chiudi | stampa

Raccolta di testi in prosa di Franco Bonvini
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Chi non ha mai seminato un’ alborella?

Puoi seminare quello che vuoi, un sorriso, una speranza, perfino un desiderio. Se li curi e se li meriti ne raccogli molti di più.
Io da piccolo seminavo alborelle, nel tardo pomeriggio, quando iniziava a calare il sole e il lago indorava ed era l' ora di rientrare.
Dopo aver arrotolato su un rocchetto il filo attaccato al ramo da pesca e nascosto il tutto in qualche cespuglio ne seminavo una sul prato, tra il lago e il monumento ai caduti.
Non è che ne volessi molte di più, anzi, i frutti erano tutt' altro.
Ed erano dolci, più precisamente un cartoccino di caramelle comprate con le dieci lire date da mamma per i cagnotti che invece avrei trovato l' indomani sulle rive del lago.
Poi si rientrava succhiandole, non senza passare dallo zoo, a guardare le scimmie dal culo rosso e dai gesti osceni, così, tanto per una risata.
E ancora oggi se vado al lago davanti al monumento c'è il prato delle alborelle sotto l' asfalto.
E appena fuori dai giardini uno zoo invisibile.
E' vero, oggi ci passo fumando una sigaretta ma ri-vedo le stesse scimmie dal culo rosso.
Così tanto per una risata.

*

La merla

Gennaio un tempo era un vecchio burbero e dispettoso, e aveva solo 28 giorni mentre febbraio ne aveva 31.
Era così dispettoso che aveva preso di mira una povera merla, che al tempo era nera e abitava al bosco in un accogliente nido.
Gennaio ogni volta che la merla usciva scatenava tempeste di neve, e gelo e rendeva il bosco una Selva oscura.
Tanto che la merla era costretta a rientrare senza cibo.
Ma un anno si fece previdente, accumulò scorte di cibo bastanti per tutto il mese e restò al nido al calduccio fino allo scadere del ventottesimo giorno.
Quando uscì Gennaio era così arrabbiato per la beffa che chiese in prestito tre giorni a febbraio, che non restituì più e divennero i giorni della Merla.
Tormentò ancora la Merla per tutti e tre i giorni con terribili tempeste e gelo tremendo, la Merla per sopravvivere dovette rifugiarsi in un camino e così ne uscì tutta grigia di cenere.
E così è anche oggi.

 

E' una leggenda eh, ma non è che non sia vera.

Solo non si sa se è vera.

 

Questa invece è vera:
Nonna era una Selva, una Selva luminosa, e sapeva di tè col latte, e biscotti.
Nonno invece era un Merlo, ma non so com' era,
Però un giorno entrò nella Selva e naque una Merla.
La Merla che mi spia dal davanzale, o dalle rive di un fiume, quella che esce dagli alberi e mi rincorre per metri nei miei giri in bici.
La Merla che mi sognava davanti al lago.
E mi sognava così forte che sono nato.

 

Foto di una nipote "Presenze"

 

*

Rimorsi

Erano circa le otto di un 6 agosto del 45.

Una bella giornata, poche nuvole, la luce bianca e forte del mattino rischiarava la città.
Il B-29 volava lento e tranquillo,
gli abitanti non ne avevano timore.
David spinse il "ragazzino" con calma e decisione,
senza fretta,
mettendolo al suo posto.

Roger, gli dissero, ce l'ho.
E i 400 quintali del "ragazzino" uscirono partoriti dalla pancia del B-29.
Otto e 05 minuti, il bombardiere cabrava oltre i 18mila metri, al sicuro,
il "ragazzino" ubbidì ciecamente al progettista sparando un proiettile di uranio dentro un' altra massa di uranio.

La citta tremò,
poi 71 mila uomini si alzarono al cielo,
in un fungo di polveri e ceneri,
portandosi dietro anche le case.

 

Ventimila se ne andarono poi nella notte.
Cinquantamila entro un anno.
Duecentomila entro il '50
E molti altri negli anni dopo.

E David?

18 anni fa gli occhi che hanno visto il "ragazzino" piangere si sono spenti,
accanto alla moglie,
senza rimorsi né incubi, diceva.

Ma non so.

*

Storie e intrecci

Umberto era un uomo famoso, un giorno decise di partire e partì.
Non tornò mai più.

Laura era una persona molto solitaria, non parlava mai.
Chissà cosa pensava laura.

Giuseppe era forte e coraggioso, gli piaceva andare in guerra, poteva dimostrare il suo valore.
Andò in molte guerre.
In una morì.

Juoing aveva un nome strano, tutti lo prendevano in giro, allora decise di cambiarlo in Tom.
Quando morì morirono altri milioni di Tom.
Di Juoing non ne è mai morto neanche uno.

Rosy amava scrivere ma non era molto brava, nessuno leggeva i suoi racconti fino in fondo.
Chissà come finivano i racconti di Rosy.
Chissà dov' è finita Rosy.

Luigi stava piangendo, Luigi era molto triste.
Come stia adesso non lo so.

Gianni passeggiava molto, un giorno vide una dolce ragazza piangere sul bordo della strada ma non si fermò.
Gianni si chiede spesso perchè piangeva quella dolce ragazza.

Roberta nella sua vita disse solo gne gne e nessuno seppe mai perchè.
Ah no questo era un racconto di Rosy.

Rosy e luigi erano innamorati folli uno dell' altra.
Ma non lo seppero mai.

Cristina era una ragazza molto dolce e sensibile, un giorno si mise sul bordo della strada e pianse.
Pianse perchè nessuno le chiedeva perchè piangeva.

Di marta non vi dirò nulla.

Gianni un giorno si accorse che era finito veramente
e capì perchè piangeva quella dolce ragazza
vide un cuore deluso e tormentato
e lo guarì
e fu felice

Questo è quello che pensava Laura.

Luigi adesso è ancora triste
aspetta Umberto
che non tornerà mai più.

