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Raccolta di testi in prosa di Monica Paccagnella
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Un anno senza Te

Caro Papà Mio,

un anno è passato da quell’orribile giorno in cui te ne sei andato da questo mondo per andare dove so che hai trovato la tua Luce. Ricordo la mia folle corsa in autostrada per raggiungerti sperando di trovarti ancora vivo ma avendo la certezza che Tu non mi avessi aspettata. E così mi hai lasciata: senza una parola, che io ho cercato disperatamente ma che poi ho trovato leggendo il mio cuore; senza disturbare, con dignità e discrezione come è sempre stato nel tuo stile di vita. La Tua Vita, le nostre Vite, separate ma indissolubilmente unite. Mi hai lasciata con un grande bagaglio: i tuoi insegnamenti. Mi hai insegnato cosa significhi essere onesti, ad avere rispetto per le idee altrui, ad aiutare i bisognosi anche se solo bisognosi di buone parole, a comprendere i comportamenti di chi ci sta intorno, anche se, spesso, non giustificati; e imparare ad essere generosa mi è venuto spontaneo guardando Te. Te! che appena io avevo anche una piccola scalfittura nel mio quotidiano, arrivavi sorridente e tutto mi sembrava più leggero! La Tua sensibilità è stata la mia. Ti ho stimato e sempre continuerò a farlo, Papa! Non ricordo una litigata fatta con Te nemmeno scavando nel profondo dei mie ricordi: non c’è proprio mai stata! Se ce n’era bisogno mi rimproveravi facendomi capire dove sbagliavo e mi infondevi fiducia che non sarebbe più successo. Quando piangevo Tu mi dicevi:

“Non piangere, Amore, le tue lacrime mi uccidono!”

ed io, per non farTi soffrire, le ricacciavo dentro e Ti sorridevo e, se eravamo al telefono, Tu ti accorgevi ugualmente se mentivo o no. Mi conoscevi molto bene, Papà Mio! Le poche volte che tentavo di raccontarTi una bugia te ne accorgevi subito e quindi Ti dicevo subito la verità. Tante verità che hai conosciuto solo Tu.

Papà Mio, in questo anno, in cui sono successe tante cose, mi hai seguita, mi hai protetta. Tante volte ho rischiato di fare un incidente ma Tu eri accanto a me. Oh, come ho sentito viva la tua presenza in quella frazione di secondo che mi ha separata dall’irreparabile! Con prepotenza ti sei ribellato al disastro! Ma l’hai fatto con tale dolcezza e serenità per donare a me dolcezza e serenità, che io, in quel breve istante, pur rendendomene conto, non ho avuto paura. Quante cose ho di Te nel mio essere e quanta nostalgia di Te!

Papà Mio, l’onore più grande della mia vita è stato quello di essere Tua figlia.

TI AMO!

*

Aloysius

Mi ricordo... Ma cosa ricordo? Dove sono i miei ricordi? Come è difficile ricordare per me! Mi sembra... in un tempo tanto lontano... io sono stato qualcuno di prezioso per qualcun altro, ma... per chi? E perché? Devo cercare di ricordare! Signore, aiutami almeno a ricordare quel poco che mi permetta di sentirmi ancora una persona, non un fagotto!... Dunque... sì!... ecco... ricordo una carezza sul mio viso, una mano dolce e affettuosa, un sorriso luminoso, uno sguardo vibrante d’amore. Il cuore mi trema in petto. Ma chi è? Quanto amore sento... No! Io non ti conosco! Non voglio le tue carezze! No! Ma... ma... perché non mi accarezzi più? Che confusione nel cervello! Sono stanco. Ma voglio ricordare!... È tutto così lontano! Così perduto, così mai vissuto! Sforzati! C’è tanto verde intorno! Che posto è questo? Un parco? Un bosco? Con chi sono? Vedo una chioma bionda tra le macerie e sento un pianto di bimbo solcarmi il viso. La mano abbandonata tiene il mio orsacchiotto. Poi sono tutti lampi e fuoco e grida e urla e bombe!

Ma di chi era quella mano? Non ricordo più! Eppure la conoscevo.

Ora c’è tanto fumo. Sono tornato. Ma dove sono i miei giochi? Sono questi cocci quanto resta della mia tazza preferita? Fa tanto freddo e ho tanta fame. Un bambino grida nel pianto. Subito una figura si china su di lui e lo prende in braccio, cantandogli una dolce canzone. Quanto ho pianto anch’io come lui!... È caduta tanta neve nell’inverno del ’54 o forse era il ’56... non ricordo. Vedo solo delle orme sulla neve. Sento le carole di Natale e un albero pieno di luci e bimbi in festa attorno. Io li allontano dall’albero. Il signor... che strano! Non ricordo più come si chiamasse il mio primo padrone! Erano buoni i dolci allora, ed io portavo sempre una ciambella ancora calda a Magdala. Questo nome sì che lo ricordo! Bello come il suo sorriso e anche lei era tutta bella! La chiamavo “il mio angelo”. Poi, il treno. La fabbrica e la città vuota d’umanità. La fredda soffitta nella quale nacque mio figlio, quello che mi ha portato qui, dicendomi che  è per il mio bene. E qui sono tutti gentili! Sono tutti premurosi con me! C’è un uomo vestito di bianco. Forse è un angelo anch’egli? Mi guarda in modo strano! E poi, quando parla con mio figlio, dice sempre un nome in tedesco e mio figlio mi guarda e sospira. Oggi non è venuto a trovarmi o forse è già venuto e non lo ricordo? Adesso mi vengono a prendere.

“Scusate, sapete chi è quel signore tedesco che è sempre con me? Perché mi guardate così? Non ricordo bene il suo nome Al... Al... e poi finisce per ... er... mer...”

Mi portano a letto senza rispondermi. Però io vedo uno che fa dei cenni con la testa all’altro. Sono tanto stanco! Ho voglia di dormire un po’. Prima però voglio chiedere al mio compagno di stanza se conosce questo tedesco. Come? Alzheimer? Forse ha fatto la guerra? Ah, no? È una malattia? Ma io non sono malato. Mio figlio dice... Cos’è che dice mio figlio? Non mi ricordo. Forse è meglio che dorma un po’. Sono tanto stanco. Mi sento strano. Le gambe sono tutte intorpidite. Cos’è tutto questo buio? Ancora fuoco e bombe e urla e grida e lampi. Ancora quel bambino che piange! Che bello! L’ho riconosciuto!

Ora comincio a ricordare... ecco: sotto le macerie la mano. Ora ho capito! La stringo forte tra le mie e grido:

“Mamma, accarezzami ancora una volta! Sono io, il tuo bambino... sono tornato!”