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Raccolta di testi in prosa di Ilaria Palomba
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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La storia dell uomo che cercava la felicità

Un giorno un vecchio, essendo giunto ormai all’esodo della sua esistenza e non avendo mai trovato nulla attorno a sé di ciò che gli uomini chiamano FELICITÀ, decise di mettersi in viaggio alla ricerca del PRESENTE perduto.
Indossò i suoi abiti migliori, si congedò da tutti gli oggetti familiari e gustò per l’ultima volta i sapori ai quali era abituato.
Si avvicinò al bastone di legno, che era stato una volta di suo nonno, come se volesse parlargli:

- Andiamo vecchio amico! – gli disse – Accompagna e sostieni questo mio corpo nell’ultimo viaggio e consentigli di attraversare ancora una volta fiumi, di scorgere la bellezza delle cascate, l’austerità dei monti. Accompagnami nell’ultima traversata, per l’ultima sfilata d’immagini che si prospettino dinanzi a questi occhi stanchi!

Il bastone dal manico ricurvo parve quasi rispondergli:

- Che io possa servirti fedelmente ancora una volta, vecchio mio!

Detto ciò, al vecchio parve che questo barcollasse e lentamente si staccasse dalla parete umida e antica sulla quale era stato riposto tempo addietro.
I soprammobili poggiati sul davanzale della grande finestra ovale del soggiorno, le tende fitte, la luce fioca che filtrava attraverso le tapparelle semichiuse, i cocci rotti del pavimento, il soprabito appeso al portabiti dell’ingresso buio, il tavolo in legno sul quale si sparpagliavano piatti cinesi e strane compattezze vitree. La foto di Stella. Il suo sorriso così innocente, il suo sguardo così perverso.

- Un fiore strappato dalla terra in così giovane età.

Pensò il vecchio tenendola per qualche secondo nelle mani affusolate gravide di rughe.
Detto questo si lasciò alle spalle le immagini del passato e lasciando ricadere il suo peso sbilanciato sul vecchio bastone, s'incamminò.
La prima tappa del suo percorso fu l’Irlanda: fertili abissi di natura immersa in praterie mozzafiato, piccoli paesi costruiti sulle rovine di castelli medievali, locande in cui uomini dalla statura modesta e dal sorriso iridescente banchettavano ignari dei mali del mondo.
Il vecchio imboccò un vicolo chiamato “SEGUIMI” ed entrò in una locanda chiamata “STELLA POLARE”, si sedette accanto agli uomini dalla pelle candida che sbevacchiavano e ridevano tra loro e domandò loro cosa fosse la felicità.
Uno di loro gli indicò una donna che si aggirava per i tavoli, portava i capelli raccolti in una treccia che le cadeva sul seno, una lunga camicetta a quadri le si adagiava sul corpo candido e meraviglioso. Il suo sguardo era acuto e vispo: grandi occhi verdi scrutavano l’ambiente circostante come se stessero bramando di possederne l’essenza.
Il vecchio si diresse verso la donna e una volta raggiunta, le si accostò e le baciò la mano. Poi le pose l’annosa questione.
Ella sembrò non comprendere le sue parole e si ritrasse per qualche secondo dietro al bancone. Il vecchio la vide parlottare con un tizio grasso e barbuto al quale mancava qualche dente. Ma dopo poco ella tornò da lui e gli tese la mano invitandolo a seguirla.
L’aurora divampava nel cielo. Le immense praterie nascondevano il silenzio degli animali della notte. Lei lo condusse in un bosco incantato attraversato da un fiumiciattolo.
Un traghettatore li attendeva sulla sponda destra del fiume, come se avesse saputo da sempre che li avrebbe incontrati proprio a quell’ora ed in quel luogo.
Ella gli disse:

- La Felicità è giungere dall’altra parte
- Cosa vi è dall’altra parte, mia bella signora?
- Quello che da questa parte del mondo ti sfugge.

Così il vecchio dovette lasciare la piacevole compagnia della donna misteriosa e salpare.
La barca era esile e traballava, così il vecchio si aggrappò alle spalle del traghettatore, il quale prese a raccontargli:

- Quando ero giovane avevo una donna fantastica. Somigliava proprio alla donna che v’accompagnava. Ricordo che mi attendeva in abiti succinti proponendomi ogni forma di erotica trasgressione. Ma sul far del crepuscolo ella diveniva un’altra e sapeva accompagnarmi sulla scia dei miei sogni accarezzandomi le idee in quel modo consapevole e saggio in cui solo le donne innamorate sanno fare. Eppure io, non pago del suo amore, annoiato da tale consuetudine, scelsi di tradirla con tutte le nobili d’Irlanda: frequentavo salotti e castelli, mi allontanavo da casa con ogni genere di scusa e credevo allora che in ciò consistesse la felicità. Una sera ritornai da una delle mie eccitanti avventure amorose e non vi trovai la mia bella. Non c’era più. Da allora accadde che ogni mia avventura divenne come tutte le altre. Ogni donna mi sembrò così squallida e scontata, dal momento che non potevo più avere lei: la più perfetta delle creature. In vero siamo come le correnti di questo fiume: ci muoviamo sempre presso nuovi vortici ma ignoriamo di essere parte di un unico corso dell’esistere. Apprezziamo quanto non conosciamo e ci stanchiamo di ciò che possediamo…rendendoci conto del valore di ciò che ci circonda solo quando oramai l’abbiamo perso.

