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Raccolta di testi in prosa di Giuseppe Bonvicini
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I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Prenome Benedetta

La segretaria infermiera mi dice di accomodarmi:”è questione di poco credo, poi lei è in anticipo vero?” Conosco fin troppo bene la strada ed entro nel salottino di attesa. Dapprima alla finestra balcone guardo i tetti assolati e la Cattedrale di lato, disotto il giardinetto con le rose appassite. Poi mi siedo nella poltrona nera che mi permette di avere davanti Balthus: la stampa della Stanza dove l’adolescente mi trasmette la sua noia dell’attesa. Che non è uguale alla mia, essa è più importante e pregnante: in fondo lei ha pochi anni, io molti di più. Come li avrà la ragazza che sta uscendo dallo studio con gli occhi arrossati e i gesti bizzarri. “Venga” la sua voce da dentro. Lo frequento da mesi il bravo analista a cui chiedo: “chi è la ragazza?” non risponde e mi dice di sdraiami, rifaccio la domanda e butta là “segreto professionale, su come andiamo?”Io parlo del più e del meno dico che il caldo è insopportabile che in città siamo rimasti in pochi: ma penso alla ragazza di prima alla tenerezza del suo pianto. “Bene, bene”sembra venire a consolarmi: “noi qui abbiamo terminato almeno per ora intendo, le ferie sono sacrosante vero? Lei ne sa qualcosa”ridacchia e mi parla del viaggio che farà a Bali con moglie e figlia “è il periodo migliore sa? nemmeno io lo sapevo….” ma io non lo ascolto, con la testa sono altrove. Lo capisce e cambia argomento: “lei era molto stressato, la depressione nove su dieci parte da questo, ma ne abbiamo parlato ora sta meglio vedo, sa anche i farmaci hanno fatto la loro, senta cosa ne dice di vederci in settembre?” Poi al citofono dice alla signora di fissarmi per dopo il quindici di quel mese. Ci salutiamo con una stretta di mano, io gli auguro un bel viaggio e lui una bella vacanza: “a proposito dove andrà?”Gli dico che non ho ancora deciso: “al mare forse”.Giù, “salve!”è la ragazza di prima con un cono in mano davanti ad un bar due passi dal comune portone.”Ciao!” non credo ai miei occhi e sono contento, mi fermo.”Senti e lo strizza?” fa una boccaccia e aggiunge “che stronzo!” Tento “ti ha fatto…” non mi viene il piangere ma lo dice lei.”Ho pianto di rabbia non ci vado più, poi va a Bali lo scemo.”Mi presento,”mi chiamo Giulio”,lei”mi chiamo Benedetta che nome del cazzo vero? Poi addosso a me sembra una bestemmia.” E ride col gelato che finisce per terra.”Fanculo! Faceva schifo, avevo chiesto menta e liquirizia e mi dice che li ha finiti.” Poi dichiara che quello allo yogurt non è male.”Da che parte vai? io prendo la metrò”,non so cosa dire di diverso. E’ una bella ragazza che mi intimidisce forse per via degli occhi di un blu oltremare, è un po’ magra ma alta.”Anch’io, la due per Piola e tu?” Intanto si accende una marlboro.”Va? Anch’io la due, scendo a quella dopo, a Lambrate”. Ne sono entusiasta. Lei dice che è una figata e mi prende sottobraccio.”Dai, raccontami di te,sei sposato?”ci avviamo alla fermata, cento metri più avanti.”Prima no, poi quasi, devo farle pena.”Ma la tradisci? la verità bel figaccione!” con lo slang dei ragazzi di famiglia.”Siamo assieme da poco, lei è già al mare” (una balla pietosa), che non la tradisco per me resta sottinteso.”Allora sei solo? cucini tu o vai al ristorante, o salti?” e ride, è la prima volta che la vedo allegra.”Non so farmi nemmeno il caffè, ogni tanto mi cucina la donna, quella dei mestieri, sennò esco”: anch’io rido. Siamo seduti vicini in coda alla carrozza, sia per l’ora che per via del fine luglio non c’è affollamento.”.Vengo da te? dai!” Mi guarda diritto negli occhi.”Adesso? ma c’è ancora il custode”(balla pietosa due). Lo dico con la bocca impastata.”Ma che cazzo ti frega del custode?” mi fissa con scherno evidente.”Senti, così domani tutto il condominio sa che mi porto in casa le ragazze” mi sembra una giustificazione più che assennata.”Ma che cazzo ti frega del condominio?”lo scherno è quasi rabbia.”E’ il nostro perbenismo non posso farci niente”,con rabbia anch’io, con molta rabbia. Segue un silenzio imbarazzante almeno per me perché lei dice:”io ho voglia, volevo godere” con gli occhi che stanno per piangere.”Io ho voglia di quello che non so” una frase sciocca da uomini sciocchi. Poi nel silenzio le prendo la mano e la ascolto che dichiara:”sono malata, si chiama anoressia”,ora è tranquilla e parla con pudore.”La prossima è Piola!”, lo dico per dovere.”Non ci sarà la prossima, lo è già”, si alza e si avvia. Io la seguo e la trattengo nel mentre si spalanca la porta: come si è spalancato il cuore in un battibaleno.*** Siamo a casa mia e abbiamo fatto all’amore. E’ così magra che pare trasparente, una trasparenza che mostra l’anima di dentro: pura come la bellezza del suo sguardo da rinascimento. Ora è rannicchiata tra le mie braccia e mi stringe forte la mano, nello specchio vedo i suoi occhi vagare senza una dimora. Penso che potrei essere la sua casa ma è un pensiero astruso che non vuol dire niente: ci saranno dieci o più anni tra noi e altri cento di paure nascoste quelle che tento di tirar fuori io e quelle che opprimono lei fino a schiacciarla.”Cosa facciamo ora?”a me va bene tutto.”Ancora l’amore dai!”quasi un’implorazione. Le dico “dopo tesoro”, sono sincero è lei lo avverte.”Ceniamo da te? Dai preparo io so farlo sai” che tenerezza.”Però dovrai avvisare a casa immagino?”con apprensione vera.”Si papino mio, chiamo la stronza” che sarebbe la madre lo capisco. Gira scalza per la cucina con la mia camicia addosso, cerca pentole e altro e non so aiutarla ha detto che preparerà una sua specialità e che sarà una sorpresa. Ma devo lasciarla sola e allora le dico che vado a telefonare a Valeria (balla pietosa tre). Accendo la tivù per il telegiornale, in cucina lei urla e canta la Nannini a squarciagola, abbasso perchè quelle canzoni mi prendono sempre. Sono quasi le nove quando grida: “è pronto dottor Stranamore!” e la sento ridere mentre mi sciacquo le mani. In cucina ha preparato con le candele, devo tenere gli occhi chiusi per via della sorpresa che è una pasta con dentro una decina di cose.”Ti piace? l’ho inventata io ad una festa” mi guarda e aspetta che io dica di si.”Da morire.” E il mio vorace appetito le dà la certezza. Lei pizzica qua e là poi dice che le scappa pipi. Penso stia vomitando e allora nello sconforto io me la prendo col mondo intero.”Piccola, ma lo strizza ti sta aiutando?”non so come porre la domanda.”Quello? ma stai scherzando”mi fissa come avessi dovuto saperlo.”Allora perché…” dovrei proseguire ma lei mi ferma.”Chiedilo a mia madre, fa tutto lei senza mai dirmi niente questo è il terzo caro mio: il primo mi faceva sdraiare nuda e dietro intanto si pipava, la seconda era una lesbica e mi diceva che mi amava da morire, da questo qua ci vado da tre mesi e ogni volta mi urla che non collaboro”, poi abbassa la testa e tira su col naso. “Ma tuo padre?”lo avrà santo cielo.”E’ buono ma è un coglione in casa non può mai dire la sua, per esempio lui fa l’avvocato e lavora come una bestia, ora vorrebbe riposarsi un po’ in montagna ma niente: la stronza ha deciso che si va tutti in America”. Ora è arrabbiata e se la prende coi cuscini del divano.”Tu e loro?” tanto per sapere.”Si perché mio fratello che ha solo diciassette anni fa il cazzo che vuole, beato lui e andrà a lavorare nell’agriturismo”, parlandone con orgoglio. Sento che devo fare qualcosa ma non so cosa. Sento che provo una tenerezza che sfiora l’amore. Sento che lei si aspetta un mio aiuto quando mi dice:”mi sono innamorata sai?”con lo sguardo lontano.”Almeno una cosa bella santo dio.” Sono felice che abbia un ragazzo.”Ti amo da impazzire, se mi lasci mi ammazzo!”Allora capisco, sono io il suo amore. Sono io… Ecco l’aiuto che cerca, un uomo più grande che le ridia la vita. Che tenti di farlo perlomeno. So dove abita, la sera avanti l’ho accompagnata in macchina a casa e passando dinanzi al condominio mi aveva detto ” quello là”. Mi sono piazzato a ragionevole distanza sotto la pensilina del filobus ché alle dodici di luglio il sole brucia le cose e le persone. Sto aspettando che esca, anzi sto sperando da quasi due ore e sono là non per un appuntamento convenuto ,”ti telefono io” aveva detto nel lasciarci mentre io le accarezzavo i capelli e lei singhiozzava composta. Ma avevo trascorso la notte a guardare le stelle sicuro che tra esse una fosse infelice come lei , poi avevo atteso di sentire la sua voce: a cominciare dall’alba che si era proposta fiacca dentro la foschia dello smog e quella dei pensieri. Non telefonava, e il mio ragionamento calcolava le fasi del giorno come avessero parametri universali, fino alla rivelazione inaspettata giuntami come un dogma “alla mattina i giovani dormono che dovrebbero fare sennò?” Per questo sono qua, mi aveva parlato del suo cane che amava, “prima o poi.” E infatti eccola uscire dal portone e inseguire il labrador che corre verso i giardini. La chiamo… niente, la rincorro e giungo stremato dov’è sdraiata nell’erba, le dico ciao e un sacco di parole che ascolta con aria distratta, mi chiede di non cercarla ché la sua vita è un valzer senza musica. “Ma ieri hai detto di amarmi?”Patetico senza dubbio.”Ieri era ieri” poi nasconde la faccia per piangere.”Non mi presenti Pompeo?” un tentativo di distrarla.”Ah si!” lo chiama con un fischio e ora sprizza allegria.”E’ più bello di te”, una battuta cretina la mia.”Lo so lui mangia anche per me” una tenerezza che angoscia. “Senti, andiamo al lago?”ma un posto vale l’altro.”Si dai, quale?”con vero interesse. Glieli elenco tutti dal Garda ad Orta. Lei sceglie Orta perché le piace il nome, mi dice “anche Pompeo però” e l’assicuro “anche lui”.Quando ci arriviamo propongo la trattoria, le mi chiede di andarci da solo e di portare “qualcosa per lui”. Allora invece tutti sotto la pergola dove fanno panini, ordina anche lei “prosciutto, formaggio, carciofi, pomodoro, grande che dobbiamo mangiare in due.”Invece mangia solo il cane perché io solidarizzo col suo digiuno.”Prendiamo la barca facciamo il bagno e…” ha il volto raggiante. “L’amore? Sulla barca? Con il caldo?” Sono domande che lei non comprende e noleggio un gozzo che mi fa sudare solo a guardarlo.”Alla bancarella vendono i costumi, vieni” una proposta sensata priva di un senso che le appartenga.”Lo facciamo nudi come Pompeo”,la sua logica disarma. Io acquisto gli shorts e un barattolo di crema lei mi prende in giro e mi dà del trapassato, e appena il legno si stacca dal molo si toglie tutto e si posiziona in punta: allarga le gambe “ti piace?”e siccome dico di no le allarga ancora di più più fa una boccaccia e urla “ti amo piccolino” poi si tuffa assieme a Pompeo , lui abbaia lei canta io li guardo e basta. E quando anch’io sono nell’acqua devo fare i conti coi suoi giochi impertinenti ché il protestare non serve: anche quando mi si avvinghia come una piovra e ottiene l’amplesso che si era ripromessa. “Siamo una copia fissa?” me lo chiede di continuo ora che il suo valzer le scandisce la musica.”Certo che lo siamo” mento in una buona fede sincera. Sono passati pochi giorni che paiono infinito, quello che ha preceduto l’incontro, quello del domani. Mi consola che la leggerezza del presente li contenga entrambi: così diversi così lontani. Perché di una cosa ho certezza in questo arrancare forzato “io la salverò aldilà dell’eco di una poesia mai scritta”, questi i pensieri che rubano sonno alla notte e sbriciolano tutto il gesso alle precarie pareti. Ci siamo dati appuntamento per le nove a Loreto. Lei arriva trafelata, è vestita come non l’ho mai veduta prima: indossa cose femminili ben pettinata appena truccata.”Hai visto?” fa una piroetta e la gonna svolazza.”Sei perfetta per una festa di nozze” e l’abbraccio con l’emozione che si rinnova.”Dove mi porti Sranamore?” e ride, ride serena”Avevo pensato al fresco brianzolo” ho in mente Merate o Montevecchia.”Che fantasia, allora meglio casa tua”non ride ma è serena.”Guarda là trentacinque gradi, Stranamore si rifiuta” penso altri posti e fisso il suo disappunto.”Sai che sotto sono nuda?”vuole provocarmi ed eccitarmi.”Allora ti porto dove dico io” ho deciso per Bergamo alta. In macchina alza al massimo lo stereo canta assieme a Battisti e mi dice le sue preferite: che sono anche le mie “fatti uno per l’altra”è il suo commento mentre l’autostrada scivola sotto e l’aria spettina i pensieri tristi.”Ecco arrivati” mentre parcheggio.”Cavolo che bello qui” è scesa ed è già seduta sul muretto. Mi siedo accanto a lei con le gambe che penzolano nel vuoto, le ho cinto la vita col braccio e lei mi ha posto il capo sulla spalla. “Quante luci, chissà che fanno in quelle case”una frase banale che la rimanda al suo chiodo fisso.”Scopano, beati loro.”Mi prende la mano e la posa sul seno che non ha.”Invece noi andiamo a farci un gelato” paterno è sciocco vista la circostanza.”Capirai…” con tutta l’amarezza di un rimpianto. Segue il silenzio dei baci taciturni, quello degli sguardi che trasudano malinconia. Perché tutto è precario io lo so, lei lo sa.”Dai, fissiamo una stella e pensiamo ad una cosa” io ce l’ho accanto ma guardo lo stesso verso il cielo.”Quella la vedi?” indico col dito dove ce ne sono milioni. Si quella.” una vale l’altra purtroppo.”A cosa hai pensato?” vuole saperlo è determinata.”E’ un segreto solo la stella lo sa” le faccio tenerezza perché mi bacia la mano e dice che sono uno stronzo. Poi salta giù e si mette a correre avanti e indietro, la osservo e considero che i bambini fanno come lei. Quando le propongo una gelateria lì accanto fa no col capo e si infila nella Chiesa.”Dai qui non c’è nessuno facciamolo qua” maliziosa ed ingenua al tempo.”Non scherzare siamo in un luogo sacro” però sorrido lo stesso.”Allora io mi confesso tu fai il prete” mi indica un confessionale con la grata. Si inginocchia e mi chiama con insistenza, decido di accontentarla ed entro timoroso aprendo la porticina che permette di ascoltarla.”Da quanto tempo non ti confessi figliola?”Lei “dalla prima comunione.”Io” vuoi dirmi cosa ti affligge?” lei”mi chieda, io le rispondo” io”ami i genitori?” lei “mio padre si, mia madre sarebbe meglio morisse” io”hai commosso atti impuri?” lei” cosa vuol dire, se scopo?” io si, si anche quello,”lei “ora lo faccio con uno quasi sposato, con lui mi sento bene anche se succede poche volte ha sempre caldo,” io”ma queste cose fuori dal matrimonio non si giustificano col sentirsi bene, lo ami almeno?” lei”si, tantissimo, se non avessi lui mi ucciderei.” io”il Signore capisce e perdona, dici bugie?” lei”sempre, anche a lui.” io”per esempio?” “gli ho detto che sono andata da tre strizza e che due facevano i porci” io”allora sei andata solo da uno?” lei”si!”io “in  Chiesa non vai vero? lei “questa non è una Chiesa?” io”va bene, devi pregare la Madonna.” lei”che mi faccia guarire? Ha altro da pensare.” io “non è vero, lei pensa a quelli che hanno bisogno”, lei”Stranamore, ma tu hai fatto il prete?”Ora il suo gioco è terminato però ora so una cosa importante.”Si, nell’altra vita” mentre esco dal confessionale e chiedo perdono a non so chi. Lei si è inginocchiata all’altare della Vergine, mi chiede dei soldi per dieci candele “non si sa mai, quella spesso ci prende” poi fa il giro dei santi sui quadri e dichiara che vorrebbe diventare santa anche lei. Eccolo il temporale annunciato, nella notte quasi fosse un ospite sgradito. Per un’ora ha fatto il pandemonio poi è scappato brontolando a rintanarsi per chissà quali paure, forse quella di aver fatto soltanto rumore o quella di aver spruzzato qualche chicco di troppo. Io l’ho accolto in terrazza,seminudo, incurante dei fiori che lui schiacciava irato e dei teloni che sventolava a bandiera. L’ho lasciato bestemmiare, anzi l’ho perfino benedetto salvo maledirlo dopo quando è andato. Ma tant’è, ora i pensieri sono lavati e le idee odorano di buono, come il profumo dell’asfalto che giunge adornato di frescura: balsamo propizio per carni moribonde. Sotto anche i lampioni tersi e luminosi inviano luce nelle pozzanghere ad incontrare l’amore: che diventa un agitarsi lieve senza affanno, tremore solo in superficie, breve quel tanto da non apparire esibizione. Mentre il semaforo riposa, egli, ha delegato il giallo che si mostra da pavone ammirato dai quei pochi, in corsa, verso la certezza di una meta nata morta. Così che loro non sanno di essere orfani da sempre. Mentre io lo so, forse caso o forse intuizione: per quei paradisi che giungono improvvisi e che poi scappano senza un addio o un battimani. Un miracolo questo rimasto: “una speranza, le certezze non ci sono” me lo aveva detto al momento del congedo con la franchezza del Luminare onesto, intensa come il suo guardare profondo. Così che io potei penetrare nella sua anima bambina con quella poca virtù che ancora mi restava, “ha parlato di speranza Benedetta, dobbiamo aver fiducia.” E mentre lo dicevo lei ,immersa nell’amore, fece si col capo, “ci parleremo ogni giorno vero?”Ed è per questo che a quest’ora della notte sono in attesa: della voce almeno, che un oceano ha per qualche tempo allontanato.

