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Raccolta di poesie di Amina Narimi
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Molta notte di una donna

Molta notte di una donna è una preghiera  
tra le rocce e gli animali.  C'è silenzio. 
Nell'inchino piccolissimo e continuo 
lei sale luminosa come un uomo 
raccolto nella gioia di venire 
cantando nel  respiro meraviglie.
 
Un andare con i passi trasparenti
in uno spazio immobile al pensiero 
dove i chiari dentro agli occhi sono macchie
di avi che si tengono per mano.
 
Una luce nella luce di uno stare 
sapendo che un Dio tace
__________________ cosa accade.
 
 

*

Ogni coppia è un angelo

Se alza tutto l'universo in un ricamo,
sulla pelle un pulviscolo di segni,
ogni coppia è un angelo, io credo,
la spirale che dolce si raccoglie
quando tornano alla tana gli animali,
che rilega le teste dei bambini 
con le braccia che scintillano di storie
 
fra la carne di tutte le risate
l'idioma è il solo schiocco fra le labbra
sprofondate nella mandorla del mondo.
 
Così è l'angelo
e ogni volta che va via
con le ginocchia nere dell'infanzia
ha celebrato un altro giorno nella stanza
degli uccelli che dormono tra i fiori.

*

La grazia della cenere

___________ Un solo lume 
___________ oscura tutto il mondo 
___________ Tu lo rischiari 
 
Un ceppo di quercia
la conca del vino
perché domani era il giorno del pane
dei bimbi bendati intorno al camino 
a batter le molle per le sorprese-
con l'Ave Maria sopra le labbra. 
 
Per nonna era il giorno dei resti 
del fuoco
alla terra, nel buco al campo del grano,
un piccolo pugno per le tempeste.
L' ultimo scampolo, il benedetto,
andava a riporlo in un luogo segreto.
Lo riaccendeva al grandeposto
per dare forza e chiarezza alla nascita
dei suoi germogli, i bachi da seta. 
con il ritornello di narinzemi:
 
"Al mare  lascia le sue maree, 
ad ogni stufa un largo d'aria
e a noi  la grazia
di questa cenere" 
 

*

Haiku

 

Un pane caldo

taglia l'inverno a metà
Epifania 

*

Nell’umida coppa dell’ epifania

Disciolta la mussola coi resti del pino 
ora arde il ceppo dei dodici giorni -
la calma è il passato nella tormenta
fra  l'hora lunga del nostro velo
e il libro d'ore, antica vigilia. 
 
Il respiro maggiore, il grande assente, 
fiorisce da solo come una rosa,
la saracena non genera, nasce,
e il suo favore, che tu chiami profumo,
trapassa le cose poi si disperde
e, non senza prima averci sfiorato,
si chiude di nuovo in altro sonno.
 
Una sola fiammata nel piatto per cena
dove la luce non serve alla vista
dissolve l'ombra nel buio degli occhi
cantando un adagio prima del volo
nell'umida coppa dell'epifania
 
con la stessa dolcezza del biancomangiare 
quando sgorga dal seno per un bambino 

*

Io ti starei in pancia , figlio mio

Io ti starei in pancia,
figlio mio,
appoggiata al cuore sacro del tuo nome-
con lo sguardo stupefatto e senza peso -
giacendo indistinguibile e morendo
come l'agrifoglio per la quercia. 
 
E’ mattino pieno nella notte
dove andrei se avessi voce
per Natale
non conosce tregua nel respiro
la mano che bisbiglia e ricomincia
dal silenzio al rosso della festa.
 
Lo sguardo nudo 
che solo porto in dono
è una luce rovesciata piccolissima
che ti sente deglutire 
ad ogni passo
per essere ogni cosa
quando cresce.

*

Il silenzio e sacro vuoto del Natale

Saremmo morte senza l'ombra del dolore
che ci ha messo sulle spalle le montagne,
che ha condotto dalle celle della vista
ai monti benedetti le ossa cave.
 
La strada danza nel piccolo salterio
del fiume di portata e la sua voce 
va nel respiro quieto che ha un  bambino
quando dorme nella stanza accanto;
 
ripentendo siamo salvi al posto giusto
siamo mondi ancora insieme
siamo casa
di una giumella semplice che attende
il silenzio e sacro vuoto ____
____________  del Natale.

*

Come va con il dolore. bellaluce

Come va con il dolore, bellaluce?
 
Solo resti di aridi grigi e fennec.
Cade meno di un millimetro di pioggia
su questo viso che non piange
tra i licheni sofferenti è la bianchezza
della molta sabbia, 
un vento forte.
 
Tu sai dov'è il principio di un'iride dal nulla
ancella e testimone di altre terre;
basta solo cantare all'indietro
segnando le corde per nodi.
Così corre la faglia, lungo la crosta,
dove vanno a finire le cose
se nell'urna più leggera che conosco
vive un mareaperto tutto in fiore.

*

Trenta petali ( haiku )

Le perle azzurre 
non raggiungono riva
Un'ama piange 
~ ~ ~
È solo l'alba
Sfiorita ogni rosa
prima del sole
~ ~ ~
Come sprofonda
in un mare impotente 
ogni radice!
~ ~ ~
Mille occhi spenti
sotto il cielo stellato
in fondo al mare 
~ ~ ~
 
Trenta petali
La Damascena è nuda
nell'agonia

*

L’assoluta

Lo sanno le sue mani dove sono,
dove sono nate le farfalle
tra i pezzetti di una mela luminosa
piena di grazia e simile a un vapore
che il silenzio ha formato nella bocca
quando preme per tornare con il seme
sull’albero da cui si vede il mare.
 
Lo sanno le sue mani dove sono,
e come sono nate le farfalle
dalle vene luminose degli sposi
per condurre insieme i loro anelli
a far l'amore con l'essenza del linguaggio
anteriore ad ogni lingua sulla terra
 
per tornare coi lumini sulle dita
nella dimora preferita, l’assoluta
 
con la fragilità che io immagino degli angeli
quando spostano tra i fiori un buio d'aria.

*

Molta notte di una donna è una preghiera

Molta notte di una donna è una preghiera  
tra le rocce e gli animali.  C'è silenzio. 
Nell'inchino piccolissimo e continuo 
lei sale luminosa come un uomo 
raccolto nella gioia di venire 
cantando nel  respiro meraviglie.
 
Un andare con i passi trasparenti
in uno spazio immobile al pensiero 
dove i chiari dentro agli occhi sono macchie
di avi che si tengono per mano.
 
Una luce nella luce come  stare 
sapendo che un Dio tace cosa accade.
 

*

La candelora

Fedele al centro
insieme dilatata
vestale di ogni  stanza
ancella dei ricordi
trema la tua luce 
e tutto il mondo trema
se la tua fiamma è in fiore
anche l'acqua va alla gioia 
 
Tu sai morire bene
ritirandoti nel sonno
dove la rosa attende
fino alla nota pura
 
la candelora.
 

*

Noi crede

Noi crede al riflesso sulla vera dei pozzi, 
quando rotola via con gli anelli dell'acqua,
al bambino che posa la mano per terra
per dire rimani al grandeposto.
 
Noi crede nel viso che si magenta
quando offre la stanza più disadorna, 
al buco scavato per dare alla luce
il bisso che lega le figlie dei gelsi.
 
Noi crede alle ciotole
quando si spezzano, 
perché si affidano a un nuovo sorriso.
 
Alla mesa, noi crede, al terriccio, alle albere 
che chiudono il seme, protetto dal gelo.
 
Noi crede nel verbo abbacinare,
quando entra nell’aria mentre ti scrive
della voce che viene dalla  celesta
 
mentre sprofonda con tutte le ossa
nella fiamma che torna dove fa buio.

*

La grazia dei resti

                                                                  Un solo lume
                                                                  oscura tutto il mondo
                                                                  Tu lo rischiari
Un ciocco di quercia, la conca del vino.
Domani era il giorno del pane
dei bimbi bendati intorno al camino
a batter le molle per le sorprese-
sulle labbra dorate l'Ave Maria
l'Ave Maria del Ceppo.
 
Per nonna era il giorno dei resti
del fuoco, il suo grandegiorno;
una buca al campo del grano
un piccolo pugno per le tempeste
e l'ultimo, il benedetto,
riposto in un luogo segreto.
Lo riaccendeva per dare forza alla nascita
dei suoi bachi da seta.
 
Al mare le maree, ad ogni stufa un largo d'aria
a nonna il miracolo della cenere.
 

*

La noce d’oro

Sei venuta nel sonno senza sogni
fasciata di nero e d’azzurro.
Le spalle coperte dal vento.
 
Resta ancora un lembo alla Certosa
una strada sottile 
nel giardino del corpo
con le rughe gentili e le mani
ultimo segno di religione.
 
Quanta calma nel petto conduce
dove i nomi hanno mesi bellissimi.
Diventa un pane
dietro il velario
                   la tua Noce d’oro.
 
Amina Narimi
 
Cristina Campo diviene invisibile nella notte tra il 10 e 11 Gennaio 1977.
Vive nella terra della Certosa di Bologna.
Oggi sono stata da lei.
 
"…Credo del resto che questo tempo di prova sia una cupola inarcata su tutti, sia iscritto infine nella carta del cielo che dovremmo veramente, per durare, tenere tutti la mano,
con pensieri di luce.."
 
Cristina Campo

*

Una sola giumella apre gli occhi

Nessun ricovero al boscovecchio
disadorne le stanze nel freddo.
Una sola giumella apre gli occhi
offrendo il miele dell'aria;
nel mantello l'annunciazione
di tutta la primavera
e sull'isola al centro del cuore
il più grande amante, il sole.
 
Anche tu, gigante della brina,
ti sciogli in tenerezza,
se non osi nemmeno sfiorare
l'ombra lunga della sua coppa -
lì dove ha preso rifugio
il benandante dal petto rosso
e nella sua timida bocca
cinque rune del biancomangiare
per profumare la sposa.
 
 

*

Arde il ceppo per dodici giorni

 
 
Arde il ceppo per dodici giorni. 
Lunga vita al cedro!
Un limone andaluso
brilla al centro
di un arcobaleno
invisibile.
 
 

*

Prima del sole e con gli occhi bassi

Prima del sole e con gli occhi bassi
carezza il vischio che non tocca terra 
pianta un'albera per il nuovo nato
e con le mani ferite dal ginepro 
con l'amaro dei suoi frutti sulla lingua
fa un rametto nella stalla per le bestie.
 
L'amore non può chiudersi
come impara a fare una ferita;
la morte piccola
che ha preso l’anno vecchio
è il nostro frutto
in cui ha avuto amore,
e quella grande
che ci portiamo dentro
è la sua luce
che va bevendo il succo.
 

*

Eccomi

Così raro vederla alla finestra.
Nulli i suoi piedi, i polsi leggeri
di chi tiene l'inferno per sé
e dona agli altri la luce 
il passo di chi è tornato a casa -
tutto raccolto nel lieve tremolio
di una lampada
compagna della soglia -
 
appena il sottovoce di un adagio,
la sua grazia, 
segno puro e nudo di una mano
bianca, tra nota e nota,
nel ritirare dal freddo il suo plumbago.
 
Se la più debole delle radici la trattenesse -
uccello dell'anima -
come a una chiamata
la risposta all'indaco sarebbe un solo 
eccomi;
 
un dire per l'ascolto
un volto che prega 
di rifletterne un altro
nella polvere del pozzo
invisibile al suo principio.

*

Un raggio lieve

Un raggio lieve
tocca la brina e il fiore
si apre alla gioia.
 
Nell’adagio di un’hara accogliente
sono mani che accolgono un pane 
ogni volta che il fiato risale
dove aderisce la luce.

*

Ogni luce nel petto dell’uccella

                                                                                         A Luc Laudja
                                                                           Un autore di questa casa luminosa
                                                                                                    che si è reso invisibile in questo tempo
                                                                                                           dove rimane prima degli occhi 
 
Ogni luce nel petto dell'uccella 
tra i verbi all'infinito 
voleva: partorire
con la stessa mano aperta di un bambino,
le sue gambe 
quando spingono nell'aria 
in cerca dell'uscita fra le cose.
 
Quella stessa mano si è raccolta
dove la voce è il gesto del respiro
sulle nostre ginocchia coronate.
 
Amina Narimi

*

Stellario e umile custode

Stellario e umile custode
la tua mano vuole solo respirare
sporgersi nel vento se cammini 
con l'alba dilatata in fondo agli occhi
eseguire i cruciali della cura.
 
È la spirale del nibbio a dare vita
dove hai disteso la famiglia -
il luogo naturale di tutte le partenze - 
un posto buono per restare:
le fontanelle aperte sopra il capo 
e il tuo mantello da montagna 
saranno il buco nero
quando s’inclina 
nei coni della luce.
 

*

Ogni coppia è un angelo

Vanno ancora insieme i due sorrisi 
in una sola e lunga lana azzurra -
benandanti i loro piedi 
antichissimi cervelli silenziosi
sprofondati nella neve;
 
sui capelli d’argento una canzone 
" nasceranno dal tacere sulla felce 
due fiori, senza fiore, ricongiunti
 
perché un bimbo sta scrivendo sulla terra 
ogni coppia è un angelo
che ascolta" .

*

Anche qui, di notte, arriva la pace

Calme le sue ossa
inesauste nel'attendere.
Anche qui, di notte, arriva la pace -
sacerdotessa dei fiori -
esile e tremolante apparizione
pronta a sparire a spostarsi.
 
Anche qui, di notte, arriva la pace
il pasto azzurro
nell'angolo sacro della casa
latte per i calmicchi
via lattea per gli uccelli.
 
Questa la forza questo lo scandalo,
il canto ininterrotto del suo fumo bianco
sulla soglia dei due mondi
sempre umida del cuore.
 
Questo puoi fare
nella stanza più disadorna
pietra e carne -
scolpendo un ederlezi dal dolore
abbeverarti del suo primo sale.

*

Rayuela

 
 
Una barca piena d’acqua poi l’azzurro
dei fiori misti a foglie con il vento
di una mano sopra ai fianchi, al mio risveglio.
 
Dove il nocciolo del suono ricongiunto,
nella ghianda che precede le parole,
camminava con la voce rilucente
nel miracolo salato del tuo mare,
apre ancora la sua carne il mattutino;
 
vita e nome sulle labbra come figli
di un’ estate che accompagna la salita 
sul bisso innamorato dell’autunno-
 
con un filo di acquafitta dentro agli occhi
come l'imperfezione del tappeto
che dona il vuoto sacro alla rayuela.

*

Meryem Ana Evi

 
È salita celeste
la leggerissima
come una felce che sta per fiorire
sulla collina degli usignoli.
 
Alla Pasqua d’estate hai toccato la roccia
del sonno sacro di quella bambina,
con gesti piccoli e silenziosi
il vuoto magnifico della sua tomba.
 
Sulle spalle del muro bianco di offerte,
discese adagio le nostre promesse,
si è nascosto il respiro dentro il salterio.

*

Nella rocca splendenza dell’hara

Io credo tu sia un benandante 
per donare così tanto flutto
tra le palpebre adorne di sale.
Io credo tu sia un benandante 
che ha mangiato le notti col cuore 
per aprirsi nel giorno più bello.
 
Non so altro della tua grazia,
so che porti acquabuona al mio fiume,
alle more raccolte nei fossi.
E lo dici senza una voce
lasciando tremare le mani.
Nella rocca splendenza dell'hara
 
il tuo nome genera l’ombra
come fa ogni albero grande
quando tiene le cime nascoste
nella giumella del cielo.

*

Se conoscere è fare l’amore

Se al profondo dolore di un pianto
fai seguire un  grido di gioia 
il suono rimane lo stesso
 
generando la voce più bella.
Dall’esistenza alla vita
è un gran giorno anche la notte
 
se conoscere è fare l’amore 
oltre il muscolo largo e sottile
che separa l’addome dal petto.

*

Il suono antecedente . . . l’avverbiale

Tenemmo fermo il petto alle  ginocchia,
per scambiare l'appena immaginabile
che prepara la prima glossolalia,
ricostruendo  immagini per gradi
per luogo di ferite e di servizio,
nel viaggio più notturno. Nella gola
 
mutammo il nostro carcere in un germe,
in un agnello liquido e fecondo,
ricettacolo, infine, benedetto
nostro compassionevole gemello.
 
Per pudore, con un fremito, tacemmo
che nel verde del sinoplo vive il rosso
dell'uccella nascosta dentro il seme.
 
( Se ci passi sopra gli occhichiari
puoi sentire ancora le incisioni della selce, trasmesse dal respiro, 
sulla roccia amante dei licheni.)
 
Fu allora che spruzzammo, 
_____________ con la bocca 
 
come piccoli strumenti per il fiato
che s’accordano l’un l’altro da principio
al suono antecedente
 l’avverbiale.

*

Benedetta giumella delle carezze

Ferita sacra il tempo che resta
nel corpo stellare
___________ la valle è sospesa.
L’eco risale di un lento respiro
l’altezza di un'albera,
___________ il peso di un pane.
 
Non c’è più nulla di misterioso
nella tua assenza. Nei giorni ventosi,
le rughe sottili della tua fronte
fanno rayuela,
disegnando una mappa
coi grani semplici del nostro anello
e sono ben più di un luogo soltanto
come era il papavero in cima alla rupe;
 
si scambiano il caldo dentro le mani-
le spose del tempo, della perfetta-
benedetta giumella delle carezze
con dentro qualcosa che accade che dura
per quel destino che chiami sorriso.
 
Acconto a quei pochi centimetri sacri
si è arrotolata tutta la vita,
la sua sorgente, il cordone d’argento
per l’ultimo eccomi
e antico principio.

*

Nella casa del pane occorre fame

Conducevi il bestiame ai falò
il grande cervo alla sua sposa.
 
Nella casa del pane occorre fame
e il frutto sacro delle ossa cave
sarà l'ultima pelle che si accende
della  stessa speranza di Noemi 
verso  il canto  tenerissimo di Ruth;
 
così la fragilissima che siamo
diverrà quel sasso morbido nel pozzo,
che rilegato al bisso del dolore 
risale dal tacere delle piume  
al sublime canto delle uova.

*

Il vento solare di Lucy

Che vento solare Lucy!
 
Cercavi terra nata di recente,
con le braccia affondate nel lino
tra i verbi all’infinito,
più di tutto,
volevi partorire
con la stessa mano aperta di un bambino
 
le sue gambe 
quando spingono nell’aria
lo scatto del respiro
in cerca dell’uscita fra le cose.

*

La sua prima voce di aprile

 
 
È un'erba sottile, non ama le altezze.
Così raro distinguerla al balcone
dove allietano l'ombra gli uccelli
di una veste che immagino leggera;
 
la sua prima voce di aprile
si confonde al tremolio del gelsomino,
come un nido che va alle sue nozze,
nell'adagio e tutta la grazia
del chiaro che dona ai miei occhi.

*

Col bisbiglio di una piccola ederlezi

Col  bisbiglio di una piccola ederlezi
confuso tra la corsa ed un inchino
mi raggiunge il suo sorriso sotto casa 
al centro esatto di ogni settimana.
 
In quell'unica notte dai fiori dormienti
una luce infantile magenta il mio viso
sul terrazzino la stessa canzone
che benedice il plumbago in silenzio.

*

Obbedisco

Obbedisco -
Il fiume copre il suono della voce
di una  coppia che prega radunata 
intorno al pane sbriciolato per i pesci
sul mantello verdechiaro di una pozza.
 
L'ingenuo movimento delle labbra
della donna inginocchiata mi commuove
quando un largo d'aria l'accarezza 
sollevando il velo dal suo capo.
 
Una rosa sulla fronte prende vita -
all'improvviso di bellezza,
abbasso gli occhi
una piccola conchiglia si è confusa 
col fiume di portata e la sua luce,
mutata in linea_alba, 
copre il ventre.

*

Dobbiamo essere meravigliosi

Dobbiamo essere meravigliosi
traslucidi fino a divenire
nebbiolina argentata in mezzo alla luce 
dell'occhio oltre la tela,
trasparenti, uccelli nell'uccello 
con le antenate di ogni passo, nostre orecchie, 
che si  librano nel ventre di una madre 
visitata dal sole nella bocca
 
che nell'ora più preziosa dell'incontro
col midollo del suo utero splendente 
ripete chi non perde la sua vita
non fa salvo quel respiro che si versa 
 
sulla soglia sempre umida del cuore.

*

il sonnoazzurro

Dove è imprevedibile l'incontro
e solido il silenzio dove prego
come un morto appena nato
noi ti aspetta
per dire centomillevolte insieme

le parole più corte sulla terra.

Fra le stesse consonanti le vocali
luce dopo luce sono nuove
se ogni coppia è la rivelazione
che ripetere è il trapianto dell’amore
dove posare il capo ed una yurta
con la ferita al centro del mistero

il sonnoazzurro che ci accarezza il viso
che ripara il nostro pozzo benedetto.

*

Il vuoto meraviglioso

 
Con le braccia lievi,
le mani appena inclinate,
sfioravo l'alburno celeste 
fra la terra del boscovecchio.
 
Il bambino si è ritirato
dentro il mantello di rose
la radice della madonnina
per la semina della sua luce.
 
( Ho pregato tanto ai suoi piedi pulendo il suo volto dal fango,
il bambino dai sassi appuntiti;
strofinavo la veste, i suoi fiori,
pregavo finché luccicava
mandando il mio viso alla gioia. )
 
Oggi il vuoto meraviglioso
della sua piccola tomba
magenta una lunga preghiera 
in una lacrima sola.

*

La casa respira, chiude gli occhi e ringrazia

La casa respira
chiude gli occhi e ringrazia.
 
Al centro del corpo le lacrime hanno
la veste azzurra coi fiocchi di neve -
bambini di luce che portano in giro
i riccioli neri fra i baci del vischio.
 
La casa respira
chiudo gli occhi e ringrazio
le linee profonde del tuo palmo chiaro
l'invito a fare custodia del pane
e muto il canto del biancomangiare -
nella penombra delle mie mani
la perfetta più esatta e dolorosa
la china per sempre sul tuo respiro.
 
Nostra vigilia e tana d'uccella
farò l'anno nuovo, sul tuo libro d'ore
passando le dita a vicenda negli anni
con l'hora lunga del nostro velo
 
finché una bambina entrerà nella gola
dal bosco vecchio
______________ andando alla gioia.

*

Oltre le cime

( ... ) 

sembra soffrire anche lui,
il cielo,
ha sciolto i capelli nerissimi
nel più intimo dei luoghi di una madre che ha perso la sua luce 
e oltre le cime 
si raccoglie nel lucido mistero
di un grande uccello che attraversa il mare
 
col respiro quieto di un bambino
quando dorme nella stanza accanto.

*

Due ombre sottili di ogni colore

Il tuo vento leggero ha sospinto i miei passi
nell’anno nuovo del pino rosso,
dei suoi germogli pronti a salire
con una candela in fondo al cielo.

 

Ognuno avanzava indivisibile
da un senso largo di religione;
un’unica immagine era presente,
vissuta e insieme tutta natura:
due destini nel bosco che fanno la legna,
due ombre sottili di ogni colore,
con un semplice adagio sopra la bocca:
come è stretto, qui, dove ci amiamo
e il silenzio posa, con cura, i suoi semi –

 

come sposi gemelli che vanno ugualmente
e con piedi diversi accostando la luce,
a manciate, in mucchietti, infine montagne,
per salvare il magenta al sorriso divino
fra le ossa cave dei loro bambini.

*

Il vento favorevole sull’erba

Quando il vento è favorevole sull'erba 
accompagno nel pratino la mia sposa 
e ti amo ogni sera fedelmente.
 
Non è solo una voce che viene
nella gola raccolta a splendenza
vive l’ombra di quella bambina
che sta sulle punte, nell'hara
 
una nuvola carica d'acqua
nel momento di offrirsi alla terra,
la profonda dilatazione
da una lingua infantile all'infanzia
del suono più antico del mondo.
 
Con la luce di chi vive al buio
è questa lunghissima vena,
fra il sesso e la compassione,
che dona il suo corpo all'amore-
 
facendo di lui un sacerdote
fra pozzi di suoni e destino.
 
 

*

Un rivolo sul capo

 
Non è mai stato lento o maestoso
il suo passo verso il mare,
fragile torso di neve,
con i suoi resti con le sue ali.
 
La credo un angelo
fra i cespugli neri,
uno che cade,
nel cristallo più sereno
del dolore.
 
Una vertebra si sfila dal silenzio
di questo mese caldo del congedo
tesse un bozzolo sul viso
con paziente ostinazione
 
l’ultimo toccarsi
- carnale e delicato-
è un nodo della luce
un rivolo sul capo.
 
 

*

Come fa un mattutino al sì di Maria

Una bambina ha fatto rayuela
al centro dell’hara, la nostra mandorla.
Brucia la polvere delle domande
rinfresca le bende posate sugli occhi;
 
la sua postura è un acconsento
il grembo aperto nelle sue mani.
Un albero solo mantiene la schiena;
 
così è la fiamma di una candela
che accende da sola le altre sorelle,
una segreta che libera il cielo
che scende a bagnare le fontanelle
con un’onda di riso, di bestie e pianete
per ogni corona sulle ginocchia.
 
Ho pianto insieme alla resina d'oro
del solo albero lungo la schiena,
passando le dita a vicenda negli anni
per la viabella chiamata dolore
 
e quando la gola si è stesa per terra
alzando la neve dal libro d’ore,
un ederlezi fra le giumelle
ha deposto le uova nella buca profonda -
 
come fa un mattutino al sì di Maria.

*

Il sigillo dell’angelo

Credi davvero che l’uomo, da solo,
abbia inventato la ruota e gli attrezzi,
o le ceste intrecciate? Lungo i pendii
rotolavano pietre e i pettazzurri
tessevano nidi prima di noi.

 

Forse entrò un angelo, un antenato,
da un’albera o un orso, dentro la vita
posando un’immagine, al centro del cuore -
la più duratura -poi piano scomparve
dietro l’amato mistero di Huldra.

Fu come un’aria nel pane che lievita,
un fuoco che illumina un punto preciso
tra la mano e la pietra che viene scolpita?

 

Io credo al sigillo che abbiamo impresso
tra il labbro di sopra e la conca del naso,
al lento inchino di un vento sottile
che tenne acceso il lume votivo
tra il volo dei pesci distesi nel cielo
e le uccelle bagnate dall’onda del mare

 

dove i bambini, nostri gemelli,
scesero in cima alle ultime voci
con una lacrima, sola e perfetta,
restituita agli occhi chiari.

 

*

Mia lucida madre fra i girasoli

Ti guardo piccola  mentre cammini, 
vicino alla casa delle formiche
bisognosa di un luogo tutto concreto
di un corpo abitato che sia visibile. 
 
L'intera realtà è così delicata-
e tanto pesante l’immaginazione-
se la trattieni fra le tue mani;
 
non esiste un confine 
quando succhi le dita 
agli anelli ancestrali con dentro dei soli
col fiato benevolo
che viene dagli alberi
chinando il capo di sera in sera. 
 
Mia lucida madre fra i girasoli
ti seguo leggera e innamorata
dei fragili azzurri dei nuovi capelli.

