padri per noi? Davvero vogliamo un’Europa dove esistono Paesi che attirano le nostre migliori aziende, i nostri migliori asset, nel proprio territorio offrendo loro minori imposizioni fiscali, migliori legislazioni per l’industria, il commercio, i servizi? E come pensa il nostro Paese di reagire a questa concorrenza che non si può non definire sleale, perché viene portata avanti da Paesi nostri alleati all’interno della medesima Unione? Silenzio, nessuno risponde. In Parlamento sono tutti intenti a modificare la legge elettorale, fortunati loro… Noi intanto perdiamo il primo gruppo industriale italiano. Seguiranno altri l’esempio di Fiat? Pensiamo di no, in fondo chi ha mai seguito quello che decidevano gli Agnelli in Italia? Nessuno, ma proprio nessuno nessuno…

Seconda notizia: è stata data sui giornali in questi giorni la comunicazione della pubblicazione della ricerca realizzata da Prometeia e dall’Osservatorio dell’Università Bocconi sul tema: pressione fiscale, produzione industriale e occupazione. Cosa emerge da questo studio commissionato da un’azienda produttiva del milanese? Che in Italia le aziende che non hanno impianti produttivi nel nostro Paese hanno mediamente un’imposizione fiscale del 30%, mentre le aziende che producono e quindi di conseguenza assumono mano d’opera dedicata alla produzione, subiscono un’imposizione fiscale che si aggira sull’80%. Le cause? IRAP e IMU la fanno da padroni. E così sono penalizzate dal fisco italiano proprio le aziende che creano lavoro e quindi potrebbero dare vita alla ripresa economica e sociale del nostro Paese. La risposta a questo punto sarebbe ovvia: spostare la tassazione sulle aziende che non producono e non investono nel nostro Paese e liberare dalla pressione fiscale quelle che credono nella rinascita del nostro Paese e investono in Italia. E’ così difficile e complicata portare avanti quest’operazione? L’ormai celebre e famoso “Decreto del Fare” (a proposito, ma che fine ha fatto questo decreto?) non potrebbe iniziare da questa semplice manovra? I vari Grillo, Renzi, Alfano e Berlusconi che cosa hanno da dirci in merito?

Ah già dimenticavo, non si possono disturbare, in questo momento stanno scrivendo la legge elettorale…

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- Politica

Pierino e il lupo cattivo

Forse ha ragione Renzi. L'unico modo in Italia per cercare di smuovere le acque e riuscire a chiudere la riforma della legge elettorale e della rappresentanza popolare è trovare la quadra tra i due principali schieramenti politici (uno al governo e l'altro all'opposizione), blindare il tutto e cercare di far convergere su questo disegno quante più forze politiche possibili.

Vedremo se Renzi avrà ragione. Personalmente, per il bene del Paese, glielo auguro. Su due questioni, però, non sono in sintonia con Renzi: una più formale, l'altra sostanziale. La prima: Renzi poteva evitare di tenere l’incontro con Berlusconi nella sede nazionale del PD. Potevano incontrarsi da qualsiasi altra parte. Permettere al leader di Forza Italia di entrare nella casa della sinistra italiana è stato un gesto, generoso se vogliamo da parte di Renzi, che il fiuto politico di Berlusconi non si e' lasciato sfuggire. Inoltre, questa scelta discutibile non ha certamente giovato ai rapporti con la minoranza interna del PD che ha mal digerito la mossa politica del Segretario. Le dimissioni di Cuperlo ne rappresentano l'ultimo effetto. Il pragmatico Renzi in questo caso ha sottovalutato il valore simbolico dell'evento. Ma la “grande” politica è anche questo e Renzi farà bene a memorizzare l’errore.

La seconda questione è sostanziale: la rinuncia al sistema delle preferenze.

Qui Renzi poteva e doveva osare di più. Le liste bloccate, siano fatte di 5 o di 25 nomi, sono il punto di partenza dei disastri in cui versa la politica italiana. Un parlamento di nominati è un parlamento che alla fine rimane succube delle segreterie dei partiti. Aspetta l'input dai leader politici per decidere o non decidere su qualsiasi questione, come e' avvenuto in questi ultimi due mandati parlamentari. E' proprio il punto centrale che si deve abbattere per riconquistare l'interesse del popolo alla politica. Del resto il vituperato porcellum era odiato proprio per il sistema delle liste bloccate e dell’impossibilità di scelta del candidato da parte dell'elettore. Ed ora che siamo forse vicini a cambiare la legge elettorale, vogliamo mantenere in essere il punto più odioso della precedente legge?

Poco importa rispondere che il PD sceglierà i propri candidati con le primarie. Primo, abbiamo visto tutti i problemi che hanno avuto le primarie del PD, con accuse di brogli da Torino a Catania. Secondo, non tutti i partiti svolgono le primarie. Pertanto il problema rimane aperto. Renzi su questo punto sta sbagliando e farebbe bene ad ascoltare i suoi alleati di Governo, che su questo tema hanno compreso meglio i desiderata degli elettori, di destra, di centro e di sinistra.

In conclusione: bene Renzi nel suo tentativo a testa bassa di smuovere la situazione magmatica della politica italiana. Ci riuscirà? Non lo sappiamo, ma gli auguriamo di sì. Però deve stare attento a manie di protagonismo che potrebbero irritare oltre modo quelle forze che vogliono il cambiamento solo a parole. E molte di quelle forze Renzi se le trova in casa sua. Il passaggio parlamentare non è ancora iniziato e sarà lungo e difficile. La mancata elezione di Prodi a Presidente della Repubblica risale a pochi mesi fa…

Renzi al tempo stesso dovrebbe riconsiderare il sistema delle preferenze, altrimenti tutto quello che di buono sta cercando di fare risulterebbe vano. Forza Italia alla fine le accetterebbe, diversamente avrebbe difficoltà a giustificare ai suoi elettori il naufragio dell’accordo su questo punto.

Le prossime settimane saranno le più lunghe di questa legislatura, ancora un mese e sapremo se si andrà a votare in primavera o nel 2015.

Forza Italia (quella vera!)

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- Società

Cosa non si è portata via la Befana...

Chi sperava che la Befana, oltre alle feste, portasse via anche i malanni atavici (mal governo, mala giustizia, mala sanità e la lista la lasciamo aperta alla fantasia del lettore ché, tanto, la realtà la supera) che affliggono il nostro Bel Paese, è rimasto ancora una volta deluso…

Da Nord a Sud, da Torino a Trieste, il nostro Paese ha iniziato l’anno nel peggiore dei modi.

Siamo in balia di scandali politici che colpiscono Ministri, Presidenti di Regione, Consiglieri regionali, Sindaci; episodi di mala sanità degni di un Paese africano, il quale Paese africano ha dalla sua il fatto che non dispone dei fondi necessari per costruire l’ospedale; noi l’ospedale lo abbiamo, ma l’ascensore che ci porta in sala parto si guasta per mancanza di manutenzione e il bambino che dovrebbe venire alla luce, muore. Siamo un Paese dove i giudici amministrativi del Piemonte impiegano quasi quattro anni per dichiarare che le elezioni regionali, tenutesi il 28 e 29 marzo 2010, sarebbero da rifare perché illegittime. Sarebbero, perché c’è sempre il ricorso al giudice superiore che può ribaltare la prima sentenza. E noi quando sapremo se i consiglieri regionali sono stati eletti validamente oppure devono dimettersi? Alla fine della Legislatura?

Lo so, un marziano che sapesse leggere l’italiano e che avesse già avuto contatti con altri esseri umani, non crederebbe a quello che sto raccontando, perché lo troverebbe irragionevole, non confacente a quella parte dell’essere umano, l’intelletto, che lo distingue da tutti gli altri animali viventi sulla terra, eppure è così, noi italiani siamo fatti così.

E devo dire che anche a leggere le reazioni, certamente sdegnate e stupite, dei principali quotidiani, si nota ormai una certa rassegnazione strisciante. La gente, il popolo, poi non si indigna neanche più, occupato com’è a cercare di mettere insieme il pranzo con la cena.

Non parliamo poi di comminare sanzioni o condanne agli autori di queste azioni. Se mai l’opera della magistratura vedesse l’inizio, ci troveremmo di fronte i tempi lunghi della “giustizia italiana” (vedasi all’inizio mala giustizia) e quindi torniamo al punto di partenza.

Eppure la situazione meriterebbe d’essere presa di petto dal Governo Letta. Un’occasione come questa infatti non capiterà più all’Italia: o si approfitta veramente di un governo di grande coalizione per fare finalmente quelle quattro/cinque grandi riforme che il Paese aspetta da più di venti anni (nuova legislazione del lavoro, riforma dei costi dell’amministrazione dello Stato, riforma del Parlamento e della legge elettorale, riforma della giustizia per poi arrivare, con i fondi risparmiati, a riformare il sistema della tassazione in generale), oppure la prossima volta temo che ad obbligarci a farle sarà la Commissione europea. E la situazione potrebbe essere peggiore per gli italiani. Il Governo dei quarantenni non può permettersi di fallire questa grande occasione. Le alternative semplicemente non ci sono, non si può invertire il senso di marcia, l’uscita dal tunnel è dritta davanti a noi. E bisogna accelerare.

A proposito: tra pochi mesi si rinnoverà il Parlamento europeo: altra occasione da non sprecare. Cerchiamo di dare il voto a quei partiti che mettono in lista persone valide e credibili che sappiano far valere in Europa le nostre idee e i nostri diritti di italiani. Almeno in questa occasione, dove non ci sono in ballo direttamente interessi di quartiere, cerchiamo di fare un piccolo sforzo e di informarci sui curricula dei candidati della nostra circoscrizione e votiamo quello che ci sembra il più valido. Sarà un modo anche questo per far capire alle segreterie dei partiti che la festa è finita, per noi ma anche per loro.

Meditate gente, meditate.

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- Politica

Aspettando il 2014...

Ancora una manciata di giorni e poi anche il 2013 sarà consegnato alla storia.

Non che sarà ricordato come un anno strepitoso, questo 2013, almeno dagli italiani. La crisi economica non ha mollato la presa, anzi. La disoccupazione è aumentata, le aziende, piccole, medie e grandi fanno fatica a mantenere la competitività sui mercati, vessate da costi interni al nostro sistema Paese che ne impediscono la concorrenza con le altre aziende europee e mondiali.

Politicamente, archiviato il governo dei tecnici che ha deluso la maggioranza degli italiani, il 2013 ci ha proposto un governo di larghe intese, di unità nazionale si sarebbe detto una volta, per affrontare uniti le grandi sfide che ci attendono. E poi l’uscita dalla scena politica di Berlusconi e l’ultimo atto del “Porcellum” che di fatto obbligherà finalmente il Parlamento, non delegittimato di diritto, ma sicuramente da un punto di vista politico, a por mano alla riforma della legge elettorale.

Eppure qualcosa di positivo questo 2013 lo lascerà nella politica italiana.

Primo: il movimento dei 5 stelle si è messo finalmente a nudo: entrando con numeri importanti nel Palazzo, ha rivelato tutta la sua debolezza e tutti i suoi limiti. Da forza che poteva essere propulsiva per un cambiamento reale della politica italiana, si è dimostrato essere ancora un movimento di persone politicamente immature, tradendo il desiderio di novità che aveva indotto gli italiani a votarlo.

Secondo: l’uscita dalla scena politica di Berlusconi ha portato nel centro destra italiano uno stravolgimento di alleanze e la nascita di formazioni politiche che potrebbero portare nel 2014, in occasione delle elezioni politiche per il Parlamento europeo, ad un inedito e vasto fronte anti euro.

Proprio il tema dell’euro è, a nostro giudizio, il nodo fondamentale da affrontare e da studiare per avere le idee chiare sulle politiche da attuare nei prossimi anni per uscire dalla crisi, in Italia, ma anche nel resto d’Europa. Senza timori reverenziali verso nessuno. Certamente questa non è l’Europa che moltissimi italiani avevano in mente trenta, venti e anche solo dieci anni fa. E del resto la situazione politica non è fluida solo in Italia, se è vero che anche nella grande Germania, dove si è votato per il rinnovo del Bundestag il 22 settembre, ad oggi la Cancelliera Merkel, esponente del partito di maggioranza relativa, non è stata ancora in grado di formare un Governo. Sintomo che la situazione politica non è difficile solo in Italia e gli interessi in gioco sono molteplici e divergenti un po’ ovunque.

Una considerazione la possiamo svolgere sull’azione del Presidente Napolitano, costretto suo malgrado dall’incapacità del Parlamento di trovargli un successore, ad un secondo mandato presidenziale. Se da un lato ha cercato di colmare, con il suo agire, le deficienze attuali della classe politica, dall’altro con l’esperienza del Governo Monti prima e del Governo Letta poi, non ha convinto fino in fondo gli italiani sulle scelte effettuate. Ad uscirne ridimensionata è stata proprio la figura del Presidente della Repubblica e difficile sarà per Napolitano recuperare quella credibilità di cui godeva presso gli italiani ad inizio anno.

E infine Matteo Renzi, classe 1975, il nuovo politico che avanza, il sindaco di Firenze che finalmente ha conquistato a suon di preferenze, la segreteria del Partito Democratico. Saprà mantenere le promesse fatte in campagna elettorale (quella interna al PD) senza spaccare il partito? Lo scopriremo nel corso del 2014.

Per ora assistiamo ad un auspicato rinnovamento anagrafico di una parte della classe politica italiana: oltre a Renzi infatti anche la Lega Nord ha eletto il suo nuovo segretario, Matteo Salvini , classe 1973 e il Nuovo Centro Destra, che non ha aderito a Forza Italia, ha come suo leader Angelino Alfano, classe 1970.

A questo punto speriamo che il 2014 sia veramente un anno di svolta per la politica italiana e che i nuovi attori siano all’altezza delle aspettative. Lo meritiamo noi, lo merita l’Italia.

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- Società

A tu per tu con Davide Morosi

Oggi incontriamo Davide Morosi, 44 anni di origine milanese, ha conseguito la laurea in Economia Scienze Bancarie ed Assicurative. La prima esperienza professionale è presso Assicurazioni Generali spa presso la quale lavora fino al 1998. Prosegue la sua attività professionale in altre importanti realtà del settore, italiane ed internazionali, dove ricopre ruoli crescenti in ambito commerciale-marketing e nella formazione delle reti di vendita. Nel 2004 ha pubblicato una breve guida dal titolo "Conoscere le Assicurazioni", insieme alla rivista Espansione. Appassionato della materia previdenziale, da circa un anno svolge attività di formazione manageriale con particolare focus sull'evoluzione del sistema previdenziale italiano e sull'offerta di soluzioni di secondo e terzo pilastro (previdenza complementare).

D.: Non più tardi di quindici giorni fa il Presidente dell'INPS Mastrapasqua ha lanciato un allarme sulla stabilità futura dei conti dell'INPS, subito ridimensionato a "problema tecnico" da parte del Ministro dell'Economia Saccomanni. Davide: come stanno le cose oggi in Italia. Gli italiani possono dormire sonni tranquilli?
R.: Cosa dire, è di Maggio 2013 il primo vero “alert” di Mastrapasqua… Una sorta di “messaggi in codice” alla politica per segnalare una situazione non facile relativa alla gestione del super ente di previdenza pubblica (INPS) chiamato, va ricordato, a garantire prestazioni non solo pensionistiche ma anche altre, più di natura assistenziale (ammortizzatori sociali, maternità, ecc.) con oneri non trascurabili. In pratica, qualche mese fa nelle casse previdenziali pubbliche iniziava a scarseggiare la liquidità. L'allarme lanciato da Antonio Mastrapasqua, presidente dell'Inps, era determinato dal fatto che "il patrimonio netto" rimasto "era sufficiente a sostenere una perdita per non oltre tre esercizi", cioè fino al 2015. Pensioni assicurate, quindi, fino e non oltre il 2015. Tutto ciò in primis a causa della fusione Inpdap-Inps, ovvero l'ente previdenziale dei dipendenti pubblici con la previdenza privata. Una fusione voluta dalla manovra Salva-Italia del 2011 (Governo Monti-Fornero) che non ha cancellato il buco di 23 miliardi di euro, equivalente al debito che lo Stato ha nei confronti dei contributi previdenziali per i suoi dipendenti. Buco che ora grava nelle casse del SuperInps, con il rischio di non riuscir più a pagare le pensioni per i prossimi anni se non verranno fatti interventi a carattere urgente per risanare i conti. Si deve tener conto, inoltre, della perdita patrimoniale dell'Inps, di 10 miliardi, che ha fatto scendere le riserve dell'Inps da 41 miliardi nel 2011 a 15 miliardi nel 2012, quasi il 64% in meno in due anni. Una situazione preoccupante per gli italiani, è la domanda? Mastrapasqua ha recentemente affermato di no, ma alcuni fattori non fanno stare al 100% sereni: la crisi economica del Paese non è ancora terminata e lo sviluppo non riparte (anzi, molte imprese chiudono anche nel 2013), l'occupazione è in calo (il peggior dato a livello generale dal 1977 e drammatica quella giovanile, 18-24 anni, pari ad oltre 41%). Tutto ciò si ripercuote sulla contribuzione che si contrae mentre aumenterà, a breve, il numero di chi matura il diritto alla pensione… Un problema che si può, ovviamente, risolvere senza lasciare pensionati senza assegno mensile. Ma come? Bè, senza dirlo apertamente, attraverso trasferimenti all’INPS dallo Stato centrale che significa, in parole semplici, fiscalità generale: tasse!

D.:Ormai è chiaro a tutti che, gli assegni pubblici (quelli erogati dall'INPS) che riceveremo quando andremo in pensione non copriranno più l'80% dell'ultimo stipendio percepito, ma anzi la copertura si avvicinerà al 50% se non meno. Verrebbe quindi spontaneo pensare ad integrare questo gap con forme alternative di risparmio che, una volta giunto il tempo della pensione, integri quest'ultima. Gli italiani hanno percepito secondo te l'importanza di questo tema?
R.: La situazione descritta è quella corretta. I tassi di sostituzioni attesi (lavoro/pensione) a seguito della riforma Fornero, prevedono per chi lavora e versa contributi all’ente pubblico di previdenza per 40 anni un assegnato molto vicino al 50% dell’ultimo reddito. Bè, va ricordato che oggi e in futuro sarà difficile, rispetto a quanto succedeva in passato, a causa della flessibilità e della precarietà del lavoro, lavorare per 40 anni continuativi senza “periodi” inoccupati. Con risultati negativi ed intuibili in termini pensionistici. Da queste considerazioni nasce pertanto la necessità di approfondire l’argomento, aumentare la consapevolezza della situazione e capire se esistono strumenti adeguati in grado di dare risposte concrete in termini di pensione. La situazione attuale è chiara ma poco promossa nel nostro Paese che risulta essere, in un confronto con i Paesi OCSE, uno degli ultimi nel rapporto tra volumi investiti nella previdenza complementare e PIL. La previdenza complementare, infatti, è stata avviata a metà degli anni ’90 e poi migliorata all’inizio del 2005 con interventi sulla fiscalità e sulla flessibilità ma oggi, nel 2013, dopo quasi 18 anni dalla sua introduzione, è ancora poco utilizzata dai lavoratori italiani perché poco sensibilizzati sull’argomento e molti in possesso di conoscenze molto limite sull’argomento. Di fatto, sono presenti sul mercato interessantissime soluzioni che mirano ad integrare la pensioni pubblica. Esse offrono importanti vantaggi fiscali nelle tre fasi: versamento, accumulo e liquidazione a scadenza. In estrema sintesi, ricordiamo che nella prima fase è prevista la possibilità di dedurre dal reddito personale i versamenti a forme di previdenza complementare (Es: Fondi Pensione Aperti e P.I.P. – Piani individuali Pensionistici) con percentuali che variano dal 23% al 43% annuo fino a 5.164 euro annue come importo massimo versato. Nella fase di accumulo, invece, è stata riservata a queste forme una tassazione molto favorevole sugli interessi annui maturati (capital gain) pari all’11%, facendo entrare queste soluzioni previdenziali tra le migliori sul mercato, in confronto con altri strumenti di risparmio finalizzato. Infine, alla scadenza, è prevista una tassazione agevolata, pari al 15% della somma di tutti i versamenti effettuati fino a 15 anni di permanenza nel fondo pensione con un abbattimento di questa aliquota dello 0,30% annuo per ogni anno di permanenza nel fondo oltre il quindicesimo; ad esempio, un piano previdenziale di questo tipo, dopo 35 anni di versamenti, beneficerà di una tassazione pari al 9% che è decisamente favorevole se si confronta con quanto dedotto nel corso degli anni.

D.: I più penalizzati in questo periodo di crisi economica sono i giovani che faticano a trovare un lavoro "stabile", ancorché precario, che permetta loro di pensare al futuro. Questa generazione come dovrebbe affrontare, secondo te, il tema previdenziale e pensionistico se non può contare su entrate certe e stabili?
R.: Abbiamo già fatto un accenno ai giovani, i quali, di fatto, sono oggi le persone più penalizzate in termini previdenziali. Le ragioni le ho già indicate nella precedente risposta. Mi limito pertanto a dire che se un genitore o un nonno con un discreto stipendio o una buona pensione (oppure con patrimonio accumulato negli anni) decidesse oggi di “far avviare” una forma di previdenza previdenziali a favore di un figlio o di un nipote in precarie condizioni lavorati o in fase di ricerca di un lavoro, sicuramente farebbe un’azione solo utile, con vantaggi sia di natura fiscale sia di lungo periodo; che come si può immaginare è il migliore ed unico vero alleato nelle scelte di pianificazione previdenziale (più tempo ho a disposizione meglio è!).

D.: Pensare oggi al proprio domani, al proprio futuro pensionistico, magari lontano ancora decenni, può sembrare inutile. Invece è proprio all'inizio dell’ attività lavorativa che si dovrebbe impostare la costruzione di una rendita integrativa personale da affiancare alla pensione pubblica. E' un cambiamento culturale, di mentalità, che gli italiani al momento non hanno ancora acquisito, mentre in altri Paesi europei è diventato lo standard. In questo senso, sono proprio i giovani quelli più bisognosi di integrare da subito la pensione pubblica. Tu cosa consiglieresti ad un giovane di venticinque anni che si affaccia al mondo del lavoro oggi?
R.: Nel nostro Paese, purtroppo, non c’è ancora una cultura previdenziale diffusa. Non ricordo molti corsi scolastici (nelle scuole superiori o all’Università) che consentano di costruirsi nel tempo una conoscenza su questa importante tematica e che aiuti gli individui, soprattutto quelli giovani, a formare una capacità critica per valutare la situazione e poter prendere decisioni per il loro “domani”, molto lontano, come la cosiddetta fase di quiescenza. All’estero questo processo è in corso da decenni, favorito certamente da un livello di Welfare State inferiore al nostro, il quale, tuttavia, oggi sembra aver raggiunto la cima e appare ormai evidente che inizia a scendere e a ridursi. Dare consigli su queste tematiche a chi ha venticinque anni è abbastanza arduo visto che di norma chi si affaccia al lavoro a questa età non ha certo una condizione economica brillante nei primi anni di lavoro. Quello che però mi sento di poter dire ad un giovane è quello di iniziare ad informarsi il prima possibile, attraverso persone competenti, su questa materia. Rimandare nel futuro una scelta, in termini previdenziale significa “spostare semplicemente nel tempo un problema personale” (di 5, 10 o 15 anni) che dopo anni si riproporrà inesorabile con “dimensioni” sempre più elevate; a certe età poi, esempio 50-55 anni, inizia a diventare di difficile risoluzione una scelta previdenziale visti gli impegni nel frattempo assunti sul piano personale (famiglia, figli, indebitamenti ed impegni finanziari, ecc.). Chiedere, informarsi e capire perché un venticinquenne all’estero conosce questa materia più di un italiano e decidere quando poter iniziare a fare scelte di previdenza integrativa (o complementare) è già una grande conquista per un venticinquenne. Molti giovani, approfondendo questi argomenti con attenzione, alla prima occupazione potrebbero da subito destinare il TFR (Trattamento di Fine Rapporto, valore riconosciuto per legge) a forme di previdenza integrativa e sfruttare così i tanti anni a disposizione prima della pensione senza aggiungere, nei primi anni di lavoro, altre quote viste le modeste remunerazioni.

D.: Ultima domanda: quando si parla di forme pensionistiche private, molti si pongono questo quesito: chi mi assicura che tra 40/50 anni la Compagnia di assicurazioni privata cui ho versato ogni mese una quota della mia retribuzione esisterà ancora? In questi anni è stato fatto qualcosa nel mondo delle Assicurazioni per proteggere in totale sicurezza i contributi versati dai clienti?
R.: Non è possibile prevedere il futuro in generale e tanto meno quello che si verificherà tra 40/50 anni al comparto assicurativo. Quello che però mi sento di evidenziare è che le Compagnie di Assicurazioni private sono obbligate, oggi, ad operare secondo criteri molto più stringenti del passato. Sul piano della trasparenza dell’offerta e della confrontabilità dei prodotto, negli ultimi 5-6 anni sono state introdotte importanti novità. Non tutti possono, infatti, vendere polizze o piani di previdenza integrativa ma solo “soggetti” cosiddetti abilitati e iscritti in un apposito Registro (Registro intermediari IVASS) che impone sia precisi requisiti personali, indispensabili per poter iniziare questa attività, sia professionali con l’obbligo della formazione iniziale (di 60 ore) e di quella annuale di aggiornamento (di 30 ore). Un mercato che sta, quindi, lentamente “maturando” a favore del consumatore finale. I clienti oggi possono comprendere sempre meglio quello che decidono di sottoscrivere e, parlando di soluzioni di previdenza integrativa, possono anche interrompere la scelta inziale per trasferire la posizione presso un altro assicuratore. Tutto ciò, ovviamente, senza alcun onere, generando così una concorrenza di un livello professionale sempre più elevato. Non sono in grado di dire cosa accadrà ai risparmi accantonati tra 40/50 anni ma posso affermare che ogni cliente di queste forme previdenziali può controllare ogni anno la sua situazione e, se non pienamente soddisfatto, decidere di cambiare Compagnia. Un ottimo modo, quindi, per tenere sempre sotto controllo le proprie scelte e mettere in concorrenza tra loro, annualmente, i diversi operatori di mercato. In fondo l'INPS richiede oltre 40 anni di impegni rigorosi (accantonamenti obbligatori) senza offrire alcuna "flessibilità" durante il percorso.

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- Sanità

Italiani e Greci, una faccia una razza?

Italiani e greci, una faccia una razza recitava il ladruncolo Aziz in “Mediterraneo” di Gabriele Salvatores.

A sentir paragonare la situazione di crisi economica che sta attraversando la nostra amata Italia a quella che ha investito la Grecia, i nostri politici nazionali, di destra, di centro e di sinistra, si arrabbiano, si gonfiano il petto e gridano a squarciagola un sonoro NO! L’Italia non è paragonabile alla Grecia. Ne siamo proprio sicuri? Prendiamo ad esempio l’ambito socio assistenziale sanitario che interessa, trasversalmente, un po’ tutta la fascia medio bassa della popolazione, quello che una volta si diceva il ceto medio. Quello benestante è come sempre un caso a parte.

In Grecia è cosa ormai nota, a seguito dei tagli del Governo alla spesa sanitaria, un terzo dei greci è privo di qualsiasi copertura sanitaria. Anche i farmacisti, che vantano crediti non rimborsati verso lo Stato per oltre un miliardo e trecento milioni di euro, rifiutano di dispensare gratuitamente i farmaci rimborsabili. E in Italia? Certamente non siamo a questo punto, ma anche da noi i tagli alla sanità e all’assistenza sociale incominciano a farsi sentire.

E allora può capitare che la Regione Lombardia, la regione d’Italia con il PIL più alto delle altre Regioni e con una struttura sanitaria e assistenziale che eroga prestazioni e servizi di alto livello riconosciuti da tutti, approvi la Delibera num. 740 del 27/09/2013 in materia di nuove regole e misure di sostegno per le persone con disabilità gravi e gravissime tra cui sono fatte rientrare anche le persone affette da SLA e da altre malattie del motoneurone. (http://www.handylex.org/regioni/lombardia/norme/r270913.shtml).

Questa Delibera della Regione Lombardia a sua volta recepisce le norme presenti nel Decreto interministeriale del 20/03/2013 firmato in zona cesarini dai Ministri ormai politicamente “scaduti” del Governo Monti che nei fatti, riduce per il 2013, di euro 631.662.000 gli stanziamenti per il Fondo per le non autosufficienze. ( http://www.lavoro.gov.it/Strumenti/normativa/Pages/default.aspx )

E allora, a seguito di questo taglio cospicuo dallo Stato alle Regioni, peraltro rivolto verso cittadini già fortemente svantaggiati nella propria vita quotidiana, come decide di muoversi la Regione Lombardia?

La Regione Lombardia decide di modificare il precedente piano di intervento e sostegno ai soggetti con SLA. Tali soggetti prima erano suddivisi in quattro scaglioni, per livello di disabilità e per fasce di reddito, e percepivano un contributo variabile da 500 a 2.500 euro a secondo della gravità della disabilità e del reddito percepito. Dal mese di ottobre 2013, anche se molti beneficiari sono stati informati con lettera raccomandata ricevuta solo a novembre, i livelli di disabilità sono soltanto due, i gravi e i gravissimi e i contributi sono “a pioggia” di 800 e di 1.000 euro. Tutti gli altri malati non hanno più diritto ad alcun tipo di contributo.

Peccato che questi fondi servono alle famiglie per mantenere in casa la persona disabile e cercare di fargli avere una vita la più normale possibile. Cosa costerebbe allo Stato gestire in RSA (residenze assistite) queste persone. Le stime dicono circa 400 euro al giorno per persona di sola sistemazione alberghiera.

Infine c’è un aspetto non secondario da considerare. Le strutture capaci di accogliere e gestire malati di SLA ad uno stadio grave o gravissimo della malattia sono pochissime in Lombardia, non parliamo dell’ Italia nel suo complesso.

Se prima un nucleo familiare di un malato gravissimo di SLA, parliamo sempre della Regione Lombardia, poteva arrivare a percepire 2.500 euro al mese (teniamo conto che un malato gravissimo di SLA deve avere almeno due persone che ruotano in casa per fornirgli assistenza h. 24) ora al massimo ne potrà ricevere 1.000 euro. E questo cosa potrebbe comportare? Potrebbe comportare che un malato che non voglia pesare economicamente sulle spalle della sua famiglia ben sapendo che questa non è in grado di sostenere le spese per la gestione della sua gravissima disabilità (parliamo di persone sottoposte a tracheotomia e ad alimentazione tramite sondino gastrico) decida di non farsi operare e di lasciarsi morire.

Non stiamo parlando di casi rari, ormai purtroppo queste malattie, come la SLA, si stanno diffondendo tra la popolazione e non si possono più considerare malattie rare.

Ci rendiamo conto che la Regione Lombardia è costretta a fare i conti con gli stanziamenti statali che ogni anno sono sempre inferiori, però forse un più attento esame della situazione riguardante l’assistenza a questi malati gravemente disabili, e mi riferisco in particolar modo ai malati di SLA, potrebbe portare ad una migliore ridistribuzione delle risorse disponibili.

Resta a monte il fatto che tagliare fondi importanti, ma risibili se paragonati al bilancio dello Stato, a cittadini già fortemente segnati a causa della malattia che li ha colpiti, non per colpa loro, è un’operazione di vigliaccheria sociale che nessun partito politico, di destra, di centro o di sinistra, dovrebbe avere il coraggio di approvare.

Italiani e greci, una faccia una razza?

Per ora forse no, ma la situazione è in triste evoluzione.

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- Società

La Grande Mela

Sabato sera alzo gli occhi dallo schermo del portatile poggiato sulla scrivania di casa, colpito da una sensazione di vuoto, attorno a me il silenzio. Mi guardo intorno: la mia famiglia, in via del tutto eccezionale, era riunita nella medesima stanza, la sala.

Mia figlia stava sorridendo sotto le cuffie mentre guardava un video su YouTube al suo MacBook. Mio figlio stava chiacchierando su WhatsApp con i suoi amici utilizzando il suo iPhone, mentre mia moglie leggeva sul suo iPad l'ultimo post pubblicato dalla sua amica giapponese sul suo blog.

Eravamo tutti e quattro a meno di due metri l'uno dall'altro e contemporaneamente tutti noi eravamo lontani chilometri, o migliaia di chilometri, dai nostri interlocutori digitali.

Ma la cosa che più mi ha colpito quel sabato sera è stato il silenzio.

In sala, il grande fratello che da 47 anni mi tiene discretamente compagnia tutte le sere, la televisione, era spenta: nessuno aveva sentito la necessita' di accenderla.

Ora, attenzione: il sito di YouTube nasce nel 2005; il primo MacBook appare nel 2006; il primo modello di iPhone è del 2007 mentre il primo iPad viene presentato nl 2010. L’App di WhatsApp si è diffusa a partire dal 2012.

Non sono passati dieci anni dalla nascita di YouTube e dall’avvento di nuovi prodotti tecnologici che, tra l’altro, non sono neanche stati pensati come alternativi alla televisione, che la regina delle nostre case, la televisione appunto, il sabato sera, la sua sera per definizione, è rimasta muta.

Questi cambiamenti nello stile di vita di una famiglia, se consideriamo che vanno ad incidere su abitudini ormai consolidate da decenni e quindi in teoria molto lente da modificare, si possono considerare eccezionali dal punto di vista della velocità con cui si stanno verificando.

Ma se la società italiana, nel suo livello primario, singola persona, famiglia, si è dimostrata in questi anni molto sensibile e favorevole in generale al cambiamento dei propri stili di vita, nel suo livello secondario, in teoria più evoluto, mostra invece caratteristiche ostili al cambiamento.

L’Italia del 2013 è rimasta l’Italia delle corporazioni, non quelle esistenti al tempo del fascismo, ma quelle esistenti nel Medio Evo: Magistrati, Farmacisti, Giornalisti, Avvocati, Medici, Commercialisti, siano essi di Destra o di Sinistra.

Mi fermo, non perché siano terminate le categorie ostili al cambiamento del nostro Paese, mi fermo per non annoiare il lettore con un elenco infinito.

Solo una considerazione: nell’elenco non compaiono i Politici per un solo motivo. Spetterebbe alla politica proporre le soluzioni per creare, oggi, le basi per una società migliore domani, non la migliore in assoluto, ma la migliore possibile partendo dalla situazione attuale. E non sarebbe poco…

Purtroppo, ogni volta che i politici tentano di portare avanti una riforma che, in qualche modo, tocca gli interessi di una categoria ormai consolidata da tempo nel suo “potere” politico ed economico, ecco che la Politica fa un passo indietro e tutto si blocca. La Riforma non passa.

Cane non mangia cane, dice il proverbio e così il nostro Paese precipita nelle classifiche mondiali dalle prime posizioni a quelle inferiori, in qualsiasi settore preso in esame.

Consoliamoci con l’ultimo modello di iPhone, almeno quello è una garanzia, lo usano tutti, per ora nessuno si sogna di boicottare la Grande Mela!

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- Economia

A tu per tu con Maurizio Gemelli

Quest'oggi incontriamo Maurizio Gemelli, Segretario Territoriale FIBA/CISL di Milano Metropoli e Responsabile FIBA/CISL nel Gruppo Deutsche Bank. Con lui vogliamo approfondire le ragioni del prossimo sciopero nazionale dei bancari, indetto da tutte le Organizzazioni Sindacali per il prossimo 31 ottobre 2013.

D.: Maurizio, dopo anni di pax sindacale tra banchieri e bancari, il prossimo 31 ottobre è stato indetto da tutte le sigle sindacali dei bancari uno sciopero generale. Ci puoi brevemente spiegare i motivi della rottura di questa pax e le ragioni dello sciopero?
R.: Le ragioni dello sciopero generale sono da ricercare tutte nella decisione di ABI di disdettare il Contratto Nazionale di categoria (addirittura dieci mesi prima della sua scadenza) e, ancor più grave, di non riconoscere più l’ultrattività del vigente Contratto fino al suo rinnovo. In pratica, se passasse l’impostazione di ABI, la categoria al 1 luglio 2014 rischierebbe di trovarsi senza il suo Contratto Collettivo. Prendendo spunto dalla tua definizione di “pax”, possiamo dire che ABI ha deciso di buttare all’aria un periodo di concertazione durato quasi un quindicennio.

D.: Ancora oggi è opinione abbastanza corrente che la categoria dei bancari goda di privilegi "esagerati" e "non totalmente meritati" rispetto alla situazione attuale del mercato del lavoro. La stessa ABI lamenta negli incontri con le sigle sindacali che il personale delle banche è poco incline al cambiamento, culturalmente inadeguato ad affrontare le sfide del futuro perché troppo anziano. Che opinione ha il sindacato in merito?
R.: Evidentemente la nostra opinione è diametralmente opposta. E non certo per spirito di parte ma per una evidente somma di considerazioni. Con le riorganizzazioni dell’ultimo quindicennio la categoria si è profondamente rinnovata con l’ingresso di colleghi giovani, decisamente aperti alle novità e pronti a mettersi in gioco. E posso senz’altro confermare che questa capacità di essere pronti al cambiamento e al nuovo modo di fare banca è comune anche ai colleghi meno giovani che hanno dimostrato e dimostrano tutti i giorni di sapersi confrontare con i cambiamenti. Semmai il problema anagrafico mi pare sussista nei vertici delle Banche che contano esponenti non certo giovani…anzi. Quanto al fatto che i bancari siano una categoria di privilegiati, beh…evidentemente si tratta di una convinzione basata su una analisi vecchia almeno venti anni. Dal 1991 la nostra categoria è soggetta all’applicazione della Legge sui licenziamenti collettivi che fanno apparire decisamente “giurassici” i tempi del cosiddetto “posto in banca sicuro come in cassaforte”. E anche le cifre che appaiono sui media sulle retribuzioni medie del settore appaiono quantomeno “omissive” sul fatto che le somme che si leggono includono le retribuzioni degli altri Dirigenti che, come noto, percepiscono emolumenti stratosferici.

D.: Nonostante la notizia della disdetta del contratto di categoria da parte dell'ABI sia stata data da tutti gli organi di informazione, si ha l'impressione che pochi abbiano ancora colto come la soluzione di questa vertenza avrà ripercussioni vitali sul futuro che la nostra economia, la nostra crescita del PIL potrà avere o non avere nei prossimi mesi. Perchè è importante comprendere che dalla soluzione che daremo a questa questione, dipenderà in parte il benessere futuro dei lavoratori italiani, delle famiglie italiane?
R.: Sono d’accordo su quanto dici in merito al fatto che non si colga a sufficienza l’impatto di questa situazione. Mi pare che non venga adeguatamente messo in rilievo (parlo dei media) il pesante impatto che le scelte delle Banche e, in questo caso, di ABI scaricano sul Paese. Basti guardare quanto incidono sulla nostra economia i mancati aiuti agli investimenti produttivi e alle aziende da parte del sistema creditizio che, anche dopo l’inizio della crisi, continua a percorrere un modello che privilegia l’aspetto squisitamente finanziario (e a volte speculativo) a discapito di un modello “retail” che, soprattutto in Italia, rappresenta la base per qualsiasi ipotesi di sviluppo.

D.: In questi anni di crisi economica le banche sono state messe sotto accusa da più parti. Alcuni pensano che sia stato troppo oneroso per la collettività salvare le banche in crisi e che si doveva lasciar fare al mercato. Altri invece ritengono che il sistema economico non avrebbe retto al fallimento delle banche e che queste andavano salvate ad ogni costo. Come giudica il sindacato quello che è stato fatto in questi anni rispetto al salvataggio delle banche e come si immagina la banca tra dieci / quindici anni?
R.: L’intervento pubblico per il salvataggio delle banche (intervento registrato pressoché in tutto il mondo) credo sia stato certamente oneroso ma in un certo senso inevitabile. La profonda connessione che lega il sistema creditizio al tessuto produttivo è innegabile e pertanto sarebbe stato disastroso “girare la faccia dall’altra parte”. Detto questo, come Sindacato siamo profondamente contrari ad aiuti che rischiano di perpetuare un modo di fare banca che non sostiene il Paese e il suo sviluppo. Per questo noi sosteniamo un progetto che rimetta al centro il ruolo propulsivo delle Banche come elemento di sviluppo economico del Paese e del territorio. Noi immaginiamo un modello di Banca che coniughi l’attenzione all’innovazione e alle tecnologie “on line” con un confermato radicamento sul territorio a sostegno dell’economia e dello sviluppo. Non si può immaginare una banca che non faccia quello che è per definizione il “suo mestiere” e cioè raccogliere risparmio ed erogare credito.

D.: Un'ultima battuta finale sulla disdetta del contratto da parte dell'ABI: in epoca di larghe intese (politiche - Governo Letta insegna) come giudichi questa linea di rottura portata avanti dai banchieri che interrompe una lunga serie di anni dove la concertazione sindacato - ABI aveva prodotto concreti risultati per esempio nella gestione degli esuberi senza gravare sulla collettività (leggi cassa integrazione)?
R.: Come dicevo prima, ABI ha scelto di gettare alle ortiche una esperienza di confronto, anche duro, ma sempre ispirato alla ricerca di soluzioni condivise. E questo vale ancora di più dal punto di vista delle garanzie occupazionali e della gestione degli eventuali esuberi. Il nostro Fondo di Solidarietà è stato in questo senso “centrale” nel governo delle tensioni occupazionali.

D.: Sei fiducioso per il futuro?
R.: Non posso non esserlo. Anche in questo momento di crisi e di difficoltà non vedo altra soluzione se non quella di andare tutti nella stessa direzione per uscire da questa situazione tutti rafforzati. Le banche devono riprendere a crescere e a fare credito, il Paese deve finalmente imboccare la strada della ripresa e i lavoratori devono essere parte centrale di questo progetto. Il Sindacato ci crede e la sfida che avanziamo alle banche è di crederci insieme, senza strappi o scelte di contrapposizione. Lo sciopero del 31 sta a significare proprio questo: la risposta conflittuale a chi questo conflitto lo vuole (Abi). Ma dopo il 31 ci aspettiamo che le banche cambino registro!

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- Società

Lampedusa e il potere della TV

Nel 1976 il grande Sidney Lumet ci regala uno dei suoi capolavori: Quinto potere, un film sul potere dei mass media e della televisione in particolare. Nel 1977 vincerà quattro Oscar, il Golden Globe e altri prestigiosi premi. Purtroppo la televisione italiana, presa nel suo insieme, pubblica e privata, non ama trasmetterlo frequentemente, e a ragione, visto che sul banco degli imputati c’è proprio lei, la televisione. Vi suggerisco di rivederlo, vi accorgerete del carattere profetico della pellicola che sembra raccontare una storia contemporanea e non datata 1976.

Perché mi è venuto in mente il film? Semplice, riflettendo sul caso Lampedusa.

Quello che sta accadendo in queste settimane a Lampedusa, così ben documentato da squadre attrezzate di giornalisti e commentatori, avviene da venti anni. Avete letto bene: venti anni. E’ dagli anni novanta che poveri cristi lasciano le proprie case e i propri affetti, i propri legami parentali e tentano la sorte in Paesi più “ricchi” che possono offrire, soprattutto ai giovani, un futuro migliore. Da cosa fuggono questi giovani? Dalla povertà, concreta, reale, fisica, ma anche dalla povertà di aspettative, di opportunità, di scelte. Fuggono dalla guerra, dalla brutalità della guerra che in alcuni Paesi, vedi Eritrea e Somalia per esempio, dura da venti anni. Fuggono dalla schiavitù fisica e morale che in alcuni Paesi impedisce il normale svolgersi di una vita che si possa definire civile. Fuggono da Governi nazionali che per decenni, da quando hanno ottenuto la fine del Colonialismo, si sono sostituiti ai governanti europei occupanti, continuando a vessare il popolo come accadeva in passato. Corrono verso il mondo nuovo, attraente, accattivante che la televisione satellitare mostra loro, mentre sono seduti in un bar polveroso a bere una birra perché non c’è molto altro da fare nella loro città.

Affrontano migliaia di chilometri con ogni mezzo di locomozione per arrivare sulle rive del Mare Nostrum, che è però di tutti, non solo Nostrum, e qui, non trovando altri mezzi, ripeto, non trovando traghetti o navi da crociera, si affidano a uomini senza scrupoli che sfruttano la loro voglia di cambiare vita.

Per molti di questi, i più sfortunati (ma non ne sono sicuro), la vita terminerà in mare aperto, per altri, i più fortunati (ma non ne sono sicuro) sulla banchina di un porto italiano. E qui mi fermo.

Immenso è il dolore che provocano in ogni cuore questi viaggi della speranza. E’ forse un delitto essere nati in Somalia, in Eritrea, in Siria? Quali colpe deve scontare dalla nascita un bambino egiziano, un ragazzo libico o un neonato sudanese?

Ma detto ciò, questi viaggi avvengono da oltre venti anni, perché la televisione se ne occupa solo in determinati momenti, creando ondate emotive, e poi, passata la tempesta, tutto torna nel dimenticatoio? Certo che un bambino di un anno annegato in mare aperto insieme alla sua mamma ci fa star male, soprattutto se ce lo fanno vedere in TV all’ora di cena. Ma quanti bambini muoiono in Africa per il morbillo? Un bambino ogni minuto (per informazioni consultate il sito: http://www.measlesrubellainitiative.org/) . Di più, quanti bambini muoiono in Africa prima di aver compiuto un anno di vita per la malnutrizione? Milioni, ma i loro visini non ci vengono mostrati in televisione all’ora di pranzo, perché ciò disturberebbe le nostre tavole.

Perché la televisione non ci spiega che le guerre da cui scappano questi poveri cristi sono combattute con armi prodotte e vendute in gran parte da industrie europee ed occidentali? Ma c’è l’embargo! risponderebbero subito i Governi europei, le nostre armi non finiscono in mano ai ribelli!

Ipocrisia, cioè simulazione di virtù allo scopo di ingannare. Questa è la parola che ho più sentito pronunciare dai politici in questi giorni, politici di sinistra, ma anche di destra. In effetti mi sembra la parola giusta. Ma la prima ipocrisia riguarda i soloni della televisione, i personaggi politici, sempre gli stessi, che si sdegnano per quanto sta accadendo e che non fanno nulla per spiegare perché queste cose accadono e cosa bisognerebbe fare perché non accadano più: per esempio la pace in Eritrea e Somalia, la pace in Siria e cooperare con tutti i Governi del Nord Africa per mettere in atto piani di sviluppo economico a sostegno di quelle Nazioni.

Solo così i giovani africani resteranno a vivere nel loro Paese di origine perché avranno l’opportunità di costruirsi la propria vita in santa pace, come sarebbe giusto che avvenisse per ogni bambino nato in ogni angolo della terra.

E’ dai tempi del bambino Gesù che i poveri cristi sono costretti a scappare a causa della sete di potere che alberga nel cuore degli uomini. Quando la televisione ci mostrerà l’unica via per salvare l’isola di Lampedusa e le speranze di migliaia di giovani africani?

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- Politica

Gli ultimi sette giorni

Non e' semplice descrivere quello che è successo nel panorama politico italiano negli ultimi sette giorni. Non è facile spiegare ad uno straniero di cosa è capace il politico italiano.

Il Governo di Enrico Letta, da cinque mesi, cioè dalla sua nascita, visto da tutti gli analisti politici in costante pericolo di implosione, è passato da una morte annunciata ad una resurrezione imprevista e improvvisa.

Il partito che Silvio Berlusconi ha fondato, controllato e diretto per venti anni, Forza Italia, ex Popolo della Libertà, ex Forza Italia, si è spaccato a metà su una decisione presa dal suo leader carismatico: mai successo!

Forze politiche, da cinque mesi all’opposizione, erano pronte a votare la fiducia al Governo Letta e poi all’ultimo momento vengono spiazzate dal cambiamento di linea di Berlusconi e parlamentari della Repubblica che rassegnano le proprie dimissioni dalla carica elettiva nelle mani del proprio Capo Gruppo (mai successo).

Ministri della Repubblica che, su richiesta del proprio leader politico, rassegnano le dimissioni senza alcuna motivazione politica e il giorno dopo dichiarano che l’hanno fatto solo per senso del dovere nei confronti del Capo carismatico del partito, ma senza convinzione personale. Mai successo!

Tutto questo ci è capitato sotto gli occhi in questi ultimi sette giorni, mentre il Paese reale proseguiva la sua corsa sul binario morto in cui si è infilato ormai da anni. Il vero problema è capire quanto ancora è lungo questo binario prima che la locomotiva arrivi a toccare i respingenti.

Ha ragione questa volta Beppe Grillo, quando dice che il vero malato oggi è il popolo italiano che sopporta l’insopportabile da una classe politica che è stata eletta per risolvere i problemi della gente e non per risolvere i problemi di una persona sola, o di una fazione politica o di un’idea della politica malata, che guarda all’interesse particolare e non al Bene Comune.

Noi non riponiamo nella politica una Fede cieca e non crediamo che da essa derivi la Salvezza per l’uomo, non sarebbe neanche corretto avere tali aspettative. Noi ci aspettiamo però dai politici che facciano politica tenendo alto lo sguardo, verso il cielo, e non guardando verso il basso, rivolti verso il proprio ombelico.

Viviamo in un’epoca, se vogliamo, per noi vantaggiosa, per la possibilità che ci è data di ricominciare da zero, ripensare a nuovi stili di vita, nuovi atteggiamenti morali condivisi, nuovi patti tra cittadini per costruire un vivere civile adatto al nostro nuovo mondo / modo di essere in una società che non è più quella uscita dalla Seconda Guerra mondiale.

Vaclav Havel, nel suo libro Il Potere dei senza potere, scritto nel 1978, descrive così bene la situazione che stava vivendo il suo popolo nella sua terra: “l’autorità dei capi dovrebbe scaturire dalla loro personalità messa alla prova nel loro ambiente, e non dalla loro posizione gerarchica; essi dovrebbero avere un grande credito personale sul quale fondare la loro autorità. Solo da qui parte la via per uscire dalla classica impotenza delle organizzazioni democratiche tradizionali che molte volte sembrano fondate più sulla reciproca sfiducia che sulla fiducia, più sull’irresponsabilità collettiva che sulla responsabilità…”

Auguriamoci che da questo corto circuito della ragione e della politica, cui abbiamo assistito in questi ultimi giorni, nasca qualcosa di nuovo, prenda corpo l’idea che forse vale la pena tentare di riformare queste nostre Istituzioni democratiche che, nel bene e nel male, sono comunque l’unico baluardo ad una deriva morale e civile che ci porterebbe dritti verso la fine del binario morto.

Aspettiamo che nuovi leaders si facciano avanti e nuovi modelli di organizzazione della vita civile ci vengano proposti!

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- Politica

Quaquaraquà

Mancano le parole per esprimere l’ennesima delusione che gli italiani che hanno a cuore il Bel Paese stanno provando se pensano al caso Telecom.

Finale peraltro annunciato, già scritto nel 1997 quando venne effettuata la peggiore delle privatizzazioni possibili di un asset strategico della Nazione. Lo scopo di quell’operazione, più o meno dichiarato, era quello di far cassa. In vista dell’entrata nell’euro quei soldi servirono al Tesoro per far quadrare un po’ i conti. Entrarono nelle casse dello Stato circa 26.000 miliardi di vecchie lire. Presidente del Consiglio in carica al tempo dell’operazione: Romano Prodi, Presidente della Repubblica: Oscar Luigi Scalfaro.

Senza socio forte di riferimento però, la public company resistette poco: nel 1999 una nuova classe di imprenditori italiani, definita poi da alcuni la razza padana, con un’Opa lanciata dalla Olivetti di Roberto Colaninno del valore di 102 mila miliardi di lire (in numero 102.000.000.000.000) prese il controllo dell’azienda. Presidente del Consiglio in carica: Massimo D’Alema che ha pubblicamente difeso ancora oggi l’operazione di Colaninno ed ha fatto bene a difenderla, visto che è avvenuta sotto il suo Governo.

Da qui ha origine la voragine di debiti che Telecom si è trascinata in bilancio sino ad ora, perché la gran parte di quei 102 mila miliardi di lire serviti per lanciare l’Opa, li hanno messi sul piatto le Banche, non gli imprenditori che invece di loro hanno messo sul piatto la visione imprenditoriale, il Business Plan, la Mission.

Meno male, potrebbe pensare qualcuno, almeno la razza padana aveva una visione! Invece, quando Telecom era in mano pubblica, il Tesoro non aveva una visione sull’azienda.

Purtroppo per Telecom, la visone imprenditoriale di Colaninno e della razza padana termina già nel 2003, Presidente del Consiglio Berlusconi, Presidente della Repubblica Ciampi, quando gli imprenditori si lasciano tentare dall’offerta di Tronchetti – Benetton & C. che rilevano Telecom portando nel gruppo di Telecomunicazioni numero uno in Italia e che si stava diffondendo nel mondo, una new vision. I fondi per l’operazione anche in questo caso arrivano dalle Banche e quindi il debito di Telecom rimane a Telecom, come è giusto che sia, del resto!

Nel 2005, Presidente del Consiglio Berlusconi, viene deciso dai soci l’incorporazione di TIM in Telecom Italia (seconda Opa), nel 2006, Presidente del Consiglio Prodi, venne proposto dai medesimi soci lo scorporo di Tim da Telecom Italia, ma sfortunatamente questa volta l’Assemblea bocciò questa nuova visione e il Presidente Tronchetti si dimise, a torto o a ragione, incompreso.

Nel 2007, Presidente del Consiglio Prodi, un gruppo di telecomunicazioni che in Spagna aveva avuto più o meno la medesima dinamica di sviluppo di Telecom, Telefonica, acquisisce il controllo di minoranza della Telecom che era stata di Tronchetti & C. e arriviamo così al nostro oggi.

L’enorme debito che la prima Opa (quella di Colaninno) aveva generato in Telecom ha per tutti questi anni impedito di fatto alla società di crescere e svilupparsi.

Dopo cinque anni di crisi economica, il risultato di questa miope visione, che è stata sotto gli occhi di tutti per tutti questi anni, è che oggi, il gruppo spagnolo, peraltro altrettanto acciaccato finanziariamente, per una manciata di euro acquisisce il controllo di uno degli ultimi asset industriali, e strategici, rimasti al nostro Bel Paese.

Possiamo trarre qualche considerazione dal caso Telecom?

Crediamo di si.

In Italia manca una classe di capitalisti disposti ad investire capitali che, se ci sono, evidentemente non sono investiti in Italia. Manca una classe di politici, a Destra come a Sinistra, che abbia una visione su questo Paese. Prova ne è che la storia Telecom sembra seguire il corso dei cambiamenti alla Presidenza del Consiglio: cambiava il Premier e mutava la compagine societaria in Telecom.

In Italia sino ad oggi sono state le Banche ad agire come capitalisti e imprenditori. La crisi economica e i bassi tassi d’interesse di questi anni hanno però messo a dura prova anche i conti delle Banche, e soprattutto la nuova disciplina di Basilea non permette più manovre border line sui bilanci. Pertanto ora tutte le Banche cercano di dismettere le partecipazioni acquisite in passato e considerate ormai non più strategiche (vedi Telecom). I tempi cambiano.

E non si può certo incolpare una Banca italiana perché vende una sua partecipazione ad un gruppo straniero. Il Governo ben conosce la situazione Telecom e il problema riguardante la rete fissa e sino ad ora non se ne è mai interessato. E se ne deve far carico una Banca?

La verità è che dal caso Telecom riceviamo l’ennesima delusione dalla nostra classe dirigente, imprenditoriale e politica. Il tanto sbandierato e osannato periodo delle privatizzazioni non poteva concludersi nel modo peggiore, con la fine annunciata, perché male impostata dall’origine, della madre di tutte le privatizzazioni, quella della Telecom Italia nata nel 1925 come società Telefonica Interregionale Piemontese e Lombarda.

Non sappiamo se questo Governo, che basa la propria forza sulle debolezze interne ai tre partiti che lo sostengono, abbia la volontà e la forza per provvedere allo scorporo della rete fissa per salvaguardare almeno la parte intelligence italiana. Ce lo auguriamo di cuore.