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Mia Madre

Ad un compleanno di strisciante vecchiaia considero, in un andare molto indietro con gli anni, che mi manca lo status di adolescente. I ricordi della mia vita inutile, si sperdono in lontani fatti della fanciullezza e si riaffacciano poi, solo più tardi, quando credo di essere diventato grande a sufficienza, intorno ai vent’anni più o meno. Oddio, si può diventare adulti in giovanissima età o si può restare bambini per molto tempo, per tutta la vita anche. Ma questa affermazione contiene una valenza snobistica e pertanto non vorrei riferirla al mio caso. Dico non vorrei perché non ne sono certo, come sempre del resto quando si tratta di parlarmi addosso non ho mai certezze consolidate. “Sei una farfalla!”, me lo hanno rinfacciato o l’ho pensato anch’io, non fa differenza, un semplice dettaglio. Mentre l’accusa di snobismo resta e pesa come un macigno, ignorando se per insopportabilità o per eccessiva gratificazione. Entrambe le evenienze vanno considerate a fondo per stabilirlo. Come? Non lo so per ora, dopo tutto non mi interessa granché il saperlo. Anzi non mi interessa affatto per via della mia presunzione innata. Dunque, e questo me lo chiedo, chi ero in quell’inesistente passaggio di ruoli? Avevo fratelli e sorelle come tutti, uno mi era gemello e uno più grande perduto da anni volato via come la colomba del suo amato Picasso. Ora le sorelle sono vedove, abbastanza in salute e con voglia di vita. Volevo bene a tutti loro ? Non saprei dirlo, perché non li conoscevo intimamente, allora, per via della guerra che ci aveva separato. E poi, anche li avessi avuti intorno, non avrei provato particolari sentimenti d’affetto per il fatto che ognuno è diverso dal suo simile, e perché è umano- o disumano? - pensare di se stessi prima che di altri, siano pure i fratelli di sangue. Questo fu anche dopo, visto che con evidente cinismo considero il conclamato amore fraterno troppo spesso un sentimento da telenovelas, buono per citazioni di rito e per lacrime d’occasione. Volevo bene a mio padre e lo ricambiavo senza riserve. Amavo mia madre in una burrascosa reciproca incomprensione. Il ricordo più lontano di lei è di una domenica a cinque anni che mi castigò per una mia negligenza fatta a fin di bene nelle mie intenzioni, negandomi di andare alla messa con gli altri: in ginocchio invece, per tutto il tempo ad espiare quella presunta mia indegnità. Mi sentii un vero peccatore e forse ne fui anche fiero? Perché ribelli anche si nasce ed io ci ero nato. Mamma, non ti ho mai serbato rancore per questo affronto del quale eravamo entrambi complici responsabili in parti uguali. Senza privilegi di gerarchia intendo. Ora, che la tristezza mi accompagna assai spesso, ho provato a rifugiarmi nel ricordo di te, scomparsa da tantissimi anni nella maniera nella quale se ne vanno i vecchi: sola e infelice in un ospedale neanche tanto alla tua altezza. Eri rimasta per alcuni giorni assopita o addormentata. Noi, ci alternavamo attorno al tuo letto, tentavamo anche di chiamarti, ma inutilmente. Penso che quel silenzio, fosse la tua piccola, o grande, vendetta nei nostri confronti per averti regalato la ‘bellezza’ di una casa di riposo. Non ne volevi sapere, ed avevi ragione da vendere: tutti complici a decretare la giustezza della scelta. Fu una scelta? Certo che lo fu santodio! Nessuno poteva (o voleva) tenerti. Eri un peso, non lo sapevi? Poi occupavi spazi, occupavi tempo, occupavi equilibri, occupavi la nostra vita, insomma…Avrei molto da dire sul tanto disordine che nasce quando dei figli vogliono mettere ordine. Siccome non ho diritto di pontificare, mi dichiaro reo nella circostanza dei tuoi ‘rifugi imposti’ e mi rifugio anch’io nei ricordi che molto hanno lasciato alla mia memoria. E al mio cuore, credimi, cara madre del nostro tempo perduto. Ho un ricordo dove andare, a volte, neanche tanto sperduto o tenuto a galla per le ricorrenze importanti. Era un pomeriggio di primavera con le rose di maggio arrampicate sotto la tua finestra. In camera parlasti come sempre, ti lamentasti come sempre, mi rimproverasti un po’ come sempre. Ma mi accorsi che la tua salute non era quella di sempre: non sapevi dire, o non volevi dire, o ti vergognavi di dire che sentivi un peso gravarti nel ventre. Intuii? Si si, non serve essere indovini o persone eccezionali per capire che la loro madre anziana si sta portando a spasso un tumore. E da tempo oramai, anche se nessuno – medico o non medico- ne parlava. Uscito dalla tua stanza, tornai indietro percorrendo la stradina esterna. Non ci eravamo dati appuntamento, non era mai accaduto prima: eri alla finestra, a piano terra, ad aspettarmi…sorridente, con i tuoi occhi celesti accesi come non li avevo mai veduti da quando, la vecchiaia, aveva reso anche i tuoi un poco spenti. Ecco, questo è il mio ricordo: i tuoi occhi mamma, belli e buoni come non ne ho più veduti di uguali. Come quelli, i tuoi di quel pomeriggio del nostro incontro, dell’ultimo incontro tra una madre e suo figlio ora anziano... quasi vecchio ahimè!