Perchè Rosy ha raggiunto Umberto, e anche lei non tornerà mai più.

Nostradamus era un profeta, la sua profezia più cupa il giorno preciso della Fine.
Quando quel giorno passò nessuno si accorse che era finita veramente.
Ma in fondo chissenefrega...

David era il secondo nome di Nostradamus ma il suo B-29 era troppo alto e il mirino elettrico troppo piccolo.
Non si vedevano le bambine che andavano a scuola
i vecchi nei giardini pubblici
gli uomini prendere i tram per andare al lavoro come tutte le mattine.

E lasciò andare Little Boy..

E nessuno là sotto tornò mai più.

*

Gibson

 

 

Gibson era il suo nickname.
Lo aveva scelto in memoria dei tempi andati e di quel pezzo di legno rosso che ancora conserva e lucida.
Le sue dita, una volta abbastanza agili su quella tastiera di legno, riuscivano sempre meno a seguire il pensiero perciò cominciarono a cercare su un' altra tastiera quello di cui aveva bisogno.
Che prezzo avrebbe dato ai suoi sogni?
Già.. perchè erano proprio i sogni quello di cui aveva bisogno e con le dita su quell' altra tastiera riusciva ancora a farlo.
Un biglietto per Tokio? Un click e via.
Per New york? un altro click.
Passava parecchio del suo tempo libero tra finestre aperte, applicazioni, siti strani.
All' improvviso una specie di animazione in flash sul monitor, un foglio bianco su cui scorreva una penna lasciando tracce nere e rosse, parole che aveva già sentito molto tempo prima e che forse vorrebbe ancora sentire.
Ma le lettere che componevano le parole ripresero ad animarsi e a mescolarsi fino a comporre una grande x con scritto sotto: clicca qui.
Click...
Si sentì scuotere mentre una voce gli diceva: ma come si fa ad addormentarsi sulla sedia? Dai vieni che è pronta la cena.
Lui era una persona tranquilla, sempre disponibile verso il prossimo, soprattutto con gli amici ed era molto difficile se non impossibile che qualcosa lo facesse arrabbiare.
C'erano però dei giorni nei quali era intrattabile, percepiva il mondo che gli stava intorno in un unico colore: Nero pece.
In quei momenti in cui precipiti nella delusione assoluta, é bello avere un amico vicino pronto a consolarti con una frase adeguata, e dall' altra parte di quella tastiera ce n' erano molti.
"Cavolo! ti é presa brutta, dammi retta lascia perdere, non ne vale la pena". Dopo quella frase Gibson abbassò lo sguardo e fissando la tastiera negli occhi scrisse: "Già, hai ragione devo fregarmene, non conta niente".
Era da qualche anno che Gibson affrontava in questo modo i suoi demoni, perché in fondo era di questo che si trattava: Paure.
Nel caso di Gibson, Il demone che non gli dava tregua era la paura della solitudine e del tempo.
Nei giorni in cui queste paure gli facevano visita, per allontanarle si rifugiava nei ricordi, ascoltava musica, o meglio guardava perchè erano quasi tutti dvd musicali dei suoi due figli, e sognava.
Fino al solito scossone e alla solita voce che diceva:
Dai Gib che domani devi andare a lavorare.
Uno sguardo all' orologio del pc: 02.35. Alzò il culo dalla sedia, andò a letto, si abbracciò alla moglie e riprese a sognare.
"Hey hey, my my, rock'n roll can never die".
Fuori dal nero, dentro al blu.

 

Quest' ultimo pezzetto è ispirato da una poesia in milanese: "me mader"

Gibson era ossessionato dal ricordo di quel foglio bianco su cui scorrevano parole familiari.
Aveva cercato parecchie volte di ritrovare quel sito dove aveva avuto inizio l' animazione.
Accompagnato dallo scorrere della musica girava la rete sperando di imbattersi ancora in quel foglio e magari riuscire a leggere tutto quello che c' era scritto.
Fino a quando si rese conto che forse non era arrivato dal doppino telefonico ma da un altro tipo di collegamento....una specie di sibilo mentale.
Allora chiuse gli occhi e piano il foglio cominciò a riapparire, e le scritte.... guardati c' era scritto come sei magro, mangia!, non far tardi la notte, e torna presto.
E rimproveri.
E amore.
Ma piano piano quelle scritte svanivano lasciando il foglio bianco e luminoso.
E allora cominciò a scriverci sopra.....guardami, come sono magro, non ho fame, faccio tardi la notte e dormo poco, dimmi che ho una brutta cera.
Ma le scritte svanivano lasciando il foglio bianco e allora lui ricominciava.
Ma lei non rispondeva.
E lui continuava.
E ancora continua.

Continua..

*

Evoluzioni (Rivista e riproposta)

Gas!

L' aereo iniziò a rollare sull' erba appena tagliata.

Prese subito velocità, facile con quel rapporto di potenza - peso.

Un leggero tocco alla leva del piano di coda e l' aereo iniziò a salire, lentamente.

Poi, con un brusco movimento del pollice sulla leva l' aereo si impennò puntando dritto al cielo.

L' altra leva, per gli alettoni, a destra per iniziare a volteggiare, avvitandosi nel cielo azzurro.

Pareva danzasse, piroettando, guardarlo da terra era uno spettacolo.

Il rivestimento delle ali, come braccia aperte, teso e lucido brillava al sole e l' aereo lasciava una scia di fumo, di olio di ricino, bianco.

Prima che stalli devi portarlo in posizione orizzontale, capovolgerlo manovrando gli alettoni e allora lo stesso movimento del piano di coda che l' aveva fatto salire lo manda in picchiata.

Pochi metri, tanto per aquistare velocità e tornare a risalire verso il cielo con più potenza.

Arrivò quasi a sparire, era un puntino alla vista, nel cielo, prima dello stallo.

Il piano di coda e il timone giocavano insieme per mantenere l' aereo fermo, in equilibrio, in piedi, dritto in mezzo al cielo.