Ora è il momento che si metta in azione la Politica, quella fatta di gesti concreti, che negli ultimi cinque anni ha brillato per la sua assenza. Forse perché aveva già intuito nel 2007, questa volta in anticipo perché interessata in prima persona, che i tempi d’oro delle Opa erano finiti?

Adiós Telecom Italia!

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- Politica

La tela del ragno

La guerra contro Assad sembra per ora scongiurata. Saranno state le tantissime preghiere levatesi al cielo dai fedeli di tutte le Chiese, saranno state le trattative sotterranee della diplomazia che non si sono mai interrotte, sta di fatto che almeno per ora tutte le parti in causa sembrano disponibili a far prevalere il dialogo rispetto alla voce dei cannoni. Meglio così, speriamo che si arrivi presto ad una soluzione ragionevole, rispettosa di tutte le parti in causa e sopratutto dei milioni di profughi che stanno abbandonando la Siria per sfuggire ad una guerra senza senso.

Il conflitto siriano infatti sembra essersi trasformato: se al principio veniva visto dall'opinione pubblica occidentale come un naturale proseguimento delle primavere arabe che hanno infiammato più o meno tutti i Paesi che si affacciano sulla sponda Sud del Mediterraneo, oggi forse si incomincia a comprendere che i ribelli non rappresentano gli strati più illuminati della popolazione, desiderosi di acquisire maggiori spazi di libertà, ma al contrario sono costituiti, nella maggior parte dei casi, da bande più o meno organizzate, più o meno criminali, composte anche da mercenari che provengono dall’estero, che imperversano sul territorio non più interamente controllato dall'esercito regolare e che hanno come riferimento la Jihad islamica.

Da questo punto di vista diventano quindi determinanti gli aiuti che le Potenze occidentali forniscono ai ribelli. C'è il rischio di andare a sostenere gruppi che, una volta abbattuto il regime di Assad, prendano il potere in Siria e si trasformino a loro volta in nemici dell'Occidente. Non sarebbe la prima volta che ciò accade, la lezione afghana con il sostegno fornito ai talebani contro l'occupazione sovietica degli anni Ottanta dovrebbe ricordare qualcosa a molti Governi occidentali.

Se i segnali di pace in Siria sono di buon auspicio, viceversa nel nostro Paese la situazione politica non sembra migliorata nelle ultime settimane.

La conflittualità tra i due poli, costretti a convivere sotto lo stesso tetto dalle circostanze negative in cui continua a versare la nostra economia, rimane altissima. La situazione personale del Signor Berlusconi in questi ultimi due mesi non smette di condizionare quotidianamente e pesantemente le sorti del governo Letta.

Anche l'ultimo video messaggio televisivo di Berlusconi trasmesso ieri, più per convincere se stesso e il suo gruppo di sostenitori sulla bontà delle posizioni prese che per altro, lascia le parti su sponde diametralmente opposte e rigorosamente parallele, senza possibilità di intravedere un punto d'incontro.

E pensare che Berlusconi aveva avuto la possibilità di compiere un gesto che l'avrebbe automaticamente posto su un piedistallo mediatico senza precedenti, il gesto delle dimissioni volontarie dalla carica di Senatore, subito dopo la lettura della sentenza di condanna definitiva.

Un tale gesto, che sarebbe stato riconosciuto da tutte le parti politiche come un atto di generosità estrema compiuto da un uomo che si considera da venti anni vittima di una giustizia ingiusta, avrebbe liberato le forze politiche e il Governo da mesi di fibrillazioni e difficoltà quotidiane e contribuito a mantenere un clima politico più disteso e collaborativo. Ma tant’è.

La situazione ora appare veramente tesa e quasi impossibile da sanare senza il ricorso alle urne, ricorso che provocherebbe dei passi indietro enormi dal punto di vista della credibilità del nostro Paese nei confronti dell'Europa per non parlare delle ricadute negative sulla nostra ancora flebile ripresa economica che verrebbe azzerata.

Mai come in queste ore, la vita del Governo Letta appare appesa ad una tela di ragno, speriamo che nessuna mosca, proveniente da destra o da sinistra ci si appoggi sopra, il peso potrebbe esserle fatale…

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- Cultura

A tu per tu con Alessandro Benazzo

Incontriamo il Maestro Alessandro Benazzo, Direttore della Filarmonica di Santa Cecilia di Porlezza.

Nato a Lugano, ha studiato trombone in Italia, Svizzera, Germania e Francia. Ispirato a Christian Lindberg, dal 1990 si adopera per la valorizzazione del più antico di tutti gli strumenti ancora in uso: il trombone. Vincitore, tra gli altri numerosi riconoscimenti, dell'European Music Competition e del Concorso Internazionale di Stresa. Vive sul lago di Lugano con la moglie ed i 3 figli.

D.: Maestro Benazzo come nasce la sua collaborazione con la Filarmonica di Santa Cecilia di Porlezza?
R.: All'inizio dell'anno 2000, in seguito alle dimissioni del mio predecessore, fui invitato dal Consiglio d'amministrazione della Filarmonica ad assumerne la conduzione musicale.
Determinante fu il fatto che oltre a risiedere nella zona ero maestro di trombone nella scuola allievi dal 1992 e che avevo già un'esperienza come direttore in Svizzera. Infine, al Presidente in carica in quel momento, Isabella Muttoni, piacque la mia concezione musicale.

D.: Nel gruppo di musicisti che compongono la Filarmonica vi sono numerosi giovani. Questo lascia ben sperare per il futuro delle bande musicali in Italia?
R.: Negli ultimi vent'anni la banda ha raggiunto a livello internazionale una grande autonomia nel repertorio ed una importante evoluzione dell'organico strumentale. La banda non è quindi più relegata solo alla tradizione folcloristica locale e all'intrattenimento, ma ricopre un ruolo importante nella produzione concertistica. Per quest'ultimo aspetto i giovani ne sono senz'altro molto attratti. Resta sempre il fatto che il "futuro" dipende dalle scelte che ogni singola società (Filarmonica) intraprende giornalmente. Attualmente ci sono le condizioni favorevoli perchè la "banda" diventi anche "orchestra di fiati".

D.: Maestro Benazzo, in base alla sua esperienza, come si potrebbero sostenere economicamente e aiutare a crescere le tante filarmoniche presenti in Italia ? Ci si deve per forza rivolgere ai privati oppure l'intervento pubblico potrebbe maggiormente dire la sua, e come?
R.: Le filarmoniche non hanno una grande esigenza economica, in quanto si basano sulla gratuità della partecipazione dei musicanti e collaboratori (soci attivi). Questa collaborazione, in modalità di volontariato, garantisce l'esistenza dell'associazione. Tuttavia un intervento pubblico, a mio avviso necessario, sopperisce al sostentamento primario (luoghi per prove e concerti). Inoltre, un contributo economico costante consentirebbe alle società di convergere più energie per la musica (come ad esempio l'acquisto di un buon repertorio e di attrezzature musicali oltre agli investimenti per la scuola allievi). Credo che una buona filarmonica debba essere sostenuta dalla pubblica amministrazione oltre che, come avviene da sempre, dai soci contribuenti, sostenitori e benefattori. La crescita delle filarmoniche in senso generale è legata al modo di concepire la musica e di conseguenza alla proposta di repertorio. Ascoltare "il concerto della filarmonica" o vedere una sfilata deve essere un piacere oltre che un arricchimento a livello spirituale ed intellettuale. Secondo la mia esperienza, una filarmonica che mira a questo risultato, ha senza dubbio un futuro sia sotto il profilo musicale che socio-economico.

D.: Scriveva nel 1895 Marcel Proust in Lettera alla figlia di Madeleine Lemaire: " l'essenza della musica è di svegliare in noi quel fondo misterioso (e inesprimibile per la letteratura e in generale per tutti i modi espressivi finiti, che si servono, o di parole e conseguentemente di idee, cose determinate, o di oggetti determinati - pittura, scultura) della nostra anima, che comincia là dove il finito e tutte le arti che hanno per oggetto il finito si fermano, là dove la scienza si ferma, e che si può perciò chiamare religioso." Maestro Benazzo che cosa è per lei la musica?
R.: Per me la musica è il culto della "Bellezza".

Grazie Maestro Benazzo.

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- Fede

La frontiera della Pace

Questa sera milioni di persone, me compreso, parteciperanno nel mondo, ciascuno nel proprio luogo di residenza, alla veglia di preghiera indetta da Papa Francesco per chiedere la Pace ed allontanare lo spettro di una nuova guerra contro la Siria. E’ la manifestazione della cattolicità del cristianesimo. Per grazia, Papa Francesco domenica scorsa ha invitato tutti i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà a compiere questo gesto semplice e il suo invito ha avuto immediatamente pronta eco in tutto il mondo.

Certo, il tema della Pace è un tema caro a milioni di persone in tutto il mondo.

Scriveva esattamente cinquant’anni fa Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in Terris: I rapporti tra le comunità politiche vanno regolati nella verità e secondo giustizia; ma quei rapporti vanno pure vivificati dall’operante solidarietà attraverso le mille forme di collaborazione economica, sociale, politica, culturale, sanitaria, sportiva: forme possibili e feconde nella presente epoca storica. In argomento occorre sempre considerare che la ragione d’essere dei poteri pubblici non è quella di chiudere e comprimere gli esseri umani nell’ambito delle rispettive comunità politiche; è invece quella di attuare il bene comune delle stesse comunità politiche; il quale bene comune però va concepito e promosso come una componente del bene comune dell’intera famiglia umana (paragrafo 54).

Verità e giustizia: due parole fondamentali per riuscire a guadagnarsi la Pace in Terra. L’uso di armi chimiche, contro chiunque utilizzate, civili o militari, è un gesto che provoca sgomento e disgusto alle coscienze di ogni essere umano. Ma, per punire duramente coloro che hanno utilizzato queste armi chimiche, occorre avere la certezza di colpire veramente coloro che si sono macchiati di questo orrendo crimine, occorre avere prove inconfutabili, almeno credere di avere raggiunto oltre ogni ragionevole dubbio questa certezza. E poi l’organismo internazionale deputato a comminare questa punizione esiste e si chiama Organizzazione delle Nazioni Unite. Ogni altra iniziativa singola o comunitaria di uno Stato o gruppi di Stati contro la Siria, prima che queste prove venissero certificate dagli esperti dell’ONU, si porrebbe come iniziativa personale e il senso della parola “giustizia” connesso alla parola Pace così come inteso nell’Enciclica Pacem in Terris non sarebbe rispettato pienamente, diverrebbe un gesto creatore di nuove ingiustizie.

Pace nel mondo, Pace in Italia.

Il Governo italiano, in carica da alcuni mesi, sembra che sia giunto già al capolinea. La prossima settimana, mentre i siriani scruteranno il cielo in attesa dei missili statunitensi, gli italiani scruteranno la televisione in attesa del video messaggio, pare già registrato, del Presidente Berlusconi che dovrebbe annunciare l’uscita dei Ministri PDL dal Governo Letta. Anche l’Italia, come la Siria e il mondo intero, avrebbe bisogno di Pace. Avrebbe bisogno che l’esperienza di questo originale Governo di servizio per il Paese potesse continuare a lavorare serenamente per portare a termine almeno le riforme basilari, per sperare in una ripresa il più possibile ravvicinata della nostra economia, del nostro tessuto imprenditoriale, dei nostri giovani senza lavoro.

Certo, le tensioni sono fortissime. Avevamo sperato, all’indomani della condanna definitiva, che il Presidente Berlusconi, in nome dell’amore che ha sempre dichiarato portare verso l’Italia e gli italiani, avesse compiuto un gesto di grande generosità e si fosse dimesso subito dalla carica parlamentare che ricopre, ma la situazione sta andando come tutti vediamo. D’altra parte la situazione personale di Berlusconi, anche se si tratta del leader di un grande partito italiano, non può passare sopra gli interessi di una Nazione come l’Italia che sono quelli di avere un Governo che lavori per le persone, le aziende, per il bene comune e ci conduca definitivamente fuori la crisi economica che ci attanaglia da cinque anni. Il Presidente Berlusconi è un uomo di Pace e alla fine saprà compiere, ne siamo sicuri, la scelta giusta.

Tutto è perduto con la guerra, niente è perduto con la Pace. Questo diceva al mondo Pio XII il 24 agosto 1939.

Per questa Pace milioni di persone questa sera pregheranno in tutto il mondo. Auguriamoci che il soffio di voce portatore di questa Pace raggiunga le persone che stanno sulla linea di frontiera, quelle che dovranno decidere se dar vita ad un nuovo conflitto, in Siria come in Italia.

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- Politica

L’agibilità politica del Signor B.

Tutti noi italiani ormai abbiamo imparato a convivere, in questa estate 2013, con un nuovo assillante problema che ci sta togliendo il sonno più della zanzara tigre: l'agibilità politica del Sig. B.

Intendiamoci subito: quello dell'agibilità politica è un diritto fondamentale di ogni cittadino e nessun Ordine Superiore, statale o privato, con la forza o con il diritto, può impedire ad un essere umano di esprimere liberamente il proprio pensiero e svolgere attività "politica".

Questo vale per chiunque di noi, qualsiasi mestiere faccia, imprenditore, giornalista, impiegato e finanche attore comico: chiunque ha diritto a "fare politica"!

Pertanto non credo che il Sig. B. abbia nulla da temere da questo punto di vista. Del resto il Sig. B. rimane uno degli uomini più facoltosi d'Italia e non gli mancano certamente i mezzi per far conoscere e divulgare il proprio pensiero, oggi e domani. La sentenza definitiva che ha condannato il Sig. B. avrà e svolgerà gli effetti che la legge prevede, ma non priverà di certo il condannato del suo diritto di fare politica.

Del resto la storia ci ha lasciato esempi concreti di uomini condannati e imprigionati dallo Stato di Diritto pro tempore vigente, che dal luogo di detenzione hanno influenzato la vita politica e sociale del proprio Paese e molti alla fine hanno anche visto riconoscere e trionfare la propria idea.

Persone come Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi, Vaclav Havel, per citare solo alcuni recenti casi, forse più noti, hanno molto sofferto, per lunghi anni, ma non hanno mai rinunciato alla propria agibilità politica.

Ora, non vorrei ingigantire il problema affiancando il Sig. B. ai nomi sopra menzionati, ma era solo per far meglio comprendere il nocciolo del problema. Che a questo punto non è di agibilità politica, ma direi più prosaicamente di voler mantenere una gestione del potere politico sin qui esercitato.

Questa però è un' altra storia. Un uomo pubblico, condannato per reati tributari e fiscali in via definitiva, non può mantenere inalterato il proprio ruolo pubblico, come se niente fosse accaduto. Se così fosse verrebbe minato alla base lo stesso concetto di Stato di Diritto e questo il Sig. B. lo comprende benissimo.

Per cui non resta che una sola via giuridicamente corretta da percorrere, sottostare alla condanna espiando la pena comminata.

Il sig. B. dovrà rinunciare al potere politico legato alle cariche pubbliche, ma non perderà mai l'agibilità politica legata alla sua personale autorevolezza che si è costruito nel tempo, sempre che gli italiani continuino a riconoscergliela.

Tra un mese circa l'estate lascerà il posto all'autunno e speriamo che questo "assillante" problema estivo venga finalmente dimenticato, insieme alla zanzara tigre.

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- Letteratura

Martin Eden

Martin Eden e' un'opera della maturità artistica di Jack London.

Ho riletto in questi giorni il romanzo, nell'edizione degli Editori Riuniti del 1979, anno della mia precedente lettura dell'opera dello scrittore americano. Jack London nasce a S. Francisco nel 1876, novant'anni prima del mio anno di nascita e scrive il romanzo Martin Eden tra il 1907 e il 1908; la pubblicazione è del 1909, settant'anni avanti la mia prima lettura del romanzo.

Perché evidenzio queste date? Perché se ci pensiamo bene, non sono passati molti anni, solamente qualche decennio, e il mondo di Jack London, di Martin Eden non esiste più, è radicalmente mutata la realtà descritta nel romanzo, dal romanzo.

Le esperienze di vita compiute dallo scrittore (strillone agli angoli delle strade, segna punti in un bocciodromo, pescatore di ostriche nella baia, ubriacone nei bassifondi di S. Francisco e poi ancora marinaio su una baleniera, cercatore d'oro nel Klondike, militante socialista e infine autore sempre più apprezzato, ricco e famoso) non ci trasmettono più il significato profondo che aveva segnato così duramente la vita di London.

E ancora, i risultati di tutto il lavoro, della fatica bestiale compiuti in pochi anni da Martin Eden, la sua volontà di elevarsi dalla povertà culturale, ancor prima che sociale, in cui era nato, sono stati ottenuti da moltissimi uomini e donne, soprattutto da quelli che vivono nella parte superiore alla linea dell'equatore, grazie alla realizzazione di buona parte delle idee di uguaglianza, libertà, fraternità alle quali lo stesso Martin Eden si era avvicinato agli albori della gioventù e che professava forse più di quanto ne fosse consapevole.

Viceversa la critica aspra, a tratti feroce, che Eden compie alla classe borghese, è un dato del romanzo permanente nel tempo. La borghesia, come classe sociale, forse non è mai esistita, ma come concetto, la mentalità borghese esiste dalla notte dei tempi.Ogni epoca storica ha avuto le proprie idee borghesi e le persone che le incarnavano.

Al tempo dei primi cristiani, chi erano i cittadini romani che credevano nell'imperatore e nella sua discendenza divina se non dei borghesi? E al tempo di San Francesco d'Assisi, chi erano i vescovi e i ricchi prelati della curia romana se non dei borghesi?

E' stata questa la scoperta che ha più deluso il protagonista del romanzo. Martin era pronto a morire per Ruth, la dea borghese, all'inizio del loro rapporto. Ma più cresceva la consapevolezza di Martin grazie allo studio della scienza, della filosofia e alle esperienze di vita, e più ai suoi occhi diventava evidente la piccolezza del mondo borghese in cui Ruth era nata e viveva, trovandovi la sua felicità.

Il problema di Martin alla radice, era il problema esistenziale di ogni anima sensibile: trovare le ragioni della propria esistenza, del proprio amore e del proprio morire.

Eden non incontra nella sua vita la persona che può offrire alla fine del suo cammino, così carico di sofferenza, una speranza per il domani. Quello che uccide il giovane scrittore di successo, ricco e solo, è la fatica quotidiana del vivere senza uno scopo.

Nel 2013 come nel 1909 il suicidio di Martin Eden simboleggia lo sbocco lucido e disperato dell'uomo che ha preso sul serio le domande ultime sul proprio destino, ma non ha trovato un compagno di viaggio disposto a fargli compagnia, a condividere i momenti difficili e quelli gioiosi.

L'umanità di oggi, come quella del secolo scorso, ha sete di rapporti veri che superino le consuetudini e le abitudini borghesi che soffocano la libertà delle persone attraverso l'offerta di una vita semplice e spensierata e per questo scialba e triste, senza un orizzonte cui tendere.

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- Politica

26 gennaio 1994 – 1 agosto 2013

Quasi venti anni è durato il cammino politico di Silvio Berlusconi. E’ iniziato il 26 gennaio 1994 con il famoso discorso “per il mio Paese” registrato e mandato in onda sulle reti Fininvest ed è terminato questa sera con la lettura, in nome del popolo italiano, della sentenza di condanna a quattro anni per reati tributari emessa dalla suprema Corte di Cassazione.

Stiamo commentando fatti di cronaca, ma è certo che questa giornata passerà alla storia della politica italiana. Dopo innumerevoli processi subiti negli ultimi venti anni da Berlusconi e il suo gruppo di imprese, è arrivata per la prima volta una sentenza di condanna definitiva proprio alla persona di Silvio Berlusconi.

Questo fatto ha chiaramente conseguenze politiche enormi se si considera per prima cosa che Silvio Berlusconi è il fondatore del PDL nonché il leader riconosciuto e indiscusso da parte di tutti i suoi elettori. Secondo, il PDL è asse portante, insieme al PD, del Governo Letta. Senza il PDL l’esperienza del Governo Letta non può continuare. Le conseguenze di una caduta del Governo, oggi come oggi, aprirebbero scenari del tutto imprevedibili, ma sicuramente non positivi per il Paese.

Le sentenze, di assoluzione o di condanna, di un Tribunale non si discutono mai, pena la messa in dubbio dell’esistenza stessa dello Stato di diritto. Le sentenze si possono condividere o meno, su questo non si discute, ma si devono accettare, deve sempre essere presente nel popolo la consapevolezza che la magistratura opera esclusivamente osservando scrupolosamente l’applicazione della Legge.

La condanna definitiva di Silvio Berlusconi a quattro anni di reclusione priva il leader del PDL dei presupposti sostanziali per la sua permanenza nella vita politica italiana attuale e anche futura se non altro per ragioni anagrafiche. Allora le conseguenze dell’addio di Silvio Berlusconi alla politica italiana provocheranno certamente una rivoluzione non solo all’interno del partito da lui creato, ma anche nel partito d’opposizione che di fatto, in tutti questi anni, ha fatto da spalla politica a Berlusconi in tantissime occasioni.

Le conseguenze di queste rivoluzioni potrebbero avere come risultato la crisi del governo Letta e l’apertura di una fase nuova, del tutto indecifrabile in questo momento, ma sicuramente non favorevole per il piano di risanamento economico e finanziario che l’Italia sta cercando di portare avanti in questi mesi.

Nei prossimi giorni assisteremo alle scelte concrete che Berlusconi e il PDL da una parte, e il PD e le opposizioni dall’altra, faranno in Parlamento e forse capiremo che tipo di futuro ci attende. Certamente una crisi di governo che termini con il ritorno alle urne, senza aver modificato la legge elettorale, sarebbe un suicidio della politica dalle conseguenze molto gravi.

Crediamo però che una scelta coraggiosa Silvio Berlusconi potrebbe decidere di compierla: scegliere di dimettersi spontaneamente dal Senato e consegnarsi alla Giustizia da subito, evitando che la sua situazione personale condizioni ancora per mesi la vita politica italiana. Questo a nostro giudizio gli renderebbe indubbiamente il merito di passare alla storia non solo come uomo politico, ma come statista che accetta una sentenza ritenuta ingiusta, ma emanata da una Corte legittimata ad emetterla.

Con questo gesto, moralmente forte e indiscutibilmente degno di plauso, Berlusconi lascerebbe con tutti gli onori la politica italiana e permetterebbe al Governo Letta di proseguire il suo difficile compito.

E’ una scelta non facile, ma certamente il Presidente Berlusconi è uomo capace di stupire gli italiani e non ci meraviglieremmo di vederla realizzata nei prossimi giorni. Non sarebbe una scelta di resa, anzi, sarebbe una decisione che metterebbe ancora più in risalto la lotta contro la giustizia ingiusta che Silvio Berlusconi ha sempre portato avanti nelle sue campagne politiche.

Al Presidente Berlusconi la scelta finale, com’è giusto che sia.

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- Politica

Ancora tre giorni e poi...

Mancano ormai una manciata di ore e poi conosceremo la sorte che toccherà al primo Governo Letta.

La situazione che stiamo vivendo è paradossale, se ci pensiamo bene: la sorte del Governo del Paese dipende dalle sorti giudiziarie del leader politico di un partito che sostiene il Governo. In Paesi normali, diciamo meglio, normalmente, il leader di un partito che sostiene il Governo del proprio Paese non avrebbe guai giudiziari, o se li avesse, non sarebbe il leader politico di un partito che sostiene il Governo.

D'altra parte, si dovrebbe anche dimostrare quale sarebbe il male minore: la continuazione del Governo Letta oppure andare a nuove elezioni?

Personalmente riteniamo che la discussione e i temi politici affrontati in questi mesi dal Governo non abbiano ancora toccato e messo in evidenza i punti fondamentali che costituiscono, che originano il deficit strutturale che affligge il nostro Paese rispetto alle altre nazioni parimenti industrializzate.

Quando un Paese come l'Italia paga ogni anno 100 miliardi di euro di interessi sul proprio debito pubblico, capite che il margine di manovra per qualsiasi Governo è nullo se non si taglia per prima cosa il debito che li genera. Tanto per essere chiari: la manovra di cancellazione delle provincie in corso di approvazione in Parlamento si calcola che dovrebbe far risparmiare spese per un miliardo di euro all'anno!

Poi c'è il capitolo del lavoro nero: le stime dicono che sono tre milioni i lavoratori irregolari in Italia con un'evasione fiscale derivante di 40 miliardi di euro all'anno… altro che manovra sull'Imu o sull'Iva.

Terzo tema: con una pressione fiscale come quella attuale è impossibile parlare di crescita, perché la crescita, se anche ci fosse, sarebbe soffocata dalla medesima pressione fiscale il che porterebbe a nuova evasione e quindi il cerchio non si chiuderebbe mai.

Si potrebbe continuare, ma tant’è. Solo una cosa chiediamo a questo Governo che si è definito di servizio per il Paese: non prendiamoci in giro.

Sino a quando non si affronteranno le tematiche di cui sopra non si riuscirà ad invertire la rotta. Ma per affrontare questi temi, occorre la consapevolezza in primis nella coscienza delle persone, dei politici, della classe dirigente del Paese.

I concetti di legalità, di uguaglianza, di ridistribuzione delle ricchezze, di lavoro regolare per tutti, devono riprendere ad essere presenti nella vita della nostra comunità, altrimenti la crisi economica continuerà e anzi aumenterà. Da questo punto di vista, l’avvento inaspettato, provvidenziale del nuovo Papa Francesco ci potrebbe essere molto d'aiuto: speriamo che gli italiani possano trarre dalle sue parole, dal suo Magistero pensieri ed idee illuminanti.

L'altro aspetto che deve entrare in gioco in questo periodo così turbolento è quello del compito educativo che spetta a noi adulti (insegnanti e genitori) nei confronti dei nostri figli.

Forse anche noi genitori, noi insegnanti dobbiamo fare autocritica e riconsiderare i valori che abbiamo praticato e trasmesso, con coscienza o meno, sino ad ora ai nostri ragazzi. Ha scritto Jonah Lynch nel suo ultimo libro, Egli canta ogni cosa: “Conoscere la verità è una grande avventura ed è anche un grande rischio. Potresti scoprire che devi cambiare idea su qualcosa. Potresti anche scoprire che devi cambiare vita”.

Meditiamo gente, meditiamo…

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- Educazione

Egli canta ogni cosa

“Conoscere la verità è una grande avventura ed è anche un grande rischio. Potresti scoprire che devi cambiare idea su qualcosa. Potresti anche scoprire che devi cambiare vita”.

Jonah Lynch, dopo il successo de Il profumo dei limoni, torna in libreria con Egli canta ogni cosa, libro pensiero che, come scrive nella prefazione Paolo Cevoli, fa compagnia ai giovani d’oggi, invischiati nel problema dei problemi: cosa ne devo fare della mia vita, per che cosa, per chi vale la pena che venga spesa?

Il “giovane” sacerdote racconta ad un gruppo di studenti liceali la propria esperienza di vita e dalle circostanze concrete, dai fatti personali a lui accaduti, parte la risposta alle domande esistenziali dei ragazzi.

Ne esce un volumetto che si legge in un paio di ore, ma che può essere riletto per tutta la vita, soprattutto dai giovani di ogni generazione. La proposta di Lynch, sussurrata all’orecchio, sperimentata personalmente e verificata nel tempo, è quella di un approccio sperimentale alla fede cristiana.

Certo, il sacerdote Lynch non poteva proporre altro, direbbero gli scettici. E’ vero, ma il ragazzo Jonah Lynch, prima di diventare sacerdote, è stato un giovane che ha cercato le risposte alle medesime domande che i liceali ora rivolgono a lui.

In questo libro Lynch propone agli studenti le medesime ragioni che hanno reso felice e degna di essere vissuta la sua vita. I capitoletti scivolano via velocemente, ma ci si accorge alla fine di ogni pagina che quello che si è letto equivale ad una sintesi di ore di preghiera e di riflessioni accompagnate, in sottofondo, dalla musica, elemento facilitante l’incontro con Dio.

Questo è un manoscritto che consiglio di leggere non solo a chi ha terminato gli studi universitari, ma soprattutto ai giovani maturati che si stanno apprestando a scegliere una facoltà universitaria, scelta che nel giro di alcuni anni li getterà nella mischia della vita quotidiana dentro la quale dovranno scegliere in che ruolo giocare, se essere spettatori o attori.

Termino questo invito alla lettura con la definizione di verginità che dà Lynch nel suo libro e che personalmente trovo di una liberazione sconvolgente dai rapporti a volte tormentati e opprimenti che abbiamo con parenti, amici e colleghi: “…la verginità è un atteggiamento che si può adottare di fronte ad ogni cosa: al lavoro, alle persone… Vuol dire lasciar vivere. Vuol dire godere del fatto che le cose e le persone abbiano una propria vita, una propria consistenza. Vuol dire gioire di questo, senza voler subito rapirle e farle proprie”.

Di fronte a persone che ti lanciano questi messaggi, si può anche pensare che forse dobbiamo iniziare nella nostra vita a cambiare idea su qualcosa.

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- Politica

Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie...

Dopo un Presidente del Consiglio che convince il Parlamento italiano che una ragazza tunisina di 17 anni è la nipote del Rais dell’Egitto, dopo che un Ministro della Repubblica dichiara in Parlamento che un terzo soggetto, a sua insaputa, gli aveva regalato una parte del suo appartamento romano vista Colosseo, ascoltare la relazione di ieri, sempre nell'aula sacra del nostro Parlamento, tenuta dal Ministro Alfano sul caso Ablyazov, è stato come rivedere un vecchio film di Alberto Sordi su vizi e virtù di noi italiani.

Ormai ci siamo abituati a far finta di credere a quello che ci raccontano i governanti di turno. E' cento cinquant'anni che ci crediamo.

Il problema è che la situazione generale del Paese si è deteriorata come mai lo era stata in passato e la gente se prima ascoltava e si faceva quattro risate, adesso ascolta e subito aumenta l'irritazione verso questa classe dirigente che ogni giorno si rivela sempre più inadeguata a gestire la situazione politica ed economica del Paese.

L'esperienza del governo dei due Letta, dopo quella del governo tecnico di Monti, non sta facendo bene all'Italia, non quanto almeno gli italiani si auguravano.

Del resto non siamo la Germania, siamo stati alleati dei tedeschi in tempi infausti, e anche allora alla fine siamo diventati loro succubi.

La grande coalizione da noi non funziona perché manca l'idea di bene comune, di Nazione con la N maiuscola che il popolo tedesco possiede dentro di sé e quello italiano non possiede. Per cui da noi il massimo a cui si può aspirare è il concetto di bene partito, di bene fazione, di bene clan.

La situazione politica, lasciando perdere l'ultimo caso internazionale, dimostra come i tre partiti di governo siano in disaccordo su quasi tutti i temi fondamentali che un governo normale dovrebbe affrontare con una visione unitaria. In più i partiti - movimenti all'opposizione non sono in grado o non vogliono proporre soluzioni alternative probabilmente con lo scopo di arrivare prima possibile alla fine di questa Legislatura. Il che non sarebbe un male in sé, a patto che le forze politiche che subentrassero nel governo del Paese, avessero un programma e una visione del futuro alternativo. Ma purtroppo cosi non è.

Quale speranza collettiva rimane al di là della speranza personale che ciascuno di noi conserva verso Dio o altre forme diverse di ideologie?

La verità è che anche questo governo presto o tardi (nel senso tra qualche settimana o tra qualche mese) imploderà su se stesso e ci toccherà andare alle urne ancora una volta con la tanto vituperata, ma a quanto sembra anche tanto amata, legge elettorale il cui nome comune, porcellum, oggi come non mai, ricorda l'autore che la inventò.

Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie scriveva il poeta cento anni fa.

Si prova una strana sensazione a rileggere questa poesia… una sensazione di attualità…

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- Scuola

La scelta universitaria

Ancora pochi giorni, cari maturandi, e sarete passati al nuovo status di maturi.

Ve lo annuncio subito, se ancora la vostra giovane età non vi ha permesso di comprenderlo, che il nuovo status non porta di per sé la panacea e la soluzione di tutti i problemi che l'adolescenza, per voi ormai alle spalle, aveva prepotentemente posto di fronte alle vostre giovani vite.
Anzi, se mai, da maturi le decisioni che dovrete prendere d'ora innanzi, saranno più importanti, più radicali e dovranno essere assolutamente vostre, senza più l'alibi di genitori che vi costringono a compiere scelte non condivise.

E una delle prime scelte che vi aspetta al varco, in questa estate 2013, è la scelta della facoltà universitaria.

Premessa: il consiglio che vi può dare un genitore di quasi mezzo secolo di vita è di continuare la vostra formazione scolastica iscrivendovi ad una facoltà universitaria. Nel momento storico che stiamo vivendo la formazione scolastica per un giovane cittadino del pianeta è assolutamente importante e fondamentale per affrontare un mondo del lavoro sempre più difficile, complesso e competitivo.

Con questo non voglio dire che la formazione universitaria debba per forza essere di carattere tecnico o scientifico. A mio modo di vedere, nel mondo del lavoro di domani, che poi è il nostro mondo di oggi più un giorno, serviranno sempre, oltre a bravi e preparati medici e ingegneri, anche bravi e preparati insegnanti, scrittori, pittori e poeti. Quello che conta è la passione con cui si sceglie una facoltà universitaria, con uno sguardo all'occupazione / professione che si vorrebbe intraprendere un domani.

Non dovete, ragazzi, farvi influenzare in questa decisione, che poi inevitabilmente condizionerà la vostra vita, da pressioni più o meno velate di genitori, parenti o amici. Decidete con il cuore e con la mente, ma che siano entrambi i vostri! Molto meglio un insegnante soddisfatto che un medico indeciso, molto meglio un ricercatore curioso in università che un avvocato triste in Tribunale. La scelta universitaria è scelta vocazionale, scelta di vita. Il lavoro che ognuno di voi sceglierà di fare condizionerà la vostra vita per sempre.

Massimo Diana sostiene, a ragione, che ogni uomo che è al mondo deve, prima o poi, fare i conti con due questioni fondamentali: imparare ad amare e prepararsi a morire. Tralasciando il secondo aspetto, che per voi ragazzi di 18 / 19 anni è forse ancora troppo lontano dalla vostra vita, il primo invece è decisivo proprio in una questione come questa. Imparare ad amare significa prendere sul serio il proprio destino, il cammino che sino a questo momento si è compiuto e metterlo al servizio di se stessi.

Questo è l'unico modo che conosco per affrontare con serenità la scelta universitaria, liberi da un esito che in questo momento non vi appartiene, ma che è già positivamente presente in una scelta effettuata utilizzando questa evidenza della ragione.


Auguro ad ognuno di voi tanto coraggio per intraprendere la scelta giusta. Sembra retorica, badate che non lo è, ma il futuro della nostra Nazione, l'uscita dal tunnel di questa crisi esistenziale in cui tutti noi ci troviamo, dipenderà anche dagli uomini e dalle donne che domani, con il proprio lavoro felicemente svolto, permetteranno al nostro Paese di fare quattro passi in avanti...E quegli uomini e quelle donne siete anche voi, maturi del 2013.

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- Letteratura

Vango - un principe senza regno

Ho appena terminato la lettura della seconda parte delle avventure di Vango, misterioso eroe uscito dalla penna di Timothée de Fombelle.

Il secondo romanzo è, come il primo, avvincente sin dalle prime pagine, e l'autore rituffa il lettore nel mare impetuoso che segna l'esistenza di Vango e dei suoi amici in lotta contro misteriosi personaggi.


Poco per volta la trama si snoda e le vicende sembrano trovare una giusta collocazione, lasciando però il protagonista in attesa di una soluzione definitiva, sull’esito della ricerca delle proprie origini, sino al termine del romanzo.


La lettura è appassionante e fresca, come bere da una fonte alpina, e conduce il lettore sulle cime della fantasia e sulle vette dell'immaginazione.


La storia ha il suo lieto fine e ci svela il vero volto di Vango che, per come l'abbiamo conosciuto nelle pagine dei due romanzi, sembra talmente reale che non ci stupiremmo di poterlo incontrare in una locanda, seduto al tavolo vicino al nostro, a fare quattro chiacchiere con Ethel e La Talpa !


Un lettura più che piacevole, adatta a ragazzi e ad adulti che hanno mantenuto il piacere delle letture per ragazzi!

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- Educazione

Summum ius, summa iniuria

La recente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che, ancorché decisamente divisa al suo interno, con 5 voti a favore e 4 contrari, ha legittimato i matrimoni tra persone dello stesso sesso, sembra ormai far vacillare la diga dei divieti di queste unioni nel c.d. mondo civilizzato, o primo mondo, o mondo industrializzato, mondo occidentale (chiamatelo con la categoria sociologica che preferite).

Il pronunciamento vale chiaramente all’interno degli Stati Uniti, ma il peso psicologico che gli States possono vantare anche nel settore dei “diritti civili” rispetto al resto del mondo di cui sopra, è tantissimo. Quindi c’è da aspettarsi che questa sarà una sentenza che farà “scuola”.

Personalmente spero di no, ma credo che ormai la direzione dell’ ”Intelligencija” internazionale spinga per far approvare da tutti gli Stati i matrimoni omosessuali, ritenendo questo fatto una vittoria dell’uguaglianza finalmente raggiunta tra le persone, indipendentemente dal sesso di quelle persone.

Purtroppo per l’ “Intelligencija” internazionale, il vero problema, per loro, sta proprio qui. Le persone non sono uguali, sono maschio o femmina, uomini e donne. E sono diverse tra di loro. Tanto è vero che le donne, per fare un esempio, partoriscono e generano un figlio, gli uomini no. E generare un figlio non è equiparabile ad un diritto, ma è un dato di fatto. Gli uomini non hanno un diritto in meno rispetto alle donne, perché non possono generare figli, semplicemente la loro natura li ha fatti così!

Sembra banale quello che ho appena scritto, ma evidentemente ci sono delle persone, poche numericamente a dir la verità, ma influenti intellettualmente e politicamente, che la pensano diversamente. Mi spiace per loro, ma la realtà è, e sarà sempre, quella che ho descritto.

Anche il matrimonio, così come sembra essere inteso da costoro, non è un diritto, ma una, chiamiamola istituzione umana, consuetudine umana che in tutti i popoli, in tutti i tempi, vede l’unione stabile di un uomo e di una donna per formare una famiglia e generare una discendenza. Anche gli animali fanno così, certamente le loro unioni sono diverse da quelle degli uomini, ma di fatto un maschio di leone e una leonessa si accoppiano e per un certo tempo stanno insieme per allevare dei cuccioli di leone.

E, badate bene, fino a qui la religione non c’entra nulla. Il matrimonio esisteva anche ai tempi dei greci e dei romani. Anche allora esistevano unioni tra persone dello stesso sesso, ma nessuno si sognava di paragonare queste unioni ai matrimoni. Con ciò non significa che le singole persone, anche quelle che formano una coppia omosessuale, non abbiano i medesimi diritti e doveri. Non si sta mettendo in discussione questo. Semplicemente un’ unione matrimoniale prevede la presenza di un uomo e di una donna che formano una coppia aperta a generare una prole.

Se il vero problema, il nocciolo della questione, è invece quello di garantire alcuni diritti “privati” alle persone che formano una coppia omosessuale, per esempio il diritto di successione, il diritto al subentro nei contratti di affitto, il diritto alla reversibilità della pensione o altri diritti simili, basta affrontare questo tipo di problematiche nell’ambito di una riforma del diritto privato. Personalmente non mi permetto di esprimere nessun giudizio morale sulle persone dello stesso sesso che decidono di vivere insieme, da coppia, e sono anche d’accordo sul tutelare i diritti sopra citati. Basterebbe istituire un registro civile di queste unioni a cui poi si possono riconoscere i medesimi diritti privati intercorrenti tra coppie sposate etero sessuali, ma senza definire queste unioni con il termine “matrimoni” e senza fornire il diritto di adottare e crescere figli. Su questo punto non ci sono dubbi, tanto è vero, lo ripeto, che è la natura stessa umana che è fatta maschio e femmina e la diversità, se esiste, esiste per un motivo, altrimenti non esisterebbe!

A dir la verità, a pensarci bene, fa riflettere il fatto che nel 2013 l’umanità stia argomentando su tematiche come questa. Dopo millenni di sviluppo del pensiero filosofico, dopo l’avvento sulla scena mondiale di tre religioni monoteiste e dopo l’incredibile progresso tecnologico compiuto dall’essere umano, questo stesso uomo dimostra di essere rimasto così piccolo, così cucciolo, così lontano ancora dalla comprensione della sua stessa natura umana. Sembra impossibile, ma la realtà come sempre ci sorprende.

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- Politica

Il potere dei senza potere

Riproposto dalla Casa Editrice Itaca, ho letto con molto interesse “Il potere dei senza potere” di Vaclav Havel. Chi è stato Havel al giorno d’oggi lo sappiamo. Ma nel 1978, epoca in cui scrisse il manoscritto, lo conoscevano in pochi, almeno in Italia. Erano gli anni dei due blocchi contrapposti, Est e Ovest, Comunismo orientale e Consumismo occidentale. Il Muro divideva Berlino e i cuori degli europei, la Guerra era Fredda.

Havel, tra i fondatori di Charta 77 in Cecoslovacchia, scrive questo saggio in cui analizza il totalitarismo e la strumentalizzazione ideologica in cui consiste.

Per Havel il cambiamento dei regimi socialisti legati all’Unione Sovietica poteva avvenire solo partendo dal cambiamento del cuore dell’uomo, da un amore verso la verità di sé, non scendendo a compromessi o cedendo ad una falsa vita, forse anche comoda ma alla fine insoddisfacente. Coloro che vivono in questo modo e si comportano di conseguenza sono chiamati “dissidenti” dal regime. Ma chi sono i dissidenti, secondo Havel? Non sono una categoria sociologica, sono “persone comuni con preoccupazioni comuni e che si distinguono dagli altri solo perché dicono ad alta voce quello che gli altri non possono o non hanno il coraggio di dire” (pag. 81).

Il libro di Havel nel 1978 in Italia passò del tutto inosservato. Eppure quello che Havel denunciava riguardo il totalitarismo di matrice sovietica, valeva anche per l’ideologia del consumismo che si stava vivendo dall’altra parte della Cortina, in Occidente.

Scrive Havel: “Qualche volta è necessario toccare il fondo della miseria per poter capire la verità, così come dobbiamo spingerci fino al fondo del pozzo per riuscire a scorgere le stelle… Nelle società democratiche, in cui l’uomo non è così palesemente e così brutalmente violentato, questo cambiamento fondamentale della politica è ancora lontano, e forse quando le cose peggioreranno la politica ne scoprirà la necessità. Nel nostro mondo, proprio grazie alla miseria in cui ci troviamo, è come se la politica avesse già compiuto questa svolta: dal centro della sua attenzione e del suo beneplacito comincia a scomparire la visione astratta di un modello positivo, capace di salvarsi da sé …” Parole quasi profetiche, scritte nel 1978. La degenerazione del nostro sistema politico, fondato sull’egoismo di partito, di corrente, personale è sotto gli occhi di tutti ed è una della cause della crisi che stiamo vivendo.

Quello che cambia la storia è quello che cambia il cuore dell’uomo. Da qui dobbiamo partire. “Ci si domanda …se il futuro più luminoso sia sempre veramente e soltanto il problema di un lontano là. E se invece fosse qualcosa che è già qui da un pezzo e che solo la nostra cecità e fragilità ci impediscono di vedere e sviluppare intorno a noi e dentro di noi?”

Così chiude il saggio di Vaclav Havel, dissidente e primo Presidente eletto della Cecoslovacchia democratica.

L’attualità di questo saggio è evidente. Havel nel 1978 ha toccato il nocciolo della questione, dei rapporti tra libertà dell’individuo e potere dello Stato, tra potere dell’ideologia e potere della Verità.

“Non è detto che con l’introduzione di un sistema migliore sia garantita automaticamente una vita migliore, al contrario, solo con una vita migliore si può costruire anche un sistema migliore” scrive Havel.

Come non riflettere ancora oggi su quanto il profetico Havel ci ha lasciato scritto in questo saggio?

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- Politica

Destra e Sinistra

Come se fosse stato necessario, l'ultima tornata elettorale per l'elezione dei sindaci ha messo in evidenza tutta la fragilità dello schieramento di centro destra della maggioranza che sostiene il Governo delle larghe intese.

Ormai e' chiaro che lo schieramento che fa capo a Berlusconi, comunque lo si voglia chiamare, Popolo della Libertà o Forza Italia, ha perso quel contatto magico che aveva sino a qualche anno fa con l'elettorato.

Alcuni autorevoli esponenti del partito in queste ore si sono affrettati a spiegare che il risultato negativo e' dipeso dal fatto che il Presidente Berlusconi non era direttamente impegnato in queste consultazioni, ma il nocciolo del problema, a nostro avviso, e' proprio questo: può un partito politico che vuole rappresentare il centro destra italiano dipendere unicamente da un uomo di 75 anni?

E' mai possibile che in tutti questi anni il PDL non abbia saputo formare una classe di buoni amministratori locali che goda nel tempo della fiducia degli elettori?

Il motivo di questa debacle forse risiede anche nel fatto che il partito di Berlusconi sta dando un'immagine di se come di un partito vecchio, che non riesce a stare al passo coi tempi. Il fatto che non si sia mai preso sul serio il discorso delle "primarie" interne e che nel PDL le liste vengano sempre scelte dai pochi intimi del Dominus ha forse contribuito a rompere l'incantesimo. Oltretutto Berlusconi non e' più quello di venti anni fa e alcune scelte di candidati sindaci si sono rivelate sbagliate.

Se il centro destra piange, il centro sinistra non può a nostro avviso rilassarsi su una vittoria elettorale comunque di modesta entità, tenuto conto del numero degli elettori coinvolti e dell'astensionismo imperante, ancor più preoccupante se si pensa che si e' trattato di elezioni amministrative.

Le divisioni interne al principale agglomerato della sinistra italiana rimangono. Il PD deve chiarirsi una volta per tutte quali elettori vuole sostenere, a chi vuole rivolgersi e quale visione nuova di Italia vuole proporre. Altrimenti il rischio e' che alle prossime politiche, che questo voto secondo noi hanno reso più vicine, il PD prenda il 10% dei consensi.

Nella crisi identitaria delle due principali forze politiche sta probabilmente la crisi di valori e di fiducia nelle Istituzioni che colpisce il nostro Paese.

Come uscirne?

L'unico punto di partenza che rimane a nostro giudizio valido per tutti coloro che hanno ancora il desiderio di occuparsi di politica, siano essi di destra che di sinistra, e' quello di partire dal concetto di "bene comune" attorno al quale concentrare le forze morali di tutti gli uomini e le donne di buona volontà e le risorse finanziarie disponibili per iniziare un nuovo rinascimento della politica italiana.

Questo non significa Governo di larghe intese, questo significa Governo di una parte che si dedica con passione alla ricerca del bene comune e Opposizione che si dedica con altrettanta passione alla ricerca del medesimo risultato, senza faziosità e senza inseguire interessi di parte.

Come è avvenuto invece in Italia da vent'anni a questa parte.

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- Educazione

Che scuola vogliamo per i nostri figli?

Spentosi un poco il clamore suscitato dal referendum di Bologna sui finanziamenti pubblici del Comune alle scuole paritarie, proviamo a fare alcune considerazioni a mente lucida, guardando i fatti.

Hanno “vinto” il referendum i sostenitori dell’abolizione del finanziamento alle scuole paritarie, con il 60% dei voti, ma hanno votato solo il 28% degli aventi diritto. In pratica hanno votato a favore dell’abolizione il 16,8% degli aventi diritto. Un po poco per dire che la maggioranza dei bolognesi vuole l’abolizione del finanziamento.

Invece, sarebbe interessante capire come mai il 72% dei bolognesi non si è recato a votare. Ma, tant’è.

Seconda considerazione: se le scuole paritarie, senza finanziamenti, ancorchè minimi, dovessero chiudere i battenti, quei ragazzi e le loro famiglie si rivolgerebbero alle scuole statali, questo è ovvio. Conseguenza, il Comune dovrebbe far fronte alla nuova richiesta degli utenti e quindi dovrebbe sopportare un aumento dei costi in un periodo dove le risorse ai Comuni vengono cancellate dal Governo centrale.

E poi, risulta dalle statistiche del Ministero, un posto alunno in una scuola statale costa circa 10 volte tanto di un posto alunno in una scuola paritaria. Cosa conviene al comune di Bologna: continuare a finanziare le scuole paritarie oppure portarle sull’orlo della crisi finanziaria e farle chiudere?

Francamente è stato demoralizzante leggere in queste settimane, sulle pagine di quasi tutti i giornali, un attacco alla scuola paritaria, accusata di togliere fondi alla scuola statale, senza avere a sostegno di questa tesi nulla più di un pensiero ideologico, espressione di una vecchia cultura di sinistra, che non aiuta certo l’Italia di oggi ad uscire dalla crisi culturale, oltre che economica, in cui si trova.

Nessuno, conti alla mano, può dimostrare economicamente che la scuola paritaria sia un costo per le casse pubbliche, a meno che non si pensi che, chiuse le scuole paritarie, quegli studenti non vadano più avanti a studiare e rinuncino a frequentare la scuola statale.

Sia chiaro, a questo tema, prettamente economico, si aggiunge quello della libertà di educare i propri figli. Ogni famiglia a nostro giudizio ha il diritto di esercitare la libertà di educazione e pertanto il valore delle scuole paritarie è incommensurabile e costituzionalmente garantito. I benefici di tale attività ricadono su tutta la società nella quale agiranno e opereranno gli studenti usciti dalle scuole paritarie.

Diceva Don Bosco, fondatore nella Torino operaia del 1800 delle scuole salesiane, che l’educazione è cosa del cuore. L’educazione è il dono più grande che l’uomo può offrire al proprio “cucciolo” e deve poterlo fare in piena libertà, secondo quelli che sono i propri principi e ideali. Solo così si forma il cuore di un giovane, partendo da un punto d’inizio, un’origine verso la quale paragonare e confrontare tutta la realtà.

Più si lascia libertà di educazione e più si formano persone capaci di interagire con la realtà, desiderose di conoscerla, comprenderla, amarla e quindi migliorarla.

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- Politica

L’ articolo 83 della Costituzione: va bene così?

Francamente non ci esaltano i temi relativi alla riforma dell'elezione del Presidente della Repubblica che in questi giorni imperversano sulle pagine dei giornali. Presidenzialismo, semi presidenzialismo o altre alchimie tecnico - giuridiche non ci sembrano temi fondamentali in un tempo di profonda crisi economica come quello attuale.

Quando si toccano punte altissime di disoccupazione, specialmente giovanile, quando ogni giorno piccole aziende chiudono i battenti e imprenditori si tolgono la vita, vergognandosi di non riuscire a tenere aperta l'attivita', ci sembra che parlare della riforma del metodo per eleggere il Capo dello Stato, sia a dir poco superfluo. Tanto piu' che il Presidente della Repubblica l'abbiamo appena eletto!

E del resto ci pare che anche l'Europa, che ci ha promossi nuovamente in serie A, non ci abbia "suggerito" di affrontare questo tema.

I veri temi attuali per l'Italia sono due: il primo è la necessità di dare una scossa all'economia e di porre le basi per un cambio di rotta nel mercato del lavoro da un lato e nelle politiche fiscali sempre legate al lavoro dall'altro. Il secondo tema, che viene prima a nostro giudizio delle riforme istituzionali e del cambiamento dell'elezione del Capo dello Stato, e' quello della riforma della legge elettorale.

Senza una nuova legge elettorale che superi il porcellum, si rischia di perdere ancora tempo per cercare di colmare il divario che si e' creato tra i cittadini e i politici, la politica.

Il calo dell'affluenza elettorale che abbiamo verificato nelle recenti amministrative, dove ha votato il 50% degli aventi diritto, dovrebbe fare riflettere. Se non si riesce ad avvicinare nuovamente l'elettore alla politica, permettendo di scegliere direttamente il proprio rappresentante in Parlamento, la situazione politica in Italia rischia concretamente di finire in mano ai "grillini" da un lato e all'astensionismo dall'altro. Con tutte le conseguenze negative che possiamo immaginare...

Bene quindi il Capo dello Stato quando ricorda come il tempo per la riforma della legge elettorale sia agli sgoccioli. Questo Parlamento non può esimersi dal cambiare una legge ormai squalificata agli occhi dei cittadini e sulla quale pende un giudizio di illegittimità costituzionale che, di fatto, la metterebbe automaticamente fuori gioco.

Certo, una nuova legge elettorale, da sola, non risolve i problemi dell’Italia che sono ben altri. Può, tuttavia, far ripartire quel circolo virtuoso che si basa sulla fiducia tra il cittadino e il suo rappresentante nel luogo più sacro della vita politica di ciascuna democrazia: il Parlamento.

Un Parlamento di eletti dal popolo e non più di nominati dalle segreterie dei partiti, o dai media manager esperti della rete, può avere la forza per iniziare un reale processo di cambiamento nella vita politica, economica e sociale del nostro Paese che attende da oltre venti anni di essere cambiato.

Meditate gente, meditate…

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- Politica

La riforma della legge elettorale

La vita del governo Letta dipende dai passi in avanti che si faranno in campo economico e in quello delle riforme istituzionali, in primis la riforma della legge elettorale.

In campo economico, seppur lentamente, qualcosa si sta muovendo: la sospensione dell’IMU sino a settembre, in attesa di una riforma più generale delle imposte sulla casa, è una novità insieme a quella più importante che è proprio di queste ore e che ci arriva dall’Europa e riguarda la revoca per l’Italia della procedura per deficit eccessivo. Sono piccoli passi rispetto al lavoro che il governo Letta deve affrontare per far ripartire il sistema economico italiano, ma la direzione sembra essere quella giusta.

Diverso invece il discorso sulle riforme istituzionali.

In questo campo sembra che la grande coalizione PD - PDL non abbia ancora trovato la strada per arrivare, finalmente, all’abolizione del porcellum. Le fibrillazioni di queste ore con la mozione Giachetti dimostrano quanto ancora sia impervio il percorso, minato da franchi tiratori di ambo le parti.

Uscito rinfrancato dal primo turno delle elezioni amministrative, servirebbe che il PD a questo punto facesse sentire decisamente la sua voce e ponesse come punto imprescindibile l’immediata modifica della legge elettorale.

Fino a prova contraria infatti, il porcellum fu ideato e votato dalla coalizione di Centro Destra e osteggiato da quella di Centro Sinistra, anche se poi nei fatti, sino ad ora, sembra che entrambi gli schieramenti lo abbiano accettato pensando di vincere le politiche dove è stato utilizzato, con il risultato delle ultime votazioni di febbraio che ci hanno invece consegnato un Parlamento senza una vera maggioranza in grado di governare il Paese.

Ecco perché è indispensabile modificare subito questa legge elettorale, per evitare che in caso di interruzione improvvisa del governo delle grandi intese, si torni per forza a votare con questa legge sciagurata. Un aumento dell’astensionismo, che nelle ultime elezioni amministrative ha sfiorato il 50%, sarebbe il minimo che i partiti si potrebbero aspettare in questo caso.

Occorre che venga restituito al cittadino il diritto costituzionale di scegliere la persona da eleggere in Parlamento. Solo una Camera scelta dai cittadini e non preconfezionata dalle segreterie dei partiti può finalmente, dopo anni, ridare dignità al Parlamento e alla politica vera, che è fatta da persone scelte tramite la scheda elettorale inserita in un’urna e non, tramite un click di una tastiera di un computer connesso alla rete. La rete non è per forza di cose sinonimo di democrazia, non lo è almeno quando parliamo di suffragio universale per la scelta di un deputato o di un senatore.

