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Raccolta di testi in prosa di Dzemile Jusufi
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Condivido riflessione sull’emergenza coronavirus

Sono morte delle persone, sono morti i nostri nonni, i vostri nonni, le nostre zie, le vostre persone care.

Io sono la prima a dire che nella vita si possono fare degli sbagli, perché siamo esseri umani, ma quando questi sbagli costano la vita di altre persone, allora bisogna fermarsi a pensare.

Era un’emergenza, si possono perdonare gli errori, ma questi errori adesso hanno reso il contagio fuori controllo. Non basta stare a casa, non basta lavarsi le mani, non basta uscire a cantare dai balconi, adesso bisogna fare qualcosa di più.

Sono morte delle persone perché non si sono isolate adeguatamente le prime zone rosse.

Sono morte delle persone perchè le ferrovie dello Stato hanno permesso la fuga da Milano.

Sono morte delle persone perché la quarantena è partita quando era troppo tardi e stare a casa non era sicuro, bisognava isolare i contagiati asintomatici.

Sono morte delle persone perché le tabaccherie con annesse slot machine hanno continuato a funzionare fino a 4 giorni fa come niente fosse.

 Sono morte delle persone perché i servizi di trasporto non sono stati fermati.

Sono morte delle persone perché gli ospedali non erano preparati a causa di tagli decennali.

E allora, con tutta la comprensione del mondo, magari sarà anche stato in buona fede, ma io penso che queste morti ora meritino che ognuno di noi si fermi a pensare veramente, si meritano che anche i responsabili di questi errori si fermino a pensare.

E dopo aver pensato capiscano che bisogna trovare persone competenti a gestire l’emergenza (perché dopo tutti questi sbagli, non finirà tanto presto). Persone competenti veramente. Bisogna che chi ha sbagliato metta a disposizione le risorse per sistemare, a costo di rinunciare AL PROPRIO STIPENDIO (perché tanti di noi hanno pagato questo prezzo, non andando a lavorare o chiudendo le proprie attività).

Non voglio puntare il dito, perché con il senno di poi è semplice, ma adesso bisogna fare le cose come si deve a qualunque costo ! E’ ora di smettere di nascondersi. E’ ora di smettere di fare errori. E’ ora di sistemare tutto (anche per rispetto di tutte le persone morte senza un funerale, senza la possibilità di salutare i propri cari).

(Anonimo, ma fate girare perché si possa sentire una voce umana e consapevole dentro ognuno di noi in questa enorme tragedia italiana).  

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Capitolo 2

Giada rimase di nuovo sola, non riusciva a muoversi, come se qualcuno le avesse appena portato via qualcosa che aveva tra le mani. Lo sapeva cosa succedeva in quel bagno. Il suo sguardo vuoto non osava ammetterlo a sé stessa e allo stesso tempo si alzava piangendo per origliare e dare conferma, di nuovo, alle sue paure.  Lo voleva affrontare “Cosa ci stai a fare tutto questo tempo in bagno?”, ma poi lo sapeva che Giacomo avrebbe trovato il modo per litigare e dare la colpa a lei.

Passava delle ore in bagno, con la scusa di avere problemi intestinali.

Quelli erano i momenti peggiori per Giada, era dietro alla verità, impotente. E lui esasperava la menzogna fino a quel punto, come poteva? Come riusciva a essere così crudele e fare la vittima di fronte a lei? Erano domande che Giada si poneva come se fosse un disco rotto, senza tregua e senza avere risposta, come se quella fosse la sua unica possibilità. Piangeva dietro quella porta, perché sapeva che non avrebbe osato dirgli niente. In quel momento per Giada c’era solo quella prigione di bugie e lacrime, un incubo a cui non credeva che sarebbe mai stata destinata. Non si chiedeva nemmeno se un giorno sarebbe mai potuta finire o andare meglio, era immobile in quel pozzo buio e chiuso senza nemmeno un raggio di sole.

A volte la sofferenza psicologica la poteva sentire anche nel fisico, sentiva un pugno stringere forte il suo stomaco e cadeva a terra torcendosi e abbracciando le ginocchia. Era una scena davvero desolante, ma Giada non ci pensava minimamente, non provava pena per sé stessa, provava solo dolore e tristezza. Se solo avesse avuto la coscienza di vedersi, avrebbe reagito, ma tutto quello che riusciva a fare lo stava facendo.