Decidi tu quando portare il motore al minimo, puntare l' aereo a terra e cadere con la gravità.

Decidi tu quando portare gli alettoni a destra e il timone di coda a sinistra per iniziare un avvitamento lento, apparentemente sgraziato e incontrollato dal quale l' aereo non ne esce, neanche riportando i comandi a zero.

Ma non c' era da preoccuparsi, l' aveva fatto altre volte, al momento giusto un colpo d' acceleratore e l' aereo ripunta dritto a terra, avanza tempo e spazio per portarlo in orizzontale, in direzione della pista, oltrepassare gli alberi e iniziare la discesa per l' atterraggio...

 

Dalla sua postazione, immobile nel letto

lei guardava da dietro le palpebre chiuse tutte queste evoluzioni che lui le raccontava,

immaginava l' azzurro e il giallo, e il rosso delle ali brillare sopra gli alberi in fondo alla pista, e poi la discesa nel verde.

 

Lui ne era sicuro, di quando in quando gli sembrava di scorgere un sorriso , (e il sorriso di mamma era davvero bello) così ricominciava...


Gas! E l' aereo ripartì rollando sull' erba verde...

*

Giardino segreto

Dietro una piccola porticina nel cortile di una casa a Como.
La casa dove sono nato.
E un pò di tempo che se chiudo gli occhi rivedo tutto,
mi vedo guardare dal basso alla finestra dove si affacciava mamma per chiamarmi.
Rivedo il ballatoio a fianco, all' uscita delle scale, con in fondo l' appartamento della signora Anna, che poi girava e continuava fino all' appartamento della signora Verga.
Il signor e la signora verga..
Ricordo le palle di fogli di giornale inzuppati e strizzati bene messi ad asciugare in fila sul ballatoio, poi ci faceva casette alpine e paesaggi in cartapesta.
Al piano di mezzo c'era la signora Silvana, metteva una bancarella di mercato al sabato lungo le mura, un' occasione in più per un giro tra i balocchi.
Al pianterreno i signori Bedetti e il loro negozio che dava sulla strada, più che un negozio era un magazzino, vendevano scaldabagni e caldaie a gas, e li montavano, ma anche legna e carbone.
Lui aveva un vecchio falcone della Guzzi, (vecchio oggi, allora era rosso fiammante col volano esterno cromato e lucido.)
Qualche volta mi portava a fare un giro.
Ricordo anche un giro in bicicletta col signor Verga, si usavano quei sellini che si attaccavano al manubrio e restavi con le gambe penzoloni davanti.
Ricordo che ci ho infilato un piede nei raggi e sono finito all' ospedale
Ricordo però più la pena del Signor Verga che il dolore.

Poi c' era il cortile, in pavè grande, con una tettoia per le biciclette e la moto del Bedetti. Auto allora ce n' erano poche, si poteva girare con la biciclettina per tutta Como e perfino nel lago quando arrivava in piazza.

E in fondo al cortile la porticina, di legno quasi nero, sempre chiusa a chiave, e dietro la porta questo giardino, di proprietà di una vecchia signora che è l' unica che non ricordo.

Mamma a volte andava a chiedere la chiave per poter passare qualche ora pomeridiana in quel giardino.
All'interno c' era una vasca rotonda, in granito, tipo fontana ma senz' acqua così che le piante la stavano ricoprendo.
Tutt' intorno un vialetto di ghiaia dove si poteva girare in bicicletta.
C'era anche qualche palma, a como si usavano per il clima mite del lago, e tanti fiori colorati con farfalle e calabroni che ci volavano sopra.
La luce arrivava dall' alto, tra i rami, perchè era chiuso da tutti i lati dalle mura delle case.
C' erano pure due tartarughe, penso vecchissime, sempre nascoste ma se eri fortunato potevi vederle, e altri animali, pettirossi, vermi corazzati che si appallottolavano, bastava alzare un sasso e uscivano i millepiedi spaventati.
C' era pure un nanetto in gesso colorato che spiava i giochi!
E chissà forse qualche elfo.. ma non si facevano vedere.
Non ricordo nemmeno il muro di fondo, coperto da un' enorme foresta di piante da esplorare giorno per giorno armati di arco e frecce che faceva papà coi rami.
Passavo ore veloci in quel giardino, si stava bene, sul tardi poi mamma andava a preparare la cena e finchè veniva a prendermi restavo solo col mio archetto.

Son passato dalla strada recentemente e il portone d' accesso al cortile, che non ricordo sia mai stato chiuso, era chiuso a chiave, motorizzato, coi citofoni moderni e neanche un nome conosciuto.
Il negozio dei Bedetti non c'è più.

Sbirciando dalle fessure si vede ancora il pavè ma nessuna porticina sul fondo, solo una serranda basculante in lamiera, forse il magico giardino era poco più grande di un garage.
Ma mi piace continuare a pensare che era come lo ricordo.

Ho incrociato anche il mio Don dell' oratorio, Don Alessandro, ora Monsignore, coi capelli bianchi e i libri sottobraccio camminava spedito, aveva i soliti occhi che sorridono, tanto che si sono formate rughe agli angoli,
L' ho guardato passare, certo non si sarebbe ricordato di me.

