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Raccolta di testi in prosa di Walter Maccari
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Mario e il vento

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Mario rientrò furioso a casa. La compagnia del più giovane fratello lo aveva stancato e, per quel giorno, anche irritato. Non c'era un perché, ma quel suo cantare la canzone di sempre, la canzone che avevano sempre cantato insieme all'adunata, gli era parsa per l'occasione, sguaiata e pure sciocca

. Quel ritornello: “ … bella abissina aspetta e spera che già l'ora si avvicina...”
Per la prima volta sentiva in quel canto una stupidità e una retorica che proprio non condivideva. E Paolo, quello sciocco giovane “moschettiere ” di suo fratello, gli appariva come al colmo della stupidità

. Cosa aveva Paolo oggi che non andava, perché l'entusiasmo, il riso e l'ostentata fierezza che dimostrava, oggi lo disturbava? Mario guardò il suo giovane fratello e si stupì che niente fosse fuori posto, ecco si! Tutto come sempre, Paolo solare e contento aveva una nuova coccarda spillata sulla montura

. La camicia nera un po' sudata con sopra i soliti simboli del Giovane italiano e il nastro colorato, blu e verde della promozione al Ginnasio; una coccarda come atleta e l'appartenenza al “Regina Elena” come studente modello. Tutto come sempre, niente di strano, tutto come ieri e così uguale al momento in cui erano usciti per andare in piazza ad ascoltare il discorso del Duce

. Mario era stanco di quel tutto uguale, e così allungò il piede, fece sgambetto al fratello e sprizzando ira dagli occhi lo vide cadere sul pavimento dell'ingresso e borbottando si diresse verso la propria camera, a cambiarsi.

“ Questa divisa è brutta !” pensò mentre con rabbia scaraventava il fez e la camicia in un angolo

. Imprecando si tolse i pantaloni zuavi, grigi, proprio mentre suo padre Carlo entrava nella stanza. Fierezza virile, non c'era alcun imbarazzo, il padre si limitò ad osservare, per l'ennesima volta, quella montura

. Lui non avrebbe voluto neanche comprarla, era un vestire triste. Grigia divisa, come grigio chi la indossa, aveva detto quel giorno, quando ai Magazzini Littori, cercava di convincere il figlio che non doveva abbassarsi ad indossarla, ma c'erano mute regole di convivenza e accettazione...Senza colore come senza carattere, aveva scherzato (ma non troppo) sorridendo amaro, della determinatezza e della fierezza del suo figlio maggiore

. Già, com'è che solo fino a ieri, fino a qualche ora prima Mario sembrava orgoglioso di quel vestirsi uguale, e adesso era furente. “ Pizzica più ferocemente?... oggi ” osservò ironico, il vecchio Carlo Parente, mentre con calma raccattava da terra e sistemava sulla sedia i pantaloni di panno di lana. Oh !? Padre....vedete… (si davano del voi, per direttive impartite dal Partito; obbedienti) ma spesso non ci riuscivano e sbagliavano tempo. - Voi, come fate a sopportarla, questa divisa pizzica!...

- Sì, pizzica e poi puzza, anche se mamma la fa lavare a modo e ci mette sempre dei sacchetti di lavanda nelle tasche, puzza di...di… - non trovava le parole - ...di vecchio ecco, sì, padre è una divisa che puzza di vecchio”

. E guardò con aria nuova suo padre, che lo aveva sempre avvertito, del senso e dei significati di quel suo indossare fiero, quella divisa, che adesso gli sembrava vecchia

. Nel frattempo aveva raccattato la camicia nera, che sbatacchiò come bandiera e la sistemò piegandola, per rispetto al lavoro di sua madre, che curava e stirava quel simbolo triste di un'appartenenza virile.

- Carlo sorridendo chiese: “Cosa c'è figlio, oggi.
- Solo per la montura, hai fatto cadere Paolo, sei incazzato come non ti ho mai visto, non è da te, cosa ti succede?

- Non lo so padre, vedete è anche per il discorso di oggi, Mussolini ci ha detto che il furher Hitler, verrà in visita in Italia e sembra che per fare omaggio al capo tedesco, da oggi gli ebrei non siano più nostri compagni, non siano più italiani

- Non capisco, padre? Don Luigi ci ha sempre parlato degli ebrei come dei nostri più vicini fratelli, Gesù era nato in Palestina e insegnava agli ebrei dicendo che era il Messia, come si può oggi affermare, imporre che sono nostri nemici?
- E Lara, la figlia del farmacista, cos'è da oggi, non è più mia amica?

