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Raccolta di testi in prosa di Natalia Giberti
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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La lettera

Imola, 13 Maggio 2009
Gentile signora Amelia,
Le probabilità che lei riceva questa lettera sono davvero pochissime; una su mille, o una su un milione, forse. Un’indagine Istat certo mi direbbe di desistere ma io, aggrappata a quell’unica, solitaria e remota eventualità, come un naufrago ben saldo ad un minuscolo relitto di nave emerso miracolosamente dalle onde, non mollo. Ed eccomi qui a scriverle, a rivolgermi a lei, una perfetta sconosciuta, appartenente, se non ad un mondo diverso (come voglio ben sperare), sicuramente ad un’epoca diversa. Perché, Amelia cara, ai suoi tempi le indagini Istat non esistevano neppure, ai suoi tempi le cose si facevano con il cuore, non si elaboravano con intelligenze artificiali. E ora lei, approdata in questo tempo un po’ folle e in quella fase della vita in cui oramai i sentimenti non penetrano nella pelle ma scivolano addosso, come gocce di pioggia sul vetro appannato, è pronta per leggere le righe che qualcuno le aveva destinato tanto tempo fa.
Sono cresciuta vedendo la lettera buttata là, nell’angolo di un cassetto dove mia madre teneva le sue cianfrusaglie: alcune foto sbiadite, un paio di guanti di velo nero, una bottiglietta di profumo a forma di ballerina. La prima volta che ho violato la sacralità della busta dovevo avere dodici o tredici anni. Già allora mi aveva sfiorato la tentazione di appiccicare un francobollo e via..ma altri pensieri molto meno nobili avevano finito con il distogliermi dai miei alti propositi. In seguito era stato un più pratico senso della realtà a farmi desistere. L’indirizzo certo non era più valido, lei sicuramente aveva una famiglia: dei figli, un marito; un marito che forse non aveva mai saputo di un lontano amore giovanile. Ecco il perché del tanto tempo trascorso, però in questi anni non ho mai dimenticato. Quella busta, quelle parole, scritte in una calligrafia fitta fitta e un po’ inclinata, dovevano arrivarle. E ora spero che possa finalmente leggerle e, a dispetto di ogni stupida indagine Istat, le trascrivo qui di seguito (non le spedisco la lettera originale per non privare mia madre dell’unico ricordo rimastole di suo fratello).

Ospedale militare di Conegliano Veneto

5 Aprile 1945
Amelia mia adorata,
So che non dovrei scriverti, mi hai detto di non farlo. Eppure, per quanto chieda al mio cuore di tacere, per quanto tema di non avere in cambio che silenzio, terribile silenzio, sono qui a parlarti, ad esprimerti quel mio amore che non ne vuole sapere di spegnersi come la tremula fiammella di una candela ormai consumata. Il mio amore è il fuoco vivo che illumina e riscalda l’anima.
Non ti so descrivere la gioia quando ho ricevuto la tua lettera, né riesco a esprimere la trepidazione con la quale ho strappato la busta, la tenerezza che ho provato nel vedere i caratteri che le tue mani hanno tracciato per me. Come mi batteva il cuore mentre tenevo tra le mani quel foglio che, TU, hai tenuto tra le mani, sul quale, TU, hai respirato. Ah, Amelia! Sono stati momenti di felicità; tutte le più dolci aspettative, i più cari pensieri in un attimo mi hanno travolto; speravo il Paradiso ed invece…eccomi scaraventato nel buio abisso dell’Inferno. Mi dici che non vuoi più vedermi; qualcuno ti ha riferito storie insensate. Sì, è vero, qui ho conosciuto un’infermiera, una brava ragazza, c’è simpatia tra noi e confesso che, nei momenti in cui la mia fronte scotta e i brividi della febbre fanno tremare il mio corpo come una foglia scossa dalla furia del vento, sentire una persona vicino mi dà conforto; ma nulla di più. Quando sarò guarito, quando questa maledetta guerra sarà finita, è solo da te che voglio ritornare. E’ il tuo volto pallido che voglio rivedere; è la tua voce armoniosa che voglio riascoltare; sono i tuoi baci ardenti e le tue carezze appassionate che voglio sentire di nuovo sulla mia pelle; è la tenerezza con la quale mi proteggevi e mi difendevi dal mondo che voglio ritrovare. Non udire più nulla di te, ignorare che vivi, scacciarti dai miei pensieri non mi è possibile; mi chiedi troppo.
Sento che tu, oramai preda del sospetto, dubiterai della sincerità dei miei sentimenti ma ora, in questo pomeriggio grigio, disteso sul mio letto di sofferenza, cosa potrei mai fare perché il mio amore arrivi a te? Non ho a disposizione che parole e le parole sono ben povere cose; attraverso questo foglio, questi segni neri e uguali riuscirò mai a trasmetterti un palpito d’amore?
Perché io ti amo e non permetterò a nessuno di strapparti a me; non sarà una calunnia malvagia, né un’assurda guerra a separarci.
Amelia, Amelia dolce, ti voglio ritrovare. Sono e sarò per sempre tuo.
Ettore.

Mio zio, Ettore Pausini, morì il 6 Aprile 1945 all’età di venticinque anni.
La saluto con affetto.
L.S.

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La lettera

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