*

Due piccole piume

Andavo verso la stazione.
La sconosciuta invece si dirigeva al bar Principe, il più rinomato del paese, proprio vicino alla stazione da cui era uscita.
Era uno schianto, tutti se n' erano accorti, ma aveva un' aria così familiare che le andai incontro a braccia aperte dicendo finalmente sei arrivata! T' aspettavo con ansia.
Stranamente aprì le braccia, per un abbraccio stretto. I seni erano due cerchi contro il mio petto e sussurrò Ho dei compiti da svolgere qui al Principe ma passa più tardi, avrò finito.
Sorse il dubbio che davvero la conoscessi e magari era per quello che stavo andando alla stazione vista l' aria familiare e la mia famosa memoria oppure se era solo una gran paracula e stava al gioco per prendermi in giro.
Girai un po' per il paese, ma il paese cambiava di continuo, ora ero davanti alla casa di ragazzo, qui e subito dopo a quella d' infanzia, dentro le mura di Como. Passavo dalla Mole Antonelliana alla torre degli asinelli per poi arrivare davanti al Colosseo, e continuare fino a trovarmi intrappolato nel caos del traffico milanese.
C' era una strana fretta di trovare un parcheggio per fermarmi a controllare se fosse l' ora non detta dell' appuntamento, strana perchè l' orologio era ben visibile, in bellavista nel cruscotto dell' auto.
Il primo posteggio libero l' ho trovato proprio davanti al Principe. E lei era lì, sul marciapiede, in attesa, mi abbracciò di nuovo e disse Ho una cosa da mostrarti ma solo quando saremo a casa.
E in un attimo fummo a casa, solo che non era la mia, e non credo neanche la sua visto che era arrivata in treno da un posto lontano.
Era una specie di mansarda col tetto a punta fatto di travi di legno, come uno chalet.
Sì, ecco, proprio uno chalet, mamma ne aveva uno così che sotto il tetto nascondeva gioie, e quella che avevo tra le braccia era una gioia. Sdraiata su un fianco, forse solo sulle mie braccia, appoggiava il viso, che accarezzavo, al mio petto e mi guardava.
Mi guardava lasciar scendere la mano e farla scivolare nei pantaloni, sopra le mutandine. Aveva pelle liscia di bambola sotto ma quando cercai di scostarle un po' disse No! No, non toccarla, non toccare, tocco io ogni due minuti. Disse proprio così e non so se ero più stupito per la volontà di non essere toccata o per i due minuti visto che i suoi tocchi erano molto più frequenti.
Mi si affacciò il tempo,  come  un enorme rotore d' elicottero e i due minuti erano il passo ciclico delle pale e diventavano ore o attimi secondo la velocità del rotore. E tra ogni passo un attimo.
Iniziò a muoversi, sensuale, spalancando la bocca e chiesi cosa stesse facendo..
Gli faccio l' amore fu la risposta e si vedeva che era felice, non era più con me ma era felice.
Poi venne e piangeva di gioia dicendolo e ripetendolo fin che mi baciò.
La lingua era fresca, umida e aspra mentre la stanza invece si faceva sempre più calda.
Non ci facemmo l' amore.
 
Perchè fu lì che mi svegliai, il display sopra il letto diceva che erano passate da poco le tre, altro appuntamento ciclico ormai..
Non so quanto rimasi sveglio a raccontarmi il sogno dall' inizio, una volta , due volte , tre.. come per tenerlo vivo e portarlo ancora nel prossimo sonno.
L' ultimo pensiero però fu domani non ricorderò nulla.
Non venne più nel sonno seguente, non l' ho più vista ma al risveglio c' erano due piccole piume sulla manica del maglione appoggiato al comodino.
Allora è proprio qui, invisibile, in questo Verooggi e sta aspettando due dei suoi variabili minuti.
Potessi accelerare, fino a che i minuti si azzerino, e dagli attimi tra uno e l' altro scocchi una scintilla a unirli in uno solo eterno.
Sarebbe sempre qui.
O fermare il rotore e lasciarla là per sempre.
Ma non si può, gira veloce o lento come il tempo.
 
Tornerà appena può.

 

*

Genti diverse

C’è gente che si alza prima del sole
non per veder l' aurora
e va alla fabbrichetta e lavora
e piscia nelle bottiglie.
Stacca solo per mangiare ed avere la forza di continuare
calpestando sogni
e il suo essere libero.
Per chi, a casa, ha bisogno di lui
e magari sogna una bambola.

 

C’è gente che invece non fa un niente,
metaforico
perchè magari ha ereditato la fabbrichetta
telefonino nuovo e Bmw in garage.
Paga commercialisti
e manager
e un esperto in psicologia aziendale
che faccia sentir contenti chi stacca solo per mangiare di prenderlo in quel posto
perchè loro sono l' anima della fabbrichetta
sono una grande famiglia.

 

C’è gente che raccontatutto in tv
e dice che lotta
che cambierà
e intanto studia come aumentarsi lo stipendio
chè è già dieci, venti, trenta volte più di quello della gente che stacca solo per mangiare.

C’è altra gente che non lavora
non per merito
la mattina al risveglio si trova in mezzo a una via,
arrotolato in un cartone sporco
con i vestiti che non si toglie da anni
neri per l'olio colato sull’asfalto dal motore di Bmw di gente che non fa un niente.

 

C’è gente che per dimenticare questo si beve un caffè
e ci fuma una sigaretta sopra,
ma non basta
allora si fa una canna per dimenticare,
ma non riesce
allora si prende una pasticca,
ma non riesce a dimenticare
allora si inietta qualcosa nelle vene
fin quando arriva al punto che si dimentica cosa doveva dimenticare
ma continua ancora fin quando si dimentica di essere esistito perché è morto.

 

C’è altra gente che la domenica va in chiesa
perché pensa che il Cristo nostro creatore sia giusto e buono di cuore,
e non permetterà tutto questo.
C’è gente che si pone come mediatore tra questa gente che va in chiesa, e il nostro Cristo giusto.
C’è gente che sta in istituzioni storiche di mediatori tra noi e il Cristo giusto
e si inventa una religione
e è osannata e apprezzata e venerata
quasi come se fosse essa il Cristo giusto
gli unici mediatori, quelli con il copyright,
tutti gli altri sono sbagliati.

 

Molti stanno a guardare tutto questo errore che è l’umanità,
forse piange, forse no
ma aspetta solo di morire.

*

L’ Eritrea

Solo un piccolo ricordo mai svanito..

 

Stava nel letto a fianco.

Più in là un tizio sbraitava, e bestemmiava forte pretendendo altri antidolorifici che ormai non potevano più dargli tanto era imbottito.
Lei no, nonostante le avessero segato un' anca distrutta da una pallottola per sostituirla con una protesi.