*

Benandanti

 
 
Dalle radici si fanno grandi  i rami.
Ma quando vanno in cielo troppo presto
non c’è nome per la madre che rimane
nell’ascolto dell’alburno sempre vivo-
non è un orfana o una vedova- io credo
nello stabat che rimane, che acconsente;
 
loro sono insieme pietre dure
e uccelle che si alzano nel nulla
sono semplici giumelle queste madri
che fanno un nido folle per la gioia
del più piccolo respiro della polvere.
 
Io le chiamo benandanti
e se ti accosti
la sillaba mancante è l’architrave.
 
 

*

Con lenezza e devozione

Con lenezza e devozione
tra le andane del fieno di maggio
la preghiera si è fatta improvvisa
come il pianto di un bimbo che cade;

 

un crepuscolo appena di versi,
un respiro inconscio e dolcissimo
che la luce non vuole turbare
fingendosi in mezzo alla nebbia.

 

Solo questo rimane di lei,
Il fresco sopra la bocca,
e l’amen più primitivo.
Con la nostra cinigia negli occhi

 

abbassati e sommessi, fratelli,
faremo ritorno al capanno
e finita l’estate saremo
insieme a tutte le Pleiadi

 

saremo ciò che Noi vede
nel suo riverbero muto
dove l’inno e il più sacro lamento
vanno insieme alla gioia.

 

https://www.youtube.com/watch?v=zowy6bEJ8Po

*

Cinque ninive alle sue braccia

Un'orchidea danzatrice arlecchina,
una camelia rossa, 
l'azzurro del gelsomino
da un lato, 
dall’altro la vite di giada 
con l’udumbara fiorito.
 
Cinque ninive alle sue braccia
intrise col pane di tante notti :
il piccolo salterio avuto in dono
e un rametto levigato di sambuco. 
 
Le sue mani ora vivono in penombra
le ossa cave riscaldano  il midollo;
ma ricorda l'acquabuona e il largo d'aria
della tua impercettibile preghiera -
di quando ti calavi nel cobalto
legando i fiori piccoli alla luce,
e alla cime un’urna tiepida di pigne -
 
colmando il vuoto,
così  nitido fra noi,
la volontà di amare indivisibile.

*

L’eccedenza della vita

 

 

 

azzurra

*

Ti credo in profondo una sposa

Lo splendore del grano al tramonto
disegna nell'aria il ricordo
dei pesci che mutano in fiore.
 
Era a questo che andava il tuo viaggio,
coi bambini sopra le spalle,
aderenti, in cadenza, ai tuoi piedi.
Per quelle gocce dorate piangevi,
più che parlare, svelando
un sorriso con gli occhi di fame;
una fame originale
di chi mangia ogni cosa con gloria
sia pure una crosta di pane.
 
Non potendo pregare, pregavi
bisbigliando dei gesti sui fiori,
e se usciva una rosa più chiara
sembrava l'avessi riavuta
quale erede di lunghi silenzi -
 
come una sorgente che ignora
il proprio destino scendendo,
ma il continuo scorrere scava
riempiendo ogni vuoto di luce.
 
Ti credo in profondo una sposa
da sempre presso il suo sposo,
nell'unica forma, l'unione,
e disposto a questo soltanto,
senza aggiungersi mai.

*

Lungo il cammino del sole

C’è qualcosa di sempre accaduto nel raccogliere i semi di felce 
per lasciarti un rametto di vischio.
Ho trascorso tutta la notte dirimpetto alla tua casa, 
tra il fico, di là dalla strada, e l’albero antico di Giuda, 
per recitare la storia, la storia sacra, del riso.
 
La voce dei nostri figli, lungo il cammino del sole, 
era tutta selciata di stelle - le prendevamo a bracciate,
traboccavano dalle giumelle, 
per fare crescere l’erba, le tue cantalupe e le rose. 
 
Ho visto perdere sangue al sambuco lungo il sentiero
e tornata al capanno la quercia obbediva già all’agrifoglio.

*

Margotta

Nessun rumore più nessuna dispersione,

un alleluia dedicato al semplice,

da non sapere gli ultimi colori dello spettro

per l’onda troppo lenta  che hanno il blu e il viola.
Solo il rosso immaginato era presente

nel volto meridiano che brillava
fino al limite di ogni trasparenza :

la maestà degli avi e quel sorriso

portavano le tracce della notte-

così vicina alla fiamma originaria
che precede con un filo ogni respiro-
legando insieme il sonno con la veglia


ai confini dell’uomo che ho intravisto
ricondurre a un solo tratto la parola-
una margotta con la terra naturale
percorsa dai suoi occhi in pieno volo
al luogo di ritorno nella pace

diventare ciò che ho amato nel principio-

 

a cosa vive
nell’impronta fresca la sua mano
penetrando nell’ambra dell’origine.

*

Aman

Basta un nulla per vivere, aman,
e cammini assorbendo la luce
di un minuscolo astuccio di vaio,
rilegato dal capo alle mani -
tefillah per le preghiere.

Mangeremo chicchi alla morte,
con le labbra in un piccolo chiostro,
che sostiene altri mondi,
in scintille;

chi le ha viste adagiarsi e volare,
per quel poco di tempo più lungo,
fra migliaia di ossa e di resti,
assegnavano un posto a ciascuno,
e ciascuno suonava una nota

fino a quando si sono voltate
con la grazia leggera di un canto,
scomparendo per piccoli inchini,
verso il più grande amante,
nel sole.

 

 

*

La forma causativa del verbo "aman" in ebraico

significa "fare stabile, rendere sicuro, rendere fermo"

da cui deriva il senso finale di "prestar fede, credere.

*

La mia maestra è un’albera

La mia maestra è un’albera 
e il suo nido
un pane che lievita
un fuoco nell’aria.
È una fontana di luci sottili
con la pelle secca e i nodi alle mani
piene di strigoli
raccolti al gran posto,
il più segreto del boscovecchio.
 
È un fazzoletto, la mia maestra,
con un elicriso appena accennato-
che risalendo per gli alberi canta
al ramo potato di un nuovo fiore;
ma quando s’inchina davanti alle fragole
allarga il silenzio con piccoli gesti
fino a sentire il loro respiro.
 
La mia maestra nel viso è un bambino,
che chiede alla mostra di un Caravaggio
per farne dono all’unica figlia-
e te lo dice con le ossa cave
schermendosi dietro alla brezza sottile
che ha solo un sorriso quando magenta.
 
La mia maestra ha due gocce azzurre
prima degli occhi, e come un miracolo
sono discese dai pettazzurri,
con le mani di rondine,
sopra il capanno.
 
mani di rondine

*

Al suo posto esatto c’era una lacrima

Al suo posto esatto c’era una lacrima.
 
La morte si vive se come un sole 
si porta nel più profondo di sé
lo strazio immenso, se diamo alla luce
la stessa madre quando si apre 
perdendo il suo sangue meraviglioso.
 
L' osso fedele è il chiaro del bosco
nella foresta che adesso riposa. 
Tu veglia il suo corpo. 
Ci vorrà molto bisso 
e il volto guarito;  con la tua voce
sussurrerà, nell'orecchio più debole,
dove è il principio dell’arcobaleno.
 
Tutti i bambini sanno il mistero
dell’angelo che, prima di nascere,
ponendo un dito sopra la bocca
imprime il ricordo di un nome solo,
un piccolo seme, tra il naso e le labbra.
 
Se sfiori il contorno della  fossetta
trovi un puntosplendenza delle sue ali
lui ti confida che un tempo toccò 
la fiamma, i suoi bordi, per poi gettarsi 
con tutto il corpo nel fiore degli angeli,
 
nell’identico istante dell’ultima foglia
dell’ultimo albero 
__________________al grandeposto.
 
Versando alla terra lacrime folli
saremo le spose del nostro sorriso,
di una trina perfetta, che lascia passare,
come una spugna, fra i vuoti, la luce.

*

È una madre il rossovivo e l’acquabuona

Si confonde col dolore mentre sale,
ma è l’odore del terriccio appena nato,
se l'invito viene su come un tesoro,
dai frammenti delle ossa, luminoso;
 
la sorgente è il nostro albero disfatto-
e il cuore, del gigante che si spezza,
un’acquabuona, nel lavoro che conduce 
a quell'aurora che noi chiamiamo fissa-
 
è una madre, 
accovacciata dentro il petto, 
e malgrado il forte vento la scompigli, 
la giumella dei suoi petali rimane
il rossovivo 
_____ che la pioggia non scolora.
 
rossovivo

*

Nella luce delle mani capovolte

Dove tieni asciutte le tue cose,
intorno al tuo carteggio levigato,
parola per parola sfioro il bordo.


I vicoli del legno, le sue vene
sono piccole candele che prepari
per parlarmi e ogni sera, fra le pieghe
che hai sepolto meglio, c’è un sentiero,
di un’acqua che va accanto per istinto.

 

Lungo il fiume di portata non c'è punto
che non veda la tua vita, il suo riparo,
dove sbuca una piccola cappella,
tra lo spazio che viviamo e il nostro mondo-
sono braccia del tuo acero in preghiera,
con le ali del mio tiglio tese in cielo-
un minuscolo groviglio di radici;

 

è solo un nido che prepara le sue nozze,
nella luce delle mani capovolte.

*

Sarà solo poco di più

Un velo inaspettato è il nascondiglio
del mio viso che magenta mentre arrivi
salmodiando una piccola ederlezi

tra una corsa e l'inchino va il passo
fra l'ultima luce e la casa
la tua mano è nel riso, e la sola
che sa benedire in silenzio
l'odore argentato dell’erba
con lo sguardo concorde. Io credo
sia il volto di sempre il miracolo

 

e se c’è un paradiso che attende
sarà solo poco di più .

 

Azzurra

 

*

Pesach

 

Ci hai narrato del poeta che viaggiava
impastando le parole per guarire.
Che ne è stato dell’annuncio, del suo corpo?
chi non ha saputo fare insieme
della pelle con la sua resurrezione?

 

Lavarsi non è un gesto quotidiano?
e il battistero non è morte che rinasce?
I suoi gesti di passaggio e ogni cura
non fanno sangue alla particola, o nel pane,
ma nella voce, che rialza, che ci chiama:
il suo volto luminoso è la postura, 
l’abbassarsi, servire chi è piegato-

così è la donna, che celebra il suo Dio,
che si solleva, benedetta, dentro il sabato,
proclamando la parola, stupefatta.


Che coraggio a mettersi per strada
al canto di Myriam, col tamburello!

Oh! non è fulminea la liberazione-
viene piano, dal basso, la celesta-
guarda Lazzaro! esce ancora rilegato.


Risorgere è un lunghissimo affidarsi
è chi mette dentro al tempio ogni suo bene,
chi rompe l’alabastro e dello spreco
fa il bene più prezioso, e in gran silenzio
è chi ti accompagna come sposa
all’ultima stazione, da principio-

 

portando il suo profumo, all’infinito,
nel largo d’aria : il meraviglioso,
di chi comincia a respirare dal battesimo,
sepolto nella morte di Gesù.

*

Le azzeruole #GiornoMemoria

 

Venivano su le prime azzeruole
e tu, tu arrivasti alla stazione. 
Credevano fossi morto, Tonino.

La vita smette di morire se ricordi
il sapore dei frutti dimenticati,
del melo che sa di limone, l’odore del rosmarino,
della cotogna, del sorbo,
la buccia vellutata di una susina.
Non dimentico, quando perdesti gli occhiali,
i più antichi ghiacciai nel mare degli occhi.

 

Nessuno è distante- se scrivi-
ovunque protegge qualcuno le case svuotate, 
i boschi,le piazze,
se qui tutto è minuscolo a un grammo dagli occhi
trafitti.

*

Babij Jar #GiornoMemoria

*

Rayuela

 

Quel luogo che ora tace, la mia casa,

come chi ha protetto un fiore tutta notte,
è la neve della gioia verso l'alba

per la piccola rayuela che ha saltato

dalla sua cipressa al tiglio : un anno intero
fra gli anelli delle chiocciole e dei bruchi-


annodando filo a filo con le mani
le albere del sole ai vecchi nidi,
un perpetuo sulla lingua, i suoi amori,
con la grande nevicata della luce.

 

*

Siamo stati angeli nell’acqua

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Siamo stati angeli nell'acqua,

piccole stelle dell’alba,
quando ancora le viti erano muschi,
farfalle di mare che andavano alla deriva 
sbattendo l’azzurro dei piedi
tra le onde del sole
seguivamo il ronzio genitale dei nostri delfini
i click sordi delle stenelle in amore
nutrendoci degli errabondi, i mangiatori di luce-
di notte facevamo buon conto della neve marina.

Più di tutto amavamo i verdazzurri,
centomille in una goccia di sale,
e i nostri capelli luccicavano a giorno.

 

Quella notte, la grande notte,
seguimmo una forma di lacrima
che andava a deporre le uova.
Ohh cosa stavamo vedendo
nella buca profonda di sabbia, 
bambini! Stretti nella preghiera
ci fermammo 
per ordine delle mani
fino a farli sparire.

 

Il mare si calmò, con l’anno nuovo,
minuscoli pastori cercarono l’uscita
puntarono al largo verso l’acqua nera
portando sul dorso come faville.
Fu allora che le albere presero a far luce,
che ci contammo le ossa, una ad una,
passando le dita a vicenda negli anni,
finché una bambina prese a salire, 
con le giumelle educate all’amore,
le nostre timide gole per terra

 

alzando la neve dal suo libro d’ore
come fa un mattutino all’Ave Maria.

*

L’acqua nascosta nel piccolo melo

 

 

È l’acqua nascosta nel piccolo melo
lungo il sentiero di Battedizzo 
che in una ciotola di pino argentato
ha impastato col riso i nostri natali.

 

Ora è un vangelo fiorito sul capo
di quella donna che porta la neve
agli animali del boscovecchio,
con la stessa dolcezza del biancomangiare
quando esce dal seno per un bambino.

 

Cercala, è sempre, nel ventre dei fiori, 
dai buchi degli alberi falla venire
alla tua bocca, con tenerezza-
così fa lo speco con la sorgente, 
o la montagna quando una nuvola
le posa sul capo il breve mantello :

l'orgasmo è nel canto del loro incontro
il primosale che sgorga dorato
nell'umida coppa dell'epifania.

*

La fragilissima

 
Mi hai insegnato tu la fragilissima
scrittura sopra i tronchi in verticale,
per salire dalle voci impercettibili,
con le rune delle file primitive,
e a tacere, un anello dopo l’altro,
conservando delle cose le figure.
 
Trema ancora perché possa rivederti
all'ora delle nascite e rimani,
come fanno le stagioni e il bianco appare,
tra due ciotole di riso, per Natale.
 
 

*

Più di un giungere soltanto

Tu la conosci bene,
lei chiude gli occhi 
nel nostro riposare-
come un petalo di rosa,
posato sull’anima,
che sale,
che deborda dal suo stesso azzurro-
e, prima che la respiriamo,
torna in sé, senza interruzioni.
 
Non puoi tenerla nelle mani,
è più di un giungere soltanto,
qualcosa di legato a un lungo canto,
ma come se cantasse coi capelli,
o col suono dei legnetti alle caviglie,
tutto quello che si nascondeva
nella valva di conchiglia
accostata al suo orecchio.
 
 

*

Pianete

Muta forma il destino di una donna
se ha mangiato con i lupi del dolore:
come onde di pietra spinge i fianchi 
al caldo della casa e l’ossatura-
                                         sia caverna, o l’asse di una danza,
                                         a salvare dall’assenza ciò che geme-
rende il tratto vivo del paesaggio-
imparando a respirare dalle nuvole,
a irrorare le sue vene dentro il fiume
e ogni muscolo con l’albera del pane.
 
Sul giaciglio magro di Proserpina
sono storie di ginocchia per la sera,
ma ottanta mondi dietro le sue mani 
ricamano pianete con il bisso -
 
alle spalle del tempo, incancellabili,
vibrando nel profondo della luce
nascosta tra le corde del salterio.
 

*

Saliva celeste come un ricamo - Videopoesia

 
Saliva celeste come un ricamo
dall’altro lato della sua vita.
Saliva lucente insieme alla medica
con grazia, leggera, con piccoli inchini,
alzando il polline di una canzone
e le dita infantili, in una preghiera.
 
Ora che l'albera, quella più antica,
nasconde il cielo, con le sue fronde,
non c’è un solo punto che lei non veda,
svolgendo il rotolo, tutta la vita-
il vicino_lontano e il lontano_infinito,
quando si leva, al chiaro, la voce,
quando ritorna, prossima a sera,
sulle corone delle ginocchia-
con lunghi respiri sul primo taglio
 
illuminando un luogo preciso,
tra il labbro di sopra e gli occhi neri, 
come fa un verbo, quando è al suo posto
fra le parole, del ringraziamento.

*

Noi

 
 
A due passi da quando disegnavi
la lingua che hanno i fiori, dei neonati.
Insieme basta poco a riconoscerla -
un cantore di ritorno sulla barca,
la cipressa alla falesia, e il fiume Reno-
 
nelle otto direzioni, è dentro il vento,
il bisso che ora muove le montagne,
e il lago, pieno delle cime, 
sembra sciogliersi in cascate, nelle gole.
 
Se viene colta, è un tratto nel respiro,
la piccolezza del rossore sopra il viso,
nel suo raccoglimento, nello slancio,
mentre si apre sul cammino in carne e ossa,
obbedendo, come solo fa un pennello,
alla danza impercettibile dei piedi,
nel luogo della sacra emanazione,
la coppia polare e la sua forma,
 
nel qi finale, quando trascolora,
fra la nebbia e l’aria limpida del monte,
un paese di foreste, che scompaiono,
al pari delle vele in mareaperto.
 
Non era certo la tua mano sul costato,
il bilanciamento del polso sopra il seno,
o la tensione di ogni muscolo del braccio,
era il nostro movimento ripetuto,
il sottile, quel partecipe al respiro,
che vibrava, con la mandorla, di luce
all’interno ancora umido di un vaso-
 
nell’alternanza così nell’apertura
Noi continua a ricevere e a donare
il nostro alito e l’inchiostro sulla carta.

*

Ridursi è gioia

Pochi decimi di efa e un grano nuovo,
nella ciotola di biada, al primo anello.
 
Ridursi è gioia
da quando mi hai insegnato 
a carezzare come un salice il suo fiume,
che tacere non è fare del silenzio,
ma la fonte di uno stare doloroso
nel più intimo dei luoghi che ha una madre,
quando ha perso la sua luce oltre le cime,
e si raccoglie nel lucido mistero
di un grande uccello
_______________  che attraversa il mare
 
con il respiro quieto di un bambino
mentre dorme nella stanza accanto.

*

Gli occhi delle case

Con cosa spingi il buio fuori dalle stanze
con gli occhi soli o tutto il corpo insieme?
 
Dischiudi sempre adagio le persiane?-
sono gli occhi delle case 
e benedetto il giorno, sia
impercettibile la mano -
 
se passa la bellezza e gira lenta
la linea dell’aurora va al respiro
tu lo sai,
se alzi piano gli occhi delle case.

*

Biancobaleno

                                               Presi parte al suo corpo silenzioso -
                                               con la schiena incurvata nel lavacro 
                                               girava le sementi con un braccio,
                                               e una mano posata a trattenere
                                               i seni ancora gonfi per il latte -
                                               nel più semplice disegno di unità.
 
Cominciava dalle orecchie la sua storia,
premendo con il verso non formato
sull’esile membrana del risveglio,
la carezza, percorsa dallo sguardo,
sui muscoli, le ossa, infine il soffio,
con il tratto- già presente nel suo cuore- 
di chi alza una spirale e si trasforma
per fissare il colore nella pioggia.
A memoria nasce intatta la visione -
 
hai mai visto una lepre quando inarca
la sua vita contro il rosso della sera?
non il semplice contorno di una forma,
- in piena regola sarebbe un tratto morto-
la corrente che la muove, la prolunga,
l’attraversa, poi scompare - questo dico,
un chicco di orogiada che germoglia
nel polso chiaro e vuoto di un bambino,
penetrando le sue dita con il bianco.
 
Per giunture segrete la splendente
riverbera l'anello del creato -
confondendo i sei colori dell’inchiostro
la montagna, inchinata come un mare,
con le onde, divenute i suoi alpeggi-
 
                                               la veste, e nel pieno della luce
                                               l’arcobaleno che si mostra_
                                                                         _si consegna,
                                               tra il venire e lo svanire fra le mani,
                                               dove scende ancora mondo sulla carta,
                                               e d’improvviso sorge qualcos’altro.
 
 
Disegno Antonella Schiralli
 

*

Le sorgenti di Betullia

Cosa hai fatto, voce?
In alto, sulla gola,
con la veste della grande penitenza
occupi le sorgenti d’acqua di Betullia. 
Tu preghi, lungamente,
alle porte del Sasso,
offrendo al fuoco il legno delle ossa.
 
Tale è la legge del miracolo,
il vuoto, l’unione, e tu,
in basso, semplice.
Al posto giusto -
 
è un refolo nel petto che ti avverte, 
il passo, che lento gli somiglia,
avanza, vicinissimo a trovarti,
così potente 
da partorire luce,
con quel modo che fa tremar le cose
in una lingua segreta ad ogni altra.
 

*

Al suo posto esatto c’era la luce

Al suo posto esatto c’era la luce.
 
                                     La morte si vive, e come un sole 
                                  si porta nel più profondo di sé
                                  lo strazio immenso, che diamo alla luce,
                                  la stessa madre quando si apre 
                                  e perde il suo sangue meraviglioso.
 
L' osso fedele
                         è ancora la luce
della bambina con le giunchiglie
nella foresta, che adesso riposa. 
Tu veglia il suo corpo. - Ci vorrà molto bisso ? 
< Non occorre saperlo. Rimani in cammino.
Con la tua voce e la mano guarita
l’alba, che il canto diffonde, rischiara
ben oltre ogni sole.>
 
Sussurrerà nell'orecchio più debole
dove ci sta conducendo la danza?
Lo so che i bambini sanno i misteri,
che viene un angelo, prima di nascere,
che pone un dito sopra le bocche 
lasciando a ricordo di quella sillaba
un piccolo seme. Tra il naso e le labbra
sfioro il contorno, mi tocco, sprofondo,
ma quando saremo, dentro la runa?
 
< Spazzando con l'anima davanti alla porta 
del nostro amato, diverremo l'amante.
Una farfalla con l'anima anziana
sussurrerà nelle orecchie più giovani
dove ci sta conducendo la danza,
ogni punto di luce delle sue ali -
dirà che un tempo toccò lievemente
la fiamma, i suoi bordi, per poi gettarsi 
con tutto il corpo nel cuore profondo, 
in volute dorate, nella danza aurorale 
sui petali rossi e unirsi vermiglia 
per bere il calore dell'antica parola-
 
nell’identico istante dell’ultima foglia 
dell’ultimo albero al proprio posto
versando alla terra lacrime folli.
Saremo le spose di quel sorriso
dagli occhi immensi che dice: mi ami!
 
finché divenga una trina sottile 
che lascia passare tra i vuoti la luce, 
affidandoci un corpo, solo e leggero,
per il girotondo fra le giunchiglie 
dove i più piccoli danzano nudi
a mani aperte, aperte a grembo
 
permeabili al canto 
                           dell’uccello intravisto
sui triplici fiori del nostro lillà.
 
 

*

Il doppio cuore custodito nella pancia

 
                              - Viene piena di profumo una famiglia
                                se ci abbassiamo adagio con la sera
                                le palpebre che entrano nei sogni,
                                bisbigliando siamo salvi, al posto giusto,
                                mondi ancora insieme. Siamo casa,
                                tra il respiro più pulito che conosco,
                                che nell’ordine fa crescere le rose,
                                nel riandare col sorriso verso il centro,
                                dal grembo luminoso che hai dischiuso
                                alle nostre ginocchia coronate-
 
È così che mi portavi dentro maggio,
come un’alba che si leva tra i colori
delle bacche di ginepro e di lillà.
Nina- mi dicevi, col tuo corpo-
quando vai a fare i fiori sulla rupe
apri tutto il grembo, lentamente,
all’amorosa ondata sul tuo seno-
in montagna c’è più tempo per le rose
mentre al mare il tempo è un passalento.
 
Quell’isola di luce impercettibile
che senti e non sai dire, che risuona
chiara nelle viscere , indivisa-
fino a perdere la sacra intimità
col luogo solitario che più ami-
è il vuoto che si riempie al mattutino
di un profumo ancora inconfessabile,
un alveo di parole per la sera
col sapere delicato di farfalla
che si unisce a nozze con i fiori.
 
Solo allora è visibile il cammino
che dà ordine al paesaggio nelle stanze,
lo spazio dove un’anima pronuncia:
Passa, tu sei pura- e il tuo respiro
sarà un lago di calma mentre scrivi
delle braccia dorate sulla terra,
di come godevano al calore
 
                                               vibrando nel profondo della luce,
                                               prenderai ancora il volto che avevamo
                                               e il doppio cuore custodito nella pancia.

*

Per essere credo, nati due volte

Fu quella sera di temporale, 
e tutta bagliori giravi da sola.
 
Ti ho preso per mano e abbiamo intrecciato 
il girotondo infantile dentro alla pioggia,
una danza intima insieme alle rocce,
un passo carnale con tutto il cielo,
per essere credo, nati due volte.
 
Il lamento sottile di una cerbiatta
vicinissima al parto ci ha fatto fermare
allentando la stretta, e ricchi di pianto
ci siamo distesi. Prossimi a lei
tu hai mosso le labbra solo per dirmi 
mi ami … poi senza aggiungere altro - 
con la mano guarita dall’acqua marziale-
 
hai colto una fragola senza guardarmi,
come se avessi scoperto un tesoro,
attendendo la nascita sopra il mio seno,
su un letto di erica impregnato di terra
col viso argentino di chi sta per cantare
l’offerta del sole, scintilla purpurea 
dell’umile primula intorno all’anello
quando si accoppia con l’universo.

*

Nel chiaro interminabile degli occhi

 
 
- è difficile vederla alla finestra 
  e anche la sua musica è sottile,
  devo accostarmi e fare pace tra le braccia
  per accogliere nel lieve tremolio
  il passo di chi è tornato a casa.
 
  Ma quella sera usciva dalle stanze 
  l'inatteso di un adagio e la sua grazia,
  dal grembo, dal sangue, dall'ascolto,
  nel chiaro interminabile degli occhi.-
 
 
Disegno Sofia Rondelli 
 

*

Il vento cammina sopra la terra

Il vento cammina sopra la terra 
sull'urna, il tuo volto, le nostre mani,
dal ramo innevato ai fiori di tiglio.
Un’Ederlezi, toccata dall'aria-
che era in me, prima degli occhi,
la cosa più intima e certa - salendo
ha percorso l’intero di ogni mio canto,
dal provenzale allo stabat del cuore,
dalla voce dell'anima fino alla pelle,
con un passo compreso tra la corsa e l'inchino.
Fra l’ultima luce e la porta di casa
 
è la tua mano intorno ai capelli 
che scopre che sfiora che trova nel taglio
materna letizia e la pena più grande
confuse. Nell’arco alberato di gioia,
in un punto indistinto delle tue spalle,
ho nascosto le ossa del pianto più bello-
dove inizia invisibile un altro sentiero-
volevamo tacere,
                        tra l'origine e il cielo 
del nostro viso
                        in entrambe le mani,
il respiro aperto e illuminato
dallo sguardo concorde
                               all'ultima stella.
 