Papa Francesco, in occasione dell’incontro romano con i Movimenti ecclesiali, sabato 18 maggio, ha dichiarato: “La domanda che facevate voi: come si deve vivere per affrontare questa crisi che tocca l’etica pubblica, il modello di sviluppo, la politica. Siccome questa è una crisi dell’uomo, una crisi che distrugge l’uomo, è una crisi che spoglia l’uomo dell’etica. Nella vita pubblica, nella politica, se non c’è l’etica, un’etica di riferimento, tutto è possibile e tutto si può fare. E noi vediamo, quando leggiamo i giornali, come la mancanza di etica nella vita pubblica faccia tanto male all’umanità intera.”

La questione della legge elettorale si pone proprio al livello indicato da Papa Francesco: non modificarla anche questa volta sarebbe eticamente scorretto, demoralizzante per il singolo cittadino che ancora crede nell’impegno politico e provocherebbe uno scandalo, un cattivo esempio senza giustificazioni.

Meditate gente, meditate…

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- Educazione

Dizionario Enciclopedico delle Mafie in Italia

Si è chiusa questa sera la XXVI edizione del salone del Libro di Torino.

Tra le innumerevoli novità editoriali presentate e tutti gli interessanti incontri che si sono svolti, ci piace ricordare la presentazione, venerdì 17 maggio in Sala Gialla, del Dizionario Enciclopedico delle Mafie in Italia.

A presentare l’opera: il curatore Claudio Camarca, i magistrati Gian Carlo Caselli e Raffaele Cantone, Don Luigi Ciotti e il Responsabile editoriale della Casa editrice, Alessandro Zardetto.

Il Dizionario delle Mafie in Italia è un’opera importante, composta da 959 pagine, contiene 4.600 lemmi, 74 gli autori coinvolti nella stesura tra magistrati, giornalisti e saggisti. Le informazioni contenute sono aggiornate al 25 aprile 2013.

Diceva Paolo Borsellino: “parlate della mafia, parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.” Questo è lo scopo principe del Dizionario, come ha testimoniato il giudice Caselli: parlare della mafia, soprattutto alle giovani generazioni che rischiano di avere, sull’argomento, un’immagine distorta, sostenuta da certa stampa e certa pseudo cultura che propone l’immagine del mafioso come appetibile, accattivante, da imitare perché in fondo essere mafioso vuol dire avere potere, gestire potere, ricchezza, denaro.

Eravamo tutti commossi, noi seicento presenti in Sala Gialla, dopo che Don Ciotti ha parlato della sua esperienza in terra di mafia, raccontando di come sono soprattutto i giovani i più bisognosi di conoscere, di comprendere la storia recente del nostro Paese per capire i tempi attuali che sono pericolosamente sospesi in una cultura mafiosa che, anziché regredire, a causa della crisi economica sta aumentando il proprio spazio e il proprio raggio d’azione.

L’opera ha una valenza scientifica di prim’ordine; sfogliandone le pagine troviamo argomenti come: Addaura, (fallito attentato dell’ ), Calipari Nicola, mandamento, pizzino. Sono descritti i nomi dei carnefici e quelli delle vittime di mafia, i luoghi, i fatti storici e le verità giudiziarie vicine e lontane nel tempo come la strage di Portella della Ginestra.

La mafia non si combatte solo con le forze dell’ordine e con l’azione repressiva ma, come ci ha ricordato Don Ciotti, da un lato con la conoscenza, la diffusione della cultura, lottando contro l’abbandono scolastico e dall’altro con politiche che creano nuovi posti di lavoro, soprattutto per i giovani, soprattutto per il Sud del Paese.

Quest’opera quindi è fondamentale per far conoscere la realtà mafiosa alle nuove generazioni e dovrebbe ricevere il massimo della divulgazione nelle scuole, nei centri aggregativi, negli oratori, in tutti quei luoghi dove vengono proposti modelli e stili di vita ai giovani di oggi.

In questo senso, la politica di prezzo praticata dall’Editore (Castelvecchi editore -http://rx.castelvecchieditore.com ) che pone in vendita l’opera ad un prezzo sicuramente accessibile a molti, va elogiata.

In fine: tutti i relatori, nel presentare l’opera, hanno ricordato il compianto Roberto Morrione che fu tra i primi ideatori dell’opera e anche noi ci uniamo al ricordo e alla memoria di questo grande del giornalismo italiano, scomparso nel 2011.

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- Politica

La situazione politica in Italia è grave, ma ...

Come scriveva il grande Ennio Flaiano nel 1956, nel suo Diario notturno: “La situazione politica in Italia è grave ma non è seria”.

A leggere le ultime dichiarazioni dei Capigruppo alla Camera e al Senato del PDL, Brunetta e Schifani, la situazione politica italiana sembra peggiorata: ora oltre che grave, è diventata anche seria.

Brunetta e Schifani hanno dichiarato che prima di cambiare la legge elettorale occorre modificare la struttura costituzionale e istituzionale del Paese. Con questo Governo, con questo Parlamento? Ma se una riforma della Costituzione non è stata fatta quando sia il PDL che il PD avevano ampie maggioranze parlamentari, i due pensano che si possa risolvere oggi, con il poco tempo che durerà questo esecutivo, una riforma di questa portata?

I politici si sono già dimenticati le ragioni per cui è nato questo governo poche settimane fa? Si sono dimenticati le parole del Presidente Napolitano al Parlamento riunito in seduta comune?

Esternare che prima si fanno le riforme e poi si cambia la legge elettorale, significa una cosa sola: che il PDL vuole andare alle nuove elezioni con il Porcellum. Questa è la traduzione concreta del pensiero dei Capigruppo PDL. Perché mai questo Porcellum è così caro agli attuali politici e non vogliono modificarlo? Forse perché sono gli stessi politici che decidono chi sono i fortunati, i predestinati a sedere in Parlamento, mettendo da parte la volontà popolare degli elettori che si trovano da votare una lista preconfezionata?

E’ tornato alla casa del Padre, in questi giorni, il tanto bistrattato, se a torto o a ragione sarà la Storia a dircelo, Giulio Andreotti. Ebbene, il Sig. Giulio Andreotti ogni volta che è entrato in Parlamento, è stato eletto conquistandosi a suon di preferenze il diritto a sedere nell'emiciclo. Almeno da questo punto di vista non si può dire che Andreotti fosse il male assoluto, dalla sua mente “diabolica” non uscì mai un sistema elettorale così anti democratico come quello attuale, ideato dal leghista Calderoli nel 2005 e subito piaciuto, nei fatti, a tanta Destra e a tanta Sinistra.

Intendiamoci, sono talmente gravi e molteplici i problemi che l’Italia deve affrontare, che non è certamente la riforma elettorale la panacea di tutti i mali. Tuttavia, ridare agli italiani quella “sensazione” di incidere maggiormente, concretamente, nella scelta del proprio rappresentante da eleggere in Parlamento, senza passare per forza dalla rete grillina, può aiutare a rifondere nei cuori la fiducia e un nuovo rapporto con la classe politica.

Siamo consapevoli che la strada di questo primo Governo Letta è stretta e tutta in salita, tuttavia dobbiamo crederci. Non ci sono alternative al momento. E questo anche PD e PDL in fondo lo riconoscono. Fino a quando però le vicende personali di Berlusconi da un lato e la situazione interna al PD dall’altro non pregiudicheranno la situazione? Difficile dirlo. Il Presidente Letta in questi mesi deve cercare di far passare quelle riforme economiche che ci permettono di superare questa terribile crisi e far modificare questa legge elettorale che ormai ha stancato gli italiani. Tutto il resto sarà tema per la prossima Legislatura.

Coraggio Presidente, il tempo stringe!

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- Politica

Prove di TTIP avanzano…

Bene ha fatto il Presidente del Consiglio Enrico Letta in questi primi giorni di Governo ad incontrare i principali leader europei per cercare di mettere le basi per ottenere più tempo per l’Italia per mantenere gli impegni economici di pareggio di bilancio. Avrebbe dovuto farlo un anno fa anche il Governo Monti, ma tant’è.

D’altra parte, senza avere più tempo, è ormai chiaro che diventa impossibile mettere in atto tutti quei provvedimenti utili per la crescita economica che servono per rispettare gli impegni finanziari e per mantenere l’ordine sociale nel nostro Paese. L’Europa è il vero centro di potere che in questo momento Letta deve cercare di conquistare alla causa italiana. A Bruxelles, nel prossimo Consiglio europeo di giugno, l’Italia dovrà ottenere una dilatazione dei tempi per rispettare gli impegni di rientro dal deficit, altrimenti saranno inutili le manovre che il Governo si accinge a varare. Questo, il Presidente del Consiglio, ha mostrato di avere ben chiaro in mente.

Come ben chiaro deve essere che questo Governo oltre alle riforme economiche per creare sviluppo e lavoro, deve dedicarsi senza indugio a quelle istituzionali, partendo dalla più urgente, la revisione della legge elettorale. Senza questa riforma l’opinione pubblica non giustificherebbe più questa classe dirigente con l’esito di incrementare alle prossime elezioni l’astensionismo da un lato e il grillismo dall’altro.

Ogni ulteriore tema politico, ancorché ritenuto “fondamentale” o “imprescindibile”, questo Governo dovrebbe mostrarsi più accorto nell’affrontarlo e nel proporlo all’opinione pubblica. Un esempio su tutti: l’uscita del neo ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge sulla riforma della legge per l’attribuzione della cittadinanza ha generato subito un’alzata di barricate da parte dei due schieramenti che sostengono il governo Letta. Se questo esecutivo vuole portare a termine il compito che si è dato, deve cercare di occuparsi dei temi intorno ai quali si può, anzi si deve, trovare unità di intenti per il bene comune dell’Italia, per le divisioni ci sarà tempo in futuro.

D’altra parte, senza crearne di nuovi, per Letta i problemi sul tappeto non mancano, a partire da quelli interni al PD e, dall’altra parte, a quelli di un PDL con un Capo carismatico ormai accerchiato dai procedimenti giudiziari.

Le prossime settimane saranno le più importanti perché si verificherà se il governo Letta sarà in grado di produrre quelle iniziative che, se approvate dal Parlamento, potranno iniziare a far invertire la rotta al nostro Paese.

Ultima annotazione: dopo il tour europeo di settimana scorsa, oggi Letta ha incontrato il Segretario di Stato USA, Kerry, anch’egli in viaggio in Europa. Dopo i saluti, formali e cordiali, tra le due amministrazioni, i due leader hanno convenuto sulla necessità di “procedere rapidamente all’area di libero scambio tra Ue e Stati Uniti” che entrambi considerano un valido “motore di crescita” per i due continenti.

Prove di TTIP avanzano…

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- Politica

Tempi moderni?

Questo primo maggio mi è venuto in mente, chissà perché, Charlie Chaplin che in Tempi Moderni, girato nel 1936, interpreta un povero operaio, disperato per la ricerca di un lavoro, e alienato dopo averlo trovato presso una catena di montaggio.

Sono ancora attuali quei tempi oppure sono tempi superati, i nostri tempi sono diversi?

A pensarci bene, in settantasette anni, tanti ne sono passati dal film denuncia di Chaplin, le cose non sono molto cambiate. Il mondo “occidentale” viveva un periodo di crisi economica e sociale allora e lo stesso stiamo vivendo oggi. Il lavoro non era sufficiente per tutti e lo stesso accade oggi.

Allora il lavoro in fabbrica portava e provocava alienazione e crisi d’identità sia alla persona che al gruppo sociale di origine dal quale si finiva per allontanarsi; oggi le fabbriche rimaste si sono trasformate, il lavoro alienante lo svolgono le macchine controllate dall’uomo, ma l’alienazione è data dai ritmi del lavoro imposto dalle macchine stesse che per loro natura non hanno ritmi umani.

Per macchine non intendo le presse, gli altoforni, gli impianti di verniciatura. Per macchine intendo i computer, gli smartphone, le fotocopiatrici, i fax ma anche i treni super veloci e gli aerei che in poche ore ti trasferiscono persone e merci da un capo all’altro del pianeta.

L’alienazione deriva dai ritmi non umani cui siamo sottoposti quotidianamente ai quali d’altra parte ci spinge la competizione globale generata dal fatto che ormai in poche ore treni ed aerei superveloci…

Se questo è lo scenario che viviamo, settantasette anni dopo i tempi moderni di Chaplin, è chiaro che anche il lavoro si sposta velocemente e si trasferisce dove il datore di questo lavoro trova la migliore mano d’opera al miglior costo. L’Europa in questo senso è ancora in grado di offrire queste condizioni? E per quali settori è interessata a competere, diciamo, con i Paesi dell’estremo oriente o del Sud America?

Queste sono le domande di fondo cui occorre rispondere prima di decidere dove investire le risorse disponibili per creare il lavoro che oggi manca, in Italia ma anche in tutta Europa. E occorre decidere in fretta per non perdere un’intera generazione di giovani di 25/30 anni che oggi è senza lavoro e che non può arrivare ad avere (forse) un posto di lavoro, degno di chiamarsi lavoro, a quarant’anni.

Una risposta a queste domande sembra arrivare dall’altra sponda dell’atlantico. il Presidente Obama, il 12 Febbraio, durante il suo primo discorso sullo stato dell’Unione dopo essere stato rieletto, ha annunciato che gli USA e la UE hanno raggiunto l’accordo per aprire i negoziati Ttip (Transatlantic trade and investment partnership) vale a dire i negoziati per eliminare da entrambe le parti le tariffe che ancora pesano sul libero scambio e sul commercio bilaterale, realizzando così un vecchio sogno di David Rockfeller e dei suoi amici che giusto 40 anni fa, nel luglio 1973, crearono la Commissione Trilaterale con lo scopo dichiarato di sostenere e diffondere il libero scambio mondiale di beni e servizi con meccanismi flessibili di circolazione della moneta.

Basterà il sogno dei neo liberisti, il commercio senza barriere, a risolvere il problema della crisi del lavoro che non c’è più (o meglio del lavoro che si è spostato dall’Europa in altre parti del mondo)?

Vedremo. Intanto registriamo una strana coincidenza: al Presidente Monti, membro italiano della Commissione Trilaterale è successo Enrico Letta, membro italiano della Commissione Trilaterale.

A quanto pare l’Italia sembra già allineata al nuovo progetto TTIP !!!

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- Politica

Abbiamo un Governo, ed ora?

E’ noto che noi italiani non possiamo rinunciare a due cose: commentare la formazione della nazionale di calcio scelta dal Mister per partecipare ai mondiali e la composizione di un nuovo Governo (tra l’altro quest’ultimo accadimento prima dell’avvento dell’era berlusconiana era più frequente del primo).

Ci permettiamo quindi anche noi, insieme ai moltissimi che in queste ore lo stanno facendo, di esprimere il parere sul primo Governo di Enrico Letta.

Sinceramente facciamo gli auguri al neo Premier perché la situazione politico – economica non è mai stata così difficile e complicata da gestire come in queste settimane e, come se non ce ne fosse bisogno, lo dimostra anche il gesto folle e disperato dell’attentatore che questa mattina ha sparato su due carabinieri in Piazza Montecitorio. L’attentatore ha dichiarato che in realtà voleva sparare ai neo ministri che entravano nel palazzo per il loro primo Consiglio dei Ministri.

Passiamo ad analizzare la lista dei nomi che compongono questo Governo: ecco che incominciano ad apparire alcune criticità. Quasi tutti i Ministri, salvo il Vice Premier e Ministro dell’Interno Alfano, sono personaggi politici di secondo piano, se non tecnici, del proprio partito di appartenenza. Questo, per un Governo definito dal Presidente della Repubblica un Governo politico, è un segnale di debolezza, certamente non di forza.

Sui nomi scelti, posto che si è deciso di non proporre un Governo composto dai politici big di partito (oppure i big di partito non hanno voluto esporsi in questa fase), la coppia Napolitano – Letta poteva scegliere forse con più accuratezza nomi diversi per alcuni Ministeri importanti. Ministeri come quello della Salute o delle Politiche agricole, così importanti e fondamentali in questi periodi di crisi economica, meritavano maggiore attenzione e competenze tecniche che non riscontriamo presenti nei nomi scelti.

Ma tant’è, ormai la squadra è fatta e ci rendiamo conto che non deve essere stato facile per il neo Premier Letta arrivare a comporre un puzzle come quello di dare un Governo all’Italia.

A questo punto crediamo che il Governo debba da subito iniziare a porre in campo tutte quelle riforme necessarie per far sì che il nostro Paese incominci finalmente ad uscire dall’immobilismo in cui versa da vent’anni.

Le prime cose da fare sono, da un punto di vista economico, bussare agli organismi competenti europei e chiedere con forza e ottenere una modifica del patto di stabilità, per permettere alla nostra economia di riprendere a crescere e di creare nuovi posti di lavoro. Mentre, da un punto di vista politico, la prima cosa da fare è la riforma della legge elettorale, con l’introduzione della possibilità per il cittadino di esprimere la propria preferenza per il politico da eleggere. Evitare anche questa volta di portare avanti questa riforma vorrebbe dire tradire il popolo italiano ed aprire le porte, la prossima volta che si andrà a votare, ai grillini da un lato e all’astensionismo dall’altro.

Per nostro conto, concluse queste due operazioni salva Paese, potremmo chiedere anche al Presidente Napolitano di sciogliere il Parlamento e tornare alle urne, questa volta con una nuova vera legge elettorale.

Un Parlamento di eletti dal popolo e non di nominati dai partiti, come è quello attuale, sarà in grado di dare nuova linfa alla politica italiana e di traghettarla fuori dal pantano in cui si trova.

Di questo ne siamo certi.

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- Sociologia

Alla ricerca di Utopia, nel senso di eutopia.

Chi ha visto la puntata del 25 aprile di Servizio Pubblico di Michele Santoro sino al termine, è stato spettatore dell’intervento dello scrittore Roberto Saviano.

Saviano, come piace fare a lui, ha raccontato una storia. La storia della rinascita del popolo cileno che nel 1988 avuto in dono dalla comunità internazionale un referendum per dire SI o NO alla continuazione della dittature del Generale Pinochet, inaspettatamente decide di voltare pagina e a maggioranza vota NO.

Lo spunto Saviano lo prende da un recente film, NO, di Pablo Larrain, vincitore a Cannes nel 2012 dell’Art Cinema Award. Come hanno fatto i sostenitori del NO, all’inizio in netta minoranza nel Paese, a convincere la maggioranza dei cileni che la vita senza Pinochet era meglio della vita con Pinochet? Utilizzando in modo nuovo, originale la comunicazione. Non hanno parlato dei crimini commessi dal regime, ma hanno mostrato il Cile che avevano in mente, libero, pieno di colori, dove tutti potevano vivere in pace, dove il militare e lo studente potevano camminare in piazza vicini, senza che l’uno avesse paura dell’altro. Hanno proposto un sogno, una visione di un mondo nuovo che sarebbe stato possibile realizzare se avessero vinto i NO. L’alternativa era continuare il solito tran tran, la solita vita grigia che i cileni conducevano sotto Pinochet, senza poter scegliere in autonomia la propria vita, il proprio modo di vivere.

A poco a poco, grazie anche a una campagna comunicativa fatta di spot televisivi propositivi e avvincenti, il popolo cileno ha perso la paura generata dal cambiamento, ha capito che si poteva vivere senza Pinochet, che votare NO non avrebbe generato particolari traumi e che forse valeva la pena non perdere l’occasione. I NO hanno vinto e il Cile ha voltato pagina.

I riferimenti alla nostra situazione attuale sono evidenti, anche se da noi al momento non esiste un Generale Pinochet, anzi semmai si teme una sua venuta.

Cosa ha voluto dire Saviano al popolo della sinistra italiana, ai suoi esponenti politici?

Ha voluto dire di cambiare strategia, di non cercare lo scontro diretto con la destra, con Berlusconi e i suoi processi. Arroccarsi sulle proprie posizioni non modifica il modo di pensare dell’altra parte, di chi la pensa diversamente. La Sinistra per crescere nel Paese deve proporre, deve comunicare un mondo nuovo, diverso, deve far intuire che cambiare l’attuale stile di vita che ci ha portato a questa situazione di crisi è possibile e per farlo occorre avere fiducia nei propri leader politici. E’ un po’ quello che in questi ultimi cinque anni ha fatto Grillo che ha proposto una visione nuova di mondo, temi nuovi e nuovi stili di comportamento e che ha raccolto un ampio consenso.

Una domanda però mi piacerebbe porre a Saviano, senza vena polemica. Qual è la visione del nuovo mondo che la Sinistra ha in mente e vuole proporci? Dove sono i leader da seguire che ci conducono verso questa Utopia (nel senso di eutopia)? Perché, alla fine, il problema è questo, avere una visione per il futuro, anche solo per i prossimi venti/trent’anni, e immaginare un mondo diverso, migliore di quello attuale, dove far crescere e vivere felici i nostri figli.

Di questo Saviano, purtroppo, non ha parlato.

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- Politica

Il nuovo che avanza: e dopo Giorgio, Mario Monti ?

A circa due mesi dalle elezioni politiche, i segnali di cambiamento politico – istituzionale richiesti dal popolo italiano con l’esito delle votazioni sono sotto gli occhi di tutti . Non abbiamo ancora un nuovo Governo che incominci ad affrontare la grave situazione economica e sociale che stiamo attraversando, ma in compenso abbiamo un nuovo Presidente della Repubblica: Giorgio Napolitano, chiamato per la prima volta nella storia repubblicana a rimanere sul Colle per (teoricamente) quattordici anni. Quando scadrà il suo secondo mandato, il Presidente compirà novantaquattro anni. Se ben ricordo, neanche i Segretari del Plenum del Soviet Supremo dell’ormai misconosciuta Unione Sovietica restarono in carica sino a questa età.

Intendiamoci, tanto di cappello al Presidente Napolitano.

La sua elezione è stata perfettamente legittima, costituzionalmente ineccepibile e chi grida al golpe anche questa volta ha perso un’occasione per pensare prima di parlare.

Il problema è politico e riguarda tutte le forze presenti in Parlamento.

Per i Democratici l’elezione di Napolitano certifica in diretta TV la divisione ormai insanabile tra le componenti che hanno creato il PD. Bersani ha le sue colpe (e infatti si è dimesso) ma tutti i capi bastone che hanno agito nell’ombra (dall’Italia, dall’Africa o dalla Cina) portano seco la medesima responsabilità che dice una cosa sola nei fatti: i problemi degli italiani vengono dopo l’egemonia del proprio gruppo all’interno del partito. Vedremo al prossimo congresso se la base ridarà la fiducia a questi Lazzaro oppure deciderà di voltare pagina definitivamente.

Il M5S in questi due mesi non ha ottenuto nulla rispetto a ciò cui poteva aspirare in base ai voti ricevuti dagli elettori. Grillo è un grande uomo di spettacolo e infatti in tutte le piazze dove ha portato il suo tour ha fatto il pieno, ma, come politico, di strada deve ancora compierne parecchia. Quando una forza politica siede in parlamento, per ottenere un risultato favorevole alla propria parte deve per forza cercare un accordo con le parti politiche più vicine alla propria, altrimenti i casi sono due: o non si ottiene nulla (e allora non si capisce perché si è deciso di sedere in parlamento) oppure non siamo in democrazia.

Berlusconi e il PDL in apparenza sono quelli che hanno ottenuto una vittoria in questa fase, avendo da sempre optato per una scelta di grandi intese, di santa alleanza per il bene del Paese con la creazione di un governo trasversale politico al posto di quello tecnico guidato da Monti. Ma ora che questa soluzione si avvicina con l’elezione di Napolitano, Berlusconi sa benissimo che se si andasse subito a votare il PDL molto probabilmente avrebbe la maggioranza nel Paese (anche per l’auto distruzione del PD) e la tentazione di sfilarsi da questo governo di larghe intese è fortissima. Vedremo nei prossimi giorni quale strada il PDL deciderà di percorrere.

Scelta Civica con il professor Monti si appresta a vivere un ritorno di fiamma insperato. Un governo di larghe intese vedrebbe sicuramente i moschettieri del Presidente in prima fila e magari il senatore Mario Monti (ora politico a pieno titolo in quanto a capo di un partito democraticamente eletto) potrebbe essere chiamato a far parte di un governo politico di unità nazionale, cosa impossibile sino a ieri.

E gli italiani? A noi popolo italiano non ci rimane altro, a questo punto, che rivolgerci al nostro Presidente democraticamente eletto dai parlamentari e chiedergli una sola cosa: imponga, Signor Presidente a questi pseudo leader politici di mettersi subito d’accordo per costituire un Governo. Affronti, questo Governo, subito senza indugi la situazione economica e dica alle istituzioni europee competenti che la gestione della crisi come fatta sino ad ora non va bene perché soffoca la crescita. Dia, questo Governo, agli italiani una nuova legge elettorale permettendo all’elettore la scelta del proprio rappresentante in parlamento.

E dopo, Signor Presidente, verificato che questi due compiti siano stati eseguiti, sciolga le Camere e ci rimandi a votare.

Grazie Signor Presidente.

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- Cultura

I veri Saggi

In questi giorni abbiamo riletto cosa hanno scritto due grandi Saggi.

Il primo:

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l'insegnamento, all'insegnamento; chi l'esortazione, all'esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia.
La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell'ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto.
Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi. Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all'ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore. Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male. “

Il secondo Saggio ha scritto:

“Se riesci a tenere la testa a posto quando tutti intorno a te
L'hanno persa e danno la colpa a te,
Se puoi avere fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te,
Ma prendi in considerazione anche i loro dubbi.
Se sai aspettare senza stancarti dell'attesa,
O essendo calunniato, non ricambiare con calunnie,
O essendo odiato, non dare spazio all'odio,
Senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo da saggio;

Se puoi sognare, senza fare dei sogni i tuoi padroni;
Se puoi pensare, senza fare dei pensieri il tuo scopo,
Se sai incontrarti con il Trionfo e la Rovina
E trattare questi due impostori allo stesso modo.
Se riesci a sopportare di sentire la verità che hai detto
Distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi,
O guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
E piegarti a ricostruirle con strumenti logori.

Se puoi fare un solo mucchio di tutte le tue fortune
E rischiarlo in un unico lancio a testa e croce,
E perdere, e ricominciare dal principio
e non dire mai una parola sulla tua perdita.
Se sai costringere il tuo cuore, tendini e nervi
A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tenere duro quando in te non c'è più nulla
Tranne la Volontà che dice loro: "Tenete duro!"

Se riesci a parlare alle folle e conservare la tua virtù,
O passeggiare con i Re, senza perdere il contatto con il popolo,
Se non possono ferirti né i nemici né gli amici affettuosi,
Se per te ogni persona conta, ma nessuno troppo.
Se riesci a riempire ogni inesorabile minuto
Dando valore ad ognuno dei sessanta secondi,
Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,
E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio!

Come avete intuito, non parliamo di quello che hanno scritto i saggi scelti da Napolitano, ma di quanto scritto duemila anni fa da san Paolo e nel 1895 dallo scrittore Joseph Rudyard Kipling.

Vedere in questi giorni come i quattro leader dei maggiori schieramenti politici, Berlusconi, Bersani, Monti e Grillo si stanno comportando rispetto alla grave crisi politica ed economica che attanaglia il Paese lascia sconcertati, senza parole.

Il Presidente Napolitano, anziché nominare una doppia commissione con dieci saggi avrebbe fatto meglio a fotocopiare e distribuire ai quattro leader politici i testi sopra riportati.

Chissà, forse il cuore di qualcuno di loro avrebbe potuto riprendere a pulsare.

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- Arte religiosa

La Fabbrica del Duomo

Il Duomo di Milano, dedicato alla Natività di Maria, ha una caratteristica unica: la sua costruzione è ancora in corso. La prima pietra venne posata nell’anno 1386 sotto la supervisione di Simone da Orsenigo, nominato ingegnere generale il 16 ottobre 1387 e da allora la c.d. Fabbrica del Duomo di Milano è ancora in attività.

Se ci pensiamo, il cantiere del Duomo di Milano è aperto da oltre seicento anni. Non esiste al mondo un caso analogo.

Un’opera di tal genere non poteva essere portata avanti senza il contributo di tutti i milanesi. Moltissimi nel corso dei secoli hanno lavorato e continuano a farlo per la Fabbrica del Duomo, ma moltissimi hanno donato i propri beni o eredità, grandi o piccole, nella convinzione che la costruzione della Cattedrale esprimesse l’ideale che dà senso alla vita, personale e della comunità. La costruzione e la manutenzione del Duomo è tuttora finanziata in questo modo.

La costruzione del Duomo partì dalla zona absidale e da lì si sviluppo lungo i secoli sino alla facciata realizzata nel corso dell’Ottocento. Tra il 1756 e il 1774 viene realizzata la guglia maggiore sormontata dalla Madonnina in rame dorato che benedice la città di Milano dai suoi 108 metri di altezza.

Il Duomo venne consacrato la prima volta il 16 ottobre 1418 da Papa Martino V e riconsacrato solennemente il 20 ottobre 1577 da San Carlo Borromeo il quale diede l’impianto definitivo all’interno della Cattedrale.

I numeri del Duomo di Milano lasciano senza parole: 52 pilastri (uno per ogni settimana dell’anno), all’interno oltre 400 statue di Santi, mentre complessivamente le statue del Duomo sono oltre 3.500, le ultime posizionate ai nostri giorni; le guglie sono 135.

Una particolarità: il materiale usato per la costruzione del Duomo, il pregiato marmo che dona lustro alla Chiesa Cattedrale, non si trovava in città e nemmeno nelle vicinanze. Il marmo utilizzato per il Duomo fu quello delle cave di Candoglia sul Lago Maggiore in Val d’Ossola. Per secoli migliaia di scalpellini hanno estratto dalla cava, interna alla montagna, non a cielo aperto, il marmo che poi attraverso un complesso percorso fluviale, lungo le vie d’acqua naturali e artificiali (i Navigli) giungeva al laghetto di sant’Eustorgio, allora il porto di Milano. Sulle pietre destinate al cantiere veniva incisa la scritta AUF, Ad Usum Fabricae. Solo il materiale che portava incise queste tre lettere non pagava il dazio dovuto per il trasporto, dazio che invece pagavano le altre merci trasportate.

Come si può intuire da questa breve esposizione, la costruzione del Duomo rappresenta l’esito della fatica del popolo milanese che nel corso degli anni è stato unito nel desiderio, nel lavoro e nella volontà di portare a compimento l’edificazione della Chiesa Cattedrale, luogo di fede e centro, non solo religioso, ma anche civile della città.

Ancora oggi quando due milanesi si vogliono dare un appuntamento in centro città dicono: ci vediamo in Duomo, non intendendo ci vediamo all’interno della Chiesa, ma ci ritroviamo in quel luogo simbolo del centro della città.

Per chi, visitando Milano, desiderasse approfondire la conoscenza della storia del Duomo e visitare la sua Fabbrica, segnaliamo il sito internet dove è possibile reperire tutte le informazioni del caso ed anche contribuire, come si è fatto da oltre seicento anni, alla costruzione e manutenzione della Chiesa Cattedrale : http://www.duomomilano.it/

Ci è sembrato utile riproporre oggi la storia della costruzione del Duomo di Milano, in quanto storia di un popolo che lavora unito per un bene comune più grande, per un Ideale che dà risposta alla vita del singolo e a quella della comunità. Come disse Antoni Gaudì, il grande artefice della Sagrada Familia di Barcellona: "mentre costruivo la Sagrada, la Sagrada costruiva me"; così si può dire la stessa cosa del popolo milanese: mentre il popolo di Milano edificava il Duomo, questo generò e plasmò l’identità culturale e politica dei milanesi.

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- Politica

Quel treno per Hogwarts...

Se penso all’Italia di questo piovoso inizio di primavera 2013, mi viene in mente il principio dei film del maghetto Harry Potter e il viaggio del treno a vapore partito dal binario 9 e 3/4 che trasporta gli allegri aspiranti stregoni al Castello di Hogwarts … La locomotiva macina chilometri nel buio della pellicola, emettendo il caratteristico sbuffo bianco di vapore, seguendo le curve dei binari, diretta verso il nulla…

Ecco questa è l’Italia odierna: un treno a vapore diretto a grande velocità verso che cosa? Nessuno oggi sarebbe in grado di dare una risposta a questa domanda, credo.

Ma facciamo un passo indietro, al dicembre 2012.

La Cancelliera Angela Merkel in una intervista di fine anno al Financial Times ha esposto questo semplice concetto: se l’Europa oggi conta solo il 7 per cento della popolazione mondiale, produce circa il 25 per cento del pil globale e deve finanziare il 50 per cento della spesa sociale globale, allora è ovvio che dovrà lavorare molto duramente per mantenere la sua prosperità e il suo stile di vita.

Ora è chiaro che, se questo è lo scenario di fondo sul quale si gioca il nostro futuro, in Europa i Paesi che più soffriranno questa situazione (che storicamente appare inevitabile) saranno quei Paesi, come l’Italia, che sono più deboli dal punto di vista delle risorse economiche ma, soprattutto, più ingessati politicamente, con una classe dirigente che, a tutti i livelli, sembra incapace di fare squadra – Paese e continua a fare il gioco dei propri piccoli interessi di campanile.

In fondo siamo rimasti fermi, come mentalità, all’Italia dei mille comuni medievali: le corporazioni si fan guerra a vicenda, cercando aiuto e prebende dal Signore del momento; tanto il popolino, ignorante e stolto, alla fine il conto lo paga sempre…

Dopo mille anni di questo copione, forse sarebbe ora che anche noi italiani comprendessimo che o si fa gioco di squadra oppure la storia inevitabilmente ci riporterà ad essere colonizzati nuovamente, non da Stati stranieri, ma da Banche Centrali e Fondi Sovrani.

Il lavoro che ci attende è immenso e il tempo inesorabilmente scorre veloce. Ma forse siamo ancora in tempo, solo non si vede all’orizzonte ancora la volontà di cambiare rotta. Gli ultimi trenta giorni ci hanno mostrato una classe di neo parlamentari che sembra non abbiano compreso la gravità della situazione che abbiamo davanti.

Si ha l’impressione che a prevalere siano ancora i veti incrociati e le beghe interne ai partiti, mentre il Paese, di fatto senza guida, corre veloce verso il nulla.

Di fronte a questa situazione, cosa dovrebbe fare un investitore istituzionale estero che deve decidere dove allocare i risparmi pensionistici dei propri assistiti? Per quale motivo dovrebbe investire i propri risparmi nel nostro Paese? Francamente facciamo fatica a trovare qualche motivazione plausibile per invogliarlo ad investire in Italia. Per non parlare dell’altra faccia della medaglia, altrettanto rischiosa per il nostro Paese, che è quella che gli stessi investitori istituzionali o fondi sovrani, disponendo di ingenti risorse finanziarie, facciano shopping delle nostre aziende migliori (che ancora per fortuna esistono) e dei pezzi “pregiati” del nostro bel Paese. Il rischio esiste realmente e se la crisi economica continuerà con questa intensità, penso che saremo spettatori di situazioni del genere.

Come reagire? L’unica soluzione è imparare a fare gioco di squadra, come gli altri Paesi europei più maturi e responsabili di noi fanno da decenni, da secoli. L’Italia unita ha cento cinquant’anni, ma politicamente sembra ancora una spensierata adolescente.

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- Religione

La porta del paradiso

Tutti gli esseri umani che popolano questa terra, noi compresi, se riflettono un secondo, quello che in ultima analisi fanno ogni giorno, con più o meno consapevolezza, è imparare ad amare e prepararsi a morire.

Appare evidente che la prima delle due attività è molto più interessante e stimolante della seconda che anzi si cerca di dimenticare e di nascondere nel fondo della coscienza: rimane comunque un passaggio obbligato per tutti, ma passaggio per dove?

La settimana che inizia quest’oggi ci condurrà, Domenica prossima alla Pasqua.

Pasqua significa liberazione, passare oltre. Agli Ebrei ricorda l’Angelo sterminatore che uccise gli Egiziani e risparmiò gli Ebrei in fuga dall’Egitto. A noi cristiani la Pasqua ricorda il passaggio da questa vita alla terra promessa, dal centuplo quaggiù al paradiso.

Il paradiso rimane per noi cristiani la meta promessa. E’ Cristo stesso che ci parla del paradiso ma, attenzione, ne parla solo sulla Croce, nella desolazione del Calvario, non prima. Non esiste un passo dei Vangeli dove Gesù parla del destino che attende l’uomo dopo la morte, il paradiso, prima del momento in cui stava per essere crocifisso. Ci aiuta a riflettere su questo tema l’ultimo saggio del filosofo francese Fabrice Hadjadj, Il paradiso alla porta, pubblicato in Italia da Lindau di Torino.

Riportiamo un passo del Vangelo di Luca 23, 32-43: Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati. Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. […] Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!” Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “ In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”.

Scrive Hadjadj nel suo saggio: “così il paradiso non appare né come una grande luce impersonale, né come un faccia a faccia privato. Si manifesta in un incontro, nella relazione tra un Io e un Tu ben definiti, relazione che cerca in modo esemplare di fare entrare anche il terzo in un’intimità simile. “Gesù ricordati di me… Oggi Tu sarai con Me in paradiso”. Tu e io, io e tu, ecco ciò che introduce al Cielo, ma a condizione che anche gli altri vi siano chiamati (Neanche tu hai timore di Dio?) Niente paradiso senza ricordo del Signore e attenzione verso i criminali. “(pag. 226 – 227)

Ecco quindi che per prepararsi a morire, occorre imparare ad amare le persone e tutto quanto ci circonda, il creato nel suo complesso.

Non è un compito semplice, non è un lavoro che si esaurisce, prosegue sino all’ultimo respiro che il Signore ci concede, ma è l’unica strada che abbiamo da percorrere, e questo vale per tutti gli esseri umani che popolano questa terra, noi compresi.

Un augurio di Buona Pasqua a tutti i lettori, a quelli in cammino e a quelli che stanno cercando ancora la strada che porta al paradiso.

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- Economia

Il male minore...

Trecento milioni di euro al giorno, tre miliardi di euro ogni dieci giorni, 9 miliardi di euro al mese.

E’ la spesa per interessi sul Debito Pubblico che il nostro Paese deve pagare a coloro che ci prestano i denari per andare avanti, per pagare i dipendenti pubblici e le pensioni dei nostri genitori.

Potremmo terminare qui il post, non essendoci molte altre considerazioni da fare…

E’ chiaro a tutti (a tutti?) che la prima cosa che il Governo, una volta costituito, dovrà affrontare sarà quella di trovare una soluzione per abbattere il Debito Pubblico, altrimenti ogni altra misura, ogni altro provvedimento, sarà inutile.

Anche iniettare risorse per investimenti che producano nuova occupazione e nuovo lavoro sarebbe inutile se non si facesse qualcosa per abbattere un Debito Pubblico che è diventato il buco nero della nostra economia reale.

Eppure sembra che il nuovo Parlamento, rinnovato da qualche settimana, ringiovanito e ringalluzzito dal Movimento 5 Stelle, non si renda conto della gravità della situazione. Ieri, lo sguardo del Presidente Napolitano intervistato dalle TV in occasione dell’anniversario dell’Unità d’Italia esprimeva, senza bisogno di parole, tutta la preoccupazione del momento storico che stiamo vivendo. Contemporaneamente il Capo Bastone del M5S bastonava, per ora verbalmente, i Senatori dissidenti che avevano osato votare a favore dell’elezione di Pietro Grasso a Presidente del Senato. Interessante modo di affacciarsi sulla scena politica istituzionale da parte del Leader dei 5S.

Invece di collaborare nell’accelerare il più possibile la formazione di un Governo forte che inizi da subito a rispondere ai bisogni del Paese, coinvolgendo il più possibile tutte le forze politiche presenti in Parlamento che abbiano veramente voglia di cambiare rotta con il passato, il nuovo Movimento, cui tanti italiani delusi hanno dato fiducia e voto credendo di avere a che fare con persone adulte e responsabili, sta facendo melina, perdendo tempo prezioso e puntando a nuove elezioni, ritenendo così di poter incrementare i già alti consensi ottenuti.

Credo che così facendo i grillini stiano sbagliando strategia, ma soprattutto stanno danneggiando il Paese.

Non siamo economisti ma, ribadiamo: 300.000.000 di euro al giorno, 3.000.000.000 di euro ogni dieci giorni, 9.000.000.000 di euro al mese (cioè circa 18.000.000.000.000 di vecchie lire al mese) di interessi ci sembrano un po’ troppi da sostenere, anche per un Paese come il nostro.

In questo Paese esiste ancora qualche personalità illuminata che dimostri di aver compreso il problema e incominci seriamente a pensare a come risolverlo? (un piccolo consiglio: lasciamo stare l’aumento delle tasse, ci ha già provato il Governo dei Professori in Economia, ma l’esito è sotto gli occhi di tutti, è stato una tragedia, peraltro annunciata da molti).

La strada deve essere un’altra.

Altrimenti penso che a noi italiani rimanga solo una cosa da fare, quello che fa il Presidente di un club che ha già esonerato e sostituito durante il campionato tutti gli allenatori disponibili in Italia, ma nonostante ciò la squadra continua a perdere e rischia di andare in Serie B: ingaggiare un allenatore straniero.

Diamo l’incarico di Primo Ministro ad un leader straniero che, senza inciuci e senza guardare in faccia a nessuno, senza conflitti di interessi, affronta i mali cronici che affliggono il nostro Paese iniziando dall’ abbattimento programmatico, deciso, continuo, risolutivo del Debito Pubblico.

Se ci pensiamo, potrebbe essere il male minore…

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- Economia

Ttip: nuovo cavallo di Troia?

Nel luglio 1973 David Rockefeller con alcuni amici fondò la Commissione Trilaterale con lo scopo dichiarato di sostenere e diffondere il libero scambio mondiale di beni e servizi con meccanismi flessibili di circolazione della moneta.

Dopo quasi quarant’anni, il Presidente Obama, il 12 Febbraio, durante il suo primo discorso dopo la rielezione, sullo stato dell’Unione, ha annunciato che gli USA e la UE hanno raggiunto l’accordo per aprire i negoziati Ttip (Transatlantic trade and investment partnership) vale a dire i negoziati per eliminare da entrambe le parti le tariffe che ancora pesano sul libero scambio e sul commercio bilaterale, realizzando così il sogno di David Rockfeller e dei suoi amici.

Entro il 2015, data prevista per l’entrata in vigore degli accordi, che a quanto pare si danno già per raggiunti o quanto meno realisticamente raggiungibili, si dovrebbe quindi creare una zona di libero scambio che peserà, secondo le stime, circa il 40% del PIL mondiale. Gli analisti economici più informati e accreditati stanno già incominciando a calcolare quanto benessere, in termine di PIL, porterà ai cittadini questa zona di libero scambio, alcuni calcolano un aumento dello 0,5% annuo per USA e UE, altri addirittura una stima maggiore. Ma siamo proprio sicuri, noi europei, che stiamo andando nella direzione giusta? E’ chiaro che in questa partita sono in gioco interessi mondiali. Ma questa zona di libero scambio a chi porterebbe maggior giovamento, all’Europa o agli Stati Uniti?

In questo momento storico, l’Europa sta vivendo un periodo di crisi economica reale, ma di fatto “voluta”, derivante da una maniacale attenzione alla tenuta dei conti pubblici degli Stati e dallo stretto monitoraggio di ogni possibile focolaio inflattivo che si dovesse intravedere all’orizzonte. Inoltre l’Europa, a differenza degli Usa, non dispone di una Banca Centrale che possa intervenire direttamente nel governo dell’economia, governo che rimane in mano alla politica europea con tutte le conseguenze che ormai abbiamo imparato a conoscere.

Dall’altra parte dell’Atlantico invece, il Governo Usa e la Fed stanno portando avanti una politica monetaria più liberista, immettendo liquidità nel sistema per sostenere l’economia (non per niente l’indice borsistico DJ è tornato ai massimi di sempre in queste settimane) non preoccupandosi troppo dell’inflazione. E’ chiaro che questa politica economica per sostenersi meglio ha bisogno di ampliare i mercati e le zone di influenza delle aziende e dei prodotti americani.

Creare una zona di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico, se da un lato può sembrare allettante per tutti noi, donne e uomini che ci riconosciamo nell’identità culturale occidentale, dall’altro lato di fatto significa che in Europa potranno essere venduti i prodotti americani a prezzi molto competitivi e allettanti per i consumatori europei. Certo, sarà valido anche l’opposto, ma quante sono numericamente le aziende multinazionali europee in grado di competere sui mercati internazionali e in grado di conquistare spazi significativi del mercato USA? Probabilmente poche. Le italiane? Pochissime.

E’ così che questo Ttip rischia di trasformarsi in un cavallo di Troia, servitoci su un piatto d’argento e condito con promesse di crescita del nostro PIL (molto teoriche) e crescite dei fatturati delle multinazionali Usa (quasi certe). Nel 2015 Obama sarà quasi in scadenza di mandato e certamente, se riuscirà a portare a casa questo risultato, potrebbe ipotecare la rielezione di un altro Democratico alla Presidenza degli Usa. Rimane da capire se i conservatori Repubblicani gli daranno una mano oppure prevarrà nel partito l’anima isolazionista e protezionista.

E in casa nostra cosa si dice? Finora le notizie di stampa dei principali giornali a riguardo sono frammentarie, ma generalmente a favore del negoziato. Del resto la partita si gioca a Bruxelles e fino ad ora resta in mano agli addetti ai lavori. Certo, sarebbe bello che il popolo europeo fosse messo in grado di comprendere quali ripercussioni porterebbe questo negoziato nella vita quotidiana di noi cittadini. Sono quesiti astratti? Quando troveremo sul bancone del super i nostri amati spaghetti ad un prezzo dieci volte più basso di quello che siamo abituati noi oggi a trovare, spaghetti americani, ottimi, che tengono la cottura meglio dei nostri, ma prodotti con grano transgenico, la domanda allora apparirà in tutta la sua concretezza.

Ma forse sarà troppo tardi per chiedere una spiegazione…

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- Educazione

Intervista a Silvia e Ugo

Incontro Ugo con Silvia e i bambini, Riccardo di 5 anni e Letizia di 3 un venerdì uggioso di gennaio, in un tardo pomeriggio post asilo. Ugo lo conosco da più di venticinque anni, è stato il mio testimone di nozze e da più di tre anni è malato di SLA, la ormai non più rara malattia meglio nota come Sclerosi Laterale Amiotrofica. Comunica tramite un sintetizzatore vocale comandato dagli occhi, l’unica parte del corpo che riesce ancora a muovere.

D. Chiedo a Silvia: parlami dell’inizio del vostro rapporto.
R. Ci siamo conosciuti da adulti: un anno di fidanzamento, oltretutto vissuto a distanza per impegni lavorativi in Cina di Ugo [che è ingegnere meccanico]. Abbiamo litigato tantissimo, da fidanzati! Per fortuna ci siamo sposati dopo pochi mesi. Un giorno, istantaneamente, ho avuto una certezza: che quest’uomo, dalla notte dei tempi, era stato pensato da Dio per me. Non c’erano altre persone con cui, come con lui, sentissi di non aver bisogno di fingere. Non potevo lasciarmelo scappare! Era una delle piccole grandi certezze della vita, intuizioni come fiammelle che sono la strada per trovare il fuoco. Ci siamo sposati nel 2005, ti ricordi vero il nostro matrimonio?! Nel febbraio 2008 nasce Riccardo, dopo poco rimango in attesa di Letizia la cui nascita è prevista per settembre 2009. A giugno 2009 scopriamo che Ugo è affetto da SLA.

D. Come è andata?
R. Ugo in quel periodo si sentiva un poco stanco. Un amico fisiatra ha l’accortezza di indicarci alcuni esami che sembra opportuno effettuare. Il verdetto è terribile: Ugo è affetto da SLA. Il nostro impatto con la malattia è stato brutale. Lo specialista ha guardato in faccia mio marito e me, che avevo il pancione del settimo mese di gravidanza, e ci ha detto senza mezzi termini di non fare progetti a lunga scadenza; di non accendere un mutuo a dieci anni, e che se Ugo voleva fare una corsa oggi non la rimandasse a domani perché forse domani non avrebbe più potuto farla. E’ stato uno choc ed un insulto. Abbiamo cercato di reagire e di affrontare comunque la realtà inattesa e carica di angoscia. L’aiuto ci è venuto dal Centro Nemo del Niguarda di Milano, un polo specializzato per la SLA, dove l’approccio è del tutto diverso: al drastico “non c’è nulla da fare” che ci eravamo sentiti sentenziare dal medico si contrappone qui un semplice e concreto “vediamo cosa si può fare”. Ci sono stati accanto per aiutarci a capire qual è il modo migliore di affrontare la situazione. Purtroppo, con Ugo la SLA si dimostra subito una brutta bestia vorace. All’inizio di settembre, quando Letizia nasce, Ugo già fatica a stare in piedi. Iniziamo mesi terribili, in cui, con velocità spaventosa, Ugo sembra cedere terreno alla malattia in una ritirata senza tregua: in pochi mesi è in sedia a rotelle. A febbraio 2010, dopo un ricovero al Nemo, Ugo non muove più le braccia.

D. Come hai fatto tu, con i bambini, in questa circostanza ad andare avanti?
R. Quando Ugo esce dal Nemo, a febbraio, inizia un movimento di amicizia e solidarietà che ben presto assume proporzioni non previste. I nostri amici, in particolare quelli del movimento di Comunione e Liberazione si organizzano in turni: ogni sera arrivano almeno in due, con la cena pronta e le maniche rimboccate. Certo, questa situazione ha degli aspetti difficili: significa che la propria casa smette di essere casa propria, e deve aprirsi per forza ad un via-vai di generosità e amicizia che ha aspetti bellissimi ma richiede comunque accettazione ed accoglienza. Nasce una grande attenzione nei confronti della nostra situazione; eppure, paradossalmente, molte delle persone che vengono qui dicono di farlo perché si sentono aiutate da noi. Si viene per dare una mano, ma spesso la motivazione profonda è più forte, e risiede nel bisogno che tutti abbiamo di essere aiutati. Questo ha del miracoloso. Noi non facciamo proprio niente, non vogliamo insegnare niente a nessuno, eppure quando qualcuno viene qui poi ci confida di stare meglio lui stesso, e ci sono diverse persone che chiedono di poter venire ad aiutarci. Pensa che in parrocchia si fanno i turni perché ogni giorno ci sia qualcuno che recita il rosario per Ugo. Noi così sappiamo che quotidianamente qualcuno dedica tempo e preghiere espressamente per noi. Altri hanno organizzato pellegrinaggi alla tomba di don Giussani, di cui è stata recentemente inaugurata la causa di beatificazione, per chiedere la grazia della guarigione. A pregare per noi ci sono persone amiche, ma anche tanti sconosciuti: addirittura un monastero di clausura in Armenia, a cui un amico ha raccontato la nostra situazione. La forza della preghiera è tangibile. Per noi, in particolare per me, è come avere accanto una persona in più. È difficile spiegarlo, se non se ne ha esperienza: non sono parole vuote, che finiscono nel nulla, ma è un aiuto veramente concreto e sostanziale. All’aiuto spirituale si affianca poi l’aiuto pratico. Abbiamo persone che vengono qui e danno una mano in tutto. Quando ho bisogno di qualcosa, alzo il telefono e trovo sempre una risposta maggiore delle aspettative.

D. Come sei cambiata in questi mesi?
R. Ho imparato, prima di tutto, ad amare mio marito come non avrei mai immaginato e sperato: sono innamorata di lui e lo risposerei immediatamente, nella situazione in cui si trova. Ho compreso che una persona non è ciò che può o non può fare: il suo valore è altrove. E poi ho imparato a chiedere aiuto, amicizia, sostegno e compagnia. Troppo spesso siamo portati a cercare di far tutto da soli, arrogandoci il diritto di poter bastare a noi stessi. Invece siamo creature dipendenti, e Ugo lo mostra in modo eclatante. Lui, oggettivamente, dipende dagli altri in qualsiasi cosa: dalle più piccole, come grattarsi la fronte, fino a quelle fondamentali come il nutrirsi o addirittura il respirare. E tuttavia lui mostra, in modo estremo, quello che ciascuno di noi è. Io stessa ho imparato a chiedere aiuto, perché oggettivamente non ce la faccio: è una situazione più grande di tutti noi. Si inizia a vedere che l’uomo è fatto per stare con gli altri, in un ambito comunitario. Sono convinta che chi muore di disperazione da un lato non si sia reso conto che ogni difficoltà racchiude possibilità buone anche per chi lo vive, e dall’altro si sia chiuso in se stesso, restando solo e così condannandosi all’angoscia. La presenza degli altri è un immenso aiuto: qualcuno che viene e chiede come stai, come va, se hai bisogno di qualcosa; e non lo chiede solo per formalità, ma perché veramente ci tiene a te. Questo ti dà un respiro infinito, ti dà la possibilità di ripartire, di guardare a coloro che hai vicino e che ami in un modo nuovo tutti i giorni. E ciò è più che mai necessario, in quanto ogni giornata è segnata dalla fatica. Fin dal risveglio, Ugo ha problemi respiratori per via delle secrezioni che si accumulano nella cannula durante il sonno. Poi bisogna spostarlo per l’igiene personale. Troppo spesso ci si approccia alle persone con difficoltà di questo tipo come se fossero prima di tutto ammalate. Invece, Ugo prima di tutto è mio marito: ed è un uomo che ha bisogno di fare una doccia, come tutti. E, come tutti, Ugo fa la doccia tutte le mattine. Certo, è una fatica, prima di tutto per lui, perché per spostarlo ci vuole un sollevatore... Eppure tutto ciò mantiene alta la sua dignità. A noi avevano suggerito un letto motorizzato, come quello degli ospedali, fin dal primo ricovero. Noi invece abbiamo scelto di dormire insieme ancora oggi, nel «lettone», come una qualsiasi coppia di sposi. Vogliamo preservare un ambiente familiare a tutti gli effetti per i nostri figli. Ugo rimane il papà dei suoi figli: un papà con dei problemi, un papà ammalato, ma sempre il papà. E tutta la famiglia vive la fede e la speranza della guarigione. I bambini si chiedono quando il papà potrà guarire, come se avesse un raffreddore. Nessuno di noi vive in una prospettiva di negatività senza speranza: crediamo tantissimo nei miracoli. Potrebbe essere qualcosa di eclatante: chiudo la porta, vado nell’altra stanza e mi trovo mio marito in piedi, guarito. E questo potrebbe essere! Oppure, l’altro miracolo sarebbe che si trovasse una terapia risolutiva per la SLA: e questo è il miracolo che mio marito chiede a Dio, perché sarebbe la guarigione non solo per lui. E credo che solo chi soffre come un malato di SLA possa capire cosa vuol dire chiedere la stessa salvezza per qualche altro malato che nemmeno conosciamo.

D. mi hanno raccontato che tu e Ugo tenete anche un Corso per fidanzati?
R: Silvia sorride: credo di averli «stesi», i ragazzi che sono venuti qui! Ho detto loro chiaro e tondo che nella vita non si può sapere cosa accadrà, e bisogna affrontare coscientemente il passo decisivo della vita, quello del matrimonio, sapendo che può capitare anche una situazione come la nostra. Certo, quando si fanno le promesse matrimoniali, «nella salute e nella malattia», si spera sempre che la malattia non accada. Eppure ci si promette di restare accanto all’altro anche nel dolore, che può anche essere il dolore di un tradimento, ma anche quello di veder tradita l’idea che abbiamo dell’altro. Io, Silvia, ho avuto la grazia, il giorno del matrimonio, di sentire ciò molto chiaramente: ho fatto quelle promesse con coscienza, quel giorno «c’ero» con la testa e con il cuore e non ero sopraffatta dalle emozioni. Ho preso in carico questa missione: perché sposarsi è una missione, come andare in Africa a convertire e aiutare le persone. Il matrimonio non è soltanto il sì di “quel giorno”, ma un sì rinnovato tutti i giorni e tutte le sere, quando ci si impegna a non andare a dormire con il rancore e la rabbia nel cuore, perché il momento di buio della notte non si estenda a tutta la vita. Anche se l’innamoramento passa, si riafferma continuamente il significato dell’accompagnarsi reciprocamente al proprio destino: diventare più veri ogni giorno, raggiungendo la verità di sé. Ripensando a questi anni di fatica, chi non mi avrebbe giustificata se avessi mollato tutto? Cosa mi tiene legata ad una condizione familiare come questa, in cui, oltre ad Ugo, anche i bambini mi richiedono moltissimo? Il sì delle mie nozze non è un sì soltanto mio, ma è accompagnato dalla presenza di un Altro. È grazie a Lui che posso oggi guardare mio marito con una tenerezza ed un amore molto più potenti di quelli del giorno del matrimonio; è grazie a Lui che mio marito, a sua volta, mi vuole così bene. «Io ho bisogno di te», mi dice: e non è solo un bisogno di cose da fare... Quale marito ha la libertà di dire alla moglie una cosa del genere? Il nostro rapporto è vero perché è molto libero. Ci guardiamo per quello che siamo, e questa è una meta difficilissima. Noi ci sentiamo «benedetti», perché a noi, comunque, questa malattia ha portato tanta Grazia. Le nostre promesse sono state pronunciate davanti ad un Altro che vive con noi, e la cui presenza e vicinanza è ciò che ci tiene insieme e ci aiuta ad avere pietà dei nostri limiti: di quelli dell’altro, ma anche dei propri. A volte, inconsapevolmente, mi capita di far male ad Ugo: e lì, prima di tutto, è a me stessa che devo chiedere perdono, ammettendo di essere limitata e di non poter far bene ogni cosa. Amarsi vuol dire non partire dal proprio limite, bensì dalla presenza dell’altro. Anche perché non sarebbe stato mica facile vivere con Ugo in ogni caso: è un testone terribile!