Lei si lamentava cantando.

Una nenia a labbra strette, bassa e profonda, ma gli occhi chiusi non arginavano il sale che ne rigava gli angoli.
Non veniva quasi mai nessuno ad assisterla, solo una donna anziana ogni due o tre giorni, non credo la madre, forse una donna della loro comunità a Milano.
Bella di una bellezza a lei sconosciuta, non chiedeva nulla, neanche la bottiglietta d' acqua sul comodino.

Stringeva le labbra più forte e si sporgeva per prenderla da sola.
Solo una volta un Plastic! Plastic! per un telo troppo lontano e per non sporcare.
Chissà se sognava il suo sole rosso salire o scendere all' orizzonte, o tornare a riprendere la lotta o un altro combattente che magari la sta aspettando.
O la pace.
Solo quando il dolore era troppo forte cantava quella nenia un pò più forte, gli occhi socchiusi per vedere se aveva attirato l' attenzione. poi fingeva di dormire.
Solo così si lasciava accarezzare la fronte, asciugare il sudore e sistemare un pò i capelli.
E forse poi si addormentava davvero.
Come se bastasse a toglierle un pò il dolore.

E chissà se anche per lei non è mai svanito.

*

Lettera d’ amore esagerata

Dimmi una bugia,
come si fa coi bimbi
quando la verità è troppo dura
per non farli soffrire.
Dimmi una bugia,
perchè la sofferenza non ha età di bimbo.
Dimmi che mi darai un figlio
che abbia i tuoi occhi e il tuo sorriso
ma che sia come quello che sogno
ogni notte
così forte da sentirlo muoversi in grembo
nel silenzio.
Dimmi una bugia splendente
la vestirò di sogno
e ci crederò.
Fino alla morte.

 

tuo Antonio

*

Brevi racconti di viaggio

Più che viaggi, avventure.
Avventure di lavoro, se così si può chiamare il suonare in balere divertendosi.
Non ho mai capito perchè gli impresari di Milano ci mandassero a Bellinzona, o sulle rive del lago di Como o ancora in uno sperduto paesino di 4 stalle e un night in Valtellina, in quel di Sondrio.
Mentre qui a Milano suonavano gruppi di Bellinzona, o Comaschi, o della Valtellina.

 

Però stava anche lì il bello, caricare il vecchio fiat 850 e il mio dyane riempiendo con cura tutto lo spazio, chè non bastava mai.
I pezzi più fragili sopra, per ultimo, e l' ultimo da caricare era il mixer con eco a nastro, per le voci. Nell' attesa lo appoggiavamo sul tettuccio del dyane, si incastrava cosi bene tra le sbarre della capote che sprofondava nella tela e quasi spariva alla vista.
Tanto che a Bellinzona era ancora lì.
Le chitarre invece in cabina, a mano, non tanto per una cantata ma perchè i foderi, sotto a tutti gli strumenti all' andata erano pieni di bottiglie di whisky.. per il gestore del locale e al ritorno di sigarette e cioccolata.
Il vecchio 850 protestava per tutto quel carico e ogni tanto dava di testa esigendo continui rabbocchi al radiatore. Forse gli piaceva l' acqua delle fonti svizzere.

 

Quando si andava sul lago invece il viaggio era molto più piacevole, un pò per la vista, un pò per i caratteristici paesini da attraversare e un pò anche per quel tratto coi paracarri in plastica, quelli bianchi, coi catarifrangenti che facevano un bel rumore sul fondo del pulmino.. tipo cartolina tra i raggi della bicicletta.
Anche la cena, prima di suonare, era molto meglio di quelle svizzere. Pizzoccheri, polenta e formaggi del posto.
E alla fine si poteva uscire a guardar le stelle. Nel lago e sopra il lago. E a sentire i sassi della spiaggia sulla schiena.

 

Della Valtellina ricordo il freddo invece, erano i tempi dell' austerity, niente macchine sabato e domenica così si partiva il venerdì e si tornava il lunedì, giusto in tempo per andare a lavorare.
Vitto e alloggio compreso nel prezzo anche se non erano dei migliori, presso un contadino del posto che faceva una specie di brodaglia coi polmoni di maiale o la trippa.
Lì la nebbia era bianca, come la neve.
A proposito di Bianca.. abitava nel paesino di fronte, dall' altra parte della vallata. A Giuseppe, il cantante, doveva piacere molto la matematica perchè tornava sempre in ritardo quando andava da lei costringendoci a fare qualche pezzo strumentale o improvvisato e si giustificava dicendo che sapeva di quei numeri...

Comunque son sopravissuto e sopravviverò.

*

L’ albero dei cioccolatini

Era la vigilia di Natale
L' albero nella libreria all' angolo era carico di cioccolatini e a disposizione dei clienti visto che si doveva chiudere presto.
Una bimba prese quello più bello, un babbo natale rivestito di stagnola colorata che scartò con cura, per non sporcare a terra e poi si accomodò su un divanetto a fianco del bancone, un pò nascosto.
Era così buono e dolce quel babbo natale e le metteva così tanta felicità che la bimba desiderò che ogni persona che entrasse e ne assaggiasse uno provasse le stesse sensazioni e scordasse il freddo che faceva fuori.
Ma non fu così.. gli adulti hanno sempre qualcosa da ricordare.


Quel camionista, per esempio, ne prese uno a forma di camioncino, come quello che vedeva sempre sul grande albero del salotto di casa sua quando da bambino, stava a rimirarlo incantato dalle lucine lampeggianti e colorate e iniziò a mangiarlo.