L'odore dei frassini ha accompagnato
un uomo e una donna al loro congedo -
nella muta promessa di un semplice sogno
che ha nome antico di damascena-
 
e quello che credo, alle loro radici,
ora sta tutto innanzi a noi.

*

L’incontro

Un respiro solo ci separa
dal corpo, mentre canta : sono verso 
tra la femmina che esonda e si protende
nel suo maschio, dirimpetto, e viceversa
Un esodo, è tutta la scrittura-
le bibbie in movimento, il benandante-
che cammina con il manto quasi albino 
per scoprire il velo e rivelare,
come dice il verbo, al doppio cieco.

 

Rimanendo esposti alla visione
dell’incanto, senza divorarlo,
sconfiniamo nel convento di una pelle
che si muta in isabella e palomino,
con le orecchie, le antenate di ogni passo,
che si librano confuse nel destino
del ventre di una madre- calamita,
la medica che ha fame della pioggia,
per far dono di altra vita. Ed è la prima
ad uscire allo scoperto dalla grotta
ospitando il seme lucido nel vuoto
iscritto nel suo corpo, come un Dio-

 

quando cerca, sul filo della voce,
il suo amato dal volto inconosciuto
danzando fra pascoli e deserti
per l'ingenua meraviglia di intrecciare
il nudo e la splendenza dei suoi occhi.
Nel cedimento all’estasi più bella

 

non altro, con la lingua delle messi,
che un odore di verbena sull’altare
di betulle, fieno greco e ribes bianco -
come il canto di qualcuno che ha nel seno
tutta l’aria immaginata- che trabocca 
in sacrificio, nel perfetto di chi brucia 
totalmente per offrire in una danza
il midollo del suo utero splendente - 
che ha nome antico di misericordia -

 

fino al rosso genuino del contatto,
alla saliva che illumina l’incontro,
e, dolce più del vino, la sua pioggia.

Nell’ora più preziosa ci tocchiamo
con le mani che vanno nel profondo,
allo spiraglio della mandorla di luce,
dove i nostri templi sono aperti
visitati dal sole nella bocca
e tra le gambe, è il nuovo nato, che si allunga 
combaciando le porziuncole di pace

in giardini di acqua e sangue, terra franca,
che riluce e ci fa mondi, benedetti
nell’eterna eucaristia. Dei nostri corpi

 

è questo il desiderio di consegna?
come il volto cristallino di un morente 
che si affida al proprio cielo silenzioso?
o il neonato inerme alla sua terra?

Le acquenostre - che perdita stupenda!-
se consegnano in un riso l'impotenza
sussurrando: chi non perde la sua vita
non fa salvo quel respiro che si versa 
sulla soglia sempre umida del cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Disegno Sofia Rondelli

*

Le ali della nostra casa gialla

 

Ti ho incontrata con il sole nella testa,
con il guscio delle ossa malnutrito,
fra la bellezza religiosa del tuo tiglio
che portava i vostri pollini lontano.

 

“ O Signore, concedi a ciascuno la sua morte”
è stato il primo verso che ho lasciato,
fra la calce rosa dei tuoi fianchi,
eri ancora grata di esser viva,
mentre davi il consenso alla tua fine,
come un’albera al suo frutto quando cade.
È lì, dove ho posato le carezze,


accompagnando l’odore delle lacrime
nel dolce tremolio sopra la schiena,
per una comunione- come a mamma
con le bende calde sopra il male-
fra il colore consumato di una vita
e le lunghe astinenze dell’inverno-
per arrivare più lontano e far ritorno
a quel Natale, che ci ha tenute insieme,
con la tovaglia splendente su una tavola
di ruderi e di assi tumefatte -
fra i doni, un antichissimo trenino,
girava con la giostra dei cavalli,
un carillon, che ti ho lasciato in dono,
nascosto come un Dio nella montagna.

Era tutto naturale, il grande freddo-

per sua natura cavo- nella pancia,
faceva compagnia ad ogni orecchio,
come chi resiste al gelo ormai per sempre.

 

Il tetto è divenuto quell’aperto
che ti leggevo nell’elegia di Rainer,
e l’apertura musicale del celeste,
su queste piccole ginocchia coronate,
è la tua mano, oggi, che riposa
fra le stanze di altre mani, sussurrando
la Melodia ungherese in si minore
cantata da una giovane domestica-
Nel congedo, al tuo ultimo silenzio

 

ti scrivo con la mano di una donna
che strofina sulla pelle dolorosa
la tua voce d'oro, e stupefatta
mi lascio attraversare dalla pioggia
della piccola morte fra le braccia.

 

 

                                               - Questa lettera, già lunga, finiva proprio qui,
                                                  eppure lascia ancora che domandi
                                                  come ha fatto il tuo tiglio a sostenere
                                                  calmo e fiducioso tutto il peso,
                                                  l’immenso di una casa tanto gialla?
                                                  Come ha saputo orientare le sue curve
                                                  lungo i vicoli del legno, e respirare
                                                  seguendo i muri, le loro forti spinte,
                                                  ripartire l’aria giusta con la luce
                                                  assicurando nuova linfa ad ogni ramo?


I miei occhi hanno visto solo questo,
non appena si alzava un po’ di vento,
la celebrazione delle nozze,
nello spazio offerto dalle foglie,
tra la casa e le ali degli uccelli-

l'invisibile del bisso che rimane
la figura, che non mi sta davanti,
ma alla fonte, un’iride, la pianta,
la radice prima della vita,
che tutta la giustifica, in un soffio.-

*

Dammi da bere

Un velo di Ninive copre gli occhi 
sulla strada della nostra samaria, 
forzando il mio respiro nell’apnea,
nel frangere di sassi il grano nuovo
che ha diviso il sangue dei fratelli,
partorendo sale nero. Intorno al pozzo
con altri occhi, e altre mani lacerate,
mi fermo a ricordare il girotondo 
che ci ha cresciuto insieme. Nel deserto

 

come un morto appena nato, io ti aspetto
dove è imprevedibile l'incontro
e solido il silenzio, dove prego,
quando il passo ombreggiato che ti annuncia,
come seguendo orme senza suono,
rende questo luogo smisurato
il più intimo e privato, alla mia vita.
Con la semplicità di un sole apparso

 

spezzando la mia voce , mi domandi
con le parole più corte che conosco:
dammi da bere, ora, mia sorella.

Dammi da bere- ti rispondo- sono vuota
fra la polvere di casa, sradicata, 
con un grido in mezzo al petto, sono sola.


- Tra le stesse consonanti le vocali
  luce dopo luce sono nuove 
  e ogni coppia è la rivelazione 
  che ripetere è il trapianto dell’amore-

  se nell’attesa più profonda siamo acqua 
  che ritorna nella brocca, coniugando 
  il mareamaro di un dolore cristallino,
  dove posare il capo ed una tenda,
  nel sacro cedimento e l’abbandono
  del corpo, consegnato al proprio sangue.-

 

Nella quiete del sorriso ci spogliamo
di ogni sicurezza- andando nudi
con la stessa tenerezza di un bambino
che respira nella pancia la domanda
da portare sulle labbra- la sua sete-
di buona compagnia e benevolenza,

che nella muta si trasforma al dito
per fare dell’incontro gli sponsali, 
delle nostre debolezze il testimone
che tiene in mano la ferita, che ci salva.
Con il dono che attraversa gli assetati

 

diveniamo quella casa smisurata,
una fontana d’acqua, il cedimento
del respiro nella mano, il sonnoazzurro
che ci accarezza il viso, che ripara
con altre acque il pozzo benedetto.

*

la bionda meraviglia, albere uccelle fiumesse

 

 

 

 

 

 

 

Accanto al mormorio che so del mirto,
quando luccica di squame a primavera
sul verde tenerissimo dei rami
e quello scuro, in cima alla nughedda,
c’è la bionda meraviglia che si spoglia
della mandorla materna nella luce
e tutta la collina è solo attesa
del fiore della felce, l'invisibile,
che sale come un grappolo di cielo.
Con la semplicità di un fontanile

 

se la rosa dura il tempo di un destino

non può fare a meno di trovare
il fondamento il sacro scambio che rilega
il suolo amato con i larghi d'aria -
rivolta in sé e a un tempo tutta offerta
al bagliore della carne, che dischiude-
Nel profumo che rimane imperituro

“ sbaglieremmo a chiamare sempre Madre 
questo succo? Questo latte che ci dice della fonte,
di una promessa antica mantenuta?"

 

La luce che mi permette di vedere
e la figura che io vedo chiara 
coincidono con gli occhi che si chiudono
come una testa Khmer in abbandono...

Basta la tua mano di bambino,
nella veste azzurrocenere dell'isola,
ad aprire una ferita nella rosa, 
ricoprendo questi colli dei tuoi fiori.

 

Se una morte mi accogliesse in questo istante
troveresti sul mio volto il tuo paesaggio,
la stessa compassione e il santimbraccio
tra le albere le uccelle e le fiumesse.

 

 

 

 

*

L’acqua nascosta nel piccolo melo

L’acqua nascosta nel piccolo melo
è come un vangelo fiorito sul capo-
che ad ogni curva si muove stupito
di quella donna che porta la neve
in mezzo alle scapole, e tutta la terra 
distesa sul petto del firmamento -

 

con la stessa dolcezza del biancomangiare
quando esce dal seno per un bambino.
Dicevi così, del bene più alto, 
che è simile all’acqua quando discende,
che in una ciotola informe e dorata
ha impastato le stelle ai nostri natali.
Le parole non mentono, era il tuo canto,
fioriscono il verde di primavera :
se l’acqua discioglie, così rilega-
se ammorbidisce i tuoi lunghi capelli, 
fa gli occhi chiari in ogni vivente-
nei luoghi più bassi. Dimora la vita

 

nel ventre dei fiori, cercala sempre, 
nei sottovasi, dai buchi degli alberi
porta alla bocca, con le tue mani,
come una radice, la sua tenerezza,
come uno speco con la sorgente, 
o la montagna che sfiora una nuvola,
se le posa sul capo il suo breve mantello.

 

Per amore e per forza Noi è l'acquabuona 
che danza negli organi dei nostri corpi,
l'orgasmo è nel canto del loro incontro
il primosale che scende bagnato
nell'umida coppa di una poesia.

*

La casa dell’angelo

 

Immensa e illuminata, come ieri
l’ombra delle nostre spalle unite 
tra il vento e l’acqua del torrente,
è la tua casa, il lunedì dell’angelo,
fra le ossa incise e dipinte 
sulle piccole uova rumene
che ho nascosto fra l’erica e i cardi.


Coi capelli raccolti all’indietro,

per ascoltare col viso l’alburno
della betulla bianca al cancello
ho mescolato i miei piedi alla luce
del sedano bruno tra i rovi,
raddrizzando una giovane pianta
che ancora tremava di neve-
dove la terra si è smossa

 

dove si è aperta la ferita,
troverai una chiocciola, in dono,
e un sassobambino che gioca-
con lucide vene di fiume,
fra le braccia dell’altalena-
che sta crescendo, al ritorno.

 

*

Il profumo della passione

Ci hai narrato del poeta che viaggiava
impastando le parole per guarire.
Che ne è stato dell’annuncio breve,
di quel corpo strappato dalla storia? 
Chi non ha saputo fare insieme
della pelle con la sua resurrezione? 
Lavarsi non è un gesto quotidiano
e il battistero la morte che rinasce?
Il passaggio i suoi gesti e ogni cura
non danno sangue, nella particola o nel pane,
ma nella voce che rialza che ci chiama;
il suo volto luminoso è la postura, 
l’abbassarsi a servire chi è piegato,
la donna curva che celebra il suo Dio,
che si solleva benedetta dentro il sabato,
proclamando la parola, stupefatta.

 

Quanto coraggio per mettersi in strada
per accogliere in grembo la mano protesa
fino alle acque, al canto di Myriam 
che col tamburello fa festa, diritta.
Non accade fulminea la liberazione-
viene piano dal basso, la saliva celeste,
con le sue piaghe incancellabili-
come ogni morte, mai immediata,
se Lazzaro esce ancora legato,
e potrà camminare, sciolte le bende,

risorgere allora è un lungo affidarsi?
È una donna che mette tutta l’offerta 
nel tempio, due spiccioli, quello che ha?

 

Mancavano solo due giorni alla Pasqua
e Marco racconta di quando a Betania 
entrò una donna, da Simone il lebbroso, 
con l’alabastro di nardo purissimo-
che ruppe versando l’unguento prezioso
fra un gesto solenne e insieme di cura,
il più intimo forse, le mani sul capo 
di quel giovane uomo seduto più in basso
( lo spreco fu grande, si disse alla tavola 
dove nessuno pensava alla morte)

col grande silenzio di chi ti accompagna 
a un lutto- un tacere che riempie la gola
di tutto l’amore che aveva da offrire:
cancellare la puzza di morte alla tavola
preparando il suo corpo, come una sposa.

 

Porteremo sul petto all’infinito
i segni al costato ai piedi e alle mani,
ma è nulla la morte verso il profumo,
il suo largo d’aria meraviglioso,
se quella che sembra una tomba soltanto
è il principio bagnato di resurrezione
che rende possibile a un’altra vita 
il coraggio di scrivere di avere udito 
una voce nel vento la stessa poesia 
di chi ha ripreso a respirare
dal seme disceso dentro la terra-

 

un dolore cristiano che non fa morire, 
che ci accompagna e lento si immerge
nel battesimo sepolto 
                             nella morte di Gesù.

*

Chi attende ha nel petto una rosa

 

Chi attende ha nel petto una rosa
che alla vibrazione della luce
si affida, come a una mano-
dicevi- Col minimo dolore necessario
la tua parola oggi è nel profumo-
sulla parte del viso che ha raccolto
il miele, insieme all'erba per i daini,
di un piccolo miracolo del fiato-
il volo breve che attraversa il fiore:
le mie mani si aprono e tu
sulla porta, fresca di pioggia,
togli ancora l'ultimo fiocco
di neve, dalla mia fronte,
portandolo adagio alla bocca.

 

Riparti così, nella veste magenta,
con un pezzo di pane e il sorriso 
avvolti nella ninive. Al ritorno
nasconderai con un canto il sudore
nelle coppe dei gelsomini.

 

* ninive è una mussola, una garza imbevuta d'acqua,

che si usa per avvolgere i germogli delle piantine

e proteggerli dal sole

*

Ederlezi

Ho messo insieme il tuo piede

                                   leggero,

nel labirinto di mille,

                             e una notte,

la bianca e perfetta di reti

invisibili, pietre,  e gli erbari,

sull’isola al centro, che amo,

dei piccoli fiori di melo.

 

È tutta qui nel farsi preghiera,

la spinta che diffonde, quando è ora,

nel goccio di saliva trattenuto

negli occhi, divenuti come frutti,

nella coppa, che raccoglie la sua origine

 
circondata dai due fiumi, e primavera,

il ventre di una madre, come tante,

nel corpo di un minuscolo che viaggia

coi bambini di Ederlezi sulla schiena

il gira gira stupefatto e consonante

alla lingua dei bambara con lo schiocco;

 

< Oh! Ridiamo come stessimo pregando

   come faccio nel vuoto del mio letto

   alzando il fango che dorme nella luce

   fuori dal torace, allo scoperto > 

 

Ed ora vieni, minuzia di una stella,

mentre vado a fare i fiori con il dorso

carico di latte coi colori

nella gola fino al buio, della sera

 riportando il segno di una lacrima,

quando appena visibile cammina,

sul buco di dolcezza della yurta

da cui riparte il bisso luminoso

 

lo spiraglio che moltiplica l’amore

nel continuo movimento di un miracolo

che a comporre la sua voce va alla gioia.

*

Tu sei un luogo, padre

Tu sei un luogo, ora, padre,
hai un orlo
Il grappolo d’oro è di nuovo un vigneto 
nella sua terra scura
il tratto cieco intorno al bianco
la memoria della luce.

 

Anche oggi nevica e il lieve ricamo
che trema sulle betulle
sono il tuo gesto, io credo,
il dono del ridere 
dei nostri angeli 
con le ali ripiegate verso terra,
i passi di chi è arrivato a casa,

e alberi, tanti alberi
sono tutta la donna che canta 
con un filo all'orizzonte c'è mio padre.

*

a capo chino

Ti ferma la bellezza, muta coi luoghi
e nel tempo? è una scoperta
o il luminoso del creato che si muove?
Con quale parola più di ogni altra puoi dire :
l’equilibro la proporzione l’eleganza forse
il suo fascino, la grazia ?
Dal verbo congiungere, in greco,
che dai diversi fa una cosa sola,
nasce l’harmonia. 


< Una pronuncia così aspra
per una casa piena di dolcezza ! >
Se la futura sposa di Cadmo
venne alla luce dall’amore e la guerra,
non rimane ferma la bellezza
e non è solo movimento..

la più grande tempesta fra parole e mutezza,
tra il silenzio e il tacere, fra la pace e il dolore.
Una esperienza
che fa bene che fa male che ti salva, che ti perde,
che ti compie-
il buono della Genesi, la verità di Keats?
sono le sorelle per cui è morta Emily
la salvezza di Fëdor 
la rovina dell’ Elena bellissima, 
l’abisso
del ventunesimo fiore del male?- 
se il volto di Cristo è il più bello dei Salmi,
se nei Canti del servo Isaia 
gli nega splendore-

 

è qualcosa di tanto più grande di me,
di più forte, il tormento che avvolge 
che mi lascia sconvolta e felice
piena di male, p i e n a di m a l e 
e una gioia che non so dire 
mentre strappa la pelle alle ossa
che mi porta così lontana da me..

e non è il punto d’arrivo


il principio, l’estasi, è il colpo 
che muove il mio corpo, che trema
che danza concorde la stessa passione
che muore e ritorna, sublime,
con le sue mani vuote,
accanto ad una statuetta 
ricongiunta,
per dire solo grazie 
a questa grande sera

 

a capo chino
solo grazie.

 

*

L’ultima casa

Ho messo a dimora l’ultima neve
ai ripostigli di creta, al boscovecchio,
per l'adagio più bello dei mesi
lungo le pozze dei cervi .
Ora la pioggia batte sul carro
nella pentola grande di riso
e sulle ginocchia
sento cantare le ruote,
nel tragitto silenzioso verso il sole,
nell’orecchio debole del fiume-


la musica
che sta in una mano
è un sottile anello rosso 
la prima stella e insieme
l’ultima casa.

 

Cecilia Fasser

 

 

*

harmonia

 

                                                  Spinge rallenta spinge e respira - 
                                                  risucchia il ghiaccio da queste mani
                                                  una macchia un puledro il sobbalzo celeste
                                                  fra le zampe lunghissime tinte di rosa.
                                                  Danza il tuo piccolo, trema ubriaco
                                                  dalle orecchie ai nodelli così sottili.

 

 Sia lode!...

            sia l’acqua, sia l'acquacalda
                        di una placenta che scende dall’hara
                                       il tributo il suo lago, meraviglioso,
                                                         per quanto silenzio riempiva le mani
                                                                         bagnate di rosso profondo granata.

Diastole sistole
inspiro ed espiro-
un piccolo cosmo che dentro si espande, 
che si contrae nelle piccole oasi
a raccogliere linfa lungo il cammino.
Così ci uniamo e creiamo distanze
amichevoli e monadi universali
folli e concordi
nello stesso progetto
che ricongiunge ogni cellula nostra. 
Oh madremia, sei stata tu?
fatta di abbracci di tempo di cure?

 

Inizia dall'erba < dicevi > la luce 
innamorando lo sguardo interiore
che adorna il suo capo, affidandosi al suono,
muovendosi accanto come una donna
nell’andirivieni al balcone in penombra
scostando le tende come una neve
coi piedi nulli e i polsi leggeri.
Facendo strada sulle ginocchia

 

è un lungo viaggio fatto di adagio,
con mille foglie dentro le orecchie,
l’interno morbido delle parole,
la commozione dei frutti maturi;
la parola nascosta è una piccola casa
che dondola il legno, ridendo a ogni cosa
anziane cicogne, le sillabe dolci.
Se metti le mani a giumella tra i fili,
se posi il respiro che nasce dal timo,
col ventre raccogli il profondo del verde
il primo sorriso che nasce alla vera
chiarezza del viso che sfiora la luce

 

segui tua stella < ripeti > è la tua
anche se è tanto più grande di te,
seguila amina, e scrivi per sempre


la parola armonia con l'acca davanti

con lo spirito aspro che muove all’insieme
i tuoi piccoli arti, con le ossa cave.

 

 

*

Kaddish

 

Un pieno di sole non scompare
ovunque vadano i suoi raggi 
a sbiadire nella soia. Durerà
con il viso acceso per soffiare 
le foglie di abacaba sulle braci
scaverà una buca nuova 
                        e l’altra mano-
bagnata con la cera dell’ipoh
tra la canfora e gli incensi fino all’orlo
delle uova degli struzzi, sottoterra-
un giacimento per la fame;


proteggendo i nostri pozzi, come un’Ama
con le perle sui fondali, scenderò
verso di te talmente fradicia 
da sembrarti più un uccella
che tiene a bada mosche dalla taiga 
alle montagne. Ed ora habibi,

posami la bocca sulla bocca 
bisbigliando tutti i nomi della neve-
dove si fatica a camminare 
quella dura, o portata qui dal vento,
sapremo quando cede sotto i passi 
se rimane, per essere bevuta,
e la più adatta, per costruire casa-

 

dove le foche vanno a respirare,
sarà come recitare il nostro Kaddish.

*

Levando appena il capo

*

Dukkha

 
 
È tutto bianco il miglio per le uccelle.
Dukkha.
La neve avvolge
le promesse dei fiori
e i loro anelli.
< Scrive in punta di piedi>
Nevica ancora.
Due corpi vanno nella neve
come un veliero,
ben caldi, vicini.
Ricamano passi
nel grande mare
si bagnano ridendo
dove qualcosa sta per nascere:
fiocchi, un soffio fresco.
S’inchinano con cura.
Mangiano la neve,
con un ardore misterioso. E tu
tu sei di lato tu guardi il mantello
mentre si allunga ai loro piedi
una pozza di luce,
minuscole fiaccole,
assolto il campito,
la guarigione.
 
 

*

La tua mano

Ferma alla stazione delle immagini
non c'è punto che non veda la tua vita
piena di grazia simile al vapore
di un silenzio formato nella bocca,
quando preme per tornare con il seme
sopra l'albero da cui si vede il mare-

la contrazione, l'estensione del suo grembo,

la morbidezza del disegno, e come muove
le pigne luminose con le dita
nella neve, al fontanile, tra i vestiti,
sopra il masso dell'isola feconda

del ferro della vita: è la tua mano


che si sporge come un semplice bambino
dalla cima dell'ultima parola
portando lungo i lati della labbra
l'acquabuona da ripetere accucciati
con le nostre antiche dita in mezzo ai frutti.

*

Dove gli alberi ascoltano

                                                                                                                                                a D.P.

 

Al di là del dolore
è una luce la tua pelle
che cammina riparata
dando un nome a ogni poesia.
I passi restano, 
dove gli alberi ascoltano.

*

Aleph

Yann Arthus-Bertrand

 

 

 

 

 

 

 

 

Tu che sei sola, con i tuoi tre segni-
di ogni lettera trascritta la più piccola,

quasi di chi invita al pentimento-

in questa terra non perfetta 

 

sei tu l’orecchio, forse, nostro piccolo re?

 

Se per dirti basta fare del silenzio
con le labbra dischiuse alla corona,
inciampando nell’aria della gola,
da lì, hai fatto entrare le sorelle,

 

tra i sentieri più nascosti di ogni fiume,
quelle parole e l’anima nel petto?
Sopra il capo - nostro Signore, principe, infine sposo-
i nostri capelli sono le tue corna?

 

Oggi ho immerso il viso nella pancia di una donna, 
con dentro un bimbo di appena pochi giorni.
Ho sorriso per tanta commozione,
immaginando di sentire il nucleo rosso
dei globuli nuotare come uccelli.
Scomparirà la noce d'oro già domani,
nel midollo vocato a cancellare


che nelle ossa c’è il ritiro dell’alef,
la clorofilla che si scambia in rossovivo.

 

- Nel dramma di Caino, quel suo nome
dice un nido, come quello nella mano
di Giacobbe, per guarirne la ferita.
Se nel verde del sinoplo vive il rosso 
la muta del respiro è il testimone
che reso tutto il ferro torneremo 
alle radici degli alberi che siamo?-

 

Mi raccolgo intorno al tuo ombelico,
al mozzo della ruota, alla sorgente
di ogni movimento, a una preghiera.
Vorrei, all’emergenza della neve,
fermarmi qui con te ancora un poco,
ma sono troppe le domande che ho rivolto
ad una lettera che vive senza suono.

 

Ritorno giù in paese con letizia,
a mangiare l’erba bassa e i cereali,
a preparare la Pasqua delle rose.

 

( w.i.p. da : " il viso che magenta " )

 

 

*

Biancobaleno

 

Incomincia con le orecchie la sua storia,
scendendo in fondo al ventre di ogni padre

col neonato sul capezzolo, che preme
l’esile membrana del risveglio.
Il verso non formato è la carezza,
che dovrà percorrere la mano,
dal riflesso dello specchio fino al volto.

Mi sono amata tanto, per amare-

 

ho leccato il sale del suo sesso

mi sono vista fiume e alveo vuoto
e ancora acqua fra le vene dell’ulivo-
con il senso doloroso delle uccelle
quando covano nel ghiaccio i rami duri
al grido delle foglie di oleandro.

 

Ma la risaia è immensa, oltre il cuore
c’è un bambino con il capo nella luce
che spunta dal cotone della gioia
che risale le rapide del fiume

cantando come fa il biancobaleno
a venir fuori ricurvo di bellezza.

 

 

Fotografia da " Home" by Yann Arthus-Bertrand

*

il pino solitario

 

 

 

 

 

 

 

 

Il pino solitario.
Un sentiero di uccelli.
La pazienza di coprirsi con la neve
respirando dai talloni tutto il peso
dei nidi, a centinaia, sulla schiena-
ascoltando il corpolungo fra le ossa
mangiando il lupo universale con le stelle.

 

Dalla shin di Cassiopea al peccato originale
in quale plaga della notte- mi domandi-
e chi sarebbero gli apostoli del sole 
senza luna? I glifi e la tua lingua 
per le favole e il destino?
Hai mai visto un’asterisma

per un essere terreno?

 

Le migrazioni degli uccelli
costeggiano la striscia che fa latte,
se a uno chiudi gli occhi perde il filo
del firmamento, in volo, dentro al cuore.
Se nello scricciolo fatato c’è una mappa,
nei tuoi occhi primitivi è quella stella
per parlare con il mondo, e dirsi: accanto.
Ancora prima di ogni verbo

 

sapevamo del telaio, delle case,
che la luna percorre, le sue stelle,
in una notte, e un mese, per la rivoluzione, 
col filo lungo del silenzio,
che tende luminosa nelle notti, 
come le sorgenti ai grandi fiumi,
inavvertibili.

*

Tu sei il qi dell’ultimo verso

Sei tu la corona alle ginocchia
un'ala, nell'ala, che chiude il nido.
Sei i bambini che mi scortano al mare
le impronte, lo zefiro, dei cinque uccelli
 la casa vuota e la sua lampada
l'inverno che cura la mia montagna
il villaggio vicino, con gli anelli di fumo
sei l'eremita e chi torna al mercato.


