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Raccolta di testi in prosa di Franca Colozzo
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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La piccola fiammiferaia - The little match girl

LA PICCOLA FIAMMIFERAIA

 

  Nessuna descrizione della foto disponibile.

 

Mi voltai indietro. La città appariva deserta e buia ad eccezione delle zone in cui le decorazioni natalizie formavano giochi psichedelici di luci sospese ad illuminare la notte fonda senza stelle.

Cristalli di ghiaccio, dopo la forte nevicata dei giorni scorsi, brillavano  in modo spettrale. Le luminarie natalizie ammiccavano al vuoto esistenziale con i loro smaglianti colori sul lucido asfalto spruzzato di neve.

Non ero forse io là, in quel momento preciso? O forse soltanto la mia ombra con apparenza di vita che mi trascinava in giro come uno zombi? Sembravo un’aliena proveniente da un’altra dimensione che si muoveva con circospezione su quelle vie note, con una mascherina sul volto e gli occhi sgranati alla ricerca di una sagoma umana.

Mi fermai sul selciato ad osservare le luci ammiccanti, riflettori a tempo dai caleidoscopici colori, tra immagini di stelle e di alberi, animali o slitte con Babbo Natale e renne.

A tratti, qualche frettoloso passante si profilava in lontananza, sfidando il gelo di quella fredda notte alla ricerca forse di segnali noti di consuetudini e memorie. Natale non era più lo stesso di sempre: qualche insegna brillava qua e là tra la desolata solitudine sferzata da un vento gelido. Negozi dai battenti chiusi non ostentavano neppure la merce, non ne sentivano la necessità: il commercio era ormai in ginocchio e l’economia ai minimi storici.

Solo qualche coraggioso commerciante, sfidando sanzioni, aveva lasciato accesa la luce del proprio negozio nella speranza che arrivasse un avventore alla ricerca dell’ultimo regalo da acquistare in fretta prima del cenone con i parenti più stretti. Infatti, erano queste le regole del distanziamento sociale, ancora più stringenti in vista delle feste, nell’insolita atmosfera senza amici invitati al consueto cenone.

Inutile ricerca di serenità e consuetudini passate,  di banale quotidianità. Persino gli agenti addetti alla sorveglianza sembravano latitanti, com’era ovvio, dato il clima che vigeva in quella notte che di magico aveva conservato ben poco o nulla.

Attorno alla tavola imbandita, le persone si sforzavano di simulare un ritorno alle vecchie abitudini, anche se l’assenza dei propri cari  indicava l’anomalia di quel fatidico Natale 2020. L’idea di un Natale senza la Messa della mezzanotte mi procurava una stretta al cuore. Persino il Papa era stato costretto ad anticipare la Messa a causa della necessità di non provocare assembramenti a quell’ora. Superfluo dire che il distanziamento sociale aveva creato una frattura con le vecchie abitudini, con le allegre comitive e gli  assembramenti presso gli esercizi commerciali alla ricerca del regalo originale nella ridda consumistica delle spese dell’ultimo minuto.

Il vuoto che circondava i miei pensieri a intervalli regolari seguiva il ritmo delle mie ancestrali paure e angosce, un riflesso di ciò che stava accadendo, paradossale pantomima di personaggi  con maschere improvvisate.

I miei passi stanchi ticchettavano sul marciapiede, svogliatamente persi nelle spire di una città desolata, illuminata a giorno senza che i soliti adulti mai cresciuti potessero godere di quelle luci artificiali.

Persa nelle mie elucubrazioni mentali, alla ricerca di stracci di memorie passate, mi imbattei improvvisamente in una sagoma rannicchiata in un angolo riparato di un negozio con l'insegna spenta. Sul momento pensai ad un cane rifugiatosi là in quella notte che tanto mi ricordava la favola della “Piccola Fiammiferaia”.

