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Raccolta di testi in prosa di Basilio Conato
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Documento inedito su Macbeth

INFORMATIVA RISERVATA DEL CAPO DEI SERVIZI SEGRETI

AD

EDOARDO RE D’INGHILTERRA

 

 Devotamente sottoponiamo a Vostra Maestà il piano per impadronirsi del Regno di Scozia.

 

            In primo luogo sarà necessario sbarazzarsi di Duncan, l’attuale Re.

 Si farà in modo che paia una faida interna, perchè se dovesse dimostrarsi un Nostro coinvolgimento nell’operazione i sentimenti nazionalisti degli scozzesi avrebbero il sopravvento.

 

            E’ già stata identificata una ‘Tigre di carta’ cui attribuire il compito del regicidio.

 Preso il potere, costui risulterà così odioso ed inviso ai suoi stessi sudditi da far richiedere il Nostro intervento per la difesa della popolazione, dei privilegi della nobiltà e per il ristabilimento del diritto violato (la tecnica è vecchia, ma funziona sempre...).

 

            L’occupazione apparirà quindi come la Nostra nobile risposta alla richiesta di rimettere sul trono l’erede legittimo, il quale immediatamente diverrà così nostro debitore e vassallo.

 Con costui –il giovane inetto e codardo figlio di Duncan, Malcolm- è già in corso una trattativa, e non ci sono dubbi che la sua sete di potere sia ben manipolabile dai Nostri agenti.

 

            Quale candidato al ruolo di ‘traghettatore’ è invece stato identificato l’utile idiota Macbeth, a tutti noto come eroe militare ottuso, fanatico e credulone.

 Tre Nostre agenti (nome in codice: Sorelle Fatali) hanno già intrapreso le prime iniziative per confondergli le idee e portarlo a credere di essere destinato al potere e alla gloria.

 Sarà utile garantirsi anche la collaborazione di (quell’isterica di) sua moglie, ma per averla non sarà probabilmente necessario nessun Nostro intervento supplementare.

 

            Abbiamo ovviamente infiltrato tra la nobiltà scozzese alcuni Nostri agenti (contatto: agente Ross) che ci tengono aggiornati sull’evoluzione degli eventi.

 

            I Nostri psicologi hanno poi messo a punto una strategia che porterà Macbeth al delirio di onnipotenza con la pretesa magica dell’impunità e dell’invincibilità (è un cretino...).

 Ciò basterà a scatenare la sua proverbiale ferocia contro nobili e popolazione.

 Da solo creerà intorno a sè terra bruciata.

 Infine, confidando solo nell’aiuto soprannaturale, perderà ogni naturale coraggio e forza quando si renderà conto che quell’aiuto non era che inganno.

 

            Basteranno allora diecimila figuranti (neanche dei migliori...) travestiti da alberi per espugnare il suo inespugnabile castello.

 Macbeth cederà, convinto di essere vittima di un sortilegio.

 

            Otterremo facilmente l’obbiettivo:

perchè combattere quando la manipolazione delle menti è metodo assai più sicuro ed economico?

  

Servo Vostro umilissimo

Dir. Gen. Servizi Segreti del Regno

 

*

Il grido di Rachele

      "Un grido è stato udito in Rama

un pianto e un lamento grande;

Rachele piange i suoi figli

e non vuole essere consolata,

perchè non sono più."

Mt. 2,18

  Ricordo bene.

Avevi detto che saresti venuto a salvarci.

E tutti al tempio gioivano, pieni di speranza. E gioivano persino al mercato.

 

  Ma questa mattina sono venuti gli sgherri di Erode e hanno portato via mio figlio.

Cercavano te, e hanno invece preso il mio bambino che non aveva ancora due anni.

 

Cercavano te, ma tu sei fuggito in Egitto.

 

  E così hanno ucciso mio figlio.

L'hanno trapassato con un ferro. Lui però non è morto subito: continuava a contorcersi e ad urlare, e chiedere aiuto alla sua mamma. Ma io non potevo fare nulla per lui.

Lo hanno finito fracassandogli la testa con una pietra.