Sei la fatica di passare la ciotola
sotto la neve, sei tutte le fiabe

dentro il coraggio di una rayuela

sei l'abse, la piena, la primavera trascorsa
con chi non distingue la pioggia dal fiume
un pesce dall'acqua, se vola nel cielo.
Sei chi magenta il viso alla sposa

 

tu sei il qi dell'ultimo verso
il benedetto ringraziamento.

*

Un vento favorevole

                                                            Là sulla cima qualcuno si addolora.
                                                            Se la casa traboccasse di fiori
                                                            l’uccello azzurro in lontananza

                                                            gonfierebbe nel petto i profumi ?

 

( Mi chiedo se curi ancora i tuoi bachi da seta.)
Da noi è nato un nuovo pinocchio,
dalla casa di ogni regalo. 
È così commovente, fra i libri più cari -
come la pioggia alla quercia dello stabat,
sui pini slanciati, invece, ci faceva sorridere.
L'ho rivestito con i fogli del domenicale,
solo un lembo di stoffa, il tuo rosamacchia, 
per l'abbecedario. 
Si guarda intorno così stupito,
come se cadesse dalle nuvole
il magenta che mi colora il viso,
quando lo accarezzo.
Ha le fontanelle aperte, sai?
una traccia lieve sotto il cappello
per sentirti arrivare fin qui,
nei due bracci del fiume,
come un ruscello,
sopra i frutteti del cuore.

                                                             Ci vorrà un vento favorevole

                                                              ad asciugare i suoi occhi,
                                                              per stare nella luce 

                                                              che la luce scopre.

 


                                                                      

*

Al silenzio

 

Al grido di un'uccella m'inginocchio

in fondo al campo, dietro al mirto,
povera come non sono stata mai,
senza nome. Tu, dall'altra parte,
mi vieni incontro, uguale-
la nughedda fra le mani
e un dolore comune-
al movimento delle rose
sulla porta di casa:


una curva, la pianta, il suo fiore 
nell'aria. Siamo raccolti
in questa stella
in un albero 
che si spalanca al cielo,
a un’onda, che sorge,
prende la luce,
e riaffonda nel mare, 
al silenzio.

*

Una foresta appena nata

 

 

 

 

 

 

È solo umano, dici,
separare i vivi e i morti,
solo umano.
Questa la trasformazione?
Imprimersi la terra dolorosa
e divenire quelle api trasparenti
che posano al riparo il latte d'oro
dalla perdita?- La casa e il fontanile,
la baracca per dipingere di babbo,
la cassetta per i merli ai ripostigli della neve-
L’amigdala dei padri è nostro mantello?

 

Il vaso umano il frutto e il grappolo, 
la speranza? Ti ho lasciata andare via
proprio ieri sera, e tu
sei tornata indietro, in una notte,
come quell’amica alla radura
portando in mano doni antichi,
dal di dentro. Sul tuo fiato
trema, la mia mano, più vicina
al piccolo seme ridente-

se il caldo del sole 

che avverto in preghiera
è il mite fruscio di ogni radice
il peso dei passi alla fontana,
le piccole ombre ricche di voci.

 

Ubbidiente al bruno splendore
della tua forza,
al mantello nel vento 
della tua lamentazione,
sprofondo,
nell'infinita richiesta di questo silenzio, 
e respiro, respiro
come una foresta appena nata.

*

Stellario la tua mano, il tuo mantello

Uno stellario, la tua mano, 
che vuole solo respirare,
tutto qui,
sporgersi nel vento 
che viene, se cammini,
con l'alba dilatata in fondo agli occhi-
tacere, fra gli alberi, 
tacere gli alberi bianchi 
di neve o di fiori. Io credo.
Sul rossochiaro del tuo dito

 

ho imparato anche a dormire-
tra il luccichio delle ginestre
e l'immobile travaglio di quel masso-
con le curve della voce,
la spirale del nibbio, a dare vita,
dove hai disteso la famiglia 
e un posto buono, per restare
il tuo mantello.

*

Silenzioso compagno

 

Silenzioso compagno, 
la nuvola e il mio laghetto,
il tuo mare e questo pianto,
sono l'un l'altro, 
al ponte del mezzo mestolo:

ci laviamo la faccia nel nostro catino, 
quel poco d’acqua che resta va insieme,
versata dal ponte, al suo fiume,
perché possa raggiungere il fondo
della cascata, intera,
trova quiete nel cadere. Così


fra le tue dita già bagnate d’inchiostro, 
ha vissuto ogni poesia, prima degli occhi, 
per uscire dal suo mantello
naturalmente, come una pianta 
quando buca la terra, e il suo fiore, 
che vediamo cadere soltanto
quando il vento è finito-

 

o l’uccella siberiana, 
prima che smetta di piovere,
perché ha il canto dei fiocchi sotto la neve,
di qualcosa di nuovo che cresce
fra loro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                              Immagine Daria Petrilli

 

 

 

 

*

La piccola rosa camuna

 

La vita comincia con un nodo,
quel piccolo cerchietto all’ombelico
continua fra i capelli, tra le reti
e le tue vele, alle corde di montagna, 
con i fili di sutura, 
per fermare il nostro sangue, o i viaggi di un tappeto.
Se vuoi piangere, sta in gola, 
per sorridere, a un anello.

 

Risalendo un fiume sacro,
con due donne che cantavano,
mi ricordo di quei nodi che facevano alla corda
per il tempo che scorreva, 
per non perdersi al ritorno.

Ho posato un nodo piano

 

l’ottavo di febbraio,
al salice in giardino, e quello per domani,
di babbo andato via, 
lo intreccerò alla ginza, 
all'albera in preghiera-
a due rami in matrimonio
ed ai suoi piedi, nuda
nasconderò la rosa,

la piccola camuna-

 

 

Se un giorno passerai dentro al boscovecchio
posa la tua mano fra le sue coppelle
saprò che hai ritrovato 
il principio al nostro filo, 
il bisso d'acquabuona
che ci sposa al cielo.

*

Il salmo della neve

 

                                                                                       - Le prime luci

                                                                                                         Il salmo della neve

                                                                                                         Per stupirsene -

 

E tu? Annoti ancora i moti delle lune?
Gli scatti della luce, quando va sugli alberi?
Ti chiedi appena sveglio come fanno 
a sollevare ogni frutto sulle cime?
C’è chi semina i fiori delle felci-


questo mi rispondi e non ti fermi
dal centro del tuo cuore fino al limite-
anche l’ossigeno esfolia tutto il ferro 
portandolo alle briciole, come sa una lama, 
ma quando incontra l’idrogeno che ama...


tu, come una sposa, tu ti bagni
come una sposa che va al suo matrimonio
- qualcuno è infelice perché mescola, nient’altro
ottenendo, solamente soluzioni,
senza legare gli elementi in uno nuovo -
con l’acquabuona che nasce. Fra le gambe

 

da quel momento cominciò a vibrare
la tua membrana tesa cielo a cielo,
facendosi piccola e dopo dilatata,
con il ritmo che diede vita a una danza.

-Dov’era l’aria, che cosa ti avvolgeva 
se respiravi senza alcun respiro?
Chi ti proteggeva? Era di notte?-
Un oceano celeste, tutte le membrane
confuse alle stringhe tinte di oro rosso.-

 

Era l'ardore profondo a brillare,
il germinale bambino di luce,
che offriva calore al suono universo 
formando l’impronta indelebile e chiara
da così lontano, per poi ritirarsi 
in quel punto, il più piccolo, da equivalere
al massimo grado di ogni estensione.?
Così nacque il fuoco, da questo calore
e, dopo, la luce, che adesso mangiamo?
Con una parola un’onda una voce,
così è dei colori di tutte le piume 
che sono ancora rinchiusi nell’uovo,
nel corpo nero di un arcobaleno-

le gocce i globuli i punti, una perla,

la nube squarciata da quella luce,
la tua fornace in perfetto equilibrio
si è dilatata andando all’amore,
che ancora viaggia nel suono più antico,
portando i semi dai primi nidi
in cui l’universo ha preso a riunirsi.

 

E' questa danza che schiaccia l’oblio,
il suono che resta della tua voce
che definisce la forma alle cose 
riportandole insieme dentro l'origine
di quelle stringhe confuse alle brane 
fino al pulviscolo dentro la gola

e dentro la pioggia -tutta indistinta-

un’ombra soltanto, se può proiettarsi
sopra le mani, che stendo, bianchissima,
un residuo speciale, come gli anfratti
della mia casa, che un lume soltanto
può rischiarare, se sono vicini
a quella tenue fonte di luce, 
fino al confondersi delle falene-

 

per ritornare alla vita assoluta

al principio silente, a vibrare di nuovo 
nell’hara del mantra, al fondo di un amen

 

nella dolcezza del suono immortale
delle due curve dell’ Oṁ che sorreggono
il bindu riunito in un unico punto
su di un velario, ostenso, per sempre.

 

*

Naftalì

               < Naftalì >

                                                              Se batti con la voce sulle labbra
                                                              di volta in volta la casa è costruita.

 

Per questo hai disteso una cortina,
un patto sacro, sulle nostre membra
nascondendo la tua isola nel centro?
Tra gli uccelli e i filatteri delle albere


per dire tutto insieme quel che vedo
ho dato un nome al passo con la cerva,
laggiù in fondo, dove va il suo respiro-
prima degli occhi e della voce, la segreta-

 

Ora è chiara la pronuncia nella gola,
chiara come la tua mano benedetta,
                                                          mentre sillabo nell'aria : Naftalì-
si dischiude da ogni lato della bocca
la rosa delle valli più profonde-

come un sabato o il dolce capomese
al grido antico di una partoriente-
da quella luce nascosta esce un raggio
che riallaccia i legami con la gioia-

 

Questo fa nel pomeriggio una preghiera,
il mio canto dei gradini a bassa voce, 
quando penetra la tenda con la nube.
Dove tu sei, di volta in volta, nostra casa

 

non posso dire <Naftalì> se non cammino 
se non vado con lei a cercare l'acqua.

 

 

 

*

L’ascolto del fiore

 

 

Si apre piano

la lunga tenda gialla
sopra il giardino.
Porto al cuore le mani,
piccole spinte e
una sola parola
per dire la pelle-

toccando il tuo viso
le braccia la schiena 
e il tuo sesso-
s'innalza nel cielo,
bello semplice azzurro;
un giovane albero 
è l'ombra leggera
sotto il fogliame,
un uccello sacro, sul muro
della mia stanza.

Tace l'immaginazione.

 

Ti ascolto,
come quel fiore arancione 

che ha sentito il mio desiderio,
e si è dichiuso,

come fa il bene,
silenziosamente.

 

*

...se tu segui tua stella

Se tu segui tua stella
non puoi fallire a glorioso porto

 

Divina Commedia, Inferno, Canto XV
versi 55-56

Seguo la linea quando scompare
dietro una curva - come il tornante 
che offusca la cima salendo gli dei 
e sembra di scendere- l’intima stella,
più grande di me. L'ascolto obbediente 
mentre l’acqua finisce e l’ultima legna 
è sul fuoco a bruciare il brillio naturale 
la carne del soffio, la sua direzione.
Con le ossa nell’aria lo stesso cammino

 

nell’oscuro dell’abse mi insegna a vedere
dove il silenzio non sta senza verbo
a tenere un diario, a scrivere lettere
mi inchino, confusa - Di fronte a che cosa
tu fai riverenza? A chi ti inginocchi?-

 

Assentendo alla vita, io credo, soltanto
se chino il mio capo, cadendo vicino
al verde nel vero alla sua primavera
al suono che fa sentire che “ vr” 
dispone nell’aria la pioggia dei fiori
che l’acqua raccolta nel cuore a giumella 
offre al pensiero e alle mani il sapore

 

dal basso continuo, andando alla gioia
se dalla terra imparo il respiro.

 

 

                   Scultura Georg Kolbe 

*

Rayuela

Quel luogo che ora tace, la mia casa,
come chi ha protetto l’aglio tutta notte,
è il rosso della gioia verso l'alba
per la piccola rayuela che ha saltato
dalla cipressa al tiglio- un anno intero
fra gli anelli delle chiocciole e dei bruchi,
annodando filo a filo con le mani
le albere del sole ai vecchi nidi,
fino a sentire sante le ginocchia
al pianoro dei dormienti, in cima a Bàdolo-
e un perpetuo sulla lingua, i suoi amori.

 

Una perla di buio, al boscovecchio,
ha cresciuto la preghiera di incontrarli,
aprendosi in un fiume di portata,
per contenere l'immenso e lo splendore
di una coppia di daini - come gli angeli,
quando entrano negli occhi con un canto

 

e dentro agli occhi, mite, fanno piovere
la grande nevicata della luce.

 

*

Nel graduale che ci spoglia fino al salmo

Un vento vivo in assenza della pelle,
di volta in volta con il gesto delicato
della luce quando va intorno agli alberi,
mi lascia immaginare dove sei

 

con i brevi movimenti della linfa,
se bisbigli una parola, la più lunga,
tenendola nel cavo delle mani,
quel più di ogni giorno che rinnovi

 

nel tragitto silenzioso verso il sole-
così se tocchi un fiore e la radice
si muove come un cuore benedetto

 

all’incontro dell’amore e il ribes bianco
dì loro che ti amo in cosa che vedi
nel graduale che ci spoglia fino al salmo.

*

Un angelo ci serve e ogni notte

                                                              Un angelo ci serve, e ogni notte,
                                                              come un osso leggero ama volare
                                                              alla festa degli azzimi e le rose,
                                                              per offrire la prima comunione,
                                                              dove gli uomini riposano le mani.

 

Ascolto il riso che rinnova l’acquaviva
di quel messia che serve capovolto,
come un diacono radioso, alla sua mensa,
i prescelti, divisi fra domande
su chi fosse il più grande dopo lui.
Quanta tenerezza in ogni angolo,
ai piedi del suo credo, per gli amici.
Simon Simon...quanta fatica 
per farti diventare il nome Pietro, 
sotto il vaglio del grande divisore,
come il grano.  La fede è una cordata

anche per Dio. Ascolto il batticuore,

mentre prega, per la fede di suo figlio,

e che confermi i suoi fratelli, convertito.

L’ascolto nel vangelo tenerissimo di Luca

quando supplica di armarsi di una spada, 

di vendere ciascuno  il suo mantello-

così prezioso che anche dato in pegno
veniva reso al debitore per scaldarsi 
ad ogni notte. Ascolto come dormono
i compagni, sfuggendo dal dolore, 
mentre l'ombra si allontana tra gli ulivi,
e a un tiro di sasso, si inginocchia-
ripetendo nel deserto a un filo d’arco
il grido di una donna al suo neonato-


E' l’agonia, la vera lotta per l'amore,
del sudore che gli scende dalla fronte.
Non è l’Adam  che raschia sulla terra,

e il rosso del sangue che lei beve
non è forse di Abele, suo fratello?
Dove sei stato?

Solo questo conta,  domandare :

dove sei. Tu li hai svegliati,

quando Giuda era vicino al segno pervertito, che colpiva,
senza spada, l’alleanza con un bacio
.-

 

 L'ultimo sguardo di quella notte estrema
è stato per il  giovane Simon-
l’ultimo appiglio tra gli affetti, rinnegati
a una ragazza senza nome per la via,
rubando, oltre al futuro, il suo passato-
più di quanto lo possa un tradimento-
col suo sguardo dialogò, l’ultima volta,
fino a quando non divenne il nome Pietro,
in mezzo al pianto, mentre lui spariva
verso il sinedrio che mutava le parole,
e da Pilato, con il suo nuovo amico,
che gli pose quella tunica vistosa,
quale re, dimenticando la giustizia.-

 

Padrenostro, chi c’era alla salita? 
Se a uno straniero fu ordinato di seguirti -
con le stesse tue parole per Simon- 
ti seguì, fino alle croce, col suo nome
e le tre donne appena in lontananza
tra la folla di lebbrosi e prostitute.
Ti sei voltato, per il rumore sopra il petto
di tutte quelle peccatrici, oltre le mura,
con le parole della profezia. Sei giunto in cima
chiedendo ancora tempo, 
e nel tempo del perdono sulla croce, 
di nuovo satana ha tentato la discesa
del tuo corpo, come un tempo sul pinnacolo
.-


A scendere è stata l’ora sesta,
improvvisando il buio dentro al giorno
sconvolgendo la natura per tre ore,
fino all’ultima consegna del respiro,
che ha portato il nuovo Adam 
a compimento.
Mi fermo su chi guarda gli occhi chiusi
di chi ha reso l’anima, Gesù:
il centurione, e una folla di spiantati,
i conoscenti, le donne e quel Giuseppe
del sinedrio, l’obiettore di coscienza, 
che prese il corpo e lo raccolse nella sindone
posandolo al sepolcro. Il giorno dopo
è già sabato a quel tempo di Gesù.


Di Gesù è il sabato dolcissimo
per entrare nel ventre della sposa
che stava preparando i suoi profumi ,
per il passaggio di quel soave odore, 
delle donne sul corpo dell’amato;
nella pasqua è già domenica, al tramonto,
se le stesse, testimoni della morte,
lo vedono nel vuoto - del risorto 
credere è vedere, amore mio,
accompagnando l’amato dove muore-


hanno tanto camminato insieme a lui,
per servire come apostole l’annuncio,
ricordando agli increduli che un Dio
è sempre nuovo nei doni che ti offre-
così alla coppia dei discepoli per strada,
che riflettevano sulla fine della storia-
troppo giovani per ricordare la promessa
tramandata dai profeti, il compimento-
eppure si è accostato, giungendo a casa loro,
spezzando ancora il corpo sulla tavola,
lasciando agli ultimi il riconoscimento.
E poi sparire- 
non prima della supplica al suo Pietro, 
con le mani e con i piedi di un amante
che rimane in carne ed ossa fra il calore
delle membra- Non credeva
stupefatto per la gioia..! 
Finché le labbra ripresero a mangiare
la sua pasqua benedetta con lo sposo.

 

                                                                     Hai dovuto amare così tanto
                                                                     per farci camminare come al buio.
                                                                    Ed ora, 
                                                                    dopo tutti questi anni,
                                                                    sei tu

                                                                   l’accanto che vediamo
                                                                   nell’angelo ogni notte, 
                                                                   che ci serve?

 

*

Il tocco di una piuma sul tamburo

Si muoveva sulla curva della luce
di un vento piccolo, disteso fra l’anello
e il bianco inizio di una liturgia-
nella baia tra il seno e le tue spalle,
fluiva nel silenzio reso grande
da un cadere che la teneva accanto
al suo pregare, e per tutta la lunghezza
niente più l’avrebbe sollevata
dal calore radunato nel suo centro.

 

Ed ora che la storia, ricongiunta,
vive tutta nel segno di una mano,
quella vera, che si sogna mentre piangi,
c’è qualcosa di inudibile nel suono-
come solo fa una piuma su un tamburo-
che oltrepassa la pelle, quando trema

 

la visione in fondo agli occhi che rimane,
dopo il tocco inavvertito, la passione.

*

Un buco è tutto per la luce

Benedetto dall’esistenza, e dal suo peso,
l’oceano pur immenso resta calmo,
tra le infinite madri della terra,
facendo boschi nuovi di ogni onda,
spingendo sulle palpebre le mani
nel luogo più profondo, il più elevato,
per sbucare nei polmoni di un fratello
con l’odore delle lettere del pane.
Dove l’acqua va nel bianco e si ritira

 

attaccheremo noi al seno la sua voce,
la coveremo come un fuoco, a cielo aperto,
muovendo l’aria, e fosse solo un goccio,
la saliva, è quello che ci serve, 
per la limpia tra il sambuco e il falso pepe,
a risalire i pozzi insieme al canto
del più piccolo respiro della polvere -

 

perché tutto è una ferita, 
e un buco è tutto
                             per la luce.

 

*

Noi crede

Noi crede al riflesso sulla vera dei pozzi,
quando rotola via con gli anelli dell'acqua,
a un punto d'unione, al cuore del petto
Noi crede alla veste che ancora indossiamo
degli stessi bambini, nel piegare la notte,
Noi crede, ostinata, alla sola preghiera
che viene in silenzio per tutto il giorno

 

Noi crede al magenta, nella sua offerta,
al buco scavato per dare alla vita
quel bisso che lega le due campanelle,
che suonano insieme il nome armonia
Noi crede alle ciotole fatte di creta,
alla mesa, alle foglie, e in cima, alle pietre,
che chiudono il seme, protetto dal gelo

 

Noi crede nel verbo abbacinare,
quando entra nell’aria mentre ti scrivo
del mistero passato sopra le labbra,
alla voce che resta del suo celeste,
mentre sprofonda con tutte le ossa
nella fiamma che torna dove fa buio.

*

La sua mano

 

Il confine è ancora la sua mano,
e lo sguardo origina dal buio.
Basta un’eco,
                   appena il tempo di passare,
che un occhio solo già distingue il nido.

 

E qualcuno è proprio qui che trema-
nel luogo dell’origine del grido
di quell’albera- non le cime azzurre
o le apicali delle sue radici,
a tremare è il corpo che sta in mezzo,
più modesto di un servo o di un padrone-
dove passa l’alburno con la sete,


come fosse il concerto di tre angeli,
quando sconfina in una viola sola.

 

Antonella Schiralli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                 Disegno Antonella Schiralli 

*

Come un fiume una lacrima soltanto

Come un fiume una lacrima soltanto
mi sfiorava con il canto, in madrelingua,
delle donne che corrono fra i lupi,
tanto il peso era ai fianchi della casa
che mutava la forma del destino,
confondendo nella storia la magia
delle zampe bianche come un giglio.

 

Era il Capodanno delle bestie,
e in pieno petto disegnavi coi colori
dell’onda di Hokusai, sull’Ararat,
con tutto il peso della luce quando preme
tra le ali e gli alberi dell’anima_

ogni favola è piena di ginocchia, 
salvate in fondo al mare, con un sogno
che sale lentamente poi si dona,

fino a sorgere la carne per la carne_


che scivola dall'occhio di chi sogna
come un fiume in una lacrima soltanto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                Dipinto di Antonella Schiralli 

*

Nel sonno senza sogni

Sei venuto nel sonno senza sogni,
fasciato di bianco, e col nero
hai confuso i tuoi pesci alle uccelle.
Con le spalle coperte dal vento

 

quanta calma al risveglio, mio sposo,
capovolta nel solco di luce, 
dove i nomi hanno i mesi più belli,
nel giardino del corpo, e la fame,
il lentissimo bacio che porta,
ora è un pane, scambiato nel ventre,
con la tua noce d’oro, che sale.

 

 

Dipinto Escher, Cielo e acqua

 

*

il bambino di luce

C’è nella tua mano la purezza
di una danza religiosa,
fra la riserva delle dita, il tremolio, 
un movimento proprio alla verginità,
e un guardare lontano da se stessi, una mano
che segue da sola il cammino, e va 
paurosa, ferita, di nuovo contenta, 
va, profondamente, sotto il volto di una casa,
che sta sopra di lei come una stella, 
che non osserva, soltanto risplende.

 

Stamattina ho disegnato i fogli bianchi
del libro d'ore che mi è giunto per Natale,
obbedendo al nostro orecchio debole, 
come una cosa alle leggi profonde.
Poi è salita di nuovo la luna
e ancora una volta sono andata dagli alberi
- non distingueresti le mie mani, ora,
prolungate nei polmoni, dal tuo canto.
Dalla conca benedetta delle neve

 

ho preso a casa tre bacche gemelle
sdraiate sul pino dormiente, quello argentato,
per donare al presepe dei piccoli magi.


Al vecchio tiglio ho lasciato un haiku
del bambino di luce, in fondo alla pancia,
nel suo mantello l’annunciazione.

*

Nel credo tu entri verdeluce

 

Dove si trova il quarzo che ricorda

di rimanere sprofondati come neve

ed innalzarsi nel credo che noi è

 più grande di ogni angelo, tu entri

 

bevendo silenzioso al nostro ventre

come una parola che hai compreso

nella porziuncola di pace verdeluce.

*

Quando vai a fare i fiori

                                                                     Cosa vedono i tuoi occhi 
                                                                     quando vai a fare i fiori,
                                                                     la porta stretta di una retina 
                                                                     dove s'inginocchia il cielo?

                                                                     Come ride, una parola, 
                                                                     che ti muore, ancora prima,
                                                                     quando vuole disegnare

                                                                                       il suo respiro?

 

Se congiungi il campo di una lacrima,
da cui riparte il filo, alla radura,
che appena visibile cammina,
nel continuo movimento di un miracolo
a comporre la sua voce, va alla gioia,
con il riso, come fosse una preghiera.

*

Fra l’intimo dell’acqua, una celesta

 

 

 

Quel rosso che ti appare in controluce
è una veglia solamente, un obbedisco, 
mentre il fiume mi ricopre come neve,
con lo stesso respiro che conosco
delle bestie, nel tepore, quando è buio.

La folata di vento che ti porta
arriva a toccare per la grazia
lo scintillio della risata, la mano stessa
del miracolo, sul fuso della dita.
Nel vangelo mai fermo, che stupisce


con tutto ciò che si oppone alla morte,
la ferita più profonda che si allarga,
sul mio viso, fertile, è la pace-
la gioia di portarti sulla bocca,
nel buco più divino del midollo-
dove entra ogni notte quel bambino
sulla barca celeste. Come un santo

 

nell’erezione di Moseh oscilla ancora,
con la testa nell'arca delle madri,
allo splendore delle nostre contrazioni,
facendo delle vertebre un dipinto-
del bimbo rosso, tra i giunchi che si allargano,
il passaggio di ogni porta- e la parola,
con la spinta che diffonde quando è ora,
fra l'intimo dell'acqua, una celesta.

*

Nel lungo viaggio della voce

Assimilo nel buio la tua luce, 
piano piano padremio- ne ho fatto un cuore 
come cibo, ripetendo: sarà un uomo
il primo a entrare in casa, l’anno nuovo,
o almeno la sua voce, insieme all’aria-
dove siamo rimasti senza braccia
ho tenuto fede alla promessa.

 

Se avessi tolto prima la cornice 
ti sarebbe apparsa nel perimetro la tela
con il colore originale dello sfondo,
il rosso vivo di una cocciniglia,
nel ritratto di cenere e silenzi, 
l’addome magro, sul volume di preghiere.

 

Sei stato, tra le lacrime serene,
una stradina per l’anticipo del vento,
nel lungo viaggio della voce dentro casa,
la prima, nella stanza dei tesori.

*

Come un frutto, come casa tua

Ti scrivo da una cella silenziosa,

senza quasi un alito di vento,

nel movimento delle mani è già domani,

e il suo grazie, nella notte, fa il tuo nome.

 

Lasciamo che tutto accada ora,

come vuole ricadere l’anno nuovo,

come un frutto, come casa tua.

 

L’amore non può chiudersi,
come impara a fare una ferita.
La morte piccola, che ha preso l’anno vecchio,
è il nostro frutto, in cui ha avuto amore,


e quella grande, che ci portiamo dentro,
è la sua luce, che va bevendo il succo.