Giacomo in bagno si era già dimenticato di sua moglie. Era felice adesso, finalmente era riuscito a entrare in bagno e ora andava tutto bene, il resto traslava in secondo piano. Faceva con calma quello che doveva fare, come una sorta di rituale, come quando ci si prepara da mangiare il proprio piatto preferito. Non gli era mai venuto in mente che sua moglie poteva sentire, poteva farsi delle domande, che sua moglie sapeva. Erano cose a cui pensava spesso, ma non mentre era in bagno. Pregustava il senso di libertà e serenità e si sentiva la persona più felice del pianeta. In quel momento riusciva a dimenticarsi di tutta l’aridità che aveva creato attorno a sé negli ultimi mesi. Dimenticava le conseguenze di ciò che stava facendo. Sarebbe uscito da quel bagno ancora sotto effetto dell’eroina e niente lo spaventava sotto l’effetto dell’eroina.

Quando usava quella sostanza ogni cosa era bella, era possibile e anche con Giada non litigava. E poi la sensazione che provava non sarebbe mai riuscito a descriverla. Quella sensazione creava dipendenza e l’eroina crea dipendenza fisica. Dopo averla provata una volta non era più riuscito a farne a meno. Ogni giorno ne aveva bisogno a dosi sempre più frequenti.

In alcuni momenti si sentiva un fallito assoluto, si vergognava per quello che stava facendo, aveva addosso le paure più terribili che un uomo può mai provare e l’unico modo per fuggire a sé stesso era una nuova dose, l’unico modo per dimenticare il volto segnato di sua moglie era chiudersi in bagno e fare la sua magia.

“Amore, non  sai che cose grande avevo, ho fatto tanta fatica ad andare in bagno” usciva Giacomo ridendo.

Giada lo guardava incredula ogni volta “Come riesce? E’ davvero convinto di quello che dice. Perché mio marito mi sta mentendo così? Lo sa che non ci credo eppure continua…”

Vedendo che lei non rispondeva, continuava con il suo buon umore “Dai vestiti che stiamo un po’ insieme oggi pomeriggio, ti porto a fare un giro”

Giada a quelle parole reagì felice. Non era una soluzione, ma almeno usciva dalla sua solitudine e poi avrebbe passato del tempo insieme al marito, che per quanto la stesse facendo soffrire era l’unico essere umano presente nella sua vita al momento.

 

*

Lo zingarello

Cammino per le strade trafficate di Tirana, sto passando di fianco al grande parco che si trova in centro e vedo un cestino verde che si muove come un'altalena.
Incuriosita mi fermo a osservare e dietro sbuca uno zingarello che ci sta giocando.
E' un bimbo sporco, sui tre o quattro anni. La sua aria divertita è diversa rispetto all'aria divertita di tutti gli altri bimbi che ho visto, sembra che nessuno abbia mai sorriso a quel bimbo. 
E' vestito tutto di rosso, con degli stivali rossi di gomma che gli vanno sopra ai calzoni sporchi. Mentre corre, giocando, il suo corpo esprime come tutto il resto che lo circonda non esiste per lui.  La sua postura è quella di una persona che ha già cominciato la propria lotta, un piccolo esserino che non avrà molte possibilità nella vita, non avrà occasioni di conoscere, ma  la fierezza dei suoi passi mi è rimasta impressa.

