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Raccolta di poesie di Alessandra Ponticelli Conti
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

A mia madre

Ti scrivo per dirti che-

malgrado tutto-

la primavera 

non è ancora morta.

*

Cielo calmo

Mi piace il cielo quando

se ne sta calmo, fermo,

e con le mani in grembo

frattanto che un sogno da 

adulto torna bimbo.

*

Il giocatore di carte

Sarebbe tutto amarissimo

fiele se non fosse

per questo residuo indiscusso

di cielo dove si

muove sbilenca una nuvola

bianca e per quell'occhio

pacifico acuto d'un uomo

seduto su un vecchio

muro a secco che con quell'occhio

curioso

ramazza il cielo e lo apre 

come un giocatore 

apre 

un nuovo mazzo di carte.

 

*

Quel giorno d’aprile

Il vento strappò le vele,

il sole

si schiantò sul pontile. 

Eppure 

sono vive, vive e rosse, e

non sfioriranno le rose

d'aprile.

*

Tralcio di vita

Lontanissima la tua voce

depone su un fiore la luce

che, nel venire della sera,

si leva sui moli. Io tengo

stretto stretto tra due dita

quest'ultimo tralcio di vita.

*

Il dolore degli occhi

                                                                A mia madre

Vorrei avere un piccolo

foro nel petto. Un foro

per fare uscire tutto

il dolore degli occhi

quando il cielo a Ovest come a 
Est si riempie di lampi.

Non parlo d'un foro che

sia un cerchio perfetto.

Ben sai che non esiste

tempo che non sia più

certo dell'imperfetto,

ma d'un' invisibile 

cicatrice di guerra

che si riapre di sera

per fare uscire tutto 

il dolore che preme

dentro gli occhi e le tempie

quando il cielo a Ovest come a 

Est si riempie di lampi,

mentre il mondo, in silenzio,

è di nuovo in ginocchio

e con le mani in alto.

 

 

 

*

Una finestra aperta

Una finestra aperta 

che aspetta il rifiorire

della ginestra. Questo

è tutto quel che resta.

*

Non chiedere alla paura

Riparati fra le rose

porta acqua alla luna e se avrai

perso per strada qualcosa,

non chiedere alla paura.

Non tutta l'aria è carta 

vetrata; apriti ai profumi

che arrivano da lontano,

dondolati, perditi fra

due nuvole rotonde

e da' alle dita ferite 

la forma che hanno le foglie.

 

Firenze, 23 febbraio 2024

 

*

E intanto che Dio dorme

E intanto che Dio dorme

ecco che ritorna il sole-

in un urlo- a fare da eco

alla terra. Siano calmi-

rotondi- ritorni d'onda 

e orci stracolmi di pioggia 

coloro che al sole sanno

col solo umore degli occhi

cambiare colore e forma.

*

Epitaffio

Le tempeste improvvise

di neve mi presero

tutto, tranne il sorriso.

*

Certamente, forse

Avrei voluto aver detto "forse"

molte più volte e avere chiesto a me

stessa: -prima di mettere un punto,

sei certa di esserti detta tutto?-

 

*

Cerco rime

Sono una cercatrice di rime.

Cerco rime nei fiumi, nei semi.

Fra i rami, nel fiorire dei meli,

nel morire del timo, in un giro

di vite. Nella luna che geme.

Sono una cercatrice di rime.

Cerco rime per non rimorire.

 

 

*

Ho imparato a pregare

Ho imparato a pregare

dal brugo 

nato ai bordi del lago.

Ho imparato a pregare

dal ramo

di davidia che ondeggia e

non cade.

Ho imparato a pregare

da Antoine

che corre incontro al mare.

Ho imparato a pregare 

dall'oro

che ripara la crepa 

del vaso

Ho imparato a pregare

dall'orsa-

che scampata a tre colpi

mortali-

nella luna piena di

febbraio

ha trovato riparo.

 

 

 

*

Al Cimitero monumentale dell’Antella

E' spuntato un papavero

 sul povero silenzio 

dei selciati dove in sogno

(in un battito di ciglia)

gocciolanti di ricordi,

in un lampo, riapparvero

i miei morti. Oh, quanto odore,

odore di vero amore, 

ora, l'alloro! Vero è 

che povero è davvero

chi vede solo innanzi,

senza mai guardarsi indietro.  

 

*

Mezzogiorno

Tutto nella stanza è a posto.

Mi sposto. La mente corre e salta

da un mondo all'altro. C'è una bimba

in lontananza: ha un cappello in testa,

un cappello di nuvole e sabbia. 

Corre e salta sulla spiaggia appoggiata

al sole che dardeggia. Mi guarda.

Butto a mare i tanti giorni freddi

bruciati negli incendi, anno dopo

anno. L'afferro e mi metto in salvo.   

*

Dove vivono gli uomini

Dove vivono gli uomini

(dappertutto)

solo odore acre di morte.

Ma ciò

nonostante - in alto-

il cielo ancora scalpita.

 

*

Sulle colline di Settignano

S'avvicina l'inverno.

Il cielo non è 

azzurro, nessuno mi

attende, il sole 

non splende. Nel tempo 

che fugge parlo a coloro

che abbiamo perso e 

in basso, laggiù,

assieme

riposano fra le nebbie.

*

Verso il tramonto

Scrivi chiedendo quanti 

anni abbia adesso il vento.

Che dirti? Non sai, forse,

che di tutto ormai conto

soltanto le ombre? Nulla

 so, se non che la luna

 è già in cammino da

tempo verso il tramonto

e che l'acqua che sfama

non vive sulla sponda 

del fiume, ma sul fondo.

*

Camminando

Occhi scuri di giorni

 muti ancora riflessi

sui muri. Questo siamo:

passato che impassibile 

ci continua a fissare.

*

Le notti d’ottobre

Rammenti le timide notti

d'ottobre? Le mani brucianti

d'amore, il breve delle rose?

Le rosse braci accese? Il loro

discreto sbirciarci di sbieco,

la pioggia che briosa si scioglie 

sui vetri? Ecco, di di quel bel tempo

di incastri e consonanze di ieri

oggi non resta che una cosa: un 

remoto tocco di campana 

che spacca la notte e risuona.

 

*

Dall’ieri al domani

Di certo ieri c'ero.

Domani chi lo sa...

Ma il cielo basterà.

*

Il muro

                                             

Il muro è alto.                        

Non cede. Non cade.

"Disegna la vita", 

mi chiedi. Un continuo

 sferrare gridare

di pugni su un muro

di gomma. Più duro,

ti giuro, più duro a 

morire d'un'ombra

che ora va e ora torna. 

 

*

Unica via di scampo

Aggrapparsi a un tempo

senza tempo e

del sassoso campo 

serbare nel

grembo- delle nevi-

l'eterno e dei

meli d'inverno

il fraseggio

taciturno e scarno.

Aggrapparsi a un tempo

senza tempo.

E' questa l'unica 

via di scampo.

*

Vacanze (acrostico)

Vivo

Acquattata

Come

Acqua 

Nella

Zitta

Erba 

*

E’ così che faccio

Ho riempito il foglio

di frasi a casaccio:

pareti

carta da parati

Parigi 

fine dell'estate

Colette 

il bel grano in erba

amori 

nati e morti troppo 

in fretta

aria che opprime 

la terra.

Ho riempito il foglio

di frasi a casaccio.

E' così

che faccio ogni volta

che fuori

la morte, furtiva, 

si riaffaccia.

*

Luna e venti

                                        A mio figlio

L'una e venti. Sei luna          

e (arcano) canto 

di venti che mancano.

*

Serata afosa

Serata afosa (terra in rivolta).

Bagliori di rosa... Starà forse

nei fiori la risposta alla morte? 

*

Ricordati di non scordare

Ricordati di non scordare

la sconosciuta che incontrasti

sul treno, la voce tremula

del mare che teneva in mano.

E quando a ogni incrocio- con gli anni-

le luci s'affievoliranno

ricordati di non scordare

tutte le dalie che in autunno

ti fiorirono tra le mani. 

 

*

Tante belle cose!

Sei la chiamata che si chiude e

riapre antichissime ferite.

La donna seduta di fronte 

sul treno, la croce che stringe

negli occhi. La voce di fuori

che stride e dice: "Tante, tante, 

belle cose!". La Luna e i Falò

a illuminare il sedile. Ma

ormai è già scesa la sera e 

questo treno non ha mai avuto

freni. Né sa andare all'indietro.

 

 

*

A piedi scalzi

Crocicchi di strade e

d'ombre. Vite strappate.

Soltanto un tacere

cristallino di madre

ad attutire l'urto

di chi partì e non è

mai più tornato.

Frastorna e consuma

quest'aria d'aprile. Ma

resta aperta una 

porta nel cortile: ci

sarà davvero una 

terra- dall'altra parte-

senza né anfratti né

sassi dove potere

stare a piedi scalzi?

 

 

 

*

Ad A, l’amica ritrovata

Tu non sai, tu non sai cosa sia

doversi reinventare a ogni istante

frumento che non s'arrende al vento.

*

Naufragio di Cutro

Un'altra volta, un'altra volta,

acqua di mare ti sei fatta 

morte. Sfiorita sfiorita è,

per sempre, la fiorita estate. 

 

*

Paesaggio di cose

Siamo brevissimo

silenzio, un

fuori onda. Ombracoli

coperti

d'ombra. Case, case 

di brume e

di nebbia. Scalini

di sabbia. 

Ma di tutto questo

passare 

di cose disperse

una non 

si è mai persa. La

chiave che 

hai lasciato sotto

lo stoino 

dell'ingresso. Oltre alla

solita 

mia mania di

sognarmi 

mentre con le mani

mi faccio 

largo nel vento.

 

 

*

Mattina d’inverno

Tutto sfuma nel raggelante

sfiorire del

 tempo, ma oggi è rifiorito

il giacinto...

Oh, come sembra lontano il

Novecento!