- Padre aiutatemi, aiutatemi a capire. Sapete, oggi, dopo aver sentito queste parole, mi sono guardato intorno, la piazza gremita, come sempre, ed erano tutti urlanti e contenti, ed io mi sono sentito lontano, non d'accordo con quanto il Duce stava dicendo

- Non ci crederete, padre, mi è parso ad un momento di essere uno stupido festante, in mezzo ad altre centinaia di stupidi

-Che dice Mussolini? Perché stiamo diventando come i tedeschi? Loro sono un altro popolo, Plinio li diceva barbari, e noi dobbiamo essere come loro?
- La nostra patria ha 2000 anni più della loro, padre, il nostro popolo ha donato all'umanità intera una civiltà, una cultura...le strade, gli acquedotti, il calendario, i tribunali e la Giurisprudenza.

- Padre, me lo avete sempre detto voi... i Britanni ci chiamavano: “ costruttori di strade “, e il Diritto, la dignità della persona, cosa abbiamo a spartire noi con i tedeschi? Padre, loro sono i barbari, sì oggi sembrano una nazione tanto efficiente, ma...

- Mario, non i Britanni, gli Angli i Pitti ci chiamavano costruttori di strade, i Britanni erano cittadini romani stabilitisi lassù con le colonie...
- Si si, babbo, ma perché stiamo alimentando queste divisioni; per le sanzioni, l' Impero? La forza, padre, stiamo combattendo una prova di forza contro il Mondo intero, e anche avere indosso queste divise tetre non aiuta a sentirsi diversi in positivo

- Il saluto romano, mi fa sentire stupido, non ci tocchiamo mai, siamo sempre così distanti, estranei, anche quando cantiamo quelle sciocche canzoni retoriche, ognuno di noi rimane chiuso nel proprio mondo privato

. Carlo Parente, avvocato stimato, sorrise a se stesso del turbamento del figlio. Era felice, sentiva che finalmente il suo primogenito stava diventando uomo. Capiva benissimo le inquietudini e i dubbi di Mario. Era felice come aveva sperato un giorno di esserlo. Che si capisse quanti errori si erano fatti, accettando la marcia su Roma di questi demagoghi militaristi

. Erano oramai degli anni che sentiva attorno a se, spifferi e parole che si azzittivano di colpo, quando entrava in tribunale.

Lui non aveva mai nascosto il suo dissenso alle manifestazioni fasciste, alla presa di potere di zelanti e mediocri burocrati, che credeva di conoscere, ma che invece si era ritrovato di fronte, promossi in carriera senza merito alcuno, solamente erano convinti assertori che la politica mussoliniana facesse la grandezza dell'Italia

. Retorici e invasati fantaccini, ubriacati di parole senza senso reale e convinti di valere più di altre nazioni che alimentavano differenze e odio

. Di questo aveva paura, dell'odio che sentiva crescere nel tessuto sociale del Paese.

Era fatto di un'altra pasta il Parenti e suo figlio Mario oggi, gli si era avvicinato di colpo. Dalla stizza e il disagio manifestato, sembrava avesse compreso quanto, questo potere immobile e reazionario che tutto controllava, rozzamente vestito di camicie nere e brune, che si riappropriava di una gestualità antica e usava ridondanti parole di grandezze lontane, fosse la rovina del paese

. L'inflazione al 12%, la disoccupazione in aumento, la politica delle colonie che non aveva dato i frutti sperati. Erano pochi quelli che decidevano di andare a vivere in Libia, o nel Montenegro. In Africa poi......Perché trasferire lavoro e famiglia, in Paesi arretrati, senza strade, senza generi di conforto, immersi nell'odio delle popolazioni autoctone, senza aiuti concreti, anche se la propaganda, faceva vedere i nostri migranti, tutti allegri e contenti

. Il popolo non sapeva queste cose, le paghe ferme ormai dal 1929, i generi alimentari sempre più cari e le mille piccole gabelle imposte dal regime....la divisa, pagata, l'iscrizione al partito obbligatoria e impegnativa, con la lunga lista dei doveri, delle adunate, i saggi ginnici, e le infinite richieste di denaro, per sostenere politiche e aiuti, che spesso invece finivano nelle tasche di corrotti funzionari, ras, federali, segretari di cento corporazioni