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Lui era mio padre

Era là davanti a me, seduto su una panchina, con l'aria che volesse interrogarmi... per quella mezz'ora di ritardo supponevo, e allora lo prevenni: “Ti fai vivo dopo vent'anni nel mezzo della notte per dirmi che vuoi vedermi, al parco, per giunta, lontano un'eternità da dove abito io, mi raccomandi la puntualità, prima delle sette dici, perché dopo devi andare.”**Lui non rispose, mi invitò a sedermi accanto mettendosi in grembo il libro che aveva con sé, mi si accostò e prese a tastarmi il tessuto della giacca con un esame scrupoloso, visionando anche camicia, scarpe e cravatta. Poi aprì bocca a dire che per quelle cose gli assomigliavo, intendendo buon gusto ed eleganza. Lui vestiva una grisaglia col panciotto, regimental giallo oro e bordò sulla camicia immacolata, scarpe nere impunturate; mi incuriosirono i gemelli con una specie di stemma araldico, tanto che gli chiesi che roba fossero, “è di un circolo privato, me li hanno regalati ad una festa.” Dopo qualche minuto di silenzio che usai per fare congetture sul fatto che ora aveva molto danaro, che certamente non aveva trovato sugli alberi come un Pinocchio qualunque, e su quanto potevo chiedergli senza sembrare esoso. Lui beatamente continuava a fumare aspirando una boccata dietro l'altra e buttando via la cenere che finiva spesso sui pantaloni. “Ma si può sapere dove li trovi i sigari adesso?” Ci guardammo e di colpo il gelo si sciolse nella risata sbocciata come un fiore in primavera. “Te li ricordi gli stratagemmi perché tua madre non li trovasse? Ne comperavo dieci alla volta dalla Pragol che mi faceva credito, brava donna la Pragol, nata a Praga settanta anni prima e solo per questo tu e tuo fratello la canzonavate come dei cretini... poveretta, onesta soprattutto.” Intanto guardava lontano col sorrisetto un po' furbetto e i begli occhi celesti ancora più intensi di allora: quando facevano innamorare le segretarie e ingelosire mia madre come una ossessa.**“Bene” ripresi, “volevi vedermi?”**Si girò a guardarmi ancora mezzo assente ma stupito, “ma non ti servono soldi? Premetto che il tempo delle prediche è finito da un pezzo, ma lasciati dire che i guai te li vai sempre a cercare.”**Mi stava innervosendo. “Ma in che mondo vivi, santo Dio? Tutti che ti vogliono imbrogliare, che non mantengono le promesse, che ti illudono per poi darti un calcio nel sedere... e i soldi? Chi pensi sia disposto a darteli: strozzini, finanziarie e banche ancora peggio!”**Mi interruppe: “No,no, noi delle banche siamo gente seria e onesta, Zadri per esempio ha concesso prestiti a cani e porci, danaro vero non porcherie, ed è finito in galera. Poveretto, per la vergogna è corso da noi come un cane bastonato... poi al processo si è visto chi era lui e chi erano gli altri. Su, allora? Io faccio un favore a te e quando sarà il momento tu ne farai uno a me: una cosa da niente, non allarmarti che non si tratta di baratti, non siamo mica al mercato ma due persone che si vogliono bene, non ti pare?"**Quella distinzione così garbata e intelligente mi colpì e mi fece riflettere: aveva ragione, tra due che si vogliono bene non ci sono imbrogli o sotterfugi, mai e poi mai. E poi di uno che andava in giro con i romanzi di Márquez non c'era da essere sospettosi; avevo letto il sottotitolo di quello che aveva in mano: 'la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla'. Allora gli dissi che ero felice che gli piacesse così tanto e mi confidò che era il suo romanziere preferito.Li ho letti tutti o quasi, L'amore ai tempi del colera mi commuoveva ad ogni pagina, e a te emoziona lo scrittore?”**Certo che mi emozionava e mi sovvennero certe righe di quell'incredibile romanzo a cui lui alludeva... il cuore ha più stanze di un bordello...**Poi gli rammentai: “Sono quasi le sette, non devi andare?”**Rispose di sì, che doveva andare. “Ma il taxi? Intanto che ci avviamo dimmi cosa ti serve, per me te la chiederò a suo tempo quella cosa...”++Così gli dissi la cifra senza patemi o soggezioni e lui non batté ciglio come se gli avessi chiesto delle noccioline. Proprio là davanti all'uscita c'era un'auto gialla. “Sei fortunato!” esclamai, e lui mi pregò di farmi vivo ogni tanto: “Basta una cartolina”, la cosa che mi diceva da una vita ad ogni addio. “Allora ciao, mi raccomando...” Era il suo modo di esortarmi a non fare sciocchezze. Intanto che l'auto andava, lui mi faceva ancora ciao dal finestrino, fino al semaforo ancora fisso sul giallo dove avvenne il botto: disgraziato e inopportuno.**Correndo arrivai e vidi il fuoco bruciare tutto intorno, poi la sua voce venne ad indicarmi che lui era sano e salvo, così gli corsi accanto. Non era agitato, anzi tranquillo: “Vedi, basta un momento di distrazione, povero tassista e poveri gli altri che ci sono piombati addosso ubriachi.”**Gli chiesi se voleva salire su una ambulanza per andare ad un controllo.**“Macché controlli” mi rispose, “non li feci nemmeno allora che forse avrei dovuto, va bè, inutile rinvangare, che quel che è stato e stato.”**La mia preoccupazione era che lui alle sette doveva essere da qualche parte e i minuti passavano, passò anche un'ora buona. E meno male che io ebbi quella idea: “Senti, vado a prendere la mia auto e ti accompagno.”**Lui disse di lasciar perdere che là ormai era tardi per andarci, “troppo tardi...” rimarcò.**Invece volai a casa, mi misi un vestito scuro con la camicia bianca e la cravatta di seta ; mi ero raccomandato di non andare in giro ma di aspettarmi accanto al primo albero del viale.ççE poi dove mi porti, testone di un testone?"**Io sapevo che saremmo andati fino al mare per una colazione di pesce fresco, ma non lo dissi perché doveva essere una sorpresa. Eccolo, mi fermai, scesi e aprii la portiera dietro. “Prego, dottore!”ççLui salì sull'Audi nera, mi pareva un po' immusonito ma partii lo stesso. Dopo il casello di ingresso dell'autostrada, schiacciai a tavoletta come un matto. Ad una strettoia per lavori in corso, un camion non mi lasciò superare e mi ribaltai una, due, cinque volte. Io riuscii a uscire dal finestrino, lui dietro non si mosse, sembrava morto.ççMi metto a gridare senza che mi esca la voce: “Dio mio, l'ho ammazzato!**Ma dove sono? Seduto sul letto con la tachicardia. Ansimo e impreco e piango per tutti quei brutti sogni che mi sta regalando la notte... ogni notte!