*

ossessione cap 1

"Hai visto dove sono le mie scarpe?"
"Perchè? Devi uscire ancora?"
" Sì! E smettile di essere così assillante, non mi fai respirare con le tue domande! Se devo uscire esco, non ti devo dare spiegazioni!"
" Ma veramente non ti ho chiesto alcuna spiegazione..."
" E basta! " Fece una grave pausa Giacomo, poi riprese: " Non ce la faccio più, così mi soffochi". Poi uscì di casa, senza nemmeno salutare sua moglie Giada, che ormai disperata dalla situazione non osava più ribellarsi a suo marito, divenuto da qualche tempo irriconoscibile.
Si domandava lei dove avesse sbagliato, cercava di seguire il nesso logico di quei deliranti colloqui con il marito, ma ormai da tempo ne aveva perso il senso e lentamente cominciava a perdere il dolore, entrando inevitabilmente in uno stato di apatia involontaria. Lo amava, sì, lo aveva scelto nonostante tutto e tutti, lo aveva scelto per quello che era, perchè lui non aveva nulla e lo aveva scelto per amarlo senza la minima corruzione che deriva dall'essere parte della società. Lo aveva scelto, ma non voleva vedere che da quel giorno Giacomo era diverso. "Perchè dice che lo assillo? Non è forse lecito per una moglie preoccuparsi? Se non lo so io dove si trova, chi lo dovrebbe sapere? E se succedesse qualche cosa? Io non so nemmeno quando dovrebbe tornare... Non so cosa sta facendo, non me lo racconta e si arrabbia quando glielo domando... Perchè si arrabbia? Lui sa sempre dove sono io e cosa faccio, anzi per me è un piacere condividere queste cose... Io non ho niente da nascondere... Già..." E Giada scoppiò a piangere prima di avere la forza di continuare in questo suo flusso di coscienza, perchè ormai era ovvio che suo marito aveva qualcosa da nascondere.
Pianse a lungo, soffocando il dolore nelle sigarette e nei programmi spazzatura che si ostinava a guardare come osessionata dal pensiero che la sua fosse ormai una vita indegna e irrecuperabile. Non si guardava nemmeno più intorno, le sembrava che le pareti di casa fossero diventate brutte, le sembrava che il suo sguardo non avesse la volotà di spingersi fino ad osservarle; il disordine si moltiplicava dietro a una pigrizia alimentata da troppa solitudine e depressione. Il telefono squillava, ma non era mai Giacomo a chiamare, quindi lei non rispondeva, come vinta da un'angoscia ingiusta, ma vera.
Giacomo invece si sentì subito un senso di leggerezza, ma davvero passarono pochi secondi prima di essere attanagliato dai rimorsi e dai sensi di colpa; lui si sentiva vittima e carnefice allo stesso momento, non riusciva a risalire al principio di quella situazione, ma ogni volta che ci provava, dava la spiegazione più logica e meno dolorsa: ovvero che fosse tutta colpa di Giada se le cose stavano andado così. Ogni volta sentiva quel brivido di averla fatta franca di nuovo, quel momentaneo senso di onnipotenza che deriva dall'essere riuscito a ingannare qualcuno per l'ennesima volta, quasi ci credeva lui stesso alle bugie che diceva, quasi si sentiva soffocare realmente da quella giovane creatura che era sua moglie, ma non per le domande che ella le faceva, si sentiva soffocare perchè lei nella sua geniunità non poteva immaginare quali ossessioni accompagnassero l'animo di Giacomo.
"Pronto, sono Giacomo", "Ciao Già, come stai?", "Sto in crisi amico, ho bisogno di un favore...lo sai.." "Va bene vieni, io ci sono."
Fu questa la prima cosa che fece Giacomo appena uscito di casa, nemmeno il tempo di salire in macchina aveva telefonato al suo amico. Lo faceva già da un po', la stessa telefonata quasi identica, alla sua cerchia di conoscenti che potevano dargli quello che stava ossessivamente cercando, ripetute finchè non trovava una risposta positiva. Alle parole del suo amico si sentì impaziente e allo stesso tempo sollevato, lo stesso stato d'animo che si prova quando si supera un dolore radicato nel profondo da molto tempo e finalmente sciolto in una soluzione. Ancora prima di arrivare, però, i pensieri lo avevano ormai sormontato, il suo tragitto si era trasformato in una tempesta di mare incotrollabile. La conosceva la strada, ma continuava a sbagliare come se le onde della mente fossero reali e capaci di muoverlo caoticamente. Non poteva sopportarlo, era impossibile mettere ordine a quel momento, nemmeno Giacomo era capace di cogliere la disperazione che stava provando, eppura la stava provando esattamente lì, in quella macchina, verso quella direzione. Poi si disse "Tra un po' starò meglio". Non lo poteva ammettere di essere lui stesso la causa di quell'inferno, non lo voleva accettare che quella telefonata fosse il principio di quei pensieri e lo scopo verso cui si strava precipando, era esattamente ciò da cui stava fuggendo. Un pericoloso circolo vizioso, difficile da controllare.