Avrei potuto immedesimarmi, attraverso le finestre illuminate delle case, nella piccola fiammiferaia, con la differenza che avevo un rifugio sicuro e il pranzo di Natale già preparato e in caldo, una famiglia che mi aspettava e che mi amava.

Mi avvicinai alla sagoma con circospezione e, con mia grande sorpresa, mi resi conto che si trattava di una donna anziana che tremava dal freddo nonostante la coperta e i cartoni attorno a lei. Borbottava delle incomprensibili parole, mugugnando frasi sconnesse qua e là intervallate da un battito improvviso dei denti. Che non fosse lei la piccola fiammiferaia! Invecchiata nel tempo e immobile da sempre a fantasticare una tavola imbandita, a proiettarsi dentro quelle case confortevoli e riscaldate  non solo da caminetti in cui scoppiettava il fuoco, ma anche da affetti famigliari che lei non aveva mai conosciuto. Orfana fin da piccola, le era mancato  il  calore materno e quello di una vera famiglia.

Ma ormai stavo divagando... Mi avvicinai a lei, coprendomi ancor più la bocca e il naso con la mascherina che avevo sul volto,   allungandole con circospezione dei soldi. La vecchia, interrompendo il suo brontolio incomprensibile, mi fissò stupita scuotendo la testa in segno di diniego. Sembrava che avesse visto uno spettro. Tentennava, con il capo reclino, incerta se prendere o no i soldi che le porgevo.

    “Che ci faccio? Tutto chiuso a quest’ora...” mormorò in maniera sconsolata.

In verità aveva ragione, anche il giorno dopo era prevista la chiusura dei negozi e chi non si era affrettato a fare provviste, ora si trovava a corto di cibo.

Mi ricordai allora il motivo della mia uscita, ma troppo tardi! Avrei dovuto comperare del salmone per l’antipasto serale. Me ne ero dimenticata, assorta nel mio girovagare senza senso! La città mi aveva fagocitata ed ero stata sbalzata fuori dalla realtà.

Ritornai in me stessa. Avrei sfidato l’ira della mia famiglia,  la sorte ed il Coronavirus stesso.

Dissi all’ anziana donna di alzarsi e di seguirmi. Sarebbe venuta a mangiare a casa mia e le avrei offerto un comodo letto al posto di quel suo misero giaciglio all'addiaccio. In fondo, non era questo il vero spirito di Natale?

Un Natale ormai perso nella spirale dell’indifferenza delle  passate abitudini  consumistiche, abbandonato tra i rifiuti di un’umanità dolente, volutamente ignorata… Ecco che lo spirito di un Natale autentico si era inverato nelle sembianze di una vecchia mendicante in cerca di un pasto e di un posto caldo dove trovare conforto!

La piccola fiammiferaia era ricomparsa, fuoriuscendo dalle figure stampate racchiuse nello scrigno segreto della mia mente di bambina, dalle prime illustrazioni a colori di libri di fiabe di anni or sono.

Mi stavo chiedendo quale arcano disegno mi avesse spinta quella sera, con il pretesto di comprare del salmone,  ad uscire di casa in tutta fretta per perdermi ad inseguire sogni in una città deserta. Mi ero abbandonata a vagabondare distrattamente. Chissà cosa avrebbero detto i miei vedendomi ritornare in compagnia di un’estranea, lercia e sfatta dalle fatiche, lacera e con i vestiti a brandelli!  Per giunta tutto questo era proibito dalle regole vigenti che vietavano di invitare estranei e persino i propri congiunti erano stati ridotti a due, con un bambino al di sotto dei quattordici anni. E se per caso una coppia avesse avuto due bambini? Me la ridevo dentro di me. Ma che assurdità! Così pensavo, stralunata, mentre immaginavo la faccia sbigottita di mio marito.