. Il costo dei trasporti erano aumentati e i giornali, diminuite le testate, oramai dicevano tutti le stesse cose. I sindacati assorbiti in un'unica associazione, tutto ruotava attorno alla galassia fascista. Non c'erano altre voci, non esisteva più il dissenso, una vcoce contraria, autonoma

. I socialisti e anche i liberali erano spariti e lui sapeva che molti iscritti erano stati condannati al confino, e sapeva di tante persone, alcune anche amici suoi, che erano state costrette a emigrare in America, in Australia, per non subire danni economici e soprusi, se non anche violenze

. Guardò Mario, il vecchio Carlo Parenti, e sorridendo lo abbracciò, cercando di comunicargli tutte queste cose, oggi era lui, il padre, quello fiero.

- Mario, figlio, sono come te insofferente a questa intolleranza, ingiusta e iniqua, che Mussolini e il Gran Consiglio hanno deciso di farci accettare. Per il momento è solo un progetto, ma già viene fatta circolare, in Procura e in Tribunale. Ho letto la sua impostazione. Legge a difesa della razza, un testo che va contro tutto quello che chiamiamo Diritto. Mi è arrivata una copia in ufficio, ed è una legge che decide penalmente, le differenze razziali. Ebrei, zingari e negri, con l'applicazione di questa legge non saranno più persone.

- E' una legge di grande ingiustizia che stravolge la nostra giurisprudenza. Creerà malumori e sofferenze, senza dubbio. La milizia già la conosce questa legge, che come altre, viene prima sussurrata e poi applicata, per creare torbidi e pretesti
. Sono state stabilite pene severe, espulsione dal Regno, confino e campi di lavoro, e da domani avremo ancor più licenziamenti. Chi vuoi che manterrà al lavoro queste persone

- E i negozi, le attività commerciali? Chiuderanno parecchi esercizi e proprietà; un bel regalo ai soliti profittatori del partito

. La farmacia in Torre Argentina, credo che non rimarrà ancora per molto tempo aperta, oggi passando ho sentito protestare alcuni miliziani e tra loro c'erano vecchie conoscenze di squadristi, temo succedarà qualcosa, se già l'hanno presa di mira, sarebbe meglio avvisare il dottor Evangelisti di tenerla chiusa

- Tra l'altro, nel testo della legge c'è pure la possibilità del confino anche per chi li aiuta e li protegge e pure l'esproprio del negozio, la confisca dei beni a vantaggio di chi denuncia la loro appartenenza alla Sinagoga.

- Questa legge ricorda le prescrizioni di Silla e formerà un popolo di spie

- Ma padre, quest'anno si faranno i mondiali di calcio, non credo arriveranno a usare violenza, son sempre romani, italiani come noi, Edo e Lara frequentano la mia stessa scuola e la loro madre è francese...questa legge... i francesi non saranno teneri con la nostra squadra, tutto il mondo saprà di questa legge razzista.

Mario si rivestì di fretta, pantaloni chiari e una camicia celeste, dono della nonna per Natale e, trafelato, prese le mani di suo padre, come ad attingere alla sua consapevolezza, a questa nuova forza, chiara che suo padre aveva sempre emanato, e guardandolo gli sorrise.

- Padre adesso capisco le cose che avete cercato di dirmi e che io non sentivo, tutto preso com'ero dalle mie intenzioni eroiche e stupide...sì padre, stupide, così com'ero io, stupido. Devo andare ma tornerò presto, devo parlare con Lara e anche con Edo, sono miei amici, avranno bisogno di una mano. Se questa legge è così dura, dove andranno? E ho bisogno di vederli, di parlargli, di avvisarli.

- Fai attenzione Mario, riuscì a dire suo padre, mentre questi era già alla porta, deciso, che usciva.

Ecco che il giovane Mario, ma quanto si sentiva più vecchio in questo momento, scese le scale con un altro ardore, si sentiva come se gli si fosse aperta una porzione di testa

. Adesso capiva certi gesti ingenui e quelle risate indirizzate ai negri, quando si trovava al cinema con gli amici, apprezzamenti volgari che lo avevano trovato divertente e divertito, anche lui.