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- Politica

L’effetto tsunami...

L’effetto tsunami alla fine è arrivato e, come prometteva la parola, è stato devastante.

La politica è fatta di numeri e i numeri sono i seguenti: il Partito Democratico alla Camera ha ottenuto 8.644 mila voti pari al 25,42% del totale; il Popolo della Libertà 7.332 mila voti (21,56%) e il Movimento di Beppe Grillo 8.689 mila voti, pari al 25,55% dei voti. Il partito di Monti ha raccolto solamente 2.824 mila voti.

Se confrontiamo questi dati con i risultati delle precedenti elezioni politiche (2008) ci rendiamo conto dell’effetto tsunami: il PD ha perso 3.451 mila voti mentre il PDL ne ha persi addirittura 6.297 mila voti. Dove sono andati tutti questi voti in uscita dai due principali partiti italiani? Al Movimento 5 stelle? Buona parte sì.

Quella che abbiamo davanti agli occhi è una situazione politica nuova per l’Italia, ipotizzata da alcuni analisti, ma in fondo ritenuta impossibile dai principali leader di partito. Bersani (e il PD) era convinto di avere la vittoria in tasca o, alla peggio, di aver bisogno per governare dell’aiuto di Monti al Senato; Berlusconi voleva arrivare secondo per rimanere comunque indispensabile in alcuni passaggi istituzionali, mentre Monti si aspettava più riconoscenza dagli italiani per il lavoro “sporco” che il Presidente della Repubblica gli aveva affidato.

E invece dalle urne è uscita una volontà popolare che ha di fatto reso quasi insignificante il polo di centro, ha bocciato la linea politica di un PD che non ha saputo spiegare agli italiani quale Italia ha in mente; ha forse definitivamente bocciato il populismo berlusconiano nutrito ancora una volta degli ormai tradizionali slogan (meno tasse, più condoni, giustizia giusta ecc) e invece ha premiato un movimento trasversale, liquido, non etichettabile, di italiani che fino a ieri votavano la Sinistra, il Centro e anche la Destra e che questa volta hanno scelto di votare per qualcosa di diverso, per un’offerta politica nuova.

In democrazia la volontà popolare merita assoluto rispetto, tuttavia i principali leader politici avrebbero dovuto comprendere per tempo che il Paese era ormai stanco di ascoltare promesse di cambiamento nella vita politica, amministrativa e sociale e non vederle mai realizzate. E tutti noi abbiamo bene in mente a cosa ci riferiamo, a quello che poi è diventato in buona parte il programma del M5S!

Alcuni commentatori in queste ore paragonano il M5S alla Lega Nord delle origini, ma le analogie di fondo secondo noi non ci sono. Quello della Lega era un movimento politico molto ben definito, unito e unitario, i suoi elettori avevano tutti in mente alcuni obiettivi ben precisi da raggiungere e il nemico era chiaro, era la Roma ladrona che opprimeva il Nord produttivo con tasse insostenibili per mantenere l’Italia sprecona del Centro e del Sud.
Nel M5S non mi sembra che siano così chiari, geograficamente definiti e unitari i punti che uniscono gli 8 milioni e 689 mila italiani che l’hanno votato.

Il fatto poi che rende questa nuova forza politica ancora più originale è la sua genesi: un movimento creato circa cinque anni or sono da un uomo di spettacolo, un comico. Certo, con il passare del tempo quel comico è cresciuto, ha studiato i copioni per affrontare i diversi temi politici e a lui si sono affiancate lungo il cammino persone che lo hanno aiutato, gli hanno dato consigli. E in quest’ ultima campagna elettorale, mentre i professionisti della politica parlavano nei teatri (dove di solito si esibiscono i comici) , il comico girava per le piazze d’Italia (dove una volta i politici, i leader di partito tenevano i comizi) incontrando di persona gli italiani, regalando loro un sorriso e spiegando quale Italia aveva in mente.

Ora però la tournée è finita. In Parlamento ci sono i rappresentanti del M5S che saranno chiamati, insieme agli altri eletti, ad assicurare al nostro Paese cinque anni di Legislatura e di Governo, per il bene del nostro Paese e di tutti noi. Lo spettacolo è terminato, è ora che Calvero scenda dal palco, è tempo che entri in scena la realtà.

Noi siamo fiduciosi, ci aspettiamo che il senso di responsabilità connesso alla carica elettiva ricoperta (in qualità di Deputato o Senatore della Repubblica) sia ben chiaro nelle menti e nel cuore di tutti i nuovi eletti che, soprattutto se giovani e alla prima esperienza parlamentare, avranno dalla loro la giusta carica e il giusto desiderio di fare bene il proprio lavoro. Per sé stessi, i loro coetanei e tutti noi.

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- Politica

Cosa non convince del Movimento di Beppe Grillo

In queste settimane abbiamo seguito in streaming lo tsunami tour di Beppe Grillo che ha attraversato tutte le piazze d’Italia (come abbiamo potuto vedere dai telegiornali trasmessi dalle reti televisive nazionali e regionali).

Niente da dire. Il personaggio c’è e non da ieri. Non è facile, di questi tempi, girare per l’Italia e mettere la faccia sul palco parlando al popolo, non è facile. Grillo sa usare al meglio tutte le tecniche di recitazione che ben conosce per gestire la rappresentazione e vi mette i contenuti ormai cari al popolo del suo movimento.

Intendiamoci, su alcuni punti è difficile non essere d’accordo con Grillo, questione di buon senso. La sua critica a 360 gradi al sistema politico attuale ricorda molto quella portata avanti quarant’anni orsono da Marco Pannella e dal Movimento Radicale alla partitocrazia imperante nell’Italia degli anni '70 e '80… certo è triste constatare che i passi avanti compiuti sono pressoché nulli.

Grillo propone un’Italia più pubblica, più verde, più leggera, più giusta, più equa, più onesta, più pulita, più trasparente, più KM zero, più Wi-Fi, meno multinazionale; e per ottenere questo risultato si affida alla Rete, come strumento che garantisce la massima partecipazione egualitaria dei cittadini, cui affidare le scelte politiche e i destini della Nazione.

A suo tempo Pannella fu tra i primi ad affidare alle dirette radio (chi non ricorda Radio Radicale?) la trasmissione dei dibattiti parlamentari, favorendo così la presa di coscienza del lavoro dei nostri rappresentanti in Parlamento, contribuendo a creare una sorta di democrazia di base.

Così Grillo pensa ad una forma di democrazia liquida, dove gli atti del Governo e del Parlamento sono valutati, giudicati e votati dal popolo italiano della Rete nel momento stesso in cui il Governo e il Parlamento ne stanno parlando e ne stanno discutendo. Ma che razza di democrazia è mai questa?

Quanta gente, terminato il fascino mediatico dello tsunami tour, continuerà quotidianamente ad interessarsi a quello che succede in Parlamento? Quante persone sono in grado di giudicare se un atto di Governo è giusto o sbagliato? E noi dovremmo affidare le sorti del nostro Governo e del nostro Parlamento ad un giudizio espresso tramite internet da, diciamo un milione di persone? Mi risulta che alle primarie via web effettuate per scegliere i candidati del M5S abbiano partecipato meno di centomila utenti…

Anche Radio Radicale ha esercitato un ruolo importante per la diffusione della cultura democratica in Italia, in anni difficili dove il Terrorismo imperava e dove le istituzioni repubblicane sembravano in crisi, ma quante persone la ascoltavano quotidianamente? Tutti sapevano che esisteva, ma la politica alla lunga stanca, gli italiani alla radio preferiscono ascoltare le canzonette…

Grillo a queste elezioni otterrà sicuramente un successo in termini di voti e di deputati eletti, ma poi sa benissimo che la musica cambierà quando si dovrà gestire questa forza “politica”. Non è possibile smantellare le istituzioni della Repubblica senza mettere in crisi l’esistenza stessa della Nazione.

Sarà possibile invece per Grillo, anzi auspicabile, unirsi a quelle forze, sia di Destra che di Sinistra, che vogliono veramente cambiare le cose in Italia e senza steccati ideologici provare a compiere il grande passo.

La Rete serve per tenere informate le persone, non per sostituirsi agli eletti, che sono chiamati proprio per legiferare e governare il Paese. Il problema vero è eleggere persone valide, capaci professionalmente e moralmente oneste.

Quindi Grillo con i suoi deputati, appena nominato il Parlamento, potrebbe subito contribuire a compiere un'azione benemerita: cambiare la Legge elettorale.

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- Politica

Il Bene Comune

Di certo l’inaspettata comunicazione di Papa Benedetto XVI dell’altro giorno ha radicalmente modificato gli ultimi giorni di campagna elettorale, catalizzando l’attenzione dei media, ma soprattutto della gente, sul Papa.
Tuttavia la campagna elettorale prosegue e toccherà ai politici cercare di riportare un minimo di attenzione su di loro.

A questo proposito, vorremmo sottolineare un tema toccato nei giorni scorsi che ha dato origine, come sempre del resto, a feroci commenti critici controbilanciati da altrettanto violente difese.

Infatti, quello che manca ai politici dell'Italia di oggi è il rispetto dovuto alle idee onestamente espresse dall'avversario, posizione questa che ha come fondamento la convinzione che quello che veramente conta è il bene comune del Paese piuttosto che il proprio particolare punto di vista. Mi spiego con un esempio.

In una delle ultime esternazioni, il leader PDL, Berlusconi, ha dichiarato che in Italia sarebbe possibile creare posti di lavoro se ogni piccolo imprenditore assumesse una persona, magari sotto i trent'anni. Quanti posti? Dipende, in Italia le PMI sono oltre quattro milioni e formano il vero tessuto economico del Paese.

Questo è un dato di fatto oggettivo, non un'invenzione di Berlusconi. Come fare per convincere gli imprenditori italiani ad assumere? Banalmente, applicando sgravi fiscali sul costo del lavoro, che sarebbero compensati dalla ripresa (meglio dire dall'inizio) dei consumi dei neo assunti, che spenderebbero lo stipendio guadagnato.

E’ fanta - analisi? Serve una Laurea in Economia per fare questo ragionamento? Francamente ci sembra di no. Anzi, su un tema come questo, che consideriamo un tema caro alla Sinistra, ma che sta a cuore anche al Centro Destra, ci saremmo aspettati una convergenza di vedute tra gli opposti schieramenti. Anzi, su un tema come questo, ci saremmo aspettati proposte da entrambi gli schieramenti affinché, una volta insediato il Parlamento, si potesse subito discutere una Legge che favorisca l’assunzione dei giovani da parte delle PMI.

E invece? La Sinistra bolla come demagogica la proposta, ironizzando sui quattro milioni di nuove assunzioni promesse da Berlusconi (in questo caso non ho sentito pronunciare mai questa promessa) e il PDL contrattacca la Sinistra da un punto di vista ideologico, non portando invece il tema sulla concretezza della proposta o sfidando la Sinistra a proporre un proprio contributo di idee in materia fiscale, che permetta alle PMI italiane di riprendere ad assumere personale.

Di fatto: una buona idea, a nostro giudizio, è stata persa nel mare magnum di una campagna elettorale dove ogni singolo gruppo politico sa in partenza di non poter vincere da solo, ma non sta facendo nulla per cercare dei punti di mediazione con quelle forze politiche a lui più vicine, con le quali tentare di imbastire una maggioranza in grado di governare il Paese per i prossimi cinque anni.

Quale idea di politica ci piace, ci sta a cuore?

Citiamo, a pagina 46, il nuovo saggio del filosofo Fabrice Hadjadj, Il Paradiso alla porta: “[la politica] quest’ultima ha per compito di guidare la moltitudine al bene comune temporale. Ma come definire tale bene comune, se non collegandolo e distinguendolo dal bene eterno improvvisamente proclamato? Non appena si pretende di definirla in se stessa, come un bene assoluto, a partire dal suo stesso anticlericalismo la politica inventa un nuovo clero con i suoi autodafé e i suoi anatemi. E anche quando si riconosce un bene assoluto al di là, ma interamente privato, senza legami con la sfera pubblica, la politica, abbandonando ogni profondità, degrada se stessa a gestione e si accontenta di migliorare la zootecnia e le porcilaie.”

Se ci pensiamo, è quello che sta accadendo…

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- Libri

Il bambino senza nome

Il bambino senza nome di Mark Kurzem racconta una storia vera: quella del padre dell'autore, scampato bambino a morte certa e "adottato" da un'unita' militare lettone filo nazista.

Siamo nei primi anni della seconda guerra mondiale in Bielorussia.

Un bambino ebreo di 5 - 6 anni riesce a sfuggire allo sterminio della popolazione ebrea del suo villaggio e dopo diverse peripezie viene catturato da un plotone di soldati lettoni che inspiegabilmente gli salvano la vita. Solo un militare, il sergente Kulis, conosce la verità ma, pur sapendo di trovarsi di fronte ad un bambino ebreo, lo risparmia.

In breve diventa la mascotte del reggimento che seguirà sino alla fine della guerra.

Questo bambino salvato e' il padre dell'autore del libro.

Tutta l'opera narra il percorso di questo bambino, divenuto poi adulto e padre di famiglia. Ad un certo punto egli sente dentro di se' l'urgenza di fare chiarezza nei ricordi di quel bambino e di conoscere la verita' sulle proprie origini. Inizia cosi', aiutato dal figlio, un viaggio a ritroso nel passato remoto della propria vita.

Il racconto si sviluppa su due piani, da un lato la ricerca storica che, con fatica, portera' il padre a ricevere le risposte a buona parte delle domande aperte da decenni.

Dall'altra, mano a mano che la ricerca avanza, cresce e si approfondisce il rapporto padre - figlio.

Quale figlio conosce veramente suo padre? Questa e' la domanda provocatoria che inseriamo nel salvadanaio della nostra memoria dopo aver letto il libro.

Un'opera interessante da leggere e far leggere soprattutto alle giovani generazioni che non hanno, per loro fortuna, avuto a che fare con quei tempi cupi e non hanno piu', per loro sfortuna, un nonno o uno zio che possa raccontare loro quel periodo.

Mark Kurzem, Il bambino senza nome, Edizioni Piemme - Milano

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- Politica

Rapporto Openpolis sulla XVI Legislatura

L’associazione Openpolis (http://www.openpolis.it/) ha diffuso in rete questa settimana il Rapporto sull’attività del Parlamento italiano nella XVI Legislatura (aprile 2008 / dicembre 2012).

Per chi ancora non la conoscesse, Openpolis è un’associazione indipendente dal 2006 che, lavorando con gli open data, promuove progetti open source, sostenendo l’open government. L’obiettivo è costruire polis su internet, comunità politiche autonome e libere in cui ogni abitante partecipa alla vita collettiva e alla costruzione del bene comune. Realtà interessante che merita attenzione e approfondimento.

Ma torniamo al Rapporto. Nelle 40 pagine di pdf troviamo tutti i numeri della XVI Legislatura, gli indici di produttività dei nostri parlamentari, ma anche i nomi e cognomi degli onorevoli più assenti e lontani dal loro luogo di lavoro.

Curiosità? Ne riportiamo solo alcune, perché vale proprio la pena leggere il rapporto.

Nella Legislatura (quindi governo Berlusconi più governo Monti) sono stati presentati 9.572 Disegni di legge. Quanti sono stati conclusi con l’approvazione e sono diventati legge? 387, il 4,04%. Per la precisione sono state approvate 44 leggi nel 2008; 87 nel 2009; 73 nel 2010; 73 nel 2011 e 110 leggi nel 2012.

Più fortuna hanno avuto i Decreti legge: presentati 115, convertiti con successo 97, l’84,3%

Curioso anche leggere i nomi dei parlamentari di opposizione che con i loro voti o le loro assenze hanno “salvato” la maggioranza del governo Berlusconi. Alla Camera al primo posto figura l’onorevole Bersani, seguito da Antonio Gaglione (gruppo misto) e terzo Antonio Di Pietro. Al Senato al primo posto figura Emma Bonino, seguita da Umberto Veronesi e terzo Sergio Zavoli.

Per quanto riguarda il Governo Monti, nel rapporto si indicano i gruppi parlamentari che hanno maggiormente sostenuto il Presidente Monti.

Alla Camera, su 99 votazioni effettuate, il PD ha dato il proprio sostegno nell’83% dei casi, l’UDC nel 77%, FLI nel 60%, il PDL nel 59% per finire con l’IDV nel 42% dei casi e con la Lega che solo nel 36% delle votazioni ha sostenuto il Governo Monti.

Al Senato, in 83 votazioni effettuate, più o meno le percentuali rimangono le medesime, solo il PDL ha una percentuale più alta: per il 70% delle votazioni ha sostenuto Monti.

Che dire in chiusura di questi dati? I nostri rappresentanti hanno lavorato a sufficienza oppure potevano fare di più. Certo un dato colpisce subito: la bassissima percentuale di leggi approvate a fronte del grande numero di Disegni di legge presentati. Su questo punto i partiti e i politici dovrebbero riflettere per cercare di trovare una via, un modus operandi più performante. E’ evidente che nel 2013, nell’era digitale 2.0 non è accettabile avere indici di produttività così bassi.

Sarebbe interessante inoltre poter confrontare i dati raccolti da Openpolis con quelli di altre Legislature, per esempio con quelle di Paesi come Germania, Francia e Spagna per mettere a confronto gli indici di produttività dei nostri parlamentari con i colleghi degli altri Paesi.

Siamo però convinti quasi al cento per cento che i nostri parlamentari risulterebbero i più produttivi infatti sono sicuramente i più pagati tra i colleghi che siedono negli altri Parlamenti e quindi sicuramente questo significa che sono i parlamentari più produttivi in circolazione…

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- Politica

Sei Personaggi in cerca d’autore

Mancano poco più di venti giorni alle elezioni e cosa abbiamo capito da questo primo mese di campagna elettorale?

Gli unici dati certi sono che nell’anno appena trascorso è calata la produzione industriale, è calato il PIL, è calata la fiducia degli italiani, ma in compenso è salita la disoccupazione. Per il resto il solito tran tran, la solita Italia. Per fortuna che a darci la scossa è arrivata la campagna elettorale, dove ogni politico può rifarsi una verginità, può fingersi attore, personaggio, special guest come direbbero gli americani.

A dir la verità, un vero attore, anzi due, li abbiamo visti all’opera.

Il primo è Grillo che ha scelto la piazza e il contatto diretto con il pubblico. Scelta difficile, si recita in diretta, senza telecamere ma con tanti telefonini che ti riprendono e ti sbattono in rete. Il personaggio è abituato, dice anche cose sensate, al limite dell’ovvio se vogliamo, ma i suoi seguaci saranno all’altezza del maestro? Quando occorrerà costruire e non distruggere lo sapranno fare?

Il secondo attore è abituato a recitare in molti ruoli, ma sempre da Presidente e non ama arrivare secondo. E’ Presidente lavoratore, Presidente operaio, Presidente del Consiglio, Presidente di CdA, Presidente degli italiani. Dopo un anno di letargo mediatico ha deciso che per fare il Presidente pensionato c’è ancora tempo ed è sceso nuovamente in campo, quello televisivo. Ha occupato tutti gli spazi possibili e anche quelli impossibili e siderali (come il lontanissimo pianeta Santoro) e, dato che l’attore c’è, il distacco dal primo pretendente alla poltrona di Presidente del Consiglio si sta velocemente colmando.

Poi ci tiene compagnia l’attore vincitore delle primarie, delle secondarie e anche delle terziarie (non so più quante votazioni ha organizzato il popolo della sinistra). Bersani, che un anno fa avrebbe stravinto le elezioni e si sarebbe seduto al posto di Monti, oggi forse incomincia a contare i giorni che mancano all’apertura delle urne. Ogni giorno che passa, secondo i sondaggi, i voti per la sua coalizione diminuiscono, mentre qualcuno dei suoi incomincia a pensare… se avessi votato Renzi… almeno alle secondarie…

Sin qui parliamo di special guest, ma abbiamo anche tre comparse, anzi un attore quasi special e due comparse.

Il quasi special Monti era uno special guest che nelle ultime settimane è tornato, è salito nel mondo reale e si è accorto che recitare dal vivo e non in playback è un'altra cosa, occorre esserci abituati. Gli applausi li devi conquistare uno per uno, non valgono quelli registrati. E poi passare da un ruolo drammatico, di salvatore della Patria ad uno più allegro, più accattivante, a quello di adulatore della pubblica opinione non è semplice. Sarebbe credibile Rambo che tornato a casa si mettesse a scrivere commedie sulle mogli casalinghe dei soldati americani che stanno combattendo in Afghanistan?

Le comparse Giannino e Ingroia sono stati messi sul palco per farci sorridere, per ricordarci che in fondo la politica è un po’ come il Cirque du Soleil, con tanta bella gente che balla, la musica, i colori, i clown … poi però lo spettacolo finisce e si esce dal tendone e fuori a febbraio ad aspettarci c’è la nebbia…

Chi vincerà la competizione? Una cosa è certa: chiunque arriverà primo, dovrà stringere alleanze con il secondo o con il terzo, con coloro che oggi manda a quel paese, ma che sa benissimo che quel Paese non vorrebbe più vedere lui e la sua gente sul palcoscenico della politica.

Un’ultima cosa: non ci siamo dimenticati di parlare dei testi, dei contenuti che vengono recitati dai nostri sei personaggi… purtroppo sono tutti personaggi in cerca di un autore che scriva per loro, e per noi, un copione credibile .

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- Scuola

A tu per tu con: Don Renato Previtali

Incontriamo oggi Don Renato Previtali direttore dal 2008 dell’Opera salesiana di Milano Via Copernico ang. Via Tonale.

Don Previtali è un direttore “di lungo corso”, avendo già diretto in precedenza gli Istituti di Chiari, Arese e Sesto San Giovanni. Quale garante della salesianità dell’Opera, gli sono attribuiti i compiti di animazione, coordinamento, vigilanza ed orientamento. Un impegno gravoso, che porta avanti con l’aiuto di tutti coloro che vivono la comunità salesiana, le scuole salesiane e l’oratorio della Parrocchia di S. Agostino.

Chiediamo a lui un giudizio sulla situazione che stanno vivendo le scuole paritarie in Italia.

D.: Don Renato come giudica la situazione attuale della scuola paritaria in Italia?

R.: Credo che la scuola paritaria italiana stia attraversando uno dei periodi più difficili della sua storia per una serie di motivazioni che non sono solo economiche.
Esiste anzitutto un pregiudizio ideologico diffusissimo nell’opinione pubblica, alimentato dai media che identificano la scuola paritaria coi cosiddetti “diplomifici”, luoghi in cui basta pagare la retta per ottenere il titolo di studio. Si finge di non sapere che la scuola paritaria ha ordinamenti, programmi, esami di Stato uguali a quelli richiesti alla scuola di Stato.
E’ sintomatico il fatto che a tredici anni di distanza dalla legge sulla Parità (legge 10 marzo 2000 n. 62), promossa dal Ministro Berlinguer, anche chi opera nella scuola continui ad alimentare confusione o a non riconoscere la scuola Paritaria continuandola a chiamare “Scuola Privata”. Non è così! L’art. 1 della legge sulla Parità recita: “Il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie”. E successivamente definisce tutti i requisiti e vincoli necessari per essere riconosciuti come scuole paritarie.
Esiste poi un’abissale ignoranza e disinformazione sulla realtà delle scuole paritarie per cui troppe persone ne parlano senza sapere cosa sono le scuole paritarie o cosa fanno: parlano e scrivono senza sapere di che cosa si tratta: l’importante è dirne male, soprattutto se cattoliche, a prescindere!
Che dire poi della “leggenda” che sostiene che le scuole paritarie distolgono soldi alla scuola dello Stato? Perché non si va a controllare l’entità dell’elemosina che lo Stato dà alla Scuola Paritaria?

D.: Che conseguenze potrà avere questa situazione sul futuro della libertà di educazione nel nostro Paese?

R.: Il discorso economico incide molto sulla scelta della scuola. La parità dovrebbe consentire la libera scelta delle istituzioni scolastiche appartenenti al medesimo sistema di formazione nazionale (statale e paritaria), senza che ciò abbia a comportare condizionamenti ed oneri aggiuntivi per coloro che scelgono una scuola non gestita dallo Stato.
Purtroppo la parità giuridica non è stata accompagnata dalla parità economica.
Ora si aggiunge anche l’IMU, motivata dal fatto che le scuole paritarie, chiedendo una retta alle famiglie, fanno attività commerciale! Per lo Stato italiano la scuola paritaria è un’attività economico-commerciale!
E così, le famiglie che scelgono per i propri figli la scuola paritaria sono soggette ad un triplice pesantissimo balzello:
- pagano le tasse per un servizio scolastico statale non goduto;
- pagano la retta per usufruire di un diritto garantito dalla Costituzione e ignorato dallo Stato che pure ha emanato una legge sulla parità (62/2000);
- contribuiscono al pagamento dell’IMU che grava sugli immobili della scuola.
Questa situazione mette in dubbio la sopravvivenza di diverse scuole paritarie che, dopo tutto, con il loro servizio fanno risparmiare sette miliardi di € annui allo Stato!
In sostanza, siamo di fronte ad un diritto di libertà di scelta disatteso, ad una promessa di parità non mantenuta, ad una minaccia alla sopravvivenza della scuola non statale.

D.: I cattolici hanno da sempre difeso, in tutto il mondo, la libertà di educazione come uno dei principi fondamentali, costitutivi della persona umana. A parte il fatto che è un diritto garantito dalla nostra Costituzione, perché, secondo lei, è così importante difendere la libertà di una coppia di genitori di poter scegliere l’educazione da dare ai propri figli?

R.: Noi concepiamo la scuola come luogo privilegiato di istruzione ed educazione. Sosteniamo sempre: “istruire educando, educare istruendo”; si tratta di un’azione inscindibile. Questo è anche il motivo per cui noi, in quanto religiosi dediti all’educazione, stiamo nella scuola, come in altri contesti educativi.
Secondo la Costituzione, l’educazione dei figli è compito primario dei genitori, non dello Stato. Compito dello Stato è garantire a tutti i cittadini indistintamente le condizioni di poter esercitare il diritto all’istruzione. Perciò, lo Stato istituisce l’ordinamento scolastico, ne regolamenta l’azione, stabilisce programmi, organici…
Ma la famiglia deve poter scegliere la scuola che meglio supporta il modello educativo scelto per i propri figli. In questo caso, la scuola si affianca alla famiglia nell’educazione dei figli.
Il rispetto degli ordinamenti, delle regole e delle indicazioni statali (condizioni necessarie per poter godere del riconoscimento della parità), garantisce l’unità del sistema scolastico nazionale.

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- Libri

Le favole di ieri cresceranno ma non moriranno mai

Ci sono tutti gli amori della sua giovane vita nel primo romanzo di Matteo Pianforini, Le favole di ieri cresceranno ma non moriranno mai, edito da Neftasia editore: la sua terra d’origine, Torrechiara ad una manciata di chilometri a sud di Parma, il suo gruppo rock preferito, i magici Queen; l’amore per il vino e il suo mondo e i suoi amici di sempre con i quali ha condiviso tutte le esperienze della gioventù.

Un romanzo semplice, una storia della provincia italiana dei nostri giorni che Pianforini ci propone come ricetta, come modello per cercare di vivere con più semplicità la nostra esistenza.

Non che il giovane protagonista, Beppe, non attraversi i suoi problemi e le sue preoccupazioni per raggiungere l’obiettivo che si era prefissato, diventare produttore di un vino unico, speciale, non comune, un moscato rosato mai prodotto sino ad ora nella sua terra, ma solo in Trentino. Beppe lascia per questo sogno un posto fisso pubblico e contro il parere dei suoi genitori, all’inizio dubbiosi, ma con l’aiuto dell’amico Ovidio, si lancia nell’avventura riuscendo poco per volta con il suo entusiasmo a coinvolgere tutti, genitori e compagni di viaggio.

Il sottofondo musicale, presente in quasi ogni pagina del romanzo e che accompagna tutti i momenti, quelli belli e quelli brutti della vita di Beppe, è assicurato dalle canzoni dei Queen che evidentemente l’autore dimostra di conoscere ed amare tanto quanto il protagonista del libro.
C’è anche l’amore, quello verso una coetanea, Sonia, che si inserisce, con alterne fortune, nelle pagine del romanzo. La fine della storia la lasciamo scoprire al lettore…

Un romanzo fresco, che sprizza sapore di gioventù da tutte le pagine, scritto bene da un autore alla sua prima esperienza come scrittore che offre un’immagine positiva dei giovani di oggi, un po’ diversa forse da quello che sono i luoghi comuni e il pensiero di qualche Ministro o ex Ministro…

Da non lasciarselo sfuggire.

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- Economia

Panem et circenses!

Mentre i partiti politici, vecchi e nuovi, si preparano alle prossime sfide elettorali, l’Istat oggi ha reso noti i dati di novembre 2012 relativi alla produzione industriale in Italia. In sintesi: produzione industriale complessiva annua in diminuzione del 7,6% rispetto al 2011; nell’ultimo mese meno 1%; per i beni strumentali il calo su base annua è del 7,2%; per i beni di consumo durevoli calo del 6,4%, per la produzione di energia il calo su base annua è del 7,7%. Inutile continuare.

Pur se non disponiamo ancora dei dati di dicembre, possiamo sicuramente affermare che peggio di così il 2012 non poteva andare per l’economia italiana. A chi addebitare questa situazione? Al Governo uscente o alla congiuntura internazionale oppure ai precedenti Governi che pur avendo goduto in Parlamento di maggioranze più o meno “bulgare” non hanno saputo o potuto approfittare per cambiare il sistema? Se qualche leader politico volesse tentare di rispondere non usando la demagogia, sarebbe ben accetto.

Mentre il Paese reale metabolizza questi dati e cerca di andare avanti lavorando e pensando al futuro, i candidati premier (consapevoli o a loro insaputa) e i leader (attuali e futuri) di partito in questi giorni stanno mettendo a punto le strategie, le alleanze e le squadre per affrontare la campagna elettorale.

La preoccupazione principale dei partiti e dei politici, direi di tutti, nessuno escluso, sembra però quella di cercarsi un posto in qualche lista, possibilmente “sicura” e di gettare fango sul concorrente ritenuto più temibile per sé. E poi ci sono le promesse elettorali con le quali gli stessi politici credono di convincere e conquistare alla propria causa il popolo, anzi sarebbe meglio definirlo il popolino vista la considerazione che manifestano per noi.

Non comprendo come qualche “lungimirante” uomo politico nostrano non abbia ancora pensato di affittare uno stadio di calcio e offrire gratis ai cittadini la visione di una partita oppure un concerto o, visto che il carnevale è vicino, organizzare una grande festa mascherati magari da antichi romani. Panem et circenses!

Quello che i nostri politici dovrebbero raccontarci in queste settimane è come intendono, se andassero al governo, far ripartire la produzione industriale (quindi parlare di crescita) e come intendono ridurre il debito pubblico a partire da subito. Senza una riduzione lenta, ma costante del nostro debito sovrano non riusciremo infatti ad uscire dalla spirale negativa in cui siamo finiti, perché la spesa per interessi risulta troppo alta da sostenere e gli sforzi fatti sino ad ora sarebbero vani. I bassi spread che in queste settimane abbiamo registrato sui nostri Titoli di Stato, sono il frutto delle ultime prese di posizione della BCE contro la speculazione in difesa dell’Euro e dello slittamento, a partire dal 2015 (come previsto, ma con una copertura massima del 60%) per terminare il 1 gennaio 2019 dell’entrata in vigore delle regole di Basilea 3 relative agli standard di liquidità per il sistema finanziario.

Questo fatto, molto atteso dai Banchieri, ha dato respiro agli istituti di credito europei non più obbligati, per ora, a garantire i propri impieghi con asset allocation troppo onerose.

Le manovre “politiche” provenienti dall’Europa hanno ridato fiducia ai Mercati sulla tenuta, nel breve periodo, del sistema finanziario europeo e quindi gli Stati più esposti alla speculazione, come per esempio l’Italia, stanno godendo di una diminuzione dello spread sul proprio debito sovrano. Però nessuno è in grado di dire quanto durerà, posto che i fondamentali del nostro Debito Pubblico rimangono quelli che sono e la ripresa della produzione industriale non esiste. Proprio per questo i nostri leader politici dovrebbero parlarci di ripresa economica e di abbattimento del Debito Pubblico, non di IMU e di alleanze post voto tanto futuribili quanto al momento senza senso.

Il tempo a nostra disposizione sta per finire, la terra gira su se stessa ma avanza anche nello spazio! Non possiamo passare altri cinque anni nell’immobilismo come abbiamo passato i precedenti venti anni, senza aver portato a termine quelle riforme che sono necessarie per il progresso del nostro Paese. Come scrisse Mark Twain: tra vent'anni non sarete delusi delle cose che avrete fatto, ma di quelle che non avrete fatto.

Cerchiamo di non ripetere l’errore.

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- Politica

Vota Antonio!

Questione di qualche giorno ancora e poi le liste dei candidati al prossimo Parlamento saranno pronte. Ci saranno, come sempre, nomi nuovi e i soliti noti.

I problemi che i nuovi eletti si troveranno da subito a dover affrontare saranno sicuramente quelli di natura economica: rilanciare la crescita, mantenere i conti pubblici in ordine, favorire la ripresa dell’occupazione.

Le diverse ricette per far fronte a questi enormi problemi le conosciamo bene o male tutti, si va dalla proposta di Vendola alla ricetta di Berlusconi passando per Grillo, Bersani, Monti con Casini per finire con Tremonti.

Quello che invece mi piacerebbe sapere dai candidati parlamentari dei diversi schieramenti è cosa pensano riguardo ad alcune “questioni” se vogliamo non così scottanti, ma indicative della visione della vita che hanno i soggetti in questione. Conoscere il loro pensiero, sincero, su tali argomenti ci potrebbe aiutare a scegliere il candidato che più rispecchia i nostri valori e la nostra visione della vita e forse ci permetterebbe alla fin fine di ottenere un Parlamento composto da persone più simili a noi, un Parlamento più umano.

Ecco le dieci domande alle quali mi piacerebbe che ogni candidato al Parlamento si sentisse moralmente desideroso di rispondere:

uno: che cosa significa per lei la parola felicità?

due: quando incomincia la vita umana: dal momento del concepimento o dal momento della separazione del bimbo dalla madre?

tre: pensa che la scuola in Italia abbia bisogno di maggiori sovvenzioni pubbliche o di maggiore libertà e autonomia?

quattro: in Italia nascono sempre meno figli, come pensa concretamente di aiutare le giovani famiglie e soprattutto le giovani madri a conciliare lavoro e cura dei figli?

cinque: l’Italia è un Paese dove il territorio non viene curato a sufficienza ed anzi viene deturpato da speculazioni edilizie di ogni tipo. Dall’altro lato sono state progettate in questi anni grandi opere, penso alla TAV, al Ponte sullo Stretto di Messina che costano miliardi di euro e che a molti cittadini non sembrano così urgenti e necessari. Lei cosa pensa in merito?

sei: secondo lei quale Europa abbiamo costruito sino ad ora e soprattutto, c’è bisogno di cambiare qualcosa oggi in Europa?

Veniamo ora ad alcune domande su argomenti più economici:

sette: ritiene che in Italia ci sia un problema di redistribuzione della ricchezza? Se si, come lo affronterebbe?

otto: recita la Costituzione: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Concretamente, ci dice una proposta attuabile subito per far crescere l’occupazione?

nove: spending review e sanità, ci dice come immagina il nostro Sistema Sanitario nazionale alla fine del suo mandato, tra cinque anni?

dieci: giustizia lenta e carceri strapiene di detenuti. Ci dice una proposta concreta per velocizzare la prima e rendere effettivamente rieducativa la pena del condannato?

Dalle risposte a queste domande (per nulla esaustive degli argomenti che si potrebbero ancora toccare) uscirebbe un’immagine dell’Italia presente e futura del nostro “candidato”.

Poi sta a noi giudicare e votare.

Diceva Charles De Gaulle: poiché un politico non crede mai in quello che dice, quando viene preso alla lettera rimane sempre molto sorpreso.

Cerchiamo, concittadini elettori, questa volta di scegliere bene il nostro candidato per non essere, tra cinque anni, ancora noi ad essere sorpresi di chi abbiamo eletto.

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- Politica

Hic sunt leones

Hic sunt leones.

Chissà se al professor Monti sarà venuta in mente questa locuzione latina prima di decidere comunque di salire in politica… In effetti il panorama politico che ci si presenta davanti agli occhi assomiglia sempre più ad una giungla infestata da animali pericolosi, alcuni dei quali non ancora studiati dagli scienziati!

In questo clima tropicale, nonostante che siamo al 3 gennaio, il professor Monti, dopo molti tentennamenti, ha deciso di impegnarsi in prima persona nelle prossime elezioni, come leader politico e non più tecnico. E’ una scelta che, come si poteva immaginare, sta facendo discutere tutte le forze politiche, quelle che hanno sostenuto il suo Governo e quelle che lo hanno sempre osteggiato e criticato anche duramente.

Ciò che il Governo presieduto da Mario Monti ha realizzato nei mesi appena trascorsi lo hanno visto e vissuto tutti gli italiani. Si poteva fare di più, si poteva fare meglio? Non è questo il punto. Il punto, a nostro giudizio, è ricordarsi quale situazione economica l’Italia stava vivendo nel novembre 2011 e a quali risultati siamo arrivati nel gennaio 2013. Poi ognuno di noi, per gli interessi che gli sono propri e che difende, tragga le sue considerazioni. Certamente il professor Monti ritiene che la sua opera non sia esaurita e che la situazione magmatica della politica italiana lasci spazio alla sua squadra “speciale” chiamata dagli italiani a terminare il lavoro iniziato.

Ma qual’ è il progetto del Professore? Quale idea d’ Italia ci propone Monti? Ci vengono in aiuto le venticinque pagine della c.d. Agenda Monti dal titolo: Cambiare l’Italia, riformare l’Europa. Un’Agenda per un impegno comune, primo contributo ad una riflessione aperta. (http://www.agenda-monti.it/wp-content/uploads/2012/12/UnAgenda-per-un-impegno-comune-di-Mario-Monti.pdf)

Le abbiamo lette tutte con attenzione. Conclusioni? Mentre su alcune questioni, come per esempio il pensiero sull’Europa che dovrà essere più unita e meno distante dai cittadini, pensiamo che si possa raccogliere un ampio consenso, già sulle questioni economiche il pensiero del nuovo movimento si fa più articolato e discutibile. Certo, l’emergenza non è ancora terminata, ma la cura draconiana adottata sino a qui dal Governo Monti, non ci sembra che abbia portato a risultati brillanti.

Un punto poi nell’Agenda Monti ci sembra carente: si parla molto di crescita, ma non si capisce da dove e come la crescita economica avrebbe origine. Si trovano enunciati tanti bellissimi principi (proiettare le imprese italiane sui mercati internazionali – l’agenda digitale – sfruttare tutto il potenziale dell’economia verde – la politica agricola – l’Italia della bellezza, dell’arte e del turismo - ), ma poi francamente ci sfuggono i risvolti operativi degli stessi. L’Agenda continua occupandosi della riforma delle pensioni, del mercato del lavoro, della riforma delle istituzioni e della giustizia, tutti temi dove il pensiero del Professore è ben noto e in parte anche condivisibile (ma discutibile l’allungamento dell’età pensionabile che porta ad un blocco di fatto delle assunzioni per i più giovani).

Il focus rimane la crescita economica e su questo punto l’Agenda Monti a nostro giudizio latita. Non siamo economisti, ma partiamo da una constatazione, dalla realtà dei fatti: (dati 2010) il tessuto economico italiano è costituito da 4,5 milioni di imprese, il 95% delle quali occupa meno di 10 dipendenti. Se nel 2013 trovassimo il modo di stimolare, incentivare la metà di queste imprese, diciamo 2 milioni di imprenditori, ad assumere ciascuno un nuovo dipendente, magari giovane, avremo nel giro di un anno 2 milioni di nuovi posti di lavoro. Come fare, quali stimoli fiscali - economici utilizzare? Fornire una risposta dovrebbe essere il compito del Governo, politico o tecnico che sia. Con le nuove assunzioni si creerebbe quel volano capace poi di stimolare poco per volta fattori positivi di crescita in tutti i settori economici. Il rovescio della medaglia è la recessione che abbiamo vissuto in questi ultimi dodici mesi e che porta con sé nuova disoccupazione, nuovo calo dei consumi, che provoca nuova recessione.

Che giudizio daranno in definitiva gli italiani della salita in politica del professor Monti ? E, soprattutto, vi era bisogno di questo nuovo movimento? Nessun sondaggista può al momento formulare una risposta attendibile a queste domande. Troppo magmatica la situazione politica.

Una cosa è certa: hic sunt leones, speriamo solo che la preda sacrificata non sia la nostra amata Italia.

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- Fede

Duemila anni fa è nato un bimbo di nome Gesù

Duemila anni fa a Betlemme è nato un bimbo di nome Gesù.

Un piccolo popolo residente in quella regione del mondo, il popolo ebraico, aspettava la sua venuta, annunciata per secoli da profeti e uomini di fede, ma non lo riconobbe: Lui era, Lui è il Figlio di Dio venuto sulla terra per condividere l’amore del Padre con gli uomini.

Un bimbo piccolo, un neonato figlio di sua madre Maria e con un padre adottivo di nome Giuseppe. Un bimbo piccino nato in una piccola stanza di un piccolo paese situato in una piccola regione del mondo. Il Salvatore del mondo è venuto al mondo così.

Ma oggi, quanti sono i bimbi che non possono venire al mondo?

In Italia dal 1978, anno di entrata in vigore della Legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, ad oggi, i bimbi non nati negli ospedali sono stati oltre 6.000.000; oltre 180.000 bimbi all’anno; oltre 15.000 ogni mese; oltre 500 al giorno; oltre 40 bimbi uccisi ogni ora.
L’altra faccia della medaglia, se così si può dire, sono le migliaia di coppie costrette a fare ricorso all’adozione internazionale con costi monetari, tralasciando quelli non monetari, che superano i 50.000 euro per adozione.

Perché mai non è possibile far incontrare questi due mondi, eliminando un omicidio e inutili sofferenze per tutte le persone coinvolte?

L’articolo 1 della Legge 194 recita:
“Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite. “

Gli aborti clandestini in Italia continuano ad essere praticati, inutile nascondersi dietro un dito.

Inoltre, una ragazzina di 14 anni può, anche senza dire nulla ai propri genitori, rivolgersi ad un giudice tutelare e farsi autorizzare un’ interruzione di gravidanza. Eppure, se non sbaglio, la stessa ragazzina se vuole farsi praticare un piercing deve avere l’autorizzazione del genitore!

La nostra società in questi anni ha giustamente sviluppato una crescente sensibilità verso la tutela dell’ambiente, l’abolizione della pena di morte, la difesa degli animali. Come si conciliano tutte queste attenzioni con il mantenimento di una pratica abortistica rivolta verso il cucciolo umano?

La gravidanza non è una malattia. Qui non si sta parlando dei casi in cui portare avanti una gravidanza possa provocare gravi danni fisici alla madre, qui si sta parlando di ri–educare i giovani, donne e uomini, al rispetto per la vita e ad una vita di relazione – affettività consapevole di tutti i fattori in gioco. Da questo punto di vista noi adulti–genitori siamo i primi responsabili di fronte ai nostri giovani. Ed è venuto il momento di prendere coscienza di ciò.

La notte di Natale, di fronte alla capanna, di fronte al Bambino appena nato, rivolgiamo un pensiero anche ai bambini non nati in questi anni e chiediamo a Lui di tenere loro compagnia insieme a Maria e Giuseppe.

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- Cucina

A tu per tu con: Maria Pia Bruscia

Quest'oggi incontriamo Maria Pia Bruscia, per gli amici Mapi, laureata presso la Civica Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Milano, ha la passione della cucina da sempre. Impiegata presso una multinazionale, trascorre il tempo libero tra i nipotini che adora e i fornelli. Ama leggere e viaggiare, ma soprattutto le piace mangiare ed è in lotta perenne con la linea, anche se ultimamente si va sempre più dicendo che anche quella rotonda è una linea. Da ottobre 2010 ha aperto un blog di cucina, La Apple Pie di Mary Pie (http://laapplepiedimarypie.blogspot.it/) e da allora non si è più voltata indietro.

D.: Mapi, perchè un blog di cucina?
R.: Ho sempre avuto la passione per la cucina, fin da quando mi ricordi: a 7 anni ho fatto il mio primo Pan di Spagna, supervisionata da mia mamma (almeno, questa era la mia percezione; con tutta probabilità mia mamma ha fatto il Pan di Spagna, ostacolata da me!). Nove anni fa mi sono iscritta a un forum di cucina, dove scambiando consigli, esperienze e ricette con tantissimi altri appassionati di cucina la voglia di sperimentare ricette nuove e sempre più complesse è aumentata. Come forumista però ero "un'ospite in casa altrui" e piano piano le limitazioni imposte e soprattutto il "far west" che inevitabilmente impera in tutti i siti internet, hanno cominciato a starmi stretti. Ho così piano piano maturato la decisione di aprire uno spazio tutto mio, per continuare a condividere le mie esperienze di cucina, ma "da casa mia". Due anni fa è nato il mio blog, La Apple Pie di Mary Pie, grazie anche al sostegno e alla consulenza tecnica di altri amici blogger: Alessandra di Menù Turistico e Fabio e Anna Luisa di Assaggi di Viaggio.

D.: La Apple Pie di Mary Pie, il tuo blog di cucina è ormai uno dei più seguiti sul web, quanto impegno ti richiede?
R.: Tanto, molto più di quanto non pensassi all'inizio. Benché in teoria abbia la libertà di pubblicare come e quando voglio, ho capito quasi subito che anche i blog, in quanto strumenti di comunicazione, sono soggetti alle regole del marketing; è quindi buona norma non pubblicare durante i fine settimana, perché la maggior parte delle persone si collega durante una pausa dal lavoro, in settimana. Occorre decidere una "linea editoriale" e seguirla, indovinare i gusti del pubblico e se possibile anticiparli, essere leggeri nel raccontarsi ma molto chiari e precisi nello scrivere le ricette e il procedimento. Importantissima poi è la correttezza: citare sempre le fonti delle ricette e delle foto qualora si pubblichi un'immagine che non si è scattata. Poi c'è la realizzazione vera e propria delle ricette cui dedico di solito il fine settimana, la preparazione del set fotografico e gli scatti da ogni possibile angolazione e distanza, regolando ISO e bilanciamento del bianco per ottenere il risultato migliore; infine vi è la stesura del post, la scelta delle foto da pubblicare (in genere ne scatto una trentina per ogni piatto, ma ne pubblico solo 2 o 3, le meno peggio), la pubblicazione e i commenti dei lettori. Devo dire che per mancanza di tempo non rispondo a tutti i commenti dei miei lettori, mentre rispondo sempre e puntualmente alle domande e alle richieste di chiarimenti sulle ricette pubblicate: in un blog di cucina rispondere alle richieste di chiarimento è molto più importante che ringraziare per i complimenti (che pure fanno molto piacere).

D.: Quando prepari una ricetta, la studi, la assaggi, la presenti, pensi a qualcosa di particolare? Che cosa ti attira in un piatto? L'ingrediente principale, il colore, il profumo?
R.: Ogni ricetta richiede un attento studio, che è parte integrante dell'impegno richiesto dall'avere un blog di cucina. I cardini che seguo sono la stagionalità e l'occasione di consumo, perché oggi chi naviga cerca idee per occasioni particolari più che piatti per il consumo quotidiano. Ecco quindi che dicembre è dedicato ai regali golosi e ai piatti delle feste, gennaio ha l'Epifania, febbraio il Carnevale e San Valentino, e così via.
Di un piatto mi attira l'equilibrio di sapori e di consistenze: anche il piatto in apparenza più banale, se eseguito a regola d'arte regala sensazioni meravigliose. Tutto concorre a fare di un piatto un'opera d'arte: la scelta di ingredienti di prima qualità, l'uso delle tecniche di cottura più adeguate, la presentazione. Un buon piatto favorisce l'armonia tra i commensali, corona una bella giornata, consola dai dispiaceri ed eleva lo spirito.

D.: Anthelme Brillat Savarin sosteneva che: "la scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano che la scoperta di una nuova stella". Cosa pensi di questa affermazione?
R.: Di certo è provocatorio mettere sullo stesso piano un'importante scoperta scientifica e un piatto di cucina, tuttavia qualche analogia c'è: la scoperta di una nuova stella spalanca il cuore al Mistero e all'Infinito, a ciò che è ignoto e che riempie di stupore. Analogamente, la scoperta di un nuovo accostamento di sapori, consistenze e profumi è come il compimento di un'attesa, la risposta a una domanda che non si sapeva nemmeno di avere nel cuore; un gusto nuovo dispone l'animo benevolmente nei confronti di tutto e tutti, un po' come è successo ai commensali del bellissimo film Il pranzo di Babette quando gustano quella meravigliosa cena: guidati dal Generale, scoprono che il buon cibo alimenta anche l'anima e si riconciliano proprio a tavola, perdonandosi a vicenda di tutte le piccole manchevolezze della vita quotidiana.

D.: Mapi, stiamo avvicinandoci al Natale, periodo di dolci, ci lasci una ricetta per un buon dolce natalizio?
R.: Volentieri: vi propongo un dolce molto semplice, ma perfetto per la colazione o per un tè il giorno di Natale.

PLUM CAKE DI NATALE
4 uova medie (peso da sgusciate: 230 g)
230 g farina 00
200 g zucchero semolato
200 g burro morbido
125 g yogurt intero
50 g uvetta
150 g scorze d'arancia candite
1/2 bustina di lievito per dolci
1/4 di cucchiaino* di semi di cardamomo macinati al momento
1/4 di cucchiaino* di cannella in polvere macinata al momento
1/4 di cucchiaino* di semi di coriandolo macinati al momento
1 bacca di vaniglia (semi) oppure 1 cucchiaino di estratto di vaniglia (no vanillina, please!)
1 pizzico di sale

Per decorare:
125 g zucchero a velo
acqua q.b.
granella colorata (mompariglia)

* cucchiaini-misurino americani, da 1,25 ml

Mettere a bagno le uvette per mezz'ora in acqua calda, poi scolarle, tamponarle con carta da cucina, farle asciugare all'aria per 10 minuti e infarinarle leggermente.
Tagliare le scorze di arancia candite in minuscola dadolata (se non si amano canditi e uvetta, eliminare quest'ultima e sostituire i canditi con la scorza grattugiata di un limone e un'arancia non trattate.
Preriscaldare il forno a 180 °C in modalità statica e imburrare e infarinare uno stampo per plum cake da 1 litro, oppure 8 stampini individuali da plum cake.
Montare il burro con lo zucchero fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso.
Aggiungere le uova uno alla volta insieme a 1 cucchiaio di farina, non aggiungendo il successivo se il precedente non è stato incorporato.
Incorporare il resto della farina setacciata insieme alle spezie, al lievito e al sale alternandola con lo yogurt.
Da ultimo unire i canditi e le uvette, mescolando delicatamente.
Versare nello stampo da plumcake, livellarlo con un cucchiaio e infornare per 40-45 minuti (fare la prova stecchino). Togliere dal forno, far raffreddare per 10-15 minuti, poi togliere dallo stampo e far raffreddare completamente su una gratella.
Quando è freddo preparare la glassa: versare lo zucchero a velo in una tazza e unirvi 2 cucchiai di acqua. Mescolare molto bene e valutare la consistenza della glassa: deve essere simile alla Nutella. Evitare la glassa troppo liquida, meglio mettere meno acqua e aggiungerne qualche goccia, piuttosto che dover aggiungere altro zucchero. Versare la glassa sul dolce e spalmarla aiutandosi con il dorso di un cucchiaio, lasciandola colare lungo i lati. Cospargere di palline di zucchero colorate, far solidificare la glassa per un paio d'ore almeno e servire.


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- Politica

Punto di svolta

Siamo forse arrivati ad uno snodo cruciale dell’intricata situazione politica italiana.

Le primarie nazionali di coalizione del centro sinistra hanno incoronato Bersani che sarà quindi il primo candidato ufficiale a sostituire Monti alla guida del Governo prossimo venturo. Con la sconfitta di Matteo Renzi si è persa un’occasione di rinnovamento? Può darsi. Vi è però da chiedersi come mai in altri Paesi la generazione di Renzi è riuscita ad occupare posti chiave nella politica mentre in Italia ha fallito lo scontro diretto?

Nel centro destra Berlusconi è a un bivio: ridiscendere in campo candidandosi alla guida del prossimo Governo, spaccando così il PDL che vedrebbe l’uscita di molti ex di Alleanza Nazionale (ma non solo) oppure rinunciare alla leadership politica (ma a favore di chi?) sperando però che il PDL vinca le elezioni (o comunque ottenga un buon risultato) e insieme ai centristi e alla Lega riuscire a farsi eleggere Presidente della Repubblica.

Tutto questo accade mentre il Governo Monti raccoglie consensi all’estero e fischi nelle piazze italiane. La situazione della finanza internazionale va a fasi alterne, oggi lo spread scende, ma l’economia reale mostra tutti i segni del disastro che stiamo vivendo. La notizia di questa sera è che in Italia si sono persi in un anno cinquecentomila posti di lavoro nell’edilizia. Non parliamo di quello che sta accadendo agli stabilimenti ILVA di Taranto, della situazione della FIAT, della crisi di Fincantieri.

La disoccupazione, soprattutto quella giovanile, sale mentre gli italiani, grazie alla riforma Fornero, sono diventati i lavoratori europei più anziani ad andare in pensione. I consumi scendono, anche quelli alimentari e arrivare a fine mese è sempre più un problema per famiglie che un anno fa rappresentavano la classe media e pensavano a dove andare in vacanza d’estate.

Se questo è lo scenario, per chi deve votare il Signor Rossi alle prossime elezioni? Ma, soprattutto, andrà a votare il Signor Rossi alle prossime elezioni? Perché la situazione al momento è deprimente. Se siamo arrivati al Governo Monti è perché prima ci sono stati un Governo Berlusconi e un Governo Prodi. Ma ora, dopo un anno di Governo Monti, la situazione reale non è cambiata per nulla, anzi per certi aspetti sembra peggiorata.

In questo momento molto delicato la nostra classe politica se vuole tentare in extremis di riallacciare un flebile dialogo con chi ancora crede nel valore della politica, deve dimostrare di agire nell’interesse del Bene Comune del Paese e non del proprio personale orticello (vedi Legge elettorale), altrimenti verrà spazzata via definitivamente dall’astensionismo da una parte e dal qualunquismo di un movimento d’opinione che cavalca il malcontento popolare ma che non vede al suo interno candidati capaci di proporre risposte e soluzioni ai problemi enormi che l’Italia dovrà affrontare nei prossimi anni. E in mezzo a questo magma si potrebbe spalancare la strada per un’Alba Dorata …, ma non credo che gli italiani bramino questa soluzione, a meno che la situazione economica continui a peggiorare.