*

Fra il mattutino e un’Ave Maria

La casa respira, anima mia,
chiude gli occhi e ringrazia;
il suo palmo è chiaro
le sue linee profonde
al centro del corpo le lacrime hanno
un vestito azzurro
e i fiocchi di neve coronano i piedi
come fratelli di latte.
Conosci l’albera che ride con me

 

i bambini di luce che custodiscono gli angeli
e il ramo del vischio che porta in giro le gemme. 
Più dolci della felicità
I tuoi riccioli neri rivestono ora
i bianchi misteri dei colli,
le pietre, le case, i nostri sassi,
le forme sante del pane;
tanti piccoli sentieri bianchi
che si intrecciano fitti per poi svanire
nei buchi amati dell’albera del noce,
dal letto di morte alla sua infanzia
resuscitando la bellezza delle madri
vissute secondo la carne,
in un alito,
nella forma chiusa di Adamo,
una tana da uccello.

 

Lì, dentro il tuo libro d’ore, farò Capodanno,
seguendo il vento lieve delle tue mani 
educate a vicenda, all’amore,
guarderò a lungo ciò che mi feriva
delle tue ferite più profonde, 
contando le ossa ad una ad una,
le parole che danno un grande freddo.

Pregherò per loro, stanotte- e fin d’ora
domando perdono 
se chiamerò mio sposo ogni verso,
compagno e fratello, passando le dita 
sull’inchiostro a migliaia di anni,
sul ragazzo luminoso che discende 
verso il grande lago - a capo chino,
fin quando la bambina che contieni
colerà nella mia gola il nuovo anno,
con le mani del nostro saluto 
e il più grande congedo, riuniti

 

come sappiamo accadere ogni giorno
fra il mattutino e un'Ave Maria.

*

Benedetto il tuo Natale

                                                                      E sai come attendere tu,
                                                                                  camminando con gli occhi,
                                                                                  la voce nel petto 
                                                                                  come fosse una stanza,
                                                                                  per vivere ancora 
                                                                                  colma di luce. -

 

 

 

Posso solo raccontarti di quel poco
intravisto per bagliori nel mantello-
la santità del movimento, non il detto,
ma ciò che ho ascoltato riponendo
le sillabe bagnate sotto l’aria -
abbandonata alla dolce eucarestia,
ho condotto per te ogni preghiera,
e mangiando alla tua bocca contagiosa,
è nato il mondo, da cui nessuno torna.

 

Fedele al passo che matura il pane
sei tu la grande morte e il mio risveglio,
chi cerca e chi è cercato in te è scomparso,
se ogni giorno ricomincia dalla stessa 
pozzanghera di pace trasparente,
dove il cielo si rispecchia ed il tramonto
indugia con la luce nel miracolo
del suo laghetto azzurro verdemare.

 

Ed ora posso rannicchiarmi silenziosa
come un germe tutto intero che si affida
al tremore più solenne della terra
sussurrando benedetto il tuo Natale

*

se avessi voce per Natale

 

Così ti starei in pancia, figlio mio,
appoggiata al cuore sacro del tuo nome,
con lo sguardo stupefatto e senza peso-

 

giacendo indistinguibile e morendo
prima di raggiungere il tuo verbo.
È mattino pieno in questa notte
dove andrei se avessi voce per Natale,
con la mano che bisbiglia e ricomincia
dal lembo di silenzio che mi avvolge,
prendendo a poco a poco intensità,
il corpo nudo che ti restituisco-

 

nell'immensa luce rovesciata,
per sentirti deglutire fino al canto
perché tu sia ogni cosa quando cresce.

*

Madremia

 

 

 

 

Un indugio il colore delle sillabe, 
l’accento è un ritardo, e il culmine,
nell’andamento claudicante del respiro;
non è la cima dei monti all’orizzonte,
o la profondità delle foreste,
sono le pagine di un erbario remotissimo,
dove ti metti con la lingua, per tacere.

Eppure un suono vibra, flebilmente,
mentre porto l’acqua nel torrente in secca,
se raccolgo i panni, quando taglio legna,
io ti sento, nel silenzio, che disponi
i tuoi rami con i fiori, al centro del mondo.

 

Nessun grande cielo a luccicare
sulle colline di sasso, 
solo un andare tra fango e terriccio,
da un sorgente a quell’altra- 
un ciuffo d’erba grigia, scie di nebbia
che sfumano i contorni del mio semplice vestire,
rendendo radioso l’odore delle pigne che hai bagnato -
le cose si conoscono tra loro si frequentano
il fontanile del tuo sentiero, la cerva da un solo fianco
mostrando cosa appariva come un velo -

                                                                Il te bollente
                                                                Mentre sorge la luna
                                                                intiepidisce

 

                                                                Non il suo riflesso
                                                                quando sfiora le labbra

Tanto da tacere già dentro la parola
fra le maglie che si aprono per fremiti 
riassorbite sulla pelle, così chiara
da non potersi trattenere in un pensiero-
un semplice barlume lascia il posto al suo riflesso,
e nel miracolo salato il cavo d’onda
diviene un nuovo pieno- Madremia,

ho rispettato il giuramento da soli cinque giorni,
sul focolare il minimo colpo farebbe cadere
i ceppi, e le braci 
conserverebbero ancora la forma
che ti ho promesso, cadendo, 
e in più la luce. Domani sei nata
e il tormento si placa di colpo, 
come sotto il tiglio, quando ci respirava
e si accostava a noi, per un lungo momento,
aiutando i nostri fiori a schiudersi, 
indicando il sentiero possibile dei caprioli,
il rifugio, la dimora dei girasoli
per la raccolta dei semi. La speranza.
Non è certo la morte ora a impedirci di credere
all’eternità di ogni minima cosa,
al suo nome - io credo- a ogni luogo 
dai mesi bellissimi, ai bambini
qua e là, donne e fiumesse
che si scambiano ricordi
di albere e poesie improvvisate, 
con lacrime raccolte nel tutto della gioia,
ad ogni tornante delle nostre braccia-

                                                                Da ogni fiore
                                                                la promessa del frutto
                                                                L’ultima brina

Lo spostamento immenso del freddo
è questa onda che s’inarca da cinque anni
fino al semplice tratto di schiuma,
in migliaia di vite, stanotte, la nostra lingua,

la veduta di alberate ed un vapore
annidato nella foschia che si disperde.
Se oggi dico “ mi ami” e rispondi “ anche tu” ,
sbucano i verbi come la vita stessa
se ripeto saltimbraccio, per amarti più veloce,
magento, nel sorriso del tuo nome,
senza aggiungere altro, Silvana.

                                                                     Il te scaldato
                                                                     e il fuoco tutta notte
                                                                     Quante le veglie

 

                                                                     Tengo in me le ceneri
                                                                     e il ricordo del freddo.

*

Fiume di portata

Quando il mio vuoto cristallino 
accoglierà la tua lucente propensione
saremo ancora maschio e femmina. Soltanto

 

le lingue azzurre nelle bocche che si baciano,
fra la pioggia di saliva più celeste,
faranno insieme di ogni coppia un angelo,
del vapore un fiume di portata-

 

staccando in fondo ai reni una valanga 
trasportata dal torrente del magenta
nelle falde più profonde per sgorgare 
al centro esatto dell’orecchio, immacolato

 

avremo il sole nella testa, e il nostro anello,
conservato al dito come in un ciborio,
allatterà l’immagine e il suo angelo, 
la sigizia benedetta che è in amore.

 

*

Sul sentiero dell’amore per Duino

 

Ti ho sognato al molo di Trieste 

cercando un libro di poesie sopra il banchetto,
e sul sentiero dell’amore per Duino
che leggevi sottovoce le elegie

 

con l’odore delle rose nevicate 
che alla decima scioglieva in mezzo al petto
l’umidità dei nostri occhi e quella luce
il lamento in un giubilo dorato.

*

il senso della luce

 

Con quale pace si raccolgono le foglie
le ultime, nel freddo, intorno ai rami,
hanno il movimento di una madre
che ha mangiato tanta terra con il sole,
con le ginocchia piantate nella medica

 

lasciando poi che cadano le vesti
nel suo più veroposto, nella yurta.

 

Ha il senso della luce, una ferita,
la piaga luminosa del congedo,
se la tagli rifiorisce, lacrimando
l’indomani è una foresta che si alza,
per invitare un angelo ad entrare


nella stessa posizione di riposo
che avevano alla nascita i germogli.

*

Nel sonno del tuo nome

 

                                                               Dov’è che ti fa  male per Natale

                                                               alla corona delle tue ginocchia,

                                                               o alle preghiere? Tu lo sai.

 

Eri certa del fulmine alla vita,

se ti sei divisa il petto in lunghe ali. 

volando via dall’isola con Elba,

dai  più morbidi rifugi color rame,

a cercare luce asciutta e vento forte.

La tua dolomia ora è un giuramento, 

sulle pareti scure, che protegge

un albero nell’albero, e in silenzio

resistono gli anelli della volta

ai ripostigli  della neve sopra casa.

 

                                                          Ti sentirò arrivare da lontano,

                                                          bagnata del celeste di mio padre,

                                                          portando bende calde, affonderò

                                                          nel sonno del tuo nome,  mia silvana.

 

 

Immagine Jeanie Tomanek

*

Il peso delle donne senza nome

Pronunciando Mosè dici l’ostetrico
delle Miriam che lo hanno messo al mondo,
dal grembo naturale al suo cestello,
è vocazione il nome, di Pietro di Simone, 
un compito preciso la chiamata,
come sulla terra, la promessa, 
c’è il soffio di Giosuè e poi Gesù -

e tutte quelle donne che continuarono a seguirlo

 

compagne del morente, che è ancora vita,
senza nome, loro che “Di buon mattino,
il primo giorno dopo il sabato, 
vennero al sepolcro al levar del sole.”
le donne non chiamate, donne laiche,
oltre il masso, rotolato via con il timore,
le apostole degli Apostoli, madri testimoni 
della morte, della sua deposizione, di chi risorge

 

con quale nome? Chi non esiste è grande peso.

Nell’acqua amara dell’amniotico rimane
ripetuto il nome di Maria, non altro quasi,
dal ventre pieno al vuoto della tomba.
E fosse solo questo, basterebbe

il coraggio della prima, a costo della vita,
nel domandare all’Angelo la via;
o quello dell’ostinata scavatrice sulla torre,
la prima donna ricomposta nel suo corpo-
non è un caso, proprio lei, di Magdala
la possibilità di essere chiamata col suo nome
nel luogo più preciso di ““Maria!”

 

“Rabbuni”- anche tu ti sei commosso

fino al pianto, nella casa di Betania,
per tirare fuori l’uomo e farlo alzare,

con un grido. Chi non esiste è un peso
che farà dei piedi una maestra,
dello scarto un tempio esatto
nell’accogliere il viandante con le orecchie-

 

due volte solo hai accusato la tua sete
con un imperativo, sulla croce, 
e, davanti al pozzo, alla straniera-
a qualcuno che non c’è, la macchia nera
di Samaria, che hai assetato
domandando acqua, e lei,
nel ministero dello svuotamento,
ti ha sposato.
Nessuno mangia più da quell’incontro
nessuno beve altro che l’amore,

celebrando la più vera eucarestia.
Nel punto luce che riconsegna la bellezza


coloro il ventre d’acqua nel deserto
dipingendo la donna cananea

col verdemare dei suoi occhi glauchi,
la fenicia che seduce con i cani 
riconoscendo un pane buono nei frantumi.
Verde anche la dramma, e chi la cerca al lume


per la prima comunione; con il rosso
del sangue del tabù, l’emoroissa,
la più lebbrosa degli infetti, senza chiesa,
e bianco il tocco delle mani 
sul mantello.
Col celeste dell’azzurro di Maria
coloro il primo figlio di una donna
senza Abramo,
la sua rivoluzione per il mondo.

Tengo il giallo per la fine, della vedova,


una macchia di sole abbacinante,
la perfetta-
fra i dottori seduti ai primi seggi
c’è il suo cuore, e tutto ciò che ha
una poesia.

*

Con la semplice preghiera di un papavero

 Volevo compensare la paura del neonato 

spiegando il grido che fa tremare l’aria 
quando esce dalla notte, nella luce
i piccoli polmoni, le sue ossa.

 

 

 

 

 

 

 

Non senti che sei l’uomo nella donna,
il riso di una madre al suo bambino?
Nella pena del travaglio l’agonia non è miseria,
ma l’odore che fa un giovane terriccio
appena nato dalle foglie morte- 
l’invito all’alito sincero viene su come un tesoro-


nello strazio che si apre e perde sangue
nel parto di tuo figlio. Non fermarti,
non fermarti che per continuare il balbettio,
per ricomporre ogni frammento delle foglie
che hanno brillato prima di finire.
Al punto di incontro delle fonti, ai nostri piedi,

 

la sorgente è un albero nel suo disfarsi, 
e il cuore, del gigante che si spezza, un’acqua pura,
il lavoro di una vita nel suo andare
a quell’aurora che noi chiamiamo fissa.

Con la semplice preghiera di un papavero-

che malgrado il forte vento lo scompigli, 
mantiene nei frammenti dei suoi petali
il rosso intenso che la pioggia non attenua,


-raccolgo le mie cose nel silenzio
e zoppicando, verso l’alveare, ti ripeto : 
c’è un liquido vermiglio che per sempre
alzerà il velo ai nostri occhi;

siamo un campo rifiorito di lavanda 
che a forza di morire per l’essenza
si veste fino a perdersi in un blu
del tutto senza peso, fra i colori, 
e attraverso i suoi vuoti, con la luce,
si unisce alla terra più leggero,
come solo una porpora sa fare
quando si distende su ogni petalo.

 

Così mi corico al fianco di ogni sera
dopo avere ripetuto il girotondo
con le stesse parole, ed il tuo nome,
per cadere sopra il campo, dove ride
l’invisibile colore, in mezzo a noi

 

*

Negli occhi fa la neve

 

Non fai altro che nascere ogni giorno
svolgendo e dilatando la mia vita
ti scrivevo con la cenere negli occhi

se per sempre metto insieme i nostri nomi
amina con aman e poi narimi;


anche adesso che negli occhi fa la neve,
bisbiglio siamo salvi, al posto giusto,
che attraverso corre ancora quel bambino,
col respiro più pulito che conosco


se i nostri nomi antichi messi insieme
si pronunciano col suono di domenica.

 

I tre pini

 

*

Nel vivo della carne io magento

Giravi intorno al pozzo senza posa,
perché il sentiero ripetuto sotto i piedi
esplodesse nella strada non percorsa,
dove il grido perfetto di ogni stella
ha la stessa posizione delle braccia.
A farsi largo tra gli indugi delle mani

 

è ancora in vita il tremore del miracolo,
e ogni volta che sorridi nel silenzio, 
l’amore rende un chiaro di continuo.
Io sto bene, e so piangere di gioia,
dove l'acqua scava lenta sulla pietra
un lamento, poi un canto, un alleluia,
e quando tace dove va, seguendo il cervo-

 

nel vivo della carne io magento, 
come un rosa cedevole di luce,
per morire nuovamente sul tuo cuore-
al prossimo tornante dell’aurora.

*

Tu, la terra destinata, tu che vieni

Riaccendo il lume antico e, a costo della vita,
ammutolisco, tra i nodi del respiro.

Le parole intanto vanno alla tua voce
da principio. Ti aspetto, mi raggiungi.
Ti sfioro, prendo tempo. Ti rilascio.

 

Posso dire solo ora < siamo insieme>
mentre seguo con le dita la tua scia,
con l’orecchio l’eco dei tuoi passi, 
per tornare al mio barlume, benedetto-
trafitta e poi nutrita dal mistero 
di questa religiosa solitudine
che fa brillare il vuoto. Lungo i fianchi

 

trattengo, come aria, il presagio e il tuo disegno,
la traccia che riposa sull’argilla
della nostra calda vibrazione e più modesta epifania-
le morti , quelle piccole, tra un respiro e l’altro,
ci hanno mostrato come tornare vivi,
complice lo sguardo tripartito dell’apnea,
tra il mattino la fiumessa e la tua casa:

vascelli, con l’amore ad ogni porta 
tatuati sulle stelle alle pareti,
e al nostro corpo. L’uscita rimane respirare 
attraverso la fessura, sulla soglia,
per ricevere semplicemente il buono
ridente del tuo viso,
che prende favola, sereno,
nel largo dell' azzurro. Dove tutto affiora-

 

tu, la terra destinata, tu, che vieni
dai millenni di un rebambino biancosale, 
tu, piccolo messia, con cicatrici di cristallo-


la tua voce adesso è tutta la poesia
le mani pure, il libro aperto, la dorsale
dal ventre al cielo. Della pietra rosso sangue
distendo la sua spugna alla marina
completamente nuda. In stato d’amore

il tuo manto ci ricopre con immensi occhi
nasce il passato e la sua vena, sacra:
la trasparenza del grappolo, la terra salva 
contro il freddo, e l’acqua, che risale chiara,
dice gioia, da ancora più in alto, in pace
sulle labbra illuminate. Anche stanotte

 

da lontano mi sei seduto accanto,
se ti volti indietro mi sei dentro.

 

- Claudia Sogno, Boscovecchio, 26 Ottobre 2017 -

*

Lei carezzava le piante con il sesso

 

 

 

 

Lei carezzava le piante, con il sesso

delle parole più corte sulla terra,
districando i fili lunghi dei capelli
con latte di riso e madrepore lucenti;
inginocchiata ripeteva una preghiera 

 

dalle radici al centro di ogni fiore.

 

In un respiro ho raccolto le sue lettere

 nella pozza verdemare preferita
con i piedi a penzoloni nel colore

per vederla piantata fra le zolle
mentre allatta le verbene, a seni dritti
la sua acqua che risale con dolcezza
nel ventre di qualcuno che lei ama-

 

e tra le ossa cave del suo credo

la linea alba che mi fa volare. 

 

 

 

 

 

*

Primo sale

L’albero ha già superato il vento
scurendo di colore il nostro corpo,
con la parola bene ed il suo opposto, sera-
non la carne, celata nel profondo,
oltre il verde di tutti i suoi frutteti-
un coagulo d’acque scure in una coppa
e la forza, di un amore colossale,
trattenuta al principio della vita.

 

Ora so che siamo due-

le due acque che vanno in matrimonio-

che siamo nudi, se la pelle dà alla luce
che fiorisce - quando sorridiamo 
alla stella più lontana, e il filo d’oro,
che discende sulla lingua,
                                                                  ci raduna 
come primo sale.

 Paola collina

 

Dipinto di Paola Collina, tratta dalla collezione Spoon River,  1991

*

Prima degli occhi, a Inniò

A Pierluigi Cappello

Il tuo celeste è giunto a Inniò,
La terra dei bambini di Luce,

Come te

 

 

Prima degli occhi

sei l’ immensa luce rovesciata

di una fiaccola al cuore delle spalle
il grande albero che ora sta cantando
di un lungo viaggio

nella stanza delle voci -

 

di come entrasti dalle vene luminose 

per tornare coi bambini sulle dita

a congiungere ogni cosa

quando cresce
nelle movenze appena

dell’alburno..

 

 

 

 

*

La tua voce apre la porta a tutto ciò che può benedire

                                                                 Tu che non mi hai dato nulla, dici,
                                                                 nell’andare e venire,
                                                                 con gli occhi puri
                                                                 di un bosco che si alza,
                                                                 la tua voce apre la porta
                                                                 a tutto ciò che può benedire-
 
più riconoscibile di una madre
tutto è amore, nel solco della giada
la bava della pinna,
il vapore che si leva dal tuo bisso
come in piena,
il filo d’acqua che discende
fra le dita,
calde maestre delle mani.
 
Prego, poi mi bagno
come un pescatore nel suo mare,
mentre penetra il mistero,
porgendo alla sinistra
l’ultima terra del profondo,
col rigore, con la forza della carne.
Allevata nella coppa del tuo hara
 
è salita col respiro una bambina,
dalle caviglie fino ai reni, in una danza
si è fatta sottilissima, poi sciolta-
non altro, nella luce del tuo corpo,
non altro che un orecchio.
Mutare generando un atto magico, è morire ?
 
Nelle acque della crescita lei canta
saltando la sua corda, per restare
un lievito, soltanto? - Se si volta
nella spira del tuo soffio, io la vedo,
resa l'anima, che muta-
nella spada di ferro più lucente
aperta la sorgente sopra i fianchi-
liberando i nostri morti
 
con la vita. Si precipita nel viso,
come un sale dentro il pane,
in un'albera le ossa, e ogni vertebra
è l’anello che si sfila dalla bocca
un nodo di energia, la vera stella,
la congiunzione estrema, l’unica,
io credo,
fra il silenzio e la parola,
benedetta.
 
Davide Moggi

*

Nel buio che immacola il respiro

Anche al buio prego di mostrarmi
una strada, alla radice del tuo nome
di ritornare dove si era stati
a preparare doni e meraviglie

 

alle nuvole, da cui ricevi luce,
le stesse che ti offrono la pioggia
del silenzio che viviamo insieme,
di indovinare il luogo preferito
del lampo di carbonio, sulla pagina,

 

leggero come l’aria, inafferrabile,
all’orlo della tunica, ai tuoi piedi,
dove il remo affonda con dolcezza
disteso al centro di una piccola foresta

 

e quando sento risuonare il riso
unito alle mie doglie da principio
seguo il lume dentro la tua voce
nel buio grande_

                      che immacola il respiro.

*

Il sonno delle piante

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli uccelli in stormo o una fila di formiche

sanno che  il principio fu nel verde-

e appena al terzo giorno-

se nel becco c’è un ulivo, terre emerse,

per piantare l’ebbrezza nell’asciutto,  
e con un gesto libero succhiare
la radice con la bocca e i piedi in aria-


il tuo sesso è tenerezza sulla terra

sembra fermo, ma cammina come gli alberi -

dove un buco li ferisce viene nuovo
un ramo,  se gli  offri  la talea,
propagando il suo giardino, ancora uno,

sui viticci gli apici e i germogli.

Un chiamarsi insieme che innamora  

 

le parole più sottili delle piante

quando fanno odori in aria come rune
mostrandoti l’amore, o la paura,

dai capelli i fiori bianchi per le api

fino al rosso così amato dagli uccelli

E il nostro seme, per amore,

 

saprà andare lontano dalla pianta

all’acquabuona ?-
In qualche parte dello spazio c’è altra luce

che ogni notte accende le radici

che solleva le foglie come mani

per rendere invisibili i suoi figli,

nella stessa posizione di riposo

che avevano alla nascita i germogli-

 

con un un dito sulle labbra e gli occhi chiari

a ogni congedo  recitare una preghiera ?

 

Il sonno delle piante è un testo sacro

che s’immerge nel fiume della vita

che si corica, benevolo, ai tuoi piedi,

bagnandoli, quando tutto intorno è quiete.

*

Samech

 

Ho preso fra le mani il tuo respiro
lo stabat sul confine dove il guado
attraversa le vocali come i lupi
con l’aria nella gola, e solo dopo
la esse primigenia di Samech -

 

lo sfregamento, il soffio nel canale
della lingua che spinge le pareti
_ il lento entrare _
pulsando nei condotti 
dove andrà il tuo nome a rimanere
l’erezione dei suoi angoli a vantaggio
delle curve nella pancia - come ancella

 

attorno ad una i _la consonantica
la corrente d’aria che commuove
decomponendo il prisma della tenda

picchiando contro il ventre crea spazio

 

permettendo la durata con i semi

delle nostre antiche dita in mezzo ai frutti. 

*

In una sola carne

 

Il corpo aveva perso l’equilibrio

la giusta posizione delle spalle

andava per discorsi e non parole.

Mi hai detto falle insieme, sulla soglia

 

fila il suono dell’estasi col  sacro

e i due diventeranno in un respiro

in una sola carne  il coito d’oro

di un ventre che commosso va alla gioia.

 

Per la violenza del grido liberato

ricadde nuovo  il piombo nel bacino

passando fra i tessuti un filo rosso

e al limite del riso,  la mia voce-

 

dove gli assi fanno croce umana-

colò il vermiglio, a poco a poco, dal cinabro

al centro della pancia, stupefatto,

 

lasciando che soltanto con la luce

il corpo si schiarisse, a suo riposo.

*

Acquafitta

 

 

 

Vita e nome sulle labbra come figli

che camminano in rilievo colmi d’echi

di un’ estate che  accompagna la rincorsa

con un filo di acquafitta dentro agli occhi

 

salita  per le braccia dell’autunno

tra le costole e il respiro farsi vento

benedetto sull’isola più sacra

 

 apre la sua carne il sì assoluto

 

di una  mandorla di luce trasparente

con il bisso di smeraldo la sua voce  

nell’adagio più bello conosciuto

*

Una stanza speciale

 

 

Saliva celeste in ogni suo verso,
come su un ramo che vuole sbocciare,
nel mare purpureo di questo ricordo 
una stanza speciale, chiamata silenzio,
che dava le spalle al fascio di luce-
entrava chiunque, uno alla volta,
chi aveva bisogno prendeva del cibo


allungando la vita di un seme dormiente

 

poco lontano, appena discosta

una donna minuscola come un respiro
sfilava dal sesso del proprio compagno
il filo invisibile di una promessa-
saliva celeste, posandola piano,

sul bianco lucente di una parola,

così tanto profonda da poterla tacere.

*

Il bimbo rosso

 

 

 

C’è pace, sulla porta che si apre,


nel buco più divino del midollo,
dove entra ogni notte quel bambino
che esce con la cenere negli occhi,

 

e non tocchi ancora tutto dell’amore.
Con le luci capovolte della pelle
abbiamo avuto ben seicento anni 
di millemila matrimoni nella pancia

 

fino al frutto che mangiammo. Siamo noi,
gli stessi pesci, nell’arco della nube, 
e nudi come mai insieme ebbri.

 

Nell’erezione di Moseh oscilla ancora.. -

 

Non fermarti nell’arca delle madri 
spingi con la testa fino al nome,
facendo delle vertebre un dipinto

 

del bimbo rosso, tra i giunchi che si allargano, 
l’uomo verde, il passaggio di ogni porta,
penetrando nella tenebra finale-

 

con la stessa lingua che è la nostra.

 

G.Braque

*

Stupro ( Lo stupro di e .. )

Sei caduta ancora, e non eri sola.

Chi guarda solo è più pericoloso

di chi fa male ad altre vite sulla soglia

 

Chiamalo violenza non amore il suo silenzio,

le sue mani troppo grandi  per linguaggio,

quando prende il tuo vapore dalla bocca,

come  fossero le labbra di Claudel-

 

e ti fa dire che eri sola e sei caduta

dalla sedia, dalla tromba delle scale,

nell’oblio. Si scrive  come “ ricordarsi

la parola “maschio”  in lingua ebraica;

 

ricordare della parte femminile,

il buco madre,

di un infinito cosmo popolato

che ci fonda, madrenostra  da sposare.

Ricorda e

              che “sel’a “ non è la costola, ma il lato,

l’altro lato della luce, che ci è data,

di una tenebra infinita alla radice  

capace di brillare se compiuta

posando bocca a bocca i nostri cieli.

 

Non morire al niente nel silenzio, e,

se il perdono fa  salva la tua vita,

la verità le annuncia tutte, con un soffio.