Battute scurrili, tutte legate al colore della pelle, che venivano bene sulla bocca di ragazzi, instupiditi dalla propaganda, dai luoghi comuni, dall'ignoranza

. Brevi concioni alla radio, e le inique sanzioni che dalla Società delle Nazioni, erano state stabilite all' Italia perché si era aggredita l'Eritrea e l 'Abissinia; col Duca d'Aosta e il Generale Graziani che erano entrati ad Addis Abeba trionfanti e le mani colme di sangue dei nemici

.Noi potenti italiani con i carri-armati e l'aviazione, contro guerrieri a cavallo armati con lance e spade. Forti coi deboli e deboli coi forti, si! Davvero, proprio scontri di grande valore. E pensare che ci avevano anche sconfitto in alcune battaglie

. Mentre gli scorrevano nelle mente queste considerazioni, che finalmente poteva sentire col giusto intendimento, arrivando all'Argentina, Mario sentì dei colpi e un vocìo di gente che lo sorprese

. Entrando nello slargo, si accorse subito che la farmacia dell'amico era stata assalita da alcune camicie nere della milizia e da altre persone. C'erano pure delle donne che lanciavano sassi verso la vetrina ormai in frantumi

. Soffocando un urlo di sdegno, Mario si avvide che il suo amico e il dottore padre erano stati circondati da una piccola folla inferocita

. Un uomo alla sua destra urlò: - Fermi! Fermi! Chiamate la polizia, ci pensino loro…- Ma venne subito zittito da due miliziani che, con fare minaccioso, gli puntarono contro il manganello che brandivano in una mano

. Mario si spostò, allora, e ritirandosi si accorse che il suo amico compagno di scuola veniva percosso e spintonato finché non cadde per terra. E mentre anche il padre di Edo subiva stessa sorte, un filo acre di fumo lo investì

. La farmacia era perduta e nell'ira e nelle canzoni festanti mischiate in un giubilo osceno, provò uno sdegno e una paura terribile, segno tangibile di un orrore che di li a pochi anni avrebbe invaso la sua Patria, la sua terra, la sua stessa città

. E sentì alzarsi un vento leggero e fresco, umido come un vento di tempesta, come un vento feroce che avrebbe spazzato via secoli di bellezza e di giustizia, costruita coll'ingegno dei grandi uomini, che avevano permesso ai suoi maggiori di costruire strade di comunicazione, per tutta l'Europa

. Un vento che Mario sentiva sulla pelle e che sapeva, avrebbe infine generato una tramontana di libertà, ma che per il momento lo faceva piangere di rabbia, per l'impotenza e per l'ingiustizia feroce dei suoi stessi connazionali

. Guardò quelle facce sorridenti e invasate, tremò al pensiero di essere lui stesso riconosciuto camerata di violenza. E in quel momento giurò a se stesso che avrebbe opposto la sua fiera resistenza

. E senza timore si diresse verso l'amico che stava rialzandosi ferito da terra.

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*

La giornata del ricordo

2000 sesterzi, Ponzio. Quell’uomo, quello schiavo, per Zeus mi è costato tanto, devi aiutarmi. E’ il precettore dei miei figli, mia moglie Claudia ci tiene.

No! Valerio, non posso. Questi giudei lo vogliono morto e non posso mettermi contro di loro. Ne va degli equilibri di questa regione. La provincia è inquieta e l’ Augusto in persona, mi ha chiesto di evitare problemi, di tenerli quieti, di non creare pretesto per torbidi e scontri. La politica Valerio e la pax romana.

Quello sciocco del tuo schiavo, che si fa prendere dalle guardie di Erode, e con cosa poi? E’ andato a rubare nel Tempio, i codici della loro religione., non era solo tra l’altro, alcuni dei complici sono fuggiti nel deserto, in direzione del mar Morto. Il Sinedrio, e Kaifa in persona mi ha chiesto di condannarlo insieme a quell’altro, quel pazzo, quel Jesus, il nazareno che dice d’essere il loro Re.

No! non posso aiutarti questa volta. Smettila di pensarci, affiderai l’istruzione dei tuoi figli, a qualche altro schiavo, ce ne sono tanti schiavi greci, in questi giorni, che possono insegnare grammatica ai tuoi giovani “pesciolini” Orata. Adesso vai Furio Valerio, che ho da fare cose più importanti. La parola di Roma, ricorda ma qui bisogna agire, ascoltando anche i loro consigli.

Questa è una provincia difficile, mai doma, e malgrado le nostre forze, son sempre pronti allo scontro. Si strinsero le mani, e Valerio uscì dal palazzo del governatore, salutando l’ amico di altre battaglie, ormai amico della famiglia.

