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Raccolta di articoli di Mattia Tarantino
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Letteratura

Fiori estinti

La redazione di LaRecherche propone una recensione a "Fiori estinti" (Terra d'ulivi, 2019), firmata da Gian Piero Stefanoni. Mi permetto di salvarla anche qui, tra le mie pagine.

 

A questo link è possibile leggere l'articolo dalla fonte originale:

 

https://www.larecherche.it/testo.asp?Tabella=Recensioni&Id=1263&fbclid=IwAR3JEL2_CeYBaDrW-cb3BoYQcl0zCBhoYOyIx1o2QeCw1k4sEa014l2zzKI

 

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Debbo dire che è sempre molto bello, e confortante, imbattersi nella poesia di un giovane capace, ricco di talento e senza infingimenti nella autenticità e nella forza della sua scrittura come nel caso di Mattia Tarantino. Non temiamo l’uso di tanti aggettivi perché densissimo di riferimenti e di istanze tra ribellioni e cancellazioni, tra provocazioni di sacralità e canzonatura della stessa sacralità l’humus da cui Mattia, quest’abile e a suo modo dolcissimo napoletano, si dibatte e tenta uno squarcio, un urlo a rompere un cielo troppo lontano e vasto perché qui possa rispondere. Va sottolineato subito, sia chiaro che tanto ardore non è la sola espressione di un assoluto giovanile nella radicalità di uno spirito che non ha rispondenza perché significherebbe limitarne la forza e la domanda. Tarantino infatti è già per buona parte autore concretamente maturo, pienamente conscio delle armi a sua disposizione, del suo versificare colto e riflessivo, dotato di una parola ora ben guidata nella traduzione delle sue ferite ora sapientemente espansa, libera nel dosaggio delle sue crepe e delle sue irrisioni. Figlio di un verbo che ama e tenta rifondarsi sulle macerie di una civiltà poggiata sul divoramento dell’individuo a cui prova il ricordo nell’origine e nel nome, il comune slancio da una terra che non cessa di attenderci (pensiamo a Rimbaud, certo, all’amato Dylan Thomas), questa poesia sa liberarsene, sa superarsi fino a non chiedere nuova terra o recisione di veli ma il dissolvimento stesso di un sé recluso perché vinto nell’inganno di un cielo le cui acque sono acque di imposizione e di dominio, irrisolvibili per una genesi la cui luce è squarcio di angeli ancora in lotta, nell’impostura di un richiamo che comunque nei suoi più disparati richiami non offre ma recide il respiro. Per questo è straziante e tenerissimo insieme nella lettura il sanguinamento e l’intreccio di stanze, profezie, boschi a risalire dalla carne di un sud antichissimo le cui nenie sono nenie di madre, di ninna nanne forse eccessive e disturbanti nella narrazione di un rigurgito, di un latte che si è fatto amaro, voce discosta di una umanità tradita da padri, terreni e celesti, impassibili e assenti. Bisogna esser grati ad autori come Tarantino perché nella sua disputa divina, tra compressioni di stelle che fraintendono il sogno, nell’intreccio di falli e di croci che ci e si ustionano al senso viene a ricordarci come da una memoria rimossa il primo sguardo, nello strappo l’esposizione della carne nella sua violazione, l’identità allora del bambino e dell’uomo divelto che all’uomo e al bambino chiede non assoluzione, perché non c’è colpa, ma affermazione, presa in carica del mondo, della parola allora, anche, nella sua capacità di rifondazione e nominazione. Poeta vero allora Mattia in un’epoca in questo di guide ed uomini dimentichi ed antico nel suo indovinare la morte, per remissione e per delega, per incapacità di chiedere e di chiedersi, soprattutto, nel senso di sé, di sapersi nell’unicità di un discrimine tra scivolare e prendersi cui nel veicolo di richiami e riferimenti classici, biblici, autoriali non teme fratture accettando unicamente di cadute ed allacci, di funi e preghiere le proprie dolorose ma- appunto perché proprie- meravigliose escatologie di fanciullo cui tra vesti insanguinate e cieli non più deturpabili dall’ombra di nessun Dio pare a tratti sentire un eco, ribaldo e intensissimo del pellegrino Campana. Anche se, è bene dirlo, nella distanza di oltre cento testi, forse il rischio in tanta rincorsa, di temi e rimandi nel groviglio continuo di simboli entro una rivolta infinita è quello dello smarrimento del lettore- oltre che di se stesso- in un coinvolgimento alla lunga che perde concretezza a dirlo, e a dirci nella ordinarietà e nella quotidianità della vita, là dove la vita nei suoi pericolosi ritagli ci tenta e può vincerci. Eppure ci direbbe forse, nella lama cui lui stesso sa ferirsi, l’ordinarietà e la quotidianità sono una scelta la cui qualità, la cui libertà è nella capacità personale di sapersi e potersi possedere, rimettere in gioco oltre il proprio (e non altrui) recinto. In conclusione autore vivissimo Mattia Tarantino negli strattonamenti delle sue dispute a cui, aspettandolo a nuove verifiche, auguriamo ogni bene alla sua trama di luce (“la parola/che ci salvi dall’inverno e faccia casa”).