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Amelia

“Allora, sei contento ?”Chiese mio padre nuovamente, dopo aver appoggiato all’albero la  bicicletta sbilenca ed estratto il fazzoletto per nettarmi il viso imbrattato di  liquirizia. Io risposi di si che glielo aveva già detto. ” Ma la mamma?” ché le zie erano brave come anche i cugini, specie Amelia “è come un angelo sai?” Lui sorrise raccomandandomi di essere perbene, già sulla bici a pedalare con la testa girata, così da salutarci fino alla curva in fondo allo stradone. “Io la amo Amelia, papà...” sussurrai accorato .Come se udisse ancora e mi potesse dire che approvava. Senza saperlo cosa fosse l’amore. Ma per quell’istinto o intuizione che appartiene ai fanciulli, quando l’avevo veduta e mi dissero “lei è la tua  cuginetta Amelia, ha i tuoi anni”, e venne a baciarmi dritto sulle labbra, ebbi la certezza che quella stretta che avvertii al cuore fosse il dolce sentimento che, per l’appunto, si chiama amore. Poi fummo accanto, alla grande tavolata. Così vicini che i nostri corpi si toccavano, e le mani si intrecciavano a stringere una tenerezza che avevamo dentro. “Sei così bella che sembri un angelo “, le sussurrai nell’orecchio nascosto nelle ciocche bionde. Soltanto questo mi riuscì di dirle quella prima sera, nella vicinanza che ci rendeva amabili a tutti, specie alla zia che mormorava “che belli, che belli,” come una cantilena. Ed era la timidezza, anche, ma di più la sua superiorità per niente un sussiego esternata dall’azzurro dello sguardo se io, Giulio nove anni appena, mi ero sentito fin da subito felice, vittima di un fascino che mi dominava: intenso e sublime, mi sembrava. E perché non apparisce una qualche sudditanza, azzardai un gesto che immaginavo adulto: sfiorandole dapprima il fianco, poi accarezzando la sua gamba poco al di sopra del ginocchio dove termina la calza. Amelia apprezzò, perché serrò la mano tra le carni, donandomi la consapevolezza della sua riconoscenza. Nella stanza, nel grande letto condiviso, chiesi a Lea perché soltanto Amelia non parlasse quasi mai il dialetto ” non assomiglia agli altri “. Mia sorella borbottò che non lo sapeva, ma io intuì che mi stava mentendo.**“Andiamo alla palude?” propose l’indomani Amelia. Mi parlò di come fosse magico quel luogo incantato. “Pesci, uccelli, farfalle, serpenti, bisce e rane…vedrai vedrai quanti colori.” Così vidi cose che non avevo mai veduto estasiato dal canto della allodola nel suo tuffo verso l’acqua. Ci sdraiammo nell’erba ghiacciata e lei mi chiese di baciarci “non lo so fare!” arrossii, nemmeno io rise Amelia “ma impareremo, per queste cose non serve che si vada a scuola. E mi si sdraiò sopra tendendomi le braccia a terra per potermi baciare le labbra a piacimento. Risposi, pian piano in sintonia con quell’andare convulso che richiedeva concentrazione dapprima, poi disincanto avanti che il cuore si confondesse nella gioia. Rimanemmo il pomeriggio intero ad abbeverarci sulle nostre bocche poco esperte, Amelia strofinava inesistenti seni , io la avvinghiavo nella morsa delle braccia. Poi ci tuffammo nel cielo maculato di cirri e ascoltammo il vento respirare tra le canne. Quando il ranocchio gracidò vicino, Amelia lo prese e lo baciò gentile “un giorno diventerà un principe, e verrà a chiedermi in sposa.” Poi rise felice mentre mi accarezzava, io il suo innamorato di adesso. “Ne sei geloso vero?” domandò. Io rispose di no. Ma lo dissi soltanto per farle un dispetto di bambino.**Alla casa mi fece cenno di attendere. Si arrampicò sul davanzale della finestra bassa e, scostate le ante e guardato dentro, mi invitò a salire, mi issai e le fui accanto. Forzando lo sguardo vidi, in fondo alla stanza, una donna dai capelli bianchi avvolta in una vestaglia ciclamino dondolarsi sulla sedia. Quando Amelia invocò “mamma” lei si levò e venne verso di noi. Avanzava come un animale da cortile, incerta e timorosa, soffermandosi nel vuoto. Al nostro cospetto l’espressione del volto era mutata, la tristezza era scomparsa per un sorriso lieve quasi una smorfia sul volto devastato. Poi madre e figlia presero a dirsi cose sottovoce , io le guardavo con infinita nostalgia fino a quando, con occhi acquosi colmati dalla riconoscenza, lei mi sorrise toccandomi la fronte come fosse una benedizione. Che io ricambiai con la carezza, quella che si dona per un amore intenso. Poi scesi e mi avviai. Amelia mi raggiunse e le sfiorai la mano, lei singhiozzava con le lacrime dell’anima così che proseguimmo silenziosi. Più tardi l’abbracciai e la ringraziai di quel dono: “sei fortunata, dissi, a salire ogni giorno in Paradiso!” Lei replicò ” Zelinda è mia mamma …come l’angelo bianco di nome Zel!”, continuando verso il casolare stretti come due orfani intrisi di speranza. E l’amore fanciullo che ci aveva stregati continuò ad avvinghiarci sempre più perché ci eravamo impegnati per tutta la vita “da grandi ci sposeremo,” diceva Amelia, “e avremo figli belli come te,” rispondevo io. Una notte dormimmo entrambi accanto, Lea aveva acconsentito e la purezza dell’abbraccio durò fino all’alba entrata a svegliarci senza alcun rimprovero inopportuno. La primavera, eccola arrivata, aveva fatto fiorire anche la palude, così prendemmo a frequentarla per coglierne i fiori e i profumi. Gli uccelli d’acqua, rintanati nel canneto, si alzavano a salutarci come amici di sempre. Amelia ne conosceva i nomi e li distingueva dal canto o dal battere delle ali. Io cercavo di apprendere senza riuscire tanto che un giorno le confessai” tu conosci tutte le cose e sai sempre spiegare ciò che avviene…”lei allora mi abbracciò come si abbracciano i bambini .” Giulio ora è il mio bambino che non sa le cose adulte, domani sarà un adulto che conoscerà tutte le cose bambine.” E questa frase, della quale non capì il significato, mi trasmise la certezza che lei fosse superiore a tutti gli aventi, anche a quelli che accadono improvvisi e portano tristezza e malinconia, forse anche la morte, pensai.**Ma cosa era mai accaduto tempo prima? Che un giorno, dopo aver vagato nei d’intorni alla scoperta di una campagna senza tempo per quel non scorgerne mai la fine, fossi sbucato, dopo un viottolo di sassi, davanti ad un cancello arrugginito posto a chiudere un muro di cinta e, oltre a quello, un giardino incolto e abbandonato ma vasto con aiuole e fontane in sasso. In fondo una ricca casa di color verdino, una villa forse per via delle colonne e degli archi e di uno stemma in rilievo. Le serrande al piano alto sono chiuse, soltanto alcune aperte al piano terreno e dietro ad una oltre il vetro, va e viene una donna col grembiule bianco. Non so se inoltrarmi poi lo faccio, nonostante il batticuore, perché sono curioso e voglio conoscere le cose che vedo. Mi sono fermato accanto alla fontana, osservo la donna che mi ha notato e mi ha mandato un ciao, vorrei andare fino da lei ma qualcosa mi trattiene, il timore dell’ignoto ha il sopravvento, anche adesso, come quando da piccolo dormivo solo e temevo che i gatti mi ghermissero nel sonno. Sto pensando, senza un preciso motivo, a quell’età oramai lontana, forse quei ricordi riaffiorano quando il pericolo è in agguato come ora… nel silenzio di un giardino abbandonato. Un silenzio che opprime la mia volontà di iniziativa ma che poi, all’improvviso, si lacera con l’urlo disumano, lungo e triste, da animale ferito. Lo odo uscire dalla casa, vagare per i campi, rimbalzare tra i platani, alzare in volo passeri vocianti… lo sento spento quando la mia fuga termina tra braccia sicure. Adesso Lea deve raccontare, ne conosce la storia lo avevo intuito, “era una ragazza bella venuta, un tempo, per fare l’insegnante e andata in sposa al principe azzurro. Poi lui parti per combattere lontano… e come gli eroi morì. La bella ragazza impazzì per il troppo dolore che la relegò per anni in un ospedale. La piccola bambina, che le era rimasta, visse dapprima l’orfanotrofio, poi fu affidata ad una famiglia generosa. Lei questo lo sa, ora conosce le cose,  e ogni giorno va ad abbracciare la madre nella verde casa del giardino incolto!” Io ho capito fin troppo bene ma lo stesso chiedo una conferma, “parli di Amelia vero?” Lea dice di si, con gli occhi che piangono a lungo senza ritegno. Nell’approssimarsi del nostro distacco, Amelia un pomeriggio sentenziò,”questa notte dormiremo assieme, dobbiamo salutarci come si deve…”E così fu. Entrai nel suo letto. Si era tolta la camicia ed era nuda,”spogliati anche tu amore, l’amore si fa nudi!”Ci demmo un milione di baci, un milione di carezze, lei pianse, io piansi. Non avemmo la curiosità di esplorare le differenze di sesso:forse era una ricerca che non ci importava intraprendere per via che gli angeli non hanno un sesso, così qualcuno aveva stabilito per noi due.- e quell’amplesso puro e infantile, rimase nella mia anima per sempre: spesso mi fece soffrire, spesso mi fece gioire .”Quando saremo grandi, sussurrava Amelia, noi ci sposeremo e allora scoprirai che questa bambina non è fatta come te”, e intanto rideva felice come a dire ‘tu sei piccolo ora, non puoi sapere certe cose’.L’ho amata per tutta la vita Amelia, da lei ho introiettato l’amore che vuole essere amare e basta: senza una ricerca del tempo perduto.

*

Il pescatore di Pagana

 

 

PARTE PRIMA

...Io vorrei farti dormire, ma come i personaggi delle favole, che dormono per svegliarsi solo il giorno in cui saranno felici. Ma succederà così anche a te. Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale. Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani. Guarda, Natalia, il cielo! È una meraviglia!...

(Da Le notti bianche , Fedor Dostoevskij).


 

Era scritto su un foglio, giù in cucina.

Quelle parole bussarono e bussarono alla testarda porta del suo cervello. Corse nella camera di lui e lì rimase, una donna vuota in una stanza vuota. Dentro di lei tutto era freddo, fragile e freddo, fragile da spezzarsi. Ormai ogni cosa poteva rotolare via: il suo unico amato, la ragazza che pensava di essere candido giglio, la fragile corda che tiene una persona ancorata al suo mondo.

Sola.

Si lasciò cadere sul pavimento.

E sprofondò, sprofondò, rotolo via, lontano dal pungolo del freddo e da quella casa che la schiacciava da tutti i lati. Sprofondare è facile quando non si ha, non si è, niente...lui era andato via senza di lei, perché dal pescatore di Pagana? Quella caverna era ancora là. Sapeva esattamente cosa fare. Bastava rannicchiarsi in un angolo: ecco suo padre che balza in piedi con le vene del collo gonfie come per gridare, ma dalla bocca non esce alcun suono: ed ecco Giulio che la fissa con gli occhi lascivi e ride, ride e la sua faccia si fonde con quella di suo padre e poi si separano e galleggiano via.

Lui dorme e lei ha gli incubi perché suo padre non avrebbe voluto, lui era padrone di tutto ciò che possedeva.

Non lo sapeva nessuno, nemmeno sua madre, ché lui non si era raccomandato o lo aveva pregata nemmeno le aveva chiesto scusa: niente di tutto questo, le aveva ordinato silenzio assoluto col dito alzato minaccioso.

E lei stette zitta sempre.

Era accaduto quando aveva dodici anni e non lo vedeva da un pezzo; due anni buoni: prima in Africa poi in Asia poi ancora in Africa e l'ultima volta che era venuto li aveva portati tutti su nella villa, si era fermato quindici giorni e una notte era entrato in camera sua. Per tutta la sera lui l'aveva guardata, era entrato anche in bagno mentre lei faceva la doccia “ma sei molto abbronzata...” Poi a tavola aveva detto che le bambine africane andavano nude anche dopo il bagno nel fiume, e che lui dal suo Ufficio vedeva tutto e che un giorno, quella delle pulizie, si era portata dietro la figlia di una decina di anni e la lasciava scorrazzare nel prato davanti alla casa entrambi nudi lei e il cane, “passi per il cane che era bestia...ma quella no santo dio...”

Avevano riso tutti, sua mamma e suo fratello sempre sguaiato e menefreghista in casa e ai bagni ancora peggio.

Quella notte lui la svegliò prima di iniziare a dire cose del tipo che mamma era diventata un pachiderma e che lui quando era via andava con ragazze come lei...in Asia poi per loro era un onore; bene, chiese solo di non gridare e lui non le avrebbe fatto male affatto.

Ma le tolse la purezza.

E un po' di sangue era finito sul lenzuolo così Aveva passato il resto della notte a piangere accucciata in un angolo a fianco dell'armadio e rivedere la sua faccia viscida e a sentire le sue parole sconce

Non voleva più scendere ai bagni, non voleva più mangiare, non voleva più fare nulla, e un giorno...”senti sciocca, invece di ringraziarmi fai tutte queste storie...oggi giù ai bagni con tuo fratello” e alzò anche quella volta il dito minaccioso. quando se ne andò, lei lo lavò via.

Di storie amorose Clara ne ebbe, la sua amica del cuore Alessandra le confidò che suo fratello Leo, universitario da due anni, le chiese di intercedere per lui che si era preso la cotta. Leo era bello, atletico, distinto e alla fine lei accettò: al cinema con lui, Visconti in Morte a Venezia....non la smetteva di piangere e lui non la smetteva di attendere. A casa Leo raccontò alla sorella che Clara era una frigida e la notizia fece il giro del mondo e quando qualcuno le chiedeva di uscire, prima metteva nero su bianco “però ci baciamo almeno...o no?” Così le occasioni della più bella liceale si assottigliavano e le chiacchiere sul suo carattere peggioravano senza rimedio. Alessandra cercò di farla parlare, voleva e doveva sbloccarla da qualcosa che forse intuiva: non ci riuscì perché Clara era certa che la magia si sarebbe avverata. E un giorno le parlo:

“Io devo trovare me stessa, non farne cenno a nessuno....inventati qualcosa di plausibile. Ci incontreremo al mio ritorno, se questo ci sarà”.

Quella sera si addormentò con la certezza che presto avrebbe sognato la sua strada... ché il veggente l'aveva assicurata: “ Io sono un peccatore come tutti gli uomini del mondo ma so scegliere coloro che meritano di essere diversi da me su questa terra dove si predica il bene e si fa il male quando conviene.E tu sei vittima della cattiveria e del vizio...ora segui questo percorso che ti mostrerà, strada facendo, tutta la cattiveria e la malvagità degli uomini: troverai la rinnovata Clara che cerchi, te lo augura la parte del mio mio essere migliore.”

