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Raccolta di testi in prosa di Luisa Cagnassi
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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La mia voragine

La mia voragine.

 

Stavo per essere risucchiata in questo vuoto, l’elemento onnipresente, che ha plasmato il mio modo di essere, nel tentativo di riprendermi ciò che mi spettava, cancellando un’ombra invisibile, deleteria.

Una voragine, un buco nero, una sorta di pozzo di cui non conosci la profondità e non riesci a riempire.  I suoi significati sono infiniti.

Oggi all’improvviso ho definito in modo chiaro e lampante,  il mio vuoto esistenziale.

Un’immensità satura delle mie emozioni, dei miei patimenti, colma delle domande precipitate in quel baratro, da che sono nata, alla ricerca delle mie radici.

Arduo è giustificare il senso di ciò che mi è stato ingiustamente tolto.

Radici a metà, un’identità ibrida,  per cui da sempre ho pensato di dovermi guadagnare l’attenzione del prossimo, accondiscendendo, facendo crescere la mia generosità a dismisura.

Oggi ho inteso ancora quel malessere infinito che mi ha inseguita: una sensazione dolorosa. Un’angoscia che ti proietta al di là di un muro, dall’altra parte della sponda di questo vuoto oscuro, dove tu resti sola in attesa che il prossimo, almeno per un attimo, si ricordi chi sei e ricambi i tuoi sentimenti, le tue attenzioni, aiutandoti a oltrepassare quell’abisso.

Nel giorno in cui ricorre l’anniversario della morte di mio padre, colui che ha preferito crescere sulle sue ginocchia, la bambina nata dal secondo matrimonio, aprendo Facebook sono incappata nel pensiero di quella che ormai è donna matura, nella fotografie di loro due insieme, molti anni fa. Oh sì, lei ha pieno diritto di dedicargli così sentite parole, di ricordare i loro momenti speciali, incurante senza colpe, del dolore che, alle soglie dell’età che conduce al declino, non ho ancora cancellato, del vuoto che mi ha tolto un pezzo di dignità. 

Cosa potevo dire? Nulla, oltre a un silenzioso “mi piace”. 

In vita l’ho incontrato in rare occasioni e solo per qualche istante. Intimidita, non osavo neppure guardarlo, trovando unicamente il dono di questo senso di nullità.

L’ultima volta, la più drammatica, perché nonostante tutto l’ho amato attraverso i racconti di mia madre, nella camera ardente.

Prematura scomparsa, mentre avrei ancora desiderato porgli le domande che sono sempre precipitate nel vuoto, per via della mia discrezione.

Intanto lo osservavo inerte e bello, elegante nel suo gessato blu, perfetto. Nella mente ancora gli domandavo perché non ho meritato quel diritto. Non ho provato mai il piacere di toccarlo, abbracciarlo, di sentire il calore di una sua carezza. Avrei voluto baciargli la fronte, accarezzarlo per sincerarmi che fosse davvero esistito, che non fosse un fantasma. 

Non ero sola e, come una stupida, mi sono sentita in imbarazzo  di nuovo non ho osato. Ancora una volta non ho pensato a me, ma all’effetto che avrebbe avuto il mio gesto sulla sensibilità di mio marito, che mi è sempre stato accanto.

Allora ho riempito i miei occhi non solo di lacrime, ma della sua immagine, memorizzandola  minuziosamente.  Trattenendo il pianto, ho colmato per qualche minuto la fredda solitudine che lo circondava.

Perdonando i suoi errori, commiserandolo perché  nonostante tutto era lì da solo, lasciato sprofondare in un vuoto che sapeva di abbandono, di scarso amore, lo stesso vuoto mio.

Non lo avrei trascurato io, sarei rimasta lì accanto a lui, prendendomi un po’ di quel tempo che troppe volte mi è stato negato.

Questo vuoto si completerà, quando il destino deciderà e precipiterò dentro il suo buio devastante e profondo io stessa, ritrovando tutte le sensazioni e le perplessità di una vita. Forse, sarà allora che troverò risposta ai miei perché, risalendo in alto finalmente leggera, raggiungendolo là, dove adesso è sereno.

 

 

 

 

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Un cign di nome Anna ( capitolo Da Yalta al lager...)

Come sia riuscita, nonna Lisa ad adattarsi ad un’esistenza così misera, davvero non so spiegarmelo....