 

*

Nebbie e assenze

                                                                                A mio figlio     

 Oh, nebbia, nebbia, che avara,

rasenti la terra, non

so dove viva adesso

il fecondo orizzonte

d'un aprile che il sole

rutilando tramutò

in assenza. Ma corre,

corre, sul marciapiede 

un ragazzo. Ha uno zaino in

spalla. Corre, canticchia.

Dimmi, sei tu figliolo

che canti nella nebbia?

 

 

 

                                                            

*

Lasciatemi dormire

Per favore

lasciatemi dormire.

Lontana è 

oramai la stagione

delle giostre e

la luna non ha dita

per lenire

le ferite. Felice-

certo- sono di esser

viva; e vero 

è che vi è nell'aria

un vociare

antico e infantile che

gira- chiama- e a

cui vorrei tornare.

Ma non ora.

Ora (e ve lo richiedo

per favore)

lasciatemi dormire. 

  

*

A occhi chiusi

Oh, incolore voce

d'ottobre

fai che il sole ridia

un verso

alle cose e metta

un punto e

una chiusa a questo

giocare 

continuo a occhi chiusi.

*

Saremo altro

Saremo altro.

Ma non sarà questa

arsa terra a

dircelo. E neppure 

il cipiglio

del cielo. Saremo

altro. Un'arnia,

un ciuffo d'alberi,

 un cespuglio 

d'erba. Un clarinetto

ad ancia di 

legno, l'ondeggiare

benevolo

del melo cotogno, i

chiaroscuri

d'un disegno a mezza

tinta. Un lume a

mano che, d'un tratto,

 fendendo le

ombre, si riaccende. 

 

 

 

 

 

 

*

Pioggia di settembre

                                                                      A mio figlio

Che questa pioggia di settembre

ti raggiunga.

Quaggiù? Come al solito il nulla.

Ma d'altronde

quando mai il nero sonnecchiare

del pensiero

è stato lana che riscalda?

A me resta 

ancora un po' di tempo prima

 di mettermi

in viaggio. Ma non ho fretta.

E me ne andrò 

con calma; come il sole. Quando

piano piano

scompare dietro la montagna.

 

 

*

Di là dai rovi e dalle rovine

Mi chiedi come si faccia 

a tenersi in piedi. Non so

e non conosco nessuno

oramai da queste parti 

che non abbia le sembianze

d'uno spettro. Però io 

ti dico: scavalca il muro

di cinta e esci. Esci e muoviti

come si muovono i pesci

o ai margini dei fossati a

marzo gli uccelli di passo.

Non credere a chi ti dirà 

che non c'è passo peggiore

di quello dell'uscio. Di là

dai rovi e dalle rovine

c'è spesso un sole che nasce.

Prendi pertanto un cappello,

una borraccia, una tenda e

non scordare che un uccello, 

se chiuso in gabbia, mai canta

per amore ma per rabbia.

*

Estate

Canicola a parte qui è

ancora

tutto un nevicare morte.

*

Luglio in riviera

Vorrei avere una lanterna

mongolfiera

da lanciare in mare in alto,

contro il cielo,

insieme a una preghiera.

*

Sui ricordi

Sarà desolata terra

questo informe

tempo di ciechi e di sordi

nell'ultimo

mio librarmi sui ricordi.

*

Mano a mano

Non hanno pace queste

mie mani:

ora le chiudo, ora le

apro. Sono

le mie, ma ecco che ora

diventano

le tue. E intanto, piano

piano, ieri è

di nuovo già domani.

 

*

Dal nulla

Ha smesso di tremare la terra

ma ancora non cantano gli uccelli.

Due case più in là nascosto

tra i cipressi un tassì silenzioso

aspetta. Dal nulla si spalanca

una porta. Esce una donna:- Ciao,

tornerò presto a trovarti mamma-

sussurra. E' un vicolo cieco senza

sbocco questo tremare sordo di

terra di nessuno. E io ricordo. 

 

*

Albicocchi in fiore

Non socchiudere gli occhi.

Basta restare fermi! E'

sera ed è già giunta 

l'ora di ripartire.

Non socchiudere gli occhi.

Basta guardare indietro!

Basta temere il vento!

Non tutto è andato

perso. E di quell'aprile

di sole alto e di morte

restano- a sorvegliare

il torrente e i sentieri- i 

vecchi albicocchi in fiore.

*

Respiro corto

La crepa era profonda.

Batté la mezzanotte.

centodue pulsazioni

al minuto. Respiro

corto. La notte batte

più forte per chi è già

morto. Morto sebbene

condannato- dall'alto- a

vivere due volte. 

*

Sarebbe bello

Sarebbe bello svegliarsi, 

Farsi un tè, spilluzzicare 

due o tre biscotti al latte

sgranchirsi, canticchiare fra

sé e sé "I ritorni" di

Battisti. Correre da una

stanza all'altra, aprire tutte

le finestre, sistemare 

una seggiola di fronte

al vecchio, saggio, orizzonte e

dire:- Oh, guarda, è finita.

E' finita la guerra! Chi

l'avrebbe mai detto... Anche se

deboli e sconclusionati,

i versi dei poeti ce

l'hanno fatta! E a ogni chiusa e a

ogni capoverso un varco

s'è aperto- E dire dire

con stupore: "oh, guarda! E' là

fra quell'ossimoro d'acqua

che incendia e le forsizie che

in silenzio domandano

di rifiorire a oltranza che,

sfinito, infine s'arrese

ogni delirio di potenza."  

 

*

Guerra e Pace

Fermatevi, fermatevi!

Ripensate piuttosto ad Andrej Bolkonskij,

disteso a terra, ferito. Ripensate  a

quel suo cielo infinito. A quel cielo fin 

 lì ignorato, e infine afferrato.

Pensate. Pensate ad Andrej. E 

tenete, come si tiene in un palmo di

mano la neve, la contezza che tutto

tutto, tranne quel cielo infinito, è vano. 

*

Il sole non scorda

Non disturbare il bambino

 che dorme. Il sole non scorda.

Il segreto per non cadere?

Il mandorlo chino sotto

la pioggia d'aprile che ancora

si strugge di rifiorire.

*

Sul ponte

E giunsero infine i giorni di

sole in ogni ombraio. Io, bimba,

che getto un punto di domanda

di là dal ponte. Tu, padre, che

rientrando m'aggiusti una ciocca

di capelli. Chi siamo? Siamo

tutti, nessuno escluso, il fiume

che ci scorre dentro. E' in quel fiume

sotterraneo ch'io mi immergo 

quando al termine della notte,

sul ponte, vita e morte, in sogno,

s'allineano e mi rincorrono.

 

 

 

 

*

Parole incartate

In questi anni, amore, ho scritto

per te migliaia e migliaia 

di parole. Per non perderle, 

le ho incartate. A ognuna ho messo

un fiocchetto di colore

diverso. Le rosse sono

parole d'amore, le blu

il frustare della pioggia 

quando viene giù e non la

puoi fermare. Le bianche, la

gioia di aver visto il mare.

Le gialle, il riverberarsi 

del sole quando invade

la solitudine d'estate.

Le verdi, noi che contiamo

le margherite nei prati.

Se dovessi tornare, e io 

non fossi in casa, se puoi, apri e

spalanca tutti gli armadi.  

*

Nulla pretendo

Risale la memoria

verso la prima fonte.

La consapevolezza

della finitudine

della vita s'espande.

Dall'imbrunirsi delle

cornee- per il troppo

duellare con il vento

e la polvere- nulla

pretendo se non occhi

che non dimentichino.

*

Due di novembre

Due di novembre.

Cielo di latta. Una

nuvola bianca che 

si fa latte. Vive

nel ventre dei giorni

che scorsero belli

il ricordo dei morti.

*

Consigli di viaggio

Ti lascerò andare, parola,

che non vuoi uscir fuori. Decidi

tu dove ti vuoi posare. Mai

al pensiero sono occorse ali per

volare. Potrai essere corrente

che fluisce, pesce volante, corpo 

estraneo che diventa perla,

 culla, per l'iride spaesata

di chi fugge in cerca di altre terre.

Ti lascerò andare, parola.

 Sì, decidi tu dove ti vuoi 

posare.  Porta con te vocali,

consonanti, accenti, e tieni bene

a mente che, a valle, non tutte le

luci che abbagliano sono stelle.

*

Voglio scrivere E

Voglio rimanere libera.

Voglio rimanere me stessa.

Voglio rimanere la bimba

che in prima elementare stretta

stretta nel suo grembiulino

godet guardandola diritta

negli occhi disse alla maestra:

perché mai dovrei scrivere A se

a me, invece, piace scrivere E?

 

*

Avviso ai naviganti

Se un giorno parlerete di me, non

 importa se non ricorderete

il mio nome. Dite: amava la 

 musica, amava i poeti. Se poi

nel frattempo- navigando- avrete 

imparato ad approfittare del

vento contrario, aggiungete: non le

bastarono gli occhi, le mani, per

domandare alla neve e alla pioggia:

da dove venite? E chi vi manda? 

 

*

Verba non volant

Dare e ridare altri e altri nomi

al sole. Riprodurre con la 

memoria voli fuggevoli

di gabbiani di quel che siamo 

stati che fummo ed eravamo.

Perché anche se le parole

si crede che volino esse non

si allontanano. Dire tra sé

e sé: sì, vale. Vale sempre

la pena ritornare a essere 

scogliere, litorali, mare. 

*

Il mare non si scorda

Fosti barca nata da un'onda.

E dagli occhi ancora straborda 

tutto il mare che non si scorda.

*

Mi fingerò polvere

Mi fingerò polvere, brezza.

Mi fingerò nuvola, pioggia.

Mi fingerò acquerugiola,

 neve, vento. O foglia immobile

di magnolia. Mi ricomporrò

a poco a poco scomparendo.

 

*

Montagne

                                                 (In memoria di due amici morti di Covid)

Non sono più così nemiche

le montagne. Delle cime più

alte rimangono gli echi, dei

versanti i riflessi, dei passi 

degli amici scomparsi quella

bassa pianura dove all'una,

d'estate, si riposano le

cinciallegre e i codirossi. Non

sono più così nemiche le

montagne. E neppure più così

alte. Adesso che la vita è 

giunta quasi al capolinea,

posso finalmente sedermi

all'ombra di due betulle

e (senza farmi più domande)

guardare fiorire la valle. 