 

PARTE SECONDA



 

“Eva volava...Eva volava...Eva volava....” La bambina correva su e giù sulla battigia asciutta di un mare calmo complice il sole di una quieta primavera. Lui l'ascoltava accucciato nella sabbia e la madre, poco lontano, la seguiva con lo sguardo triste. Pensò che Eva fosse il suo nome, che avesse quattro o cinque anni, che fosse felice. E quel trascinare avanti indietro la sua cantilena non gli procurava noia o fastidio: una cosa gioiosa e soprattutto lontana dallo strillo dei gabbiani che al loro posarsi si levava andandosene triste. Quell'Eva che volava lo rasserenava e sperava che il gioco non avesse fine; invece cessò quando la madre in un suo passarle accanto le annunciò “ora andiamo Eva”, camminandogli poi alle spalle e salutarlo mormorando “buona sera”al che lui rispose uguale.**Restò con la tristezza unica padrona degli spazi che Eva aveva abbandonato....a contare i mesi e gli anni che quella intima sventura gli aveva sottratto. E come altre volte ebbe la certezza di essere nato con una sofferenza radicata dentro: forse la madre non aveva potuto partorire due creature perfette entrambe? Pensava questo. E la notte sognava il padre... tutto uguale come negli anni anni addietro.**L'indomani lui tornò, non la bambina.**Per quanti giorni andò così?**Fino al pomeriggio in cui Eva non volava presa a piangere lo sconforto della madre accanto: affranta ma silente come se un dolore troppo grande le impedisse di udire il pianto della figlia.**Si accostò, “cosa posso fare per lei ?”Soltanto questo le aveva detto prima che lei si buttasse ad abbracciarlo e singhiozzando mormorasse che la mamma di Eva era spirata nella notte, che il padre era deceduto nell'incidente, che lei era una sorella disperata. Orsini restò muto, privato di parole che fossero un conforto.**E lei proseguiva nel suo pianto opportuno anche a dire cose sottovoce, “da anni assieme, dal ginnasio all'università di adesso... una gita in Provenza per amore dei cavalli e morire sulla strada... lui fu subito in cielo... Emma non si svegliò a baciare la sua Eva.”**Francesca, lo pronunciò lei il suo nome, non sapeva cosa fare ora; né padre e né madre abbandonati per la loro dispettosa intransigenza ebbero lo zio della Brianza, buono come un padre vero.**Allora uscendo a camminare nel reale, la spronò ad informarlo questo zio... avrebbe provveduto lui per i funerali e per il resto che sarebbero state molte le cose da fare. Poi le chiese se volesse alloggiare nella sua casa, nell'attesa... “sono solo.”**Disse si.**Francesca, tre anni più di Emma, fa la praticante in uno studio a Porta Vittoria. “Abito anch'io sola, col mio lui ci siamo persi da tempo, Emma ed io alloggiavamo accanto, è solo un miracolo che Eva non sia voluta partire con loro.”**Lo zio arrivò, un industriale gentile di Merate con l'impiegato che pensò ad ogni cosa. I genitori del ragazzo erano già venuti: capì molte cose allora quando seppe che si erano portati via il figlio senza mostrare interesse alcuno per Emma e la bambina, “due bischeri nobili senesi”, dedusse incattivito.**La salma andò nella capella di famiglia in Brianza.**”Puoi rimanere per un po' di giorni assieme ad Eva... ti farebbe bene questo riposo, il borgo è delizioso e la casa è spaziosa, la mia compagna vedeva tutto in grande, ma lasciamo stare i miei problemi.**Ed è Eva a convincere una zia dai capelli chiari e gli occhi azzurri come il mare quieto; lui l'aveva fatta senza enfasi la considerazione, così che lei apprezzò con spontanea timidezza.**“Non mi sono ancora presentato, mi chiamo Lorenzo Orsini e insegno filosofia all'università di Genova; fu un trasferimento quasi forzato, la mia lei era di qua e l'ho accontentata...con un risultato inutile però, è ritornata a Milano; molto presto sarà così anche per me sebbene nulla andrà più come prima.”**Le mostrò la stanza che avrebbe potuto condividere con Eva, “diversamente c'è la stanzetta per lei”; a Francesca andava bene dormire con la bimba ”vorrà dire che noi ci stringeremo.”Lo disse col sorriso e pareva serena. Volle sapere come si chiamava il borgo,“ San Michele di Pagana, poco lontano da Rapallo di cui è frazione, oltre che bello e accogliente il luogo è silenzioso non lontano da Santa Margherita e Portofino e Camogli e San Fruttuoso, questo è il Tigullio amica mia.**Nel ristorante, sul lungomare di Rapallo, a Eva la pizza gigante a loro il pesce buono. Lui le fa una proposta che definisce saggia, “ fermati qui da me una settimana per i giorni delle mie ferie non fatte; potremmo visitare dei bei luoghi assieme ad Eva, che ne pensi?”**Ci pensa solo un poco poi “va bene certo, prima una corsa a Milano a prendere cose per me e la bambina.”**Il giorno dopo ritornò.**A Lorenzo parve un'altra tanto era cambiata, rilassata e sorridente soprattutto. Eva gli corse incontro a scambiarsi un bacio, allora lui ne approfittò:** “Anch'io un bacino con la zia, no?”**E Francesca gli diede un bacio quasi vero con le braccia attorno al collo e un “ grazie...” ripetuto molte volte.**Orsini avvertì una fitta simile alla scossa di un interruttore difettoso mentre la guardava, imbambolato, intenta a scaricare borsoni e a sistemare per bene l'auto sotto l'albero difronte.**Le prese due borse dalle mani “non sia mai”esclamando e, vicini al toccarsi, seguirono Eva già in volo verso casa,Francesca lo giurò più volte di non essere stanca quando lui azzardò “oggi a Portofino?”**L'auto nella rimessa, loro via alla piazzetta. Eva corre avanti, Francesca lo prende per mano, mio dio, mormora il suo cuore in un tempestoso muto silenzio.**E guardano il mare, i barchini, le boutique; gli americani che sciamano e i giapponesi pure e tutto il mondo che fotografa e fa ohoh e beve l'aperitivo alla Gritta fa colazione da Puni al Pitosforo al Delfino o si inerpica verso la Chiesa a spaziare il mare disotto coi panfili ormeggiati e le ville seminascoste nel verde difronte; siedono sul muretto in alto, Eva corre sul sagrato, lui accenna al pranzare “ per Eva che avrà fame poverina”, Francesca ha preso la sua mano che stringe forte “se non succedeva non ti avrei mai conosciuto.”**lorenzo Orsini ora ne è certo di ciò che aveva già nel cuore da tempo; però sdrammatizzare gli pare saggio “vedo amori in vista” lei che ha capito bene “dove da che parte?”La bacia, si baciano. Dapprima piano poi in crescendo poi come si deve. Ed è Eva a dare l'annuncio in suo transito correndo “mia zia si è innamorata...mia zia si è innamorata.”**Sono a casa dopo l'appagante gita. Eva dorme già, Francesca corre alla doccia, lui attende il turno sdraiato sul divano. Ma lei mette fuori la testa “vieni che la facciamo assieme, siamo adulti no?” Sotto il getto tiepido dell'acqua si baciano cento volte e fanno anche all'amore... per onorare un sogno? No, per iniziare la loro storia.**Se ne stava in mezzo al lettone a rivedere le barche colorate, a immaginare l'andirivieni nella villa seminascosta, a pensare cose sublimi; la sentì entrare, la sentì cercare nel buio, la sentì adagiarsi sopra “non si chiede permesso?” Non vide l'espressione del suo volto ma sentì la risata lieve e allegra ed il “no non si chiede.”**Prese posto sotto la sua ascella per dire che era felice.”L'avevo scordata la felicità, ma tu sei un bravo traghettatore.” Si chiese cosa intendesse per 'traghettatore' e, intuendolo, lasciò perdere di pensarlo. Poi aprì bocca per chiedere soltanto “civilista o penalista?”Sarebbe stata una penalista “dopo l'esame.” Poi dichiarò che aveva già programmato tutto “tu ed io nella mia casa spaziosa che ti piacerà, ogni fine settimana qui nella tua a Pagana che adoro, in quella di Emma il mio studio, intanto arriverà il tuo trasferimento....e vissero felici e contenti!”**Gli dà un bacio a sigillare quella specie di contratto.**Lei lo sapeva, anzi era sicura che sarebbe andata così. Lui disse bene bene, ed “Eva sarà la nostra bambina.”**Si addormenta e lei continua con programmi e progetti fino a quando si accorge che è già con Morfeo, lo bacia sulla bocca mormorando “ti amo da morire sai?”**E se ne va da Eva che sta volando da un pezzo in nuvole colorate di silenzio.**Lui dorme: sereno dopo che non accadeva da un secolo.**Fanno colazione nella cucina.**Eva corre via e Francesca “ti piace il mio progetto? Dimmi di si ti prego.” Lui categorico”non mi metto con gli sconosciuti” e poiché lei lo guarda tra l'allibito e lo spaventato è costretto a ridere “ si si mi piace tutto, bello così perfetto da fare paura .”Gli si siede in braccio per baciarlo meglio “i due appartamenti affiancati sono il regalo delle zio, ora l'erede è Eva con un tutore fino alla maggiore età”... ma arriva il pianto quando vede Emma passarle davanti nella consapevolezza che non tornerà indietro. Lorenzo l'accarezza tenero e paterno “su, su....oggi si va a Santa, informa la farfalla prima che spicchi il volo.”**Andranno a Santa, poi a San Fruttuoso, poi a Camogli: ovunque ci sia del bello. Non c'è che da scegliere e andare!** E' ora che Lorenzo torni in cattedra.**Non erano state ferie arretrate quei giorni con Francesca bensì la cronica depressione, giunta in punta di piedi puntuale e maledetta, a costringerlo disertare il lavoro. Che quello fosse il suo tallone di Achille non aveva dubbi; era sufficiente lo stress prolungato un po' troppo, perché la bestia grama lo aggredisse senza pietà; sapeva fin troppo bene che non c'era molto da fare - con medicine e specialisti – al di là di riposare in qualche luogo tranquillo. Per questo si isolava. E lo aveva fatto anche questa volta con la variante di un incontro inatteso: una stranezza e basta? Forse ma ci sperava...

 

Anche lei, tornata a Milano, prega per un destino amico mentre predispone la casa che dovrebbe accoglierlo...uomo affascinante dalle mille virtù trovato per caso e fino ad allora soltanto sognato. Ma verrà? Certo, così all'arrivo fu un battimani inarrestabile.

Lui occuperà la sua camera nell'attesa di consolidare un amore, Eva la propria perché diverrà grande ed esigente, a Francesca anche lo Studio con la collega e la segretaria

Tutti felici? Beh, lei contava su una cosa definitiva fin da subito; accenna ad un sorriso di circostanza quando Lorenzo Orsini declama “la gatta frettolosa fece i gattini cechi....starò un po' qua e un po' nella mia casa...suvvia, se sono rose fioriranno non ti pare?”E il senso della frase Francesca lo comprese bene- le aveva inviato una lunga email- ma in quel momento avrebbe desiderato parole differenti; gli buttò le braccia al collo, “non lasciarmi ti scongiuro!”