Quando uscì dalla casa dell'amico, stava decisamente meglio. I suoi pensieri erano tutti positivi, il mondo sembrava fatto apposta per rispondere alle sue esigenze e non c'era niente che potesse procurargli fastidio, nessun problema esisteva più, adesso finalemente era tutto pace. Sorrideva al pensiero di tornare a casa, di riabbracciare sua moglie, non vedeva l'ora di chiederle scusa per la precedente lite, poi le comprò un regalo, per farsi perdonare di essere stato fuori così a lungo senza chiamarla. Conosceva benissimo il resto delle bugie che le avrebbe raccontato, conosceva lei e quali funzionavano meglio per lei, ma non c'era senso di copla adesso, adesso sarebbe stato tutto perfetto, almeno per un po'. Si chiese se era meglio chiamarla per testare il terreno, ma poi decise che era inutile perchè lo conosceva troppo bene ormai quel "terreno".
Quando entrò in casa la trovò seduta nel letto, al buio, stava fumando e aveva l'aria di non aver fatto altro per tutto il tempo. Era bellissima, ma il suo volto era stanco, era bellissima ma qualcosa di troppo brutto ormai le si era annidato dentro e si vedeva. Giacomo cominciò a vacillare dal suo ottimisto di fronte a quella vista, ma non voleva farsi scoraggiare. Prese coraggio e la guardò negli occhi. Amava quegli occhi che parlano, un tempo gli avevano raccontato il più bello degli amori mai provati, ma adesso li odiava, perchè quegli occhi avevano più ragione di ogni altra cosa e lui capiva tutto in un piccolo istante, era duro il peso della verità. Per un attimo si affacciò in lui l'ombra della sua osessione, ma era deciso a combatterla. "Lo so che sei arrabbiata" cominciò a parlare Giacomo, "hai ragione ad esserlo. Scusami se ti ho trattato male prima, sei la mia principessa." Giada lo guardava ancora con gli stessi occhi, ma dentro era felice di rivederlo. Aveva sentito quelle bugie tante altre volte, ma era bello riaverlo a casa. Lei non ci credeva più e lui lo sapeva, ma era l'unico modo per andare avanti, quelle bugie erano l'unica cosa bella della giornata e facevano il loro dovere. "Sei stato via molto... sono sette ore e mi stavo preoccupando." disse Giada con un filo di voce, anche lei mentiva perchè avrebbe voluto dire tutt'altre cose, ma in fondo le sue parole non erano bugie. Bugie erano le sue lacrime che nascondevano quei pensieri che non aveva più la forza di esprimere. Giacomo l'abbracciò. Stettero così, in silenzio per qualche minuto. Ognuno parlava in quel silenzio, erano momenti onesti. "Scusami, avrei dovuto chiamarti, ma avevo il telefono scarico... Ho incontrato un vecchio amico che non vedevo da vent'anni e ci siamo persi a chiacchierare, non ho realizzato che fosse così tardi... Ti ho preso dei cioccolatini per farmi perdonare."
Altre volte Giada aveva affrontato quelle scuse e aveva preteso la verità, ma questa volta si era rassegnata, avrebbe imparato a convincersi che fosse vero. Perchè pretendere la verità ormai era un gioco per Giacomo, avrebbe mentito fino ad arrabbiarsi ancora e avrebbe vinto con il silenzio. "Mi perdoni?" "Ti perdono sempre io, ma non merito di essere trattata così" rispose Giada con la voce spezzata e le lacrime stanche, gli occhi erano vuoti adesso e i pensieri lontani; non si riconosceva in quella situazione, ma non sapeva affrontarla. Le tornò in mente il ricordo di come era prima di sposarsi, non avrebbe mai permesso a nessuno di trattarla così, mai. Raccolse l'ombra di se stessa e abbracciò il marito, senza amore. Lo abbracciò con risentimento, con angoscia e delusione, sperando che lui non sentisse.