 

 ( Work in progress )

 

 

*

Nel mondo accanto

 

Basta un niente
Un sopracciglio chiaro il quarto di una noce
che diviene azzurro mentre canti 
le sue parole intorno ad un giardino
e un minareto che perfora il cielo 
tra lunghe spine bianche e fiori gialli
rifiorisce il mondo visto. Senza luce

 

sto venendo a casa nostra con la voce

lungo piste d'asini selvatici
non avremo oggetti da scambiare

sul gran posto solo una preghiera-
che quasi non ti accorgi della gioia
quando sbuca in cima ai pozzi e sei nel foro
al punto del principio di altri canti-
con le ossa come vasi d’oro

di qualcuno che ti cammina accanto.

 

 

 

*

Acqua marziale

 

Separata dal mare
da un tombolo fine di ciottoli e ghiaia,
dal sale, protetta,
con diversi strati d’argilla,
l’acqua dolce si è fatta profonda,
e in quel punto, il mantello del mare,
tradisce il chiarore della sorgente
marziale.

 

Ai piedi del costone, in tramontana,
è giunta fino all’isola del cuore, 
ai suoi bambini,
al fontanile al secchio giallo alle tue ossa,
per bagnare la montagna, e i cinque frutti,
la nostra felce, dirimpetto al sasso.

 

Sapere la tua mano di ritorno 

sul loro capo come fosse casa
mi offre pace, e l’acqua la parola
che aspetto, vicinissima alla gioia,
tra i fiori ciechi della felce amata.

 

Claudia Sogno

 

30 Agosto 2017

 

 

Laghetto delle conche, Isola d'Elba

*

Lucida e stordita

Il punto di partenza della voce è fermo.

 

Rimane il secchio d’acqua che ti porto
la vibrazione del legame.
Rimane la sete

in un sottile movimento
                              lungo il taglio

degli occhi di betulla che ricordo

 

c'è sempre qualche luce se l'aspetti-

se ti metti inginocchiato sei più grande
se risplende un pianto nudo, un solo verso
fessura l'infinito e rifiorisce

la speranza- è un libro fatto d'aria
in cui le note della voce fanno tana
illuminando il gran silenzio mentre sale
lucida, e stordita, una poesia

*

Se ci tocca come fa uno sposo

Non c’è polvere, nel coraggio,
né paura nella fame,
consegnando al buio il nero,
per eccesso della luce, 
il suo splendore.

 

Saremo lontani dall’ottava elegia,
dall’accosto, la rimembranza,
quando avremo colmato a misura 
lo scrigno? - All’aperto e di rimpetto

sarà un refolo negli occhi che ti avverte-
se ci tocca come fa uno sposo,
e tanto giorno, infine, nel respiro-
dove vive solitaria una preghiera,

 

o un passo, che lento rassomiglia
all’odore delle mani senza corpo,
quando stanno nell’involucro di argilla,
con la lingua, segreta ad ogni altra,
di una luce che ancora non esplode.

*

Genet.. che lacrime sono le tue

Genet, che lacrime sono le tue?

 

Hanno rinchiuso il tuo volto, le mani,

fragile e donna, bisognoso. Il tuo lottare

hanno lasciato fuori, la dignità delle urla,

una conchiglia annegata in una carezza

 

Genet, senza storia il tuo corpo.

 

La sporcizia mondata fra la pelle più bianca.

Ohh Genet…! che lacrime sono le tue!

 

La nazione festeggia

sei presentabile, ora,

idratata, alla luce,

in pace.

 

Genet ha perso la voce e le valigie 

in mezzo alla piazza

per quante sorelle sono state toccate

dallo stesso biancore ogni notte

nella sua terra, senza consenso,

 

con una carezza.

“ dai non piangere!” è una violenza

 

Work in progress

 

*

Riunendo il corpo come fa un anello

                                                                

Hanno preso le tue lacrime dal sangue 

lasciando nuove rose intorno al volto
un nuovo nome sul quale camminare
con un nevaio di bambini sulle spalle.

 

 

Se ne potrebbe, non si può, dire di più, 
dai buchi profondissimi degli occhi, 
quando le mani  cercano di aprire
dei mondi impossibili tra i palmi, 
per trattenere l’acqua che una bocca, 
da una riva all'altra, ti ha donato.

Nel passaggio stretto, rallentando, 
puoi solo accendere candele,
farti piccolo, traverso le montagne

è allora che  vedi il donatore, 
nel vento bianco di una grande pagina,
il bere silenzioso al suo confine 
dell’uomo  da cui uscì il mattino.
Cantando all'indietro una poesia

si è piantata una tenda nel midollo, 
- chinando il viso, inconosciuto, senza peso-
e grazie a lei ti riconosce il mio profondo,

se oggi  chiude il cerchio, e quasi tace

che a notte viene e si corica ai tuoi piedi

riunendo il corpo come fa un anello.

*

Albere uccelle fiumesse

 
 
 
Alla pozza delle tre madri..
mi commuovi ancora le mani
le dita, ognuna,
come albere uccelle fiumesse
 
Se ci passi sopra le dita tutto rinviene,
dove vanno a finire le cose,
le cose sante, le mani accoglienti. 
Albere uccelle fiumesse, 
un piccolo gruppo di tuniche azzurre, 
nei cinque luoghi della bocca, 
e tutto è in fiore;
 
la mescolanza d’erbe nella gola
gli oli santi nel palato e sulla lingua
la dolcezza dell'acqua quando brilla. 
Con le lettere inclinate, sulle labbra, 
messe in luce, 
 
ricadeva in azzurro qualcosa
dalla mia testa
dai piedi salivano schizzi 
per unirsi al centro dell'hara. 
Un’estasi, ferma nel corpo,
svelava   il volto fiorito
di nostro figlio, 
nel mantello breve di luce,
l’universo nascente il suo nome. 
 
Ripetevo preghiere
per respirare, io credo
nell’ora  che oggi chiamiamo
della doppia  luce. 

*

C’è altra luce

Un'acqua limpida mescola i sapori

dentro il cesto nero. C’è altra luce.
 
Un pescatore taglia le sue cime
con i denti infila gli ami. 
Le mani calme emergono dal buio, 
un canto a bocca chiusa. 
 
Difficile non piantarsi nel suo cuore, 
con un muscolo infinito, nell'ascolto. 
C'è calore_
che trapela ai bordi
dei suoi cespugli rossi,
un borgo intatto, la processione delle luci,
le pezze bianche a notte, 
tra i sentieri stretti dell'estate
 
_una lievissima sorgente di calore
nel buio immacolato, 
che gravita, che bagna~
dove il tempo si ferma velocissimo, 
a caccia dello strappo,
con la forza misteriosa che diffonde
tra la lingua di ogni giorno 
e le sue mani.

*

In un piccolo perpetuo

Ti sento vivere al centro del frutteto
spostando appena l’aria col respiro,
il ricamo argenteo sulle vene
delle mani, abbandonate fra le pigne,
come fossero il principio di una pianta,

 

a voce bassa, dei semplici bambini
che si sporgono nel nulla, ad occhi chiari,
dalla cima dell’ultima parola
con un dire lungo i lati delle labbra 
in un piccolo perpetuo “ sono insieme

*

acquabuona

Devi avere sofferto così a lungo
per accogliere tanto flutto
aprendo la notte in un giorno bellissimo
fra le pupille adorne di sale

 

se con le mani a giumella 
porti l’acquabuona sulla soglia
delle nostre piccole urne,
come un nido alle sue nozze.

 

Altro non so. Da quel giorno

 

la nostra casa semplice respira
come un grande albero
che tiene le sue assise 
nella luce.

 

 

*

A capo chino, nella luce

 

 

 

Ti scrivo dalla mia porziuncola di pace,  

una pozzanghera di pesci verde mare,

che amo come un ramo carico di neve.

 

Il mistero della gioia è tutto qui,

dove la terra finisce, come ieri,

quando l’ombra si allungava  sulla pietra.

Mi sono seduta accanto. Ho riposato,

sognando di raggiungere il tuo lago,

una barca piena d’acqua, poi l’azzurro.

 

E’ volata la grandine sul letto

fiori misti a foglie con il vento.

Il sole della sera, il mio risveglio,

la luce bianca sul lenzuolo nuovo-

una mano sulla spalla che ti stringe

 

in pace. Sono andata verso il fumo,

che sale dalla terra se la pioggia

è penetrata fino in fondo. Sul pianoro

mi sono inginocchiata, per pregare

 

fra i girasoli, come me, a capo chino-

come fossero figure ad occhi chiusi

mansueti ed obbedienti. Nel silenzio,

protetto il capo sotto i loro volti,

lasciando si bagnasse, con lentezza,

ho pianto-

con  lacrime, leggere, nella luce.

*

Tanto è preso il cuore da visioni

Come un fiume in pieno sole scende l’acqua.

 

Come chi dorme sfiorato sulla spalla

annuso le mie dita  e ti sorprendo

a fare il bagno in mare coi bambini,

gli uccelli-pesci legati con un filo

all’ombra delle nostre spalle unite.

Accarezzo i miei capelli e siete onde

le più piccole  che vi stanno intorno

 

Tanto è preso il cuore da visioni-

 

così  il  nocciolo del suono si avvicina

ponendo come il seme di una pianta

tra gli uccelli che s’incrociano gridando

sulla barca stretta degli amanti

 

vanno e vengono in respiri i nostri occhi

inumidendosi  le dita di altra luce-

in un calco che precede le parole,

finché la lingua si tocca col palato

nel verso del sorriso conosciuto.

 

Scintilla allora  il volto della barca,

il dondolio che  cammina nella voce

diviene  l’andatura dei miei piedi,

e il largo d’aria che fa scendere la pioggia

un vortice di gioia profumato.

 

Mi fermo, mi siedo qui, vi guardo,

e ti raggiungo nel miracolo salato.

 

 

*

Con gli occhi dell’origine

Hai portato nutrimento ai nostri figli,
una lingua viva e tanto  ferro,
polvere azzurra sull'orlo del fuoco,
qualcosa tra il cibo e la respirazione.
 
Ora tutto è pronto alla saggezza
della notte cosmica  per mare-
una manciata d’anime di terra,
con il peso derivante dalle altezze,
la memoria dei ricordi e dell’oblio-
come una luna uscita da acque fonde
per dilatarsi chiara in mezzo  al cielo.
 
Calore aria  minerali   acqua.
Fra le poche gocce bianche del tuo seme
e le cose piccole non c’è più spazio,
il colore vi  attraversa insieme,
quasi fosse il filo del racconto
la parola che  apre come riso
le mani e le gambe in un  respiro.
 
Con gli occhi ancora pieni dell’origine
la luce che hai  raccolto si trasforma
in sangue che scompare tra le vene,
le fessure antiche del tuo sasso,
il nostro verde, le pigne. Alla cima della croce
 
mentre la tua barca si allontana,
allargo le braccia più che posso.
 
Dalle spalle  sgorgano due lacrime 
nella mano sola di un bambino, 
il cui volere è semplice. L’amore
ci condurrà a tutto ciò
che venne dopo
 
 
.

*

Il canto delle ali dorate

... a Mammet

 

 

Ai suoi piedi nascono fiori

con l’intensità di un primo amore,

la luce del fuoco.

Come un’acqua limpida,

la mano del calore,

cola sulle mie spalle

brillanti di cenere.

 

Una figura potente, come il sole

vuole sbucare fuori

dal ventre della montagna

e uscendo dalla bocca

si posa inaspettata

sulla lingua, forte, urgente.

Con il grido di una pianta

strappata dalla terra

 

qualcosa viene ad aggiungersi  alla sua luce

qualcosa dentro la pelle

che fuori ha il suono

dei figli del crepuscolo, della vita

qualcosa che non si può paragonare

 a niente di vissuto-

una forma di tempo, una durata.

Ma non era tempo, non era durata.

 Aria

era aria che trasudava gocce somiglianti

alle loro forme madri

dal calore la forma

dalla forma il movimento

dal movimento i colori, dai colori

il sapore e insieme odore. Odore.

 

Ho accolto la neonata,

l’auriga che ogni notte si rinnova

dalle acque notturne  in cui è rimasta assopita,

che nell’ultima ora ha lottato, con amore.

Nel singolare arrestarsi di ogni movimento

 

ha fatto nuovo qualcosa di antichissimo

partorendo ciò che è vecchio.-

Una volta era già in alto,  io credo,

non c’è parte che non ritorni nell’anello

sempre più in fondo. E da ultimo

saremo nel punto più basso- dicevi-

del nostro fiume poi lago e ancora mare,

luogo di morte luminosa, finché l’acqua

non si sollevi in cielo

come vapore,

per ricadere in pioggia...

 

Lo spirito e la sposa dicono:

Vieni. E chi ode, dica vieni. Chi ha sete, venga

Chi vuole, prenda in dono l’acqua della vita

 

Versando seme vivo fra le ombre azzurre,

meridiane dei morti,

si è accostata, mammet,

con un lieve ronzio

simile a quello prodotto dalle ali

dello scarabeo.

 

Il canto delle ali dorate

mi ha permesso di riconoscerla. In quell’istante

si è posata come una egretta sacra

sul mare

un guscio sono divenuta. Un giorno

due giorni molti giorni cinque anni. Oggi

 

la luce del giorno illumina

l’ombra del sole, l'Elba,

che abitava sotto l’albero dell’acqua-

Non la comprendevo, ma sapevo di Lei

che cresceva.- Non è accaduto nulla, dici,

e tuttavia si è prodotto un soave ed ineffabile

mistero: io sono uscita dal cerchio che ruota

toccando il tuo fiore alla sommità dell’albero

le ali,  che tornavano. Verso la sua stella

 

siamo uccelli d’oro sul ramo delle luci,

utero della chioma fiorita,

silenzio

delle sue profonde radici.

*

Hara

Ripeto il tuo nome come sigillo

mentre sale alla gola la parte nascosta

di tutto ciò che è manifesto

ripeto  il tuo nome, nel giro dei rulli

delle preghiere, nell’acqua che scende

dalle tue mani sul sasso, la felce

e una giovane pigna confusa alle altre.

                             

Il tuo vento serale illuminato

spinge lontano dal tempo  lo sguardo.

Nel reciproco scambio del nostro calore

il corpo riflette immagini e vita

riverberando nei piccoli grani

che il verbo conoscere porta nel ventre

la mano, in ebraico, come una mussola,

e aggiungendo una lettera, alla sorgente,

apre  la breccia, divina per gli occhi:

 

il dito di Venere sfiora la testa

e quello di Giove la cistifellea,

il medio, Saturno,  lo spleen della milza,

con l’anulare, il dito del sole,

mette l’anello al tuo fegato santo,

il  mignolo infine si lega col cuore.

E tutta la Mudrā  è solo al principio

 

di quando portavi  una piccola mano

a una sposa, d’argento, promessa e sul muro

della sua  casa coloravano mani

bambini lucenti per il matrimonio.

Risalgo il sentiero, seguendo il calore

 

tra le piccole chiavi delle clavicole

varcando la soglia del  pomo d’adamo,

il  prisma di suoni,  i suoi colori,

sotto la lingua, dove è custodito

cosa avvenne negli inferi.  Ecco i gradini

i pioli e la yurta. Un corpo intero

contemplo nel viso  fra le mie mani;

 

ripetono i piedi, le orecchie,  i tuoi passi,

e gli angoli curvi delle mandibole   

le amate ginocchia. Mi piego al respiro,

a pregare il mediano, la sacra colonna,

il tuo naso è  la schiena che lenta accarrezzo,

posando l’amore sopra gli zigomi

le piccole ali, i nostri polmoni.

Negli occhi,  al principio, trovo il tuo cuore

e un nuovo bacino sopra la fronte

fino ai capelli, i tuoi reni, ti bacio

le radici celesti distese nell’aria.

 

C’è un  matrimonio nel viso, concorde

la nostra bambina dentro la culla,

nel corno d’amon, si è arrotolata

al cervello più antico fra le sue madri,

la dura e la pia; e uno splendido ragno

bagna ora  la tela,  il santuario di fuoco,

con nodi vitali- tra i giovani fili

 

si scorge nell’ombra madreperlacea,

dove ondeggia una pigna ricca di nero,

al   ritmo solare la bianca sostanza,

si espande nel buio  in corona radiosa

fra i suoni degli organi e nomi di membra.

 

Una lingua di gioia cola nell’hara,

dalla cima dell’albero tinta d’azzurro

alla piccola mandorla, orlata di luce,

nella stasi più grande del nostro Sabbat.

 

 

*

Grazie a te

 

                                                               Calò profonda la notte turchina.

                                                              Appena un lampo
                                                              trasse per me antiche cose,
                                                              figure dagli occhi chiusi,
                                                              e un senso largo di religione.
                                                             Non seppi fare altro
                                                             che lasciarle affondare 
                                                             di nuovo. Laggiù

                                                                

era presente un’immagine

-prima di essere vissuta-

chiara, tutta in una volta:
di Noi cresciuto discendendo,
come si va nel bosco per la legna,
a fare anima. Nella casa d’infanzia

 

ricordo vivo  il puro sapore
che si levò al mio tramonto,
con tutta la forza che avevo,
nel suo mare di fuoco, mio figlio.

E quelle parole…

< Com’è stretto qui dove ci amiamo >

Splendeva il guscio, come una ghianda

al principio della sua vita.

Divenni, a quel tempo, una madre notturna,

integrando l'ombra, per non ucciderla,

trasformata, e perfetta, da un sonno profondo?


< Un uomo da solo non può 

salvare il divino della bambina.
Per questo hai mangiato la carne

del suo fegato, in abbondanza,

dove si accumula in luce tutto il compiuto

fino all’ultima goccia di pan-kréas,

ogni carne della bellezza,

fino a guarire i tuoi occhi ;

 

non è soltanto una νέκυια-

io credo- nel caldo dell’ombelico, 

con l’anima immersa nel sacro

del rosso inesorabile. > 


Come gemelli che vanno

con piedi diversi,

uno di terra l'altro solare,
che si allungano  insieme

verso il cono più alto

 e il basso dell’ombra ? 

 

< Da un luogo inaspettato,
o da una minima fessura,
può scaturire l'acquabuona che ci sfama,
la radice di mandragola che apre

le stanze sigillate del tesoro.

Il miracolo che fa che ciò avvenga

ha nelle mani  qualcosa che brilla,

la sua ombra è quella bambina

che  cresce, in mezzo alla gola,

dove branchi di animali come un fiume
vanno verso i pascoli seguendo

il percorso amorevole del sole,

poi ripartono. > Grazie a te

 

in questa immagine,

                            più lunga della vita,

il nostro seme vola,

fra gli stessi alberi,

ad accogliere la luce.

*

La riconoscerai dall’amore che ti porta

                                                                        Semi dormienti, germogli assopiti

                                                                                     prima degli occhi, e  la carne

                                                                                     di un chiarore inesprimibile.

                                                                                     Così bassi i nostri corridoi

                                                                                     che gli invisibili 

                                                                                     dovettero contorcersi

                                                                                     in forme mostruose

                                                                                     per passare al di qua

 

Credi davvero che un uomo da solo

abbia inventato la ruota e gli attrezzi

o le ceste intrecciate?  Le pietre

rotolavano lungo i pendii,

e gli uccelli tessevano nidi,

pescavano.  Il mondo

è fatto di verbi, io credo

 

non veda  il ramo  l’oriolo,

ma dove posarsi, il gatto, nel vuoto

del sottoscala, un nascondiglio

per non essere visto. Così dappertutto

sbocciano in canto le informazioni

dei  padri e le madri universali.

In mezzo agli odori di un luogo speciale

 

l’angelo entra, come antenato,

dentro una vita, da un albero o un orso,

posando l’immagine al centro del cuore-

la forte, la duratura-  

quando si volta e piano scompare.

dietro l’amato  mistero  di Hundra

 

tra il legno un frutto e il suo  fiore

puoi toccare un sentimento,

chiaro, fulmineo, tutto completo

il suo  come.  Lasciarsi vedere

è benedire, io credo,

ricevendo lo sguardo,

tu sei : come stai-

 

come un’aria nel pane che lievita,

e il fuoco che illumina solo

un punto preciso e non altro,

tra la mano e la pietra,

quand’è scolpita. A suo tempo

 

il sigillo dell’angelo,  impresso

tra il labbro di sopra e la conca del naso,

col lento inchino di un vento sottile,

tennero acceso il lume votivo

fin dove i bambini, nostri gemelli,

scesero in cima alle ultime voci

con una lacrima, sola, e perfetta.

 

Tra il volo dei pesci distesi nel cielo

e le uccelle bagnate dal cuore del mare

ci convoca nuova  la trasparenza,

restituita ai nostri occhi irrigiditi,

                     

si leva da chi tace, un solo verso,

" la riconoscerai dall’amore che ti porta"

come sta un verbo in mezzo alle parole.

 

 

Roberto Ferri

*

L’albera del noce

 

 

 

Coi falò della gioia non puoi scendere a patti

È nel vortice del caos che dimorano

Gli eterni miracoli

 

Ho seguito la sua  voce

lungo i vicoli del legno-

come fosse una figura,

il puro velo di sale e d’argento

la forma della veste,

parte del tuo viso-

e una lunga ferita sulla mano,

fino ai piedi dell’albera del noce.

 

Il livido passava da un essere a quell’altro,

da te a me-

con quel suo grado di nerezza quasi blu,

come un manto che generando ombre 

dona profondità di comprensione-

definendo i nostri corpi, volti al  bianco,
sulle pietre umide, ubriache,

fedeli a tutto l’accaduto.

 

Con un’altra sfumatura

la polvere si alzava dalle schiene
come fiori ai bordi di un sentiero,

nel dramma della luce, la più lunga,

 

mettendo al mondo noi, un nuovo nome
offriva il proprio seme alle radici.

Latte perle cenere ossa e ancora latte.

 

Chi nasce è  un bambino  immaginato

nell’ invisibile che porta tra le mani

i frutti  del buio delle ghiande-

 

un viaggio nell’aria che si apre,

la muta della carne in un respiro.

che penetra nel vivo dello spazio,

trovando calda  in lui una sorgente:

 

un’albera soltanto, che mantiene

nell’acqua perenne la sua schiena,   

che si acquieta, sul fondo della gola,

alla notte minore,  e per bisbigli,

nel continuo vedere che chiamiamo

le terre rivoltate benedette.

*

La sillaba mancante

 

                                                                   Nelle radici si fanno grandi, i figli,

                                                                   ma quando si ritraggono nei tronchi

                                                                   troppo presto, non c’è nome,

                                                                   per la madre che rimane.

                                                                  A sentirli ancora tra le fronde

 

sono l'anima  e le mani,

e dire mani è dirle aperte a grembo.


Le copre un abito di lana,
dalle sferzate dei loro padri_dei

fulminati di mercurio,
quando  vanno  nel profondo petto.

Stanno  solo passeggiando sull'impronta

 

del più piccolo respiro dell’ardesia,

con l’imene intatto dei neonati.

Altari rasoterra o  benandanti

 

loro sono insieme pietre dure

e uccelle, che si alzano nel nulla,
scavando per la gioia un nido folle

in cerca delle acque. Senti il vento,
per ogni  singola parola ritrovata,

negli infiniti contrari del visibile,

 

luminelli gli occhi vivi, se ti accosti,

la sillaba mancante è l’architrave.

*

Se conoscere è fare l’amore

Riesci ancora a piangere?

e.. dove attingi la tua voce

dove sei arrivato?

Dove attingo la mia voce

è dove sono giunto

Animamia

 

 

 

alla vita al piacere al riso.

Il neonato si consolidava

nell’incanto della voce,

bolla di respiro e insieme suono,

il qi al centro del mio hara,

Appena sotto l’ombelico,

dove l’apnea resiste a lungo

 

come si sta in piedi?-

Vibra! - Mi hai risposto -

al di qua della lingua,

dimentica parole, nessun coagulo.

Soffia l’ideogramma con il ventre.

 

Fin dalla tua venuta al mondo

se al dolore profondo di un pianto

fai seguire un  grido di gioia

il suono rimane lo stesso

generando la voce più bella-

E' un gran giorno,

 

dall’esistenza alla vita,

se conoscere è fare l’amore

oltre il muscolo largo e sottile

che separa l’addome dal petto.

 

 

Lassù ho tremato, cadendo

per tirare  il filo di lana

uscito dal foro al cestino

- all’ovile del suono-

poi salendo come una pianta

ho ripreso a cadere,

tra gli armonici gravi di una persona

e un  bambino che indugia  agli acuti.

 

Due vie sono le voci, aria e radice,

mio piccolo cantore-

il duale apparente si risolve

nella triade occulta che Noi ama:

 

il serpente sputa il  veleno

nella coppa in cima al bastone

risplende l’albero di Jule

fiorisce  nuova la  noce.

 

Non c’è canto, sai,  che non sprofondi

 in terra, per essere celeste

forza del grido di un piccolo d’uomo,

come il più benevolo dei tuoni,

e arco umano teso non ancora-

per impregnare la freccia con il qi;

 

il silenzioso il  turgido   divino

risuonando con tutte le sorelle

indietro in basso nella parte alta della bocca

dove tutti i suoni prendono il suo  posto

come l’acqua nel  vapore - se  lui canta

 

fino alla vigilia della morte

per rendere il respiro nell’accordo

del fondamentale, in altre onde,

onde più sottili,  in animali

 

è uno sgorgare calmo e maestoso

il capovolgimento di una stella,

la rotazione del bacino mentre vibra

per cantare nel giubilo il non detto.

 

*

Myanmar

Dopo la battitura dell’oceano

nel sesto giorno della quindicina chiara,

all’inizio dei monsoni e la semina del riso,

veniva col frutto dell’albero di bel

[ suo seno e primo sposo  ]

con ghirlande di tageti, poste ai piedi,

veniva Myanmar.

 

Lei era lassù,  

scendeva dal freddo insieme al fiume

senza fretta. Lui non fece in tempo

ad accorgersi del suo indugiare,

che era già oltre.  

Immediatamente capì di averla raggiunta

troppo tardi in un altro corpo.

In un altro corpo se la trovò di fronte.

 

La sua pelle sapeva di limone

quando il salice dell’arpa lacrimò

sul timbro della voce, proprio sesso,

nella forma di lingam.

 

Fu un sibilo soltanto,

misura di lago, dove adagiarsi.

L’obbedire la fecondò,

divenendo contorno la figura

il negativo spiraglio di salvezza,

la porzione più chiara

del loro anello.

 

 

*

Tefilláh

 

 

 

 

 

Basta un nulla per vivere, aman,

barche leggere.

 

 

Tu camminavi  assorbendo la luce,

doppia, solitaria,

in minuscoli astucci di vaio

legati al capo e alle mani-

culle di fiori, ho creduto,

tĕfillīn per le preghiere,

più tardi- אָמָן,

mangiando chicchi alla morte

come si guarda un bambino.

 

Per quel poco

impiegavi tutti i tuoi fili

sospesi nel vuoto-

le migliaia di ossa, i resti dei pasti,

i pezzi sottili d’avorio

imbevuti della sostanza segreta,

le molte aperture-finestre

e le volute, ogni Voluta,

da appoggiare nell’aria .

 

Sapevano andare, sebbene ciechi,

con labbra dolci nel piccolo circolo

dove un colore più intenso

reggeva altri mondi in scintille;

 

li ho visti adagiarsi e volare,

sul silenzio della tua festa,

nella parte cava della follia,

verso il grande amante sole..

  

Sapevi che avrei annotato figure?

 assegnando un posto a ciascuna,

col valore musicale di una nota

insieme tutte si sono voltate

con la grazia leggera di un canto.