Le racconta...“Ebbi una figlia dalla compagna Daria che chiamammo Camilla. Insegna anche lei, alla Cattolica è una docente di diritto romano. Con Daria ci eravamo conosciuti al mare: da compagni di studi diventammo amanti e ci accasammo quando nacque la bambina. Ma col tempo ebbe un carattere non facile, eternamente scontenta : una depressione dopo il parto non curata? Aveva voluto tornare nella sua Genova e dopo tre anni, di nuovo a Milano a vivere da sola, aveva un uomo? Nel dubbio le chiesi di separarci, non eravamo sposati; avevo riconosciuto e dato la paternità alla bimba che, in età scolare, fu giocoforza farla entrare in un rinomato Istituto Religioso dove le suore assicuravano come fosse diligente e brava. Ne usciva ogni fine settimana da me o da Daria, a turno. Avevamo progettato tutto per lei; sarebbe rimasta là fino al ginnasio quando grande abbastanza avrebbe scelto con chi stare di noi due.

Ci volevamo un bene immenso, quasi un amore poteva apparire.....

Aveva la sua stanza e una domenica accadde. Albeggiava appena quando lasciò il suo letto ed entrò, silenziosa, nella mia 'quella di Papi'. Sul letto mi si coricò sopra, lei seminuda su di me altrettanto nudo. Dormiva... allora la tolsi ma la tenni accanto. Quando la svegliai a mezzogiorno, non le parlai di quella intrusione e lei non lo ricordò.

Le chiesi spesso del compagno di Mamma, “...brutto e antipatico ed anche vecchio, non ci possiamo vedere.”- Sapevo essere il vice rettore della facoltà-Francesca domanda e confessa:” Non mi mi hai mai parlato del tuo hobby di scrittore...Confermi? Perché da brava donna-amante curiosa ho frugato nelle tue cose in scrivania ed ora sto leggendo un tuo racconto...”

Lui conferma che ha dedicato molto tempo a scrivere racconti e storie, “non ho mai voluto pubblicare niente sbagliando ovviamente, non sempre ma spesso; se sei impegnata con la 'Mantide” ecco quello non è da buttare per esempio...anche per via del nome della protagonista, concordi?”