Il vecchio udì con interesse la storia del traghettatore ma gli sembrò di non comprenderne il significato, quantomeno in riferimento alla sua domanda.
Il secondo luogo in cui si diresse il protagonista della nostra storia, fu la Grecia: ivi poté ammirare il contrasto di paesaggi montuosi e marittimi: lo splendore di acque cristalline, rocce che si inerpicavano sino a raggiungere i mille metri d’altezza, paesaggi accarezzati da un velo di mistico e antico, colonne doriche e divinità scolpite nella pietra, volti che ritraevano la storia dell’uomo.
Decise di accostarsi alle rovine di un tempio, ivi scorse due donne: entrambe dai capelli scuri e gli occhi azzurri. Una era di corporatura più massiccia: grandi spalle e corpo da atleta, ella portava i capelli corti ed un piercing al naso. L’altra portava lunghi capelli sciolti all’impeto del vento, le sue gambe erano sottili ed i suoi piedi minuti. Si stringevano in un abbraccio eterno e volteggiavano nelle rifrangenze del sole scambiandosi dei lunghi baci: le loro lingue danzavano l’una con l’altra, i loro corpi fremevano al contatto, e sembrava non vi potesse essere alcuno in grado di dividere un tale composto di energia, donato loro da Eros.
Il vecchio si avvicinò alle due donne, le quali lo guardarono con sospetto ed indietreggiarono di tre passi.

- Non abbiate paura – disse lui – non voglio farvi del male, voglio solo porvi un interrogativo, al quale di certo saprete rispondere!
- Dicci pure, anziano uomo – rispose la ragazza più mascolina.
- Ecco, ripongo in voi tutto il mio zelo e la mia curiosità: vorrei solo che mi parliate dell’essenza della felicità.

Le sue parole furono la formula che sciolse l’incantesimo, così le due donne si dissolsero ed al loro posto si materializzò una sirena dagli occhi azzurri ed i capelli mori, grandi seni nudi e fianchi dolci; sulla sua coda riluceva il sole e l’argento delle sue pinne si specchiò nel mare nel quale rapidamente si tuffò.
Al vecchio apparve come in una visione il sorriso di Nettuno, dalla cui superficie riemerse la sirena che gli disse con voce assente e ieratica:

- Ho visto oltre la linea di confine. Ho attraversato me stessa. Io sono due esseri completamente opposti che si cimentano nel compiere gli stessi atti ma li vivono in maniera emotivamente opposta. Il vero io è oltre. Esiste. È ancora vivo. Solo che è irraggiungibile. È come se vivesse in un sogno, non in questo mondo. Di questo mondo non sa nulla. Non gli interessa, non gli appartiene. L’arcano è che il suo apparire vuole uccidere la sua essenza. Il vero io non è esattamente un essere umano: è piuttosto un’entità. Il vero io sogna una fiaba infinita, è come una STELLA. Il suo apparire è una stella divorata da un buco nero.
Detto ciò ella svanì tra le onde, lasciando al vecchio l’illusione di una realtà che in parole egli non poteva ancora comprendere.
Così egli tornò sulla via maestra che conduce in ogni luogo e di qui prese il sentiero che portava nel deserto del Centro-America.
Prima di giungervi si imbatté in ricordo lontano:

- Prego si accomodi! L’onorario è di 50 euro. – gli disse la psicanalista con voce ferma.
- Va bene. Tenterò quest’impresa. Ma sappia che non ho memoria di quanto è accaduto nella mia infanzia: non so dirle se come Edipo ho mai ucciso mio padre e preso posto nel letto di piaceri con mia madre. Non so dirle se ho mai violentato una donna. Non saprei partire da nulla per farle capire il mio malessere… - rispose col suo bel faccino da ragazzino un po’ cresciuto.
- Non ha importanza si rilassi…mi dica tutto ciò che le viene in mente.
- Ho l’impressione di stare in un quadro dove sono dipinti corpi. Tanta gente. Io sono lì tra loro che chiedo: «FATEMI PASSARE!» ma loro non mi ascoltano. Sto per soffocare tra la folla. Grido:«VOGLIO PASSARE!». Nessuno si volta. Allora inizio a spingerli e buttarli per terra. Mi faccio largo tra loro… Così qualcuno addirittura mi nota e cerca di interagire con me, ma io gli ripeto:«NON MI INTERESSI! VOGLIO SOLO USCIRE DI QUI’!». Vedo una donna. Lei mi guarda…sembra una STELLA. A volte vorrei che mi costringesse a guardarla e proteggerla o divorarla. Nessuno trova più il modo di fermarmi. Prendo Stella tra le braccia, le strappo i vestiti di dosso. La sbatto contro un muro! Le entro dentro con tutta la passione e la violenza che mi appartengono. Lei geme. Grida. I suoi fianchi sono caldi, i suoi seni vibrano al contatto con le mie mani. Il mio corpo nel suo. La mia anima nella sua. Ma a me non basta! La strattono in avanti e guardo dentro ai suoi occhi. Vi scorgo la paura. Afferro i suoi capelli, spingo il suo viso contro il mio sesso. Sta piangendo. Non mi fermo. Non riesco a raggiungere la sua anima. L’afferro ancora per i capelli e le graffio la schiena. «PERCHÈ?» fa lei con una voce che ha dell’ingenuo e del sensuale. «PERCHE’ TU NON MI VEDI!» le rispondo. C’è una folla interminabile di persone accanto a noi, tra di noi. Non possiamo toccarci mai del tutto. Possiamo solo farci male. E preferisco essere io a farlo. Accade però che costoro si scostino e mi dicano:«PREGO! MERITI DI PIU’! MERITI DI PASSARE OLTRE!». Si forma un varco tra la folla, taluni stendono un tappeto rosso. Improvvisamente tutti desiderano che io attraversi il tappeto e vada oltre ma… a quel punto io ho paura. Sono tutti voltati a guardarmi. Cosa vogliono da me? Mi chiudo in me stesso. Evito gli sguardi. Implodo. Chiedo loro perdono. Mi aggrappo a quelli che inizialmente hanno mostrato un certo interesse nei miei confronti. Ma loro adesso mi respingono. Mi rifiutano. Mi dicono:«IO POSSO DARTI SOLO QUELLO CHE SONO. MA A TE NON IMPORTA CIO’ CHE SONO. A TE IMPORTA ATTRAVERSARE IL VARCO!». Io dico che non è il momento. Loro mi rispondono che invece lo è. Così mi accusano di vigliaccheria. Solo perché io non riuscivo a respirare!
- Cosa pensi che sia la felicità? – gli domandò lei, ricomponendosi e rimettendosi gli occhiali.
- Non lo so.

Il deserto porta con se i segni del tempo di tutto l’universo. Nei suoi granelli sono racchiuse le meraviglie di ogni epoca. Il vento è il vuoto. I granelli di sabbia atomi. Il mondo vive di potenzialità.
Il cielo in fiamme al vespro lasciava intravedere un’unica stella rilucere nel cielo.
Dalle sabbie danzanti al suono sottile del vento emerse una figura: un ologramma. Era una figura che il vecchio conosceva bene: era lei.

- Averti persa è stata la cosa più dolorosa. Ora, dopo quarant’anni passati ad inseguire riflessi tangibili di te, so che sono innamorato, ora come allora, di te, Stella!
- Innamorato poi, che parola sciocca! Innamorarsi è una questione dell’anima. Sono parole da non sprecare! Innamorato non vuol dire mi piace il tuo sorriso, mi piace venire a letto con te, mi intrighi, mi piace il tuo cervello. Innamorarsi vuol dire che tutto il mio essere brama di essere con te. Ora. Sempre. Vuol dire che questo istante che vivo con te equivale all’eternità. Innamorarsi vuol dire che tutto il mondo sparisce dinanzi alla tua immagine. Che desidero possedere la tua essenza. Che non m’impongo di non andare con altre persone ma solamente e semplicemente non riesco a sentirmi attratto da altri che da te. Che quando penso a due corpi fusi l’uno nell’altra quelli siamo solo noi. È una cosa che può avvenire solo una volta nella vita ed in vero dura molto poco. Ecco perché il vero amore è sempre quello inappagato. Poiché è il ricordo di quando hai provato quelle mistiche sensazioni. Come se fossi entrato in contatto con ESSENZE, e non è solo di pensiero che si nutre tale sentimento, ma se solo provassi a raggiungerlo, esso si dissolverebbe nel nulla. Tutto il resto è vanità. Possesso. Narcisismo. Esibizione. Esperienza. Attrazione. Comunanza di idee o vissuti. In sostanza Amicizia. Innamorarsi è un lampo dal quale l’immagine del tuo amore si scaglia contro le cose e le neutralizza per esistere sola, assoluta, incondizionata. Non so dire se io ti abbia mai mostrato anche solo un sorriso, ma di certo ero innamorata di te. Ed è per questo che ti ho sconfitto.
Detto questo l’immagine di lei si dissolse come nebbia nel vento incessante e svanì in una bufera di sabbia.
Il vecchio posò il bastone e seppe che allora poteva abbandonare il suo corpo per sempre.
Il suo corpo sulla sabbia, arso dal sole.