Affondavano lente,

per piccole vertigini,

in un profondo inchino.

 

Sono venuta qui, a danzare, alla pieve del pino

oggi che il vento è così forte

 

 

*

Eravamo lievi

Fu l'ordalia dell'amore
la pervicacia della follia.
Vuoi sapere di più del colore
dell'acqua fulgida e cupa
sulle ferite?
 
Se una cabala cieca e perfetta
ci ha reso sottili 
o il filo teso di un angelo solo,
legando alla terra
il nostro stato d'amore?
 
Eravamo lievi, questo so,
confusi ai nostri sessi primitivi,
come giovani fiori verso l’alba
del rosso acceso, dalle antiche ombre
 
se alzi il bordo, sotto i fili d’erba,
tra l’oro della polvere e il salgemma,
le ali ripiegate intorno al seno
sono ancora fradice di luce.
 
 

*

Albatros

-Pochi decimi di efa e un grano nuovo,
nella ciotola di biada, al primo anello.-
 
 
 
 
Ridursi è gioia, nell’arca di uno spazio,
da quando mi hai  insegnato a carezzare
come i salici nell’acqua, e lentamente,
se nella continuazione si riflettono, 
che i corpi sono lampi di sistemi. 
Quando tutto viene avvicinato
 
io sento soltanto la tua voce. 
Non è tacere, il mio silenzio,  
ma la fonte di uno stare doloroso,  
per riceverti- 
nel più intimo dei luoghi
                          che ha una madre-
 
se cammino dal leone nell’acquario,
per cadere, finalmente,
nella veglia che mantiene il sogno fresco,
quando, oltre le cime, perde la sua luce.
Da parte a parte
 
non sono  più individui, 
il sale, il bianco, e il velo,
riaccolti nel lucido mistero
di un grande uccello
che attraversa il mare
col respiro quieto di un bambino
mentre dorme.
 
 
                                 
 
                                                                
 

*

Il turbamento dell’annuncio

  
 

( è un refolo negli occhi che ti avverte, 
il turbamento dell’annuncio,
il tu iniziale
e il passo, che lento gli somiglia,
avanza vicinissimo a trovarti,
così potente da partorire luce
con quel modo che fa tremar le cose 
in una lingua segreta ad ogni altra.)

Tenemmo fermo il petto e le ginocchia 
per scambiare il suono sacro del sinonimo,
che prepara la prima glossolalia,
con una eucarestia nel vaso d'acqua,
ricostruendo immagini per gradi,
per luogo di ferite e di servizio,
nel viaggio più notturno, nella gola
mutando il nostro carcere in un germe,
in un agnello liquido e fecondo,
ricettacolo, infine benedetto
nostro compassionevole gemello.

 

-Con un fremito, tacemmo, per pudore,
che nel verde del sinoplo vive il rosso,
della voce, sua ruah, e il nostro uccello 
dotato per il canto, ben nascosto.
Fu allora che spruzzammo con la bocca 
i primi segni dell’amore rilegato.-

 

Spingendo con le dita fino in fondo
puoi sentire le incisioni della selce, 
trasmesse dal respiro, sulla roccia,
con le ali superiori rosse e grigie,
il bisso arrotolato alla conchiglie

 

e ai nostri organi lucenti, dirimpetto,
come piccoli strumenti per il fiato,
che s’accordano l’un l’altro, da principio,
al suono antecedente, l’avverbiale.

 

*

~ La Genèse

 
II -
 
Risalgo nel candore del cunicolo,
col rituale della stoffa sulla tegola
 
mi insegni che c’è spazio, ed io ti ascolto.
Lo splendore della voce va negli occhi
 
e ad ogni nota corrisponde un posto.
Con qualcosa che somiglia a un cerchio
 
lo splendore della vista va all’orecchio,
creando il tempo e.. per la prima volta,
 
lo splendore dell’udito va allo spirito,
portando dentro il cuore  il tuo respiro
 
e lo splendore del respiro al primo soffio,
dilaga nei polmoni di un neonato.
 

*

Un buio d’aria

 

 

Viene ancora tra gli alberi la sera

un'altra lingua, quasi nulla, appena un vento,

se sussurro  che Dio ti benedica

 

con la fragilità 

che io immagino degli angeli

quando spostano tra i fiori 

un buio d'aria

 

*

La tua voce - ri.veduta

 
I-
 

Produce quasi un suono il tuo respiro,

un tessuto che proteggi con la voce,

fra la pelle l’abito e una casa,

come fosse una pretesta,

o un segreto bordato di rosso,

il colore dell’uomo. Della sua vita,

 

al limite del corpo, con un mantra,

prendo in mano il più piccolo dei fili.

Da principio solamente le vocali,

come i lupi;

molto dopo, con l’aria nella gola, 

la lettera che spinge con le punte,

che scava l’impronta dove andrà

ad espandersi il tuo nome con samech,

 

portando  l’erezione in pieno-canto,

attorno ad una i, la consonantica.
 
 
I
Tre volte racchiusa nella pelle
in un abito e la casa, testimone,
si accompagna ai mestieri, la tua voce,
la pretesta, bordata di rosso,
colore dell’uomo. E della sua vita
negozia il passaggio una squadra,
"una chiostra fine di perle", 
ultimo baluardo, o corona,
nella sacra cripta del palato,
lungo il filo del setto divisorio, 
ricongiungendo l’estratto di vermiglio 
alla speranza, sull'orlo del battista.
 
Con un mantra, prima di parlare,
al limite del corpo, e timorosa,
prendo in mano il tuo piccolo respiro.
Da principio solamente le vocali,
come i lupi.
Molto dopo, con l’aria nella gola, 
la più vicina a quello grande che conosco-
lo sfregamento del soffio nel canale
la tua lingua che sospinge con la punta
le pareti, in pieno-canto, il lento entrare
pulsando nei condotti, il movimento -
scava l’impronta dove andrà 
ad espandersi il tuo nome, con Samech:
la primigenia del tridente, l’energia,
delle pietre sulla stele di Mesha-
portando in seno alla sua vita
l’erezione,
attorno ad una “i” _
la consonantica,
ancella di tutte le vocali,
decomponendo il prisma lo steccato
della tunica di pelle, con la luce.
( Work in progress )

*

Sa me amala horo, horo kelena

Sa me amala horo, horo kelena
 
Sa come aprirsi nell'inferno 
il canto degli angeli che amiamo-
 
risalendo lungo i pozzi con i fiori
per raggiungere la gola e dire ancora
same amala oro, oro kelena -
 
Le loro mani bianche danno frutti
 nel buio che va dal primo vento
al caldo dei colori in tutto il corpo
 
sull’odore di un fieno che si espande
al grido amaro-dive!
                                    dive kerena
  
alzando con i semi una canzone, 
dal profondo della pancia, e lentamente,
come fosse  il suo  risvolto luminoso
tornare a trattenersi nel respiro.
 
Ederlezi, 6 Maggio

*

Nel cavo delle mani

Ci aveva condotti sul verde del fiume
la pura attenzione a un lamento infantile,
con le dita leggere di una preghiera,
rivolta al più caldo silenzio del greto.
 
Come in piccole orazioni, le ferite, 
ridevano, sprofondate nella luce, 
avanzando di ritorno alle radici,
col voto di non cogliere mai fiori.
 
Un canale di biancore percepito
nella sua immisurabile portata
fu il sì assoluto all’ultimo dei viaggi,
congiungendo i loro palmi al solo centro
di una lingua imparata da bambini-
 
e tenne fede a una consegna di silenzio,
la più straziante di tutte di tutte le scintille,
al principio della vita. 
                                            Poi scomparve
 
dove tieni asciutte le tue cose,
parola per parola. Tocco il legno, 
intorno al tuo carteggio, levigato,
  
e tra le pieghe, che hai sepolto meglio,
c'è la gioia di un fiume di portata,
dell'acqua che va accanto per istinto,
con tutto il peso assunto nelle altezze. 
 
Tra i giunchi che si allargano
i tuoi occhi
sono piccole candele che prepari
ogni sera, per parlarmi. Non c'è punto
che non veda la tua vita
un riparo, una piccola cappella,
tra lo spazio che viviamo
e il mondo accanto -
 
le fronde del tuo salice in preghiera
con le ali del mio tiglio, tese in cielo,
sotto terra e in pieno sole fanno insieme
 
un minuscolo groviglio di radici,
ricongiunte nella luce degli anelli
come un nido che prepara le sue nozze,
nel cavo delle mani capovolte.
 
 

*

Ambra..

Pregai tutta la notte nel libro d'ore.
Seguì una mattina molto limpida,
un viso chiaro.
Forse non mi sentì. In principio.
 
Poi vennero le cose,
le cose buone,
nella sacca per le offerte,
la montagna, una cascata, l'albero
e i quattro nobili.
Con l'anima coperta di paesaggi,
 
da  un altro luogo,
non avrei visto i fiori sottoterra,
come un giorno che spunta
dal nero puro all'acqua.
Da lontano, non altro che così,
ti sei offerto.
Nell'incertezza benedetta del vangelo,
 
ora, posso dirti solo come luce
nell'estrema povertà originale,
e come va,
nel patto doppio del crepuscolo
lungo i vicoli del legno,
l’ambra, che tiene il fossile 
con la nostra veste da bambini,
compresa nel suo grembo.
 
 

*

Sulla lettera iniziale di Pesah

Sulla lettera iniziale di Pesah
corre un piccolo gruppo di tuniche azzurre,
torce luminose con cappucci d’oro,
e tutta l’età del mare, 
bocca a bocca
 
chiude la tenda un panno morbido di lana.
Una coppia prega, dentro,
si raduna come un pesce,
tutta in fiore, fino al seme,
per l’offerta di conchiglie
e le tre madri. Nella gola
 
mescolanza d’erbe, di oli santi 
nel palato, e sulla lingua
come un canto, 
lo stesso del sale quando brilla
sopra i denti, 
consonanti inclinate fra le labbra.
 
Parole sorelle, messe in luce,
di pochi decimi di efa
e un grano nuovo, 
al centro della stanza,
come allora
                                    -eravamo nuovi e tutti insieme
                                     antico suono,
                                     nello stesso luogo delle bestie,
                                     a cospargere il secco di rugiada,
                                     fin giù, alla benedizione dei granai,
                                    con una ciotola di biada e al primo anello
                                    il nostro orecchio sulla pelle degli aranci
con lo stesso sangue,
fa di me la tua mano,
spezzando i vasi rossi dell’ultimo raccolto,
io sono insieme-
e obbedisco,
mentre il fiume copre il suono della voce
sul fuso delle dita, alla tua grazia
-
seppur sfiorando il nulla,
sono insieme,
e  la tomba è vuota.
 

 

*

Sulla creta dei sentieri

Discendo poco a poco  nel ricordo,
che la luce scopre a balzi, come ora,
sulle nostre ginocchia separate,
 
quando è raro sentirti respirare.
 È una mandorla la macchia sul destino,
e l’unica che veglia senza lume,
che resiste alla spinta verso l’alto,
 
danzando fedele alle sue leggi. 
 Un lieve salmo ti protegge il cuore 
-anche se a stento so che te ne accorgi-
per come tace dove va morendo al niente.
 Levando nuova luce sopra il viso
 
vedremo insieme compiersi,  in un angolo,
l’anello primigenio, il nostro fiore,
congiungere la notte col suo latte,
risorto sulla creta dei sentieri
 

*

Nella casa del pane

Conducevo il bestiame ai falò,
nella casa del toro,
il grande cervo alla sua sposa.
Mi portavi dentro maggio,
con le bacche di ginepro e di lillà
nell'orifiamma impuro della chioma,
e, aprendo il grembo dei colori, 
penetravi con audacia,
palpitante di io sono
Aman
 
Se tocco con le ceneri la bocca,
così limpida diviene la memoria,
e la voce rifiorisce dalla terra
mangiando il vino più profondo del pensiero-
il femminile cinge il forte
verso l’osso,
per andare al centro della rosa
rompendo il guscio al mistero dell'estate
 
-Nella casa del pane occorre fame,
come linfa dopo ogni regressione
nell'occulto dell' inverno. C’è un Sabbat
nella partenza di Beltane,
che anticipa l’aurora:
da un’altra altezza si può amare
prendendo ancora il volto 
che avevamo.

*

L’altra voce fra i respiri

Scorre nel libro
il sale per le arance
E il nuovo anello
 
Verrà il freddo e l’alburno
assorbito dal cuore
 
 
E' l'anima dell'aria 
ciò che resta,
una movenza appena 
dell’alburno
l'altra voce, mentre parli,
l'altra voce fra i respiri-
 
vibrazioni / pietre/ padri,
prossimo e signori
alberi e ancora umidi
cieli sotto l’acqua-
della sposa,
il suo altro lato, nel midollo.
Poi sparì- in un’assenza
come  impossibile.
 
“ Ricorda il pianto del flauto
 quando si separa dalla canna”
canta Rumi. E  io  piangevo-
sul piccolo cuore, custodita,
tanto da accorciare il tempo
implorando: “Segui il fiume.
Le vene lungo il greto 
saranno i rami.”
sapendo di pregare.
Ho bevuto con i morti,
 
perdendo vita, e tu-
in un piccolo posto
fecondo di piedi,
nel mare di sale  e noci d’oro-
tu, sia benedetta,
nel perdono che mi offri
con le stesse lettere del pane,
e di una danza.
 

*

Il tuo piede leggero..

 
 
 
 
E’ giunto insieme il tuo piede
leggero, nel labirinto di mille
e una notte, nella città di rame, 
bianca e perfetta di reti,
in mezzo al deserto, invisibili,
fra le pietre gli erbari e le stelle,
con un filo di bisso, per vicoli e piazze,
fin dentro alla stanza più buia 
sull’isola al centro del cuore.
Come rami di una famiglia
 
di piccoli fiori di melo 
abbiamo messo radici nell’aria,
tacendo fra gli alberi, e unite 
carezzato con l’oro il minotauro.
 
 
 

*

Dove siamo rimasti

Assimilo nel buio la tua luce,
te la offro come cibo,
ripetendo: io-te,
il desiderio di contatto, 
di pulviscolo, uno sguardo,
dove siamo rimasti
senza braccia-
 
Se avessi tolto prima  la cornice 
ti sarebbe apparsa nel perimetro la tela
con il colore originale dello sfondo,
il rosso carapace della cocciniglia,
dove tutto si trasforma e viene fuori
lo splendore della vista, nel ritratto
di ceneri e silenzi, fioriture, 
una stradina verde  per l’anticipo del vento,
l’adagiarsi di ogni lembo, e solo dopo
l'arrivo delle  mani, dappertutto,
il lungo viaggio delle voci
avanzate di ritorno, le scoperte,
gli accostamenti alle pareti, 
le praterie, il tuo volto,
nella stanza dei tesori -
 
gemelli muti con l’addome magro
addormentati sul volume di preghiere.
Appena fuori i nostri corpi
 
la sera è l’abbozzo
di un’ala che cresce,
braccia,
alla luce di domani.

*

Tu vieni prima degli occhi

 

 

 

Tu vieni prima degli occhi-

alla comunione di ogni giorno,

nell’oscurità che nessuna luce cancella,

invisibile e definitivo,

così come è lieve

abbandonare il seno

di una buona madre,

 

o come l’albero, che s’impone

senza un motivo calcolabile-

sprofondando nel vasto mondo,

dietro minuscole palpebre

che uniscono due individui,

con i nostri nomi.

Anche solo per un soffio

 

ascoltiamo il principio,

questa cosa immensa che respira,

protesi,

beviamo silenziosi,

guarendo le parole,

senza suono né fragore,

appena il tempo di sorridere.

 

*

Nel lungo requiem del vento

..La mia Mammet è tornata

a prendere il suo Sposo fra gli angeli

nella notte del 9 febbraio...

 

 

 

 

 

 

 

Il grappolo d’oro è di nuovo un vigneto 
nella sua terra grezza
il tratto cieco intorno al bianco
 nella memoria della luce.
 
Tu sei un luogo, ora, padre,  
ed hai un orlo
nel lungo requiem del vento.
Mi inchino alla vecchia foresta,
 
per amore e per forza,
alla voce calma di chi conosce senza giudicare,
alla sommessa melodia della tua serenità.
 
Questo poco di luce e la betulla
sono  il tuo gesto, la grazia,
il dono di ridere dei grandi angeli 
con le ali ripiegate verso terra,
composte di una dolcezza indifesa
e un diamante,
nascosto, profondissimo, dentro di sé.
 
Mi hai lasciato con i passi di chi è arrivato a casa, 
nel mio tempo interiore, la tua eternità;
 
un silenzio sacro,
che non si interrompe neppure quando parlo,
fino a non distinguere più il tuo viso
da quello di mia madre,
l’uomo dal bene o dalla sua sposa, 
l’inno e il lamento,
montagne nuvole ombre più scure,
e alberi, tanti, tanti alberi.
 
Un immenso paese riposa in me,
nell’addio e nell’incontro,
l’eterno
di queste ultime nozze  
giunte al principio.
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Perla di buio

Un piccolo perpetuo la tua casa,
perla di buio, nel bosco.
In quel vuoto della pelle è stato il vento
 
a spogliarmi, fatto grande, e una preghiera
di lettere inclinate sulle labbra,
con la cenere negli occhi che conosci.
 
Un fiume di portata mi era accanto,
un lembo raro, in fondo al tuo giardino,
e la polvere dei fiori,  già raccolti.
 
Nel canale di biancore immisurabile
niente è troppo piccolo, se ami.
Nulla so di più del tuo calore,
 
se non che per la prima volta
sono sola.  E ti ringrazio
di questa nuova vita, senza tempo,
 
dello splendore che avverto oscuramente
nel tuo nome antico. Poi mi perdo,
fedele all’invisibile ritorno,
 
piccola abbastanza non ancora
da sostenere  tutta la tua luce.
 

*

il capo di un bambino nella luce

Ho inginocchiato gli occhi al tuo vedere
la pagina piegata nel mio libro,
mentre pregavi ai fianchi di una barca,
tra i nostri passi appena disegnati
come lucidi animali nella notte,
per codici sottili di linguaggi,
nell’urgenza di ascoltare, dentro il soffio,
le tue mani ancora colme di frammenti,
 
quando prendono la vita, risvegliati,
nell’invisibile arteria della grazia.
Tra la ruota, il cerchio, e la sua croce
 
in questo canto puoi sentire come corro,
se mi muovo sulla curva della luce
di un vento largo, che si erge tra l’anello
e il bianco inizio di una liturgia.
Tutto si compie all’altezza delle braccia,
nella baia, tra il seno e le tue spalle,
con le dita innamorate, e voce a voce
ci scambiamo una magia di primavera.
 
Eppure io sono felice e tu distante-
nel silenzio che fluisce reso grande
in un cadere che ci tiene accanto-
 
e se una mano, inavvertita, fra le membra,
si posa a terra, come fosse un volo,
nel suo pregare, e per tutta la lunghezza,
non vive nulla che la possa sollevare.
Come un frutto quando è maturo, e cade,
in lei è andato ogni calore, radunato,
come brezze nei cespugli, o nell’estate
il grande freddo ai ripostigli della neve,
 
accumulando tempo, in piccole orazioni.
Ora è nel ventre un coro d’acque in piena
dove la vita aumenta nei polmoni,
nel continuo movimento di un miracolo,
è il capo di un bambino nella luce, 
pieno di grazia simile a un vapore,
quando stringe fra le mani come sogni
i pezzetti di una mela luminosa-
 
ripiegati come l’ll foglio di quel libro,
nella pagina più amata- ricongiunta.
 
 

*

Ti rendo grazie e canto della sera

            
                                                            La voce si trattiene,
                                                            nell'aria piccola,                               
                                                            tra due frassini bianchi,
                                                            all’imbocco del vialetto -
                                                            discreti e a malapena
                                                            ci si accorge che esistono
                                                            per come lasciano passare
                                                            la luce che li investe.
 
Le spalle coperte dal vento
dietro di me 
ad unirsi un poco, e grande
lo spazio creato dai rami,
tesse il nostro anello
                                                            come un’oecophylla nell’alzarsi,
                                                            e inginocchiarsi tra le foglie,
                                                            accostando tra di loro i lembi,
                                                            con una goccia di seta sulla fronte
                                                            che tiene insieme i nidi tra le cose,
dandogli sollievo
in un rosa pallidissimo, carne
nascosta nel nulla delle pieghe labiali,
lasciando al centro un altro mistero,
dove finisce la bordura.
Verso un pascolo incolto,
oltre gli alberi-lupo, 
 
solo un alito resta, 
dai granai alle clavicole,
come fossi contenuta
in una invisibile tazza da tè,
-o un grappolo d’uva
con una mente d’inverno-
mentre l’odore si espande
dalle sue profondità, come nubi
sfiorate lievemente dalle messi,
quando si aprono a coppa-
tra il pane di radici dell’albero
e la sua noce d’oro
                                                                   incidendo i nostri segreti
                                                                   sulle minuscole tavole dei semi,
                                                                   per sopravvivere all’inverno,
come un bene pronto al volo,
ti rendo grazie, e canto della sera.

 

 

 

 

 

 
 

 

 

*

Dove i nomi hanno mesi bellissimi

 
 
 
 
Una strada sottile
quanta calma nel petto che rischiara
dove i nomi hanno mesi bellissimi,
che crescono seguendo la via lattea
 
tra le ali  e gli alberi dell’anima.
Sono petali bagnati di visione,
con la parola aperta delle cime,
dove dentro vi corre quel bambino,
la sua mano aperta, con la rosa,
le sue gambe, che spingono nell’aria
lo scatto del respiro, nel salire,
in cerca dell’uscita, tra le cose.
 
E non dura più di un lampo
nel morire
la tragedia della giovane paura,
tra il bosco ed il suo viso.
Poi la musica soltanto, la più viva,
a quell’ora  lo incorona, e va alla gioia,
oltre i margini segnati, in un istante
toccando, col duro della terra,
il ricongiungersi al fantastico dei passi.
Col moto delle  lucciole  sui piedi,
 
è un viaggio  che mi porti,
in un gesto, trattenuto, come sacro,
qualcosa tra le mani, che si bagna,
di ritorno, con la tua saliva lenta,
per toccare, dove non si vede,
il polso quieto di ciò che sta sul fondo-
 
nel ruotare delle ossa, con  la forza
che annida tutto un cielo dentro al seno,
dove cresce la tua pianta. Come mondo
mi hai offerto  un largo d’aria,
nel buio lucido e ospitale dove noi 
è veramente nostra sposa,
ora che sa  come cadere 
ai piedi del suo piccolo padrone,
nel profondo bambino, dove andiamo
ripetendo, ad occhi chiusi, sono insieme.
 
Viene incontro, in cerchi che si allargano
per radici silenziose, come calda, 
la nostra mano, nell’intimo,
                                           cercata,
tremolante di luce ci rivela
bagnati di terra, a lungo, e da vicino,
con le braccia larghe di un mare benedetto,
di essere ricevuti, come isole.
 

*

Nel velo più bello al suo dolore

L’amore non può chiudersi,
come farebbe invece una ferita.
La morte piccola,
che ha preso l’anno vecchio,
è il nostro frutto,
in cui ha avuto amore,
e quella grande,
che ci portiamo dentro,
è la sua luce,
che va bevendo il succo.
Nel velo più bello al suo dolore
 
 
con un soffio al cuore io ti canto
una parola senza riparo-
                                   presa viva-
nel gorgo delle forze
il più antico, all’indietro,
e sacro. Al separato 
occorre avere detto sì,
un sì assoluto, per poterlo amare,
dove si trova il quarzo che ricorda
di rimanere sprofondati ed innalzarsi
come neve,
 
in attesa del credo che Noi è.
 
Più grande di ogni angelo,
tutto parla, tutto è animato,
nella porziuncola di pace,
dove beve silenzioso al nostro ventre,
come una parola che hai compreso.
 
Le vie dei canti
 

*

Buon Anno, anima mia

Ti scrivo, da una cella silenziosa,
senza quasi un alito di vento,
con un piccolo dolore,
nell’amore. Mi smarrisco.
Nel movimento delle mani
 
è già domenica, ed il suo grazie,
nella notte antica del tuo nome,
come ali, nell’aprirsi. E poi riposa,
dentro il ventre colmo di mio figlio.
E’ là che siamo entrate,
tra le tue profonde e assorte mani.
Ci hai raccolto.
 
Lasciamo che tutto accada ora,
come fosse un fuoco grande tra le cose
e noi. Coperti dalle ombre,
noi, la terra, farci culla. Anima mia,
tutto è già dentro, e tu, lo senti
come vuole ricadere l’anno nuovo,
come un frutto, come casa tua.
 
Guarda come ci raggiunge,
come si intreccia nelle mani
che germogliano del suo futuro,
e il ritorno cresce in lui
verso la gioia. Viene, 
caldo del nostro sangue,
come una gemma.

*

Nell’ora delle nascite

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Conosco l’ampio dorso del silenzio,
quando sporge nella sera, il suo colore,
e quando s’inabissa lentamente
nella calda giumella delle mani.
Dal così pieno nasce una parola
che si sussurra pronunciando Amen,
come fosse il suo risvolto luminoso
propagando a fondo lo splendore
ogni gesto trattenuto dal principio,
tornando nel respiro una poesia,
come fosse già accaduto prima,
coprendo tutti i suoni della terra
nel parto di un bambino che ti ascolta.
 
Così, tu, mi  hai insegnato, per  parlare,
a scrivere sui tronchi in verticale,
tra il paradiso delle voci impercettibili
e in cerchi, per colonne primitive,
un anello dopo l’altro. Nel tacere,
allargando gli occhi chiari, siamo insieme,
maturando per nascere tra i fiori,
ricordando come un’anima all’aperto
custodisce delle cose le figure-
la montagna per le ossa e il bosco vecchio,
sono gli occhi, e le cime la chiarezza
dei buchi dentro il legno e gli animali.
 
Parla ancora chè io possa rivederti,
come fanno le stagioni, e il bianco appare
trapassando da un albero a quell’altro,
in un respiro lento dimmi “ amore”,
e tutto si avvicina per Natale,
finché una lacrima compare nella neve
facendo come un arco e ricadendo
tra due forme di pane lievitato
con pochi decimi di efa, e un grano nuovo
sollevato al centro della stanza,
tra le nostre ombre di portata,
è un sorriso, che viene, non in sogno,
ma nell’ora delle nascite, e rimane.
 

*

Il viso delle origini

"Καi o Λόγος σὰρξ εγένετο καi εσκήνωσεν εν ημiν"
 
Vangelo di San Giovanni (cfr. 1, 14)
 
 
 
Sei venuto a piantare una  tenda,
nel sonno senza sogni,
al centro della corona  irriducibile,
un vincolo disfatto in petali,
come sacro frammento, 
tra la sposa e tutto il resto,
preludio al bordo della casa.
 