Meditate politici, meditate…

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- Economia

Quale equilibrio?

Un giovane funambolo, in giacca e cravatta, in equilibrio precario sulla terra che gira, si tiene in piedi con un bilanciere alle cui estremità sono attaccati due pesi, uno a forma di euro e uno a forma di dollaro. Questa è l’immagine, ben riuscita, che compare sulla copertina del XVII Rapporto sull’economia globale e l’Italia presentato ieri a Milano presso la sede di Assolombarda dal Prof. Mario Deaglio.

Il Rapporto, ripreso oggi dai principali quotidiani italiani, dal Corriere della Sera a Il Sole 24 Ore, descrive una situazione dell’economia mondiale in piena evoluzione, ma non drammatica. Lo scenario cambia radicalmente quando si punta l’attenzione sull’Europa e poi si restringe il campo all’Italia. Qui è evidente che i problemi ci sono, vengono da lontano e sono lungi dall’essere, non dico risolti, ma ancora affrontati.

Il Prof. Deaglio nel rapporto, composto di oltre 200 pagine, analizza a fondo le diverse cause della stagnazione che regna sovrana nel nostro Bel Paese e del resto tutti i giornali ne hanno parlato ampiamente quest’oggi.

A me preme qui mettere in evidenza un aspetto del rapporto che non è stato ripreso da nessun articolo apparso sulla stampa, l’aspetto demografico. Il rapporto tra incremento demografico e incremento del PIL è ormai un fatto noto e accettato da molti economisti. Anche lo studio del Prof. Deaglio lo conferma. Se confrontiamo lo sviluppo della popolazione tra Europa e Stati Uniti dal 1980 ad oggi ci accorgiamo che, mentre nel 1980 Europa e Stati Uniti avevano più o meno la medesima percentuale di giovani (età 0 – 14) : 21,2% Europa e 22,6% Stati Uniti, nel 2011 per la medesima classe di età (0 – 14) l’Europa vede un 14,5% mentre gli Stati Uniti un 20,1%. Per la classe di età over 65, il raffronto è ancora a favore degli Stati Uniti rispetto all’Europa: vi sono 17,6% di europei over 65 rispetto ad un 13,3% di cittadini statunitensi. Risultato: mentre l’Europa deve dirottare parti ingenti delle sue risorse finanziarie per curare gli anziani, gli Stati Uniti possono investire in formazione e istruzione per i giovani. Questi investimenti portano poi a innovazioni di prodotti e processi. Ora se andiamo a vedere il grafico della crescita del PIL, dal 1980 ad oggi, ci accorgiamo che negli Stati Uniti la crescita è stata superiore, mentre l’Europa sembra arrancare.

Da questo punto di vista, tutti i principali Paesi europei sono a crescita demografica zero o quasi. Se si vuole puntare alla crescita, occorre impostare politiche nazionali ed europee che vadano nella direzione di aiutare e sostenere concretamente le famiglie numerose. Sinora abbiamo utilizzato come surrogato della mancata crescita gli immigrati, ma non è la stessa cosa. Il rischio che corriamo tra cinquanta o cento anni, perché le politiche demografiche non si improvvisano, è quello di avere un’Europa popolata per la maggior parte da arabi, turchi, sud americani dove italiani, francesi e tedeschi saranno minoranza etnica e linguistica. Badate, non è fantascienza, se non cambiamo la politica a favore delle famiglie, il futuro non sarà molto diverso, ma soprattutto la crescita economica stenterà e l’Europa avrà sempre più un ruolo marginale negli equilibri mondiali.

Possibile che i politici europei non si rendano conto di questo enorme problema? Dall’esito per ora negativo del negoziato in corso per l’approvazione del nuovo bilancio europeo non sembra che ci sia da stare allegri. Certo, Paesi come l’Italia, la Francia e la Germania dovrebbero essere uniti sulle linee guide da proporre alla politica europea, altrimenti l’immagine che l’Europa offre al mondo intero ne esce ulteriormente danneggiata. Il tema dell’unità politica dell’Europa, non solo economica quindi, è sicuramente il tema centrale che determinerà il futuro dell’Europa, nel bene e nel male. Non vorrei che i prossimi mesi trascorressero in uno stato di “coma” politico europeo in attesa delle elezioni del prossimo autunno in Germania. Sarebbe una perdita di tempo che l’Europa, tutti noi, non possiamo permetterci.

Il Prof. Deaglio ieri sera faceva notare come in tedesco, con la parola schuld si traduce la parola debito e senso di colpa. Per i tedeschi avere un debito (e non riuscire ad onorarlo) in un certo senso equivale a provare un senso di colpa (nazionale). Il significato etimologico delle parole è sempre collegato, alla radice, al sentimento profondo del popolo che usa quella lingua. Occorre che l’Europa aiuti la Germania a comprendere come la politica del rigore che ha “imposto” sino ad ora agli altri Paesi, da sola non è sufficiente a vincere la crisi e a far ripartire l’economia. Occorre puntare sugli investimenti, soprattutto a sostegno delle famiglie e dei giovani che formeranno le famiglie di domani.

Altrimenti il futuro è già scritto nei grafici.

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- Libri

Il sasso dentro

Il sasso dentro è il primo romanzo di Ivan della Mea, pubblicato per la prima volta nel 1990. Della Mea, nato a Lucca nel 1940 ma milanese d’adozione e di vita vissuta, è personaggio poco noto al grande pubblico.

Chi lo ha conosciuto, probabilmente lo ha apprezzato per la sua attività di cantautore e cantastorie e per essere stato tra i fondatori del Nuovo Canzoniere italiano. E’ stato sicuramente un personaggio impegnato politicamente nel partito comunista italiano, ma credo di poter affermare senza timore di essere smentito che abbia sempre visto e vissuto l’impegno politico non come mezzo per arrivare al potere fine a se stesso, ma come strumento per realizzare il bene comune. E questo modo di concepire la politica lo ha nel tempo relegato ai margini del partito, dei partiti, intesi come “organizzazione”, ma non ai margini delle persone che lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene, lo hanno sostenuto e seguito nella sua attività culturale e di spettacolo come cantautore.

Certamente Ivan Della Mea era un grande narratore di storie.

Ne Il sasso dentro, il mistero della morte di una giovane donna benestante trovata massacrata in una discarica alla periferia di Milano si intreccia subito con la storia personale di due fratelli, uno poliziotto e l’altro tossico dipendente e spacciatore. Le pagine scorrono veloci con un ritmo narrativo sempre vivace e carico di tensione. Sullo sfondo la Milano di fine anni ’80 con le sue luci (poche) e le sue ombre (tante).
Il filo rosso che percorre tutto il romanzo ad un certo punto si spezza e improvvisamente la storia ha l’epilogo che il lettore inconsciamente si aspetta, ma che forse non avrebbe voluto leggere.
Nonostante alcune pagine a tinte forti, del resto parliamo di un romanzo noir, traspare l’anima poetica dell’autore nelle descrizioni dei luoghi e dei personaggi che vivono il presente, a volte povero e disperato, ma con lo sguardo rivolto al futuro, luogo dell’avvenire, che deve, per forza, essere migliore.

Il sasso dentro l’abbiamo tutti, piccolo o grande che sia, nascosto o sul comodino. Questo forse era il messaggio di Ivan Della Mea, personaggio poco noto al grande pubblico. Siamo sempre in tempo a rimediare.

Ivan Della Mea muore inaspettatamente a Milano il 14 giugno 2009. Su YouTube è possibile trovare ampia offerta di filmati e di canzoni cantate dall’autore e merita di essere visto il filmato girato il giorno della sua commemorazione funebre al circolo ARCI del Corvetto (http://youtu.be/LzAYtysf0Cw) . Ivan non mancherà di accompagnarci con la sua chitarra…
Buona lettura.

Per chi volesse approfondire:
Ivan Della Mea, Il sasso dentro, Marco Tropea Editore srl, Milano

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- Società

La maggioranza, la morale e la matematica

Il 6 novembre Obama è stato rieletto Presidente degli Stati Uniti. Gli elettori americani hanno evidentemente scelto la continuità politica in un momento difficile dell’economia americana rispetto alla “novità” rappresentata dallo sfidante Romney. Non ci interessa aprire una riflessione su queste elezioni, ci sarà tempo per vedere come il Presidente rieletto interpreterà il suo secondo ed ultimo mandato.

Vorrei invece qui porre l’attenzione su alcuni dei 174 referendum che hanno interessato gli elettori americani chiamati ad eleggere il nuovo Presidente. Tra i quesiti approvati dalla maggioranza dei votanti, alcuni hanno riguardato la liberalizzazione della marijuana per un uso definito simpaticamente “ricreativo” (in Colorado e nello Stato di Washington). Nel Maryland invece il 52% dei votanti si è espresso a favore delle unioni tra persone dello stesso sesso legalizzando il matrimonio omosessuale, nel Maine e nel Minnesota i referendum erano solo consultivi, ma sono stati vinti sempre dai favorevoli alla legalizzazione.

Ora, il fatto che la maggioranza dei votanti di quegli Stati abbia scelto di legalizzare il consumo della marijuana e il matrimonio tra persone dello stesso sesso non significa che tali scelte siano automaticamente da accettarsi e moralmente condivisibili . Una maggioranza numerica, una percentuale maggioritaria non può eliminare il fatto che un comportamento sia giusto o sbagliato, sia a favore della natura e della verità della persona o sia a suo nocumento.

Fumare una sigaretta di marijuana è evidente che non uccide all’istante, ma l’uso continuo della sostanza oltre a creare una situazione cronica di distacco dalla realtà, provoca dipendenza e danni cerebrali permanenti. Questo è quanto ormai accertato dalla comunità scientifica. Certo, anche fumare le sigarette alla lunga può provocare il cancro ai polmoni oppure esagerare nel bere vino o alcolici alla fine può distruggere il fegato.

Tuttavia i danni complessivi provocati dalle droghe leggere sono maggiori e creano più dipendenza di una sigaretta o di un bicchiere di vino, anche se la maggioranza dei votanti di uno Stato la può pensare diversamente.

Per quanto riguarda i matrimoni tra persone dello stesso sesso, non è qui in discussione assolutamente il rispetto massimo e assoluto che deve essere riconosciuto ad ogni essere umano, dal momento del suo concepimento sino a quello della sua morte. Il nocciolo della questione sta, a mio giudizio nelle parole “matrimonio” e “stesso sesso”. Il matrimonio (la parola deriva dal latino e significa azione genitrice, atto che da la vita) nasce, ha la sua ragione d’essere, come unione tra due persone di sesso diverso che si uniscono con la prospettiva di vivere insieme originando una famiglia aperta alla possibilità della creazione di una nuova vita.

Il Beato Giovanni Paolo II nel suo bellissimo libro di appunti Uomo e donna lo creò che raccoglie le catechesi sull’amore umano tenute dal Papa nelle udienze del mercoledì, ricorda, citando il Vangelo, proprio all’inizio dell’opera: “Ed egli rispose: non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?” (Mt, 19 e ss.) E poi l’essere diversi nel sesso, maschio e femmina, è la condizione indispensabile per generare e accogliere una nuova vita. Due persone dello stesso sesso non potranno mai generare una nuova vita. Ecco perché è del tutto evidente, a mio parere, che non potrà mai esistere un matrimonio tra due persone dello stesso sesso, matrimonio inteso come quello tra due persone di sesso diverso potenzialmente aperti a generare una nuova vita. Del resto anche nel mondo animale mi sembra che le coppie che si formano per riprodurre la specie, secondo l’istinto naturale, siano formate da un maschio e da una femmina.

Ciò non significa che due persone dello stesso sesso non possano liberamente scegliere di condividere e trascorrere la vita insieme, sotto lo stesso tetto. Ma questa unione, con qualsiasi nome si voglia definire, non è certamente un’unione matrimoniale, anche se cento referendum in cento Stati diversi dovessero dare la maggioranza a chi afferma il contrario.

La matematica, in questo caso, è solo l’opinione della maggioranza.

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- Educazione

Il rischio educativo

Dalle colonne di libri presenti in camera da letto, appoggiati per terra, su su fino al comodino, ha fatto capolino qualche giorno fa il libro di “appunti” di Don Giussani, Il rischio educativo. E’ la riedizione del 2005 dell’opera pubblicata per la prima volta nel maggio 1977. L’ho riletto. E’ un libro di un centinaio di pagine, si legge in un paio di ore. Sembra scritto oggi, per i giovani di oggi, per il nostro tempo.

Dall’introduzione: “L’idea fondamentale di una educazione rivolta ai giovani è il fatto che attraverso di essi si ricostruisce una società; perciò il grande problema della società è innanzitutto educare i giovani (il contrario di quel che avviene adesso).”

Ma che cosa intendiamo con il termine educazione? Io credo che l’educazione consista nel fornire un criterio di giudizio adeguato per comprendere la realtà, a partire da quel preciso metro quadro di terra dove il buon Dio ci ha fatto nascere. Da questo punto di vista la cultura del paese di origine è fondamentale per incominciare il cammino. E’ con essa che il giovane deve rapportarsi e per così dire fare i conti con la realtà che lo circonda e lo interroga. Cultura infatti è concepire le cose , la realtà secondo un ideale. Don Giussani parte dall’esperienza cristiana per proporre un modello di vita, un ideale che risponda alle domande di verità, di bellezza, di felicità presenti nel cuore di ogni giovane.

Per quale fine siamo su questa terra?

A questa domanda Don Giussani nel libro risponde proponendo l’incontro con l’altro come origine per poter sperimentare e vivere l’incontro con Cristo. Da questo punto di vista l’educatore ha un compito fondamentale nel presentare al giovane questa possibilità. Scrive Don Giussani: “occorre suscitare nell’adolescente personale impegno con la propria origine; occorre che l’offerta tradizionale sia verificata; e ciò può essere fatto solo dall’iniziativa del ragazzo e da nessun altro per lui”.

In questi tempi, dove la parola crisi abbonda sulla bocca dei più e dove essere giovani è forse ancora più difficile che in passato, rileggere quest’opera di un grande educatore di giovani aiuta noi adulti a rimetterci sul giusto binario. Penso soprattutto agli educatori, agli insegnanti, ma anche a noi genitori. Quotidianamente ci troviamo davanti i volti dei nostri ragazzi che ci chiedono un aiuto per comprendere da dove iniziare il loro personale viaggio su questa terra. Rileggere Il rischio educativo, o leggerlo per la prima volta, può aiutarci nel nostro lavoro di insegnanti, nella nostra vocazione di genitori.

Non è mai troppo tardi per iniziare il cammino, certo rischioso , di educare un giovane ad amare il prossimo suo, come se stesso.


Luigi Giussani, Il rischio educativo, Rizzoli - Milano

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- Politica

Berlusconi, Einstein e venti anni persi

Personalmente ritengo negativa l’esperienza politica degli ultimi venti anni vissuta dagli italiani. Tutti i Governi che si sono succeduti, di centro destra come di centro sinistra, non sono stati in grado di realizzare quelle riforme che sarebbero state necessarie per far progredire il Paese. E la prova è la situazione attuale che stiamo vivendo. E’ vero che la crisi è generale, ma l’Italia la sta affrontando con più difficoltà degli altri Paesi europei comparabili sul piano economico (Germania, Francia, Inghilterra ).

E allora ascoltare ieri pomeriggio in diretta televisiva il comizio elettorale (fuori tempo massimo a dire il vero in quanto oggi si vota in Sicilia) dell’ex Presidente del Consiglio Berlusconi sull’Italia che vorrebbe, mi ha suggerito alcune riflessioni.

La prima riflessione è la conferma che abbiamo perso letteralmente venti anni. In Italia non siamo riusciti a portare avanti nessuna vera riforma del Paese. I mali della giustizia che stanno tanto a cuore a Berlusconi è innegabile che esistono: processi troppo lunghi nei tempi, una corporazione, quella dei magistrati, che svolge sicuramente un lavoro impegnativo, ma che sembra godere del privilegio di poter sbagliare senza pagare pegno ( cito solo un nome: Enzo Tortora). La riforma del mercato del lavoro, che ha dato buoni risultati in Germania e in Francia, da noi ha prodotto per i giovani solo occupazione temporanea rinnovata sine die. La riforma della scuola, parte fondamentale per una vera riforma generale del Paese, non è stata capace sino ad ora di rimettere in gioco positivamente il mondo degli insegnanti (che non si sentono valorizzati nel loro ruolo sociale). Ho toccato tre temi esemplificativi, ma si potrebbe continuare perché, al di là delle quaranta riforme portate avanti dai Governi Berlusconi ricordate ieri dall’ex Premier (senza però elencarle ) , l’unica riforma attuata in Italia e citata è stata quella dell’Alta Velocità. A questo proposito si potrebbe discutere se valeva la pena spendere i miliardi di euro investiti nell’alta velocità (oppure quelli già spesi per i progetti sul ponte dello stretto di Messina) per arrivare a Roma da Milano un’ora prima (quando poi si perdono ore nel traffico cittadino) al posto di investire quei fondi per esempio, nella cura del nostro territorio che è stato completamente abbandonato in questi ultimi decenni perché i comuni non hanno fondi per la manutenzione di strade, letti dei fiumi, messa in sicurezza delle colline, delle coste ecc.

La seconda riflessione è che non solo la classe politica italiana negli ultimi venti anni non si è rivelata all’altezza dei compiti che l’attendevano, ma anche la classe imprenditoriale non è stata capace di far fare alla Nazione quel salto in avanti necessario per continuare a crescere. Personalità come Giovanni Agnelli, Adriano Olivetti, Enrico Mattei, Leopoldo Pirelli per citare solo alcuni imprenditori, al di là del giudizio personale che ciascuno può avere, avevano una visione imprenditoriale e l’hanno perseguita, da imprenditori, portando benefici all’intero Paese. Purtroppo, questi personaggi non hanno avuto dei degni successori e l’unico imprenditore che forse si poteva inserire in questo elenco, Berlusconi, ha scelto di occupare un campo, quello politico, che non gli competeva. Infatti in nessun Paese civile un imprenditore proprietario del maggior network televisivo privato con l’aggiunta di giornali e partecipazioni in banche e assicurazioni avrebbe potuto sommare su di sé anche il potere politico derivante dalla carica di Primo Ministro. E tutto ciò per anni.

Questa forse è stata l’anomalia più straordinaria che il sistema Italia ha dovuto sopportare in questi ultimi venti anni. Eliminarla a suo tempo avrebbe sbloccato uno stallo politico che forse è all’origine di tante riforme mancate. Ci si è divisi tra sostenitori e contrari a Berlusconi e quasi tutte le leggi che si proponevano in Parlamento venivano viste dai rispettivi schieramenti politici in quest’ottica e quindi promosse o bocciate di conseguenza, non per un vero giudizio di valore che questi provvedimenti potevano portare in sè.

La crisi attuale che stiamo vivendo è sì crisi economica, ma è anche crisi di fiducia. Occorre una seria riflessione da parte di tutti e rivedere le nostre idee e le nostre opinioni e forse rendersi conto che alcuni modelli di sviluppo, di pubblicità, di falso benessere che ci sono stati proposti in questi anni in realtà non portano da nessuna parte.

Scriveva Albert Einstein nel 1931 nel Mein Wetbild: “ Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può essere una grande benedizione per le persone e le Nazioni perché la crisi porta progressi.”

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- Politica

Politici deliranti e grilli natanti

Dire che la situazione politica italiana sia confusa è un eufemismo. Nel centro destra, Berlusconi silente, parlano gli attori non protagonisti, ma il problema è che ciascun gregario propone scelte e strategie opposte a quelle del collega di partito. Chi vuole riagganciare con la Lega di Maroni, chi non vuole neanche sentirne parlare. Due grandi regioni, Lazio e Lombardia, governate dal PDL, in piena crisi di nervi con i Governatori che si muovono su binari opposti: quello laziale attende nel fissare la data delle nuove elezioni, quello lombardo vorrebbe votare domani.

Nel centro sinistra situazioni di delirio politico analoghe, degne di nota solo come spunto per le battute ai comici di turno che di questi tempi non fanno fatica a scrivere il copione. All’interno del PD le primarie stanno riuscendo a spaccare nuovamente il partito, ma questa volta per fasce di età, non per ragioni ideali. Se le primarie le vince Bersani, D’Alema non si candida alle elezioni politiche, se vince Renzi cosa fa D’Alema? Combatte sino alla morte! Veltroni invece rinuncia di suo, tanto sa benissimo che nessuno l’avrebbe cercato per offrirgli un seggio in Parlamento, ma il prossimo maggio si elegge il nuovo Presidente della Repubblica e ci sono i nuovi senatori a vita che il nuovo Presidente potrebbe nominare…

Il centro centro ormai offre solo posti in piedi: Casini, Fini, Montezemolo, Tremonti, Della Valle. E’ uscito Rutelli che si è spostato a sinistra dove però trova Di Pietro e Vendola che sono forse gli unici veri oppositori di questo governo tecnico che ha compiuto più azioni politiche degli ultimi governi politici che tecnicamente cercavano, senza riuscirci, di evitare agli italiani l’ultimo anno che invece ci è toccato di vivere. In mezzo al guado il Grillo che ha smesso di saltare (adesso nuota) e che raccoglie intorno a sé ancora molti consensi, ma sembra che gli italiani stiano incominciando a nutrire qualche dubbio se sia il caso di affidare a persone senza esperienza alcuna di gestione della res publica un bene pubblico che sia più “importante” di Parma.

Se questo è lo scenario, tra pochi mesi per chi gli italiani dovrebbero andare a votare? Tra l’altro per ora una nuova legge elettorale non è stata ancora approvata dal Parlamento, quindi si andrebbe ancora a votare con i candidati scelti dalle segreterie dei partiti (senza considerare che ci sono partiti che non hanno neanche la segreteria, ma forse solo una segretaria).

E i programmi? Qualcuno sente parlare seriamente di programmi?

Purtroppo il vero problema che ha l’Italia e che dovrà per forza essere affrontato e speriamo risolto nella prossima legislatura è l’abbattimento del debito pubblico, quei 2000 miliardi di euro che rendono vana ogni manovra finanziaria o di stabilità. Sono 80/90 miliardi di euro all’anno di interessi che paghiamo che ci impediscono di uscire dalla spirale recessiva. Questo è il vero tema che i partiti che si candidano a governare l’Italia devono studiare e devono spiegarci come intendono risolvere. Il resto sono solo chiacchiere. E gli italiani temo che si siano stancati di chiacchiere. Se non ci sarà chiarezza sui temi economici, su questo tema economico la cui soluzione renderà poi veramente possibile parlare di rilancio dell’economia, del lavoro e di tutto il resto, a votare gli italiani non andranno. L’astensionismo è il vero nemico che i partiti politici devono temere, non il Grillo natante.

Ci servirebbero dei politici nuovi che abbiano idee nuove per affrontare i tempi nuovi che stiamo vivendo. La recessione può essere da stimolo per sviluppare nuove idee, nuovi pensieri, concepire soluzioni nuove a problemi vecchi. Per esempio i leghisti in Lombardia sostengono che votare subito per le regionali costerebbe 50 milioni di euro che potrebbero essere risparmiati se si votasse in primavera insieme alle politiche. A parte il fatto che nessuno può sapere cosa costerebbero sei mesi di campagna elettorale alla Lombardia, ma chi ha detto che i componenti dei seggi elettorali debbano essere pagati in contanti?
Chi ha detto che non si possa risparmiare evitando di stampare tutta quella carta e tutti quei registri (chi è stato membro di un seggio elettorale sa di cosa parlo) che poi nessuno va a leggere e a guardare? Si potrebbe ridurre la burocrazia di un seggio elettorale e le persone che lavorano per due giorni al seggio potrebbero ricevere un voucher da spendere entro 12 mesi per servizi resi dalla pubblica amministrazione. Per esempio potrebbero essere spesi in Posta, presso le ASL o per pagare multe o ammende o inventarsi altre soluzioni. Lo Stato (in senso lato) eviterebbe così uscite di cassa immediate e le spalmerebbe su dodici mesi, senza contare che qualcuno il voucher potrebbe anche perderlo… (ops, non volevo scriverlo)

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- Politica

Quale Italia vogliamo?

I recenti scandali che hanno riguardato la gestione del denaro pubblico affidato a consiglieri e assessori regionali riportano in auge il tema dell’impianto federalista dell’Italia. In questi ultimi venti anni le regioni hanno via via acquisito un peso maggiore nella gestione di alcuni grandi capitoli di spesa, tra tutti il più importante riguarda la sanità, con alterne fortune. A fronte di regioni c.d. virtuose, ve ne sono state altre meno virtuose o colpevolmente disastrose. I casi di mala sanità pubblica e di sprechi sono sotto gli occhi di tutti e non è il caso qui di ricordarli. E non ci interessa porre l’accento sul differenziale nord sud, perché anche in meridione vi sono strutture pubbliche che funzionano bene ed erogano servizi di qualità e a costi comparabili con il nord Italia. La vera domanda è un’ altra: ma con una gestione centralista, unica, proveniente da super ministeri romani, siamo sicuri che le cose andrebbero meglio, che ci sarebbero meno sprechi, meno disservizi, maggiore qualità dei servizi a costi inferiori?

Personalmente nutro dei dubbi.

In Germania il sistema federale è applicato come e forse più che in Italia e il risultato è una qualità della vita molto soddisfacente per il cittadino che si vede erogati servizi pubblici funzionanti a costi sostenibili. Dov’è la differenza? La differenza è nella classifica stilata ogni anno dal 1993 dalla organizzazione non governativa Transparency International che analizza e studia i livelli di corruzione nel mondo. Ebbene nel 2011 (ultimo anno analizzato) il livello di corruzione “percepita” (subita) dai cittadini tedeschi pone la Germania al 14° posto in classifica alla pari con il Giappone davanti a Regno Unito, Stati Uniti e Francia tanto per citare altre Nazioni G8, mentre vede l’Italia al 69° posto a pari merito con Ghana, Macedonia e Samoa. Le prime tre Nazioni “non corrotte” al mondo? Nuova Zelanda, Danimarca e Finlandia. Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, di seguito il link al sito della organizzazione: http://www.transparency.org/

Il vero problema dell’Italia non è quindi l’impostazione dello Stato che vogliamo dare al nostro Paese, centralista o federalista, il vero problema è di ordine etico e morale. L’etica deve riguardare i comportamenti pubblici degli amministratori della cosa pubblica, a qualsiasi livello essi operino. La morale personale dovrebbe far sì che una persona che gestisce denaro pubblico ritenga giusto dimettersi dall’incarico prima che sia la legge stessa ad imporlo, qualora sia indagata dalla magistratura per ipotesi di reato riguardanti l’ufficio pubblico che ricopre, ancorchè in attesa di una sentenza emessa da un Tribunale in nome del popolo italiano. Ora qui si aprirebbe tutto il grande tema della lentezza del nostro “modello giustizia”, sicuramente fondamentale, ma non è il momento per approfondirlo.

In questo senso la legge “anti corruzione” in discussione in Parlamento è senz’altro necessaria e ben accetta, ma da sola non riuscirà a debellare il fenomeno se non verrà accompagnata da un cambiamento che deve essere culturale, sociale, personale. Per questo ritengo fondamentale partire dalle scuole, dai giovani per educarli a vedere l’impegno nella politica, nel sociale, nella comunità come il massimo servizio che una persona possa offrire al proprio Paese e non , come molto spesso accade ora, come un modo e una strada facile e veloce per raggiungere posizioni di privilegio, di potere e di arricchimento personale. Da questo punto di vista, le tanto bistrattate ore di religione e di educazione civica offrono sicuramente uno spazio temporale che in classe può aiutare i ragazzi a confrontarsi con proposte e contenuti positivi. Del resto occorre insegnare ai giovani le regole di comportamento di una moderna e civile Nazione, ma anche motivare il perché è giusto o sbagliato un certo comportamento o un certo stile di vita. Senza un punto di fuga verso valori cui fare riferimento nell’agire politico, il quadro generale risulta sfuocato e prevale l’istintività (personale o del proprio gruppo/partito) e il soddisfacimento del solo interesse particolare a scapito di quello pubblico.

Indro Montanelli scrisse che la corruzione comincia con un piatto di pasta. Forse è il caso di incominciare a pensare ad una dieta…

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- Religione

Cinquant’anni di Concilio Vaticano II

Il 25 gennaio 1959 Papa Giovanni XXIII , ispirato dalla Grazia di Dio, da poco eletto, fece al mondo l’annuncio dell’indizione di un nuovo Concilio ecumenico, il primo dopo il Concilio Vaticano I , sospeso nel 1870 e mai formalmente concluso da un Papa. Dopo tre anni di preparazione, l’11 ottobre 1962 a Roma, con una solenne cerimonia tenutasi nella Basilica di S. Pietro in Vaticano, Papa Giovanni XXIII diede ufficialmente inizio al Concilio Vaticano II.

Tutta la Chiesa universale per la prima volta si ritrovò unita in un sol luogo, la Chiesa europea insieme alla Chiesa africana e a quella latino – americana. Vi parteciparono circa 2500 tra cardinali, patriarchi e vescovi di tutto il mondo. La caratteristica pastorale di questo sinodo fu evidente sin da subito. Non vennero proclamati nuovi dogmi, ma si cercò di interpretare i segni dei tempi, quello che l’uomo contemporaneo stava vivendo e come la Chiesa universale potesse farsi presenza viva per quest’uomo.
Il successore di Papa Giovanni, Paolo VI nel corso del suo primo discorso ai padri conciliari indicò i temi principali del Concilio: definire più precisamente il concetto di Chiesa, il rinnovamento della Chiesa, la ricomposizione dell’unità tra tutti i cristiani , il dialogo tra la Chiesa e il mondo contemporaneo.

Il Concilio Vaticano II si chiuse il 7 dicembre 1965. I frutti del lavoro dei padri conciliari furono 4 Costituzioni, 3 Dichiarazioni e 9 Decreti. Per chi fosse interessato ad approfondire la conoscenza dei testi conciliari, il riferimento è http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/index_it.htm

Quello che riteniamo interessante qui evidenziare è come la Chiesa cattolica, unica tra le grandi religioni presenti nel mondo, per Grazia di Dio, abbia intuito in anticipo i cambiamenti in atto nella vita sociale e culturale dell’uomo contemporaneo ed abbia cercato nuove vie, nuove modalità comunicative per non interrompere il dialogo. Il medesimo sforzo e lo stesso desiderio comunicativo non sembrano essere stati compiuti in questi decenni dalle altre religioni, tanto che oggi i cristiani, nel mondo, sono oggetto di attacchi anche violenti e sanguinari, da parte soprattutto di estremisti islamici che sono rimasti fermi ai secoli bui delle lotte di religione e non hanno percepito le novità introdotte dal Concilio Vaticano II. Gli stessi incontri e gesti di apertura e amicizia compiuti in questi ultimi venti anni dai successori di Paolo VI, verso ebrei e musulmani, sono il frutto dei nuovi tempi post conciliari.

L’11 ottobre 2012, a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, si aprirà l’anno della Fede, indetto da Papa Benedetto XVI l’11 ottobre 2011. Perché l’anno della Fede? Nella Lettera apostolica del Papa, Porta Fidei con la quale si indice l’anno della Fede si legge, tra l’altro: “La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità”. Come si vede, i frutti del Concilio Vaticano II sono ben vivi e presenti nella Chiesa come nella società contemporanea.

Cos’è la fede per un cristiano? Scrive il Beato Luigi Giussani nel suo libro Si può vivere così : “la prima caratteristica della fede cristiana è che parte da un fatto, un fatto che ha la forma di un incontro… La seconda caratteristica è l’eccezionalità del fatto… La terza caratteristica è lo stupore: ma lo stupore è sempre una domanda, almeno segreta… Il quarto fattore è che la fede incomincia esattamente con questa domanda: Chi è costui?. Ultimo punto: la risposta”

All’uomo contemporaneo la libertà di trovare la risposta più adeguata, quindi più umana, al suo desiderio di felicità.

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- Esperienze di vita

Voglio arrivarci viva

Non si può recensire l’esperienza di una vita vissuta e raccontata, soprattutto se questa vita è una vita speciale. Dopo aver letto il libro di Marina Garaventa, Voglio arrivarci viva, con sottotitolo “Una vita vissuta pericolosamente”, la prima parola che viene in mente è la parola gratitudine, cioè riconoscenza per una persona eccezionale che si è messa a disposizione del lettore con il desiderio di condividere un’esperienza. L’esperienza della propria vita, ricca di gioia e di dolore.

Marina Garaventa, di cui ho appreso l’esistenza solo ora, mea culpa, dopo aver letto il suo scritto, si descrive così: “sono Marina e dal 2002 vivo grazie a un respiratore che uso 24 ore su 24. Io non mi muovo, non parlo, ma grazie al mio pc comunico! Scrivo libri, articoli, mi occupo di sociale, di politica, di musica e di molto altro. Insomma: io vivo!” Non mi sembra occorra aggiungere molto altro.

Marina mi ricorda il mio amico Ugo, che sta benone, come dice lui, a parte la SLA che lo ha colpito giusto tre anni fa. Ugo, che è stato mio testimone di nozze, ha 48 anni, una moglie speciale e due bambini bellissimi di 5 e 3 anni. Ora vive su una carrozzina attaccato al respiratore, con tracheo e sondino per l’alimentazione. Muove solo gli occhi e grazie ad un computer riesce a scrivere selezionando con lo sguardo le lettere e così forma le frasi che un sintetizzatore vocale ripete con voce metallica, la nuova voce di Ugo, che per oltre venti anni ha cantato nel coro della parrocchia con una profonda voce da basso.

Ogni settimana vado a trovarlo e a casa sua incontro sempre amici e persone che vogliono conoscerlo e stare con lui per imparare da lui come affrontare la quotidianità della vita, fatta di pene quotidiane ma anche di tanti miracoli che chiedono di essere riconosciuti. Ugo non molla mai, certo ci sono giorni sì e giorni no, ma Ugo, che è ingegnere e quindi più squadrato di un cubo, è convinto che alla fine una cura per la sua SLA da qualche parte nel mondo si troverà. Non che Ugo sia entusiasta della malattia, questo è chiaro, però vuole vivere sino in fondo la sua situazione, ogni giorno passa ore attaccato al computer (può fare ben poco di diverso) cercando nel web ogni piccola nuova notizia che riguarda la sua malattia, è più informato lui dei medici del centro Nemo di Niguarda che lo hanno in cura! Marina e Ugo sono fatti così, per nostra fortuna! Senza di loro il nostro mondo sarebbe meno colorato.

Solo una cosa voglio dire a Marina, una cosa che ho imparato in questi anni da Ugo e si riferisce al capitolo “gli enigmi sono tre…” del suo libro. Io non so spiegare perché proprio a te Marina è toccata la vita che stai vivendo, come la SLA è toccata a Ugo e non a me per esempio, questo proprio non lo so. Come non so perché esiste il dolore nel mondo, perché muoiono delle malattie più strane bambini appena nati, questo non lo so. Non è giusto, ma non so perché accadono queste cose e altre ancora più tremende. So però che il dolore, la fatica quotidiana, possono essere condivisi e allora, con i tuoi occhi nello sguardo di un altro, l’orizzonte si allarga in un sorriso. Il dolore non è scomparso, però è più umano, cioè più nostro, possiamo forse tentare di comprenderlo, senza pretese. Del resto il nostro Dio ha inviato sulla terra Suo Figlio proprio per questo, condividere il Suo Amore per noi, con noi. Basta, non aggiungo altro, sarebbe di troppo.

E’ tempo di chiudere questa “non recensione”. L’invito è di leggere (non a sbafo) il libro di Marina! Si legge tutto d’un fiato e farete conoscenza con una persona speciale (per una sera si può rinunciare a NCIS Los Angeles). Un’ultima cosa mi ha colpito di Marina e la voglio raccontare: la sua ironia, caratteristica tipica delle persone intelligenti. E con una frase presa in prestito dal grande miscredente Woody Allen la voglio salutare: "Ci sono cose peggiori della morte. Se hai passato una serata con un assicuratore, sai esattamente di cosa parlo". Buona fortuna!

Marina Garaventa, Voglio arrivarci viva, 2012 Tea spa, Milano

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- Politica

Il dado è tratto

Ormai è chiaro, siamo in campagna elettorale. In settimana Rete 4 ha mandato in onda in prima serata il primo film della serie di Don Camillo e Peppone, segnale questo inequivocabile che la tenzone elettorale è iniziata. Del resto sempre in settimana, dagli Stati Uniti il Premier Monti rilasciando tre interviste a tre reti televisive diverse, è partito col dire che non si sarebbe candidato per finire col dire che se gli italiani lo chiamassero, non farebbe mancare il suo contributo per il bene del Paese. Non è ancora chiaro in che modo gli italiani dovrebbero arruolarlo. Nei fatti, tipico linguaggio da campagna elettorale.

Ma quale panorama politico si presenta davanti agli occhi di noi italiani?

Nel centro destra il PDL è sempre più in crisi nera e non trova ancora il bandolo della matassa: candidare Berlusconi o non candidare Berlusconi alle prossime elezioni? Posto che sarà Berlusconi a decidere cosa deciderà il PDL. Certo all’ex Premier, che ieri ha compiuto settantasei anni, non sarà piaciuta la discesa in campo finalmente ufficializzata del Presidente della Ferrari, Luca Cordero di Montezemolo che, con la sua Fondazione Italia Futura, cercherà di occupare proprio lo spazio elettorale dei delusi del PDL. Italia Futura poi, sostenendo apertamente il Monti Bis strizza l’occhiolino ai centristi dell’UDC di Casini e a Futuro e Libertà di Fini che si propone con il suo nuovo movimento Mille x l’Italia. Questo è ciò che sta accadendo nel Centro Destra italiano spaventato dall’antipolitica che pervade ormai larghi strati della società civile e che trova nel movimento dei grillini un possibile sbocco elettorale. Non è un caso che Grillo abbia bollato la scelta statunitense di Monti di non escludere un suo nuovo impegno politico come un rigor montis. Per ora la Lega Nord rimane estranea a possibili alleanze con gli ex alleati, ma non è escluso un possibile ripensamento di Maroni perché è chiaro che da soli, in elezioni politiche nazionali, la Lega non otterrebbe un gran risultato.

Spostandosi un poco a sinistra, il PD per prima cosa deve masticare e digerire il grosso boccone, che si sta rivelando di sapore agro, delle primarie, che del resto ha ideato, preparato e cucinato da solo. Quindi, una volta che gli italiani avranno chiaro quale leader e quale programma avrà il PD, speriamo che accada presto, si potranno valutare le possibili alleanze. Che sostanzialmente si possono così sintetizzare: o guardare al centro e fare una coalizione “salva Italia” con Casini, Fini e Montezemolo, tipo quella che ha governato in Germania in questi ultimi anni, con Monti premier oppure guardare a sinistra dove però si trova Di Pietro in disaccordo con la cura Monti che invece il PD ha contribuito a sostenere e dove si trova, ancora più distante politicamente, Vendola con SEL che non vuole neanche sentire parlare di Monti & co.

Mentre tutto questo magma politico ancora bollente si sta muovendo intorno a noi, una domanda mi preme ricordare a tutti gli italiani che tra sei mesi dovranno decidere a quale gruppo politico affidare il futuro dell’Italia: ma con quale legge elettorale andremo a votare?

Perché è chiaro che se le regole del gioco non cambiano, il Parlamento sarà in mano per altri cinque anni a persone scelte e nominate non da noi, ma dai partiti politici e quindi mi risulta difficile credere che un Parlamento così eletto possa affrontare con successo una fase costituente e di vero rinnovamento della società italiana. I tempi tecnici per modificare la legge elettorale ancora ci sono , ma i giorni stanno terminando e l’impressione è che alla fine questa legge faccia comodo ai più, al PDL che l’ha proposta e votata a suo tempo insieme alla Lega e anche al PD che l’aveva bocciata ma che ora forse la sta rivalutando.

Senza una nuova legge elettorale, temo che tutti gli sforzi che i partiti stanno facendo per proporsi con un nuovo abito “pulito” e in ordine per la competizione elettorale siano inutili. E’ bene che i nostri politici lo sappiano, questa volta gli italiani non sono disposti a fare sconti a nessuno. Se i nomi dei candidati saranno i soliti noti, vincerà l’antipolitica e l’astensionismo e questo non dobbiamo augurarcelo per nessun motivo.

Ultimo pensierino provocatorio, ma non troppo: e se noi italiani invitassimo a candidarsi Premier in Italia un leader straniero?

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- Letteratura

La congiura delle torri

Questa estate mi sono imbattuto sui banchi di una libreria ne La congiura delle torri, romanzo storico e opera prima del giovane scrittore, insegnante di professione, Francesco Fadigati.

Romanzo storico e ambientazione medievale: questo binomio da solo rischia di produrre nei più l’idea di un’opera di difficile e lenta lettura (per usare un eufemismo). E, come spesso accade, i più si sbaglierebbero.

Viene narrata la vita di un giovane orfano, Folco dei Lamberti che dalla campagna si reca a Bergamo per tentare la sorte e cercare di diventare milite e poi, a Dio piacendo, cavaliere. Siamo nel anno domini 1133 e Bergamo è dilaniata da una guerra intestina tra opposte nobili famiglie bergamasche per ragioni di potere ed interessi economici (il tempo sembra essere trascorso invano per il cuore dell’uomo). Folco trova a Bergamo molto più di quello che si aspettava, scopre la sua vocazione. Trova un gruppo di amici con cui cresce e matura, sperimenta l’amore , cortese, con Madonna Adeleita, promessa sposa ad un nobile pari grado. Incontra Belfiore, giovane donna di origini similari e misteriose e se ne innamora ma, il giuramento prestato al Capitano Mangano e insieme a lui al Vescovo Gregorio, gli impediscono di proseguire il corteggiamento.

Romanzo storico, ricco di storie, di azioni, di amore e di sangue, di lotte intestine. Insieme a Folco, che trova poco per volta la ragione per cui spendere la sua vita, l’altro protagonista del romanzo è il Vescovo Gregorio, abate di un piccolo monastero che viene chiamato dai nobili bergamaschi delle opposte fazioni a diventare Vescovo della città credendo che fosse facilmente “gestibile” in quanto interessato più alla vita monastica e alla preghiera e meno al potere temporale. I nobili si dovranno ricredere.

Leggere il romanzo, scritto con vena poetica inaspettata per un romanzo storico è ritrovarsi immersi nella realtà medievale e vedere, respirare, ascoltare il mondo con gli occhi di una persona di novecento anni fa. Non ci sono giudizi preconcetti sul periodo storico, piuttosto dalla narrazione traspare, emerge sempre il rapporto vero, immediato, reale tra i protagonisti che diventa rapporto con l’esperienza personale del lettore. Abbiamo di fronte una bella storia da leggere e da “vivere” con gli occhi di Folco dei Lamberti, giovane milite del XII secolo. A me è piaciuta.

Dopo Alessandro D’Avenia, un altro giovane insegnante, Francesco Fadigati si presenta nel panorama italiano dei giovani scrittori con le carte in regola per lasciare il proprio segno sulla lavagna.

Francesco Fadigati, La congiura delle torri, 2011 Bolis Edizioni srl, Azzano San Paolo -BG

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- Economia

Monti, Marchionne e Maastricht

Dall’incontro di ieri tra il Capo del Governo Mario Monti, con seguito di Ministri, e i vertici di Fiat (Marchionne e il giovane Presidente John Elkann, nato a New York il primo aprile 1976) non è emerso in sostanza niente di significativo sul futuro dell’industria dell’auto in Italia, ne del resto ci si poteva aspettare qualcosa di diverso. I numeri del mercato dell’auto di questi mesi e quelli più importanti della crisi economica in atto sono a conoscenza di tutti noi.

Quello che di interessante è invece emerso dall’incontro di ieri è la concezione che i nostri industriali, i nostri capitalisti hanno del momento storico che stiamo vivendo. Quello che Marchionne e il giovane Elkann hanno detto a Monti in sostanza è che la Fiat non ha problemi in quella parte del mondo, in quei Paesi dove esistono e vengono somministrati aiuti statali per l’ insediamento di nuovi impianti produttivi in cambio dell’assunzione di migliaia di lavoratori che però vengono “assunti”, aggiungiamo noi, subordinando il lavoro alle necessità temporali e produttive del mercato del singolo Paese. In altre parole: se il mercato cresce e gli aiuti di Stato sostengono sia la produzione sia, ancora meglio, la domanda, allora la Fiat investe, assume lavoratori e in questo caso i problemi non esistono, il cerchio si chiude. Per rendere esplicito il quadro descritto si vedano gli insediamenti Fiat in Brasile, in Serbia, ma anche nella patria del capitalismo, gli Stati Uniti. Questo in sintesi il concetto espresso dai vertici Fiat. Purtroppo in Italia non è più possibile attuare questo modus operandi per via delle leggi comunitarie e quindi i problemi di Fiat rimangono e sono sotto gli occhi di tutti.

Tralasciamo qui il fatto che, se analizziamo la classifica dei produttori di auto in Europa, non tutte le case produttrici in questi mesi hanno perso volumi di vendite come li ha persi Fiat che ha fatto peggio degli altri, segno di problematiche industriali peculiari del gruppo torinese.

Il problema è che, mentre in Europa gli aiuti alle imprese sono vietati, seguendo una logica di concorrenza interna ai Paesi membri della Comunità che per certi aspetti è corretta, negli altri Paesi, anche molto vicini all’Unione Europea stessa (vedi Serbia) questi aiuti esistono e sono anche importanti dal punto di vista finanziario ed economico tanto da far decidere grandi imprese, vedi Fiat, a non investire in Italia, ma per esempio a 500 Km di distanza trovando praticamente gli stessi fattori della produzione, più gli aiuti, più una forza lavoro disposta a lavorare al 25% di stipendio rispetto un operaio italiano. Ma in Serbia oggi il costo della vita è più o meno proporzionato a quello stipendio. Come potrebbe l’Italia rendere competitivo il costo del lavoro di un proprio operaio rispetto ad un operaio serbo? E comunque sarebbe giusto il confronto?

Ancora: perché la Fiat dovrebbe continuare ad investire in Italia con queste condizioni di mercato? In Italia, ma anche in Europa. La guerra dello spread di questi ultimi mesi, è stata anche, di fatto, una guerra commerciale interna tra le grandi imprese dei Paesi europei. Quelli sotto pressione finanziaria (Italia e Spagna in primis) hanno visto le proprie aziende industriali soffrire più delle altre a causa del downgrade finanziario. Le aziende italiane e spagnole sono state costrette a pagare il denaro più delle concorrenti tedesche o francesi quando si sono rivolte al mercato finanziario per chiedere prestiti.

Ma se la situazione è questa e il mondo è sempre più piccolo e ormai un’ impresa multinazionale può decidere di installare un nuovo impianto produttivo dove più gli conviene trovando praticamente gli stessi fattori della produzione ovunque, ha ancora senso per l’Europa continuare a non sostenere le proprie imprese (o almeno quelle che si considerano ancora europee e mantengono tuttora, per poco tempo forse un qualche legame “affettivo” con lo Stato d’origine – come la Fiat con l’Italia per esempio) chiamate a confrontarsi in un mercato unico mondiale dove però non esistono regole comuni e condizioni identiche riguardo al mondo del lavoro (con annessi diritti minimi sindacali comuni) alla fiscalità generale e alla normativa sulla tutela giuridica del commercio?

Il Trattato di Maastricht è stato firmato da dodici Paesi europei il 7/2/1992. Oggi i Paesi membri sono ventisette. L’Europa è cambiata, il mondo è cambiato. Forse la crisi attuale che stiamo vivendo è l’occasione per ripensare ad alcune decisioni prese in momenti diversi, più favorevoli dal punto di vista economico, che oggi però ci penalizzano a livello di sistema Europa e non ci permettono di rispondere con decisione alle nuove sfide che come cittadini europei ci troviamo a dover affrontare. Pensiamoci ora, prima che sia troppo tardi.

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- Educazione

Sergio, Susanna e Gilbert Keith Chesterton

Questa volta hanno vinto entrambi: Sergio Marchionne e Susanna Camusso.

Il primo ci aveva provato, forse anche spinto dalla Famiglia, a cercare di mantenere la produzione di autoveicoli in Italia. Il progetto Fabbrica Italia era piaciuto, aveva fascino, Marchionne sapeva come presentarlo in pubblico e alla fine, per convinzione o per convenienza, i più ci avevano creduto. Ci avevano creduto i politici, sollevati dal non dover affrontare un problema dai risvolti economici e sociali spaventosi. Ci avevano creduto i sindacati, tranne la FIOM, che pur di mantenere il posto di lavoro, avevano deciso che alcuni diritti acquisiti potevano essere messi in discussione. Ci avevano creduto gli italiani, convinti che la FIAT dopo tutto aveva fatto la storia d’Italia e avrebbe continuato a farla.
Forse il meno convinto era proprio Marchionne. Del resto mentre le parole spese a favore di Fabbrica Italia aumentavano, le azioni concrete e gli investimenti andavano tutte in altra direzione, oltreoceano, a sostenere la produzione dell’altra casa automobilistica del gruppo, la Chrysler. Non è un caso che negli States, Marchionne sia visto come il salvatore della patria (automobilistica) mentre in Italia è diventato il capro espiatorio di non si sa ancora bene che cosa, comunque sia è tutta colpa sua.

Anche Susanna Camusso ha vinto la sua battaglia: è stata l’unica che aveva capito (o indovinato) il “bluff” di Marchionne. I progetti per Fabbrica Italia non sono mai esistiti e del resto nessuno li ha mai visti. Bonanni e Angeletti non hanno compreso come stavano realmente le cose e si sono fidati della parola dell’A.D. Fiat. Quando il mercato dell’auto ha incrociato l’autostrada della recessione, il gioco è terminato. Marchionne a questo punto non poteva più attendere ed è dovuto venire allo scoperto, il progetto è superato, il mercato ha cambiato rotta, il futuro di Fiat in Italia va ripensato.

E’ chiaro che stiamo parlando di due vittorie di Pirro. In questa storia che si sta scrivendo in questi giorni, in queste settimane, non ci sono vincitori. Comunque andrà a finire, a perdere il lavoro saranno migliaia di operai e impiegati con le loro famiglie, a perdere un pezzetto di fiducia e di speranza nel futuro saremo tutti noi. Perché una cosa è certa: se la Fiat decidesse una forte riduzione della sua presenza in Italia le ripercussioni per il nostro Paese non sarebbero indolori.

E questa è solo la punta dell’iceberg. Al momento non esiste settore industriale in Italia che non stia attraversando un periodo di profonda crisi e ristrutturazione. E’ di questi giorni la notizia del peggioramento della nostra posizione nella classifica internazionale dei Paesi maggiormente industrializzati, dal quinto all’ottavo posto. Cosa fare giunti a questo punto? Per prima cosa una nuova politica industriale, quella che non è stata più realizzata in Italia da decenni. Nuova politica industriale significa però nuovi politici.

Non ci sono molte alternative, occorre che tutti noi ci rimbocchiamo le maniche e, ciascuno per la propria competenza e la propria responsabilità, ricominciamo a pensare ad una nuova forma di società, ad un nuovo modo di vivere insieme, a nuovi standard e stili di vita (che riguardano mondo del lavoro, pensioni, scuola, sanità solo per citare alcuni temi principali) con lo sguardo soprattutto rivolto alle nuove generazioni, le più a rischio con l’attuale sistema.

L’esempio in questo senso sarebbe dovuto venire dall’alto, dalle classi dirigenti, dai nostri politici che per primi avrebbero dovuto occuparsi di pensare e proporre il cambiamento tanto atteso. Purtroppo, proprio la politica è la grande assente in questo momento e anzi lo spettacolo che offre di sé la nostra classe politica non lascia ben sperare per i prossimi mesi che saranno molto impegnativi per il nostro Paese.

Passati venticinque anni dalla caduta del muro di Berlino, sembra che anche lo stile di vita capitalista e consumista che vedeva nel mercato un totem, sia in profonda crisi. Ma il cuore dell’uomo desidera la felicità, oggi come ieri, e continua a cercarla. Da questo vuoto da colmare, che esiste, mi viene la certezza, adesso, della possibilità per ognuno di noi del cambiamento.

Scriveva Gilbert Keith Chesterton in La mia fede: “La conversione è l'inizio di una vita intellettuale attiva, fruttuosa, illuminata e addirittura avventurosa”.

Mettiamoci in gioco per primi e forse riusciremo anche a far cambiare idea a Marchionne.

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- Storia

Le origini della Commissione Trilaterale

La politica estera degli Stati Uniti d’America dal secondo dopoguerra ha avuto come cardine principale la ricostruzione dell’Europa (inizialmente solo quella Occidentale) e del Giappone attribuendo loro il ruolo di futuri partners commerciali e baluardo contro l’espansione del “comunismo”. Proprio con il fine di ricostruire queste aree gli Stati Uniti hanno visto favorevolmente (hanno permesso) la formazione di organizzazioni regionali come la Comunità Europea per il Carbone e l’Acciaio, l’Associazione Europea di Libero Scambio, il Mercato Comune Europeo per arrivare sino alla nascita dell’Unione Europea.

A metà degli anni sessanta divenne evidente che i settori più dinamici e “lungimiranti” del capitalismo statunitense, europeo occidentale e giapponese erano sempre più intrecciati tra di loro ed avevano sempre più una connotazione internazionale. Il vecchio sogno dei capitalisti di una comunità mondiale del capitale sembrava prossimo a realizzarsi, almeno per una piccola comunità di banche e di imprese transnazionali.
Questa dinamica, questa tendenza, venne infatti subito notata dai banchieri d’affari statunitensi e mondiali, primo tra tutti David Rockefeller. Rockefeller sostenne in quegli anni che gli interessi del genere umano vengono meglio serviti in termini economici laddove le forze del mercato libero hanno la possibilità di trascendere i confini nazionali. Furono i fautori di questa politica economica aperta, internazionale, a condurre il gioco negli Stati Uniti. Per esempio dal 1947 al 1967 sei consecutivi negoziati GATT abbassarono le tariffe sull’import USA in Europa e Giappone. Certo gli Stati Uniti sono sempre stati divisi tra un’anima internazionalista ed una protezionista che guardava più al mercato interno e chiedeva all’Amministrazione di turno l’applicazione di dazi sulle esportazioni dell’Europa e del Giappone verso gli USA. Negli anni 60 il mercato interno USA cresceva e dunque gli internazionalisti avevano la meglio, ma ad un certo punto qualcosa si ruppe.
All’inizio degli anni 70 ci fu la prima crisi economica mondiale del dopoguerra. Nell’agosto del 1971 il presidente Nixon varò la Nuova Politica Economica. Il mondo finanziario così com’era stato sino ad allora, non fu più lo stesso. Nixon cancellò con un colpo di spugna gli accordi di Bretton Woods del 1944 proclamando la non convertibilità in oro del dollaro. Questa misura voleva svalutare la moneta statunitense e favorire di conseguenza le esportazioni USA nei mercati europei e giapponesi che negli anni sessanta erano molto cresciuti. Inoltre vennero applicati dazi unilaterali sulle importazioni negli Stati Uniti, violando quelli che erano gli accordi GATT appena conclusi. Se questa politica era sostenuta dal versante protezionista dei capitalisti americani, era vista come il fumo negli occhi dagli internazionalisti che ritenevano che questa politica danneggiasse in ultima analisi il Paese. In effetti le divisioni tra le nazioni capitalistiche industriali costituivano una minaccia per quei player multinazionali (finanziari, società commerciali, banche) i cui interessi erano strettamente connessi al libero scambio e ai liberi investimenti con meccanismi flessibili di circolazione della moneta.