Avevano combattuto insieme, con grande onore, nella 5° legione Alauda, in Germania e poi in Galazia e in Mesia, salvandosi vicendevolmente la vita. No Pilato non poteva aiutarlo, non questa volta e non in questo caso e per uno schiavo greco che credeva di pagarsi la libertà con un furto. Andava ancora bene che suo padre a Capri non ne venisse a conoscenza.

Uno schiavo della famiglia Orata, che commette un crimine poteva diventare motivo di scandalo e questo Valerio non voleva accadesse, non poteva permettersi che venissero affisse battute e pettegolezzi, sui rogiti , affissi sui Rostra, dove dai tempi del divino Caio Giulio venivano comunicati le decisioni del Senato, le leggi dei Questori e dei Tribuni, gli aggiornamenti familiari dei Censori, i processi nei vari Tribunali,le giornate del ringraziamento, i giorni di festa decisi dai Pontifex, e anche pettegolezzi, cambiamenti di stato, una serie di notizie curiose, che facevano poi il giro di bocca in bocca, tra le classi romane. Erano ormai diventate una ghiottoneria del passa parola cittadino. Potevano distruggere una reputazione.

La sua famiglia dipendeva dalle commesse e dalle forniture alla marina Legia Imperialis , nella base di Miseno. Troppo imbarazzante, suo padre aveva fatto tanto per entrare nelle grazie dell’Augusto e così in Senato in suo anno, dopo essere stato tribuno militare ad Azio. E pure Valerio stava rispettando il proprio cursus honorem, come ogni buon cittadino romano.

La famiglia romana, la legge romana. Eh si Furio Valerio Orata, rampollo di una famiglia di Cavalieri, pubblicani per conto dell’ imperium di Ottaviano Cesare divae Augusto, in questa terra arsa di Gerusalemme.

Palestina, presidiata con 2 legioni, due robuste legioni romane, a difendere la provincia e spremere dazi e tasse a questi Giudei. Valerio doveva stare in guardia, e non esporsi a pubblica indecenza, anche se lo schiavo era costato tanto e quel "mentula", valeva altrettanto. Il greco che sarebbe stato crocefisso, conosceva di grammatica e retorica e parlava facilmente, aramaico, latino, greco e siriano.
Sarebbe stato difficile anche dirlo a sua moglie Claudia, ormai stanca di questa città polverosa e puzzolente e che aveva nell’attico, un consigliere un amico che la divertiva raccontandogli storie dei suoi viaggi e fiabe greche ai figli.

Valerio ormai stava solo aspettando di tornare a Roma, pochi mesi ancora e avrebbe lasciato questa terra brulla e riarsa dal sole, e questi ebrei con il loro Jehovah terribile e totalizzante, e le loro kefiah colorate, il loro pane azìmo e il grano condito piccante.

Si, pensava il giovane cavaliere, il prossimo anno sarò in Italia, e con la marina da guerra, qualcosa di più avrebbe fatto, togliendosi da questa terra di Palestina. Magari una spedizione in Britannia, verso il mare Oceano, ad impiantare un allevamento di pesce, fortuna e vanto della famiglia.

Improvvisamente, il buio. Un vento improvviso, lo sbattere di imposte, il volo di stracci e di ceste, e un’ inquieto silenzio. In quel momento si accorse, che per strada non c’era nessuno.

Stava riprendendosi, dopo l’incontro col Governatore, era così assorto nei propri pensieri, che non si era accorto dello svuotamento e del silenzio di questa parte di città. Gerusalemme in quei giorni era un tumulto di genti, non solo i soliti mercanti dell’Asia ele innumerevoli kippìe che per tutto il giorno salmodiavano litanie al loro unico dio.

Il processo a quel Jesus, aveva portato in città, tutte le tribù, quante erano quelle di Palestina e carovane di Persiani e beduini siriani, e di commercianti egizi.

Una folla incredibile di poveri e malati, riempiva le strade. Una folla quale non si vedeva dai giorni delle feste sacre, quando dal tempio di Salomone venivano distribuite, bevande e cibi ad una genìa immensa che si accalcava nella spianata del grande tempio.

Ma adesso questo silenzio rotto solo dall’ululato del vento e il buio improvviso, allarmarono Valerio che avvolgendosi nell’ampio mantello si affrettò a raggiungere la propria casa. Si accorse della folla, mentre raggiungeva il lato est, verso la porta dell’estate, e giudicando la moltitudine, decise di salire su di un muro di scorrimento, che univa le mura dell’antica città.