Si addormentarono così, stretti l'uno all'altra. I loro pensieri, però, non potevano essere più distanti. Lei pensava a come lasciarlo, a cosa dirgli, come dirglielo, in quale luogo sarebbe stato meglio farlo, pensava a cosa sarebbe successo dopo, pensava a come trovare il coraggio per farlo. Lui invece pensava al giorno dopo, era domenica e non doveva andare al lavoro, pensava a come riuscire ad andare dal suo amico senza far insospettire Giada, pensava a tutte le bugie che gli sarebbero servite per poter avere ancora quello che doveva avere tutti i giorni, più volte al giorno.
Alle nove di domenica mattina Giacomo era già pronto per uscire di casa, cercava di fare piano, ma Giada si svegliò. Lo vedeva che stava per uscire di nascosto e provò una grandissima rabbia dentro, non ci voleva credere. Giacomo però era molto furbo "Buon giorno principessa, volevo andare a prenderti la colazione prima che ti svegliassi...ti amo",le disse, poi uscì senza accompagnare quelle parole nemmeno con un bacio. Lei sentì un pugno allo stomaco, non si sentiva affatto una principessa adesso. Quasi avrebbe urlato dalla disperazione, ma sprofondò nel letto prima di svegliarsi del tutto, perchè almeno dormendo avrebbe risparmiato angoscia.
Giacomo fece le sue telefonate e poi partì per placare le sue osessioni. "Devo fare presto, maledizione! Odio la domenica, perchè Giada mi tiene sempre sotto controllo."
Passò un'ora e Giacomo era ancora dal suo amico, decise di chiamare Giada prima che lei si insospettisse e rovinasse la giornata, di nuovo. "Ciao, amore.. Sono qui al bar, mi sono fermato a leggere il giornale per questo sto tardando. Come la vuoi la pasta?" "Ehi, ciao. Mi hai svegliato..." "Ah, scusa, allora continua a dormire, te la prendo alla nocciola perchè so che ti piace". Poi chiuse rapidamente la telefonata, se sua moglie dormiva avrebbe avuto meno seccature. Così decise che si sarebbe organizzato per la giornata senza dover uscire misteriosamente di casa, avrebbe dedicato il pomeriggio a Giada e sarebbe andato tutto bene. "Mirko me ne servono un paio per oggi pomeriggio e una per stasera.." "E dove le trovo adesso? Quando hai chiamato avevi detto il solito! Ci vorranno un paio d'ore se vuoi che te le procuri. Poi lo sai a quest'ora non gira nessuno..." "Sì lo so, stai calmo."
Ci vollero più di un paio d'ore, quando Giacomo tornò a casa con la coalzione, ormai erano passate le due del pomeriggio. Lei non aveva chiamato, era contento da un lato, ma dall'altro sapeva che la stava perdendo e questo gli faceva male. Entrò e la trovò ancora a letto. Avrebbe voluto sentirsi in colpa per averla lasciata sola tutta la mattina, per averle tolto la voglia di vivere con le sue bugie, ma trovandola così addormentata si sentì felice perchè se non aveva chiamato era perchè stava domendo. Lei si svegliò subito, aveva il sonno molto leggero. Guardò il cellulare e vide l'ora. Vide che Giacomo non l'aveva cercata, quindi si preparò alla maestria del marito nell'inventare. Perchè in realtà si meravigliava di quanto fosse abile e naturale nel mentire tutte le volte, lei non era tanto convincente nemmeno quando raccontava la verità.
"Sei stato via fino adesso?" Istintivamente Giacomo provò rabbia per quella domanda. Non capiva il motivo, ma quelle parole gli sembrarono ingiuste, cattive. "Sì, sono stato via! Vedo che ti sei preoccupata molto, non mi hai nemmeno mandato un messaggio". Lo sapeva di fare un gioco doppiamente crudele, ma non riusciva a sopportare il peso della colpa e quindi la colpa adesso doveva dove trasferirsi alla moglie. "Non ti ho cercato? Ma se solo ieri mi hai detto che ti assillo con le mie domande? Che ti soffoco! Secondo te io adesso mi sogno di telefonarti per chiedere dove sei?". Giacomo si sentiva come se avesse sbagliato mossa, perchè le parole della moglie erano di nuovo giuste, di nuovo lo facevano sentire in colpa e diventava improvvisamente tutto insopportabile. Sentiva la tempesta di pensieri avviciarsi, i sensi di colpa, la vergogna, la paura, il dolore, il fallimento; avrebbe voluto morire in quel momento, davvero. Per un attimo si fece silenzioso, poi piangendo disse alla moglie "Io non so dove ho sbagliato con te, ma sento che non mi ami. Ho fatto tutto quello che potevo. Adesso se mi permetti ho bisogno di andare in bagno"