'...la mantide vola alla vicina metropolitana di Piola constatando, giù ai tornelli, di non avere né biglietti né soldi né borsellino. Risale e all’unico taxi col ragazzo che parte sgommando mormora “piazza Adigrat”. Le pare gentile, allora si sforza di parlare per informarlo che a destinazione avrebbe dovuto attendere. La portiera le dà una banconota e lei paga il ragazzo gentile che parte lieve senza più ansie a bordo. Ora è in casa a bere acqua del rubinetto e poi sul divano, col groppo in gola, ad attendere le benedette lacrime della tensione. Che giungono attorcigliate attorno al pensiero rancoroso che ha incominciato a tormentala: il disgraziato amante sta morendo dissanguato? Una decisione di buon senso vuole dire telefonare alla polizia... perché no! “ Un tale in via Pinturicchio, mi pare al dieci, sta morendo e il lavoro è opera mia .” L’avrebbero rintracciata? Bé col fisso forse no e poi anche fosse... Chiama il Corriere, la Repubblica ed anche la Rai. Sono le undici della mattina e la notizia è buona per il tigì dell’una anche se andava prima verificata, pensa. Va sotto la doccia e ci resta una mezz’ora. Nel frigo c'è rucola e parmigiano in scaglie. Apre la lattina della birra e beve e mangia, nuda sul divano, con la tivù sul due. Eva Rossini di ventitré anni bella come le molte in circolazione, abita un appartamentino di affitto per non andare avanti e indietro tutti i giorni da Seregno. Frequenta il terzo anno di lettere alla Statale con l'intenzione di fare la giornalista, dopo la specialistica e i master che suo padre le avrebbe pagato a Londra e a New York. Non aveva il moroso fisso, ma più di uno come le sue amiche, e che qualcuno passasse la notte nel suo letto fa parte delle sue scelte e non di quelle di altri. Si pisola e la sveglia la sigla del telegiornale. Ascolta i titoli ma la giornalista non dà la notizia, però la scritta che scorre in pancia dice che il famoso serial killer delle studentesse è stato trovato dalla polizia agonizzante, ecc, ecc. Aspetta tutto il tigì, ma non viene detto altro. “Stasera…” il pensiero prima di addormentarsi sotto il plaid dopo aver abbassato sul minimo il fisso e posizionato sul silenzioso il cellulare. La sveglia il citofono gracchiante chissà da quanto, è la portiera preoccupata di non averla più rivista “…non per i soldi, ma stamattina aveva una faccia.”Trova cinque avvisi sul fisso, tre erano di sua madre in ansia ché da giorni non si faceva sentire: la chiama e la tranquillizzò “mamma , ho da studiare io... “, sugli altri due non c’è messaggio. Sul cellulare gli sms abbondano: compagne di università e un amico, eternamente innamorato lui dichiarava, col quale ha fatto sesso una sola volta per caso. Fa un’altra doccia in fretta, si mette jeans e maglietta, prende la borsa e scende. Sarebbe andata con la sua amica, Beba Visco, per corso Buenos Aires a curiosare e magari a fare shopping. “Contenta del seriale? Mezzo evirato e mezzo morto, è al Policlinico lo hanno detto al tigì Lombardia.” Eva si finge sorpresa ma poco interessata, ”ah si?”, così che dopo non ne parlano più. Il giorno dopo il Corriere, nella cronaca cittadina, raccontava tutta la storia dalla a alla zeta. In sostanza si diceva che l’ultima ragazza rapita dal serial killer lo aveva messo kappao dopo averlo evirato con i denti, riuscendo poi a scappare ed avvisare la polizia, il tipo era stato operato al Policlinico ecc, ecc. Eva non ci pensa molto, compera un mazzo di gigli bianchi e va all’ospedale dove chiede di lui. Le dicono che non possono dare informazioni: è sotto la sorveglianza dei poliziotti e blà, blà, blà. “A che piano?” con un sorriso alla infermiera che guarda il registro “al quarto.” Il gatto di nome Eva sale le scale e al quarto li vede i due poliziotti davanti ad una camera al centro del corridoio. E che fa? Con sicurezza si dirige verso la camera e, ai due, dice che è la figlia della fiorista difronte e che deve fare una consegna. La guardano sospettosi, “va bene, posi i fiori ed esca ”. Ma ci vuole tempo a cercare un vaso non facile da trovare, a guardare lui mezzo addormentato con la flebo al braccio, ad avvicinarsi al letto e fargli una carezza. Che lui avverte aprendo gli occhi con sgomento, che sfugge però al poliziotto sulla porta venuto ad esortarla di fare presto. Esce serena salutando i due sospettosi “salve!”e pensa che meglio di così non sarebbe potuto andare. Poi, siccome alle undici del martedì ha lezione di filosofia, si reca alla Statale ed entra in aula con un po’ di ritardo. Dove il professore non sta parlando di Platone o di qualcun altro, ma ha aperto un dibattito sull’importanza della filosofia nella circostanza di uno stupro. E arriva a dire che, nell’antica Grecia, lo stupro non esisteva in quanto considerato filosoficamente corretto che un uomo abusasse di un donna anche contro la sua volontà del momento…”perché la volontà dell’uomo era dominante.” Le ragazze reclamano come galline, i maschi si esaltano come galli fin che Eva, che ha chiesto di parlare, dice la sua che sarebbe “qui si raccontano soltanto barzellette, il filosoficamente o politicamente corretto bisogna verificarlo sulla propria pelle.”Le sue compagne battono le mani, i compagni fanno “mu “ e il Cattedratico dichiara che la lezione è terminata. Poi fuori, sotto le volte, le sono tutte intorno e qualcuna, maliziosamente, le chiede “ma tu lo hai verificato?”Ed Eva “certo che si…e mi sono anche divertita, provare per credere.”Che Eva agisse spesso, o sempre, d’istinto lo consideravano i suoi in famiglia ma anche le amiche e gli amici più vicini. Il buffo era che non lo sapeva lei per il semplice fatto che Eva non conosceva Eva. Oddio, una cosa che capita a molti, forse a tutti: “conosci te stesso”era scritto nel tempio di Apollo a Delfi, “nosce te ipsum” recitavano i romani. Quindi se l’esortazione valeva tremila anni fa, perché non doveva essere ancora attuale. E la brianzola intelligente e di bel aspetto, quella mattina di una domenica di inizio luglio si sveglia più presto delle altre domeniche come se il suo subconscio avesse messo la sveglia presto per fare i compiti: ripassare, doveva ripassare una lezione. Una lezione di vita certo, che per l’ultimo esame accademico c’era ancora tempo. Allora riflette e considera. Pensa al ragazzo, meno di trenta anni pareva, di nome Fabrizio al quale lei aveva reciso il pene e che ora, in un letto di ospedale, aspetta che il lavoro fatto dai chirurghi lo metta di nuovo in pista. Ma deve andare con ordine e ricostruire il tutto fin dall’inizio. Sabato -Era il sabato prima che lei, con due amiche – culo e camicia - era entrata, movida imperante, in un bar bistrò dell’alzaia grande sui Navigli e, ordinato da bere, si era incantata davanti ai tre suonatori di jazz: pianoforte, basso e cornetta. Un trio figo, non c’era dubbio, specie il bassista che con le mani giocava con le corde e con gli occhi giocava coi suoi. Nell’intervallo, quello, le aveva fatto un cenno col capo che voleva dire “ vieni al bar”. E là, mentre sorseggiava il miscuglio che lui aveva ordinato, si presentarono e fecero conoscenza. Lui dichiarò di frequentare Brera ogni tanto, lei di frequentare la Statale con scrupolo, lui ammise “hai un volto da ritrarre”, lei gli chiese se voleva provare a cimentarsi, si scambiarono i cellulari e lui tornò a suonare John Coltrane dopo averle dato un bacio sulla fronte. Delle amiche, una esclamò “ cavolo che ...!” e l’altra “ tutti a te!”.Tirarono le due e per altre tre volte lei andò al bar con lui, all’ultima si erano accordati di vedersi il giorno dopo “nel pomeriggio da me…ti va?” e lei rispose okay e prese nota dell’indirizzo : una via non lontano da dove abitava lei. Domenica- Alle quattro di una domenica piovigginosa, lei era in via Pinturicchio a suonare all’appartamento numero ventisei. Ultimo piano, un abbaino o mansarda da raggiungere a piedi con lui sulla porta seminudo, spettinato, faccia da sonno. “ Salve entra”e dentro è un casino di roba messa qua e là con il cavalletto da pittore con una tela bianca , il basso in un angolo a terra, pile di libri e pile di dischi, quadri astratti e manifesti concreti tutti sbilenchi alle pareti , e poi tanto di tutto e tanto di niente come cantava la Ferri. “E tu vivi qua?” domandò per avviare il discorso, “dipende.”, solo quello disse con aria misteriosa ma divertita. Lei si fermò davanti ad una stampa di un autoritratto di Frida Kahlo con sotto la scritta a mano, ‘l’amore? non so/se include tutto/anche le contraddizioni/e i superamenti di se stessi/le aberrazioni e/l’indicibile/allora si, vada per l’amore/altrimenti, no.’ “Sono d’accordo!” esclamò poi, forse più per darsi un tono che per convinzione personale, ché le parole non erano di semplicistica lettura e interpretazione. “Dove dormi e dove mangi?”Lui fece un “dilà” col capo per il dormire, e “salto”per il mangiare. Ma scherzava, era ovvio: mangiava fuori dove capitava, spesso alla sera cenava là dove si erano incontrati. Lei gli domandò quando le avrebbe fatto il ritratto- ammesso che ne avesse ancora voglia o attendeva l’ispirazione giusta ?-, invece no “prima il piacere e poi il dovere”, sempre sorridente ché fin’ora non lo aveva mai visto serio veramente. Fabrizio la prese per mano, “andiamo al piacere “ e la condusse dove dormiva che il lettone grande in mezzo occupava tutto lo spazio o quasi. Prima la baciò, poi si baciarono in crescendo, poi lei si spogliò quasi del tutto e si buttò sul letto in disordine che odorava di uomo delle caverne. Stesosi accanto le chiese “tu cosa vuoi da me?”A Eva di botto le uscì “essere stuprata.”Pensò che lui si sarebbe fatto una risata, invece “bene, perché lo faccio come secondo lavoro”. Le strappò la biancheria, le aprì le gambe e le fu dentro senza aprire bocca, o darle un bacio, o fare le cose che i ragazzi fanno solitamente. Niente di tutto, solo colpi forti su e giù che non finivano mai…poi si scaricò dentro il suo ventre come la furia di una tempesta sul mare. Quando si placò non nascose la sua spossatezza e, con la tenerezza di un ‘non ti scordar di me’ mise il suo viso accanto a quello di Eva mentre con la mano le accarezzava le labbra, gli occhi, i capelli. Poi con voce calma, piena di dolcezza, sussurro “io ti amo bambina cara.”Lunedì- Eva trascorse la giornata a riflettere su ‘quella maledetta domenica’ che poi, forse tanto maledetta non era stata. Il suo cruccio era che lui l’aveva presa alla lettera quando pronunciò quelle parole infelici e che quindi la colpa era sua che si era comportata da sciocca. Si era rivestita e se ne era andata senza un ciao o un arrivederci o un saluto qualunque. Resistette fino a prima di cena, poi lo chiamò al cellulare. Rispose e subito, “ perché te ne sei andata?” e lei non sapendo cosa dire fece la cosa che le venne alla mente al momento “verresti da me a mangiare una pizza?” Al suo si le diede le coordinate di casa, fece la doccia, si vide carina e pensò che poteva starsene in top e calzoncini. Dopo mezz’ora lui citofonò – la portineria era già chiusa – e lei gli dette il piano al quale salire. Lo attese sulla porta aperta e quando l’ascensore si fermò e ne uscì lui con delle rose rosse in mano, gli buttò le braccia al collo e lo baciò sulla bocca con le lacrime che purificavano tutto: anche il suo desiderio di chiedergli perdono. Sul divano, in attesa delle pizze, birre e crostate, si baciarono e fecero le fusa come due gatti soriani, “davvero mi ami? e perché…”Fabrizio candidamente dichiarò “perché mi hai chiesto di essere stuprata, e allora come non innamorarsi di una donna sincera?”Eva una risposta così non se l’aspettava ma fece buon gioco. Mangiarono e bevvero e dopo la ragazza, a bruciapelo, “vuoi rimanere a dormire da me?” E fu così che la notte si trasformò in un Paradiso: uno dei tre giorni che lei pensava essere stati i più belli della sua vita. Martedì e Mercoledì – Eva trascorre i due giorni a casa. Solitamente ci passava il sabato e la domenica, ma non avendolo fatto quella settimana la madre la reclamava. Il padre- un brianzolo doc – aveva una fabbrica di ‘serramenti, infissi in alluminio e vetri’, gente benestante quindi. I figli erano due, lei e il più grande ingegnere migrato negli Usa a lavorare con successo. Sua madre aveva il culto del vestirsi bene e alla moda, circondata da amiche querule e ricche, una volta al mese faceva un viaggio a Londra o a Parigi per rifornirsi il guardaroba. Lei non le assomigliava per niente ed in niente, a suo padre si del quale era la coca. Ci arrivò con la sua city car gialla alla villa dove, sua madre dopo i baci e gli abbracci, aveva già deciso che nel pomeriggio sarebbero andate a Monza a fare shopping. Non chiedeva mai come vanno gli studi, hai il ragazzo, hai bisogno di qualche cosa, queste cose gliele chiedeva Papi mentre lei gli stava seduta sulle gambe. E alla domanda, appunto, “hai il ragazzo “ lei aveva risposto “ si,si fa il serial killer…e lo fa bene.” E Papi, oltre a farsi una risata, le aveva dato un buffetto sul sedere per niente allarmato da quella dichiarazione sbarazzina. La domestica e cuoca aveva preparato un sacco di cose, lei si abbuffò di prosciutto e melone: il suo piatto preferito d’estate. Nel pomeriggio attese che mamma facesse il riposino, poi via che le boutique di Monza erano là ad attendere. “Questo si, questo no….sua madre sceglieva mentre lei comperò una minigonna jeans, due top e dei sandali alti. Eva era una bella ragazza, -occhi blu capelli lunghi castano chiaro bocca carnosa-, alta abbastanza come sua madre che, a forza di frequentare Parigi e Londra aveva un aspetto giovanile e sciccoso nonostante avesse compiuto i cinquanta da un pezzo. Dopocena andarono fino ad Erba per il gelato, mamma doveva sfoggiare e come non accontentarla. La mattina dopo lei dormì fino a mezzogiorno, nel pomeriggio sarebbe tornata a Milano. E con Fabrizio? Una vagonata di sms da ambo le parti e, una telefonata della sera avanti, era durata più di un’ora. Una volta sveglia lo chiamò, “ciao amore…cosa stai facendo?” E al suo rispondere “sto mettendo a punto uno stupro” lei replicò che invidiava la tapina e che “stasera sono tutta per te.” Infatti alle sei era già a casa e saputo che quella sera suonava si accordarono di vedersi in Taverna. Alle nove era là a pizzicare qualcosa, ché fino alle dieci era calma piatta: ma quando lui arrivò fu un preludio alla ‘salon kitty’ e anche di meglio, premessa di ‘il fiore delle mille e una notte’ che avrebbero colto a casa di lei.Giovedì – I fiori giacevano nel letto con le mille stelle ad illuminare corpi di giovani amanti dall’intreccio perverso, suggerito da una luna maliziosa per niente in affanno. Amavano toccare il proibito, sfiorarlo, baciarlo, possederlo: tutto era loro concesso ad eccezione di una inutile virtù paladina del tempo perduto. Come e quanto? Nei modi della fantasia sfrenata e per tutte le volte che un sospiro cercava il respiro: nella armoniosa congiunzione del dare e dell’avere. Eva non aveva