Ricordava le voci dei genitori, in particolare quella della madre, che lo esortava a prendere un cioccolatino, a esprimere un desiderio, perché a mezzanotte si sarebbe avverato.
Uffa!! Ma quando arriva mezzanotte!
Aveva preso, anche allora, il cioccolatino a forma di camioncino anche se desiderava un bel trenino, con i binari, la stazione, gli scambi, il semaforo e una galleria.
Stanco, andò a letto, nella sua cameretta, e s'infilò sotto le coperte coprendosi fino alla fronte, aspettando la madre che sapeva sarebbe venuta a sistemargli le coperte e a dargli il bacio della buonanotte, fece finta di dormire sperando che la mezzanotte arrivasse più in fretta.
Quando non si udì più nessun rumore provenire dal salotto, si alzò e andò sul gran divano di fronte all'albero ancora illuminato, voleva vedere Babbo Natale, voleva vedere da dove sarebbe entrato, il camino non c' era in quella casa, porte e finestre erano chiuse.
L' orologio sul muro segnava le 23,15 ma lui non arrivò neanche a vedere le 23,30 perché si addormentò quasi subito.
E lì si svegliò, sul divano ma con la sua coperta che lo aveva tenuto al caldo, forse era stato proprio babbo natale a mettergliela!
C' erano anche dei pacchi sotto l'albero!
Neanche quest'anno era riuscito a scoprire da dove era entrato...
C' erano dei nomi sui pacchi, Franco, Egidio, ancora Franco, mamma, papà, ancora Egidio... così corse in cameretta a svegliare il fratello che dormiva per dargli la notizia e farlo partecipe dell'entusiasmo per l'apertura dei regali.
Nel suo ci trovò proprio il trenino, quel trenino che aveva desiderato tanto e che la madre gli aveva fatto scrivere sulla letterina dicendo che così Babbo Natale non si sarebbe dimenticato.
Ora... com'era finito a fare il camionista? Era lì in quella città lontana, in quel negozio mentre i figli erano a casa ad aspettare il Natale.

 

La bimba intanto si era addormentata sul divanetto, era un momento di calma così anche la proprietaria della libreria approfittò di un cioccolatino.
Scelse una bella monetina dorata.. già, una moneta, la libreria andava così male a causa di tutte queste vendite on line e ebook che ce ne sarebbero volute molte di monetine per risolvere i suoi problemi.
Però il cioccolatino era magico e appena messo in bocca e gustato il suo sapore pensò che forse non era quello il problema più importante.
O meglio, c'era tutta una serie di problemi più "piccoli" che avevano molta più importanza.
La morte della madre prima e una serie di delusioni poi l' avevano come spenta, immalinconita, forse era anche per quello che gli affari andavano male... non se ne curava più molto, le sembrava che la gente intorno fingesse di interessarsi a lei ma che in realtà tutti foseero immersi nel loro mondo.
Aveva perso anni così e intanto il tempo passava trascinando quella sua sensazione d'inadeguatezza ed estraneità, si sentiva strana per quella capacità di gioire, piangere e soffrire per le poesie, per un'alba, per la vista del mare o un tramonto e non credeva più che ci fossero altre persone come lei.
Però non aveva perso la fede nell'amicizia e nell' amore, quella no,
Il cioccolatino sembrava avesse il potere di farle riprendere fiducia nelle persone, nell'amore e nei sentimenti.
In fondo era felice che la sua idea dell'amicizia non fosse cambiata ed era sicura che presto molte cose si sarebbero risolte...

 

Intanto entrò un generale in pensione venuto per cambiare un giallo preso in mattinata perchè s' era accorto di averlo già letto.
La memoria cominciava a vacillare ma d'altronde non poteva ricordare tutti i titoli dei gialli letti, prese una pigna, forse per la forma che ricordava un pò una granata e si accomodò sul divanetto, di fianco alla bimba, stanco, per gustarselo in tranquillità.

Si ritrovò, sulla porta di quella capanna, con la grossa mano sporca di fango che stringeva il braccino della bimba.
Erano due, gli avevano detto, forse tre, bisognava aprire la strada, liberare il campo per poter passare, e ordinò il fuoco.
Le pallottole oltrepassavano le pareti di paglia come se non ci fossero, inutile usare esplosivi, e quando il fuoco cessò, nel silenzio restò un pianto.
Erano in due è vero, restava imbambolato su quella porta a guardare la scena che gli si presentava, sentì nausea, aveva visto la manina sporgere da sotto il corpo della donna a terra immobile.
Dov' è il fucile, chiedeva qualcuno, abbiamo sentito tutti sparare da questa capanna, deve esserci un fucile.
Ma lui restava lì immobile con il suo di fucile stretto nelle mani a guardare quel foro nel vestito, in mezzo alle spalle, dove era passata la palla che le aveva fermato il cuore.
Si avvicinò alla bimba e le carezzò la testa, lei si ritrasse, lui voleva dirle qualcosa ma parlare no, proprio non era possibile.
Intanto era apparso un fucile vicino al corpo della donna: "Eccolo il fucile" gridava qualcuno. "avevamo sentito tutti sparare, vero?"
Poi l'alcool lo aveva aiutato a dimenticare , aveva avuto anche medaglie, e promozioni, fino a diventare generale...
Il cioccolatino l' aveva fatto tornare lì, con la divisa da tenente quasi nuova di magazzino, a sentire quel pianto e la puzza della polvere da sparo.
E' così, ci sono giornate in cui scopri che il nemico non è l'unico predatore.

 

Entrò una professoressa di liceo, stava guardando l' albero senza riuscire a decidersi su che cioccolatino prendere.
Ho quarantanni, pensava, una vita spesa nello studio e nell'insegnamento, una bella casa, un figlio che non conosco più e un uomo con cui dormo.
Ho realizzato il sogno che mio padre e mia madre mi avevano caricato sulle spalle e ne sento il peso.
Certo, ho la mia casetta ordinata e pulita, i miei libri pieni di polvere, il lavoro che mi impegna, e il rospetto bugiardo che non diventerà mai un principe.
Eppure c'è stato un tempo in cui ridevo, forse da piccola avevo imparato ad allungare la bocca, allora sì che bastava accennare un sorriso….
Intanto la bambina si era avvicinata a lei e la tirava per la gonna, "Mi racconti una storia?" diceva " ma bella, non come quelle che ho sentito finora, quelle sono per grandi".
Lei la guardò, ci pensò un po', e iniziò a raccontare.
Non erano più una donna e una bambina, erano due anime che si erano incontrate.
Dopo un po' tutti i clienti della libreria si erano raggruppati intorno alla professoressa ad ascoltare la sue storie.
Storie di fate, di casette di zucchero e cioccolato, ascoltare è un po' come rubare, prendere le emozioni e i sentimenti di un altro e farli tuoi, e quello non era più un gruppo di persone ma un' unica anima che gioiva e soffriva per le stesse cose.
E lei ne faceva parte!
Ma quella bambina stava insegnando a tutti solo cose che sapevano già, e che avevano dimenticato, o volevano dimenticare.