Cosa avrebbe fatto,  cosa avrebbe detto? L’avrebbe forse allontanata da casa proprio in quella santa notte? Era forse lei, ormai invecchiata, la fiammiferaia della mia infanzia? Oppure, semplicemente un angelo, sceso dal cielo, che  era venuto a bussare alla porta del mio cuore per farmi ridestare dal torpore di una vita inutile, nel lusso apparente di una società malata?

Allontanata ormai l’idea della ricerca del salmone, data l’impossibilità ormai a quell’ora di  trovare una drogheria aperta o un supermercato, le dissi con dolcezza di seguirmi. Non mi importavano i rimbrotti di mio marito e nemmeno quelli dei  miei congiunti. La cena messa in caldo attendeva solo noi. 

Insieme ci incamminammo lungo la via. Certo sarebbe stato un Natale diverso! La povera donna non se lo fece ripetere due volte. Si alzò dai cartoni e, con la coperta avvolta attorno al corpo intirizzito, incominciò a camminare con difficoltà per i dolori a tutto il corpo.

Un Natale diverso mi aspettava. Non più luci ammiccanti, ma un gesto d’amore: le luci di una casa ospitale. In quel momento squillò il mio telefonino…

 

 

THE LITTLE MATCH GIRL
 
 

I turned around. The city appeared deserted and dark except for the areas where the Christmas decorations formed psychedelic plays of suspended lights to illuminate the starless night.

Ice crystals, after the heavy snow of the past few days, shone in a ghostly way. The Christmas lights winked at the existential emptiness with their dazzling colors on the polished asphalt sprinkled with snow.

Wasn't I there at that precise moment? Or maybe just my life-like shadow dragging me around like a zombie? I looked like an alien from another dimension who moved cautiously on those known streets, with a mask on his face and wide eyes in search of a human shape.

I stopped on the pavement to observe the winking lights, timed spotlights with kaleidoscopic colors, among images of stars and trees, animals or sleighs with Santa Claus and reindeer.

At times, some hasty passer-by loomed in the distance, braving the chill of that cold night in search of perhaps known signs of customs and memories. Christmas was no longer the same as always: some signs shone here and there amidst the desolate loneliness whipped by an icy wind. Shops with closed doors did not even show off the goods, they did not feel the need: trade was now on its knees and the economy at an all-time low.

Only a few brave merchants, defying sanctions, had left the light of their shop on in the hope that a customer would arrive in search of the last gift to buy quickly before the dinner with the closest relatives. In fact, these were the rules of social distancing, even more, stringent in view of the holidays, in the unusual atmosphere without friends invited to the usual dinner.

Useless search for serenity and past customs, of banal everyday life. Even the surveillance officers seemed to be fugitives, as was obvious, given the climate that prevailed on that night which had retained little or nothing of magic.

Around the set table, people tried to simulate a return to old habits, even if the absence of loved ones indicated the anomaly of that fateful Christmas 2020. The idea of ​​a Christmas without the Midnight Mass gave me a squeeze to the heart. Even the Pope had been forced to anticipate Mass due to the need not to cause crowds at that time. Needless to say, social distancing had created a break with old habits, with the happy groups and gatherings at the shops in search of the original gift in the consumerist jumble of last-minute spending.

The emptiness that surrounded my thoughts at regular intervals followed the rhythm of my ancestral fears and anxieties, a reflection of what was happening, a paradoxical pantomime of characters with improvised masks.

My tired footsteps ticked on the sidewalk, listlessly lost in the coils of a desolate city, brightly lit without the usual grown-up adults being able to enjoy those artificial lights.

Lost in my mental ruminations, searching for rags of past memories, I suddenly came across a figure huddled in a sheltered corner of a shop with the sign-off. At the time I thought of a dog who took refuge there that night that reminded me so much of the tale of the "Little Match Girl".

I could have identified myself, through the lighted windows of the houses, in the little match girl, with the difference that I had a safe haven and the Christmas lunch already prepared and warm, a family who was waiting for me and who loved me.