una conoscenza esagerata del maschio e nemmeno sopra la norma, poteva contare sulle dita delle mani le notti che aveva trascorso a fare all’amore,per questo il bel Fabrizio -killer di professione -aveva avuto buon gioco a farla sprofondare nell’inferno dei sensi e risalire e volare in alto, molto in alto che forse di più non si poteva. Erano abbracciati quando si svegliarono del tutto, lei disse di aver voglia di un bicchiere di latte e di brioches calde , lui che non faceva mai la colazione, si offrì di scendere al bar a fare spesa “poi ci diamo alla pittura, my fair lady”, la baciò per dieci minuti ovunque, rispose “anch’io” ai suoi “ti amo da impazzire”, si vestì in qualche modo ed uscì. Nell’attesa Eva si crogiolò nel pensiero che forse aveva incontrato l’amore della sua vita e che , comunque, era la prima volta che i suoi sensi avevano fremuto e continuavano a fremere al solo pensarci. Divorò le due brioches e sorseggiò il bicchiere di latte con gioiosa voglia, poi visto che lui era già al cavalletto “ dove e come mi metto?” Fabrizio le indicò la poltrona vicino a lui “ qui, nuda e spettinata come sei ora.” Lei si trasferì di là, e lui incominciò a muovere il carboncino senza guardarla. Quando disse “ecco la bozza”, lei andò a guardare e, siccome non era competente, le parve bella e lo disse: lo schizzo rappresentava una figura di donna, con una gamba un po’ alzata sul cuscino, le braccia conserte, ed il capo reclinato in avanti coi capelli che occultavo il volto. “Adesso posso lavoraci anche da solo, la modella non serve più” e questa dichiarazione un po’ la rattristò per il pensiero che la loro storia finiva là. “Allora non mi vuoi più?” e poiché sembrò una bambina piccola che si sentiva cacciata dalla mamma, lui le si inginocchiò davanti, le mise la faccia tra le gambe e dichiarò “no,no io ti voglio…ma cosa ti viene in mente.”Un bacio appassionato ed infinito sancì un patto: quello di amarsi, per sempre? Eva fece la doccia prima di vestirsi e recarsi a lezione, oggi aveva due ore di letteratura romanza e non la voleva perdere. Lui non sapeva ancora cosa avrebbe fatto, forse avrebbe lavorato al quadro o forse sarebbe uscito . “Ci vediamo da te stasera?” chiese Eva. “Stasera niente musica, vieni che poi andiamo al ristorante assieme”. Bene, alle sette lei sarebbe stata da lui.Venerdì- E l’una, sono a letto da poco. Hanno cenato in un ristorante vicino senza pretese, e poi sono stati al cinema Splendor a vedere ‘Amelie': mano nella mano e baci sparsi nei momenti giusti. “Bello!” esclamò lei all’uscita, “Insomma” chiosò lui da intenditore. Ora, nudi sopra al lenzuolo fanno prove di sesso. “Sesso estremo?” propone lui, “perché no…” timidamente lei. Allora lui armeggia in un cassetto e butta sul letto la ferraglia: quattro belle manette lucide la inchiodano al letto senza nessuna via di scampo. E lui inizia a giocare di lingua dalla testa ai piedi e viceversa per una decina di volte. Lei mugola “basta, dai prendimi…”invano. Lui la mette pancia in basso e fa altrettanto dietro, lei continua a mugolare e lui a fare quel che fa senza risponderle. Poi di nuovo davanti e poi di nuovo dietro…..passano i minuti, un’ora, due ore. Lui è inesauribile in quella scorribanda e lei, stufa di chiedere, incomincia a piangere. Alle quattro- sente battere le ore- lui si leva dal letto “per ora qui abbiamo finito ma riprenderemo”, le mette un adesivo sulla bocca e se ne va di là, a dormire in poltrona. Ed è mattina quando torna da lei sveglia da sempre. “Ora ti tolgo le manette e me lo succhi per bene,voglio godere.” Lei esegue con scrupolo maniacale, succhia divinamente bene che dopo un zip lui si scarica nella sua bocca urlando come un lupo mannaro: Eva ora c’è la lì a portata di denti e … il prepuzio resta attaccato per un niente.**Ora Eva non sa cosa fare, o cosa deve fare, o cosa sia giusto fare. Fabrizio, quando l’ospedale avrà terminato i suoi interventi, andrà in prigione in attesa dell’inchiesta e poi di quello che deciderà il giudice. Lei non ha fatto nessuna denuncia….ma quante sono a suo carico in questura? E chi sono le ragazze che- eventualmente- l’hanno fatta? Deve sapere, deve informarsi, deve indagare. Allora pensa che lei debba parlarne con lui prima di qualsiasi cosa: deve avere chiaro tutto e -a fornirle informazioni- non può’ essere che chi è parte in causa, lui Fabrizio. E va all’Ospedale. Senza chiedere a nessuno, sale le scale fino al quarto piano e, nel corridoio c’è un poliziotto solo davanti alla stanza. Secondo la logica, costui è di turno e non ha nulla a che fare coi due dell’altra volta: “sono la sorella…”, e il poliziotto le dice “dieci minuti soltanto”. Lui è sveglio, seduto coi cuscini, lei dice “ciao”, lui risponde allo stesso modo. “Senti, ho poco tempo, desidero aiutarti per quello che posso, prima ti chiedo scusa per quello che ti ho fatto, poi dovresti rispondere alle mie domande…come ti hanno operato intanto. Lui “ me lo hanno ricucito, poi dovranno ricostruire, ma tu cosa vuoi esattamente?” E lei chiarisce che vuole sapere tutto di lui, quante ragazze ha stuprato, se ne conosce i nomi, se ha qualche nascondiglio segreto….Lui la interrompe per dirle di lasciare perdere ché è tutta una pagliacciata, Eva insiste e che se non parla andrà da lui tutti i giorni a porgli le stesse domande. Fabrizio, a testa bassa, la invita a venire il giorno dopo: “ ti metterò tutto per iscritto,grazie.”Lei si alza, il tempo è scaduto lo dice il poliziotto sulla porta, poi si china su di lui e lo bacia sulla bocca: “non ho smesso di amarti stupratore del cazzo, perciò beccati il bacio per adesso.” Va a lezione come tutte le mattine ma è un po’ confusa e con le lacrime agli occhi per quello che gli ha detto col bacio, se ne accorge da come guida con i clacson a tutta dietro. In classe è distratta e non sente che per due volte la professoressa l’ha chiamata. “Chiedo a lei Rossini, ma mi sente?” E lei si inventa, seduta stante, che sta pensando al parente stretto che quella notte è deceduto. Il pomeriggio, in Baires, compera biancheria estiva maschile – t-shirt, boxer, pigiami e pantofole- .Se gli servono altre cose se lo farà dire da lui. E la mattina dopo sale le scale fino al quarto e, ancora cambio della guardia davanti alla stanza. “La sorella, entro?” e il sorriso ruffiano ha il suo effetto “si, ma non molto…se no mi mandano in Sardegna”. Lei ribatte mica male là, lo ringrazia mentre quello dà un’occhiata dentro al borsone di ‘ chez-Luì’. Sta dormendo su un fianco. Lei si avvicina e lo sveglia con un bacio sul naso, questa volta sorride – come sempre da che lo ha conosciuto -dentro ad una barba incolta che, dopo tutto, gli dona assai. “Allora seriale mio, hai fatto i compiti?” mentre gli mette la roba del sacchetto sul letto. Lui esordisce con un “cazzo mi ci voleva”e da sotto il cuscino tira fuori un foglio piegato in quattro. Bè, da non credere…non ci sono nomi o indirizzi ma c’è il volto di lei, uguale sputato, che fa una boccaccia. “Ah, ma allora sei pure scemo….”le viene fuori così spontaneo che lo aggiorna con uno scoppio ti pianto. E lui, udite udite, le prenda la mano, la bacia e mormora “e te ne accorgi solo ora.”Si affaccia il poliziotto, guarda e se ne va: ha visto una ragazza piangere al letto del fratello e forse pensa che piacerebbe anche a lui avere una sorellina come quella. Fabrizio esordisce “ apri bene le orecchie…io prima di te me ne sono fatto un sacco della Cattolica e una sola della Bocconi, stesso trattamento uguale per tutte, solo questa mi ha denunciato, qualcuna ha scritto lettere anonime ai giornali dicendo che si era divertita e dandomi la fama e quell’appellativo che conosci: tutte a casa mia, che altre ville segrete non ne ho.” Eva che ha terminato di frignare, gli chiede il nome della tipa che lo denunciato e lui le dà il nome e il cognome “ la stronza si chiama Grazia Mazzini mi pare...un nome così, non me lo ricordo bene, prossima dottoressa in qualcosa, contenta?” Gli risponde “come una pasqua…già che c’eri perché non ti sei fatto anche qualche bel giovinetto col culo rosa.”Lui dice che era in programma ma che ora dovrà accontentarsi solo di lei. “Senti, ora io quella la cerco e la convinco a ritirare la denuncia, magari lo fa. Gli chiede se gli serve qualcosa che l’indomani glielo avrebbe portato, e lui si “la tua patata rasata a zero”. Eva non sa se ridere o se piangere di nuovo e nel dubbio gli molla un bacio con la lingua che dura cinque minuti buoni. Uscita va in via Scarfatti alla Bocconi e in segreteria chiede di Grazia Mazzini “l’indirizzo di casa magari”e glielo danno compreso il telefono. E la trova, anzi è lei a rispondere e, per farla breve, accetta di incontrarsi da Cova in Monte Napoleone “tra un’ora, va bene?”Certo che va bene ed Eva è già là quando quella arriva, la riconosce da un sacco di cose, dalla faccia antipatica per primo. Ciao,ciao, e mettiamoci qua. “Vengo al sodo: io sono quella che il tipo ha stuprato e glielo ha ‘sgagnato via”- lei conosce la storia divenuta la ‘barzelletta’ tra le ragazze-, ora io non voglio denuncialo come hai fatto tu, ho già avuto la mia vendetta privata, tu vuoi andare fino in fondo?Perché un povero christo come quello non farà più del male a nessuna.”Grazia Mazzini l’ha ascoltata a bocca aperta, si congratula per quello che ha già fatto, dice che quelle che non hanno porto denuncia sono delle sceme, che lei lo vuole vedere in galera, “l’avvocato mi ha assicurato che gli daranno minimo cinque anni.” E quando Eva gli parla di ritirare la denuncia per questo e per quello, lei futura dottoressa di stò cazzo risponde “ma neanche per sogno, deve marcire dentro per quello che mi ha fatto e ha fatto alle altre!” Bene, allora niente da fare, ma le dà lo stesso il suo cellulare e l’e-mail “caso mai cambiassi idea…”perché mezzo convincimento che quella sia lesbo o bisex se l’è fatto e pur di arrivare al suo scopo lei è disposta ecc.ecc. E ci ha beccato. Alle cinque, al cellulare “senti, vediamoci ancora con calma, sei sola a casa?”La riceve in slip e reggipetto e, sul divano -papale,papale- “Eva, mi fai morire dalla voglia, ritiro la denuncia e lo faccio per te che….”Eva non lascia terminare che è bella che nuda a farsi coccolare da quel pezzo di merda di futura dottoressa di un cazzo reciso. E che il suo avvocato lo abbia fatto ne ha la prova, la mattina dopo che, davanti alla stanza dove di un poliziotto nemmeno l’ombra: niente denunce, niente di niente. Entra in camera come l’Aida di Verdi “allora bello mio, la patata rasata se ne è andata per ottenere la tua libertà,”ed Eva si mette a ridere così sguaiatamente davanti ad un Fabrizio allegramente sbigottito che urla “vieni, vieni che ti bacio.”Invece lei gli si butta sopra, lui nudo col coso fasciato e una puzza di capra tibetana. “Facciamo una bella doccia assieme…puoi?” Risponde “boh” e lei va a chiederlo all’infermiera se suo fratello- che puzza da vomitare- può fare la doccia, e quella risponde che può fare tutto eccetto che tentare di stuprare ragazze, almeno per ora. Gli stringe un asciugamano ai fianchi, si denuda anche lei e avvinghiati si lasciano accarezzare dallo spruzzo tiepido che scende ad imbrattarli di vogliose fantasie. E l’orgia di baci, di toccamenti, di malcelata lussuria è pane per i suoi orgasmi infiniti, è dolorosa voglia per lui tapino. E’ mezzogiorno quando Eva va a chiedere al Chirurgo di turno quando potrebbe o può portare a casa il paziente della numero venti. “Quando vuole, signorina, solo che dovrà venire ogni giorno per la medicazione. In camera lo aiuta a vestirsi e, con in mano il foglio della dimissione, salutano a destra e a manca il tripudio di battimani. “Andiamo da te, andiamo da me? Decidi tu, dice lui . “ E allora passeranno in Pinturicchio a prendere due cose, andranno ad una tavola calda per altre due, poi da lei almeno per ora. E la sorpresa, per Eva, è il quadro ad olio bello e finito. “Questo me lo prendo che ora mi appartiene,appeso sopra il letto sarà una bomba, magari ad orologeria, ma sempre una bomba.”Fa caldo, tanto caldo afoso prerogativa della bella Milano. Menomale che lei ha il pinguino- che qualche cosa fa- e un letto quasi a due piazze che al momento di arredare casa se lo sentiva ? Si mettono nudi e girano nudi. Fino a quando le risate di lei per quel coso fasciato, fanno optare lui per i boxer… “Così non ridi più,stronzetta!” Che la stronzetta sia di una carineria adorabile, che faccia sempre tutto per bene, che pensi alla cena per tempo, che faccia programmi a media e a lunga scadenza, e un sacco di altro per lui Fabrizio quasi cavernicolo per vocazione, sono cose belle che nota e apprezza. Ha già fatto la spesa al telefono “prosciutto e melone ti va?”Gli va, come a lei del resto. Ordina roba da far scoppiare il frigo e di conseguenza la pancia dopo: alcoolici poco- solo birra- che teme un risveglio immediato di un Tapino miracolato da qualche madonna incosciente. Al telefono dice a mammina che sabato verrà con un amico, avvisare la domestica di preparare la sua stanza per due, “ a te non spiace vero?” giusto per essere educata che se avesse detto di si….e chi se ne frega. Poi a lui “ se io mi metto nuda con le gambe larghe che si vede la patata fino alle tonsille….per curiosità il tuo affare si rizza o piange e basta?” E siccome lui ai suoi segreti ci tiene, “non te lo dico”e buonanotte suonatori. Allora lei fa la prova e lui educatamente la manda a fare in culo. Salvo poi andare a sdraiarsi sulle sue cosce e cercare di baciarla a tradimento, cosa che non riesce tuttavia, solo per il fatto che al citofono “ qui c’è quello con i viveri”, e lei con l’accappatoio infilato di corsa va ad aprire al ragazzuolo. Le prove tecniche sono quindi solo rimandate. Di nuovo soli, Eva gli si appiccica – in piedi- contro e gli dice cose belle, tipo “bel bambino della mamma, vedrai quante belle cosine lei ti farà…”e gli ‘sgagna’ la lingua per una prova di dentatura. Poi armeggia con i chiodi e voilà il quadro è sul letto “con la cornice sarà un figurone,ma si vede che sono io?” No, non si vede….peccato. Cenano, guardano un film su sky, lei scende alla Vecchia Milano- a due passi- per una vaschetta di gelato alla frutta, poi programmano per il giorno dopo e lui le chiede che prima di andare al Policlinico lui vorrebbe passare da casa sua a prendersi la sua Ferrari – una vecchia Peugeot in verità- e poi in casa cavalletto, colori ecc. , il basso, e qualche altra cosa che gli verrà in mente “perché quando sei all’università io non sto qui a grattarmele e basta” Eva dice “giusto, ma che bravo il mio bambino santo”Poi limonano come due colombi e lei accetta, anzi chiede, i suoi bacini sulla patata e gli sbatte più volte le tette in faccia per un analogo trattamento. E lei che gli fa lei?Quel poco che può per via dei lavori ancora in corso...e il tutto passa poi dal divano al letto e gli orgasmi di Eva sono musica per le orecchie dei vicini...' (continua...anzi proseguirà allorquando sarò "forse" guarito!)