 

E di nuovo sento rimbombare nella mia testa la folla che mi ferisce ripetendo feroce che ci avresti salvato, che era tutto previsto, che il tuo sacrificio ci avrebbe salvato!

 

  E invece hai lasciato che piccoli innocenti morissero al tuo posto.

Non so immaginare con quali altre bugie e con quale coraggio tornerai dall'Egitto.

Ma chi mai potrà più crederti quando ti presenterai come il salvatore?

E dimmi: cosa risponderai quando ti chiederanno cos'è la verità?

 

E Maria? Di sicuro hai mentito anche a lei. Non le hai certo detto cosa sarebbe successo qui dopo la vostra partenza. Povera Maria. Non avrà mai più pace, e guardando te sarà costretta per sempre a vedere nel tuo volto il volto di questi nostri figli morti innocenti. Lo so, lo sento. Anch'io sono una madre. Anzi, lo ero.

  E so quanto migliore sarebbe stato il mondo se avesse avuto una madre invece di un padre.

 

  Sei fuggito.

Non potevi non sapere cosa sarebbe successo al mio bambino, ma sei fuggito lo stesso.

Come puoi esserti fatto complice di quest'orrore?

Avresti potuto portarci con te, e non l'hai fatto.

Ci avresti potuto avvisare, e non l'hai fatto.

Non ti importa nulla di noi.

 

Così io adesso condanno te, la tua fuga e il tuo silenzio.

 

E non m'importa più quel che farai di me a causa delle mie bestemmie: la mia pena eterna è nelle carni lacerate del mio bambino, e so che tu non potrai mai costruire per me un inferno più grande di quel che mi hai già dato.

 

E di un'altra cosa mostruosa non potrò mai perdonarti, e cioè d'avermi insegnato ad odiare.

 

  

  Rachele       

 

Mag. '08

*

Dalla finestra

DALLA FINESTRA

 

      La sensazione è confusa, e non capisci bene se sei tu così o se è colpa del paesaggio.

Vediamo ciò che la nostra capacità di vedere ci lascia scoprire, ma è poi spesso proprio quel che vediamo a definire la nostra capacità di visione.

E dunque: confuso io o confuso il paesaggio?

     Da qui l'orizzonte è ovunque precluso, e i diversi piani con cui case tetti cortili e strade organizzano lo spazio si lacerano l'un l'altro evidenziando la totale assenza d'un pur minimo disegno architettonico o urbanistico. (E non è forse quest' immenso disordine a darci la libertà assoluta di trovare un senso alle cose?)

     Macchie di lamiera ondulata fanno il verso a scomposte falde di coppi vecchi e nuovi e marsigliesi e tegole in cemento.

     Nei cortili qualcuno ha ridipinto brandelli di parete con i colori meno idonei alla bisogna e così il vecchio nobile ocra scrostato è insultato dal fresco color paglierino appannato e malaticcio.

     Nella casa proprio qui di fronte quasi ogni persiana, ogni porta, è d'un verde diverso, e mi stupisco pensando a questa regolarità inattesa: tutte verdi !

     I fili per stendere il bucato - e con loro i cavi di antenne posticce - guardano terra con la loro pancia molle. Qui si lavano solo stracci guardando TV in bianco e nero.

     Sul cancello tre cassette per la posta sono aggrappate a malconce sbarre verticali di ruggine e disperano di poter resistere ancora a lungo.

Una di loro, curiosamente, volge le spalle alla strada: forse costringerà il postino a contorcersi per poterla sfamare.

     Qualche metro quadro d'orto di cui nessuno si cura, un paio d'aiuole e vasi di plastica invecchiati precocemente guardano intanto l'erba che nel cuore del giardino ruba spazio e vita alla ghiaia e al cemento.

     Le begonie sono finalmente fiorite, ma paion recluse dietro alla ringhiera del balcone.

     Cito poi a caso: cuccia d'un cane - ma non c'è cane ad abitarla -, motorino, sedie, stendibiancheria, auto ammaccata, bidoni, annaffiatoio, bombola di gas, ombrellone chiuso, "attenti al cane" sul cancello, calendario appeso.

