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Raccolta di testi in prosa di Rosa Maria Cantatore
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Da qualche parte

 

Se un’ immagine di lui si presenterà alla memoria- quando il momento verrà, dell’addio - non sarà quella dell’ uomo incupito dallo scorrere del tempo, dalle avversità dell’esistenza. E neanche quella sorridente, serena dei suoi anni migliori.

Davanti- ne sono certa- mi comparirà uno sguardo adolescente (brunita la cornice della grande foto, proprio all’ingresso della vecchia casa di campagna della nonna): il ritratto del partigiano diciassettenne che fu mio padre.

Il volto affilato, il collo fragile, la camicia aperta sul petto, la scritta “Volontari della libertà” ...

Da una lontananza infinita mi parla ancora quel sorriso acerbo, quasi stupefatto, di ragazzo: chiude il cerchio del nostro reciproco conoscerci. Del nostro esserci meravigliosamente incontrati.

 

Da qualche parte, lo so, c’è ancora quella vecchia foto ...

*

Primavera

 

 

 

PRIMAVERA

 

Caterina, oggi, ha la luna storta.

E, come tutti quelli che si alzano con la luna storta, odia il mondo. Sì, sì, proprio il mondo: le pareti verde-chiaro della sua camera, i jeans di traverso sulla sedia, il mare- troppo azzurro- al di là dei vetri.

E, naturalmente, odia il professore di filosofia: il sorrisetto idiota sulle labbra, le dita aperte, mentre le dice:” Cinque”. Quel numero la perseguita dal giorno prima, le batte in testa, ce l’ha sempre davanti agli occhi: quello stupido numero, che misura la sua inadeguatezza. Ne ha piene le tasche di cinque...

Pomeriggi interi a studiare e poi, paff! al momento dell’interrogazione, sembra che tutto- date nomi concetti- tutto, evapori in una lontananza irraggiungibile...

...e lei rimane lì, sola, immensamente sola, col suo cinque e la sua umiliazione: la disfatta.

Quelle stronze- sì, Chiara, Sandra, le altre- sempre in giro con il motorino: ecco, stanno passando ora sotto il balcone: “ Ciaoooo, Cate!” Eh, ciao. Non la invitano però a uscire con loro: troppo appiccicosa, rischiano di trovarsela sempre fra i piedi...avrà pure i suoi problemi ma, insomma, mica fanno le baby-sitter di professione, loro.

Un pigolio in alto, a sinistra: si sono schiuse le uova dei balestrucci: il puntino nero di un occhio, un becco aperto, in attesa di cibo, appena fuori del bordo d’argilla del nido. Quegli stupidi uccelli...vengono a piazzarsi lì, ogni primavera. Che cantate a fare? Cosa c’è di tanto bello per cui essere contenti?

Caterina sente montare una rabbia sempre più buia, dentro: la faccia odiosa del professore si sovrappone e si confonde col saluto delle compagne, portato via dall’aria tiepida di maggio. E dall’indifferenza, orrenda come un muro compatto, invalicabile.

E’ troppo azzurro, oggi, il mare. E’ troppo felice la gente: troppo sconsolata lei. Abissalmente sola.

Quegli stupidi uccelli...gridano come pazzi. Caterina si tappa le orecchie e serra forte le palpebre. Troppo azzurro il mare. Smettetela! Capito? Basta! Ma non la smettono: gli strilli acuti della loro fame sembrano perforarle il cranio, arrivare in fondo, in fondo, in un punto oscuro e dolente.

Riapre gli occhi. La mamma ha dimenticato la scopa, appoggiata alla ringhiera. Non sa esattamente quel che sta facendo: la prende con tutt’e due le mani e sferra il primo colpo. Basta! Zitti! Un altro: cadono i primi frammenti d’argilla. Un altro. Un altro ancora. Il nido si sgretola: i piccoli cadono, ad uno ad uno, sulle mattonelle scaldate dal primo sole della bella stagione. I piccoli corpi sussultanti, i gusci delle uova schiuse da poco. E sempre quel mare, troppo azzurro.

Caterina sbatte la porta-finestra, rientrando in camera. Gli occhi, asciutti, sbarrati sulla solitudine di un dolore, che è come una cisterna buia. Una grotta di desolazione infinita.

*

Inesplicabilmente

Le sembrava, in sogno,- quello strano sogno ricorrente-  di camminare lungo un viale buio, che si perdeva in una lontananza indefinita, punteggiata di luci- come definire quelle luci?- sì, fredde: non illuminavano realmente. Bucavano la notte, ne venivano quasi riassorbite.
La sensazione, mentre procedeva, era come di ondeggiamento...il rollio di una nave: la strada, simile alla tolda di un vascello.
In sottofondo, invisibili altoparlanti diffondevano, lievemente distorte, le note di una canzone, sempre la stessa:” Le strade vuote, deserte sempre più ... / ... e so che la città vuota mi sembrerà...”
L’angoscia: una tenaglia gelida in fondo alla gola. La paura: un sudario soffocante.
Ogni notte: quasi ogni notte.  Anche adesso, risentiva in sogno “…e so che la città…” e la musica si dilatava mostruosamente, quasi materialmente, sembrava volersi impossessare dello spazio e del suo stesso corpo- che oramai era come se non fosse più neanche il suo.
Il buio, sempre più fondo e spesso, era come nera bambagia asfissiante: le invadeva gli occhi, penetrava attraverso le narici, forzava le labbra…ecco: ora strisciava fra i denti, sotto il palato, giù in gola, sbarrava qualunque via d’ingresso all’aria. L’aria: dov’era l’aria?
 
Furono i vicini di casa a notare che la signora Torti non si vedeva più nel condominio da almeno cinque giorni. Chi, d’altra parte, avrebbe potuto accorgersene? A 80 anni, se sei sola al mondo, in fondo, è come se non ci fossi proprio…
I vigili del fuoco, chiamati a forzare la porta d’entrata, la trovarono a letto: morta, il lenzuolo attorcigliato alla gola, inestricabilmente- inesplicabilmente- dalle sue stesse mani.

*

Questo, sarebbe meglio conservarlo

Passeggiavo, qualche sera fa, sul lungomare...e pensavo.
Mi guardavo intorno: assaporavo il momento. La vita.
Automobili, balconi fioriti, ragazzi che correvano, in pantaloncini; cani- come il mio- al guinzaglio, rumore di onde: tutto sembrava essere nuovo, come se lo stessi vedendo per la prima volta. Il cielo, soprattutto il cielo...ho avuto la sensazione di una vastità immensa. Non di vuoto, no: il cielo mi era amico, amiche le nuvole, raggruppate in alto, come un gregge mansueto.
Le montagne della Calabria, al di là dello Stretto, commoventi per quanto erano belle, disseminate di paesi, rosa nel sole che calava.
Le creste di spuma al largo, i traghetti...
Com'è bello il mondo- ho pensato. Meraviglia, la trasparenza dell'acqua sui grossi sassi della riva (chissà se è la stessa acqua che bagnava i piccoli piedi della me stessa di tanti anni fa, la bambina sfumante in un orizzonte lontano...).
Momento prezioso, ieri sera, sul finire di un giorno come tanti.
L'ho conservato, avvolto nella più impalpabile delle carte veline, qui: nello scrigno di poche, autentiche parole.