I approached the figure cautiously and, to my surprise, realized that it was an elderly woman who was shivering from the cold despite the blanket and the cartons around her. She mumbled incomprehensible words, muttering disjointed phrases here and there interspersed with a sudden chatter of her teeth. That she wasn't the little match girl! Aged over time and always motionless to fantasize about a laid table, to project oneself into those comfortable houses heated not only by fireplaces in which the fire crackled but also by family affections she had never known. She was an orphan since she was a child, she had missed the maternal warmth and that of a real family.

But now I was wondering ... I walked over to her, covering her mouth and nose even more with the mask I had on her face, carefully handing out some money. Her old woman, interrupting her incomprehensible rumbling, stared at me in amazement, shaking her head in denial. It looked like she had seen a ghost. She hesitated, her head bowed, unsure whether or not to take the money I handed her.

“What am I doing with the money? Everything closed at this time ..." she murmured disconsolately.

In truth, she was right, even the next day the shops were scheduled to close and those who hadn't rushed to stock up on food were now short of food.

Then I remembered the reason for my departure, but too late! I should have bought some salmon for the evening appetizer. I had forgotten about it, absorbed in my senseless wandering! The city had swallowed me up and I was thrown out of reality.

I came back to myself. I would have defied the wrath of my family, fate, and the Coronavirus itself.

I told the elderly woman to get up and follow me. She would come to my house to eat and I would offer her a comfortable bed in place of that miserable bed on the outskirts of her. After all, wasn't this the true spirit of Christmas?

A Christmas now lost in the spiral of the indifference of past consumerist habits, abandoned in the waste of sorrowful humanity, deliberately ignored ... Here the spirit of an authentic Christmas had come true in the guise of an old beggar looking for a meal and a warm place to find comfort!

The little match girl had reappeared, emerging from the printed figures enclosed in the secret casket of my child's mind, from the first color illustrations of storybooks years ago.

I was wondering what arcane design had pushed me that evening, under the pretext of buying salmon, to leave the house in a hurry to get lost chasing dreams in a deserted city. I had indulged in wandering absent-mindedly. Who knows what my husband would have said seeing me return in the company of a stranger, filthy and exhausted by fatigue, torn and with tattered clothes! In addition, all this was forbidden by the rules in force which forbade inviting strangers and even one's relatives had been reduced to two, with a child under the age of fourteen. What if a couple had two children? I was laughing inside myself. What nonsense! So I thought, dazed, as I imagined my husband's bewildered face.

What would he do, what would he say? Would he have taken her away from home on that holy night? Was she, now aged, the match girl of my childhood? Or, simply an angel, descended from heaven, who had come knocking on the door of my heart to make me awaken from the torpor of a useless life, in the apparent luxury of a sick society?

Gone by now the idea of ​​searching for salmon, given the impossibility by now at that time of finding an open grocery store or supermarket, I gently told her to follow me. I didn't care about my husband's reproaches or even those of my relatives. The hot dinner was waiting for us alone.

Together we walked down the street. Sure it would have been a different Christmas! The poor woman didn't have it repeated twice. She got up from the cartons and, with the blanket wrapped around her numb body, she began to walk with difficulty from the pains all over her body.

A different Christmas was waiting for me. No more winking lights, but a gesture of love: the lights of a hospitable home. At that moment she rang my mobile ...

 

 

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Giornata della memoria »
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Fatoş