In lontananza si vedevano le tre croci, amaramente considerò che una era quella del suo schiavo greco, una croce qualunque, simbolo tristemente famoso, che accompagnava il potere di Roma.

E nel buio strano di un pomeriggio che era iniziato sotto il sole cocente, una delle croci sembrava lampeggiare. Sapeva Valerio che le esecuzioni romane erano atroci, la crocifissione poi era cosa tremenda, e non avevano la grazia del fuoco liberatore, o del colpo dato alla base del cranio, per risparmiare peggiore agonia.
Il condannato alla crocifissione, veniva prima fustigato e dopo aver ricevuto ingiuria dai soliti sadici al seguito di carnefici zelanti, subiva la rottura della gambe, e moriva con duro supplizio, cadendo il corpo esausto sulle ossa fratturate. Nessuna pietà di fuoco liberatorio; di norma in tre giorni tutto era finito.

I familiari potevano richiedere il corpo del congiunto, a meno che non fosse un condannato politico o perché l’ autorità militare volesse dare un esempio, in quel caso il corpo restava appeso fin quando gli uccelli: cornacchie, corvi, avvoltoi, non avessero concluso il loro terrificante banchetto. Certamente nella croce di centro era appeso quel Nazareno che si diceva il Messia, figlio di un Dio.

Mah, pensò Valerio, un altro uomo strano che dice di essere il prescelto, scosse la testa ricordando come in questa terra arida, ogni giorno qualcuno dicesse di essere l’eletto.
Però, pensò il giovane, questo uomo qui, è quello più convincente, ricordava di averlo sentito parlare in riva del Giordano.

Si accorse Valerio, d’ essersi avvicinato al dosso dove erano piantate le tre croci, e si ritrovò meravigliato, a cercare di guardarlo negli occhi, quegli occhi stranamente accesi, così evidenti nel volto esangue e sporco di quel povero cristo appeso, e stranamente inchiodato.

Non aveva ricordo, che i romani usassero dei chiodi per crocifiggere i condannati a morte, si vede che il cordame era a più alto prezzo del ferro, in questo momento.
Sorrise a se stesso della sua considerazione commerciale, come a togliersi di dosso quanto sapeva di dolore, la giustizia. Lui era un soldato, è diverso il male di uno scontro in battaglia.

Era comunque, proprio il figlio di suo padre, il commerciante che aveva fatto denari, immettendo sul mercato, quello strano pesce piatto saporito, a cui il nonno Quinto aveva dato il proprio nome.

Un brevetto legale! Ricordava come suo padre parlasse del nonno e di come questi si fosse battuto, per aver riconosciuto dalle leggi romane , quel diritto acquisito, della scoperta e dalla commercializzazione di un pesce sconosciuto in quegli anni; come avesse fatto la propria fortuna legando il proprio nome nell’ appoggiare il dittatore, il grande Lucio Cornelio Silla. Era stata questa scoperta del padre di suo padre, che lo faceva il rampollo di una grande e ricca famiglia romana. Tutto per un pescato e lui oggi ne godeva i frutti.

Un cupo rumore, come tuono, un lampo improvviso, la folla che impaurita s’inginocchia, si adagia per terra, come a cercare protezione.
Dalla croce centrale, quell’uomo lacero e sofferente, sollevando la testa urla qualcosa, all’indirizzo del cielo.
Valerio guardò in alto, anche lui come altri, e rimase atterrito, sembrava che il cielo plumbeo, avesse aperto un pertugio di luce, e da quello squarcio nel cielo scaturisse una lama di fuoco, ad illuminare il viso morente di quell’uomo. Non aveva mai assistito ad un evento dal cielo così presente.

Il cielo sembrava gli parlasse, si sembrava parlasse a quel corpo scosso dal dolore, ma illuminato dal sole. E quel corpo sfatto, sorrise.

Sorrideva? Si sorrideva! Valerio vide bene, nel colpo fatale della morte, quell’uomo che dicevano buono, sorrideva e chiamava Padre la porzione di cielo che illuminava il suo viso.
Fu un attimo, il vento si fece più forte, dalla terra salì un cupo brontolio, un ultimo potente tuono, e dal cielo, come saetta scagliata dalle mani di Giove, il sole sembrò brillare più intensamente scaturendo da quel l’unico pertugio illuminante.