Lei che da ragazzina ebbe una vita agiata senza privazioni, ha rivoluzionato le sue abitudini, per amore del marito, affrontando ogni avversità senza mai lamentarsi. A diciassette anni, quando si sposò, la sua famiglia era già stata spogliata di ogni proprietà.
Dal 1902, data della sua nascita, aveva conosciuto il benessere e così fu per molti anni. Ad ogni modo, la caduta dello Zar, fece precipitare la situazione e per la popolazione fu un lungo periodo infelice e doloroso.
L’amore della nonna, nei confronti del marito, fu senza dubbio privo d’interessi e condizioni, se non quella dell’assoluta sottomissione.
Dovette sopportare sovente le ire del nonno la sera, consueto a rientrare arrabbiato e visibilmente alticcio. Inveiva contro il “partito” imprecando e accusando! Fuori di sé pareva volesse distruggere ogni cosa; perseguitava la moglie minacciando di diventare violento fisicamente, oltremodo invidioso per le eccessive attenzioni rivolte ai bambini. In realtà, non la sfiorava nemmeno. La notte poi, si riappacificavano.
Quante volte li hai spiati, nella loro intimità, costretta dalla promiscuità forzata e dalla tua naturale curiosità. Rassicurata, discreta, ti nascondevi sotto le coperte, felice della loro riconciliazione. Ogni paura, come per incanto, veniva fugata.
Il nonno mal sopportava la suocera, buona e riservata: ne era geloso. Al suo rientro, detestava trovarla in casa, s’infuriava cacciandola malamente.
Non ti sei mai spiegata il suo atteggiamento, costringendo te stessa ad ammettere di avere un padre ancorato ad una mentalità barbara ed ignorante.
Nei tuoi ricordi, tratteggiavi la nonna come una donna disperata e triste, inguaribile fumatrice. Trascorreva le giornate asciugandosi lacrime e bevendo the, dal samovar costantemente acceso.
Di poche parole, solo di rado si concedeva e raccontava a voi nipoti dei vecchi tempi, del benessere di quando il nonno era ancora in vita e le sue avventure di soldato.
Aveva lunghi capelli bruni la nonna, ricci e vaporosi. Quando li lavava, lasciava si asciugassero sciolti, sotto i raggi del sole. Splendevano così in tutta la loro bellezza, scomparendo ancora, imprigionati in una lunga treccia, avvolta sul capo.
Ti piaceva studiare. Frequentasti sino al quarto anno, una scuola tartara. In seguito, per tua ambizione, decidesti di iscriverti alla classe superiore russa, affrontando con tenacia, le enormi difficoltà causate dalla diversità della lingua.
Scoppiata la guerra, fosti costretta a sospendere gli studi.
Il destino decise al tuo posto: infatti li “proseguisti” in un lager nazista.
 

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Un cigno di nome Anna (battute finali)

Copertina libro romanzoUN CIGNO DI NOME ANNA

Battute finali...

Da quel dieci marzo del nuovo millennio, molte cose sono cambiate. Io non sono più la stessa: ti sei portata via una parte di me, definitivamente perduta.
Questo ultimo periodo della mia vita, senz...a la tua presenza, è diventato sterile, silente. Mancano le tue stravaganze, la pienezza delle tue fantasie, le battute, le lunghe chiacchierate e, perché no, i nostri battibecchi. In questa enorme casa, dove quadri e oggetti continuano a parlarmi di te.
Lontana dalla nostra adorata Torino, ridente, viva, autentica e discreta, dove potermi rigenerare. Riscoprire i luoghi della mia adolescenza, la dolcezza del Po che accarezza la sponde. La gente, cordiale e riservata, incontrata con te e magari un tempo allegramente canzonata, per le vie del centro o lungo i viali del Valentino.
Mi rimane Matteo che, nella mentalità “fuori dal comune”, racchiude una parte del tuo carattere e mi rammenta come abbiamo imparato insieme, ad affrontare la quotidianità. Lui che, per molto tempo dopo la tua morte, ha percepito al suo fianco la tua presenza, inspiegabilmente. Nelle sue visite periodiche, rievocando aneddoti che ti riguardavano, improvvisamente esordiva con: <Ssss… silenzio! Adesso è qui con noi, la sento!> Fabrizio se ne addolorava, inizialmente, temeva fosse uscito di senno.
In seguito, questi episodi si sono diradati, sino a scomparire.
Francesco, immerso nel suo mondo, non ho modo d’incontrarlo sovente, anche a causa mia. Ci si vede di solito, in occasione delle feste natalizie o per il compleanno di qualcuno. Al telefono è sempre di poche parole.
Ho sempre coinvolto Fabrizio nelle nostre esperienze vissute o riportate. Superate le prime burrasche, affinché tu lo accettassi, imparaste a stimarvi e a volervi bene. Qualcosa ha assimilato anche lui, negli anni della nostra convivenza. Ma ormai la sua memoria si è affievolita.
Ho continuato a mantenere i contatti con mia cugina Sonia e sua figlia Zamina. In loro ritrovo un po’ della tua cultura. O forse è un’illusione.
Di tanto in tanto, ricreo la vecchia atmosfera accendendo, giù in tavernetta, il tuo mobile radio anni cinquanta. Funziona ancora discretamente, nonostante l’età. Il giradischi però, ha bisogno di una spinta, per riuscire a raggiungere la giusta velocità.
Allora, metto sul piatto i dischi del coro dell’Armata Rossa, la danza ungherese di Brahms, il “Lago dei cigni” o il tema di Lara, dal “Dottor Zivago” e sogno di noi al passato.
Proprio ora che sto terminando il lungo capitolo della nostra storia, ti sento particolarmente vicina, a guidare la mia mano e i miei ricordi.
Immediatamente ti immagino, mio cigno regale e sinuoso, improvvisare gioiosa quei passi di danza. Libera, da sempre e per sempre.
Quindi, raccogliendo i ricordi della mente e del cuore, chiudo gli occhi, inspiro forte ed ecco, inspiegabilmente, m’inebria ancora l’essenza del tuo profumo: rivivo, un attimo.
Altro...