Fatoş


Nel buio androne dello stabile, ai piedi della piazzetta prospiciente la moschea di Cihangir, Fatoş arrancava sotto il peso delle borse della spesa. Cinque figli l’attendevano nelle due umili stanzette del piano sopraelevato. Il marito, tassista, sarebbe rientrato verso mezzanotte dopo aver guidato per tutto il giorno nel traffico convulso di Istanbul.
La donna si arrabattava come meglio poteva, andando a servizio presso le famiglie straniere, numerose nel noto quartiere di Istanbul per la presenza di scuole e ambasciate. Slanciata e dai fini lineamenti incorniciati da un foulard, indossava una gonna di cotone dai minuti motivi floreali, secondo l’usanza delle donne anatoliche.
Le venne incontro il figlio di undici anni, mentre la figlia di sei l’accolse con urla festose. Fatoş si tolse il foulard e le scarpe e si affrettò verso la cucina per preparare la cena. Mise sul fuoco le pentole per riscaldare la çorba (minestra) e apparecchiò la tavola, posando il pane, ancora fragrante, nel cestino vicino alla zuppiera fumante.
«Presto, cocuklar (ragazzi), venite a mangiare! », così dicendo, prese tra le braccia la più piccola facendola sedere su un alto scanno. Quando tutti si furono accomodati, cominciò a versare la çorba nei loro piatti servendosi di un mestolo.
« Baba, nerede (dov’è papà)?» chiese la figlia più grande.
«Stasera lavora fino a notte fonda e torna tardi…»
«Sempre çorba, anne (mamma)! C’è dell’altro?» brontolò Can, il ragazzo più grande.
Fatoş racimolò una manciata di farina e iniziò a impastarla con un po’ d’acqua e un pizzico di sale. Stese la morbida pasta, così ottenuta, sul tavolo per farne dei gözleme, ripieni di formaggio e spinaci, che i famelici ragazzi si precipitarono a gustare.
«Lasciatene due a papà!» intimò loro.
«Mamma, dove hai lavorato oggi?» le chiese la figlia più grande.
«A casa di quell’insegnante del Liceo Italiano. Te la ricordi? Ti ho portato con me la prima volta che mi sono recata a casa sua…»
Fatoş, dall’aspetto curato e dignitoso, era ben voluta dalle signore residenti a Cihangir, in genere a seguito dei mariti che lavoravano presso le ditte straniere o i consolati di Istanbul.
Il suo operare, corretto e infaticabile, era molto apprezzato dalle signore del quartiere. Il giorno successivo si sarebbe dovuta recare a casa di una di loro. Mandati a letto i figli, finalmente si sedette sulla sedia accanto alla finestra aspettando l’arrivo di Mehmet.
L’ultima voce, che si stava già dissolvendo dietro l’angolo della strada, fu quella del venditore di Boza, una popolare bevanda di frumento fermentato con scarso tasso alcolico e di consistenza pastosa e dolciastra, che veniva venduta nottetempo. All’improvviso udì sulle scale i passi stanchi di Mehmet e gli andò incontro con aria assonnata.
«Cosa hai fatto oggi, tembel (pigra)?» l’apostrofò l’uomo con la sua consueta aria arrogante. Mehmet era sempre sgarbato e violento verso la povera moglie e spesso la malmenava.
«Sono stata a servizio da una signora italiana, che abita a Cihangir…» rispose Fatoş con un filo di voce.
«Non ti azzardare a farti vedere dai miei colleghi vicino alla stazione dei taxi di Cihangir! E’ disdicevole girare da sola per una donna musulmana, per di più sposata e con figli! Passerei per un poco di buono, un cornuto… Hai capito? »
«Sì, sì, farò come tu dici!» esclamò Fatoş, preoccupata, offrendogli il residuo pasto serale.
«Solo un’insipida çorba?» reclamò Mehmet con una zaffata pregna di alcol, reduce com’era da qualche osteria.
«No, no… c’è dell’altro.» ansimò Fatoş. Così dicendo, scoperchiò una padella e mostrò dei gözleme. L’uomo, rabbonitosi, le ordinò di riscaldarli subito sull’apposita piastra. Mentre i gözleme si rigonfiavano indorandosi, si domandò in quale locanda l’uomo avesse speso tutto il guadagno della giornata, bevendo rakı (liquore turco) e giocando a carte.
Gli avrebbe chiesto dei soldi per metterlo alla prova… La spesa del giorno seguente non poteva attendere! Dopo avergli somministrato il cibo, si accasciò come uno straccio sullo scranno vicino al tavolo osservandolo mentre ingurgitava grossi bocconi di cibo.
«Ho aspettato per chiederti un po’ di soldi…»
«Quali soldi? Ho guadagnato poco oggi e quel po’ me lo sono tenuto per me… Non mi irritare, sono stanco e vado subito a dormire!»
Fatoş, tremante di rabbia, si contenne per evitare le percosse. All’indomani avrebbe chiesto alla signora italiana un anticipo sul proprio lavoro. Si alzò faticosamente dalla sedia e iniziò a lavare le stoviglie sporche.
Dall’attigua camera da letto, già giungeva la monotona sinfonia dell’acuto russare del marito. Un giaciglio, poggiante su un piano di legno, occupava quasi l’intera stanza.
Con le lacrime agli occhi, si spogliò, facendo scivolare lungo le gambe, magre e slanciate, la gonna sdrucita di colore blu a piccoli fiori bianchi che le arrivava alle caviglie. L’adagiò distrattamente su una sedia della cucina, insieme al foulard e alla camicia, prima di andarsi a coricare.
Si rannicchiò in un angusto angolo del giaciglio per non svegliare il marito. Un altro giorno volgeva alla fine…
All’alba il canto del muezzin si levò alto nel cielo terso, srotolando la sua nenia sulle barche assopite lungo le rive del Bosforo. Fatoş s’incamminò verso la casa della signora italiana, ubicata nei pressi della stazione dei taxi di Cihangir. Distrattamente suonò il campanello del portone, irritata dal riso e dallo scherno di alcuni uomini.
Si volse per un attimo infinito… Mehmet, impassibile, era lì presso con una pistola in pugno.
Il rumore dello sparo coprì i commenti volgari dei tassisti. La donna si accasciò riversa sul marciapiede, grondante sangue dalla gamba destra. L’arrivo dell’ambulanza fu preannunciato dal suono sinistro delle sirene spiegate.
Fatoş rivolse un pensiero accorato ai figli prima di perdere conoscenza…