*

Due tendine

Due rettangoli bianchi, sei

tarsíe di rose, due trine 

di pizzo chiacchierino. Com'è

solidale il cielo schermato

dal chiaro tramare del lino!

*

Polvere negli occhi

Dovremmo correre

per tutta la notte.

Visitare, senza

entrare, la casa

del moribondo e- va'-

dire al fiume- va'- e del

tuo discorrere-

su quel davanzale

in penombra- lascia

almeno una goccia

d'acqua che brilli, si

perda e ritorni. Non 

sai che qui i vivi si

riconoscono tra

sé solo se sono

morti? Di null'altro

essi si curano

se non è polvere

che alzano negli occhi.

Non sanno? Certo che

sanno. Perché dire

che intorno, intanto, la

terra sta crollando?

 

*

Accade

E così, improvvisamente,

accade- e accade quasi a tutti-

di smarrirsi senza essersi mai

mossi. È così. Accade. Accade

davanti a uno specchio, di fronte

a una porta rimasta aperta,

o quando l'estate ci spinge

con un improvvisato slancio in

avanti, ed è subito inverno.

A me è successo ieri. Dove?

Di faccia ai segreti che verso

sera la città svela sulle 

facciate bianche delle chiese e

delle piccole case a schiera. 

 

*

Sul molo

Sul molo, un uomo e il

suono umano del

suo bastone.

Nell'assolata

sonorità del

mare- affollato

di suoni senza 

croci- la voce

universale 

dell'amore che

non muore. E rimane.

*

Case in collina

Ogni vita è una casa in 

collina che guarda altre vite

che guardano da altre colline.

*

In cerca di parole

Non chiedermi più di risponderti.

Non conosco parole per dire

al tempo di ritornare indietro

nel tempo. Posso dirti soltanto:

 se ti sei perso, aspetta che il sole

tramonti, poi voltati, e domani

cercati nel frusciare del vento.

*

Sere di giugno

Sere di giugno.                    A mio figlio 

Nel bagliore di 

platino degli

alberi il timbro 

della tua voce

(che ricompare)

rimanda a strade

mai chiuse- strade

che ti sembrano

assurde finché

non le percorri...

Vorrei avere non 

due, ma cento

braccia di madre

per raggiungerti.

 

*

Ponti immaginati

E ora che anche i vecchi

 ponti immaginati

per unire genti,

popoli, etnie, sono

crollati null'altro

è rimasto in piedi

della Storia se non

la geografia 

della memoria.

*

La buonista

Se essere buonista vuol dire

opporsi con forza alla vostra

ossessione di dividere 

il mondo in bianchi, rossi, gialli,

neri, Rom, Sinti, Caminanti,

ecco, sì, allora io sono 

una buonista e me ne vanto. 

*

E’ un attimo

E' un attimo e tutto là fuori

si fa memoria: i temporali, il 

treno dell'una e trentanove, i

gerani, i gatti del vicino

che si crogiolano al sole. Non 

so quanti anni siano trascorsi.

Vivo in una radura dove

le case non hanno orologi.  

*

Le braci

A chi giova sapere 

se Krisztina sapesse o

non sapesse? Konrad è

fuggito, il generale

s'è nascosto. Nini ormai

vede solo da un occhio.

Il segreto è morto

nel fumo delle braci.

Giammai la musica si

nutrì di parole. Non 

siamo che la polvere

che, a ovest come a est, nel vento

s'alza nei cimiteri.

(Liberamente ispirata al romanzo "Le braci" di Sándor Márai)

 

*

Nuvole

Mi mancherete nuvole

che andate verso i monti. Mi

mancherete come gli anni 

e la vita che ho davanti.

*

Un treno in corsa

Non temere l'ira

degli Dei.

Va', corri, evita di 

contare

le case, le rose,

il grano in 

erba che ricordi.

Va', corri,

insisti- urla un treno 

in corsa.

Fermati soltanto

davanti a

due porte aperte.

Nessuno

muore due volte. 

 

*

Si diraderà la nebbia

Si diraderà la nebbia. I 

Fratini faranno buche e

nidi bianchi nella sabbia.

Sarà la luna con gli occhi

socchiusi a deporvi l'ombra

accecante della morte. 

Si diraderà la nebbia.

Un bimbo seduto sulle

scale dirà: ti aspettavo.

Sei tornata, finalmente!

 

 

*

Ai margini

Disegnare ai margini

del foglio- già

stracolmo di uomini e di

donne morti in

battaglia- un cielo umile

che li accolga.

*

Cosa possiamo fare?

Cosa possiamo fare 

ora che siamo fiori

senza essere corolle?

*

Quattro versi

Quattro versi servirebbero.

Quattro soltanto.

Uno per dire: guardate! Ero

lì e quella fu

la mia prima estate. Un altro

(il secondo) per

dire ecco quelli sono i primi

passi che mossi

insieme con mio padre su

quel sentiero di

terra rossa che ancora odora

di primavera.

Un altro (il terzo) per ridire

la primissima 

parola che io dissi proprio un

istante prima

che quel primo inverno morisse.

L'ultimo (il quarto)

per dire: vedete quei quattro

alberi spogli?

Ecco quello fu il mio primo

disegno. E fu anche

il mio primissimo autunno.

 

*

Disorientamento

Niente mi disorienta

di più d'un vento d'aprile

che ripete all'infinito:

"com'è potuto accadere?"

 

 

*

Sono stata soltanto una donna

Sono stata soltanto una

donna. Non

mi interessa l'eternità.

Essere 

foglia rimasta per sbaglio in

bilico

nel bosco fra la betulla e

il bosso. E'

questo quel che m'interessa.

 

*

Tempo permettendo

Felice- persuasa

dell'inutilità

delle cose- con le

ali allineate

ai lati come le

falene. Così è-

tempo permettendo-

che vorrei andarmene.

A.P. 

*

Vento di ponente

Babbo, le luci si sono spente,

ma io ti vedo. Sei il vento che da

ponente sempre mi spinge avanti.

Ora di qua, ora di là dal mondo. 

 

*

Via Martelli

Sei rimasto lì-         (A mio figlio)

fermo immagine 

di indicibili 

cieli oro e azzurro

di mezzogiorno

con giorni e anni che

non crescono con

le tue mani 

che dicono non 

è mai tardi per 

dire rimani.

Sei rimasto lì

con gli occhi fermi-

immobili- su 

via Martelli 

con alle spalle

l'arancio algido

d'un autobus che 

corre nel freddo 

di dicembre.

Sei rimasto lì

fermo immagine

di indicibili

cieli oro e azzurro

di mezzogiorno.

*

L’aria sarà fredda

Finché ci sarà un quarto di

luna-

finché ci saranno un poeta e 

una

farfalla che volano accanto

senza 

sapere dove stanno andando-

finché 

ci sarà una donna in fondo

alla 

fila che dice:- io dissento-

l'aria

sarà fredda ma non ci sarà

vento

che- soffiando- non spanda sulla 

terra

pallida la sua luce azzurra. 

 

*

Poco prima di colazione

Poco prima di colazione

la tua fotografia 

che irradia calore. Marzo. Una

valigia pesante da 

sollevare da sola. Sono 

colpi sparati al cuore

da distanza ravvicinata 

(senza silenziatore)

le belle giornate di sole.

 

*

Anni lontanissimi

Anni lontanissimi

nostalgia di mio padre.

Dal cielo continuano a 

piovere sassi. Ancora troppo

presto per dire ad alta 

voce la parola domani.

 

*

Inverno a Nizza

                                                (A mio marito) 

Quanti anni avevi- amore-             

quell'inverno a

Nizza? Ed erano azzurri

o neri gli

occhi quando appoggiati

con le mani 

alla balaustra tu

aggiungevi 

e toglievi aggettivi 

alla brezza?

In quale continente

viaggeranno

oggi le braccia stanche 

della donna

che passandoci accanto

domandava a

tutti: perché il tempo

dell'amore

fugge così in fretta?

Quale suono

faranno adesso i passi

degli assenti in 

Place Massena? Quanti

anni avevi-

amore- quell'inverno-

senza pioggia- a Nizza? 

*

Andando fuori tempo

Cercherò un luogo dove

riposare. Lo cercherò

riparato. Non so ancora 

se sotto a un cedro o se accanto

a quelle due magnolie 

che in chissà quale altra vita

furono viole. Cercherò

un luogo. Lo cercherò tra

la costa e il fianco sinistro

della montagna o a oriente,

lì, dove anche le palpebre 

più stanche sono porte che

si spalancano. Cercherò

un luogo soleggiato. Lo

cercherò andando fuori

tempo massimo col mondo.

Se non trovate le tracce

che ho lasciato, cercatemi.

Non sarà facile- sono

troppe le ombre appese ai rami-

Se potrò, vi risponderò. 

 

*

Fu l’acqua del lago

Fu l'acqua del lago

a farmi 

amare la terra.

Ad ogni

guizzo a ogni scintilla

lasciati in aria

dai pesci-

calma- essa

bisbigliava: vedi?

Bisogna 

andare a fondo per

risalire a galla. 

*

Chi dobbiamo seguire?

In un movimento convulso-

lo stesso che

fece tremare le porte- che

scosse forte

l'alloro e smosse d'improvviso

la caverna 

e il monte come Enea chiedo

agli dei chi-

noi profughi del grande inganno

che governa

il mondo- dobbiamo seguire 

per trovare 

nella falsa fosforescenza 

del male 

una terra nella quale approdare?

 

*

Passeri e pettirossi

Non si possono togliere

gli occhi rossi

a un ricordo. Si può però

mitigarne

i contorni- arrotondarne 

gli angoli con

un bagliore caldo. E come

attendono

le glabre bouganville 

attendere 

il ritorno dal nulla dei

passeri e dei pettirossi.

A.P. 