 

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- Poesia

Fiori estinti

Questo libro di poesie vuole essere una sorta di diario interiore, personale e spirituale.  Il titolo stesso rappresenta un viaggio a   ritroso nella materia che intende ritornare alla sua origine. Si vuole tornare al nulla o al tutto primordiale.

Mattia Tarantino racconta quella realtà che non è visibile, quella di cui tutti conoscono l’esistenza, ma che si fa fatica ad interpretare, una realtà misterica. Le poesie del nostro autore sono sempre viaggio, itinerario non definito, processo dialettico di trasformazione e sempre e costantemente  in divenire.

L’intero percorso poetico di Tarantino è “ Sincronico” , ovvero il presente si alterna in modo dinamico e coinvolgente con il passato e con il futuro; per Tarantino il tempo e lo spazio rappresentano realmente le intuizioni pure kantiane, esistono a priori e non ingabbiano l’esistenza umana.

Il desiderio di tornare alle origini però non è per il nostro autore malinconia del passato, o regressione è immagine, sogno, reminiscenza, il voler entrare nell’intimità dell’esistenza umana, con le sue imperfezioni e debolezze.

L’immagine dell’uomo di Tarantino mi ha fatto tonare alla memoria l’idea dell’uomo di  Heidegger, colui che è stato gettato nel modo, ente tra gli enti,  colui che procede progettando se stesso, colui che ha il sommo incarico della ricerca. L’uomo per Mattia è  l’angelo che si confonde con il fango. L’uomo di Mattia è protagonista ma anche folla tra la folla.

La visione del reale e del mondo mi ricorda il meccanicismo foscoliano, nella sua celebre opera “ I Sepolcri, dove tutto torna alla terra, noi siamo terra, l’eterno rapporto tra la vita e la morte.

Concludo la mia disamina con un leggero accenno alla sintassi che ha suscitato in me molta curiosità, mi ha destabilizzato e meravigliato, ma fondamentalmente mi ha incuriosito, considerando anche la giovane età.

I versi sono anti-lirici, e poco comprensibili, si può addirittura ravvisare una sorta di incomunicabilità, ma è solo una prima impressione. Leggendo le poesie di Tarantino e facendosi aiutare dal nostro amico dizionario è possibile scoprire la parte misterica della parole e il verso come d’incanto diventa illuminante. Ci sono termini ricorrenti, ovvero : madre, gerundio, verbo, sillaba, grafema, angelo, allodola.

La madre è l’essere umano capace di donare la vita. Il gerundio il tempo del movimento, e che permette l’azione continua ( andando…, parlando…). Il verbo, azione di per se. Grafema, singola lettera, singola esistenza che diventa sillaba se accompagnata e di esistenze ne abbiamo due, e via altre a formare la parola, ovvero a formare il mondo. L’angelo l’immagine dell’uomo che trasforma se stesso diventando protagonista e uomo tra gli altri e l’allodola, uccello che compie il suo volo cantando e superando il limite del visibile, per poi scendere in picchiata toccando il mondo reale. L’allodola tanto cantata da Dante, Fontaine e Shakespeare.

 Termino sostenendo che i versi di Mattia Tarantino sono a mio avviso paragonabile al quadro di Munch”

 “ L’Urlo” perché desiderano essere un urlo per risvegliare l’uomo dal suo eterno torpore.Copertina

 

di Lucia Credentino