Alla fine del racconto si accorsero che la bambina era sparita, forse erano così presi ad ascoltare quelle fantastiche storie che non si erano accorti che qualcuno era venuto a prenderla, o forse anche lei era un sogno dei cioccolatini.
La proprietaria della libreria, il camionista, il generale e la professoressa non sapranno mai chi era, ma poi...
avrebbe avuto importanza?

*

Ultima posa

L' auto correva veloce in questo sole ottobrino
e la musica della radio riempiva l' abitacolo.
Lo schianto è stato improvviso,
un rumore secco di ramoscelli asciugati al sole e calpestati.
Avevo seguito con l' occhio il bimbo che arrivava da destra, di corsa e col suo pallone ma poi era sparito,
come avesse svoltato in qualche via.
Non so come sia riapparso, proprio davanti all' auto, prendendosi ogni luce e spegnendo ogni musica.
Restò solo il silenzio, stava steso, scomposto, occhi al cielo boccheggiando parole mute mentre l' aria si faceva sempre più pesante, tanto da toglier spazio all' espandersi del cuore.
Durò pochi secondi, forse, poi tornò a schiarire e io steso, scomposto e occhi al cielo sapevo che se ne stava andando, tranquillo, col suo pallone.
Anche questo durò pochi secondi perchè fece di nuovo buio.


Finchè suonò la sveglia.

*

Il figlio della Jugoslava

Di pelle non troppo chiara nè troppo scura
aveva capelli neri e occhi furbissimi.
Non ne ricordo il nome
anche perchè per tutti era "il figlio della Jugoslava",
ricordo però che il banchetto di scuola sembrava andargli stretto
proprio come a me,
e sembrava scalpitare, come ci fossero delle puntine sulla sedia,
proprio come me,
anche se ora so che i motivi erano diversi.


Diventammo amici e a volte, usciti di scuola, facevo un giro un pò più lungo per fare un pezzo di strada insieme.
Sembrava non avesse tempo per fermarsi a giocare lungo la strada e fretta di tornare a casa e non voleva che lo accompagnassi su per le scale, fino in casa.
A volte, prima di arrivare al portone, le tende di una finestra al terzo piano si scostavano un po' e si intravedevano altri capelli neri di una figura femminile.
Allora lui accellerava il passo e salutava.. A domani!

 

Ma non tutti i domani c' era e non si vedeva mai neanche all' oratorio.
Facevo lo stesso il giro lungo ma le tende non si scostavano, le scale erano buie, la casa vecchia, e il cuore piccolo.

Non era paura, mamma per fortuna non m' ha mai messo paura sugli zingari, nè detto mai che se non fossi stato bravo m' avrebbero preso gli loro.. anzi diceva a volte quando tardavo troppo che forse m' aveva preso lei da loro.

Quasi fosse un complimento.

 

Però mi incamminavo verso casa sperando nel domani.
Mancò tre giorni una volta e allora durante il solito giro lungo presi il coraggio, con la scusa di portargli almeno i compiti, e son salito fino al terzo piano.

C'era solo una porta da bussare.
Ha aperto lei, la ricordo bella, alta e fiera, dopo aver visto che ero lì per il figlio e per i suoi compiti sembrava contenta e m' ha fatto entrare.

La casa era pulita e accogliente, anche se arredata in modo strano per me. E poi ricordo montagne di camicie, e panni da stirare e lui che stirava.

Non ascoltò nemmeno la madre che voleva che smettesse, e che lo aiutassi a fare i compito così l' indomani a scuola sarebbe stato preparato ma smise per un tè coi biscotti.

L' indomani c' era.. e aveva pure trovato il tempo di fare i compiti.. il tempo per giocare però non l' ha mai scambiato con quello speso per la madre.

 

Tempo dopo, vista la mia insofferenza ai banchi m' hanno tolto le "puntine" cambiandomi scuola, una di quelle più "aperte" ai piedi dei monti e coi muri di vetro sul prato.

Non ricordo altro, non so come fu che ci siamo persi.

Forse quando ho cambiato città.
Chissà dov'è ora.

*

Commessi

Buongiorno!

Avrei bisogno un ampli, abbastanza valido e buon rapporto qualità prezzo.

(La soluzione più valida non è mai la migliore)

 

-Ah, guarda, ho questo T.C.S. 100 watt che "tirano" più di un carro di buoi.

 

Mmm.. E che valvole monta?

 

-Oh, no, niente valvole. Monta splendidi transistor mosfet della Tizio&Caio (T.C.)

 

Ok.. e i coni?

 

-Coni da 18''.. della Sempronio (S.) devi sentire la notevole pressione sonora che riescono a produrre.. ti sventoleranno i pantaloni a starci davanti.

 

Riverbero?

 

- Digitale. spring modeler.

 

Si può provare?

 

- Sì sì, però qui l' acustica non è gran che, sai.. la moquette.. le vetrate.. comunque l' accendiamo.

 

-Allora? Sentito che sonorità? Cosa decidi?

 

Risposta di cortesia:

Sì.. così così.. ma ci dovrei pensare. Magari ripasso

 

Pensiero di scortesia:

Ma va a bip bip bip a vendere bip bip bip ai bip bip bip!!