 

*

Il sole è un’isola

Due isolati di case.

Il sole

è un'isola di cose

disperse.

Penso a me stessa come si

pensa a una

casa, a un paese, a una città

sommersi.

Sotto un cipresso altissimo

riposa

una bambola di pezza.

Chissà che 

età avranno gli Alisei e

la brezza!

*

Scrivo

Scrivo per dire agli alberi:

-dormite- dormite- che qui

la guerra non è finita.

Scrivo per dare silenzio

al silenzio- voce a due

voci afone e evanescenti.

Scrivo per dire ai mercanti

di morte: cosa direte 

ai vostri figli quando vi

punteranno contro i vostri

fucili fiammanti? Scrivo

per infilare una via 

laterale, per ridare 

fiato alla neve- alla luna-

al verde della radura.

Scrivo per dire agli alberi:

-dormite- dormite- che qui

la guerra non è finita. 

 

*

Diario di viaggio

A questo mio lungo viaggiare-

da un punto interrogativo all'altro-

aggiungo un girasole, tre rose, 

due genziane. L'alba che vibra e

risale dal crinale. L'odore

del pane, una manciata di sale.

E l'Arno che raggiunge il mare.

A.P. 

 

*

Altalene

Siamo quell'attimo

che ancora

dondola sul ramo.

A.P.

*

Paura

Guardo fuori. Il vento

che infuria ha

i lineamenti

di due

donne in fuga. Mando

in alto 

un cerchio di fumo.

In basso 

il mondo che parla

solo di 

se stesso. Paura.

Paura

del cielo quando fa

promesse. 

Tolgo da ogni frase

parole

che pronosticano 

certezze.

Apro la finestra.

Nell'aria

ancora il profumo

onesto 

di timo e ginestra.

*

Postumi dei giorni felici

Vorrei dire: la notte

è finita ma queste 

mie mani hanno troppe

cicatrici e nessuno 

è mai sopravvissuto

ai postumi dei giorni

felici. Né febbraio-

né l'acqua del granaio-

Tu dici:- aspetta- non è 

sempre vero che a marzo

il vento muore presto-

ma io conosco quanto

possa essere inclemente

aprile quando ride.

Vorrei dire: la notte

è finita ma queste 

mie mani hanno troppe

cicatrici. E la mia

sete è infinita.

A.P.  

*

Stupore

Lo stupore mantiene vivi

gli occhi. Non chiedermi di nuovo

perché il cerchio si allarga ogni

volta che lanci un minuscolo

frammento di roccia nell'acqua.

Lascia che io viva inclinata

con la testa appena appoggiata 

sulle mie mani aperte. Altre

vite ci passeranno accanto

e voglio trattenerle. Anche se 

come l'acqua della laguna

che esonda esse non hanno forma.

A.P.

Firenze, 27 ottobre 2020

 

*

Giorni dispari

Amo i giorni dispari. Essi

mi ricordano le nove

rose che mi regalasti

in quel novembre nel quale 

tutti gli alberi da frutto

parevano dire- anche se

lo sembriamo- noi non siamo

morti. E- malgrado il cielo si

divertisse a oscillare per 

non farsi trovare- fu quel

sonno antico e provvisorio

a far sì che persino io 

mi risvegliassi. Ed è da lì-

da quegli alberi dei giorni

dispari e da quelle nove

rose rosse ch'io divenni-

contemporaneamente-

a giorni vita, altri morte.

*

Un giorno di festa

Apro le tende 

dalla strada deserta

giunge indefesso

un odore di festa.

Un'auto romba 

al di qua del non visto;

sopra il platano 

che ondeggia l'impressione

di essere un'ombra-

una chiamata persa-

la sfocatura 

d'una foto scomparsa.

*

Giorni diseguali

Dei giorni diseguali

conservo ancora inciso

sui palmi delle mani

quel refolo di bora

che nacque dai narcisi

e morì in riviera.

A.P.

*

Quindici settembre

Quindici settembre.

Un'amica dice:

che fai, ti fermi? Oltre

un rebus di voci

le vite degli altri

e la mia che s'è

trasferita altrove.

 

*

Inumana allegria

Nella voragine

senza fine

di tanta inumana

allegria dico

mille volte

grazie a chi m'insegnò

la libertà

di poter piangere.

A.P.

*

Poi il cielo cadde

Con te i muri furono

fiori.

Le foreste, madri. Le

albe-

ansiose-  primipare e

padri.

Poi  il cielo cadde come 

cade

quel soldato a cui hanno

detto:

"Spara!" E lui non spara

perché

oltre il mare vede sua

madre.

Di quell'addio- figlio- ora

altro

non rimane che un dio

(che non

è il mio). E quel grido

che da 

sempre muore nel  mare.

A.P.

*

Camminando

L'estate passa.

Sono il lampo d'acciaio

che s'inabissa

nel suono dissonante

di quel vecchio che-

camminando- somma ai miei

occhi i suoi passi.

A.P.

*

Uva e mosto

Oggi starò zitta.

Sarò uva e mosto.

La T della metà

di me che si scontra

contro la A di agosto

che già annunzia la

G di giorni morti.

Oggi starò zitta.

Sarò la N della

neve che ricopre 

l'orto dove mia

madre- vestita di

blu- mi dice: aspetta!

A.P.

*

In treno

E' un'estate silenziosa

questa.

Silenziosa come questa

donna 

che ho di fronte. Chissà cosa

sogna...

L'urlo di Munch? La Wally

di Egon

Schiele? La Nadja di Breton?

Il blu

della gonna di Emma Bovary?

Zazie? Il 

metrò? La Gare d'Austerlitz?

Chissà

cosa sogna la donna di

fronte...

 

*

Vedere tutto è non vedere

Non oltrepassare l'oltre.

Vedere

tutto è non vedere- non 

vedere-

niente. Diventa piuttosto

quel grande

fiume azzurro che pensato

diventa

verde mentre la nudità 

del tempo

inonda di indaco gli occhi

e i fianchi

della casa bianca in cui 

nascesti.

A.P.

 

*

Pandemia

Mi domandi perché

la mia

lettera di aprile

non abbia 

fine. Ebbene, anche se 

non c'era

nebbia, qui eravamo

in guerra.
E non c'è guerra che 

non abbia

una G una U una E

due R 

e una A che non siano 

lettere

perse che giungono

dal fronte.  

Il cielo, comunque,

è sempre

terso; persino se

si scrive

di vita e di morte.

 

*

La pagina che manca

Trascrivo la traiettoria di

una stella.

La pagina che manca è il

lungo sonno

d'una bambina senza nome

alla quale

furono negate una casa

e una terra.

*

Spazi bianchi

viviamo

senza rompere mai 

le righe

dimenticandoci

che siamo

solo spazi bianchi.

*

Città fredda

A volte di notte mi cerco.

E a bassa 

voce pronuncio il mio nome.

Chi sono? Da 

dove vengo? Dov'è il tempo? 

Non lo vedo.

Ritenta. Ritenta. Ricordi?

La vita è 

lunga. Lunga. E tu hai fame e sonno.

Ma dov'è il

mondo? Conosci forse luoghi 

in cui gli

uomini non siano obbligati a 

nascere e anche a

morire contenti? Ritenta.

La vita è

lunga. E ci vuole molto tempo

prima che la neve si sciolga.

 

*

Zone di pace

Eccomi finalmente

a casa.

Sono mazzi di altee

e rose

borraccine le zone

di pace.

*

Straniamento

Straniamento. Riverberi

di asfalto.

Siamo arbusti di berberis

rinati

in territori di guerra.

*

Poco importa

Quando la città si fa

cerchio

entro ed esco dal mondo.

Scavo

il cielo muto e a mani

nude

ritorno. Poco importa

se le

strade sono fantasmi

sordi

come lo è l'anosmia

degli

Dei nei deserti. Resta

sempre

la vita. E non è mai la

stessa.

Anche se scrivesti alla

luna

senza avere risposta. 

 

*

Uno due tre stella

Cortili ombreggiati.

Partenze.

Nella vertigine 

del vento 

si ricompongono

d'un tratto

tracce di esistenze.

E' pozzo

senza fondo l'acqua

pulita

dell'infanzia. Dietro

la tenda 

bianca una bambina

grida con

le dita: uno, due,

tre, stella.   

*

Il rumore dell’acqua

Qualche volta la vita

assomiglia

al rumore dell'acqua.

Accelera,

cambia altezza, frequenza 

e rimbalza.

 

*

Si chiamava Diletta

 

Parenti

Diletta? Diletta

è morta?  

Noi? No. Mai accorti

di niente.

Pareti

Muri senza occhi né 

orecchi.

Botte. Botte da orbi.

Amici

Che vuole 

che le dica. Un uomo

perbene.

Tutto casa, chiesa e 

famiglia.

Regole: tenere. 

Tenere-

il più possibile-

le bocche

cucite. Ammazzata?

Niente. Mai

accorti di niente.

Vicini

Hai visto come si

truccava?

Anche lei, però! Se

l'è proprio cercata...  

 

 

 

*

Nessuno

Nessuno avrà vissuto

invano

fintantoché l'inverno

morirà

credendo d'esser grano.

 

*

Senza titolo

Rugiada mattutina

gerani rossi

grata di essere nata.

*

Nuvole

Volevo vivere

vivere

come vivono le

nuvole

agostane intanto

che il cielo-

calmo- si fa lana.

*

Trompe- l’oeil

Non andare, dicevi.

La luce 

del giorno è limpida 

d'inganni.

Ma c'erano verande 

aperte

dappertutto e sciabecchi 

nei porti.

Non andare, dicevi.

Come se

la realtà non fosse

un gioco

degli specchi e la vita

un falso

d'autore che ha origine 

negli occhi.

 

*

Finestre

Apro la finestra.

La strada ha un respiro

profondo.

Con la fantasia

tiro dentro il mondo.

 

Firenze, 24 aprile 2020 

 

*

A che sono serviti i versi dei poeti?

A che sono serviti

i versi

dei poeti - gli accenti-

gli occhi

che ridiventavano 

azzurri

nell'arsura dei venti?