E fu il silenzio, un grande doloroso silenzio.
Valerio non avrebbe mai scordato quel silenzio che seguì la morte di Jesus.
Fu un silenzio che gli parve immenso, e si trascinò per giorni inquieti e seppe che il Tempio aveva subito dei danni, e per anni ricordò quel giorno di Giudea e quel silenzio, che servì a farne maturare lo spirito e la consapevolezza.

Dopo molti anni, dopo gravi e alterne fortune, la famiglia Orata fu una delle prime famiglie che durante il Principato di Tiberio Claudio Nerone, fu gettata nell’arena del Campo Marzio in Roma, martire agli albori del Cristianesimo secolare.

*

Una processione alata

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Tutto accadde in una giornata luminosa e densa, e quanto si presentò alla mia, nostra sensibilità, avrebbe segnato per la vita comuni esperienze

Ma in quei giorni non lo avremmo neanche potuto sognare. Eravamo quattro giovani vite, coinvolte in un progetto di lavoro e gioco, che naturalmente faceva si che ognuno di noi portasse una sua propria consapevolezza e paura

. Ma un po' l'età dei ventenni e l'energia che in quegli anni preziosi, permeava le nostre sane voglie, la quale non aveva luogo dove fermarsi a fare pensiero e considerazioni adulte, ragionate, pese. Fece si che vivemmo la faccenda con una partecipazione leggera, che il peso lo avrebbe avuto più tardi.

Tutto ruotava intorno al piacere. Piacere d'essere amanti, piacere d'essere sulla Senna, piacere di lavorare ad un bateau mouche, che doveva diventare un kinder parking, ormeggiato in pieno centro di Parigi

. Ah Paris:il nostro immaginifico viaggio nell'universo altro, il luogo del sogno, per noi ragazzotti d' Italie scappati dalla noiosa densità formale, per andare a vivere nella ville Loumiére, per sentirsi tra le pagine della storia; la Rivoluzione, Napoleone, gli impressionisti, Hugo, la Bastille

Luoghi fantastici di un'altra esistenza. Città di scontro, di incontri, città dell'arte, le demoiselles il Louvre, Bobourg.

Questo l'avevamo chiaro, io, Nicole e Luciano, a cui si aggiunse la Gianna, con i suoi colori bizantini e la ricerca di albe da espressionisti, che ci intrigava, ci colpiva, ci amava. Si è stato davvero un momento raro, come capita nella vita, dove sentivo che le cose che mi si accostavano, quelle che scoprivo e le altre, avevano forte e chiaro, il senso dell'amore; come poche volte avevo avuto fino a quel momento, nella mia giovane vita.

Sarà stato vivere sul fiume, a Conflan sur Seine, luogo di accoglienza di due fiumi, sarà stata senz'altro quell'aria pregna di magia che tutto avvolge, che faceva si che gli alberi sorridevano al nostro canto, il fiume ci donava le sue carni migliori, sarà che eravamo tutti presi da altro e perciò lavorare non ci stancava mai; sarà stato quello che sentivamo di non capire, ed era tanto

. Comunque tutta questo materiale composito, che colorava la nostra esistenza, ci portò presto all'identificazione giocosa di noi con gli animali. Quale animale sei? era la domanda semplice che ci facevamo spesso; anche quando non c'entrava niente con le cose che ci venivano indirizzate, o con quelle che scoprivamo eccitati

. La domanda era: come si comporterebbe la tua tigre, il mio gabbiano (che era Jonathan, naturalmente), il suo furetto, il tuo lupo? Cosa manca che non vedo, che invece l'animale che è in noi, vedrebbe sicuramente, o sentirebbe, o fiuterebbe?

E così il nostro gioco andava avanti, sempre più coinvolgente e in parte era questo gioco intrigante e sconosciuto, che ci teneva accanto, che ci faceva superare le umide giornate di pioggia marzoline, la mancanza di una colazione nel caldo tepore di una casa; perché dormivamo nel battello, dove avevamo arrangiato alla bell'e meglio, un'ampia cabina da nostromo a camere da notte

. Ma era un battello di metallo, freddo e poco propenso a dispensare calore, se non per i colori che avevamo steso sulle paratie, nelle scale e sulle porte, pensando alla sua futura disposizione: un accogliente asilo per bambini. Un parcheggio infantile, per uelle mamme frettolose che venivano in centro a fare commissioni, acquisti. L'idea purtroppo naufragò quando Messieur Chirac divenne sindaco di Parigi.