Fu per “sostenere” queste idee che nel 1973 David Rockefeller, con alcuni “amici”, creò un’organizzazione che doveva servire a salvaguardare gli interessi sovranazionali: la Commissione Trilaterale. Il prossimo anno questo organismo, che esiste tutt’ora, compirà quarant’anni. I membri e i consiglieri più stretti che hanno fatto parte della Commissione a partire dalla sua fondazione (luglio 1973) fino ad oggi comprendono i rappresentati di banche, società multinazionali, società di informazione e organizzazioni internazionali. E’ possibile collegarsi al sito istituzionale della Commissione (http://www.trilateral.org/) per farsi un’idea dell’attività che porta avanti questa organizzazione e delle persone che attualmente ne fanno parte. Ad oggi gli italiani presenti risultano 18, tra cui John Elkann, Presidente di Fiat spa, Maurizio Sella, Presidente del Gruppo Banca Sella, Marco Tronchetti Provera, Franco Venturini, editorialista del Corriere della Sera, Enrico Letta, deputato e Vice Presidente del Partito Democratico , solo per citarne alcuni. Il 16 novembre 2011 Mario Monti si dimise dalla Commissione dopo essere stato scelto dal Presidente Napolitano quale successore di Berlusconi alla guida del Governo italiano.

Nel luglio 2013 la Commissione Trilaterale festeggerà i suoi primi quarant’anni di vita e di azione ai massimi livelli del potere finanziario, economico e politico internazionale. E per come sono andate le cose sino ad ora, sembra proprio che l’azione svolta sia stata efficace. L’interconnessione del mondo contemporaneo, in tutti i settori, è forse andata oltre l’immaginazione dei primi membri della Trilaterale. Ma gli interessi del genere umano, come li definiva Rockefeller, oggi, sono tutelati più e meglio di quarant’anni fa?

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- Economia

Va bene così?

Questa sera parliamo di noi, parliamo d’Italia. Quindi parliamo d’Europa.

La giornata di oggi, 6 settembre 2012, ci vuole veramente poco per intuirlo, passerà alla storia come una data significativa del periodo storico che stiamo vivendo. Dopo settimane, mesi di tentennamenti, finalmente la Banca Centrale Europea, pur nella limitatezza degli strumenti a disposizione, ha preso la decisione di sostenere i titoli di Stato dei Paesi sotto stress finanziario, acquistandoli al mercato secondario senza limitazioni d’importo. Certo con alcuni paletti. I titoli acquistati saranno quelli con scadenza a breve termine (da uno a tre anni) in modo tale da mantenere la pressione psicologica sull’attenzione ai conti pubblici nel medio lungo termine. Inoltre gli Stati che beneficiano degli acquisti della BCE devono impegnarsi in politiche economiche di risanamento e devono mantenere gli impegni presi, in caso contrario la BCE potrà vendere i titoli acquistati facendo peggiorare nuovamente la finanza e lo spread di quel Paese.

Attenzione, non stiamo idolatrando la BCE e il suo principale attore, il Governatore italiano Mario Draghi. Non sfuggono le possibili conseguenze negative di questa scelta che tuttavia, e lo si è visto subito sui mercati, ha contribuito a togliere ossigeno alla speculazione finanziaria. In effetti, in questo momento storico, i mercati si attendevano questa presa di posizione. Sino ad ora, in tema di crisi, la BCE è stata l’unica istituzione europea a parlare in modo univoco e a prendere una posizione decisa contro la speculazione. Le altre istituzioni politiche, Commissione e Parlamento, singoli Commissari oltre ai diversi Premier nazionali, si sono presentate divise sulle cose da fare e sulle soluzioni da proporre per combattere la crisi. Risultato: agli occhi degli investitori internazionali l’Europa così com’è non appare una controparte credibile politicamente e quindi si pensa che questa debolezza possa ripercuotersi anche in campo finanziario e che la speculazione si possa muovere indisturbata.

La mossa di Draghi ha rotto gli indugi e mandato un segnale forte nella direzione contraria: l’Europa è unita economicamente dall’euro e finanziariamente in grado di sostenere gli attacchi speculativi in corso. La garanzia in questo momento non è politica, ma fornita dalla BCE. Problema risolto, crisi passata? Assolutamente no. Primo. La scelta di Draghi è una scelta che avrebbe dovuto compiere la politica europea, ma così non è stato. Le conseguenze di ciò le vedremo nei prossimi mesi, nei prossimi anni. E’ evidente che le politiche nazionali hanno ancora la prevalenza sugli interessi europei. Secondo. I fondamentali dell’economia reale continuano a peggiorare, a livello europeo e a livello dei singoli Stati. Venendo a noi, in Italia la disoccupazione è tornata a livelli di fine anni ’90, la produzione industriale è in forte calo, i consumi diminuiscono e i prezzi delle merci invece salgono per effetto dell’aumento dei carburanti sempre più gravati dall’aumento della pressione fiscale. Una nuova parola incomincia a far capolino sulle pagine dei giornali, stagflazione.

Per noi italiani è chiaro che le risposte a questa situazione non possono arrivare solo dalla BCE. Devono arrivare dalla politica, dai nostri politici e dalle persone di buona volontà che hanno a cuore il futuro dei nostri figli. Purtroppo lo scenario politico a cui stiamo assistendo in queste settimane di fine estate non è dei più rassicuranti. Non si conosce ancora la data delle elezioni politiche, che dovrebbero tenersi la prossima primavera se le Camere non verranno sciolte anticipatamente, ma la tensione e il livello dello scontro politico tra gli schieramenti è già così alto che veramente non comprendo come l’Italia possa sopportare sei/otto mesi di aspri combattimenti come quelli in corso tra i partiti. Il Premier Monti sta cercando, nei limiti del possibile, di modificare l’impianto strutturale del nostro Paese, ma è sempre più evidente a tutti che le resistenze che incontra sono fortissime.

Concludo con una semplice considerazione: questa sera probabilmente Mario Draghi viene considerato dalla comunità finanziaria (a parte quella tedesca forse) l’uomo più forte e carismatico al mondo. Tuttavia rimane pur sempre un personaggio non scelto democraticamente dal popolo europeo, neanche dal Parlamento europeo, ma eletto da un ristrettissimo gruppetto di suoi pari. Ciò nonostante il suo potere di incidere sulla vita del popolo europeo e quindi anche sulla nostra vita è enorme. E questa sera lo è un po’ di più.

Va bene così?

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- Esperienze di vita

La settimana del Meeting

Anche quest’anno il Meeting di Rimini non ha deluso. Centinaia di migliaia le persone che a Rimini, dal 19 al 25 agosto hanno potuto seguire le centinaia di occasioni di incontri, presentazioni, mostre ed eventi culturali e sportivi che si susseguivano senza sosta durante l’arco della giornata.
Certamente nessuno può seguire tutto il Meeting, molti incontri ed eventi si svolgono in contemporanea, bisogna scegliere.
Personalmente al Meeting preferisco seguire gli incontri con i personaggi che vengono invitati a rapportarsi con il tema del momento. Quest’anno il titolo del Meeting era: “La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”.

Lunedì 20 agosto ho assistito all’ incontro con Shodo Habukawa, Abate del Muryoko Temple (tempio buddista sul monte Koya in Giappone) e Don Stefano Alberto, docente di Teologia all’Università Cattolica di Milano che hanno parlato dell’Homo Religiosus. Il senso religioso è ciò che unisce tutti gli uomini ed esprime la coscienza di originale dipendenza dal Mistero che li ha generati.

Martedì 21 ho seguito con particolare attenzione la relazione di Don Javier Prades Lopez, Rettore dell’Università San Damaso di Madrid avente a tema il titolo del Meeting. Relazione di una chiarezza espositiva e contemporaneamente di una tale profondità teologica che vale veramente la pena riascoltare su YouTube (si trova pubblicata sul canale del Meeting di Rimini).

Mercoledì è stata la volta dell’astronauta italiano Paolo Nespoli, presentato dall’astrofisico Marco Bersanelli, che ha tenuto una interessantissima relazione e ci ha raccontato la sua esperienza di vita su come si diventa astronauta e sui sei mesi di permanenza nello spazio.

Giovedì 23 agosto ha commosso tutti i presenti la testimonianza del medico palestinese Izzeldin Abuelaish che è venuto a raccontarci la sua storia iniziata in una terra difficile per un bambino, la striscia di Gaza. Di questo incontro ho scritto già in un precedente articolo dove ho recensito il libro scritto da Abuelaish. Sempre giovedì ho ascoltato in un altro incontro Wael Farouq, Vice Presidente del Cairo Meeting e docente presso l’Istituto di Lingua Araba all’Università americana del Cairo e Mary Ann Glendon, Learned Hand Professor of Law alla Harvard University parlare di desiderio e politica.

Venerdì 24 agosto è venuto per la prima volta al Meeting il Presidente dell’Assemblea Generale dell’Onu, Nassir Abdulaziz Al Nasser, insieme al Ministro degli Esteri italiano e a S. Em. Cardinale Jean Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. I tre hanno intrattenuto la platea sul tema: politica internazionale e libertà religiosa, particolarmente di attualità tenuto conto dei continui attacchi che quasi ogni giorno avvengono ancora oggi nel mondo a danno dei cattolici in Africa e in alcune regioni dell’Asia.

Infine Sabato 25 agosto l’incontro di chiusura del “mio” Meeting è stato con Sergio Bertolucci, Director for Research and Computing al Cern di Ginevra e con Lucio Rossi, High Luminosity LHC Project Leader al Cern di Ginevra che ci hanno raccontato gli ultimi sviluppi della fisica compiuti al Cern di Ginevra e in particolare ci hanno parlato del bosone di Higgs.

Probabilmente qualche lettore, ripensando alla settimana del Meeting così come è stata presentata dai quotidiani nazionali, dopo aver letto questo post, si ritrova disorientato. Non sono stati citati Mario Monti e Corrado Passera, Corrado Cini e Antonio Tajani, Roberto Formigoni e Maurizio Lupi, Tiziano Treu e Enrico Letta, Raffaele Bonanni ed Elsa Maria Fornero, tutti ospiti presenti al Meeting di quest’anno e i cui interventi hanno ricevuto ampia risonanza mediatica. Semplicemente, come dicevo all’inizio, al Meeting bisogna scegliere. E la mia scelta è stata quella che vi ho raccontato.

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- Letteratura

Non odierò

Nell’opera l’autore si racconta.
Izzeldin Abuelaish è un medico, specializzato in ginecologia. Si è laureato in medicina all’Università del Cairo e successivamente ha lavorato in ospedali e seguito corsi di specializzazione in Arabia Saudita, Italia, Belgio, Stati Uniti, Afganistan, Israele. La sua specializzazione è nello studio dei casi di infertilità delle coppie. Che abbia lavorato in Israele è veramente un evento speciale, perché il Dr. Abuelaish è uno dei pochissimi palestinesi tutt’ora ammessi a lavorare in un ospedale israeliano.
L’autore è nato infatti nel 1955 a Gaza, dove la sua famiglia si era rifugiata dal 1948 quando i soldati israeliani avevano confiscato tutte le terre e i possedimenti degli Abuelaish nel paese di origine, Houg, vicino a Sderot, nella parte meridionale di Israele. Nel libro il medico racconta per filo e per segno i molteplici episodi della sua infanzia, fatta solo di miseria e assenza di beni materiali ma ricca di amore da parte dei suoi genitori e dei suoi tanti fratelli.
Grazie ad una forza di volontà non comune, sostenuta da una sincera fede in Dio e nella bontà dell’animo umano, Abuelaish con fatiche inimmaginabili per i nostri figli, riesce a diplomarsi e ad ottenere una borsa di studio per frequentare la facoltà di medicina al Cairo. Il sogno della sua gioventù si sta avverando.
Sullo sfondo del racconto ci sono oltre quarant’anni di conflitto medio orientale e la storia di un popolo, quello palestinese, di fatto abbandonato ad un destino che sembra non interessare a nessuno.
Dopo la laurea in medicina, l’autore inizia un percorso fortunato di carriera che lo porta a lavorare in diverse parti del mondo. A casa, a Gaza, rimane sempre la moglie Nadia che nel tempo arricchisce la famiglia con otto figli.
Il desiderio di Abuelaish è duplice: da un lato quello di migliorare le condizioni sanitarie del popolo palestinese che a Gaza vive in condizioni igienico sanitarie disperate. Dall’altro cercare tramite la medicina e la scienza di tendere un ponte con l’altra parte, gli israeliani, soprattutto medici e uomini di cultura che Abuelaish ha nel tempo conosciuto e apprezzato ricevendone stima reciproca.
Tutto sembrava andare nella giusta direzione anche se vivere a Gaza rimaneva molto difficoltoso soprattutto per la sua famiglia sino a quando nel giro di pochi mesi accadono due eventi che segnano la vita dell’autore: il 16 settembre 2008 muore di leucemia fulminante la moglie Nadia. Infine il 16 gennaio 2009, in pieno attacco Israeliano – operazione Piombo Fuso – un carro armato israeliano spara per errore un colpo di cannone contro la casa del medico uccidendo contemporaneamente le prime tre figlie oltre ad una nipotina. Altri figli e familiari rimasero gravemente feriti. Abuelaish praticamente non venne colpito neanche da una scheggia. Perché? Si chiede da allora l’autore a me niente e alle mie figlie la morte?
Dopo quell’episodio Abuelaish scrisse il libro: Non odierò. Cito a pag. 218: “La vendetta, una malattia endemica in Medio Oriente, non me le restituirà (le figlie, n.d.r.). E’ importante provare rabbia dopo eventi del genere, rabbia che segnala che non accetti quello che è accaduto, che ti incita a fare la differenza. Ma bisogna stare attenti a non cadere nell’odio. Il desiderio di vendetta e di inimicizia servono solo ad allontanare il buon senso, accrescere sofferenze e prolungare il conflitto. “ E verso la fine del libro ancora l’autore: “Ho perso tre splendide figlie ma ho la fortuna di avere altri cinque figli e possiedo il futuro. Credo che Einstein avesse ragione quando diceva che la vita è come andare in bicicletta: per restare in equilibrio bisogna continuare a pedalare. Io continuerò a pedalare ma ho bisogno che voi vi uniate a me in questo lungo viaggio.”
Non conoscevo la storia del Dr. Abuelaish, ma quando l’ho ascoltato raccontarla di persona e poi ho visto su YouTube i video dell’attentato alle figlie, sono rimasto veramente commosso dall’umanità di quest’uomo che merita di essere conosciuto in tutto il mondo. Il libro merita veramente una lettura attenta e meditata e sicuramente ci aiuterà a meglio comprendere il mondo nel quale viviamo.

Izzeldin Abuelaish, Non odierò, Edizioni Piemme spa, Milano 2011

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- Letteratura

La Tela dell’Eretico

Fabrizio Carcano raddoppia: dopo “Gli angeli di Lucifero” pubblicato nel 2011, è uscito da pochi mesi nelle librerie il secondo romanzo “La tela dell’eretico” edito sempre da Mursia.

Il lettore ormai affezionato a questo ancor giovane scrittore, nato nel 1973, ritrova in quest’opera tutti gli ingredienti che caratterizzano il suo mondo narrativo. Innanzitutto la trama è quella di un giallo ambientato nella Milano contemporanea dove nel giro di qualche giorno una serie di omicidi apparentemente non collegati tra di loro irrompono nella vita del Vice Questore nonché Capo della Squadra Omicidi di Milano, Bruno Ardigò. Quasi senza accorgersene però, il lettore viene accompagnato dall’autore in una Milano di cinquecento anni prima, nella Milano leonardesca di fine Quattrocento. Gli omicidi infatti sembrano collegati ad una misteriosa setta segreta che si rifaceva al movimento religioso dei Catari, ancora presenti in Italia a fine Quattrocento a cui sembra che anche Leonardo da Vinci avesse segretamente aderito, movimento però considerato eretico dalla Chiesa cattolica.

E qui troviamo il secondo tema caro a Fabrizio Carcano: quel mix di storia tardo medievale – rinascimentale velata da richiami esoterici e misteriose confraternite che erano di moda in quei tempi e che portano il lettore di oggi a fantasticare di chissà quali misteri ancora irrisolti. Per tutto il romanzo il lettore è dondolato tra la Milano del 2011 e la Milano di Leonardo e del suo cenacolo.

Terza costante dell’autore: Milano. Milano è raccontata nei minimi particolari tanto che sembra di avere sullo sfondo , leggendo il romanzo, la piantina di un Tom Tom. L’amore di Carcano per Milano trasuda, in questa torrida estate 2012, da ogni pagina del romanzo, spesso per bocca dei due protagonisti , Ardigò e Malerba, altre volte lo si intuisce dalle minuziose ricostruzioni storiche di zone o quartieri milanesi poste all’inizio di un capitolo o di un paragrafo.

Ad aiutare il Commissario Ardigò in questi pellegrinaggi interviene l’amico / rivale di sempre, il giornalista Federico Malerba, compagno di studi e di avventure del Commissario. Malerba imbastisce, con l’aiuto di una figlia di una delle vittime, una sua indagine parallela ed alla fine della storia i due amici scopriranno di essere stati entrambi vicini alla soluzione del caso sin dall’inizio.

Dopo la lettura di questo secondo romanzo, non possiamo non confermare il nostro plauso a questo scrittore che di professione fa il giornalista e invitarlo a proseguire su questa strada. Francamente ci aspettiamo anche di poterci recare al cinema tra qualche mese per poter seguire le vicende di Ardigò e Malerba sul grande schermo. I due romanzi di Carcano, questo e il precedente, sembrano infatti già pronti per la sceneggiature di un film che a nostro giudizio avrebbe grande successo non solo in Italia perché il respiro di queste opere è un respiro universale.

Ci permettiamo un ultimo pensiero, rivolto al Sindaco di Milano, Avv. Pisapia: perché non omaggiare l’autore con un Ambrogino il prossimo Natale?

Fabrizio Carcano, La Tela dell’Eretico, Ugo Mursia Editore spa, Milano 2012

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- Società

Harry Potter, il Bel Paese e le piccole cose...

Neanche Harry Potter si renderebbe disponibile a prevedere il futuro prossimo venturo del Governo Monti, troppo forte il rischio di fare una brutta figura. Rimane quindi solo da affidarci ai politici che non temono le brutte figure... E se ci affidiamo alle dichiarazioni dei politici di questi ultimi giorni l'idea che prende sempre più piede è quella di un voto anticipato in autunno.

Se così fosse, addio alla riforma della legge elettorale, non ci sarebbe più tempo. Questa è un'ipotesi che, sotto sotto, piacerebbe a molti partiti, sia quelli che sostengono il Governo Monti, sia quelli che stanno all'opposizione. Del resto l'attuale legge elettorale (la num. 270 del 21 dicembre 2005) è stata votata da Forza Italia, Alleanza Nazionale (insieme ora nel PDL), UDC, Lega Nord, Fiamma Tricolore e Gruppi Misti ecologisti e democratici; contrari Democratici di Sinistra, Margherita, Italia dei Valori, Rifondazione Comunista. Come si vede, la maggioranza che ha votato l’attuale legge elettorale è diversa da quella che attualmente sostiene il Governo Monti e questo è un ulteriore fattore da tenere presente per capire la difficoltà che i partiti manifestano nell’affrontare il tema.

Però, c'è un però: questa legge non piace al Presidente della Repubblica, ma soprattutto non piace più alla maggioranza degli italiani che hanno già manifestato forte insofferenza agli attuali partiti e uomini politici nelle recenti elezioni amministrative. Quale sarebbe la reazione dei cittadini se si andasse a votare alle prossime politiche nuovamente con l'attuale legge elettorale? Molto probabilmente si aprirebbe la strada da un lato a Grillo e ai grillini e dall'altra all'astensionismo. Risultato: un Parlamento incapace di affrontare la situazione attuale che rimane di una gravità assoluta, perchè i 2.000 miliardi di euro di debito pubblico che l’Italia ha accumulato negli ultimi venticinque anni non si riducono in un anno e neanche in cinque anni senza una forte e decisa ripresa economica, assente per ora dall’orizzonte. Abbiamo davanti a noi mesi, anni difficili, anni di scelte coraggiose, quelle che abbiamo sempre rimandato in questi venticinque anni, tanto potevamo aumentare il nostro debito pubblico, stampare BOT e CCT, il Bel Paese era di moda, il made in Italy esportava in tutto il mondo abiti e BTP, sandali e CTZ … ebbene questo modo di vivere, questa favola è finita per sempre. Occorre che i nostri politici se ne rendano conto e in fretta, noi cittadini l’abbiamo già capito, basta guardare l’indice dei consumi e dei risparmi per famiglia di questi mesi.

Il caso ILVA di Taranto è emblematico dei ritardi accumulati dall’Italia in campo economico. Sono più di trent’anni che tutti i tarentini, tutti i pugliesi, tutti gli italiani sanno che la zona industriale di Taranto produce acciaio e tumori e nessuno ha fatto nulla per cambiare le cose. Come può un Paese nel 2012 uscire dalla crisi se non è in grado di conciliare lavoro, salute e benessere economico per migliaia di famiglie? Occorre che debba intervenire la Magistratura per mettere in moto un meccanismo che sostanzialmente dovrebbe dipendere da scelte amministrative, politiche ed economiche? E si potrebbe continuare con il caso Fincantieri, con il caso Fiat ecc. ecc. tutte tematiche impopolari, sempre rimandate per anni e mai affrontate dai vari politici / ministri competenti (?) che ora, in periodo di crisi vengono a galla nella loro drammaticità perché coinvolgono centinaia di migliaia di persone che rischiano di perdere il lavoro. Queste tematiche sembrano figlie della crisi, ma in realtà sono figlie della non gestione, della dolosa dimenticanza di chi doveva pensare al futuro (nostro) e invece ha pensato al futuro proprio o della propria corrente politica o del proprio partito o semplicemente non ci ha pensato perché non era in grado di farlo e occupava un posto da ministro a sua insaputa.

L’Italia non ha bisogno del sostegno morale dei tedeschi, come ha dichiarato il Premier Monti in una recente intervista, l’Italia ha urgente bisogno che noi italiani, cattolici e laici, ricominciamo seriamente in prima persona a riappropriarci dell’ambito politico per troppo tempo delegato ai professionisti della politica che si sono rivelati nella gestione della res publica peggiori dei “tecnici” che ora sono al Governo. Quello che serve è un ritorno all’impegno civile e politico di persone che abbiano qualcosa da dire sul futuro nostro e dei nostri figli, che abbiano una visione e un ideale da proporre e da condividere con altri e come sfondo del loro agire il Bene Comune del Paese e non di casa propria, sia essa in Italia o a Monte Carlo.

Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto scrive l’evangelista Luca nel suo Vangelo. Dobbiamo incominciare da noi stessi, dalle piccole cose che sono vicine a noi e che possiamo cambiare, impegnandoci in prima persona. Solo così, cambiando noi, cambieremo il nostro Bel Paese e tutti insieme usciremo dalla crisi.

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- Esperienze di vita

Se ti abbraccio non aver paura

Mi piace la teoria di Barnard, il medico di famiglia, con cui l’autore inizia il diario di viaggio di Franco e Andrea: “ Funziona che la vita sta tutta sotto una grande curva a campana, con al centro disturbi comuni e ai lati stravaganze d’ogni sorta. La vita è diluita nel mezzo e troppo densa ai lati”. Questo diario racconta la densità delle vite di Andrea, ragazzo autistico dall’età di tre anni e di suo papà Franco il quale nel 2010 parte con Andrea per un viaggio apparentemente senza meta che li porterà ad attraversare i due continenti americani. Dal racconto di quei giorni, l’autore, Fulvio Ervas ha scritto: “Se ti abbraccio non aver paura”.

E’ un libro che mette a nudo il tuo essere lettore - spettatore che pensi, leggendo di Andrea e Franco, per fortuna che i miei figli non sono nati autistici. Però leggendolo, mi viene da pensare che forse mi sono perso qualcosa. Non è il fatto che io personalmente non ho mai compiuto un viaggio avventuroso come quello che hanno vissuto Franco e Andrea. E’ che forse il rapporto con i miei figli non ha mai raggiunto un livello di ascolto reciproco, di densità relazionale come quello che percepisco esserci tra Franco e Andrea.

Certo non è facile mantenere costantemente, per tutta la vita, questa attenzione. E’ un lavoro sovrumano, che va oltre le forze fisiche di cui dispongono un uomo e una donna, un padre e una madre. Nel diario papà Franco ad un certo punto lo dice chiaramente: “Impreco, ma lo amo. Non so di cosa sia fatto questo amore. Credo che nessun genitore possa rispondere facilmente a questa domanda”. Un figlio autistico, in questo senso, è una grande occasione per andare all’origine di questo amore. Certo, potendo, un genitore ne avrebbe preferita un'altra di occasione, ma qui si ritorna alla teoria di Barnard, sulla densità ecc. ecc.

Da quando ho terminato di leggere il diario penso ad Andrea ed a suo papà Franco come compagni di viaggio in questa vita e li vedo uniti dall’elastico dell’amore che ogni giorno si tende al massimo, ma non si spezza mai. Come penso spesso al mio amico Ugo e alla sua famiglia, la moglie Silvia e i suoi due figli Riccardo di 5 e Letizia di 3 anni. Ugo da tre anni vive in compagnia della SLA e da un anno mi parla solo muovendo le pupille sullo schermo di un computer che poi traduce con voce metallica il suo pensiero. Tutto il resto del corpo di Ugo è immobile su una sedia a rotelle. Si, decisamente anche la vita di Ugo è molto densa… eppure quando vado a trovarlo e gli chiedo come stai, mi risponde: “a parte la SLA, benissimo”!

Non si conoscono le ragioni della SLA come le cause dell’autismo, ma del resto di quante cose non si conoscono le ragioni eppure accadono? E’ la vita che le fa accadere, ma non a caso. C’è sempre una ragione perché le cose accadono. Bisogna vivere la quotidianità di ogni giorno chiedendo di avere sempre un compagno di viaggio che ti faccia compagnia e ti aiuti a comprendere queste ragioni. Franco intuisce forse ad un certo punto del cammino questo fattore e infatti ammette: “cercando di portare Andrea nel mio mondo, forse sono solo riuscito a fare un piccolo passo nel suo…”

Come scrive S. Paolo nella prima Lettera ai Corinzi, Dio non manda mai prove (tentazioni per San Paolo) che non siamo in grado di sopportare. Non siamo mai lasciati soli, basta guardarsi intorno, basta riprendere in mano i ricordi di Franco e Andrea. Consiglio veramente a tutti la lettura di questo libro, dai quindici ai cent’anni, perché non è mai tardi per leggere queste pagine e cercare d’imparare ad amare l’altro, il diverso da te, tuo figlio.

Fulvio Ervas, Se ti abbraccio non aver paura, Marcos Y Marcos 2012, Via Ozanam, 8 Milano

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- Politica

Lo spread, il Governatore e i Cinque Cerchi

Come sta trascorrendo questa estate 2012 per noi italiani?

Lo spread sino a ieri (25 luglio) era risalito sino ai valori di novembre 2011 e i 9 mesi del Governo Monti sembravano passati invano insieme ai nostri sacrifici. Poi, inaspettatamente, è arrivata oggi una dichiarazione del Governatore della BCE, Mario Draghi , che ha parlato di strenua difesa per la moneta unica e lo spread è sceso di colpo di 25 punti. Eppure i fondamentali dell’economia europea, anzi mondiale, non sono cambiati in questo afoso 26 luglio e il barometro segna ancora recessione. Del resto i segnali negativi che arrivano quasi giornalmente e interessano ormai tutti i settori dell’economia non si possono invertire con un colpo di bacchetta magica o con una dichiarazione di un banchiere centrale. E domani, che spread avremo? L’altro Mario, Monti, attualmente Presidente del Consiglio del Governo italiano, continua invece da alcune settimane a mettere in guardia gli Organismi Comunitari dalla possibile speculazione agostana che potrebbe accanirsi sul nostro Paese approfittando della debole difesa offerta dallo scudo anti spread, di fatto bloccato dal Parlamento tedesco a sua volta in balia dei pensieri di Angela Merkel. Da cosa deriva questo timore del nostro Premier? In agosto di solito, sotto l’ombrellone, leggiamo le semestrali delle grandi imprese e delle grandi banche internazionali. Forse il nostro Monti è a conoscenza di qualche nuovo problema finanziario (leggi buco di bilancio) riguardante qualche importante gruppo finanziario internazionale tale da far partire una nuova ondata speculativa dagli effetti potenzialmente devastanti? Staremo a vedere.

Staremo a vedere anche lo svolgimento della storia riguardante il Governatore della regione Lombardia, Formigoni. Qui, occorre però fare un po’ di chiarezza. Formigoni governa la regione Lombardia ininterrottamente dal 1995. In questi 17 anni la Lombardia si è consolidata come una delle principali aree produttrici di ricchezza economica non d’Italia, ma d’Europa. Abbiamo quindi di fronte una delle regioni d’Italia più avanzate in tema di trasporti pubblici, sanità, risparmio energetico, sostegno alle imprese che innovano, sviluppo del turismo culturale e di business e tantissimo altro ancora. Tutto questo è sicuramente merito delle giunte guidate dal Governatore in carica. E quindi? Lo scandalo che oggi sta investendo il Governatore è frutto di una lotta politica che utilizza la magistratura per arrivare dove il voto popolare non è riuscito, cioè a far dimettere Formigoni? Sembra di no.

Una persona che per tanti anni (al momento 17) ricopre incarichi politici / amministrativi di grande importanza è “inevitabilmente” tentata dalla rete di conoscenze e pseudo amicizie che gravitano sempre intorno a chi ricopre cariche di potere. Più passa il tempo, maggiore è il rischio, anche in buona fede, senza pensare di far nulla di male, di perdere di vista il proprio ruolo istituzionale che deve avere come riferimento solo il Bene Comune e cedere a qualche lusinga. Poi è chiaro che il favore ricevuto, la piccola regalia, viene utilizzata dal donante quale merce di scambio per ottenere a sua volta qualche “piccolo” favore che di fatto può configurarsi come illecito / reato amministrativo. Questo chiaramente è un discorso in generale. Nel caso di Formigoni, viste le foto vacanziere ai Caraibi, è tutto da provare che il nostro Governatore abbia concesso in cambio favori a questo o a quell’imprenditore. L’unica lezione che si può trarre da questa vicenda, ma come da altre storie analoghe successe in passato, è quella di porre un limite temporale massimo di due mandati per le cariche elettive più importanti e correlate alla gestione di un effettivo potere politico / amministrativo quali per esempio l’elezione a deputato / senatore, Governatore di regione, Assessore regionale, Sindaco e assessore comunale. In questo modo si permette alle persone più meritevoli comunque di ricoprire per due mandati importanti incarichi pubblici e nel contempo le si tutelano da possibili tentazioni di favorire pseudo amici. Inoltre questo potrebbe essere anche un modo per diminuire la corruzione sempre fortemente presente nella nostra pubblica amministrazione.

Domani intanto avranno inizio a Londra i XXX Giochi Olimpici. Auguri ai nostri atleti e ai londinesi sottoposti allo stress olimpico! Speriamo che nel temuto mese di agosto a crescere sia il nostro medagliere e non lo spread.

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- Politica

E se fosse Monti il successore di Napolitano?

Ha citato Pascoli il super fedelissimo di Mario Monti, Pierferdinando Casini, per commentare la ridiscesa in campo del Cavaliere: “C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico…” Gli esponenti del centro sinistra invece hanno usato termini meno poetici.

Personalmente, non abbiamo mai creduto ad una ritirata del Cavaliere dalla politica, non ancora almeno, non ora. I motivi sono molteplici, ma principalmente sono i medesimi che lo hanno spinto venti anni fa a scendere per la prima volta in politica.

Il 1 novembre 2011 (cioè prima delle dimissioni del Governo Berlusconi) il prezzo ufficiale del titolo Mediaset alla Borsa di Milano era di 2,5144 euro per azione. Venerdì 13 luglio 2012, ultima giornata ufficiale della Borsa di Milano prima di oggi, il prezzo di un’azione Mediaset è stato di euro 1,2591 per azione. Il calo è del 49,92% Ma c’è di più, dal sito internet istituzionale di Mediaset è possibile scaricare il pdf di presentazione dei dati dei primi 4 mesi del 2012: i ricavi da pubblicità rispetto ai primi 4 mesi del 2011 sono calati da 693 a 622 milioni di euro (meno 10%). Obiezione: nello stesso periodo tutti i titoli azionari sono diminuiti di valore inoltre con la crisi tutte le aziende investono meno in pubblicità. D’accordo, però l’indice della Borsa di Milano il 1 novembre 2011 era a quota 14.928 e venerdì 13 luglio 2012 ha chiuso a quota 13.714 con una diminuzione dell’8,13% e nello stesso periodo di tempo SKY ha registrato un + 25% di investimenti pubblicitari e la raccolta sulla rete internet è anch’essa cresciuta. Tralasciando inoltre di commentare tutti gli indici finanziari, quello che salta all’occhio è che l’utile netto dei primi 4 mesi del 2011 del gruppo Mediaset era stato di 51,4 milioni di euro mentre l’utile netto dei primi 4 mesi del 2012 è stato di 1,5 milioni di euro (con una diminuzione del 97%). Qui sta il vero nocciolo del problema del conflitto d’interessi. Con Berlusconi fuori dalla scena politica, sono calati in 9 mesi gli investimenti pubblicitari e il gruppo Mediaset, che vive di pubblicità, è diventato un gruppo industriale come gli altri.

La seconda grande motivazione che spinge il Cavaliere a scendere in campo è, a nostro giudizio, dettata dall’ambizione personale. L’anno prossimo per Berlusconi è l’ultima occasione, per ragioni anagrafiche, di cercare di farsi eleggere Presidente della Repubblica. Per avere almeno una possibilità di riuscire nell’impresa (oggettivamente titanica a dir poco) occorre però avere un Parlamento favorevole. Magari non servirà vincere le elezioni, ma sicuramente servirà non avere in Parlamento una maggioranza fortemente contraria. Da qui discendono per il PDL tutti i ragionamenti in corso sulla riforma della legge elettorale e la decisione dello stesso Berlusconi di gestire in prima persona la questione. Il segretario nominato Alfano si è rivelato infatti debole nel mantenere unite le diverse anime del PDL che riconoscono ancora a Berlusconi la leadership vera del movimento. Senza più Berlusconi in campo il PDL è destinato a dividersi. Ed affrontare le prossime elezioni politiche divisi al proprio interno significa andare incontro ad una sconfitta certa, anche perché recuperare il rapporto con la Lega di Maroni non sarà cosa facile. Perdere male le elezioni sarebbe per Berlusconi come dire addio al sogno di diventare Presidente della Repubblica.

Ciò detto cosa ci possiamo aspettare noi italiani per i prossimi mesi? Gli scenari che si possono aprire sono i più diversi possibili e dipendono da variabili politiche ed economiche che oggi nessuno può realisticamente prevedere. Anche perché a fronte di un PDL che si sta ricompattando intorno al vecchio leader, c’è un centro sinistra unito sui massimi sistemi, ma diviso sulle cose da fare. Forse la discesa in campo di Berlusconi potrebbe in questo senso essere un aiuto anche per l’altro schieramento, staremo a vedere.

Una cosa è certa, il Governo Monti si sta conquistando in ambito internazionale quella garanzia di sopravvivenza sino al 2013 che i partiti politici italiani che lo sostengono non sembrano voler concedere completamente. E se fosse proprio Monti, una volta non più premier, il candidato del centro sinistra per sostituire Napolitano al Quirinale?

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- Esperienze di vita

Ai maturati 2012

I più fortunati hanno già terminato, per gli altri ancora pochi giorni per un ultimo “matto” ripasso (che serve a poco) e poi anche loro saranno in vacanza. E dopo, cari ragazzi, per chi di voi ha deciso di continuare a studiare, vi aspetta l’università. I giornali e le riviste di attualità, come ogni anno, vi illustreranno con dovizia di particolari tutte le infinite possibilità che offrono le migliori università italiane e straniere dando risalto ai docenti che vi insegnano e alle possibilità di luminose carriere professionali che possono offrire a chi riesce a laurearsi. I guru dell’informazione vi spiegheranno quali sono i corsi di laurea che offrono le migliori opportunità di trovare un lavoro con una rapida possibilità di carriera e via così.

Due pensieri vorrei trasmettervi in proposito, ma prima una premessa. Mi sono diplomato nel 1985 (maturità scientifica) e la scelta del corso di laurea è stata per me molto faticosa e per molti mesi la mia testa era come avvolta in una nebbia fitta che non lasciava passare neanche un raggio di sole. Alla fine ho scelto ed oggi a 46 anni (tra pochi giorni) e a 21 anni dalla Laurea, posso dirvi che, se potessi tornare indietro, non rifarei la scelta fatta.

Per questo vorrei lasciarvi questi due pensieri: il primo. La scelta di cosa studiare all’università è la vostra prima scelta veramente da adulti. Essa implica la decisione di dedicare almeno 4/5/6 anni di studio intenso ad un settore del sapere che vi attira, che vi stimola e che desiderate approfondire e conoscere meglio. Questo stesso settore un domani non tanto lontano, molto probabilmente, vi vedrà impegnati come giovani lavoratori e a quel punto i giochi sono fatti. Il lavoro è l’attività umana attraverso la quale il vostro essere uomini e donne si affermerà e si svilupperà. Svolgere un’attività che non vi corrisponde può essere una condanna peggiore di quella che può capitare ad un delinquente che riceve una giusta condanna dal Tribunale per i reati commessi. Non iscrivetevi a Medicina solo perché vostro padre è medico e vi invita a seguire le sue orme, non iscrivetevi a Giurisprudenza solo perché vostro padre è avvocato ed è titolare di un studio legale, non scegliete Economia e Commercio solo perché vostra madre è commercialista ed ha uno studio avviato... La scelta dell’università è una scelta vocazionale. Se desiderate veramente lavorare per curare le persone ammalate, allora iscrivetevi a Medicina, altrimenti lasciate perdere. Magari grazie alle conoscenze della vostra famiglia riuscireste anche a superare il test d’ingresso con facilità, ma non supererete mai, neanche tra venti o trenta anni, il test della vostra felicità interiore per uno studio che vi è stato imposto. Seguite la scelta che vi detta il cuore. Se i vostri insegnanti sono stati dei veri maestri, gli anni delle scuole superiori dovrebbero essere serviti a svelarvi le vostre attitudini e i vostri reali interessi. Seguiteli, dategli fiducia, datevi fiducia. Quando si forza la realtà, si compiono solo dei danni. E questo vale in tutti campi, sia quando si parla della Natura, sia quando in gioco ci sono le scelte personali. Abbiate il coraggio di volervi bene e di sostenere la vostra scelta e vedrete che i vostri genitori, che vi vogliono bene, vi sosterranno. Solo dopo aver scelto la facoltà, si potrà pensare quale università frequentare considerando tutti i fattori personali in gioco.

Secondo: i prossimi anni saranno anni unici e irripetibili per ciascuno di voi. Approfittatene anche per approfondire al massimo lo studio dell’Inglese, ormai lingua universale al posto dell’esperanto, oltre ad un’altra lingua straniera, se riuscite. Il vostro futuro sarà molto probabilmente un futuro più internazionale di quello che hanno avuto i vostri genitori e l’Inglese è la lingua parlata in tutto il mondo. Sfruttate le possibilità offerte dalle università per viaggiare e sostenere esami in università straniere. Insomma l’invito è studiate e conoscete il mondo che vi circonda. Voi sarete la futura classe dirigente di un Paese che ora è malato, soffre non tanto di una crisi economica, ma di una crisi di identità, una crisi di valori. Per curarlo servono giovani che siano contenti del lavoro che svolgono, ciascuno nel proprio settore, ben motivati e volenterosi. Ma per essere ben motivati e volenterosi nel proprio lavoro, occorre amarlo. Oggi pochi amano il lavoro che svolgono ed anche questa è, a mio giudizio, una delle cause della crisi che stiamo vivendo. Ma non voglio divagare oltre…

Vi saluto con un suggerimento. Se non l’avete già visto, cercate il film di Peter Weir, L’attimo fuggente. Questo film fu campione d’incassi nella stagione 1989/1990 e vinse il premio Oscar per la sceneggiatura di Tom Schulman. Guardatelo e meditate.

Auguri ragazzi!

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- Politica

I compiti a casa...

Per uno strano scherzo del destino, mentre agli europei di calcio Italia e Spagna si conquistavano sul campo di calcio il diritto a disputare la finale (con l’Italia che ha sconfitto per 2 a 1 proprio la Germania), su un altro campo il Primo Ministro spagnolo e quello italiano, insieme, vincevano la sfida contro la Cancelliera tedesca e contro la sua politica di austerity senza se e senza ma.

Un po’ tutti i giornali, i media e i politici italiani avevano presentato il vertice di Bruxelles del 28 e 29 giugno come l’ultima occasione per segnare un cambio di passo e mandare segnali concreti ai mercati finanziari sulla volontà dell’Europa di reagire e di far sentire all’unisono la sua voce. Il problema era che le posizioni di partenza sulle cose da fare erano molto divergenti. Alla fine ha prevalso la linea di Spagna e Italia che, con l’aiuto della Francia di Hollande, proponevano, per uscire dalla crisi, i meccanismi “salva spread” e il patto per la crescita prima del rigore fiscale e dei tagli di spesa.

Complimenti quindi al nostro Premier Mario Monti che è sempre più amato e rispettato all’estero, mentre in Italia l’idillio con il popolo sembra essersi interrotto. Ho scritto popolo, ma avevo in mente la parola partiti politici, soprattutto quelli che sostengono il Governo Monti. E’ chiaro che, giunti a questo punto, la situazione politica italiana è ad un bivio: o si tiene in vita il Governo Monti sino alla prossima primavera, lasciando che, soprattutto in Europa dove è stimato, concluda il lavoro iniziato per cercare di ottenere una politica europea più attenta ai Paesi sottoposti alla speculazione dei mercati oppure in Parlamento le forze politiche votano contro uno dei prossimi provvedimenti sui quali verrà posta la fiducia e quindi Monti ne trarrà la conclusione inevitabile: dimissioni. Ma quale forza politica si assumerà il rischio di sfiduciare il Governo Monti?

Certamente i provvedimenti sin qui presi, dalla riforma delle pensioni a quella del lavoro non hanno accontentato gli elettori dei partiti che sostengono il Governo, ma è stato detto che erano provvedimenti che ci chiedeva l’Europa e l’Italia doveva svolgere i suoi compiti a casa per non finire come la Grecia sull’orlo del fallimento. Ma ora i compiti a casa sono stati (in parte) eseguiti e l’Europa si è accorta di questo e ci ha premiato a Bruxelles lo scorso week end. E allora, incominciano a chiedersi i politici, ha ancora senso sostenere il Governo Monti per altri nove mesi?

La verità è che i compiti a casa nostra non sono ancora finiti e quelli sin qui svolti non ci sembrano essere tutti corretti, ci vorrebbe un maestro che li riguardasse e segnasse in rosso le parti da rivedere. Ma dove lo troviamo un maestro capace e onesto che sia in grado di gestire una classe di politici indisciplinati e furbetti, ognuno intento a difendere il proprio orticello e per nulla interessati al bene comune degli italiani?

E se ci rivolgessimo al mister Prandelli?

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- Politica

L’Europa è salva, ma la Grecia?

L’Europa è stata “salvata” dal voto greco del 17 giugno, ma la Grecia sarà riuscita anche a salvare se stessa?

In tanti speravano che le elezioni in Grecia andassero come in effetti sono andate, con la vittoria dei partiti pro euro, ma forse in pochi ci credevano veramente. Ed ora, cosa è cambiato dopo questo voto?

Certamente la speculazione finanziaria per qualche tempo si calmerà, smetterà di far sentire la sua morsa sui mercati e sulle Borse, ma poi? Poi usciranno i dati sul PIL greco del secondo trimestre del 2012 e poi del terzo trimestre e poi di fine anno e non penso che i dati saranno confortanti… E intanto il Governo greco avrà varato manovre a favore della crescita e dello sviluppo economico per aziende che non esistono più, che hanno licenziato i dipendenti e che sono fallite. Questo è lo scenario se le cose andranno avanti così come ora. Il dramma è che le cose andrebbero altrettanto male se la Grecia alla fine decidesse di uscire dalla moneta unica. Andrebbero male per i Greci e andrebbero male anche per l’Europa.

E allora che fare?

Occorre fare un passo avanti verso un’integrazione europea che sia più politica di quella di cui disponiamo ora. Tutti i Paesi, ad incominciare dalla Germania, se vogliono veramente uscire da questa crisi che non è solo finanziaria ed economica, ma anche di ideali e di sfiducia nella capacità politica dell’Europa di parlare al mondo con una sola voce, devono rinunciare ad un pezzetto di sovranità e cederla alle Istituzioni europee.
Solo così l’Europa sarà in grado di interrompere la spirale speculativa, parlando con una sola voce. Solo quando avremo trovato il modo di armonizzare le economie delle diverse regioni europee, quando avremo unificato il controllo del territorio (esercito unico), quando avremo unificato la politica fiscale e ridistributiva del reddito, quando avremo una politica estera unica e non divisa come oggi, pronta a difendere ancora i singoli interessi nazionali, solo allora l’Europa sarà riconosciuta agli occhi del mondo come un unicum, come una vera Unione Federale di Stati sul modello degli Stati Uniti d’America.

Avere una moneta unica senza tutto questo alle spalle non serve a nulla. Serve solo a rafforzare, all’interno dell’Unione, le economie più forti e con meno deficit a scapito di quelle dei Paesi più indebitati e con problemi strutturali.

E’ ora che tutti noi, cittadini europei, prendiamo coscienza di questa verità. Del resto, se ci voltassimo indietro e riguardassimo il film dei nostri ultimi 65 anni, rimarremmo stupiti del cammino fatto dalla fine della Seconda Guerra mondiale e del benessere sia spirituale che materiale raggiunto. Certo non si può crescere all’infinito senza fermarsi e senza riflettere su dove vogliamo andare.

Il mondo di oggi non è più quello di 65 anni fa. Quindi è giusto e ragionevole fermarsi e riflettere perché da questa crisi potrebbe nascere una nuova Europa più forte e più unita di prima. E questo dobbiamo augurarcelo maggiormente noi italiani, perché il panorama politico interno lascia poche speranze per il futuro dei nostri figli…

Scriveva nel 2008 Gustavo Zagrebelsky ne Contro l'etica della verità: “Se mai l'Europa si darà una vera Costituzione, sarà quando avrà intrapreso una profonda riflessione su se medesima, ancora una volta a confronto con l'America. Questa volta per rispondere alla domanda: chi davvero noi siamo, che cosa davvero ci distingue, sempre che si voglia essere qualcuno e qualcosa, e non una semplice propaggine.”

E noi che Europa siamo?

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- Politica

Non possiamo non dirci ateniesi

Platone nasce ad Atene nel 428 prima di Cristo. Aristotele, suo allievo, nasce a Stagira nel 384.

Bastano questi due nomi per far emergere dalla nostra memoria il ricordo del contributo offerto alla formazione del pensiero europeo da parte della Grecia. E non parliamo di un contributo vecchio di 2.500 anni. Senza il pensiero e gli scritti di Platone e di Aristotele la nostra attuale civiltà “occidentale” sarebbe diversa.

Cosa voglio significare con questo inizio? Semplicemente che oggi l’Europa, meglio, l’Unione europea non può trattare la Grecia, i Greci, come l’ultima ruota del traballante carro europeo. Il popolo greco merita più rispetto per il proprio passato e per il presente, carico di difficoltà non completamente a lui imputabili.

Dopo quasi sette anni di “cura” economica / finanziaria da parte degli organismi europei, è evidente che la terapia prescritta alla Grecia è stata sbagliata, quantomeno nei tempi, ma probabilmente anche nel metodo. Non si può inasprire la tassazione e chiedere rigore fiscale e tagli di salari e pensioni pretendendo in pochi anni di risanare il bilancio pubblico di un Paese di poco più di dieci milioni di abitanti senza importanti imprese produttive e senza materie prime da sfruttare. Non ci vuole una laurea in economia per capire ciò, basta il buon senso. Per esempio i miliardi di euro concessi alla Grecia in questi sette anni, in cambio del rigore nei conti pubblici che ha prodotto solo altra crisi, senza crescita e sviluppo, sono molto inferiori a quelli concessi, dalla BCE tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, alle banche europee, senza però che queste banche venissero nazionalizzate e senza curarsi in che modo queste banche spendessero le risorse ricevute. Non è stata imposta loro nessuna politica di ridimensionamento, di austerity, di rigore nel comportamento da tenere nei confronti della finanza non regolamentata (OTC).

Occorre quindi affrontare il problema con un’altra ottica, se lo si vuole risolvere. Occorre ammettere che si è sbagliata la cura e occorre fare scelte politiche europee differenti se si vuole evitare che la situazione greca precipiti e trascini con sé problemi ben più seri e gravi che minerebbero alla radice la tenuta della stessa Unione europea con la sua moneta unica.

Un giorno gli storici ci spiegheranno che cosa non ha funzionato nei primi dieci anni di vita della moneta unica. Certamente oggi, al di là dell’esito delle elezioni politiche che si terranno in Grecia domenica prossima, che più che elezioni hanno il sapore di un referendum, pro o contro il rigore chiesto dalla troika europea, tutti noi ci auguriamo che l’Unione europea sappia trovare un nuovo modo di affrontare la situazione greca. Il bene comune europeo deve prevalere sugli interessi, spesso ancora contrapposti, dei principali Stati europei.

Altrimenti occorre avere il coraggio di ammettere che l’unione politica economica degli Stati che compongono il Vecchio Continente era solo utopia. Però questo fallimento ricadrebbe solo sugli attuali politici europei che si stanno rivelando miopi ed incapaci di mettere in campo idee nuove per affrontare sfide nuove. I popoli, i giovani europei chiedono più Europa, non meno Europa.

Come scrisse Thomas Mann, in tempi diversi dai nostri, ne La montagna incantata, (1924) : “ L'Europa è la terra della ribellione, della critica e dell'attività riformatrice”. Credo che questa riflessione sia valida anche oggi. Penso che oggi sia arrivato il tempo di ribellarsi a questo presente opaco, di criticare quello che è stato fatto sino ad ora, ma è anche il tempo di riformare e far nascere una nuova idea di Unione europea, più vicina ai popoli e meno ai politici burocrati e alla finanza. E domenica 17 giugno non possiamo non sentirci vicini ai cittadini ateniesi.

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- Politica

L’uscita di sicurezza del ministro

Se ci dimentichiamo che l’autore, Giulio Tremonti, è stato Ministro dell’Economia in tutti i Governi Berlusconi nonchè personalità di spicco del mondo economico finanziario riconosciuta a livello internazionale, se ci scordiamo che per quasi una ventina d’anni è stato nella cabina di regia della politica italiana ed europea, beh, se ci dimentichiamo tutto ciò, allora l’ultimo libro scritto dall’ex ministro (Uscita di sicurezza, editore Rizzoli , prima edizione gennaio 2012) sembra scritto da un uomo, da un economista fuori dagli schemi e dalle logiche che hanno governato l’Italia e l’Europa in questi ultimi anni. E’ come se il Capitale fosse stato scritto da Adam Smith e non da Carl Marx, tanto per intenderci.
L’opera inizia con questa frase: “ Alla base del mercato finanziario c’è un’ideologia potente e dominante che tende ad azzerare la parte migliore della natura umana, riducendo la vita nell’economia e l’economia nella finanza, un mostro che oggi si alimenta divorandoci e infine divorandosi” (pag. 8).
Nel libro sono raccontati fatti, episodi e riflessioni che l’autore ha visto e vissuto negli ultimi cinque anni, dal 2007 ai nostri giorni. L’analisi è lucida e in certi tratti anche dura e schietta. Per Tremonti alla base della crisi attuale ci sono stati tre tragici errori compiuti dalla politica: non si è compreso la differenza tra un normale ciclo economico e una crisi storica; si è pagato con denaro pubblico il conto dell’azzardo privato e infine si sono scambiate regole false per regole vere.
Una parte importante del libro è dedicata all’attuale epoca della globalizzazione, con il potere acquisito dalla grande finanza ormai anch’essa globalizzata e quindi de-responsabilizzata per arrivare agli attuali temi riguardanti il futuro della moneta unica e della stessa unità europea.
L’opera si chiude con le quattro proposte, le quattro ipotesi come le chiama Tremonti, per cercare di uscire dalla crisi attuale. Ipotesi sensate, ipotesi discutibili, ma comunque destinate a far prendere alla politica una posizione, posto che il non far nulla di fronte alla crisi ci porterebbe sicuramente dritti alla catastrofe. Questa è in ultima analisi la posizione dell’ex ministro, posizione che noi sinceramente condividiamo. E’ evidente come, nei fatti, dal 2007 ad oggi si sia continuato con le vecchie politiche che hanno originato questa crisi e non si sia fatto nulla per cercare nuove vie d’uscita.
A questo punto però, rivolgerei all’autore solo una domanda: ma chi poteva suggerire nuove strade da proporre al Governo italiano e agli Organismi direttivi della Comunità europea: il sottoscritto o un uomo come Giulio Tremonti?

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- Politica

Pillole elettorali

La politica si fa con i numeri. Questa sera, per commentare i risultati delle elezioni amministrative italiane di questo maggio 2012 ( V anno di crisi) userò una sola percentuale: il 60% degli aventi diritto al voto non si sono recati alle urne. Significa che sei italiani su dieci hanno ritenuto di non avere una motivazione valida per esprimere il proprio voto in elezioni amministrative, dove di solito è più forte l’interesse e il legame che unisce il cittadino al proprio territorio. Proviamo ad immaginare quale sarà l’affluenza alle urne per le elezioni politiche in prospettiva tra un anno? A meno che… a meno che i leaders dei partiti politici non aprano gli occhi in zona cesarini e in questi pochi mesi che mancano alla prossima campagna elettorale non facciano tre cose.

Primo: cambiare la legge elettorale e permettere ai cittadini di scegliere con la preferenza il proprio candidato, il quale sarebbe auspicabile non abbia alcun tipo di pendenze in corso con la giustizia (qui si fa appello al senso dello Stato dei partiti politici).

Secondo: ridurre il numero dei parlamentari da eleggere ampliando l’estensione territoriale dei collegi elettorali. E’ una riforma costituzionale che abbiamo visto questo Parlamento riesce a fare benissimo se vuole (vedasi inserimento del pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale votato in aprile).

Terzo: dalle prossime elezioni politiche ridurre il rimborso elettorale, collegandolo sia alle spese effettivamente sostenute dai partiti e sia in misura proporzionale al numero dei voti ottenuti, fissando però un tetto massimo ai rimborsi. Il resto è auto finanziamento non a carico delle casse pubbliche. Le spese poi dovranno essere verificate da un organismo al di sopra di ogni sospetto (es. la Corte dei Conti).