     E non può mancare una palma.

E come gli ulivi secolari che fuori luogo soffrono dignitosi nelle rotonde della padana viabilità di Lombardia, così questa palma paga il suo tributo di dolore alla natura violata.

Datteri o cocchi - insieme alle olive - abortiscono senza sogni.

     Sopra il tetto si vedono grandi pini che abbracciano le case coi loro stanchi, stanchissimi rami, come facessero la goffa parodia dei salici. E' questa la primavera?

     Di fianco incombono prepotenti tre orrendi cassoni che con le loro ventole garantiranno ai vicini estati fresche ed asciutte.

     Si intravede alla finestra chi si prepara e si gode una sigaretta in attesa dell'inizio del lavoro che tra poco lo vedrà impegnato nel ristorante qui a fianco.

      Del ristorante si vede però solo l'accesso posteriore alle cucine.

Suoni di piatti e odor di fritto impregnano la fissità del luogo senza tradursi nella promessa di poter mangiare bene. Neanche le recenti ristrutturazioni fanno ben sperare e l'eccessiva forza cromatica degli intonaci non fa che dare ancor più peso alla prepotente canna fumaria esterna in acciaio che punta in alto ad abbruttire anche il cielo. E tuttavia so per certo il cibo essere eccellente.

     Anche i rumori, non si sa come, entrano a far parte del paesaggio.

In particolare i suoni del traffico sulla via principale che da qui non si riesce a vedere se non sporgendosi pericolosamente.

Lontano c'è un televisore acceso, ma il volume è troppo alto cosicchè la sua voce arriva distorta e incomprensibile.

Qualcuno tossisce e qualche uccello - son passeri nervosi - lontano cinguetta. Passa un aereo di cui la foschia del cielo nasconde la vista ma non il suono.

     L'asfalto rattoppato della strada è costellato di macchie d'unto, e tra mozziconi di sigaretta e tracce di una sporcizia moderna e millenaria fa mostra di sè una bottiglia da mezzo litro seduta vicino al muro, vuota di birra. Una bottiglia che riesce da sola a far sentire il degrado e a trasformare la mestizia in desolazione.

     L'orrore vero è ritrovarsi nel quadro, affacciato alla finestra a guardare, così bene intonato al paesaggio.

 

  

Mag. '08

*

Atsitsa

ATSITSA

  

   Ti ho riconosciuta.

E non mi ha stupito trovarti in un luogo invece che in un volto, o nascosta in un libro.

   Un piccolo golfo.

A dominarlo un bel cascinale in pietra, quasi dominasse, da lì, un assolato paesaggio toscano.

Intorno conifere d'un verde appena nato.

   Due piccoli pontili malridotti, e poco distante una taverna.

E' lei adesso che sfuma le suggestioni toscane per imporre, assoluto, il Mediterraneo.

   Risuonano le voci locali, e rimbombano.

Sembrano mille, ma vedi poi che ne bastano quattro (certo aiutate da molta birra).

E' musica.

   Dalla cucina esce la cuoca e va verso il mare, sul pontile, a pulire i pesci che tra poco qualcuno mangerà.

Il gabbiano di turno, molto diligente ed incurante dell'ovvio, aspetta intanto da un lato.

Poi si appropria del suo.

   Il tempo è ora dilatato, enorme, densissimo.

 

   Nulla qui ti somiglia, intendiamoci.

Non un dettaglio richiama diretto il tuo profilo, nè ricorda ancora qualche tuo tratto.

E non è nemmeno semplice metafora, o figura.

Atsitsa sei tu. Semplicemente.

 

   Qualche sera dopo ti ho rivista.

Sempre lì, ma senza il vociare, nella taverna, senza gabbiano, senza il piacere di scoprirti e con invece il piacere di scoprirti di nuovo.

   La luce del tramonto non ti ha poi tanto cambiata.

Già lo sapevo: come aggiungere qualcosa a questo luogo ?

   (E mi viene da pensare a com'è stupido certe volte il sole, quando vuole aggiungere qualcosa ad ogni costo.)

 

 

 

Sett. '07