*

Dalle stelle alla terra

È solo un sogno..

Non è che dormissi eh.

Non sogno quasi mai dormendo, o almeno ne ricordo poco.

Però sogno dalla mia poltroncina dondolante, con la musica in cuffia

o nella vasca, calda e rilassante.

E poi guidando, o pedalando, o montando una cucina.

Cosa strana mai suonando.. 

 

Comunque stavo appunto tra le stelle, tanto cantate invano da ragazzo

e ci si divertiva quando ne cadde una.

Le corsi dietro, una picchiata verso le nuvole e oltre ma la distanza dalla stella non diminuiva mai.

Passate le nuvole si iniziò a vedere la terra.

Sembrava un enorme ventre gravido, le nuvole gli davano braccia e gambe aperte verso il cielo.

La velocità e la distanza dalla stella aumentava sempre più.

Restava poco tempo allo schianto.

Certo però non dev' essere male schiantarsi precipitando al centro della terra.

 

*

Sogno pentatonico

Era uno dei soliti palchi

quelli di feste paesane

sotto le stelle.

Al posto delle alogene ai fianchi però

c' erano due fotoelettriche

tutto era illuminato a giorno

così che le stelle non si vedevano.

Tutto procedeva bene

e la gente si divertiva

finchè il cavo di tensione iniziò a scintillare

le fotoelettriche lampeggiavano

l' audio mandava strani ronzii.

La gente guardava confusa.

Apparve un ragazzo, non ho visto da dove

saltò sul palco come facevo io una volta

e iniziò ad armeggiare col cavo, senza risultato

perchè le fotoelettriche si spensero e tutto sparì.

Ma lui si accese, di un azzurro elettrico

Solo io e lui.. assomigliava a un ragazzo che avevo già visto.

Scansati, disse, così gli ho dato la diavoletto

e iniziò a suonare

erano le canzoni che facevamo da giovani.

I sogni di un bambino..

decidi..

La verità..

Ma in un modo che non ho mai sentito

con un suono che neanche i Celestion più costosi possono dare.

Non so quanto tempo durò, ma potevi batterlo con le mani,

come un orologio senza lancette.

Dovette andare alla fine, e non volle insegnarmi neanche qualche nota.

Tu prova, diceva, e riprova, tenta, e ascolta.

Ciao.. io torno presto.

*

Della morte e i suoi inganni

Pochi gli incontri con lei finchè sei giovane,

neanche ci fai caso, lei passa quasi inosservata.

Poi un giorno ti ferma e si presenta,

ti mostra un parente, o un amico,

Giorgio, o Roberto o Adriano.

 

Te li mostra fra le sue braccia

Freddi, bianchi, come se se li fosse preso lei.

tu li guardi, e li tocchi..

è vero sono proprio freddi e bianchi

e allora li scuoti, e li pizzichi, ma loro niente,

Nessuno risposta.

 

Roberto avrebbe detto oh, che cazzo fai pizzichi?

Giorgio m' avrebbe anche mandato affanculo..

e gli avrei detto che non sarebbe poi stato tanto male

andarci con sua sorella..

di sicuro m' avrebbe dato un pugno.

Qualunque cosa Lei si sia preso, quelli non sono loro.

 

Loro non ci sono più in quei corpi.

E Lei non ha nulla di loro tra le braccia.

*

L’ odore dell’ Olona

Non si sente più a Milano
non si sente più come una volta
affacciato al balconcino della stanzetta
dove la zingara mi guardava dormire.
Potevi guardare l' acqua scorrere lenta,
oggi, se si guardasse da lì, solo il passare delle filovie non è cambiato.
Poi un giorno, per caso, in periferia trovi un ponticello sull' alzaia,
nei boschi, che lo scavalca.
E lo senti.
E la zingara è ancora lì a guardare.
E allora ti accorgi che non scrive più di te,
quel cantante famoso che sembrava sapesse tutto della tua vita e dei tuoi sentimenti invece non sa una beataminchia.. (per dirla alla Albanese)
E neanche tutti quei poeti o scrittori in cui ti ritrovavi o quei registi..
Forse solo una.. passando dal Villoresi ai Navigli.
Libero!
Potresti cominciare a scrivere di loro.

*

La riva destra

Salendo, da Erba versa Canzo trovi un lago sulla destra,

abitato da oche e anatroccoli e tutto circondato di canneti.

L' acqua prende il verde dei monti e brilla al sole di oggi.
Ma devi arrivare in fondo al lago per poter imboccare la stradina che torna dalla riva destra verso Eupilio.

 


Parte dallo chalet abbandonato, che porta il nome del lago e che ancora fa la sua figura sullo sfondo dei monti, come una vecchia signora.
Anche la strada è in disuso, percorribile solo a piedi o in bicicletta,
tutta coperta di foglie, come avesse nevicato fiocchi di un bel giallo vivido.
L' asfalto quasi non si vede. Grazie alle foglie per questo.
Anche il rumore delle macchine non c'è, solo quello delle ruote attutito dal tappeto di foglie.
Ogni tanto un tronco, vecchi e grandi alberi caduti e messi lì, tra la strada e il lago a far da panchina, a servire ancora i passanti.

 


Ti ci puoi fermare e sederti, magari proprio davanti a una cappelletta costruita dal gruppo alpini, ad ascoltare.. niente.
Perchè il lago non ha onde, non ha voce, chiuso com' è tra i monti,
Bè, non proprio niente.. se si muove un pò l' aria il canneto mormora e gli alberi del bosco rispondono, come un' orazione in quella cappelletta.
Dopo un pò non è solo il canneto, o gli alberi, ci sei anche tu lì in mezzo, nel canto, e tutti i tuoi cari. Tutti.
Non andresti mai via.
Ma devi.
E alla fine riparti.
Le prime case, qualche barca alla corda in piccole insenature create apposta per loro indicano che la strada sta finendo,
e si arriva sulla statale,
dove ricomincia il traffico e il rumore.