Chiedere di più, visti i tempi stretti, a questo Parlamento di “prescelti”, francamente sarebbe irrealistico. Ma tant’è, se i nostri rappresentanti riuscissero almeno a portare a termine queste tre piccole grandi riforme, forse potrebbero recuperare il legame con gli elettori che sono stati a guardare in questa tornata elettorale. Il leader PDL Alfano ha dichiarato che gli italiani aspettano una nuova offerta politica: verissimo. Allora perché non provare ad offrirla loro portando avanti queste tre riforme, finchè c’è il tempo per parlarne e discuterne con gli altri leaders politici? Perché una cosa è certa: se ciò non venisse fatto, tutti i partiti sarebbero travolti dal voto politico, sia che si voti in autunno sia che si voti la prossima primavera. E allora forse si aprirebbero scenari del tutto imprevedibili…

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- Educazione

Narrare: percorso di umanizzazione

Ho appena terminato di leggere l’interessante saggio di Massimo Diana dal titolo: “ Narrare: perché e come raccontare le storie ai bambini” .
Il libro raccoglie gli articoli apparsi negli ultimi tre anni scolastici 2008 / 2009 /2010 e 2011 sulla rivista L’Ora di religione.
Ne è uscita un’opera davvero interessante per noi genitori, per gli insegnanti, ma anche per tutti coloro che vogliono approfondire i legami e le connessioni esistenti tra il raccontare una storia, una favola e l’essere umano, adulto o bambino che sia.
Scrive l’autore all’inizio del libro: “Possiamo, in generale, comprendere tutte le storie e le narrazioni dell’umanità come, contemporaneamente, una via a Dio, al mondo ultraterreno, al mondo del senso e del significato, all’Assoluto, ma anche una via alla propria umanità: le narrazioni sono percorsi di umanizzazione. Esse insegnano che cambiare è possibile, che diventare uomini o donne migliori è possibile ed è alla portata di tutti e di ciascuno.”
Ma di cosa parlano le narrazioni? Quali sono gli eterni e universali problemi che tutti noi, uomini o donne, prima o poi incontriamo nel corso della nostra vita? Due sono, per l’autore, in ultima analisi i temi trattati nelle narrazioni: imparare ad amare e prepararsi a morire. Dall’introduzione di questo argomento centrale il volume si addentra nei risvolti culturali, psicologici e storici fornendo acute riflessioni e diversi punti di vista che ci educano ad aprire lo sguardo verso nuovi pensieri. Non mancano esempi presi dalla Bibbia, dalla letteratura, dal cinema e dai miti arcaici per meglio descrivere i concetti esposti.
Oltre il titolo, il volume si rivolge agli educatori tutti, professionisti e per vocazione. Cosa vuol dire educare allora, si chiede alla fine dell'opera l’autore? Ecco la risposta di Diana: “vuol dire aiutare a immaginare altrimenti. Questa è la grande nobiltà e dignità umana: che è sempre possibile in qualunque situazione, immaginare altrimenti, cioè vedere le cose da un’altra prospettiva e acquisire un nuovo sguardo sulla realtà”.
Non è certamente, a mio modo di vedere le cose, una definizione esaustiva del termine educazione, ma è comunque un buon punto di partenza, per tutti.


Per chi volesse leggere l’opera (lettura che consiglio) :
Massimo Diana, “Narrare – perché e come raccontare le storie ai bambini” Editrice Elledici, Torino 2011


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- Religione

Web terra di missione?

Nello scorso mese di marzo è uscito il nuovo lavoro di Antonio Spadaro: Cyberteologia, sottotitolo: pensare il cristianesimo al tempo della rete. Con quest’opera Spadaro si conferma tra i principali studiosi italiani dei rapporti tra il w.w.w. e la religione cristiana, tra la rete e la teologia cattolica, cioè universale, come la rete.
In poco più di centotrenta pagine il gesuita direttore de “La Civiltà Cattolica” analizza i cambiamenti che inevitabilmente sono intervenuti nel nostro modo di pensare e di agire dall’affermarsi della rete. “La rete” scrive Spadaro nell’introduzione, “non è uno strumento, ma un ambiente nel quale noi viviamo”. …”E se abbiamo uno smartphone acceso in tasca siamo sempre dentro la rete”.
La domanda quindi è, se la rete cambia il nostro modo di pensare, cambierà , o è già cambiato, anche il nostro modo di vivere la fede? Da questo incipit prende avvio l’analisi profonda, acuta e originale dell’autore. Vengono declinati i “paradigmi” che caratterizzano la rete e che, al momento, ne determinano lo sviluppo: i motori di ricerca, la visione shuffle, il sistema push e quello pull, le applicazioni Instapaper e così via.
Ciò che a Spadaro interessa mettere in luce è che “la sfida dunque non deve essere come usare bene la rete, come spesso si crede, ma come vivere bene al tempo della rete. In questo senso la rete non è un nuovo mezzo di evangelizzazione, ma innanzi tutto un contesto in cui la fede è chiamata ad esprimersi non per una mera volontà di presenza, ma per una connaturalità del cristianesimo con la vita degli uomini”” (pag. 22).
Che tipo di Chiesa è presente in rete? Una Chiesa liquida, senza autorità, una Chiesa hub? Spadaro, pur sensibile alle novità che la rete porta con sé, rimane in comunione a ciò che la Chiesa da sempre insegna agli uomini e cioè che è impossibile che la realtà virtuale sostituisca l’esperienza reale di una comunità cristiana visibile e storica, così come non è possibile sperimentare in rete i sacramenti e le celebrazioni liturgiche. Nel libro sono molteplici i riferimenti a documenti vaticani che testimoniano ciò.
Quello che emerge dalle pagine del libro è l’amore che la Chiesa porta al creato, creato da Dio, e il desiderio che nulla rimanga inesplorato e dimenticato. Ne consegue che il cristiano è chiamato a testimoniare anche nella rete la gloria di Dio e la risposta vivente ai bisogni dell’uomo che è Cristo. In questo senso il concetto di “testimone” e “testimonianza” nella rete merita una seria riflessione da parte di ogni cristiano che naviga nel web.
Per concludere: “La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone che possono essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo”. Questo libro è un’esaltazione, nel senso di valorizzazione, degli aspetti positivi che si trovano nella rete ed è scritto con tanta passione per l’ingegno dell’uomo che ha creato il w.w.w. , nuova frontiera, nuova terra di missione per il cristiano del ventunesimo secolo.
Completa l’opera una ricca Bibliografia che testimonia ulteriormente, se mai ce ne fosse bisogno, l’importanza di quest’opera che porta seco anche il dono della sintesi.


Per chi fosse interessato alla lettura (consigliata):
Antonio Spadaro, Cyberteologia , Casa Editrice Vita e Pensiero – Milano 2012

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- Politica

Nuovi partiti o nuovi politici ?

Una moda sembra essersi imposta, non da ora, nel panorama politico nazionale: cambiare nome ai partiti politici per restare al passo con la società civile perché, per definizione, è lei (la società civile) al passo con i tempi, mentre i partiti politici sono rimasti indietro (rispetto ai tempi). La formulazione della frase rispecchia volutamente lo stato confusionale attuale! Ma, mi domando: i partiti politici non sono associazioni di uomini e donne che provengono dalla società civile? O sono forse dei chierici o dei religiosi? E come fanno questi uomini, quando vestono i panni di uomini politici a rimanere indietro rispetto ai tempi che viviamo mentre quando rimettono gli abiti civili restano al passo (con i tempi)?
Queste mutazioni, più o meno genetiche, investono tutti i più grandi partiti italiani, quelli che una volta si definivano popolari. Personalmente ritengo che ormai il popolo italiano abbia compreso che non serve cambiare il nome di un partito, quando le persone che lo rappresentano nelle assemblee elettive e lo indirizzano politicamente sono le stesse da decenni. Piuttosto che cambiare il nome di un partito direi che sarebbe venuto il momento di cambiare il nome delle persone che rappresentano quella forza politica in modo tale da ottenere un ricambio generazionale che significa anche ricambio di idee e soprattutto maggiore garanzia di moralità all’interno del partito e quindi dello Stato.
L’occasione che si presenta al governo Monti in questo senso è veramente unica: riformare il meccanismo di elezione dei cittadini nei diversi livelli di rappresentatività in modo tale da garantire da un lato un progressivo e sempre crescente livello di competenza nella gestione della Cosa Pubblica e dall’altro ridurre molto la tentazione di ricercare il proprio bene, o quello del partito e non il Bene Comune. Mi spiego: dal compimento della maggiore età, un cittadino potrebbe essere eleggibile dapprima nei Comuni , per un massimo di due mandati. Esaurito il primo mandato potrebbe però candidarsi al consiglio provinciale oppure a quello regionale, sempre per un massimo di due mandati. Successivamente potrebbe candidarsi al Parlamento nazionale, prima come deputato, sempre per due legislature. Esaurita la prima legislatura potrebbe, se lo volesse, candidarsi al Senato della Repubblica, per un massimo di due legislature. Esaurito questo cursus honorum, penso che la Repubblica Italiana non possa far altro che congratularsi con questo italiano che ha dedicato almeno venti anni della sua vita al Bene Pubblico e magari lo possa anche ricompensare con una dignitosa pensione. E poi questa persona avrebbe davanti a sé una nuova vita da vivere e potrebbe, se lo volesse, mettere a frutto l’esperienza maturata nei venti anni precedenti come consulente di alto livello oppure candidarsi al Parlamento Europeo, ma li sarebbe un’altra storia che ci riguarda meno. Con la Repubblica Italiana questo cittadino prestato alla politica avrebbe cessato il proprio rapporto di rappresentanza.
Qualcuno ha qualcosa da obiettare a questa impostazione? Non si sta dicendo che il politico in questione debba cessare di fare politica, la qual cosa sarebbe una limitazione fortissima della propria libertà individuale e anche contraria alla Costituzione. Si sta dicendo che la forma in cui si può incanalare il suo fare politica, non passa più attraverso le cariche pubbliche elettive della Repubblica Italiana che ha già ottenuto il meglio dal cittadino politico nei suoi primi venti anni di attività… Credo che con qualche “aggiustamento”, una regolamentazione in tal senso dell’attività politica possa riavvicinare soprattutto i giovani che sono ormai lontani anni luce da questo mondo. Infatti, senza l’impegno dei giovani il Paese è destinato sempre più a diventare un Paese rivolto verso il proprio ombelico, senza futuro e in mano a vecchi papponi che vogliono apparire eternamente giovani.

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- Società

Pensierini serali...

Due o tre pensierini della sera…
Il primo: riforma del mercato del lavoro. Nessuno sa come finirà l’affaire sull’articolo 18. Vincerà la Marcegaglia oppure la Camusso? Rimarrà la (brutta) formulazione così come è oggi oppure il Parlamento troverà il coraggio di legiferare su una materia così importante? Il cammino si presenta arduo e l’esito non è per nulla scontato. Una cosa appare chiara e viene confermata proprio in questi giorni da una multinazionale svedese del “fai da te” che sposta la produzione dall’Asia in Italia: non è l’attuale formulazione dell’articolo 18 a bloccare gli investimenti in Italia. Il perché si sia deciso di riformare praticamente solo l’articolo 18, rimane un mistero (o forse no?).

Secondo pensierino: i rimborsi elettorali ai partiti. Come mai in Italia servono gli scandali per mettere mano a situazioni che da anni risultano insostenibili? L’attuale gestione dei rimborsi pubblici ai partiti politici per le spese elettorali sostenute va avanti da anni. Perché serve lo sprone della Magistratura per sollecitare i partiti ad apportare modifiche a norme che francamente sono imbarazzanti anche solo da pensare. Perché se spendo 100 per la mia campagna elettorale, lo Stato mi deve rimborsare 500?

Terzo pensierino: forse il più triste. Notizia di oggi: il Fondo Monetario stima che nel 2050 se la vita media si allungherà di tre anni, i costi per sostenere l’invecchiamento della popolazione aumenteranno del 50% . Soluzione: (visione capitalista) per esempio una bella pensione integrativa privata per coprire in parte questi costi garantendo i rischi per lo Stato e assicurare nel contempo un adeguato tenore di vita ai brillanti vecchietti. Sperando che l’Assicurazione non venga travolta da qualche crisi finanziaria internazionale oppure i suoi Manager non compiano qualche investimento azzardato… Ma ci potrebbe essere anche qualcuno che propone un’altra soluzione : (visione da Quarto Reich) perché aumentare la vita media di tre anni se questo comporta una diminuzione del mio benessere e dei miei benefits già da ora? E poi, perché curare quei malati terminali che costano così tanto al Servizio Sanitario e sono destinati a morte sicura (per esempio i malati terminali di SLA). E poi scusate, perché far nascere bambini deformi o malati destinati magari a vivere qualche anno e poi morire? Sono costi inutili che in periodo di crisi economica non possiamo più permetterci. Proseguiamo?

Per un reale cambiamento della situazione attuale occorre fare un passo laterale e mettere al centro della discussione l’idea di uomo che abbiamo e quindi l’idea di società che vogliamo costruire, non partendo dall’economia o dalla finanza, ma dagli ideali in comune che vogliamo realizzare. Solo così si scatenano le forze migliori di ognuno di noi e la realtà ne esce cambiata, anche quella economica e finanziaria.
Scriveva Chesterton nell' Uomo Comune: <<Il problema maggiore di quella che si autodefinisce "mentalità moderna" sono i binari, la nostra abitudine a essere soddisfatti di stare nei binari perché ci viene detto che sono binari di cambiamento>>.

Proviamo, ciascuno di noi, ad uscire dal nostro binario e percorrere un pezzo di strada nuovo.

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- Società

La Settimana Santa

Dal Vangelo secondo Giovanni, Cap. 19 v. 1 - 30

Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano:
"Salve, re dei Giudei!". E gli davano schiaffi.
Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: "Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa".
Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: "Ecco l'uomo!".
Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: "Crocifiggilo, crocifiggilo!". Disse loro Pilato: "Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa".
Gli risposero i Giudei: "Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio".
All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: "Di dove sei?". Ma Gesù non gli diede risposta.
Gli disse allora Pilato: "Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?".
Rispose Gesù: "Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande".
Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: "Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare".
Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà.
Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: "Ecco il vostro re!".
Ma quelli gridarono: "Via, via, crocifiggilo!". Disse loro Pilato: "Metterò in croce il vostro re?". Risposero i sommi sacerdoti: "Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare".
Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo.
Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: "Gesù il Nazareno, il re dei Giudei".
Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco.
I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: "Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei".
Rispose Pilato: "Ciò che ho scritto, ho scritto".
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo.
Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura:
Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte.
E i soldati fecero proprio così.
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala.

Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio!".
Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!". E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: "Ho sete".
Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca.
E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: "Tutto è compiuto!". E, chinato il capo, spirò.



Questo è il resoconto giornalistico, scritto da Giovanni, discepolo di Gesù, di come si svolsero i fatti in terra di Palestina il giorno della morte del Figlio di Dio, duemila anni fa. Oggi per noi cattolici di tutto il mondo questo resoconto è Vangelo.
Gesù è venuto sulla terra per dare risposta ai bisogni di significato e di felicità presenti nel cuore di ogni uomo, nato o che deve ancora nascere, come i 94 piccoli embrioni surgelati e azotati- bambini uccisi a causa di un guasto tecnico, un corto circuito occorso in un ospedale di Roma il 27 marzo 2012.
Quale motivazione, quale ragione ha potuto creare 94 esseri umani per poi rinchiuderli, surgelati, in un bidone pieno di azoto? Può il desiderio di diventare mamma o papà, essere soddisfatto arrivando a tanto? Il corto circuito non è accaduto all’impianto dell’Ospedale, ma è capitato nel cuore di tutti noi quando abbiamo messo i nostri desideri e i nostri giudizi davanti a tutto. La conseguenza è, oggi, una strage di vite -non vite senza un perché, senza senso.
Ripensiamo, in questa settimana che viene e che ci porterà alla Pasqua di Resurrezione, a Gesù, personaggio storico realmente esistito, l’unico uomo al mondo che si è detto Figlio di Dio.
Avvicinandoci a Lui possiamo riscoprire le ragioni del nostro pensare e del nostro agire e ritornare a comprendere qual è il vero Bene per noi.

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- Politica

Il ritorno di Fantozzi

Puntuale al termine che si era dato, il Governo ha presentato questa settimana agli italiani la riforma del mercato del lavoro. Il testo in questione, disponibile sul sito del Ministero del Lavoro, consta di 26 pagine. Dopo averlo attentamente letto, proviamo a fare alcune considerazioni.
La prima è di carattere generale ed è una domanda: era proprio necessaria una riforma del mercato del lavoro in questo momento storico in Italia? E questo Governo “tecnico” ha avuto il tempo necessario per studiare, analizzare e discutere il tema con tutte le parti sociali interessate (partiti, sindacati, organizzazioni imprenditoriali) ? A nostro giudizio una riforma di tale importanza e complessità meritava una maggiore attenzione e riflessione da parte del Governo, soprattutto dopo che si è riformato in modo così deciso l’altro pilastro collegato, quello pensionistico che ha spostato in avanti almeno di cinque anni il diritto alla pensione di centinaia di migliaia di persone che erano già vicinissime all’età pensionabile e di dieci anni l’età per andare in pensione dei più giovani. La riforma del mercato del lavoro non è certamente un tabù, ma in questo momento più che riformare una materia riguardante una merce sempre più “rara”, forse appare più urgente studiare e inventarsi soluzioni nuove che aiutino a creare nuovo lavoro e nuova occupazione in Italia, non in Serbia o in Polonia, non in Cina o Brasile, ma in Campania o in Calabria.
Arriviamo alle 26 paginette del testo approvato dal Governo, suddiviso in tre parti. La prima, quella che dovrebbe riformare l’entrata nel mondo del lavoro e quindi riguarda i giovani, a mio parere delude le aspettative. Nelle intenzioni espresse dal Governo, dovrebbe contribuire ad una maggiore stabilizzazione dell’occupazione giovanile spostando l’ago della bilancia, finalmente, verso i contratti a tempo indeterminato. Nei fatti, leggendo quanto contenuto nel documento, mi sembra che questa intenzione sia tutta da dimostrare e molto dipenderà dai controlli che verranno attuati per verificare il corretto comportamento e applicazione delle nuove norme da parte delle aziende. La mia impressione è che, fino a quando il lavoro sarà una merce rara, il coltello dalla parte del manico lo avranno le aziende, non i giovani in cerca di occupazione.
Ed ora arriviamo alla seconda parte, quella che riguarda la “flessibilità in uscita e tutela del lavoratore” come recita il testo. Qui la disciplina è più lineare e si capisce subito l’obiettivo che si pone il Governo. Nel caso dei licenziamenti oggettivi o economici, il testo recita: “ove accerti l’inesistenza del giustificato motivo oggettivo addotto, il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro disponendo il pagamento, in favore del lavoratore, di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva, che può essere modulata dal giudice tra 15 e 27 mensilità di retribuzione, tenuto conto di vari criteri.” Quindi nessun diritto al reintegro del posto di lavoro. Inoltre, per accelerare la risoluzione delle controversie in tema di licenziamento, il Governo propone, di concerto con il Ministero della Giustizia, di introdurre un rito speciale dedicato a tali controversie, così che il dipendente licenziato avrà subito il contentino economico, ma non più il lavoro e le aziende che hanno licenziato il dipendente per motivo oggettivo, potranno in breve tempo chiudere la pratica. Per le altre cause di licenziamento, quelli discriminatori e quelli soggettivi / disciplinari, nulla cambia. Ma è chiaro a tutti che un’impresa si guarderà bene da addurre come causa del licenziamento una discriminazione o un motivo soggettivo. L’onere della prova è a carico della parte più debole, cioè il lavoratore. Non mi pare ci sia da aggiungere altro.
Il testo prosegue con una terza parte riguardante la riforma degli strumenti relativi agli ammortizzatori sociali, ma qui si entra in un campo molto tecnico che francamente ci induce a sospendere il giudizio, fatto salvo quello di carattere generale. Un sostegno ai lavoratori che hanno perso il lavoro, soprattutto a quelli più anziani, ma che non hanno ancora maturato il diritto alla pensione occorre garantirlo. Ma occorrerebbe garantire anche una nuova opportunità lavorativa, sfruttando anche l’esperienza accumulata negli anni da questi lavoratori. In questo campo mi sembra che le Regioni e i Comuni possano svolgere un ruolo determinante avendo una conoscenza capillare di quello che può offrire il proprio territorio in termini di sviluppo di nuove realtà imprenditoriali.
Il documento si chiude con dichiarazioni di principio riguardanti il diritto al lavoro dei disabili, il contrasto del lavoro irregolare degli immigrati, le politiche attive e i servizi per l’impiego, ma sono tutti enunciati teorici che dovranno poi trovare attuazione in successivi provvedimenti legislativi.
Nel complesso, a parte la radicale modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, non ci pare di scorgere nel documento significative innovazioni della materia del lavoro. Pensare (ma potrei dire sperare) che da questa riforma, così come impostata, possa arrivare una spinta allo sviluppo e alla ripresa economica ci sembra irreale.
A quali conseguenze andremo incontro se passasse una formulazione dell’articolo 18 così concepita? La mancata tutela del dipendente dal licenziamento oggettivo, che qualsiasi azienda potrà benissimo invocare creando ad hoc crisi aziendali “pilotate” per dimostrare che i licenziamenti sono necessari per evitare il trasferimento all’estero o la chiusura dello stabilimento, porterà con sé un peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Questo è facilmente intuibile; se alle Aziende viene aumentato il potere contrattuale rispetto ai lavoratori, questi ultimi in prospettiva subiranno una diminuzione in termini di diritti, tutele, sicurezze ed è anche ipotizzabile in termine di aumenti salariali. Ma questo aspetto, non considerato a quanto pare dal Governo, non va a vantaggio delle aziende che avranno una forza lavoro sempre meno motivata e propositiva mentre invece le aziende vincenti, quelle leader di mercato come si usa dire, in tutti i Paesi del mondo, ripongono nel “benessere” in senso lato del proprio personale un’arma strategica e vincente.
Per il momento mi fermo qui. Tantissime altre sono le considerazioni che si potrebbero fare e che abbiamo in parte già affrontato sulle pagine di questo sito. Il cammino della riforma, per fortuna, è ancora lungo prima che la stessa diventi Legge dello Stato in Parlamento e pertanto avremo altre occasioni per affrontare l’argomento nelle prossime settimane.
Un’ultima curiosità. Cosa direbbe Fantozzi al Mega Super Capo del Governo Mario Monti in merito alla riforma del mercato del lavoro?

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- Scuola

La scuola ai tempi dell’ iPhone

La seconda opera del Professore Giuseppe Pelosi si intitola “Kuore, la scuola ai tempi dell’iPhone”.

Il tema è ben chiaro da subito: per fare scuola oggi occorre metterci il cuore. Ma chi lo deve mettere, il cuore? Gli insegnanti? Gli alunni? E i genitori, la famiglia sono chiamati in causa in questa relazione docente – discente?
Tutti questi interrogativi sono analizzati nel libro che si rivolge ai genitori interessati ( praticamente tutti quelli che hanno un figlio di età compresa tra 0,1 e 17,9 anni ) , agli insegnanti ( perché parla della scuola di oggi, ma anche di quella che potrebbe essere domani ) e a mio parere potrebbe essere letto anche dagli studenti delle superiori in possesso della maturità sufficiente per comprenderlo e contribuire, da subito, al cambiamento del modo di fare scuola oggi.

Numerosissime sono le riflessioni che il Prof. Pelosi ci regala in quest’opera, tutte interessanti. Il tema di fondo è la scuola di oggi con annessi e connessi ( insegnanti, alunni, famiglia ). La considerazione pubblica della scuola italiana non è ai massimi livelli, ma leggendo quest’opera un seme di speranza germoglia in noi. Speriamo che da questo seme cresca una giovane pianticella che poi, nel tempo, arrivi anche ad offrirci frutti commestibili (magari anche dolci e saporiti che non guasta…)

Riporto una citazione dalle ultime pagine del libro: “…una scuola è espressione della società che la genera e della cultura che vuole trasmettere.” Questa affermazione, talmente vera che sembra ovvia, non è per nulla compresa dall’opinione pubblica che giudica negativamente la scuola italiana, che è fatta da insegnanti italiani, genitori italiani, alunni italiani. In sostanza abbiamo la scuola che vogliamo e che ci meritiamo, così come abbiamo i politici che ci scegliamo e che votiamo… Forse sarebbe ora che chi fa scuola (insegnanti, genitori, alunni) incominciasse a pensare alla scuola di domani, che incomincia adesso. Con l’aiuto di maestri, come il Prof. Pelosi, che nella scuola ci vivono più di noi che di mestiere facciamo solo i genitori…


Per chi volesse approfondire la lettura: Giuseppe Pelosi, Kuore, la scuola ai tempi dell’iPhone, Ancora Editrice - Milano

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- Religione

La religione trasversale

Questo era il titolo dell’editoriale de “Il Sabato” in edicola il 20 gennaio 1990 (lo trovate pubblicato nella sezione “documenti” del mio blog Aldebaran). Per chi, giovane lettore, non lo conoscesse, Il Sabato è stato un settimanale che dal 1978 al 1993 ha commentato le vicende italiane, ma anche internazionali da un punto di vista originale, fuori dai soliti schemi, cattolico. Per caso mi è capitato sotto mano un vecchio raccoglitore dove avevo conservato gli editoriali letti che più mi avevano provocato.
La provocazione di quel gennaio 1990 riguardava la seguente domanda: aveva ancora senso l’antica pretesa cristiana di considerarsi l’unica risposta alle attese dell’uomo? Rileggendo l’editoriale de Il Sabato, il timore denunciato allora, appare oggi reale: cit. “Sullo sfondo l’avvento di una super religione trasversale, un umanesimo etico e spiritualista che non annulla affatto i diversi riti, le molteplici culture, le varie gerarchie, ma vive e si incarna in ciascuna di esse. Non inventa nuove formule dottrinali, o almeno così non pare. Più modestamente professa quelle Verità cui tutte le religioni in fondo partecipano, e che tutti gli uomini di buona volontà, al di là degli steccati confessionali, pur con linguaggi e simboli diversi, possono riconoscere: credenza in Dio o almeno nello Spirito, osservanza della legge morale, promozione di determinati valori umani.”
Inutile negarlo, oggi viviamo, respiriamo un clima di “politically correct” in tutti i settori in cui è immersa la nostra quotidianità: sul lavoro con i colleghi, con gli amici che incontriamo e con i quali scambiamo generici punti di vista, ma anche in famiglia con il coniuge e con i figli ai quali trasmettiamo opinioni che possono essere spese a loro volta con tutti i compagni. L’importante è non urtare la sensibilità altrui. Più la società è diventata multietnica e quindi multi religiosa, più noi cattolici, per una falsa concezione di accoglienza dell’altro, il diverso da noi, abbiamo smesso di testimoniare l’unicità della venuta di Cristo, il Salvatore del mondo, il Figlio di Dio incarnatosi e realmente vissuto sulla terra in una precisa epoca storica. La Verità si è trasformata in multi verità e quindi in mille opinioni, tutte valide e proponibili alla società multicolore e multi etnica di oggi. L’importante è andare d’accordo con il vicino di casa, non urtare la sua sensibilità e la sua personale religiosità (che peraltro nessuno vuole urtare sia ben chiaro).
Questo “politically correct” è ben presente anche nella vita politica di questi ultimi anni dove, tra l’altro, ha comportato l’appiattimento dei programmi dei principali partiti popolari, tanto che oggi è molto difficile capire cosa differenzia una politica di centro destra da una politica di centro sinistra. Invece sui grandi temi quali aborto, eutanasia, diritto alla vita, concezione di famiglia, scuola, educazione, si lascia libertà di coscienza che è come dire: il partito su questi temi la pensa come la pensi tu, non abbiamo una verità, una posizione da proporti, decidi secondo la tua opinione ma poi continua a votarci perché insieme costruiremo un mondo migliore!
Cosa ne deriva? Ne deriva che il migliore dei mondi arriverà se tutto va bene domani, ma oggi la persona è sola di fronte al suo relativismo e alla sua possibilità di scegliere tra cento verità possibili, tutte uguali, tutte ugualmente inutili. Del resto oggi, rispetto al 1990, possiamo scegliere tra 1000 canali televisivi e se spostiamo la parabola possiamo catturare un nuovo satellite con altri 1000 canali...ma la domanda, il desiderio di conoscere perché il mio cuore oggi è triste, rimane senza risposta.

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- Letteratura

Il profumo dei limoni

Scorrendo i titoli dei libri in vendita tra gli scaffali di una libreria, mi sono imbattuto, per caso (?) nell’interessante volume di Jonah Lynch, il profumo dei limoni , sottotitolo: tecnologia e rapporti umani nell’era di Facebook.

Chi è Lynch? E’ un giovane sacerdote, nato nel 1978, dopo essersi laureato in Fisica alla McGill University di Montréal, entra in seminario. Ha studiato filosofia e teologia all’Università Lateranense. E’ sacerdote dal 2006. A Lynch, sin da piccolo deve essere sempre piaciuto il profumo dei limoni, ma cosa c’entrano i limoni con la tecnologia, si chiede l’autore? Leggiamo: “Un limone colto dall’albero ha la scorza ruvida. Più curato è l’albero, più ruvida è la scorza. Se la si schiaccia un poco ne esce un olio profumato e d’improvviso la superficie diventa liscia. E poi c’è quel succo asprigno, così buono sulla cotoletta e con le ostriche, nei drink estivi e nel tè caldo. Tatto, olfatto e gusto. Tre dei cinque sensi non possono essere trasmessi attraverso la tecnologia. Tre quinti della realtà, il sessanta per cento. Questo libro è un invito a farci caso”.

Lynch innanzi tutto sente l’urgenza di affrontare questi argomenti ora, prima che scompaia l’esperienza diretta del mondo prima di Internet. Non si tratta di essere critici per forza verso le nuove tecnologie o di sostenerle a spada tratta dicendone solo bene, non è questo che Lynch si pone. Lynch semplicemente sostiene che i nativi digitali, quelli nati nell’era di Internet, non potranno essere maestri di se stessi.

L’autore vuole offrire il punto di vista di un cristiano. Che differenza c’è tra una risata fatta in compagnia o attraverso una chat? Perché negli USA le ragazze adolescenti inviano (in media) 4050 sms al mese e i ragazzi solo 2539? Che tipo di comunicazione può avvenire nei 160 caratteri ammessi da Twitter? Che cosa ne rimane fuori?

Per capire fino in fondo quest’opera occorre però aver preso coscienza dei problemi prima sollevati. Lynch ha compreso l’esistenza del problema quando gli è stato chiesto di curare gli alberi da frutto del giardino del seminario. Scrive: “mi sono accorto che avevo una premura irragionevole: volevo che le piante crescessero più in fretta, facessero albicocche a novembre e limoni a maggio”. A qualcuno viene in mente qualche “gioco” o “attività” on line offerta da qualche social network?
Siamo tutti diventati vittime, il più delle volte inconsapevoli, di questa mentalità efficientista, dove solo il risultato conta. Ma per il risultato, insegnano le piante, ci vuole tempo.

Lynch chiude con questa interessante riflessione: “mi sembra altamente significativo che per incarnarsi Dio abbia scelto un momento della storia in cui non esistevano le comunicazioni di massa. E per di più, non ha scritto nulla. Ha voluto affidare l’intero futuro della Sua Chiesa alla testimonianza da persona a persona. Non si è sottratto al rischio della mediazione, al fatto che il suo messaggio dovesse passare per bocca altrui”. E questo, sicuramente non è un caso.

Per chi volesse approfondire l’interessantissima lettura:
Jonah Lynch, Il profumo dei limoni, Edizioni Lindau srl, Torino

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- Politica

Nuovi scenari e vecchi merletti

Della riforma del c.d. mondo del lavoro abbiamo già parlato in diversi articoli. Ora mi preme formulare alcune considerazioni conclusive sperando che il Governo Monti recepisca le istanze che vengono dai lavoratori e dai sindacati e comprenda che una riforma della legislazione su queste tematiche non si può fare in qualche settimana.

Punto primo, sull’articolo 18: la notizia è di settimana scorsa. L’Associazione degli artigiani di Mestre ha condotto un’indagine su quante aziende e quanti lavoratori sono soggetti all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Risultato: il 3% delle aziende italiane supera i 15 dipendenti, ma queste imprese impiegano il 65,5% dei lavoratori. Ma chi l’avrebbe mai detto… su oltre 5 milioni di imprese operanti in Italia, solo 150.000 aziende risultano interessate all’articolo 18; però su oltre 12 milioni di lavoratori dipendenti, circa 7,8 milioni di persone sono tutelate dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Conseguenza: come si può affermare che con la modifica/abrogazione dell’articolo 18 verrebbe colpita solo una minoranza dei lavoratori e che tale articolo non interessa quasi nessuno? Invece è solo una minoranza delle imprese che risulta interessata dall’articolo 18, mentre la stragrande maggioranza delle imprese italiane già ora è fuori dall’ambito di applicazione dell’articolo 18. Semmai, dal mio punto di vista, ci sarebbe da estendere l’ambito di applicazione dell’articolo 18 anche ai lavoratori che ora ne sono esclusi, tenuto conto che il buon Legislatore dovrebbe estendere le tutele per i lavoratori, anziché ridurle, visto che il lavoro è l’attività su cui si fonda la Repubblica italiana.

Punto secondo: la ragione per cui l’Italia negli ultimi anni ha perso attrattiva per le aziende (italiane e straniere) che vogliono investire (in Italia) dipende, purtroppo, dalla mancanza di attrattiva del nostro sistema Paese. Per capirci i veri problemi per le aziende risiedono nella eccessiva burocratizzazione cui devono sottoporsi per avere permessi e autorizzazioni, per poter decidere con tempestività strategie aziendali che, in un mondo che viaggia alla velocità di internet, non possono soggiacere ai tempi autorizzativi della nostra Pubblica Amministrazione. Poi c’è il problema della certezza del diritto sul quale ogni imprenditore che vuole investire deve necessariamente poter contare per decidere dove spendere il proprio tempo e denaro. In Italia la crisi del sistema “giustizia” è ormai cronica. In questa occasione sarebbe inutile parlarne perché ci porterebbe fuori tema. Comunque non è possibile che un processo civile, magari proprio una causa su un licenziamento ritenuto illegittimo, arrivi a sentenza di primo grado in quattro/cinque anni. Questo si che è assurdo. Ma non è un problema legato all’articolo 18, ma alla cattiva amministrazione della giustizia che tiene lontani gli investitori dal nostro Paese. Terzo problema: nel nostro Paese negli ultimi anni è mancata una politica industriale capace di leggere il futuro prossimo e di creare quelle condizioni affinchè le medie e grandi aziende italiane pilotassero il cambiamento e riuscissero a rimanere attive e concorrenziali in primis sul mercato interno. L’Italia ha perso interi settori industriali negli ultimi lustri: la chimica è scomparsa, l’automobilistico ormai è ridotto al lumicino, il settore energetico è fragile e si potrebbe investire molto di più, ora è in crisi anche la moda, resiste l’agroalimentare a fatica, il turismo non è sfruttato al meglio, la cantieristica navale è agonizzante. Può un sistema Paese reggersi solo sul terziario? Quarto problema, quello fiscale. Non è di immediata e facile soluzione. Qui dirò solo che una pressione fiscale così elevata, sia per le aziende che per i lavoratori, non facilità gli investimenti degli imprenditori in Italia.

Punto terzo. Intendiamoci: la riforma del lavoro è necessaria tenuto conto che l’occupazione è in calo ormai da diversi anni e soprattutto la disoccupazione riguarda pesantemente i giovani, cioè coloro che dovranno sopportare il peso delle future pensioni. Pertanto la riforma del lavoro si collega automaticamente alla riforma del sistema pensionistico da un lato e deve presupporre una riflessione seria e approfondita sulla realtà economica attuale in cui si trova l’Italia. Non si può intervenire a gamba tesa su temi così delicati nel giro di un paio di mesi. Il Governo “tecnico” di Mario Monti non è stato chiamato a rivoltare l’Italia nel giro di un anno, ma solo a porre in atto, cosa che parzialmente ha già fatto, quelle misure straordinarie (e impopolari) che andavano prese per riportare la fiducia dell’Europa sulla serietà e capacità dei governanti italiani nell’affrontare la crisi economica, scongiurando un nuovo caso Grecia.

Va bene quindi porsi il problema della riforma del mercato del lavoro, ma il tema è di tale importanza che qualche riflessione più approfondita francamente credo che vada fatta.

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- Letteratura

Farcela con la morte

Ho conosciuto il filosofo (detective del quotidiano come si definisce) Fabrice Hadjadj durante l’edizione 2011 del Meeting per l’amicizia tra i popoli di Rimini. In quell’occasione tenne un incontro con a tema il titolo del Meeting (E l’esistenza diventa una immensa certezza) che è tra l’altro possibile rivedere e riascoltare oltre che sul canale YouTube del Meeting di Rimini anche sul mio blog Aldebaran (http://lorenzorobertoquaglia.blogspot.com/) - lo trovate tra i video preferiti.

Hadjadj, certamente noto agli “addetti ai lavori” nonostante la sua giovane età ( è nato a Nanterre nel 1971) merita di essere maggiormente conosciuto perché offre spunti di riflessione sulla vita molto interessanti per l’uomo contemporaneo. E non è una presa in giro. Nel manuale “Farcela con la morte”, scritto nel 2005 e vincitore nel 2006 del prestigioso Grand Prix Catholique de littérature, Hadjadj affronta il tema della morte offrendo riflessioni che ci aiutano a vivere la vita senza censurare l’argomento che è di una inevitabile certezza, per tutti.

L’opera è divisa in capitoli che possono essere letti anche separatamente e offrono spunti per riflettere su diverse tematiche che emergono dai titoli dei capitoli stessi: Speranza di vita, La grazia della paura, Sul suicidio e l’eutanasia, Sull’omicidio legale e il terrorismo, La morte di Dio, Il martirio a portata di tutti, In my end is my beginning.

Scrive Hadjadj: “ la nostra epoca piena di rumore e di furore è veramente attesa di un liberatore, e questo spiega la facilità con cui un intero popolo si precipita a seguire un tiranno pieno di promesse o l’utopia alla moda”.
Ognuno di noi desidera la felicità, ma la nostra morte e la nostra impotenza dimostrano che non riusciamo a procurarcela da soli, dobbiamo sperare che provenga da altro, ma altro non può essere un uomo, limitato e fallibile come noi. La morte pertanto è il termine di paragone con cui dobbiamo, volenti o nolenti, consapevolmente o meno, confrontarci per tutta la vita. La risposta che ci diamo nei confronti di questo limite condiziona tutta l’esistenza. Hadjadj ci offre le sue riflessioni e le sue risposte che trovano nella religione cattolica il proprio fondamento. La morte di Cristo sulla croce è il fulcro della visione cristiana della vita e quindi anche della morte. Non sono pagine mistiche o spirituali quelle che si leggono nel manuale, sono pagine che aiutano a riflettere l’uomo di oggi, immerso in una società che fa dell’ eternamente giovane e bello e sano e felice la sua finta colonna sonora. E non manca l’ironia.

Scrive Hadjadj: “D’altronde, come si può imparare a morire? Chamfort riporta l’obiezione di una ragazza: - perché questa frase, imparare a morire? Mi sembra che ci si riesca bene già la prima volta!”

In effetti a noi interessa imparare a vivere bene, non a morire bene.


Per chi fosse interessato alla lettura:
Fabrice Hadjadj, Farcela con la morte, Cittadella Editrice - Assisi

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- Politica

Ancora sull’art. 18

Della riforma del mercato del lavoro abbiamo già scritto sulle pagine di questa rivista. Torniamo oggi volentieri in argomento visto che il Governo sembra intenzionato, nel giro delle prossime tre/quattro settimane a licenziare una riforma di questo mercato. L’argomento è quindi di strettissima attualità e coinvolge praticamente tutti noi. Il lavoro è infatti l’attività tipica dell’uomo, gli animali non lavorano, cioè non creano con la propria attività beni materiali o immateriali, ma rispondono con le proprie azioni agli istinti. Ma restiamo all’articolo 18.

Ieri, nelle prime pagine, il principale quotidiano economico italiano ha dedicato all’argomento ampio e ben approfondito spazio. Dalla lettura emerge per prima cosa una fatto: la materia del licenziamento del lavoratore dipendente è trattata in maniera differente nei diversi Stati europei. Tutte le legislazioni prevedono una qualche causa per il licenziamento soggettivo abbinato al licenziamento per ragioni economiche legate alla vita aziendale. Il secondo caso non crea “problemi” perché purtroppo quando un’azienda va veramente male, non ci sono motivazioni che tengano, l’azienda chiude e il problema del lavoratore non esiste e basta. Il vero problema italiano, che emerge leggendo gli articoli pubblicati da Il Sole 24 Ore, è quando un’azienda italiana licenzia un dipendente e si instaura un contenzioso giuridico.

Qui iniziano le anomalie italiane, che sono di due tipi: tempi incerti e comunque lunghi prima di arrivare alla risoluzione della causa e incertezza nel costo monetario che dovrà sostenere l’azienda nel caso il licenziamento venga accolto. In sostanza quasi tutte le legislazioni degli altri Paesi prevedono un tetto massimo al rimborso, mentre in Italia il quantum viene deciso dal giudice. Se poi si aggiunge il fatto che i diversi tribunali seguono sull’argomento in esame diversa giurisprudenza, il quadro che emerge in effetti è quanto meno nebuloso e potrebbe scoraggiare gli investimenti delle grandi aziende in Italia. Dico potrebbe perché se si analizzano le motivazioni dichiarate che spingono i Top Manager delle grandi multinazionali a decidere in quali Paesi del mondo investire, la facilità di licenziamento non viene quasi mai citata tra le motivazioni decisive. Ma di questo argomento ci occuperemo in un altro articolo.

A questo punto mi rimane una domanda da porre e una considerazione da fare. La domanda è la seguente: come mai questo Governo ha deciso di porre come centrale per la riforma del mercato del lavoro la modifica / abrogazione dell’articolo 18 ? Abbiamo visto che le cause dell’anomalia italiana risiedono nei tempi lunghi della giustizia e nell’incertezza del risarcimento monetario, ma queste cause non dipendono direttamente dall’esistenza dell’articolo 18, ma dall’organizzazione della Giustizia in Italia e da una legislazione in parte lacunosa riguardo alla disciplina dei risarcimenti. Perché non si parte da lì?

La considerazione può sembrare banale tanto è semplice: solo la crescita economica può far aumentare i posti di lavoro e creare nel mercato le opportunità e la mobilità per tutti i lavoratori, mobilità positiva tanto cercata a parole e osannata da questo Governo. In caso contrario, cioè di contrazione dell’economia, le aziende saranno costrette a chiudere e quindi a licenziare, con giusta o ingiusta causa, poco importa.
Per il momento mi fermo: tante sarebbero ancora le cose da dire sull’argomento. Al prossimo articolo.

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- Società

Kierkegaard, il politico corrotto e noi

Nell’intrigante manuale “Farcela con la morte”, Fabrice Hadjadj, quarantenne filosofo francese, riporta il seguente passo del filosofo danese: “ tra tutte le futilità di quest’epoca miserabile, la più ridicola è forse quella sentenza scritta con una pretesa di saggezza che spesso ho incontrato nelle mie letture e di cui ho sentito ammirare l’eccellenza; oggi non si può più essere un martire, la nostra epoca è incapace di mettere qualcuno a morte. Quale errore di concetto! Non è l’epoca a dover avere la forza di mettere a morte un uomo o di farne un martire; è il martire, il martire in potenza, che deve avere la forza di dare all’epoca la passione, l’amara passione di farlo perire. […] E se l’epoca è immersa nella più grande mollezza, un tipo in gamba fa presto a renderla appassionata. Ma questo guastafeste sarebbe soltanto una rarità in un’epoca in cui il predicatore è degno dell’ascoltatore.”
Continua l’autore del libro Hadjadj: “ Il predicatore moderno accarezza il suo gregge nel verso del pelo. E’ degno dei suoi ascoltatori, non propone nulla che sia al di sopra del livello della mangiatoia, solo qualche rudimento di morale umanista che permette di ruminare tranquilli “.
Come ci suonano vere e attuali le parole di entrambi i filosofi. Le sperimentiamo tutti i giorni, nella quotidianità della nostra esperienza. Le viviamo reciprocamente nei rapporti personali più stretti, con nostra moglie o nostro marito, con i figli. Abbiamo paura di esporci, di far conoscere all’altro la parte più intima di noi, quella più vicina al nostro desiderio, con la D maiuscola, Desiderio di compimento della nostra esistenza, della nostra umanità.
Ma tutto questo vale anche per il nostro lato pubblico. E’ di oggi la notizia di un “tesoriere” di un importante partito politico italiano che ha distratto dalle casse del suo partito oltre dieci milioni di euro che sono finiti su conti correnti di società a lui riconducibili. Il segretario politico di questo partito, intervistato da un giornalista dichiara di non essersi accorto di nulla, di essere molto offeso per l’accaduto e di costituirsi parte civile, a nome del Partito, al processo (la morale umanista…) Ma come può questo signore non pensare che noi cittadini, noi elettori di un predicatore così non sappiamo cosa farcene? Come possiamo affidare noi cittadini a soggetti del genere la gestione della Cosa pubblica, se costoro non riescono a gestire nemmeno la Cosa loro?
In quest’epoca di grande mollezza, auspichiamo la venuta di giovani nuovi “martiri” che decidano di impegnarsi nella Cosa pubblica al posto di questi politici cialtroni che pensano soltanto alla loro mangiatoia e mai al Bene Comune.

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- Economia

Articolo 18 e mondo del lavoro.

Si può oggi in Italia parlare dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (nel senso di una sua modifica) oppure siamo in presenza di un Moloch intoccabile? Direi che in Italia esiste ancora una certa libertà di parola e di scrittura, il problema semmai è inquadrare correttamente i termini della questione. Ed io partirei dalla definizione di lavoro umano.
Il 14 settembre 1981 a Castel Gandolfo, Giovanni Paolo II firma la Laborem exercens, un documento fondamentale per chi oggi vuole ripensare un nuovo modo di concepire il lavoro. Rileggerla provoca brividi lungo la schiena per l’attualità dei temi toccati dal Papa, temi che sono stati profeticamente annunciati trenta anni fa.
Quasi all’inizio del documento, al paragrafo 3 si dice (cit.): “… il fatto che il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell'uomo. E se la soluzione o, piuttosto, la graduale soluzione della questione sociale, che continuamente si ripresenta e si fa sempre più complessa, deve essere cercata nella direzione di «rendere la vita umana più umana», allora appunto la chiave, che è il lavoro umano, acquista un'importanza fondamentale e decisiva.”
Il lavoro umano viene poi analizzato da diversi punti di vista e un paragrafo, il 16 merita qui attenzione (cit.): “Il lavoro è - come è stato detto - un obbligo, cioè un dovere dell'uomo, e ciò nel molteplice senso di questa parola. L'uomo deve lavorare sia per il fatto che il Creatore gliel'ha ordinato, sia per il fatto della sua stessa umanità, il cui mantenimento e sviluppo esigono il lavoro. L'uomo deve lavorare per riguardo al prossimo, specialmente per riguardo alla propria famiglia, ma anche alla società, alla quale appartiene, alla nazione, della quale è figlio o figlia, all'intera famiglia umana, di cui è membro, essendo erede del lavoro di generazioni e insieme co-artefice del futuro di coloro che verranno dopo di lui nel succedersi della storia. Tutto ciò costituisce l'obbligo morale del lavoro, inteso nella sua ampia accezione”.
Questo a nostro giudizio lo scenario di riferimento, la scala valoriale a cui riferirsi per incominciare a parlare di riforma del mondo del lavoro.
Del resto l’importanza del lavoro è tale che i Padri Costituenti l’hanno inserito nell’art. 1 della Costituzione italiana, anzi la Repubblica italiana si fonda sul lavoro. Ne consegue che prima di tutto, prima di ogni altra cosa, il Governo della Repubblica ha il dovere di occuparsi di sostenere la Repubblica, di ri-fondarla e irrobustirla ogni giorno sempre di più e quindi in primis di creare lavoro e non di pensare a nuove forme di perdita di lavoro, di licenziamenti o altro.
Veniamo infine alla Legge 20 maggio 1970 num. 300 (c.d. Statuto dei Lavoratori). Ricordiamo, a chi fa finta di non ricordare, che la legge fu promulgata dopo un ventennio di infuocate discussioni, sia parlamentari che nelle fabbriche (che allora erano ancora diffuse in Italia) e nella società civile. Nessun partito politico presente in Parlamento si oppose allo Statuto, il PCI e il PSIUP si astennero, gli altri votarono a favore.
Con questo voglio dire che l’attuale Governo presieduto da un premier “a scadenza” ravvicinata non penso che abbia il mandato popolare per occuparsi di un tema così importante e delicato qual è quello di riorganizzare il mondo del lavoro in Italia. E soprattutto non ha il tempo necessario a disposizione per fare le cose per bene. Del resto le priorità del Governo Monti erano altre e semmai le forze residue questo Governo farebbe meglio a spenderle cercando di porre in essere quelle azioni atte a ridurre lo stock del debito pubblico che ha raggiunto livelli quasi da non ritorno, generando ogni anno una montagna di interessi che andranno corrisposti ricorrendo purtroppo a nuove manovre finanziarie. Per quanto riguarda il rilancio dell’economia e quindi la crescita del PIL, non credo proprio che dipendano dall’abolizione o dalla modifica di un articolo di legge. Basta visitare il sito internet dell’ISTAT e osservare la linea crescente del PIL dell’Italia dal 1970 al 2000 per trarre le conclusioni del caso.

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- Navigazione

La tragedia della Costa Concordia

Quando accade una tragedia come quella che ha colpito la nave da crociera Costa Concordia, il primo pensiero corre sicuramente alle persone che hanno perso la vita durante quella che doveva essere una spensierata vacanza.

Poi arriva la fatidica domanda: come è potuto accadere un fatto simile? Come può una moderna nave da crociera dotata di ogni tipo di strumentazione elettronica, andare a scontrarsi contro uno scoglio segnalato nelle carte nautiche a circa duecento metri dalla terra ferma?
Forse una risposta definitiva e soprattutto esaustiva al cento per cento non l’avremo mai.
Tuttavia tre considerazioni a distanza ormai di qualche giorno dall’accaduto si possono proporre.

La prima: il Comandante Schettino ha sicuramente una responsabilità importante nell’aver permesso l’accaduto. Era sua la responsabilità della rotta della nave ed era sua la decisione finale di ogni manovra della nave. Il perché la Costa Concordia fosse finita così vicino alla terra ferma, sarà motivo di indagini, ma il Comandante Schettino aveva il dovere di evitare che ciò accadesse.

Secondo: l’errore umano è sempre possibile, in ogni attività e in ogni lavoro, dal più semplice al più complesso come è il governo di una nave da crociera con la responsabilità di trasportare quattromila persone. Quindi non mi sento di condannare senza appello il Comandante Schettino. Potrebbe anche aver commesso gli errori in buona fede, con superficialità ma in buona fede. Una cosa sola il Comandante Schettino non doveva fare, ed era l’unica cosa che agli occhi del mondo lo avrebbe riscattato: abbandonare la nave prima che l’ultimo dei mozzi fosse sceso a terra e si fosse messo in salvo. Solo così il Comandante Schettino si sarebbe riguadagnato la fiducia e soprattutto la stima degli italiani. Il gesto che ha compiuto, quello di scendere a terra tra i primi, è inqualificabile, impensabile per ognuno di noi. E’ patrimonio culturale di tutti che il comandante di una imbarcazione, sia essa una canoa o una nave di migliaia di tonnellate, è l’ultimo ad abbandonare la nave. E in questo caso, mi spiace, non ci sono scuse che reggano: onori ed oneri al comandante…

Terza ed ultima considerazione, purtroppo amara: questa vicenda racconta di una parte dell’Italia di oggi che vede ai posti di comando, di dirigenza, trasversalmente in tutti i settori della società, persone mediocri, non all’altezza dei compiti che sono loro affidati e nominate in quei posti per amicizie o complicità di altra natura. Gli esempi che mi vengono in mente sono molteplici, ma non è il caso di fare nomi e cognomi. Ognuno di noi nel proprio ambito lavorativo credo che possa trovare riscontro a questa riflessione. Se così non fosse, si tenga ben stretto quel posto di lavoro!

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- Esperienze di vita

Auguri ad Aldebaran!

Ecco quanto pubblicato ieri sulla prima pagina del mio blog:

"Auguri ad Aldebaran!

Oggi, 15 gennaio 2012 è nato Aldebaran, il mio primo blog!

Perchè un blog, perchè Aldebaran?

La "necessità" di un blog personale penso che sia nata giorno dopo giorno da quando, per caso, verso la fine del 2010 ho incontrato, navigando nel W.W.W. il sito di LaRecherche, rivista di letteratura on line con la quale collaboro e con la quale ho intenzione di collaborare ancora. Iniziare a pubblicare le mie opere, poesie innanzi tutto, scritte da quando avevo quindici anni, e poi articoli sull'attualità politica e culturale mi ha fatto sentire meglio.

Giorno dopo giorno mi sono accorto che esprimere i miei pensieri e le mie opinioni sui fatti di attualità mi aiutava a sopportare la tristezza e scaricare la tensione che provavo per le ingiustizie a cui ogni giorno capita a tutti noi di essere testimoni.

La scrittura quindi come terapia maieutica adatta a noi uomini di oggi iper stressati dal lavoro o dalla mancanza di lavoro. Terapia che consiglio a tutti!

A questo punto il desiderio di un luogo "tutto mio" sul web dove poter esprimere i miei pensieri liberamente si è fatto stringente ed ecco oggi la nascita di Aldebaran, la stella che segue, come tutti noi seguiamo nella vita qualcosa o qualcuno...

Non ho idea dove questa avventura mi condurrà nè quanto durerà. Una cosa so però: Aldebaran cercherà sempre di seguire la strada più faticosa e magari più lunga e tortuosa che porta alla Verità e non si lascerà circuire dalle facili chimere...non per spirito di autolesionismo, ma perchè il cuore dell'uomo cerca la Verità e solo la Verità lo farà sentire in pace.

Auguri quindi ad Aldebaran e auguri a tutti quelli che vorranno iniziare questo viaggio insieme a me".

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- Politica

La crisi di Fincantieri

Di tutte le crisi industriali che in questi ultimi mesi stanno riempiendo le pagine dei giornali e i telegiornali delle nostre televisioni, forse quella che appare più “assurda” e inspiegabile a menti semplici come le nostre è quella che ha investito Fincantieri.
Il motivo: mancanza di commesse. Mancanza di commesse?
Ma chi ha diretto Fincantieri in questi ultimi anni? Babbo Natale?
Quanti mesi / anni ci vogliono per costruire una nave da crociera, per completare una commessa? E nel frattempo chi deve occuparsi di far lavorare circa diecimila persone con famiglie non cerca di trovare nel mondo nuovo lavoro e nuove commesse? Ma le navi da crociera non sono più di moda, si dice. E allora? Un operaio che costruisce una nave da crociera non può costruire una nave porta container o un traghetto di linea o una nave militare o un rimorchiatore? Certo che chi doveva andare in giro per il mondo a cercare nuove commesse e non lo ha fatto, prima o poi dovrà rendersi conto che il problema dell’assenza di lavoro si presenta.
Ma dirò di più, ricordiamo questi nomi: Antonio Marzano dal giugno 2001 all’aprile 2005; Claudio Scajola sino a maggio 2006; Pier Luigi Bersani dal maggio 2006 al maggio 2008 poi ancora Claudio Scajola sino al maggio 2010, poi l’interim del Presidente del Consiglio Berlusconi e infine da ottobre 2010 a novembre 2011 Paolo Romani. L’attuale Corrado Passera non lo consideriamo essendo stato appena nominato.
Questi sono i nomi dei Ministri dello Sviluppo Economico degli ultimi dieci anni. Questi sono i nomi che ultimamente sono i responsabili del fallimento di una Politica di Sviluppo economica che è stata inesistente in Italia in questi ultimi dieci anni. Fincantieri è solo la punta dell’iceberg, è un caso talmente eclatante da non sembrare vero. Che l’Italia, Paese che costruisce navi da sempre, dai tempi dei romani che sconfissero la flotta cartaginese con la famosa battaglia di Milazzo dove fu per la prima volta al mondo sperimentato il “corvo”, non possa essere più presente con una propria realtà industriale nel settore delle costruzioni navali è francamente troppo da comprendere ed accettare per menti semplici come le nostre.
Certo il tempo perso è tanto, forse troppo. Dieci anni di inattività totale non si recuperano in un mese o due e la crisi economica non facilita certamente le cose. Tuttavia direi che un tentativo serio, portato avanti da persone competenti che abbiano in mente un progetto di rilancio per Fincantieri e cerchino di realizzarlo lo si debba fare. Prima di tutto per i lavoratori direttamente coinvolti, che non sono poche decine e poi anche questo è un segnale importante che l’Italia può fornire all’Europa sulla serietà del cambiamento in atto.

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- Politica

La fase due: vota Antonio!