A che sono servite

le mani

del buon Vinca che innaffia

gli istanti?

L'empatia dei glicini

negli orti?

A che sono serviti 

i versi

dei poeti- gli alianti-

ora che

aria rima con morte?

A.P.

Firenze, 22 aprile 2020

*

Fresie

Un cielo

noncurante ci divise.

Ma brilla-

brilla ancora sulle ripe-

il giallo

accogliente delle fresie.

A.P.

Firenze, 6 aprile 2020

 

*

Ma la rosa è viva

Sono morti 

i salici del lago

ma la rosa

è viva e prima che anche

quest'azzurro

silenzio muoia- senza

che nessuno

lo pianga- spalancherò

la finestra

e vivrò due volte

come la tua

ginestra verdazzurra

che dice ce la farò-

ce la farò-

perfino questa volta.

*

Libertà

Ti cercai dappertutto.

Rinchiusa

dentro il cerchio impazzito

del mondo-

col viso controvento-

facesti

un passo. Un solo passo

avanti.

Eccomi- mi hai trovata

dicesti-

Libertà- E io piansi.

Sì, piansi

tanto. Come adesso che

ricordo

quanto sia deserto

il mondo quando manchi.

A.P.

Firenze, 25 marzo 2020 

*

Visioni

Galleggio sulle ombre.

Visioni

di dolore. Un raggio

di sole

tramortisce il cuore.

A.P.

Firenze, 24 marzo 2020

*

Lontanissimo

Un sole insolente

in solitaria

ascolta il respiro-

lontanissimo

del mondo- che sale

portando in salvo

l'ultimo orizzonte.

A.P.  

*

Gli assenti

Quando mi chiamarono

e qualcuno disse: entri

entri-

presto- non c'è più tempo

ero il lago che ancora

stringo

negli occhi. Tu guardasti

oltre

e i monti gridarono

agli

Dei: -perché siete morti?-

Ora,

conto solo gli assenti.

E gli astri claudicanti 

dei poeti e dei vinti.

A.P.

Firenze, 2 marzo 2020

*

Non ho tempo

Non ho tempo per morire.

Devo ancora coniugare

il soliloquio del sole

e l'infinito del mare.

 

*

Non ho altro da dire

Non ho altro da dire

nient'altro

che non sia andare

oltre - oltre - 

l'osceno omettere

di dire

che ha un solo colore

l'ansia di morire.

A.P.

11 febbraio 2020

*

A ogni passo

Transitiamo nell'adesso.

A ogni passo il trapassato

remoto e quello prossimo

che ci portiamo addosso.

A.P.

Firenze, 6 febbraio 2020 

 

*

Il mio primo ricordo

Sono nata col sole di maggio

sono nata

ridendo. Il mio primo ricordo

è sepolto

nel piccolo giardino d'inverno

fra il battito

del pendolo e il cavallo a dondolo.

Nelle notti

d'autunno quando il cielo è sveglio

mi rivedo

e come allodola su un mandorlo

gli ripeto:

non me ne andrò finché canta il gallo.

Sono nata col sole di maggio.

Sono morta

vivendo. Il mio primo ricordo

è sepolto

nel piccolo giardino d'inverno.

A.P.

Firenze, 3 febbraio 2020

*

Vorrei tanto

Vorrei tanto raccontarti

di come

d'inverno si risvegliano

le foglie

senza nome degli acanti;

del figlio

che vegliò la madre in sogno,

del tanto

di meno e del tanto meglio.

Del luglio

in cui piovve olio e tiglio.

Vorrei  tanto raccontarti 

di come

d'inverno si risvegliano

le stelle.

A.P.

Firenze, 28 gennaio 2020

 

*

In quale luogo?

In quale luogo dormiranno

adesso la valigia di pelle?

Il pullman delle sette, gli amici

che radiografavano le stelle?

La ragazza con la minigonna?

In quale luogo dormiranno

il quaderno degli appunti,

il solstizio nel quale scrivemmo:

eh, si... noi ci ameremo in eterno?

In quale luogo dormiranno

l'agrifoglio, la matita nera,

il fermaglio giallo, il capodanno

del millenovecentossessanta?

A.P.

Firenze, 16 gennaio 2020

*

Insonnia

Ritorno sui miei passi.

Per un istante sono

i giorni, gli anni, i mesi

che non vissi. Il perdono

e il suo tuono. L'orso

di Annaud e la sua tana.

Il gran fiume Eridano.

L'ambra che si dissolse

sul marmo. La memoria

di Adriano- la sua insonnia-

mia madre che morì

in inverno. Ritorno.

Ritorno sui miei passi.

E, si. Io sono. Sono

i giorni, gli anni, i mesi

che non vissi. Il biplano

che, in un giorno di sole,

a Elpis tese la mano.

 

*

Il cielo è semplice

Il cielo è semplice,

guardalo!

Guarda com'è facile 

per esso

tramutare il gemere

d'un gelso

in mille e mille gemme!

A.P.

Firenze, 3 gennaio 2019 

*

Sound

In questo mondo che non ha più tempo,

ti penso. E come un sound senza arpeggi-

nell'uggia della pioggia- io mi perdo. 

 

*

Inverno

Tu continua a ballare.

Non vedi

quanto bene balena

nei nidi

d'una nube invernale?

A.P.

Firenze, 12 dicembre 2019

*

La mia sera

La giornata è finita.

la sera è un fiorire

di vite e nature morte.

Un rinascere e un morire

una stanza senza porte.

Un parlare senza dire.

Un rifiorire infinito

di piracante e distanze.

A.P.

Firenze, 9 novembre 2019 

*

Una strada

Una strada di terra

a ricordarmi

l'alba in cui da sola

scalai la mia

primissima montagna.

A.P.

Firenze, 18 ottobre 2019

*

Assenze

                                                                                 A mio figlio

In questa immensa assenza

nessuno ti assomiglia.

Eccetto quel poeta

che aspetta la partenza

cogliendo una giunchiglia.

A.P.

Firenze, 22 settembre 2019 

*

Sempre

Sempre vissi in equilibrio

fra l'ombra

corta della vita e quella

distorta

della morte. Fui un avverbio

di vento

quando infuriò la tempesta.

Un gesto

della mano, un bisbiglio,

di fronte

al saluto della terra.

Ma forse

la vita è proprio questo:

un lungo 

sogno prima del risveglio.

A.P.

Firenze, 19 settembre 2019

 

*

Se ti affiderai

Se ti affiderai al vento

scorda

che esso ha tre consonanti.

D'esso

preserva la "o"soltanto.

Quella

enorme, invisibile, "O"

che fa

rima con "sto vivendo".

A.P.

*

A volte sogno

A volte sogno.

Sogno

ciò che non sono.

E ti

domando: ma noi?

Noi chi

siamo? E la morte

è sì

soltanto un sogno

come, 

della vita, un dì 

disse

il poeta? Sì,

a volte sogno.

Sogno

ciò che non sono

e ciò

che non saremo.  

A.P.

*

Tutto torna

La pupilla inerme

freme.

Un'antichissima

brezza

tiene fra le mani

fiori

di Pazienza. Tutto

torna:

l'ora dell'assenza,

l'erba,

la mano che sfiorò

la tua

guancia nell'infanzia.

A.P.

Firenze, 16 agosto 2019

*

Lungo la ferrovia

 

Trovarono un biglietto

lungo la ferrovia.

C'era scritto: rammenti?

Rammenti,

la neve, la tenacia

dei vinti, le retrovie?

I gridi trattenuti

dei morti

che di notte ammantano

i monti?

L'orma di chi partì a

vent'anni?

Trovarono un biglietto

lungo la ferrovia.

C'era scritto: rammenti?

A.P.

Firenze, 10 agosto 2019

*

Spesso

Spesso nel cuore s'assiepano

perché

terribili da pronunciare.

Ma, poi

rammenti le chiese, le lune,

spesso

dirute, quattro ali ignorate

e lì

il cuore oberato e serrato

s'apre

come la conchiglia dorata

che tu,

muto, raccogliesti in estate.

A.P.

Firenze, 5 agosto 2019

*

Estate

Giornata calda

sull'argine dell'Arno

un uomo canta.

A.P.

Firenze, 30 luglio 2019 

*

Chiedo

Chiedo al mattino dove sia

il mio mattino, alla sera

dove respiri una preghiera.

Nessuno dice mai ciò che sa.

Per questo, non si dimentica. 

Siamo nuvolaglie di terra?

Isole riemerse dal mare?

Forse una mano lo scriverà.

Per ora, mi basta l'odore

di due afflati di libertà.

 

 

*

La vita

La vita è anche questo:

ritrovare quel che siamo stati in un tè

freddo bevuto d'estate.

Alessandra Ponticelli

Firenze, 2 luglio 2019

*

Vorrei per un istante

Vorrei per un istante

filmare il mondo, la sua

inconsistenza e dirmi:

è tempo che io vada.

Ma non è mai prudente

partire quando romba

e insiste forte il vento.

Vorrei per un istante

filmare il mondo, la sua

arroganza. E chiedere

ai potenti: avete mai 

pianto, assieme a una madre,

all'alba su una tomba?

A.P.

*

Naufraghi

E' ora di ricongiungersi con il mare.

E' ora di chiedere perdono ad Adila

la giusta, a Raschida la saggia, a Salima

la salva, a Wadi l'uomo calmo. A Zahira.

Al giovane Walid e alla sua speranza.

E'ora di fermare lo spasmo del male.

E' ora di chiedere perdono a Karima

che nuda, ora, dorme sul fondo del mare. 

*

Sete

Mi sfioro la fronte,

sete di tornare

a casa.

Il mirto fiorisce.

Intorno, aria che sa

di morte.

Mi sfioro la fronte,

il sole blandisce 

la sorte.

Come Ulisse, dormo

con accanto un otre

di venti.

Più in là, un bimbo 

in silenzio corre.

Alessandra Ponticelli

Firenze, 5 giugno 2019

*

Perché?

Una nuvola benedice la terra.