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Diaspora italiana »
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Kara - La sposa del Bosforo

Sinossi “Kara - La Sposa del Bosforo”

Il settennio trascorso in Turchia, in qualità di docente distaccata dal M.A.E. presso gli I.M.I. di Istanbul, ha lasciato in me un segno indelebile per l'inusuale viaggio cui mi sono accinta in età matura. Da una riflessione postuma sulla mia esperienza, rielaborata alla luce di avvenimenti successivi, nasce la storia di Meltem, il cui pseudonimo è KARA, donna piena di contraddizioni.
Quest’ultima, estrosa artista italiana, intende esibirsi in una performance, a scopi umanitari e pacifisti, che la vedrà intraprendere un viaggio in Turchia con indosso un abito da sposa. La sua esibizione ha inizio a Istanbul dove si incontra con l’amica turca, Deniz, con la quale ha preventivamente pianificato la sua missione artistica.
Il progetto - da loro tanto vagheggiato, ma incompreso da parte di alcuni ambienti politici oltranzisti - subisce una serie di imprevisti che le costringeranno ad interromperlo. Sono perseguitate, infatti, da continui pedinamenti di spie, con risvolti inquietanti, su cui aleggiano i sospetti della polizia turca, intrighi di palazzo e omicidi di stampo politico, in cui rischiano di essere coinvolte. Sullo sfondo della narrazione campeggia un fantomatico ministro-ingegnere, il quale le prende sotto la sua ala protettrice. E’ il sommo artefice, che architetta la trama nascosta, da cui risulterà, poi, lui stesso irretito, vittima di un agguato mortale da parte di fazioni avversarie.