Il Governo Monti ha terminato il primo compito che gli era stato affidato dal Parlamento: decidere le misure economiche “salva Italia”, cioè prendere quelle decisioni impopolari, ma che sembravano indispensabili e necessarie per abbattere lo spread, calmare i Mercati Finanziari e allentare la tensione sull’Euro. L’effetto ottenuto? Al momento non sembra quello sperato. Certo non è pensabile in pochi giorni rassicurare i Mercati Finanziari sulla tenuta dei nostri conti pubblici visto che il debito pubblico è ancora lo stesso di un mese fa e le azioni intraprese dal Governo devono essere verificate dalla prova dei fatti. Inoltre è chiaro a tutti che l’Italia da sola non può farsi carico di una situazione generale di crisi economica e finanziaria che coinvolge tutti i Paesi europei, Francia e Germania inclusi. Non è pensabile che sistemando i nostri conti pubblici, o provando a sistemarli seriamente, la crisi finanziaria come per incanto scompaia. Le drastiche misure prese dal Governo Monti, giuste o sbagliate, ciascuno può discutere, andavano prese per mandare quel segnale agli altri Governi europei sulla serietà della nostra posizione in Europa. Ma ora occorre che l’Europa decida cosa vuole essere da “grande”: una vera unione politica di Stati Uniti d’Europa oppure una unione economica e finanziaria di mercati con alcuni Paesi egemoni che dettano le linee guida.
A mio giudizio però, per sostenere il punto di vista italiano in Europa, qualunque posizione il Governo decida di prendere, occorre che lo stesso sia pienamente politico, cioè eletto direttamente dai cittadini italiani e non votato e sostenuto da Deputati e Senatori. Ecco quindi il secondo compito che spetta al Governo Monti: promuovere senza indugio la riforma dell’attuale legge elettorale, che non prevede attualmente la possibilità di far esprimere all’elettore la propria preferenza per il candidato in lista, facendo scegliere di fatto a cinque o sei persone la composizione del Parlamento, contribuendo così a generare non poco l’attuale situazione di degrado in cui versa la nostra classe politica. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti e non mi sembra il caso di aggiungere altro.
Esaurito questo secondo compito il Governo Monti a mio avviso potrà ritenersi soddisfatto per aver contribuito a fornire all’Italia due importanti passaggi istituzionali che le avranno permesso di attraversare la bufera e cambiare rotta dirigendo la prua della nave, si spera, verso mari più tranquilli.
E quindi alle urne!

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- Letteratura

Cose che nessuno sa

Siamo onesti: le aspettative sul secondo romanzo del Professor D’Avenia erano alte, dopo il successo straordinario e inaspettato del suo romanzo d’esordio. Ebbene, non siamo stati delusi. Il secondo lavoro, <Cose che nessuno sa> , è un romanzo di ampio respiro, dove le storie dei protagonisti si intrecciano con le storie personali del lettore e la storia della nostra letteratura, cioè della nostra vita, si diverte con esse. <Cose che nessuno sa> è un grande romanzo d’amore e quindi di vita e di morte. Amore presente, amore assente, amore perduto, amore mai conosciuto, amore filiale, amore coniugale, amore per la letteratura, amore ideale, amore carnale.

Ognuno dei protagonisti principali compie all’interno della storia il proprio cammino per ritrovarsi alla fine cambiato, migliorato. Margherita, la figlia adolescente, elabora il dolore dell’abbandono del padre grazie all’aiuto inconsapevole del suo Professore di Italiano e Latino, il Professore di Italiano e Latino elabora il suo amore per Stella grazie al dolore di Margherita che gli trasmette, inconsapevole, il coraggio di Telemaco che parte alla ricerca del padre. E poi c’è Giulio, un adolescente in crisi come Margherita: insieme i due compiranno il cammino che porta alla maturità. E poi c’è la madre di Margherita che elabora i motivi della crisi del suo matrimonio e con l’aiuto della nonna Teresa e grazie al sacrificio di Margherita, trova il perdono. E infine c’è nonna Teresa, punto di riferimento per Margherita. Il colpo di scena finale rende la sua figura ancora più speciale, cerniera tra il passato e la vita nuova che attende Margherita.

A differenza di <Bianca come il latte e rossa come il sangue>, questo secondo romanzo è rivolto più ad un pubblico adulto, i temi trattati sono impegnativi e richiedono per essere elaborati, forse, più esperienza di vita di quella che possiede un adolescente. Stilisticamente, l’uso della lingua siciliana che nonna Teresa porta nel romanzo è qualcosa di veramente bello e ci riporta con la musicalità delle parole ad un tempo che fu, all’arché manifesto.

Chiudo con le ultime parole di D’Avenia, nei ringraziamenti: “Proprio te ringrazio, lettore, che hai accostato l’orecchio a questa storia, come si fa con una conchiglia. E spero che tu abbia provato nel leggerla ciò che ho sentito io nello scriverla: un po’ più di amore per la vita e un po’ più di misericordia per l’uomo”.

Il resto sono cose che nessuno sa.

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- Letteratura

La prima politica è vivere

Per raccontare le emozioni che ho provato leggendo il lavoro di Maurizio Lupi, partirei dall’ultima riga scritta in fondo al libro: P.S. dove non c’è ironia non c’è umanità.

Nelle cento pagine scritte da Lupi, c’è tantissima umanità farcita di ironia feconda. Quell’ironia che ti permette di relazionarti con l’altro diverso da te, partendo non da posizioni preconcette, ma aperto al confronto e al dialogo, pur certo del luogo da cui tu provieni.

Il luogo da cui proviene Lupi è l’esperienza del movimento di Comunione e Liberazione. Citando Don Luigi Giussani, il fondatore del movimento ecclesiastico, Lupi ricorda una frase ripetuta spesso da Don Giussani durante le sue Lezioni all’Università Cattolica: “scopo della Chiesa è sì l’annuncio di Cristo, ma anzitutto educare l’uomo al senso religioso, ovvero a tener vive, a non spegnere, le domande sul significato della propria esistenza”. Questa esperienza accompagnerà sempre Lupi, sin dai primi incarichi pubblici al Comune di Milano.

Il libro di Lupi stupirà il lettore nel fargli apprendere che la vita di un uomo politico, oggi, può essere, nella realtà, diversa da come viene descritta molto spesso sui giornali. E’ la parola amicizia che più si legge nelle pagine di Lupi. Amicizia tra persone che provengono da storie diverse, da regioni diverse, da culture diverse, ma tutte mosse dal desiderio di fare il proprio meglio per il nostro Paese, per il Bene Comune. Scrive Lupi a proposito del deputato PD, Ugo Sposetti: “il punto quindi non era convincerlo delle mie idee, ma andare tutti e due al fondo delle nostre esperienze. Solo così avremmo capito ciò che valevano e, nel caso, saremmo stati disponibili a rimetterci in discussione” .

Proprio in queste settimane dove, con riferimento all’attuale Governo “tecnico”, da più parti si parla di abdicazione della Politica dalle proprie responsabilità, leggere il libro di Lupi aiuta a riempire i polmoni di quell’aria pura che a Milano scarseggia, a dir la verità anche per colpa del PM10. L’aiuto viene dal sapere che ci sono ancora persone che hanno voglia e desiderio di impegnarsi in politica, anzi in Politica avendo come ideale il Bene Comune del popolo che è il vero Sovrano cui i politici si devono dedicare. Finché ci saranno persone così, la Politica non abdicherà alle proprie Responsabilità.

Maurizio Lupi, La prima politica è vivere, Arnoldo Mondadori Editore spa.

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- Esperienze di vita

Ugo e Lucio

Cosa ho pensato quando ho letto la notizia del suicidio premeditato e realizzato da Lucio Magri?
Mi è venuto in mente il mio amico Ugo. Ugo ha 47 anni, due più di me, ed è ingegnere meccanico.
Per dieci anni siamo stati amici “per la pelle”, come si dice. E’ stato uno dei miei testimoni di nozze. Poi la vita, come spesso accade, ci ha separato. Lui è andato a lavorare in Cina e per alcuni anni ci siamo sentiti sporadicamente. Poi ci siamo ritrovati, lui si è sposato con Silvia, una ragazza di origini venete conosciuta a Milano e sono venuti ad abitare non lontano da me. Dal matrimonio sono nati due bambini, Riccardo, che oggi ha quattro anni, e Letizia che di anni ne ha due.

Un giorno di primavera di due anni e mezzo fa, Ugo esce dallo studio di un medico con nelle orecchie queste parole: lei Ingegnere non faccia progetti a lunga scadenza perché non le rimangono più di due anni di vita, lei ha la SLA.

Da quando ho appreso la notizia della malattia, vado a trovare il mio amico Ugo quasi tutte le settimane, di solito il venerdì pomeriggio e passo un po' di tempo con lui, Silvia, i bambini e tutti gli amici che circondano Ugo, che oggi vive su una sedia a rotelle, non muove più alcuna parte del corpo tranne gli occhi, respira aiutato da una macchina e si alimenta con un sondino. Io e Ugo parliamo grazie ad una specie di computer che è posizionato davanti al suo viso e lui con gli occhi seleziona le lettere e forma le parole che poi una voce sintetica recita a voce alta, la nuova voce di Ugo. Per essere sinceri io vado a trovare Ugo per una forma di egoismo. Davanti al mio amico contemplo il mistero di quella sua vita così diversa dalla mia di adesso, ma che percepisco carica ugualmente di un significato profondo per cui vale la pena di essere comunque vissuta. Questo mi dice lo sguardo di Ugo ogni volta che lo incrocio. Quando gli chiedo: come va?, Lui mi risponde: “ho un po’ di SLA, ma per il resto va bene! E poi c’è chi sta peggio di me, bastardo interista!” che poi sarei io!

Il sacrificio di Ugo aiuta me e tutti i suoi amici a comprendere che la vita ci costringe ogni giorno a portare un pezzettino di Croce, cioè ci costringe quotidianamente a fare i conti con il fine ultimo delle nostre azioni. In questo cammino non siamo soli, ma accompagnati da altre persone che condividono con noi questa fatica. Solo compiendo sino alla fine questo cammino, ognuno di noi realizza il proprio Destino, Ugo realizza il suo Destino. Quindi vado a trovare il mio amico Ugo e lo ringrazio perché non c’è oggi luogo più prezioso intorno a me per fare questa esperienza. Quando varco la soglia della sua abitazione di solito sono stanco e pensieroso dopo una giornata di lavoro, quando lo saluto ed esco, sono sereno e lieto perché ho fatto esperienza di quel Significato ultimo della nostra vita che è il Mistero incarnato.

Io credo, anzi ne sono convinto, che se Lucio avesse conosciuto il mio amico Ugo, non si sarebbe tolto la vita.

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- Politica

Cui prodest ?

E’ di oggi la notizia: l’OCSE prevede per l’Italia un 2012 in recessione, cioè a PIL negativo. Per la Germania la previsione 2012 è una crescita dello 0,6% (contro una stima del 3% di crescita per quest’anno) ; per la Francia una crescita dello 0,3% nel 2012 (1,6% quest’anno) e per il Regno Unito una stima di crescita nel 2012 dello 0,5% (0,9% la crescita prevista per quest’anno). Complessivamente l’area Euro nel 2012 crescerà dello 0,2% contro una crescita dell’1,6% prevista per quest’anno. Le previsioni per gli USA sono di una crescita del 2% nel 2012 (1,7% per quest’anno). Come si può facilmente immaginare, una crisi imprevista, un fattore non calcolato che crea sfiducia nei Mercati e l’Europa nel 2012 sarà in recessione e di questo gli Stati Uniti hanno paura, che l’Europa in recessione blocchi la timida ripresa in atto negli USA.

E per le altre economie emergenti come sarà il 2012? L’OCSE prevede una crescita del PIL cinese dell’8,5% e del 9,5% nel 2013. Per l’India +7,2% nel 2012 e + 8,2% nel 2013. L’Indonesia +6,1% e +6,5%; la Federazione Russa +4,1% sia nel 2012 e sia nel 2013; il Sud Africa +3,6% e + 4,7%, infine il Brasile +3,2% e +3,9% nel 2013. Ma fermiamoci alla Cina. La Cina nel 2007 era la quarta economia del mondo, dopo USA, Giappone e Germania. Quest’anno è la seconda, avendo superato anche il Giappone, il che equivale a dire che il PIL cinese nel 2011 è stimato pari a 1.330 miliardi di dollari USA.

Con questo cosa voglio dire? Non penso che dietro l’attuale situazione di crisi economica europea e americana, non mondiale perché abbiamo visto che l’altra metà del mondo sta crescendo e anche a ritmi sostenuti e continuerà a farlo, ci sia un complotto ordito dalla Cina, magari con l’aiuto esterno di qualche altro Fondo Sovrano ai danni dell’Europa e degli USA. Europa e Stati Uniti si trovano in questa situazione di debolezza a causa di errori compiuti nei decenni passati sulle scelte eseguite non solo in politica economica, ma anche in politica estera; per quanto riguarda l’Europa lo stesso processo a cui si è arrivati all’Euro è stato carente, a mio avviso prima di tutto nell’esplicitare le ragioni per cui popoli diversi, ma accomunati da ideali e origini culturali comuni, decidono di unirsi e di guardare al futuro insieme. Venuto meno questo ideale, adesso è difficile per i Governi nazionali trovare le motivazioni e quindi di conseguenza porre in essere le azioni correttive, avendo a cuore il Bene Comune dell’opera che si è voluta costruire, cioè l’Europa, e non quella dei singoli Stati.
Tuttavia è altrettanto certo che una Nazione come quella cinese, prima o poi, farà sentire sul piano internazionale tutta la potenza della sua economia. “In politica contano i numeri”, è un vecchio adagio sempre vero. E mi sembra che nel caso della Cina lo sia particolarmente.

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- Letteratura

Il bambino di Noè

Bruxelles 1942, Joseph, un bambino ebreo di quasi otto anni, viene separato dalla sua famiglia a causa della stupidità degli uomini che pensano di risolvere i conflitti con l’uso della forza.
Le vicende narrate portano il bambino ad incontrare Padre Pons, un sacerdote cattolico che lo ospita, insieme ad altri bambini ebrei, in un collegio e così facendo gli salva la vita.
In questi due anni trascorsi con Padre Pons e gli altri ospiti del collegio, Joseph si apre alla vita e al mondo e mentre oltre le mura del parco che circonda il collegio sembra che la Terra tutta sprofondi nel baratro, il mondo di Joseph prende forma, tassello dopo tassello. Joseph prende coscienza di sè, di cosa significhi avere un amico, ma anche cosa siano la paura, il terrore e la disperazione.
Ma più di tutto, Joseph, attraverso l’amicizia con Padre Pons, intuisce la grandezza di Dio, cosa vuol dire essere ebreo ed essere cristiano, intuisce il valore della parola libertà. Dice Padre Pons al ragazzo che voleva convertirsi al cristianesimo: “Oggi come oggi è essenziale che tu accetti di essere ebreo. E’ una cosa che non ha niente a che vedere con la convinzione religiosa. In seguito, se continui a volerlo, potrai diventare un ebreo convertito”.
L’incontro finale con i genitori ritrovati riporta Joseph sulla terra e lo introduce nel mondo degli adulti. L’età della fanciullezza è alle spalle, ma Padre Pons lo accompagnerà sempre nel cammino della vita sino alla morte e gli passerà, con dolcezza e senza imposizioni, il testimone.
Un’opera da leggere per meglio comprendere quanto bene l’uomo può fare nel mondo rispettando e amando di più il proprio vicino di casa, in qualsiasi Paese quella casa abbia le fondamenta.

Eric - Emmanuel Schmitt, Il bambino di Noè, BUR Rizzoli Editore

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- Letteratura

La baracca degli Angeli - Don Carlo Gnocchi

Il credente, l’uomo di fede, vive di certezza e costruisce la sua opera durante tutta la sua vita e alla fine la lascia in eredità ai suoi figli. Lo scettico, il relativista, il nichilista, vive senza certezza, in compagnia del dubbio esistenziale, perché non ha fede nell’esistenza di qualcosa d’altro per cui valga la pena costruire un’opera, è fermo, non si impegna fino in fondo nella società, è a favore dello status quo. Gli scettici in teoria, sono di fatto dei conformisti nella pratica. E quindi la società costruita dagli uomini di fede, progredisce, migliora; la società costruita nello scetticismo, nel relativismo, non progredisce anzi regredisce. Come diceva Aristotele, il dubbio incatena, la certezza libera.
A leggere il bel libro: “La Baracca degli Angeli” di Roberto Gatti viene subito da dire “grazie” a Carlo Gnocchi, un santo, cioè un uomo che ha vissuto pienamente la sua umanità, per quello che ha iniziato a costruire a favore dei più deboli, bambini, orfani, mutilati, persone uscite distrutte dall’esperienza allucinante della Seconda Guerra mondiale.
Senza una Fede grande Don Carlo Gnocchi non avrebbe potuto affrontare la difficile realtà del suo tempo e stravolgerla con il suo infinito Amore verso i suoi ragazzi bisogni prima di tutto di una carezza e poi di assistenza medica.
Con la vita di Don Carlo Gnocchi si va all’origine della pretesa cristiana, cioè alla ragione dell’esistenza del dolore, quello più profondo e più devastante, quello che colpisce i bambini innocenti e stravolge l’esistenza di genitori incapaci di affrontarlo e gestirlo: la pedagogia del dolore innocente, come la definiva Don Carlo.
Leggere questo libro, oltre a farci memoria di quella che è stata la vita e l’opera di un santo contemporaneo, ci ha portato a confrontarci con i tempi che stiamo vivendo. La crisi economica di oggi, che forse è prima di tutto crisi di Umanità e crisi di Valori, crisi di Proposte per cui valga la pena che un giovane spenda la propria vita, può trovare nell’esempio di vita di Don Carlo una risposta positiva, una strada già tracciata che porta alla santità, cioè alla realizzazione piena della propria esistenza.
Il santo è un uomo che rischia, che non si lascia affliggere dai problemi e dalle apparenti sconfitte. Il santo porta sulle spalle quotidianamente il suo pezzetto di Croce con la certezza che la strada è segnata e la sua opera si diffonderà ovunque il Signore vorrà.
L’opera scritta da Roberto Gatti, che appare nel panorama culturale con un tempismo perfetto, è praticamente un racconto della sua esperienza di vita dentro la Fondazione, un racconto delle tante storie di bambini e ragazzi incontrati nei vari centri della Fondazione, tutti bisognosi in fondo di un gesto d’amore gratuito.
Ripartire dalla gratuità, dal dono di un poco del proprio tempo a favore dei più piccoli e bisognosi può già essere un buon inizio per invertire la rotta.
Come diceva Antoine de Saint Exupery, “se devi costruire una nave, non radunare uomini per raccogliere legna e distribuire compiti. Ma insegna la nostalgia del mare infinito”. Di questa nostalgia era ricco Don Carlo.

Roberto Gatti, La baracca degli Angeli, Ugo Mursia Editore spa -Milano

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- Politica

Due cose da fare prima di votare

Il Re è nudo scrivevamo un paio di mesi fa. Ora che il dado è tratto, restano due le cose da fare prima di dare la parola al Popolo sovrano.

La prima: votare le prime urgenti norme di carattere fiscale - economico che ridiano credibilità ai Mercati circa la serietà e volontà del Popolo italiano di affrontare l’attuale situazione di grave crisi economica in cui versa il Paese.

La seconda: scrivere una legge elettorale nuova che dia effettivamente agli elettori, il Popolo sovrano, la possibilità di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento.

Sia chiaro: delle due, ritengo prioritaria la seconda.

Come siamo giunti alla situazione attuale sarà materia per gli storici che ci diranno tra dieci, venti anni quali errori sono stati commessi e di quali responsabilità le singole forze politiche dovranno rispondere. Ma una responsabilità è chiara sin da ora: la legge elettorale con la quale è stato eletto nel 2008 l’attuale Parlamento è inaccettabile prima di tutto da un punto di vista etico e poi anche da un punto di vista politico. Siamo convinti che se avessimo avuto un altro Parlamento, o meglio altri Parlamentari, meno asserviti ai Capi Corrente e ai Capi Popolo e più dediti al Bene Comune, la storia politica italiana di questi ultimi tre anni sarebbe stata diversa.

Che sia l’attuale Governo in carica ancora per pochi giorni, che sia un nuovo Governo politico, che sia un Governo tecnico o di Unità Nazionale, poco importa. L’importante è che le forze parlamentari presenti oggi in Parlamento rendano al Paese questi ultimi due servizi, i più importanti della Legislatura. Altrimenti sì, gli storici saranno implacabili.

Poi voltiamo pagina e andiamo a votare.

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- Società

Pompei e Unesco

Questa nota compare questa sera (24.10.2011) sulla pagina web del Ministero per i beni e le attività culturali (http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_224050623.html):

“La notizia diffusa oggi da alcuni organi di stampa relativa al commissariamento del sito archeologico di Pompei da parte dell’Unesco è priva di ogni fondamento. In merito poi ai 105 milioni di euro, vincolati dal via libera della Commissione Europea, si ribadisce che il Piano per Pompei, approvato nel giugno scorso dal Consiglio Superiore per i Beni Culturali, consente di poterli destinare esclusivamente al sito di Pompei.

Nota ufficio stampa sottosegretario Villari “


In queste ore che forse segneranno la fine della XVI Legislatura e del IV Governo Berlusconi, la notizia,al momento smentita, di un intervento diretto da parte dell’Unesco per salvare il sito archeologico di Pompei dal degrado incredibile in cui è caduto a causa dell’inciviltà e della grettezza d’animo di chi dovrebbe proteggerlo e custodirlo appare di secondaria importanza.

Tuttavia, a ben riflettere, la vicenda di Pompei è sintomatica dello stato “comatoso” in cui versa la classe dirigente del nostro Paese che non è capace neanche di difendere, tutto sommato a costi ridicoli se si pensa al bilancio dello Stato, un Bene unico al mondo, UNICO al mondo.

E da questa classe dirigente, di Destra, di Centro e di Sinistra, gli italiani si dovrebbero aspettare le proposte innovative per uscire dalla crisi globale in cui il sistema occidentale è immerso sino al collo…?

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- Politica

Due riflessioni su recenti fatti di cronaca

Il primo fatto: l’assoluzione di Amanda e Raffaele dall’accusa di aver ucciso la giovane Meredith Kercher. Premesso che le sentenze di Tribunale emesse in nome del Popolo italiano non si discutono, mi sorgono spontaneamente tre riflessioni. 1°) I due giovani credo abbiano diritto ad un risarcimento danni per aver trascorso circa quattro anni in prigione, ingiustamente privati della libertà personale. Ma a parte il risarcimento monetario, chi restituisce ai due giovani la possibilità di rivivere da uomini liberi gli oltre mille giorni di prigionia? 2°) Non credo che in questo caso si possa parlare di errore giudiziario. Semmai credo che in quattro anni di indagini, gli inquirenti non siano riusciti a produrre prove “inconfutabili” da convincere oltre ogni ragionevole dubbio una Giuria Popolare d’Appello della colpevolezza degli indagati. E questo è sicuramente da imputarsi all’Accusa. E allora mi sorge una domanda: quanto denaro pubblico è stato speso inutilmente, direi sperperato, nel corso di questi quattro anni di indagini? 3°) Occorre sicuramente migliorare l’efficienza di tutto il procedimento processuale. Primo per arrivare più velocemente ad una sentenza che accerti definitivamente assoluzioni o colpe. Secondo perché i costi diretti e indiretti di procedimenti giudiziari così lunghi in periodi di crisi economica non possiamo più sostenerli. Terzo per una questione di “Giustizia” con la G maiuscola. Quattro anni per arrivare ad una sentenza di assoluzione in un caso come quello di Perugia, dove gli attori, le parti in causa e i fatti processuali sono stati da subito individuati e studiati mi sembrano eccessivi.

Il secondo fatto che voglio commentare e che per certi aspetti è legato al primo è la decisione del GIP di Pinerolo di ordinare la distruzione della c.d. lista Falciani contenente l’elenco di oltre 7000 presunti evasori fiscali italiani che avevano aperto un conto corrente presso una banca svizzera. Tale elenco, in realtà contenente circa 80.000 nomi di “clienti” della banca, era stato trafugato illegalmente dal dipendente bancario “infedele”. Attraverso vari passaggi, l’elenco era poi arrivato nelle mani dell’Agenzia delle Entrate italiane che aveva iniziato le indagini a carico dei presunti evasori e aveva iniziato i primi procedimenti. E proprio nel corso di uno di questi primi processi in corso a Pinerolo, il GIP ha dichiarato l’inammissibilità dell’utilizzo del documento trafugato illegalmente, ritenendo corretto applicare a questo caso un articolo della legge del 2006 promulgata dopo il clamoroso caso scoppiato intorno alla Security di Telecom/Pirelli, articolo che impone la distruzione dei «documenti illecitamente acquisiti» e condanna a 6 anni chi continua a detenerli (7 se pubblico ufficiale). Anche in questo caso non commento la decisione del GIP che, dovendo applicare la legge, non può sottrarsi ad essa. Il problema qui è sostanzialmente politico: può in questo particolare periodo storico un Governo che sta facendo della lotta all’evasione fiscale una bandiera nazionale, assistere alla distruzione di un elenco contenente i nomi di 7000 presunti evasori fiscali senza fare nulla per evitare tale azione? Che credibilità potrà avere il Presidente del Consiglio o il suo Ministro dell’Economia e Finanze quando parlano agli italiani di lotta all’evasione, se la lista Falciani venisse distrutta o resa inutilizzabile ai fini delle indagini su eventuali evasioni fiscali di contribuenti furbettini… Certo, la lista in questione all’origine è stata trafugata da un dipendente infedele di una banca svizzera, ma il reato del dipendente compiuto nei confronti del suo datore di lavoro non mi sembra che tolga valore ai dati contenuti nella lista, anzi la fonte per il tipo di indagine in questione mi sembra tra le più autorevoli. Questo episodio mi fa tornare alla mente il caso di un magistrato della Corte di Cassazione che di fatto causava la scarcerazione dei boss mafiosi condannati in via definitiva annullando le sentenze perché nelle stesse, una volta depositate, mancava un timbro o una firma del giudice o del cancelliere. Forse bisogna pensare a modificare la legge… Del resto, lo avevano scritto per primi duemila anni fa i nostri padri: "summum ius, summa iniuria".

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- Società

Romeo e Giulietta dei nostri giorni

Giovedì 29 settembre si è tolta la vita a Tehran una giovane donna, Nahal Sahabi.
Chi è Nahal? Nahal è, era, una giovane maestra d’asilo, aveva ventotto anni, ed era fidanzata di Behnam Ganji, uno studente universitario di 22 anni e amico a sua volta di Koohyar Goudarzi, membro del Committee for Human Rights Reporters (CHRR) a Tehran e arrestato dalla polizia dopo la rielezione del Presidente Ahmadinejad nel 2009. I due amanti vengono arrestati dalla polizia nell’ambito della stessa indagine a luglio di quest’anno e poi rilasciati. Behnam trascorre otto giorni nella prigione di Evin a Tehran, Nahal “solo” tre giorni.
Da quando Behnam è uscito di prigione, non è più lo stesso. Gli amici non sanno cosa gli sia successo in quegli otto giorni, ma si pensa a torture fisiche e psicologiche. Ai primi di settembre, Behnam si toglie la vita con una overdose di medicine. Nahal, distrutta dal dolore, lo raggiunge in cielo giovedì 29 settembre.
Prima di morire Nahal scrive sul suo blog: ‘So it’s Thursday again. Come, Behnam. Let’s dance together on Thursday once more.’
Ho appreso questa storia dalla pagina Facebook della mia amica Azadeh Pourzand ed ho cercato ulteriori informazioni su internet. La stampa italiana, sino ad ora, ha completamente ignorato la vicenda. L’unico giornale “on line” che ha pubblicato la notizia è stato il Daily Mail con un bell’articolo di Jessica Satherley che ha paragonato i due amanti a moderni Romeo e Giulietta.
Lascio ad ogni lettore ulteriori riflessioni.

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- Politica

Il Re è nudo

Il Re è nudo.
Comunque vada a finire questa manovra finanziaria, la terza del 2011, il governo Berlusconi è venuto meno all’unica promessa che doveva mantenere: non mettere le mani nelle tasche degli italiani. Non che gli italiani ci credessero ancora, alla promessa. Chi ha perso è il Berlusconi politico, l’uomo in cui gli italiani nell’ultimo ventennio avevano riposto la fiducia per continuare a mantenere un futuro da “soap opera” e invece si sono ritrovati senza più futuro.
Certo la crisi è di quelle toste, una crisi così la si vede una volta sola in un secolo, “ è peggio della crisi del 1929” ha dichiarato il segretario al Tesoro Usa Tim Geithner ancora ieri sbarcando a Marsiglia per la riunione del G 7 e si può continuare a parlare delle varie cause scatenanti questa crisi, la globalizzazione, la finanza malata, l’euro debole, l’Europa che di fatto politicamente non esiste e via dicendo.
Ma tutti questi fattori chiamiamoli “negativi” valgono per tutti i Governi, per tutti gli Stati. Come è possibile che l’Italia in questi ultimi venti anni invece di crescere stia regredendo ? Non voglio in questa sede tediare i lettori con numeri e statistiche, per chi volesse i numeri esiste il bellissimo e completissimo sito dell’Istat a cui vi rimando (http://www.istat.it/it/).
La mia breve analisi vuole essere più che altro politica: occorre a questo punto che il popolo italiano tiri le conseguenze di questo ventennio politico. Dal 1991 al 2011 Berlusconi e i suoi alleati hanno governato dal maggio 1994 al gennaio 1995 ; dal giugno 2001 al maggio 2006 e dal maggio 2008 ad oggi. La Sinistra con Prodi/D’Alema dal gennaio 1995 al giugno 2001 e dal maggio 2006 al maggio 2008.
Quando Berlusconi scese in campo politicamente (inizi anni ’90) volle occupare lo spazio lasciato vuoto dalla Democrazia Cristiana e convinse gli italiani, soprattutto una larga fetta di elettorato cattolico, che non dovevano votare a sinistra, che ora era lui l’erede di De Gasperi, era lui il difensore degli ideali cattolici e borghesi, dei piccoli imprenditori come della famiglia, della libertà spirituale e di quella economica. Con lui gli italiani avrebbero continuato a crescere e lo Stato si sarebbe fatto da parte, non si sarebbe intromesso troppo in economia, ma avrebbe difeso i valori della Patria contro una politica della Sinistra che andava nella direzione opposta in tutti i campi.
Gli italiani gli credettero, anche perché la proposta era ben servita con una campagna mediatica e di informazione senza precedenti, come non si era mai vista prima nel panorama politico italiano. Nessuno, prima di Berlusconi, aveva mai fondato un partito, raccolto milioni di voti e vinto le elezioni nel giro di un paio di anni.
Una tale forza d’urto cosa ha portato inevitabilmente con sé? Una contrapposizione tra gli opposti schieramenti come mai prima d’ora si era avuta. E forse sta proprio qui il nocciolo del problema attuale. In Italia, come del resto accade in tutti i Paesi civili, prima della discesa in campo di Berlusconi, quando si doveva affrontare una crisi economica grave, i principali partiti politici mettevano da parte le proprie divergenti visioni e cercavano di convogliare le energie sulle cose da fare per uscire insieme dalla crisi. Ora questo sembra impossibile da realizzarsi perché il clima politico è troppo carico di tensioni, di veleni, di cattiverie e piccoli interessi particolari che fanno perdere di vista il Bene Comune.
Ora credo che se Berlusconi vuole passare alla Storia come grande Statista, ha ancora la possibilità di farlo e in una situazione grave come quella attuale può compiere quel passo in avanti ormai da molti richiesto, rassegnando le proprie dimissioni e permettendo la formazione di un grande Governo di solidarietà nazionale che, superando i veti incrociati, permetta all’Italia di voltare veramente pagina e di ricominciare a sperare.

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- Filosofia

Il Maritain del XXI secolo

- La terra strada del cielo - è stato scritto da Fabrice Hadjadj nel 2002, pochi anni dopo la sua conversione al cattolicesimo, avvenuta in Francia nel 1998. Il sottotitolo dice: manuale dell’avventuriero dell’esistenza. Il filosofo è nato a Nanterre nel 1971 da genitori ebrei di origini tunisine. Suo padre, diplomatico, ha lavorato per molti anni in Africa dove Hadjadj trascorre la sua gioventù.

Hadjadj ha partecipato alla XXXII edizione del Meeting di Rimini come relatore di un incontro dal titolo: l’inevitabile certezza: riflessione sulla modernità. “La certezza è solidità – ha spiegato Hadjadj – ma non la solidità della pietrificazione bensì quella del nostro cammino”. Ciò che non fa vivere, per il filosofo francese, non è la certezza ma il dubbio. “Se voi non foste certi che io non sia un terrorista norvegese pronto a spararvi – ha esemplificato – non potremmo andare avanti nella nostra riflessione. Lo stesso Aristotele associa il dubbio a ciò che incatena e la certezza a ciò che libera”. Per questo motivo gli scettici, nella vita quotidiana, finiscono per essere sempre conformisti: siccome non c’è alcuna certezza, non cambiano niente.

- La terra strada del cielo - è l’opera fondante il pensiero di Hadjadj. Con essa il filosofo pone le basi della sua riflessione metafisica che parte dalla riscoperta del valore della terra. Cit. :” la crisi dell’ambiente non è un problema di carattere materiale, ma spirituale”. Ripercorrendo il pensiero filosofico degli ultimi secoli, Hadjadj individua tre mali contemporanei, tre “tentazioni” che ci allontanano dalla Verità: manicheismo, panteismo e agnosticismo. Nella seconda parte dell’opera, composta nella traduzione italiana di centoventitre pagine, il filosofo parte dalla terra per arrivare al cielo, la vera terra promessa. Cit.: “Risvegliando in noi il desiderio del Cielo, [la Grazia] rende più profondo il nostro legame con la terra; elevando il nostro spirito verso le cose di lassù, rende più ampio il nostro rapporto con la carne così bassa, ma chiamata alla resurrezione.”

Durante la lezione tenuta al Meeting di Rimini, Hadjadj terminava: “La certezza è apocalittica, non nel senso oggi comune di catastrofica, ma nel suo significato di ‘rivelazione’. Dopo il crollo delle ideologie e oltre le incertezze della post modernità, ci resta un’immensa ed inevitabile certezza di apocalisse, un’esistenza feconda che manifesta la gloria attraverso la croce, che porta una rivelazione fin nel cuore della catastrofe”.

In conclusione: un autore contemporaneo che invito a meglio conoscere e meditare: propone riflessioni profonde, non comuni e che lasciano il segno nella nostra anima sempre assetata di Verità. Che sia il nuovo Maritain?

Per chi fosse interessato a leggere l’opera citata in questo articolo:
Fabrice Hadjadj, La terra strada del cielo, Casa Editrice Lindau srl - Torino

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- Letteratura

Una nuova coppia di sbirri

In queste prime sere d’estate ho terminato di leggere Gli Angeli di Lucifero, opera prima di Fabrizio Carcano.
Il topos del romanzo è la Milano di oggi che l’autore dimostra di conoscere molto bene e che descrive con sapienza e particolarità nei suoi aspetti architettonici tanto da indurre il milanese doc a fare un sopraluogo nella tal via o nella tal piazza perché proprio quel particolare non l’aveva mai notato! Ma non solo: nel romanzo si respira anche la Milano frenetica che pensa come prima cosa al lavoro, attraverso le professioni delle prime tre vittime, un pubblicitario, un immobiliarista trafficone ed un medico e si apre uno squarcio su tre diversi mondi milanesi che vengono descritti ciascuno con i propri chiaroscuri e i propri rituali.
Giorno dopo giorno, dal 7 giugno all’8 luglio 2009, l’autore racconta la storia di un’indagine molto complessa e senza un apparente movente, condotta dal Vice Questore e Capo della Mobile di Milano, Bruno Ardigò. I tre iniziali efferati omicidi sono ricondotti nell’ambito delle sette esoteriche e sataniche e grazie anche al secondo eroe che appare da subito nella storia, il giornalista amico di Ardigò, Federico Malerba, le indagini proseguono tra mille difficoltà e arrivano alla fine a far luce non solo sugli omicidi di oggi, che nel frattempo sono diventati cinque, ma anche a svelare i retroscena, i mandanti e i colpevoli di casi di omicidi rimasti irrisolti negli anni settanta e novanta.
La lettura del romanzo, composto da 718 pagine, scorre rapida e veloce. Il lettore è avvolto e precipitato sempre più nella trama che ha come sfondo il mondo delle sette sataniche. Il tema del satanismo tuttavia non disturba la lettura ed è sempre trattato unicamente in funzione allo sviluppo dell’intreccio e all’utilità delle indagini.
Il Capo della Mobile Ardigò e il giornalista Malerba formano una coppia ben riuscita di investigatori, ciascuno con il proprio carattere e temperamento e ciascuno nel rispetto del proprio ruolo istituzionale, contribuiscono allo sviluppo nitido e pulito della storia, ricca di colpi di scena.
I due uomini sotto certi aspetti ricordano un’altra coppia di investigatori resi celebri da una serie di telefilm, Ellery Queen: un ispettore di polizia, Richard Queen, e suo figlio, scrittore, collaborando in via non ufficiale risolvevano casi di omicidi nella New York degli anni trenta e quaranta.
Ci piacerebbe che l’autore di questo romanzo pensasse ad un seguito, ad una nuova avventura: il Capo della Mobile Ardigò, aiutato dal compagno di studi Malerba, ancora una volta impegnati in una difficile indagine milanese.

Per chi fosse interessato: Fabrizio Carcano, Gli Angeli di Lucifero, Casa Editrice Mursia

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- Politica

Riflessioni sull’ultima consultazione referendaria

Credo che l’esito delle ultime consultazioni referendarie, cioè il raggiungimento del quorum, ci inviti ad alcune riflessioni. Il precedente quorum raggiunto prima di questo risaliva ai referendum del giugno 1995 (quelli che dovevano riorganizzare il sistema televisivo in Italia, quelli sulla rappresentanza sindacale e la contrattazione del pubblico impiego), dopo una partecipazione degli elettori che è oscillata tra il 23% e il 49% nelle diverse consultazioni: ben sei per ventiquattro quesiti referendari a cui gli italiani non hanno dato molta importanza evidentemente.
Prima considerazione: quanto denaro pubblico è stato speso per organizzare e svolgere queste consultazioni che si possono definire a tutti gli effetti inutili? Possibile che non esista un modo più efficace per gestire il tutto?
Seconda considerazione: forse i temi proposti nelle precedenti sei consultazioni potevano essere meglio approfonditi, discussi e regolati dagli Organi Istituzionali preposti (in primis Parlamento e Governo) senza dover consultare ed investire delle decisioni il Popolo sovrano.
Ultima riflessione: in questa consultazione referendaria sicuramente il tema principale e trainante è stato quello nucleare sollecitato anche dal disastro di Fukushima . Questo significa che la gente si sente toccata e si muove su temi di carattere generale dove è giusto che lo Stato, se sollecitato dal popolo, si adegui al volere della maggioranza dei cittadini.
A questo punto, per concludere, ecco le considerazioni che possiamo trarre dalle ultime consultazioni :
1- Occorre aumentare il numero delle firme che si debbono raccogliere per proporre un referendum: solo così, da subito, sperimentiamo quanto il tema proposto sia sentito dagli italiani e così evitiamo che quesiti referendari deboli siano portati alla consultazione degli elettori.
2- Una volta dichiarato ammissibile il referendum (diciamo sostenuto da due milioni di firme o da dieci Consigli Regionali) il quorum non è più necessario e a questo punto la vittoria tra il SI e il NO è molto semplice: va alla risposta più votata.
3- Mi rendo conto che occorre una modifica costituzionale per mettere mano a questo tema, ma d’altra parte bisogna pur cominciare a “svecchiare” le procedure che a mio giudizio impediscono all’Italia di mantenere il passo con le Nazioni civili più avanzate .
Può sembrare una cosa di poco conto, ma se incominciamo ad efficientare la macchina del referendum evitando in futuro nuove consultazioni inutili , rendiamo un servizio al nostro Paese che saprà affrontare meglio le difficili sfide competitive dei tempi attuali . A questo compito il Governo (qualsiasi Governo) dovrebbe porre la massima attenzione se vuole veramente modernizzare il Paese.

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- Società

Il caso Santoro: è conflitto d’interessi?

Io sono un elettore di centrodestra e per questi motivi non voglio che Michele Santoro lasci la RAI.

Di Michele Santoro si possono avere le più diverse opinioni. Anzi, è giusto, è naturale avere le più diverse opinioni perché è un giornalista “schierato”, un giornalista “di parte” e da quale parte sia schierato lo si è sempre capito, è sempre stato chiaro, emerge dai suoi discorsi e dai suoi ragionamenti. Ed è per questo che si può essere a favore o contro il suo pensiero. Ma il suo pensiero deve esistere, deve potersi manifestare in una televisione pubblica, che non vuol dire televisione “neutra”, ma pubblica, cioè che ospita, che offre ai propri spettatori le diverse visioni del mondo che ci circonda. Una televisione “privata” può scegliere se offrire o non offrire un Santoro ai propri spettatori , una televisione pubblica che ha visto nascere, crescere e svilupparsi un Santoro, non ha alternative, deve valorizzare e far crescere Michele Santoro. Anche perché c’è subito pronta una televisione privata che è lesta ad offrire uno stipendio al Santoro abbandonato dalla televisione pubblica. Perché? Perché guarda caso il Santoro pubblico negli anni si è formato il suo “gruppo d’ascolto” (perché è bravo, perché è fazioso, non lo so, non mi interessa) il fatto è che la televisione pubblica con Santoro ci guadagna i proventi della pubblicità che insegue i programmi che hanno più ascolto e il nostro Santoro pubblico in questo è tra i più bravi. Ma allora perché la televisione pubblica oggi abbandona Santoro?

Michele Santoro è stato assunto in Rai nel 1982. Dal 1982 ad oggi si sono succeduti dieci Presidenti del Consiglio dei Ministri, cioè dieci “referenti ultimi” a cui deve rispondere il sistema pubblico radio televisivo italiano (la RAI): Giovanni Spadolini, Bettino Craxi, Giovanni Goria, Ciriaco De Mita, Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini, Romano Prodi, Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi.

E’ innegabile il fatto che tra i dieci personaggi ricordati, l’unico Presidente del Consiglio con interessi personali privati nel settore televisivo è l’ultimo dell’elenco. Ciascuno di noi a questo punto può trarre le proprie conclusioni. A me sembra che questo sia il nocciolo del problema. Tuttavia non credo, da vero imprenditore qual è, che l’attuale Presidente del Consiglio possa ritenere Santoro un “asset” da eliminare per la RAI e non invece una risorsa preziosa su cui puntare ed investire, al pari di Bruno Vespa, Giovanni Floris, Milena Gabanelli e altri bravi giornalisti e anchorman della televisione pubblica. Quindi mi auguro che Michele Santoro e la RAI possano ri- trovare le ragioni per continuare il proficuo lavoro che da circa trent’anni svolgono insieme. Se lo faranno, tutti noi telespettatori riguadagneremo un poco di fiducia e di stima nei confronti della nostra classe dirigente… e di questi tempi ce ne sarebbe proprio bisogno.

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- Società

Nucleare Si, nucleare No.

Premetto che ritengo giusto che il popolo italiano esprima il proprio parere in merito al futuro energetico dell’Italia. E’ un tema troppo importante per delegarlo esclusivamente al Parlamento e al Governo e soprattutto credo che gli italiani ormai abbiano un grado di istruzione tale che permetta loro di esprimere un giudizio informato. Anzi il Parlamento e il Governo, nel programmare la politica energetica dei prossimi anni, se vorranno avere la fiducia degli italiani, dovranno tenere conto e sviluppare le indicazioni che emergeranno da questo Referendum.
Il nocciolo della questione è il “giudizio informato” che gli italiani devono esprimere il 12 e 13 giugno, perché è fuori di dubbio che, sull’onda emotiva dell’incidente di Fukushima, l’opinione pubblica in questo momento è fortemente condizionata verso il No al nucleare. Per chi ha seguito la puntata di Anno Zero di ieri, 2 giugno, questo tema è apparso evidentemente riassunto nel video presentato da Adriano Celentano. Tuttavia la trasmissione ha correttamente cercato di controbilanciare l’emotività che sostiene il No con un’analisi scientifica dei pro e dei contro al nucleare, senza demonizzarlo né difenderlo a priori. Alla fine sono emersi tre quesiti importanti a cui dobbiamo fornire una risposta.
Il primo: per soddisfare il nostro fabbisogno energetico giornaliero, al momento, abbiamo a disposizione le seguenti fonti: fossile, idroelettrico, nucleare, gas, rinnovabili. Ciascuna di queste fonti ha i propri costi di produzione e inquina il pianeta in senso lato (anche le fonti rinnovabili inquinano nel senso che “mangiano” territorio, deturpano il paesaggio e per produrre i pannelli fotovoltaici si originano materiali di scarto inquinanti ) . Per quanto riguarda il fossile, l’Organizzazione Mondiale della Sanità calcola in due milioni l’anno le morti al mondo causate dall’inquinamento atmosferico, ottomila in Italia.
Il secondo: a questo punto i sostenitori del nucleare pongono l’indice sul fatto che produrre energia nucleare è molto meno costoso che produrre energia con le altre fonti e questo argomento è corretto da un punto di vista economico. Inoltre fanno notare che l’Italia è circondata da centrali nucleari (in Francia, Svizzera, Croazia) e un incidente in una di queste centrali avrebbe ripercussioni anche sul nostro territorio: tanto vale quindi utilizzare anche da noi questo tipo di centrali. Obiezione: è vero che produrre energia nucleare costa meno che produrre con il fossile, per esempio, ma in caso di incidente nucleare serio (come Fukushima o Chernobyl ) i costi che si dovrebbero sostenere per rimediare al disastro sarebbero incalcolabili tenendo conto che l’area circostante la centrale in un raggio di quaranta / cinquanta chilometri sarebbe di fatto inutilizzabile per sempre. Quindi in caso di incidente serio ad una centrale, la comunità sarebbe costretta a sostenere costi economici elevatissimi e da un punto di vista statistico, l’incidente nucleare non si può escludere a priori. Il fatto poi di avere o non avere una centrale nucleare sul nostro territorio a mio giudizio non è uguale. Infatti un incidente nucleare in Francia o in Svizzera avrebbe ripercussioni gravissime in un raggio di quaranta / cinquanta chilometri dalla centrale e sempre meno invasive mano a mano che ci si allontana da essa. Quindi se l’Italia decidesse di non installare mai centrali nucleari sul proprio territorio, in linea di massima sarebbe salvaguardata maggiormente da un incidente nucleare che accadesse in uno Stato confinante.
C’è poi il problema delle scorie radioattive prodotte dalle centrali nucleari. Queste scorie di fatto rimangono altamente nocive per migliaia di anni , diciamo per sempre.
Da un punto di vista etico è corretto che noi uomini del ventunesimo secolo inquiniamo il pianeta con scorie che saranno per sempre nocive? E dove le stocchiamo, dove le nascondiamo?

La trasmissione di Santoro non ha potuto certamente fornire risposte a tutti questi quesiti, però ha avuto il merito di sollevarli. A questo punto rimane a noi la scelta: come votare il 12 e 13 giugno? Io credo che una pausa di riflessione sul nucleare debba essere fatta, ma nello stesso tempo si debba cercare di capire da un lato quale sviluppo tecnologico possano avere le fonti energetiche rinnovabili che inquinano meno l’atmosfera, ma al momento sono molto costose e deturpano il territorio e soprattutto non si possono installare ovunque (eolico). Dall’altro lato sul nucleare, che non escluderei per sempre come fonte energetica a cui poter ricorrere in futuro, occorre capire se possono essere ampliate le misure di sicurezza delle centrali, ma soprattutto si deve affrontare il problema dello smaltimento delle scorie radioattive. Quindi oggi, per le conoscenze scientifiche che possediamo, probabilmente è corretto, visto che non abbiamo centrali nucleari attive in Italia, attendere a costruire nuove centrali e investire tempo e denaro nello studio sulle energie rinnovabili da un lato e dall’altro nello studio su nuove centrali nucleari più sicure e su come trattare le scorie radioattive derivanti dal loro funzionamento.
La conseguenza finale è che tutti noi avremo ancora per molti anni una bolletta energetica più cara di quella dei francesi, degli svizzeri …

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- Letteratura

Un nuovo eroe: Vango

Segnalatomi da un amico, ho letto in queste giornate di festa il nuovo romanzo di Timothée de Fombelle, Vango.
de Fombelle è conosciuto in Italia per il romanzo Tobia, un millimetro e mezzo di coraggio che lo ha reso famoso al grande pubblico.
Con questo nuovo romanzo “per ragazzi”, l’autore ci propone un personaggio, Vango appunto, dal passato misterioso e dal presente invischiato in mille situazioni, mille pericoli, mille colpi di scena.
La narrazione è ambientata negli anni tra la fine della prima e l’inizio della seconda Guerra Mondiale e si passa con disinvolta semplicità dalle isole Eolie a Parigi, da Londra ad una dacia della campagna russa e il lettore quasi non si accorge delle migliaia di chilometri che la penna di de Fombelle gli fa percorrere, pagina dopo pagina, con il solo aiuto della fantasia.
Vango in questo peregrinare per mezzo mondo è un ragazzo solo e il mistero della sua nascita non lo abbandonerà mai fino alla fine. Tuttavia diversi sono gli incontri che Vango compie, alcuni con persone che lo sostengono e lo aiutano, altri invece da cui deve fuggire.
La storia è ricca di colpi di scena e il finale giunge inaspettato, non previsto né sperato dal lettore …
Chi è allora Vango? Vango non era un orfano come gli altri. Era l’erede di un mondo inghiottito.
Un romanzo scritto bene, che vola alto, leggero come una piuma e che tiene compagnia piacevolmente sia ad un adolescente che ad un ragazzo di quasi mezzo secolo…


Per chi volesse approfondire la lettura:
Timothée de Fombelle, Vango, Edizioni San Paolo, 2011
http://www.leavventuredivango.it/

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- Letteratura

Scrittura creativa

La settimana scorsa ho terminato di seguire il corso di scrittura creativa tenuto a Milano dalla Professoressa Marilisa Dulbecco. Le lezioni, venti in totale, avevano come argomento il racconto, le prime dieci, e il romanzo, le altre.
Le lezioni in aula, che hanno un valore aggiunto impagabile dato dal rapporto che si crea con il docente, erano supportate a casa dal manuale Scrivere? Scrivere! – Percorsi di scrittura creativa, autrice la Dulbecco.
Ne parlo volentieri e lo consiglio a chi desidera approcciarsi alla scrittura creativa perché è un manuale che in centosettantacinque pagine riassume in maniera chiara e semplice i molteplici aspetti e i diversi elementi costitutivi che sono presenti in un racconto e in un romanzo; non mancano consigli e suggerimenti frutto dell’esperienza della docente che da oltre dieci anni abbina il laboratorio serale di scrittura creativa all’insegnamento in scuole superiori milanesi.
Ogni capitolo termina con i “famosi” esercizi di scrittura che aiutano a focalizzare la pagina da scrivere sull’argomento trattato.
Alla fine del corso, e del libro, tutti noi partecipanti non siamo diventati sicuramente degli scrittori, ma almeno ci siamo chiariti le idee, anzi la domanda che tutti noi avevamo in cuore: perché scrivere?
Illuminante a tal proposito la frase di Rilke, tratta da Lettere a un giovane poeta, che la Dulbecco cita nell’introduzione e che è la risposta che chiude il cerchio a tutte le domande sulla scrittura:
“…Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? (…) Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice – Io devo – questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità.”
Credo che si possa iniziare a costruire la propria vita a qualsiasi età

Per chi volesse iniziare un percorso (o continuarlo/approfondirlo): Marilisa Dulbecco, Scrivere? Scrivere! – Percorsi di scrittura creativa – , Edizioni Unicopli – Milano

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- Storia

La Questione Meridionale

In questi giorni in cui si celebrano i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, ho terminato di leggere il volume di Pino Aprile, “Terroni” ed. Piemme. Ora, le cose che ho letto francamente mi hanno da un lato indignato e dall’altro stupito. Indignato per come i soldati piemontesi, i liberatori dell’Italia meridionale prima e poi i soldati del Regno d’Italia, abbiano trattato la popolazione meridionale che aveva accolto con favore e grandi attese i “nordisti”. Indignato per come il nascente Stato Unitario abbia poi “gestito” il Sud Italia dal punto di vista della politica industriale ed economica in generale. Stupito per come in quarantacinque anni di vita, sino ad ora non abbia mai letto nulla, né sui libri di scuola, né su giornali o riviste di storia, riguardo a questi fatti narrati nel libro di Pino Aprile e supportati da riferimenti storici, con nomi e cognomi di persone e libri e documenti a cui far riferimento.
E’ noto che la storia la scrivono i vincitori, tuttavia in questo caso credo che a perdere sia l’Italia intera, il popolo italiano che è stato privato della conoscenza di un pezzo della sua storia, forse proprio di quella più importante, quella delle sue origini.
Mi rendo conto che parliamo di centocinquanta anni fa e che le cose descritte da Pino Aprile gettano in cattiva luce alcuni “fondatori” del Regno ma forse, confrontandoci oggi con la realtà storica di quello che sono stati i primi decenni del Regno d’Italia vissuti dagli italiani nel Sud del Paese, possiamo finalmente affrontare la “Questione Meridionale” con una nuova ottica e cercare di risolverla una volta per tutte.

Per chi volesse approfondire questo pezzo di storia patria: Pino Aprile, “Terroni” Edizioni PIEMME.

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- Educazione

Generazione Facebook

Qualche settimana fa una mamma mia amica mi raccontava della figlia quattordicenne che si è profilata su Facebook a sua insaputa (ma poi glielo ha confessato) e di come fosse rimasta “spiazzata” perché non se lo aspettava e la figlia le ha risposto: ma mamma, su Facebook ci sono tutti i miei compagni, se non creavo il mio profilo, rimanevo esclusa dal giro…
Situazioni del genere credo siano capitate a tutti noi genitori di figli adolescenti (e forse anche di peggio).
Dal “vecchio” mondo della carta stampata mi è venuto in aiuto il “manuale” del Prof. Giuseppe Pelosi :”Aiuto! Ho un cyberfiglio!”; più che un manuale, la testimonianza di un professore / genitore che ha visto nascere e crescere la web generation e che cerca ogni giorno di comprenderla per poter continuare a svolgere il proprio compito educativo , cioè far emergere il buono che è sempre presente nei nostri ragazzi anche attraverso l’utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione.
Nel libro troviamo il significato di parole come website, blog, social network, podcasting e così via. Ma soprattutto troviamo analizzata, spiegata, studiata e raccontata la rete, internet, quella “selva oscura” in cui i nostri ragazzi possono incamminarsi inconsapevolmente e perdersi, ma che ci ha cambiato la vita senza possibilità di tornare indietro. Il Prof. Pelosi offre interessanti spunti di riflessione sul tema anche grazie al racconto di alcune “situazioni” immaginarie che potrebbero realmente verificarsi nelle nostre famiglie. Il pensiero che prevale tra le pagine della guida è sicuramente a favore dell’utilizzo di questi nuovi strumenti messi a disposizione dalla tecnologia, ma a noi genitori / educatori rimangono due compiti: primo, conoscere questi nuovi strumenti (perché i nostri figli li conoscono dalla nascita e noi no) e secondo, saper cogliere quei segnali di “dipendenza” da computer, internet, chat e altro che sono segno di un “malessere” interiore dei nostri figli la cui causa va però, secondo Pelosi, cercata altrove … non tutto è colpa di internet e del computer!
Alla fine del libro ci si ritrova sicuramente più preparati ad affrontare i nostri figli che sino ad ora hanno sempre giocato “in casa” l’Internet Champions League (magari sulla PS3) e più consapevoli di quello che le nuove tecnologie possono offrire anche a noi (classe 1966 tanto per intenderci), generazione 0.0 dell’era informatica (io per esempio ho deciso di creare il mio profilo su Facebook…)

Per chi volesse saperne di più:
"Aiuto! Ho un cyberfiglio!"
di Giuseppe Pelosi
Edizioni Ancora