Un uomo sul punto di partire dice:

rivedrò mai la mia serra? E l'infanzia?

Per la prima volta una bimba capisce 

la parola amore, e ride di speranza.

Una nuvola benedice  la terra.

Ma, ancora, io vi domando: perché? Perché

avete voluto tramutare il mondo

in immondo, muto, campo di battaglia?

Alesssandra Ponticelli

Firenze, 15 maggio 2019

*

Con lo sguardo

Con lo sguardo traduco

l'universo. Una voce

recide il cielo e dice:

vuoi essere felice?

Cerca fra mille rose 

quella senza radici.

Alessandra Ponticelli

Firenze, 1 maggio 2019

*

Ti vedo

Ti vedo in un riflesso di luce

e di vetro. Ti vedo nel lucus

a non lucendo di questo lembo

d'aprile lunante e genuflesso.

Ti vedo.  E ora non dà più dolore

l'antica lussazione del cuore.

Alessandra Ponticelli

Firenze, 13 aprile 2019 

*

Sono tornata

Vorrei la pacatezza dei vecchi

un manège rosso con sessanta

cavalli su cui addormentarmi

e dire: ehi, sono qua, mi senti?

Sono tornata per congedarmi!

Vorrei l'umiltà della sorgente

per lavare la vita e, con gli occhi, 

chiedere a Dio una bella morte.

Alessandra Ponticelli

Firenze, 10 marzo 2019

*

Treni

C'è un angolo nel mondo,

un angolo in cui cadde

un angelo. Non cade mai

la neve, là. Là, non è mai

inverno. Quando nel cuore

un treno d'un tratto frena,

da molto molto lontano,

là, io sempre ritorno.

Alessandra Ponticelli

 Firenze, 2 febbraio 2019 

*

Un giorno

Un giorno, forse, sarò vento.

Vento leggero di ponente,

e tutto, tutto, sarà niente:

il frastuono muto del mondo,

le mille voci, i miei strumenti,

i dieci e uno comandamenti.

Un giorno sarò cruna d'ago,

o filo, un filo d'erba verde,

un'ombra nel lago, una luce:

voce narrante del viandante

che scrive la parola amore

nei cento occhi di nostra madre

terra. Quel giorno, forse, sarò

vento. E non tutto sarà niente. 

Alessandra Ponticelli

Firenze 4 gennaio 2019

*

Abbi cura

Abbi cura di quel fiore

cremisi che non cogliesti.

Abbi cura di quell'ora

di cielo che non vivesti.

Abbi cura dei tuoi no

detti senza cedimenti.

Abbi cura del silenzio,

e di tutte le parole

d'amore che non dicesti. 

 

Firenze, 1 dicembre 2018

*

Foglie

Ascolta, voglio dirtelo:

non vidi mai grandi cose

qui nel mondo,  però vidi

tante volte nel parlare

improvviso d'una donna

la grandezza che nasconde

una piccola domanda.

Una cosa ti domando:

hai mai visto quanto sole

può celare l'appassire

repentino d'una foglia?

 

Firenze, 19 novembre 2018

*

Inverno

Sì, è vero. Siamo già in inverno.

Ma conosci qualcuno sulla terra

o più in là, ben oltre l'orizzonte,

che non abbia ritratta sulla fronte

l'estate del primo sguardo materno?

 

Firenze, 11 novembre 2018

*

Una rosa

Anche stasera chiuderò la porta

da sola. Nella specchiera, riflessa,

una rosa mi rammenta chi c'era

 

Firenze, 8 novembre 2018

*

Di notte

Vedi, le notti non parlano.

Ma se taci, come tacciono

i tuoi libri semiaperti,

esse, le notti, nel silenzio

ti mostreranno la freschezza

di quella bella domenica

d'inverno in cui ti stringesti

forte al fruscìo del libeccio.

Vedi, le notti non parlano.

Eppure, non dimenticano.

Alessandra Ponticelli

 Firenze, 31 ottobre 2018 

*

Pioggia

Mi piace guardare la pioggia quando

scende leggera, mi piace guardarla

dal punto più in ombra della loggia.

Lì, ogni goccia riassume la forma

del mondo: circolarità che si fa

domanda, terra ferma per chi viaggia.

 

Alessandra Ponticelli

Firenze, 6 ottobre 2018 

 

*

Controvento

Le maglie del libero pensiero

si restringono. Non vedo. Piango.

Piango assieme a un albero d'infanzia

la gioia di sei angeli nel fango,

la libertà di cadere a terra,

se lo voglio. Rimpiango la forza

che nasconde l'onda d'uno sbaglio.

Lasciate che io inciampi. Non chiedo

molto, in fondo. Ditemi, avete mai

vissuto pensando controvento?

 

Firenze, 4 ottobre 2018

 

 

*

Essere

Quando sarai,

ricorda chi sei stato.

Essere è non dimenticare.

*

Gerbere

A mio figlio

Rivederti in una ghirlanda

di gerbere bianche. Parlarti.

Parlarti di questa candela

che di sera, ogni tanto, accendo

per ricordare al vento e al grembo

che l'amore, se è amore

vero, mai soccombe al battito

lento o prematuro del tempo. 

 

Firenze 19 settembre 2018

*

Marwan

Non amo la sera. Preferisco la

luce del mattino. Ma questa sera

così inquieta, da sembrare fiamma

di candela, non ci incute paura.

Non so dire cosa la notte spalmi

dietro la montagna. Quello che vedo,

ora è quello che vidi da bambina.

E questo mi basta. Di ciò che resta,

se qualcosa resterà del domani,

lo chiederò a Marwan, l'uomo della

panchina. L'uomo venuto dal mare

che scrive alle due figlie perdute

sopra migliaia di foglie cadute.  

 

*

Riconoscersi

Ci riconosceremo.

Rivedremo le nostre

vecchie mani sul ramo

del grande gelso nano.

Ci riconosceremo

come la vecchia porta

di casa riconosce

chi, per caso,  v'abitò

una notte d'estate.

Ci rivedremo quando

l'uomo sarà di nuovo

un uomo. Sai, è bello

ricordarsi del mondo

e vivere di nuovo.

 

Alessandra Ponticelli

Firenze, 10 agosto 2018 

*

Onde

Dove migrano le onde?

Due mani si aprono.

E'aria ferma o torrente

l'acqua che non s'arrende?

Un tempo, tra le dune,

s'alzavano altri venti.

Dove migrano le onde?

Non sono che nomadi

nidi le orme del tempo.

Nidi con molte impronte.

E queste mani, nuda 

terra che non s'arrende. 

Alessandra Ponticelli

Firenze, 25 luglio 2018 

*

Senza recinti

Ho colto un papavero

ha il profumo del monte

che, a ovest, chiaro sogno

ogni giorno. E' un monte

alto senza recinti

dove una donna conta

di notte, a bassa voce,

mille infiniti figli.

Ho colto un papavero.

Ha il profumo leggero

di un albero ibrido.

Mite, ibrido, albero

nato due volte libero

Alessandra Ponticelli

Firenze, 30 maggio 2018

*

Senza titolo

Guàrdati senza guardarti

ascolta senza ascoltarti

férmati, senza mai fermarti.

Difenditi; non armarti.

Scrivi, scrivi, senza rimpianti.

Ma, soprattutto, àmati

e lascia vivere gli altri.

 

Alessandra Ponticelli

Firenze, 11 giugno 2018 

 

*

Navigando

Se sentirai il mare parlare da solo

non dimenticare mai, ragazzo, quell'uomo

che navigando visse un solo inverno

chiedendo a Dio una viola e l'eterno.

Alessandra Ponticelli 

Firenze, 21 aprile 2018

*

Cielo di marzo

Ha un'ombra il cielo di marzo.

E' la luna. Una luna bruna,

sopra un immenso lago scalzo.

Ora dopo ora, l'acqua nuda

pesa e misura il mio viaggio.

Non so verso dove stia nuotando.

Conosco, però, l'eco estiva

dei venti, e il loro coraggio.

C'è un lampo nel cielo di marzo.

Lo guardo. Malgrado il silenzio,

malgrado questo vagare scalzo

di luna, che è solo passaggio.

 

Alessandra Ponticelli

Firenze, 27 marzo 2018 

*

Un piccolo ponte

Non puoi, poeta della notte,

nel chiaro di un pensiero,

generare un piccolo ponte

per metterci a riparo?

 

Alessandra Ponticelli

Firenze, 18 marzo 2018

*

Rododendri

Chiamerò mio figlio

perché venga a cercarmi. Mio figlio...

Se ne andò all'una di pomeriggio

in un tempo che non ha ammaraggio.

In un giorno d'aprile senza paesaggio.

Ora nella terra non posso vederlo, però posso sentirlo.

Forse se ne andò volando, quando

il rododendro fiorisce e tutto si fa bianco.

 

Alessandra Ponticelli, Firenze 13 gennaio 2018

*

Occhi

 

A mio figlio

I tuoi begli occhi neri

in quella nuvola bianca

dei miei oggi e di ieri.

 

Alessandra Ponticelli

Firenze 25 novembre 2017

 

*

Forse

Forse non fummo mare, ma solo sponda.

Forse un fumo lontano; un lembo di terra.

Fiumi. Fiumi immobili di quando il mondo ricorda

il freddo rovente delle guerre e la pupilla si serra

mentre da sud spira un vento caldo che tutto rammenda.

Fummo, forse, quel fumo lontano? Quel lembo di terra?

In autunno dicemmo: può accadere di tutto in una domanda.

Sì, perfino che il mare non sia più mare. Né il sole una stella.

 

Alessandra Ponticelli, Firenze 19 ottobre 2017 

 

*

Affacci

 

Guarda come si amano le ombre

sulle sottili vette indorate di verde!

A valle, intanto, una finestra si apre:

e nella mattina tersa viva mi appari, madre.

 

Alessandra Ponticelli, 3 agosto 2017   

*

Ai venti

A mio figlio

Ai venti, mai si arrese

quel tuo bacio rimasto in sospeso.