Ma eravamo ragazzi in quei giorni, eccitati dall'esperienza e dall'intima comunanza, e il calore non mancava e sembrava che dallo stare insieme traessimo energie, che ognuno di noi pensava di non possedere

. La testa piena di ideali libertari, figli dei fiori ci chiamavano, perché nella nostra dolorosa ingenuità, ci avvicinavamo alle cose, alle persone con curiosità e pulizia
. Tenevamo i capelli lunghi e il nostro abbigliamento era molto informale, casual raffinato, che negli anni sarebbe divenuto moda ricercata.

E la natura vissuta come Itaca, e gli animali alla Kipling, o Moby Dik, Bruno Bozzetto e Ravel, la musica e i colori. Robe di quel magnifico decennio che va dal 1968 al 1977.

Così che il nostro toccarci con le mani era un chiaro messaggio di fratellanza e curiosità; gioco e ammiccamento e nel letto c'era sempre qualche corpo a carezzare, più conoscenza che sesso, avvolti di una colorata frenesia, senza fingimenti e paure
. Spesso tutta questa ricerca e dolcezza non era capita, e sappiamo i danni che in quegli anni sono stati fatti, all'innata umanissima voglia dello stare piacevolmente con gli altri, così da rispondere all'assioma sex-drug's e rok'n roll

Ma la Francia, l'Ile de France è sempre stata una regione particolare, e perciò non ci sentivamo diversi, o esclusi, o più strani di quanto non fosse tutto quello che scoprivamo.

Avvertivamo però che il nostro modo era spiazzante per molte persone, la diffidenza e la curiosità si mescolavano all'imbarazzo provato e anche all'ardire che rappresentavamo, per cui eravamo accolti nelle cose quotidiane, con molto candore e incertezza, se non col silenzio curioso. Ma si leggeva negli occhi delle persone un bisogno incosciente d'essere coinvolti.

Questa aura non poteva che avvolgere le nostre cose e il nostro sentire. In una di quelle avanguardie del tramonto, quando l'aria del giorno sembra richiamarsi a raccolta per affrontare la notte che avanza, tornando in macchina da Parigi, sulla strada incrociai un merlo, morto. Così lasciato miseramente sul duro selciato dell'autostrada.

Forse colpito da un auto in corsa, forse ucciso da un ragazzino con la fionda, era comunque oscenamente disteso, colore simbolico buttato sull'asfalto

. E mi sembrò cosa sporca, non degna almeno della sua specchiata allegria, del suo canto. I merli che ognuno di noi ha imparato a riconoscere fin da ragazzetto, col loro becco giallo, il merlo delle fiabe e di quel buffo movimento della testolina, che solo i merli fanno in maniera che sembra burlesque.

E allora frenai d'istinto, ormai lo faccio sempre, dopo quella volta. Tornai indietro sulla corsia d'emergenza e mi presi il corpicino freddo e duro, volendo dargli una onorevole sepoltura
. Ho sempre pensato che gli animali che si scontrano con la nostra organizzazione cittadina, soffrano di alcuni mali, che non riusciamo a capire. Non riusciamo a capire fin tanto che non guardiamo le cose con lo spirito del nostro animale interiore.

Tornando al battello con le provviste della settimana, avevo con me questo “ fratello “ . Ecco la mia precoce adesione animalista, il sentire con lo stormir di foglie, il frullar d'ali notturno e il richiamo del Gufo, che mi ha accompagnato nelle notti della mia nfanzia, quando in collegio facevo fatica a dormire
. Segnali che a pensarci bene, son certo ognuno di noi saprà ritrovare dentro di sé.

Commosso oltre il mio dire riunii la banda per officiar un commiato, Gianna intonò una canzone accompagnandosi con la chitarra; scavai una piccola fossa per augurare al mio fraterno amico un viaggio nel paradiso degli uccelli, dove avrebbe trovato bellissime e piumose merlottine amorose

. E così sommessamente ridendo di pensieri giocosi, tutti e quattro alzando a un momento la testa vedemmo passare davanti a noi, chiari, veloci e musicanti: un passero, un piccione, un merlo e un maestoso airone, che scendevano il fiume come a ringraziare noi umani, del gesto onorevole, che permetteva ad un merlo di lasciare dignitosamente questa terra.

Non ho più dimenticato quella particolare processione e naturalmente stupiti, ognuno di noi sentì di avere un legame forte e consapevole, con la natura selvaggia e gentile che ci circonda
.