Le vicende politiche, dalla Primavera araba ai venti di guerra civile che sconvolgono la Siria, si frappongono sul loro cammino a causa di un’escalation terroristica interna (Curdi, Lupi Grigi, spie russe, ecc.), cui si aggiunge il pericolo di infiltrazioni di matrice islamica che serpeggia lungo i confini sud-est e nord-est della Turchia (Siria, Iraq, Iran). Come per effetto di una moviola, i cortometraggi si svolgono sotto gli occhi delle due principali protagoniste, le quali, pur non riuscendo all’inizio a intuire chi sia il regista degli eventi di cui sono vittime, seguono con apprensione l’evolversi degli avvenimenti che le travolgono. Delitti passionali e politici, nell’atmosfera rarefatta e magica della vecchia Istanbul, si sovrappongono al fascino incantatore di alcuni scorci, descritti con lirica lucidità.
Su questo scenario campeggiano le figure di diverse donne: da Meltem, artista sognatrice e romantica, a Deniz, insofferente del maschilismo turco; da Fatoş, vittima del marito-padrone, a Vera, docente distaccata all’estero con due figlie a seguito, la quale, pur tra mille difficoltà e diffidenze, comprende l’importanza di immergersi nella cultura locale e di imparare i primi rudimenti della lingua turca.
Altre donne ancora compaiono sulla scena, con le loro differenze caratteriali e la pervicacia di inserirsi in un contesto multietnico e multiculturale, cui intende adattarsi Meltem prima di accingersi al viaggio vero e proprio, imponendosi di imparare l’astrusa lingua turca per poter far fronte a eventuali avversità future. Il viaggio, in fondo, rappresenta anche il pretesto per una più consapevole presa di coscienza da parte delle donne - in particolare di quelle musulmane - delle proprie condizioni materiali e culturali in un mondo, in cui sono solo a voce propagandate le “pari opportunità” tra i due sessi.
Meltem (Kara), artista sospesa tra realtà e sogno, incarna, insieme alla sua amica Deniz, il desiderio di riscatto liberatorio delle donne. Non a caso, Istanbul, con la sua aria da vecchia signora in bilico tra Oriente e Occidente, riproduce la cornice adatta alle vicende narrate; mentre il viaggio al monte Nemrut Daǧi raffigura la ricerca delle proprie comuni arcane radici nella fissità eterna delle sue colossali statue di pietra. L’incanto e il disincanto, legati insieme in una spirale di contemplazione e azione, si alternano in un continuum che, da un’ascensionale leggerezza iniziale quasi fantastica, si avvita attorno ad un coacervo di situazioni sempre più realisticamente tragiche ed attuali.
Costrette entrambe, onde evitare rappresaglie maggiori, ad abbandonare la Turchia senza aver portato a termine la loro missione artistica, avvertono, nonostante tutto, la necessità di lasciare aperto uno spiraglio di speranza nel saluto rivolto a Istanbul prima di partire, che si trasforma in un accorato arrivederci: “Istanbul, Görüȿmek üzere”.

L’intenzione di proseguire la performance è più forte dell’incendio che divampa a Taksim e del colpo di stato perpetrato da un gruppo di famigerati Lupi Grigi, proprio mentre la confinante Siria è dilaniata da una guerra fratricida, con possibili infiltrazioni integraliste da parte di Al Qaeda, dell’ISIS e di frange salafite.
La Primavera Araba - che appariva foriera di cambiamenti democratici, soprattutto per quelle donne sottomesse alle prevaricazioni maschili e succube del loro retaggio storico - si è rivelata, invece, un fuoco fatuo, un’illusione di breve durata. L’unico frutto da essa partorito sembra essere un integralismo più stringente e più lontano dall’universo femminile.
Riusciranno, in seguito, le nostre due protagoniste a trasmettere il loro messaggio di pace e di speranza in un mondo migliore, proprio quando il Mediterraneo è in fiamme e la forbice tra mondo occidentale e islamico, tra democrazia e dittatura, sembra ingigantirsi ancora di più?