 

Alessandra Ponticelli, Firenze 6 luglio 2017 

 

*

Tacere

Tacere. E dare

vita, con un colpo d'ala,

a un pensiero pre-verbale.

Dov'è l'ignaro poeta

che confidò al mare,

al tempo, e all'infinito,

l'ignota parola da svelare?

Quanto a me,

come può una rondine senza nido

fidarsi ancora del maestrale?

 

Firenze, 12 aprile 2017 

*

Non serve

Non serve partorire parole.

Meglio andare. Porterò con me

una viola gravida di sole,

il primo libro letto, una lente.

La foto 

di famiglia in un interno.

Una pièce a scena aperta.

Non preoccuparti per la cena.

L'orologio in cucina è fermo

e non segna ancora le sette. 

*

Fiesole

                                                                                                   A mio figlio 

Stasera, in casa, c'è una luce di rose.

E in alto, oltre Fiesole, il tuo nome

è un lume appeso alle cose.

 

Firenze 26 marzo 2017

 

 

*

Luna

A mio figlio

 

Non ho nulla da darti,

se non una luna

che illumini tutti.

*

Oltreoceano

Scrivimi,

scrivimi prima che crepi la sera.

Non riesco a credere che sia vero.

Sembra che l'aria non ricordi

il suono acre della sirena.

Ricordi?

Ho paura dell'acqua quando sale alla gola,

e, oltreoceano, i muri crescono a dismisura.

Spareranno, vedrai,

spareranno ai loro figli.

Non riesco a credere che sia vero.

Scrivimi,

scrivimi prima che crepi la sera.

 

*

Non era estate

 

Il sole bruciava, e non era estate.

Se vidi l'amore di là dal vento?

Sì, ma non chiedermi niente.

Ho solo bisogno di sedermi un momento.

Non vedi come le Erinni hanno infierito,

furiose, sui miei incolpevoli anni?

Il sole può bruciare se non è estate?

Sì, ma non chiedermi niente.

Ho solo bisogno di riprendere fiato.

Ora, devo andare. C'è pace nell'orto.

Se il tempo volge al bello, coglierò le ultime renette.

 

 

*

Terra d’aprile

 

Lo vedi, figlio, il nostro amore?

Liberato dalla terra afona d'aprile

sale un respiro, e non vuol morire.

Respiralo, figlio! E' il nostro amore.

Che importa se, dai fondali,

agili e leste riemergeranno le nuvole?  

La terra, ora, è più lieve.

E l'amore, un bene indivisibile. 

 

Firenze, 17 aprile 2016 

*

In bianco e nero

4 aprile del '68.

Ti seguo dal primo banco.

Sulla lavagna, la tua mano bianca

scrive: "Ho un sogno".

La mia mano bianca, sul banco,

scrive: " Ho un sogno".

"E' stata una brutta giornata"

dici: "Una brutta giornata!"

4 aprile del '68.

Sulla lavagna, la tua mano bianca

sventola un gesso bianco.

Scrivi: "siamo tutti uguali".

La mia mano bianca, sul banco,

scrive: "siamo tutti uguali".

C'è ancora un bimbo, all'ultimo banco.

La sua mano nera, sul banco,

scrive: "siamo tutti uguali. Ma quando?"

Sotto i piedi, dura, una duna di terra bianca.

 

Alessandra Ponticelli, 24 marzo 2016

*

Punto e a capo

In autunno, vorrei essere un punto.

D'inverno, una parentesi o, forse, niente.

In primavera, vorrei avere più accenti.

Accenti gravi e acuti. E, anche, due punti:

due punti per andare a capo e vivermi accanto.

D'estate, vorrei essere la barra obliqua del poeta,

l'ombra della virgola non messa. Una lineetta.

D'estate vorrei essere un punto.

Il punto esclamativo del vento!

*

Sopra le colline

Dove andrai quando

le notti si faranno fredde?

Sopra le colline, tracciate a matita,

disegnai una luna troppo grande.

Non sapevo di dover lasciare spazi bianchi.

Non sapevo che i bambini

non sempre diventano grandi.

Dove ti riparerai quando

le notti si faranno fredde?

Il sole dice di non smettere mai di cercare.

Ci sarà posto, anche per noi, nel caldo delle verande

di una luna bambina che disegnai troppo grande?

 

*

I nostri vent’anni

Cosa furono i nostri vent'anni?

Sono parole che non so disegnare.

La palla volata via di mano,

una terra su cui posare i piedi,

venti che soffiano da altri continenti?

Cosa furono i nostri vent'anni?

Sono parole che non so disegnare.

 

 

 

*

Non voglio saperlo

Se un giorno non vedrò più il sole,

mio Dio, ti prego, non dirmelo!

Lascia che io lo veda con le mie mani,

se le mie mani vedranno ancora.

Se non vedrò più un filo d'erba,

mio Dio, ti prego, non dirmelo!

Lascia che io lo senta nel suo respiro,

se il suo respiro parlerà ancora. 

Se non vedrò più la poesia,

oh, mio Dio, ti prego, non dirmelo!

Io la dirò da sola, con le mie parole,

perché le mie parole ascolteranno ancora.

Se un giorno non mi vedrai più,

mio Dio, ti prego, non dirmelo!

Non voglio saperlo.

Cercami. Cercami nella mia assenza  

come io ho cercato te, ogni giorno,

nel vuoto duro della tua presenza. 

*

Tornano

La vita mi morì  tra le mani,

in piedi, sull'ultimo gradino.

Il prima, il dopo, la memoria?

Tornano...

Tornano sul far del mattino

nello squillo fresco dell'aria

quando si fa postino.

 

*

Ora è tempo

Ho bastonato la terra

fino a sfinirla.

Ora è tempo di costruire

la mia capanna.

Una capanna pigra

dove giacere di fianco.

Ho bastonato la terra

fino a sfinirla.

Ora è tempo di mangiare madeleines

e bere tè caldo.

Mi alzerò presto domattina.

Vi scriverò quando il sole

avrà varcato il confine.

*

Risvegli

Fuori,

un tintinnio di chiavi

annuncia arrivi e partenze.

Dentro,

il gemito lontano di un treno

risveglia imperiture assenze.

*

Spilli d’acqua

E' nato un fiore intorno allo stagno,

diradati e leniti si sono gli affanni.

Spilli d'acqua zampillano tra i muri,

e sulle facce grinze dei seccatoi.

Fuori, in un labirinto di pietre incerte,

stancamente, camminano gli anni.

 

*

Risposte

Dove vivono le risposte?

A volte le immagino vecchie,

con uno straccio in mano,

rinchiuse dentro case di pietra

a lavare in terra ferite di guerra.

Altre, invece, mi appaiono giovani,

chiuse in crepe di cemento in città,

senza alberi, dove crescono i figli

nel tempo che resta delle ore

 passate a vedere invecchiare,

nel rumore, un nastro trasportatore.

Dove vivono le risposte?

Io, sempre, le immagino donne. 

*

La notte

La notte lascia sempre

qualcosa di concreto.

Sognando, si acquisiscono

servitù reali, diritti effettivi

e, silenziosamente,

le illusioni si fanno cose.

*

Non mi hai illuso

Non mi hai illuso

dicendo: "ce la farà".

Dicesti: "bisogna sperare".

E io ho sperato mentre, lui,

appeso alle deboli gambe,

volava con occhi limpidi,

vivo, sui marciapiedi umidi,

sopra il pallore di cemento

e acciaio che balugina

nello sguardo incomprensibile

di questa città e, lontano, 

sopra decine di teste glabre

assetate di guarigione.

Non mi hai illuso

dicendo: "ce la farà".

Dicesti: "bisogna sperare".

E io ho sperato.

 

 

*

La speranza

Alla fine, la chiamai. La chiamai,

al telefono, la speranza. Era distesa

sul mondo e lo stava a guardare.

"Ne avrò ancora per qualche millennio",

mi disse. "Non posso lasciare".

Poi, una sera, una voce mi fece

uno squillo. Accettai di parlare.

Fu allora che la vidi arrivare.

 

 

*

L’oro della sera

A mio figlio

Di tante sfumature e tante altezze

si nutrono le ore. E ora come

di tulipani è l'oro della sera.

*

Come di cose

Non siamo mai pronti a morire.

Mai un giorno di sole fu notte,

nemmeno d'aprile.

Ma, oggi, la mente s'inganna

e, lucida, agli occhi usurpa

un velo bianco, di lacrime.

Calde. Come di cose vive, la vita.

 

*

Due mani giunte

 

Il narratore non è la storia

Il poeta non è la poesia

Il viaggiatore non è il viaggio

L'innamorato non è l'amore

Il navigante non è il mare.

Due mani giunte non sono il Signore.

*

Mi aiuterà il silenzio

Paura, poesia,  

di non poterti scrivere,

quando rivedrò mio figlio.

Ma se non mi sentirai,

non andartene. Aspetta.

Mi aiuterà il silenzio 

a narrare il miracolo.

Poesia, tu che sei ovunque, 

guarda, ti prego, in ogni strada.

Se ci sarà un bambino, in braccio

a una madre, ecco, allora potrai

raccontare di avermi ritrovato.  

 

*

Scala mobile

All'alba, in un'avemaria

assonnata d'ospedale

s'affida alla scala mobile,

tra tante, la tua mano.

Lontano, irrimediabile

il tempo della speranza.

 

 

Aviano, 20 marzo 2013

*

E il cielo si colora

 

 

C'è sempre un ragazzo,

all'una, di là dalla piazza.

E' un ragazzo nero.

Vende accendini e guarda il cielo.

E il cielo si colora. Si colora

del bianco pulito dei suoi denti,

del rosso intuitivo dei bambini intelligenti.

Del blu di un mare attraversato

d'estate e del nero freddo

di un altro inverno.

Del giallo luminoso della giunchiglia

frattanto spuntata sull 'insegna.

C'è sempre un ragazzo,

all'una, di là dalla piazza.

E' un ragazzo nero.

Vende accendini e guarda il cielo.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Parliamo

Parliamo. Non avremo 

più tempo, dopo. E se lo avremo 

ci mancherà lo stesso, 

quel tempo. 

Quel tempo consumato 

a rincorrerci o a seppellire 

speranze in campi assolati dal silenzio. 

Parliamo. Non avremo più tempo, 

dopo. Parliamo del solfeggio 

del sole, di un soffio di vento, 

dello stupore che ci coglie, ancora, quando

vediamo spuntare dal niente

un altro piccolo fiore. 

 

 

 

 

 

 

 

*

Voci di novembre

 

Sono stanca di voci

che non hanno pace.

E tra i cipressi schietti

anche il mio credo è fiacco.

Poi mi viene incontro una madre,

tiene in braccio un bambino.

E, allora, in quel vocìo io vivo

e muoio, a ogni verso del giorno.

Di te,

che moristi a primavera

con le finestre socchiuse.

Dei tuoi capelli rimane

l'odore  desto del mare.

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Alberi

 

Noi non siamo che alberi.

Alberi nati per caso da

un seme sguisciato dalle mani

o voluti, cercati

tra le viottole anguste dei vivai,

là, nel tacito via vai delle vermene. 

O sorti, lungo i vivagni più fitti,

dei torrenti dove si mantengono

vivi i pesci e scendono

a valle investiti da impetuose

e impietose correnti.

Noi non siamo che alberi.

Alberi svettati in un lampo dalle cantonate

e, come me, scampati al rigore di lunghi

interminabili inverni. O caduti,

come te, senza ragione,

nella stagione degli amori più belli.

 

*

Coniugazione

Non mi riesce proprio

più di vivere, oggi. Atterro.

E a terra il si è un do

e un sì un no.

Vivere.

Voce dolente di un verbo all'infinito

che non si può coniugare.

Nell'indicativo delle mie mani

anche i tempi certi

si fecero incerti.

Non me lo chiedere, Padre.

Non mi riesce proprio

più di vivere, oggi.

Che io sopravviva, forse.

Nel congiuntivo del mio domani. 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Padre

 

 

Ora, che tra i radi

 

cigli del sentiero,

 

algida

 

lampeggia la sera,

 

tu ti condensi, padre.

 

In canuta nube

 

d'alito caldo,

 

e sali su, curvo,

 

dall'erta costa.

 

Scordato hai la strada

 

e giri smarrito la testa

 

a sinistra, a destra... 

 

E, mentre mi vedi,

 

come salice piangi

 

di me

 

e del mio saliscendi. 

 

 

 

 

 

   

 

  

 

*

Sole settembrino

Un pigiama gocciola

dalla finestra rotta.

E' il pigiama a righe

di un bimbo magrebino.

Il sole bruciante settembrino

illumina una faccia intollerante

olivastra vergogna

di chi lo chiama "clandestino".

In un paese di svanita memoria

rimane solo il sole

a ricamare la storia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

*

Il bacio di Klimt

Se ci fosse davvero

nel bianco o nel nero

un po' di colore

una mano Klimtiana di luce

un tasto d'oro

un bacio in vivavoce,

sola, forse, non sarebbe

questa mia litania

che accompagna il tempo 

fobia assolata

di un recinto estinto

e stinto da una folata

repentina di vento.

 

*

Can-can

Pare una ballerina di can-can

stasera la città. Ancheggia 

tra un nido e un'altana

ora madre ora gitana.

Si sfila un anello

fasullo dalla mano,

guarda di sottecchi, 

saluta e s'allontana. 

 

*

Estate del ’93

E' questa la vita che voglio ricordare.

Una giornata di sole,

una  bicicletta,

io e mio figlio

lungo la darsena. A pedalare.

Un cane che ci saluta

abbaiando,

la frescura di un albero,

il silenzio del primo pomeriggio.

L'odore buono del salmastro

e il parlare tra sé

di una donna che passa.

E' questa la vita che voglio ricordare.

 

*

Allo straniero

Allo straniero, che passando

 

un giorno mi chiese cosa vidi,

 

oggi dico: vissi.

 

Vissi quando rivoli

 

di lacrime non bastarono

 

a lavare la cenere dei giorni

 

e vissi anche

 

quando sulla tavola

 

non c'era più pane

 

da dare né acqua da bere.

 

Non importa, straniero,

 

cosa vidi.

 

Io vissi. E oggi ti dico: vivi.  

 

 

*

Ovunque

                                                     A Vittorio

Ti amerò ovunque.                

 

E le tue labbra vivranno

nelle pianure,

sui monti, nel respiro dell'inverno

quando in un soffio

leggero di vento,

puntellandosi con le ali,

si abbandona al silenzio.

 

 

 

*

Che ne sarà?

 

Che ne sarà della terra?

Dell'uomo muto di Giono

che piantava, imperterrito,

alberi, mentre il mondo

crollava sgretolato dalla guerra?

Che ne sarà di me

della femme d'à côté?

Del mio bicchiere di lucciole

quando perfino il dolore,

muto, mi volterà le spalle 

dicendo: "non ho più voce"?

Che ne sarà di noi

ormai ombre distanti

che amavamo Camus

la  sua rivolta

e i nostri silenzi?

 

 

*

Non ti affacciare

 

Li senti?

Sono i passi della notte.

Come amanti

si baciano agli incroci

e sgusciano via lisci
dietro gli angoli insonni

delle case

lasciandoci qui ad aspettare
il tremolio del giorno.

Ma tu, amore,

non ti affacciare.

E da lontano, resta.

Resta vicino a me

ad ascoltare gli abbracci

che non ci possiamo dare.

 

 

 

 

 

 

 

*

Non avere paura

Non avere paura, amore,

e vola, vola libero

oltre le nuvole e le ore.

Ho preso io i tuoi occhi.

Li ho rubati

alle bieche luci artificiali

quando nessuno,

nessuno, nemmeno Dio vedeva.

Non avere paura, amore,

sono miei ora. E ora è sempre.

Ma tu, ti prego, vola, vola libero

oltre le nuvole e le ore.

 

*

Chiedilo

Quante facce ha questo giorno.

Ma ci sarà ancora

un altro giorno, figlio,

per accogliere il piangere

zitto delle foglie,

i tuoi perché lucidi e brevi?

Chiedilo.

Chiedilo a Dio

quante facce ha questo giorno

che continua a nascere,

e ci illude, mentre dentro muore.    

*

Madre

Nel caos fine delle linee

spunti madre e ti fermi

lì, tra l'esangue luce di fuori

silente sul bianco antico

della porta di ieri.

Una bambina sogna.

Sogna e dondola

aggrappata forte alla maniglia

solida di un porto.

Ti prego dimmi, madre,

cos'è quel punto che ondeggia al largo.

Una barca di carta o una nave?  

 

*

Regali di Natale

Agli amici regalerò la prima luce del mattino

ai bambini i sorrisi di mio figlio

ai padri la carezza di una madre

alla madre quella di mio padre.

Ai vecchi regalerò un foglio e una penna

ai giovani un orizzonte da colorare.

E così sarà Natale.

*

Partenza

E' buio.

Non partirò all'alba

freddata dal fuoco

di un pavido cacciatore.

Né mi coglierà

la sveglia contadina

curva sulla gramigna.

Non partirò

neppure la sera

assopita nel ventre

tiepido del tramonto.

Partirò col sole,

a testa alta

mentre la madre mangia

il bimbo dorme

e la luce abbaglia.  

*

Un battito d’ali

Scruta l'orizzonte.

E' lì che muoiono

gli inverni gelati.

 

Le ferite aperte

nei corpi straziati

le ombre inquiete 

dei vicoli ciechi.

 

Scruta l'orizzonte,  

e rallegrati.

Rallegrati del tuo

piccolo, ma vivo,

battito d'ali.       

*

Cosa mi rimane

Penso all'uomo 

che non vede il cielo

e rimira il mare

e mi chiedo:

cosa mi rimane? 

 

*

Mi ricorderò di te

Quando vedrai il fiume tacere,

l'albero sgranchirsi

al sole della sera

e il vento bisbigliare

a un mendicante di volare,

pensami. E io

mi ricorderò di te.

 A.P.

 

*

Edera

Eppure mi somigli, edera,

che non sei edera

ma una vite, che dico,

una vita che s'arrampica libera

impigliata alle ringhiere di fronte

alle muricce olivastre di sasso. 

Sì, mi somigli, edera

che non sei vite

che non sei edera, 

ma una vita tagliata

che pianse

e piange mentre si fa sera.

*

Dove morì il tempo?

E mentre inciampo

dimmi, Dio.

Dove morì

il tempo?

 

E le ore?

Dimmi,

dove morirono le ore,

i grembi accoglienti,

le giovani madri

assetate

di acque sonore?

 

E i minuti?

Dimmi, Dio,

dove morirono i minuti?

Erano, forse, i mille soldati

partiti

e mai ritornati?

E mentre inciampo

dimmi, Dio.

Perché morì il tempo?

*

I nostri monti

                                                                                  A nonna Ginetta

C'è una bell'aria stamani                                           

un lenzuolo bianco di lino

qui,

sulla muta piana di Campaldino.

Due labbra baciano la collina

mentre l'antiche ombre dei morti 

rapide

risalgono i nostri monti.

*

Se passerai di qui.

Se passerai di qui, fermati.

Fermati almeno un istante.

Ci sono sempre i tuoi occhi

chiusi nel cassetto bianco

e più giù,

fissate dal gaudente Balzac, 

le tue  Converse nuove, mute,

rimaste lì, ancora annodate dallo stupore.

Se passerai di qui, fermati.

Fermati a salutare questa vecchia

giovane madre

che non ha più lacrime né parole

che vive in bilico su un filo

come un acrobata senza nome. 

*

Vivere voglio

Avanza il giorno

in punta di piedi; qui,

sull'orologio plumbeo

tintinna limpido

il bacio che ti diedi.

Uccisa, muore l'ora

del ticchettìo fatale.

Fermati, non riandare.

 Sì. Vivere voglio,

nel bene e nel male.   

*

Una notte di Rimini »
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*

L’attesa »
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