Origine di nozze e sacrificio,
nell’angolo migliore della mia capanna
spargo la tua voce, il buon odore, 
la recitazione del nome, e vivo,
prima che arrivi
con la grazia del mantello sulle spalle,
lo sgomento di fronte a ciò
che nell’invisibile si vede, 
appena attinto col respiro.
-Nei mesi dei morti ritornano
altre voci,
nei mesi invernali delle fiaccole,
la sola continuità è il suono
della lunghissima vita,
in un segreto a cui è rarissimo si alluda
nella sacra comunione delle notti.-
 
Sei venuto nell’estremo Nord
con ciò che avevi di più antico
e legato ad accadere, il ricordo
di un attimo prima di nascere,
come portassi  delle vene
nel palmo delle mani.
Qualcos’altro succedeva 
tra il buio e il soffitto di legno,
in minuscoli brividi,
qualcosa di ultimo recava alla sua foce,
il dono di un uomo che divenne fiume,
tra l’uno e l’altro anello, acqua dell’amata,
dopo essersi aperto il passaggio
bagnando le assise delle montagne,
uscito dalle gole  dell’amore,
nell’ondulazione di una valle,
leggendo, nelle vertebre e la pelle,
il viso delle origini.  
 
                                                                 Chiuso nello scritto 
                                                                 qualcosa in te respira,
                                                                 più grande del tuo fiato,
                                                                 un canto sceso nella notte 
                                                                 fin dove non sapeva di arrivare,
                                                                 un nuovo passaggio di luce
                                                                 nella sua carità indicibile.
                                                                 Il mio interno è nelle tue ossa,
                                                                 nelle tue ossa cave, aman,
                                                                 finché il cielo discenda  a toccarci
                                                                 mescolando le pelli alla terra
                                                               
                                                                 con la fragilità che io immagino
                                                                 degli angeli
                                                                 quando spostano tra i fiori
                                                                 un buio d’aria.

*

Il canto degli angeli di Aleppo

Sa come aprirsi nell’inferno
il canto degli angeli che amiamo
 
muove l’aria ancora e cova un fuoco
dal goccio di saliva tra gli spari
risalendo lungo il pozzo un fiato caldo,
oltre le catene dei guardiani
contendenti la conchiglia dei midolli,
per raggiungere la gola e dire ancora
la morte è troppo poco per sparire…
 Con le ali ripiegate del ricordo
 
apriremo la yurta in fondo al cielo
leggendo sul labiale il nostro nome
saremo una farfalla dentro il fiume
dal fango stretti per ricominciare
costruiremo nuove scale con le mani
da uno strato di pelle con l’argilla,
per alzare ancora con la penna
lo splendore del grano e in pieno sole
 
per l’unione delle forze canteremo
un ederlezi come fosse il suo natale.

*

La linfa più intima e le lacrime

Guarda come si dispongono le foglie 
raccolte intorno ai rami a sera,
senza sapere chi di loro è amante,
e, senza fiori, il nettare che cola
come il sonno in una casa
sulle lenzuola bianche di bucato.
 
Una colonia di formiche,
o gli uccelli in stormo
sanno che il principio della terra fu nel verde
dell’euglena- al terzo giorno appena,
e solo il sesto noi, 
nel prospero frutteto-
una minuscola alga verde,
con il moto di una madre verso l’altro,
nel suo  ripetersi inesausto, fu respiro,
con le lunghe vene, il nostro.
 
-e quando la luce è stata poca
tra i sottilissimi flagelli 
ha nuotato come un animale
fino in cima all’Ararat, 
perduta a partorire, sola,
con le ginocchia piantate nell’erba,
ha mangiato terra e sole
pietre e costellazioni,
lasciando cadere le vesti a una a una,
nel suo posto vero, la yurta.
Altri hanno proseguito divorando
i loro simili animati
nelle ceste, con gli oggetti sacri.
 
Una scelta originaria e lenta, 
di gioia, stretta nel poco
di moduli semplici insieme, e divisibili-
un cuore per ognuno, polmoni e tante bocche
di intelligenze, e sciami, nessun individuo.
Puoi mangiarla sai? Non è ferma l’anima.
Se l’amputi  fiorisce, lacrimando,
se getti i suoi avanzi alle tue spalle
cresce un bosco.
Sfugge ai nostri occhi che si muove.
Ha il senso della luce, questo basta.
 
Ci accolse nel gesto abramitico
che invita l’angelo ad entrare
lasciando vuoto nella mente
il luogo puro, dell’ospite.
Da quelle nozze discende ogni dono
spinto alle bande del rosso, 
al rosso lontano, fino al  il blu, 
all’ultravioletto. Tocca se puoi
le parti più giovani dello stello, i viticci
i germogli e il legno, sono gli occhi 
                                            piccolissimi,
persino gli apici hanno il senso della luce,
cercando il buio amato,
entro cui cade eterna la rugiada,
 
come un vento luminoso.
Si aprirà la visione sul confine
che chiude l’ultimo anello del tempo,
i fiori bianchi per le api,
il rosso per gli uccelli,
e il nostro seme andrà così lontano, 
a riprendersi la vita, all’acquabuona,
 
innalzando il brillante delle foglie,
dal seno profondo, con le mani,
riunendole a preghiera 
nella stessa posizione di riposo
che avevano alla nascita i germogli.
Nel sonno delle piante 
io bevo l’acqua del tuo sguardo
d’uomo
la linfa più intima, e le lacrime.
 
 
 

*

Alla luce di domani

La luce indugia nel petto dell’uccello,

fonte di ogni canto. Ed è poesia,

fra il tenue bagliore e la scintilla,

nella ferita aperta la tua mano.

Fin sopra agli occhi, e poi ancora,

con rara bellezza, tanto amata,

come in cerca di parole corre giù

per una scala che porta verso l’alto

i minerali, con le scie d’argento.

 

Ed ora, abituata nell’assenza

di un movimento che comunque aspetto

come uno sguardo lento e prolungato,

in suo luogo tu hai divorato ogni sentiero;

ma, dietro l’ultimo strato di terra,

c’è dell’altro, che ferisce e medica

la nostra piccola morte, sempre nascente-

con le sue linee simili a chi sta per voltarsi

oscurando l’orizzonte con un solo

sfondo lontanissimo di pioggia-

teso, tra le nostre anime e la carne.

 

Ricordi cuore mio? Per raggiungerti

nella tua verità, potente materia,

sento svanire le forme appena strette

fra le mie mani,  sino a rimanere

con l’essenza pura della nostra unione

di tutte le unioni, così trasparente

che non distinguo più dall’aria i versi,

le mie ossa dal tuo anello, il nostro viso,

e, raccolta in te, ripeto : alla luce di domani…

*

Eravamo lievi

Eravamo lievi,

accovacciati sui nostri sessi primitivi

come giovani fiori verso l’alba

illuminando  l’intorno di erba verde

del rosso acceso dalle nostre ombre,

nella lingua semplice di uccelli,

e tanta rena nei palmi delle mani,

di tutto un cielo su, verso la  vita.

 

Adesso che respiro, ora che salti

dentro ogni più piccola voce,

adesso che siamo fradici di luce

come fanno i caprioli quasi in cima,

stiamo nascendo, Noi ?  Con le tue dita

 

se alzi il bordo sotto i fili d’erba

le ali ripiegate intorno al seno

si levano davanti ai nostri occhi

così a lungo. E silenziosamente,

candidi, nel buio

ripeteremo insieme ogni poesia,

con ogni gesto  immaginato negli stretti

un largo d’aria disegnerà  una promessa,

fra l’oro della polvere e il salgemma.

 

Più di ogni altra cosa

ci saremo inginocchiati,

pronunciando grazie, lucidi d’amore,

e, sottilissimi, sapendo di pregare

uno spazio per il fiato,

benedetto.

 

*

Il filo dell’acqua

Una vita piccolissima che geme

nel barlume, che raggiunge lo splendore

di un piccolo perpetuo sulla lingua,

le tue parole, immense, le radici

che portano le sillabe a legarsi 

nel mio minuscolo infinito

di scarpe di montagna e tre pollici di legno

 

                       

 

Un copricapo fiorito, una kufiyya..

sei tu, dal mare aperto, tu che vieni

con il bisso luminoso nelle trame

della mia veste grezza, di lana,

nel cerchio di dieci dita-

non so dire quanto piccola
una cosa finisce nell’altra  

e tutto cade insieme, 

negli azzurri più freschi,

al centro della vita ,

dove giace col buio il tesoro.

Intorno alla vera 

diviene un oracolo l’aria,

chiusa nel sogno, delle tue ossa.

 

Volteggiando entrambi piangeremo,

commossi dalla cima dell’ultima parola

la più grande, ricaduta dal cielo,

che lascia passare attraverso il suo vuoto

la luce.

 

L’intero miracolo  riposa,

fedele,

nel più casto e lieve degli intenti,

accogliere il tuo anello con le labbra-

fra la tinta indelebile e stupenda,

che si trova nel papavero, purpurea,

e il fascio tondo del filo dell’acqua-

al principio della danza più lunga,

col ventre incollato alla terra 

della nostra prima neve,

stupefatta.

 

 

 

 

 

*

Su papai biancu


 

Strofinava le parole sulla pelle
come un latte mescolato con la frusta
basta un'eco una reliquia per montare
per vedere ancora chiari nella stanza
paesaggi e desideri con le mani
nominando quel che vede come un bimbo,
ed ogni altra cosa intorno assente
si addensava sopra il fuoco della notte,

 

risolta alla sua luce quasi nera,
nell'acqua silenziosa delle piante
rendendole visibile chi ama.
Fiutava l'anima l'abisso mille volte
nella mente la sua voce speculare-
assecondava il ritmo delle dita
versandole negli occhi un pane bianco
il canto interno di una donna in pieno sole.

 

Come se le parole potessero commuovere
le molecole del mondo ed ogni fossile
sciogliendosi al calore delle mani
risorgesse quasi a filo delle labbra,
e con un velo d'aria solamente
nella dolce ferita in fondo agli occhi,
offrendo alla sua veglia altra acqua
Fu allora che venne, che vibrando,

 

come chi tace una luce conosciuta, 
si incamminò nello splendore dello sguardo,
per riportare il suono alla sua meta,
strofinando sulla punta della pelle,
in luogo delle sillabe e di accenti,
su papai biancu e benedetto, 
liberando dalle mani della gioia,
nel parto del suo nome il suo sigillo.

*

Nel tuo miracolo salato

Non ci sono libri sulla cima

a Monte Sole, non ci sono 

altro che le nostre gole

e solo amorose  leggere mani

quasi in sogno

tra l’antico bambino e i morti.

Chi è dentro? Chi si muove

di continuo come un bosco?

 

 

In uno spazio di canto e di esilio

magnificate dalla piccola statura

di un prato incomparabile

sono state a lungo in piedi

le nostre ginocchia coronate

a respirare il bene

del muschio indovinato 

come una casa abitata.

“ Tu, quanti anni avevi allora?

-quasi in un responsorio, mi dici-

come te uno meno uno più di te-

nella tensione immobile 

di un animale in muda-

Oggi vediamo con gli occhi delle foglie

cresciute, nel viaggio fino a terra,

con la meta al loro fianco,

dove i due mondi si scambiano segreti

avanzando di ritorno, impariamo

a trovarci." Ohh sì..

 

Dove tieni asciutte le tue cose,

sul tavolo, parola per parola

tocco, nell’arca delle madri,

il legno scuro, intorno al tuo carteggio

la prolunga di un’anima,

levigata dall’acqua.

 

Ed io,  tu che sei Ora,

io, dall’altra parte del mondo,

sollevata all’ultima solitudine

ti mostro questa manica

nella quale è caduta la neve,

accanto ai pastori,

tra gli incolti meravigliosi attorno  casa,

questo dolore che indosso come un filo

solo di perle, e, un passo avanti, Luca,

nel ghiaccio del sole che lo investe.

 

Silenzioso compagno 

tra le pieghe meglio sepolte

conosci la gioia,

nel lento chiudere le palpebre

del fiume, la portata,

l’una nell’altra.

E tutto in accordo

in esse riposi, 

nel tuo miracolo salato

 

nessuno sa fin dove accanto,

con i segni delle dita, poco a poco,

per radice.  

Lì, cadendo, già trascorso

intravedo il nostro petto bianco

ancora in cima a Monte Sole.

Questo è tutto quello che sappiamo

 

dell’acqua che va insieme

con  il peso assunto nelle altezze.

Saremo  casa,

tra i giunchi che si allargano

e il nostro nome che contiene

il più antico benvenuto

nel sigillo del natale.

*

Prima degli occhi

Non è la stessa cosa, l’ora che viene

per affondare le radici

nella nostra parte umida, e tornare

nelle zone più profonde?

Ha degli occhi di carne

terreni fino in fondo

per avvicinarti al cielo.

Al di fuori di ogni linguaggio

 

mi soffoca il petto e non parla.

Canta. Poi tace.

 

Allora lo vedo, capace di Dio

che è nel grembo. Misericordia-

mi insegna- in ebraico ha la stessa radice

di cavità delle nascite, e in ogni momento

dobbiamo rispondere

di quello, che è in Noi-

con la cosa sposata, quella che ha peso.

Non chiamarla utopia  il non luogo per essere,

 

nel sabbat primordiale ha lo spazio.

Di ogni respiro futuro

 

mangeremo il pane senza residui

e il sangue appena giorno

farà battere il cuore

sui due versanti della luce,

come una fidanzata.

Lascia che mi avvolga, ora,  nel tuo sonno,

nel canto semplice e quotidiano, per sparirvi

dentro- prima degli occhi-

 

per ciò che brilla nella lontananza

di quello che stanno per dire le parole

Nel poco che giunge. Mi rannicchio qui,

il più vicino possibile al prima della nascita

della respirazione, al soffio, alla possibilità

di parlare. Danziamo ora.

Di una lunga e ardente danza

il nostro corpo è verbo che ride, cantando

 

poi un giorno fino al silenzio,

per onorare il nostro non finire.

 

Tutto comincia là…

 

*

Come andare alla fine della neve

(..)
quando seguo le linee della mano,
come andare alla fine della neve,
sopra i monti, a benedire le sorgenti,
c’è un riparo, una piccola cappella-
tra lo spazio che viviamo e il mondo accanto-
dove le fronde del tuo salice, in preghiera,
e le ali del mio tiglio, tese in cielo,
 
nel paradiso delle voci sono insieme,
a bere l’aria sotto terra, e in pieno sole
 
un minuscolo groviglio di radici,
come un nido, sale alle sue nozze,
bucando il fiato come un minareto,
nella porziuncola di pace trasparente,
generando nuove linee sulle mani,
sprofondate nella luce degli anelli,
per cantare l'ederlezi dei bambini
...

*

Tieni le dita chiuse

C'è un grande vento qui, stasera
posso riempirne le brocche
come fosse una terra bianca,
una forza viva che rinfresca il volto
 
di gioia dolorosa. Canta e il moto
si propaga fino a morire e a farsi fiore
dove non ti eri mai saputo.
C'è un grande vento qui stasera e noi
la sua purissima aspersione, mi commuove
per la grazia delle nostre parole,
fra le tue mani calde, fatte per stringere la luce
per crescere i fiori. Solo ciò che è limpido
giunge come il primo respiro.
 
Non in sogno, ma nell’ora delle nascite-
caldo e confuso ti alzi,
 
avvolto nella nebbia,
non c’è punto che non veda la tua vita
alla fine della riga,
c’è sempre una lettera dilatata,
come lana pura apre l’amore-
Anche noi saremo,
il fiore che risale la pace
verso il giorno che abbiamo accolto
con le nostre ombre di portata.
 
Tieni le dita chiuse, ora, tieni le dita
tra il buio e lo splendore,
rifugio dei favi
e di altre vite ancora.
 

*

Nel breve volo di un bambino

 

 

Colpita e colpevole,

tra gli angeli e le bestie,

la nostra pelle più vera

canta sommessa

di tutti i segreti senza dimora,

e lentamente,

col viso lucido che dona un pianto

sfiora invisibile questa  preghiera

 

è un gesto contenuto delle mani,

nella pace vasta dell’attesa,

e sacrosanta, come un calice

alla comunione

 

nel rifugio creato per te

sei tu il riparo, l’antica forza intatta

della fragilità che tiene insieme noi

nel paesaggio originario.

Prima degli occhi

 

accade che il sangue, affluendo,

nel breve volo di un bambino,

causi dolore,

quasi volesse trasformarli in vene

che irrorano il cuore, nell’ombra,

finché un battito giunge,

e in modo nuovo,

un iride dal nulla si china su di loro

Come il velo su una sposa

                                

scivola una vita che sta in me,

nel luogo più riposto,

prende il nome di Noi,

da qualche parte,

dove immergere il corpo,

nel profondo

è trinità e siamo salvi.

*

Con un palpito leggero

I tuoi occhi sono piccole candele,

nel luogo separato dove vivi,
una luce che illumina l’inverno,
riposta fra le mani, come dono,
prima di partire con l’estate.


Ed ora io ti ascolto nel silenzio
che prepari ad ogni sera per parlarmi,
tra la siepe e l'albero del noce

dove vado a raccogliere i miei panni.
In quel vuoto della pelle siamo il vento,
che non svela la distanza che ci unisce
quando sorge in un indugio, e si fa accenno, 
poi scompare, con un soffio sopra i coppi,
dove volano le drupe con un suono
ruzzolando dentro il cesto tra i lenzuoli.


Aprendo il ponte breve di un respiro
è la tua voce che ricanta fino al timo
in un rito ogni volta che si muta
con un palpito leggero,
                                 come in sogno.
E tanto avviene, interamente, e altrove,

tra luoghi santi o foreste di betulle-

lo stesso uomo questo fiume e la sua sposa

dal principio, poi cedono sfociando

nel delta che scompare quando nasce

nell’aperto più profondo e nostro  mare

*

Per quando tornerà una poesia

Conosco l’ampio dorso del silenzio,
quando sporge nella sera il suo colore,
e quando s’inabissa lentamente
nelle profondità delle mie mani.


Dal così pieno nasce una parola

che si sussurra pronunciando Amen-


come fosse un suo risvolto luminoso.
Per quanta cura c’è e discrezione- 
nel parto della voce che ti ascolta

attraverso l’estate della lingua,

propagando a fondo lo splendore

ogni gesto costruito dal silenzio-
dal Principio che abita nel verbo,
tornando a trattenersi nel respiro,
come fosse giá accaduto prima,
coprendo tutti i suoni della Terra.

 

Così tu mi  hai insegnato per  parlare
a scrivere sui tronchi in verticale,
tra il paradiso delle voci impercettibili,
facendo poi ritorno alle fontane
e scomparire. Come fanno gli alberi,
in cerchi, per colonne primitive,
un anello dopo l’altro, nel tacere,

allargando gli occhi chiari. Siamo insieme
maturando per nascere tra i fiori

 

ci fermeremo alla stazione delle immagini
ricordando come un’anima all’aperto
custodisce delle cose le figure,

la montagna per le ossa e il boscovecchio,
le cime sono gli occhi, e la chiarezza
dei buchi dentro il legno gli animali

 

Parla ancora chè io possa rivederti,
come fanno le stagioni e il bianco appare

trapassando da un albero a quell’altro,
come noi, prima dei fiori. All’improvviso,

in un respiro lento dimmi “ pane”

e tutto si avvicina per l’inverno
finchè una lacrima compare nella neve
facendo come un arco e ricadendo
senza dire Io, ma solo il nome, 

per quando tornerà una poesia.

 

*

Dal fondo nel vuoto del cielo

Solo un ramo, 
da questa parte soltanto, 
è fiorito 
del grande battito del cuore.
Noi siamo, da un lato
e dall’altro ,
quel poco d’aria mossa 
nell’orecchio più profondo, 
con le mani che sanno dormire

dita con dita.
Tra le foglie di un giovane erbario, 
un nascondiglio commosso alla luce 
disegna piena l’ombra di una culla,
più di un volto. 
Prendi la mia mano, 
al pari delle ferite, 
e questa piccola barca di legno 
con le gambe affondate nella menta, 
camminiamo,
come fanno gli alberi, 
come tornando verso casa, 
dal fondo 
nel vuoto del cielo.

 

*

E’ un luogo in più

Vedono un fiore 

le farfalle notturne

In ogni luce

 

Il vecchio tiglio di fronte all'entrata

è l'ultima cosa,

ogni sera,

che mi accompagna

fra strisce di nebbia

e il lavoro paziente,

sempre incompiuto,

di ritrovarti gemello,

restituito  e vero.

In ogni ramo

 

un paesaggio appena definito

nel movimento originario

è la tua mano,

che nasce e riposa

in un solo respiro

 

nel grande silenzio.

Quando tutto scurisce

imparo a vederti

nella bellezza dell'ombra.

E' un luogo in più

 

e un caldo respirare

si tramanda

della nostra assenza,

tra morti sottili e tanta vita

come dipingere dimenticando

di usare i colori

indicando in un punto col dito

il tuo viso.

L'estrema possibilità dell'amore, non credi?

 

Ti scrivo con tutto ciò che è minuscolo

trovando posto a ogni cosa.

 

Ecco il mio dolore, senza un lamento

fino al calore più intimo 

di questa notte,

remota matrice che vibra

e compare

 

da dove siamo partiti.

Sei tutto quello che è qui,

basta voltarsi  pochissimo,

per un momento, alla luce,

e la pianta risale l’argilla

e vi ritorna,

con lo stesso coraggio.

 

Ora sai come dispongo

della mia solitudine,

in religione.

Sotto il tuo volto,

che come una stella sta sopra di me,

profondamente, intatta e paziente

nel movimento puro e naturale

del buio.

Al confine della voce

 

là dove essa diviene

nuovamente silenzio

è l’ultima cosa, ogni sera,

dorata.

*

Con la cenere negli occhi

Non fai altro che nascere ogni giorno
svolgendo e dilatando la mia vita,
come dopo ogni distruzione.

Ti scrivo con la cenere negli occhi-


attraverso vi corre quel bambino-
senza sapere che non esce, vivo
se per sempre metto insieme i nostri nomi-
amina con aman e poi narimi-
viene piena di profumo una famiglia
mentre ci abbassiamo con la sera
le palpebre che entrano nei sogni,
bisbigliando "siamo salvi, al posto giusto,
e mondi ancora insieme. Siamo casa.

 

Tra il respiro più pulito che conosco
del bene che precede la bontà
preserverò i tuoi fiori. In ogni passo
è natura sempre nostra figlia-
il suo andare col sorriso verso il centro,
dall’angolo del viso, con le mani.


Ed ora pianta le tue labbra nelle mie
tra le mie ginocchia coronate.

Con la cenere negli occhi, ti ripeto 
"attraverso vi corre quel bambino",
senza sapere che non esce. Vivo
se per sempre metto insieme i nostri nomi
amina con aman, 
e poi narimi.

*

C’è sempre qualche luce se l’aspetti

 

 

Schizzi di Antonio Forcione

 

C'è sempre qualche luce se l'aspetti,
se ti metti inginocchiato sei più grande
se risplende un pianto nudo, un solo verso
fessura l'infinito e rifiorisce
la speranza. è un libro fatto d'aria
in cui le note della voce fanno tana
illuminando il gran silenzio mentre sale
lucida, e stordita, una poesia.

 

 

*

Linea alba

Disponeva  solo  frutta sul tavolo in giardino,

ma, come se aggruppasse anche l’aria, con le mani,

radunata e pura. Nel petto dell’estate

 

un filo univa  alla  polpa i suoi gesti

in ogni intimo istante

un lucignolo  appena un fil de la Vierge

tra il campo azzurro degli occhi

e l’ora della cena. Dal basso,

 

mentre saliva un paese intero

con le gambe affondate nella menta,

lei carezzava le piante,

con le parole più corte della terra,

districando i fili lunghi dei capelli

con madrepore lucenti, e, inginocchiata,

ripeteva una preghiera alle radici,

con il respiro, tra la salvia ed il cotone.

Tornando nel  giardino del principio

 

se raccolgo, senza peso, quelle sillabe,

come un mazzo di lavanda per un dono,

nel lento esercizio delle mani,

la sento ancora piantata tra le zolle

che allatta le sue piante, a seni dritti,

e altra acqua, che risale, con dolcezza, 

nel ventre di qualcuno che lei ama,

tra le ossa cave del suo credo,

la linea alba che la fa volare.

*

La giumella del semplice

Per accogliere tanto flutto,

tra le tue pupille adorne di sale,

devi essere un minuscolo infinito

che viaggia a lungo aprendo la notte

in un giorno bellissimo.

Altro non so.

 

Con la scia della tua grazia,

fra le dita strette e i palmi uniti

come un nido alle sue nozze,

ti porto l’acquabuona,

quel poco d’oro del mio fiume

per bagnare il castello,

l’odore di more prese nei fossi

e una lucertola, scolpita nel legno.

Tra le mussole dei sogni

mi togli dal viso i capelli,

e tutto è così perenne

sulle tue gambe,

brani d’ali giganti.

 

La giumella del semplice

-ripeti-

per tenere insieme le cose,

per le offerte,

dalla fontana alla bocca,

le nostre piccole urne.

Siamo stati angeli nell’acqua,

terra lenta,

resine e scorze dei pini,

alberi pieni di anelli.

 

Tra le pieghe della carne

poco prima della nona lunazione

delle braccia tese, mi hai promesso

i segni riuniti dei nostri Natali,

quelli più piccoli.

 

Ora la casa respira 

come una perla vera

e sotto il sole

il tuo nome crea l’ombra

come un grande albero

che tiene le sue assise

nella luce.

*

Nei cinque luoghi della bocca

Se ci passi sopra le dita

tutto rinviene,

dove vanno a finire le cose,

le cose sante, le mani accoglienti

nella stessa culla di morti

e nature gemelle,

lo svolgersi delle volute,

con grazia,

nell’immersione divina

 

origina il suo nome. Sulla lettera iniziale

corre un piccolo gruppo di tuniche azzurre,

con cappucci d’oro

come torce luminose,

inginocchiate alla montagna,

con tutta l’età del mare negli occhi,

e una strada, che conduce al soggiorno,

nella piena di luce di ogni domenica.

 

Sulla cima buca il cielo

come un minareto

l’orecchio rivolto all’indietro,

le faville, la loro vibrazione,

le vocali. Su pascoli e castagni

chiude la tenda un panno morbido

di lana.

 

Con la testa  contro le ginocchia

un uomo prega. - Si raduna,

scendendo nelle acque, come un pesce.

Si raduna, fino al seme,

per tornare, dilatato, nell’inchino,

tutto in fiore,

per l’offerta di conchiglie

e le tre madri. Una saliva santa

 

nei cinque luoghi della bocca,

la mescolanza d’erbe nella gola

gli oli santi nel palato, e sulla lingua

la dolcezza è nel canto

delle rose che fa il sale quando brilla

sopra i denti, al centro della stanza

la sua voce,

con le lettere inclinate, sulle labbra.-

 

Finché si specchia nell’occhio del neonato

l’Antico degli antichi tra gli sposi,

e le porte si aprono sul mare

come una sola e vasta foglia

messa in luce.

*

Fiume di portata

Fidandosi del buio dietro gli occhi
si trovano bagliori come stelle 
quando la tua voce riempie il vuoto
scavato per i fianchi nel palato
un tutto che si tiene

                               tra la fronte

e il gran silenzio del tuo sguardo

sulla sera – E’ il nostro mondo,
di toccarci con le ali, poi raccolte,
sopra il tavolo in castagno,
verso un lembo raro del giardino,
fino al mare aperto. Una mansione,
il prolungamento della casa, 
lungo il sentiero dei lecci secolari,
fin giù alla distesa delle viti.
Dove inizio a camminare-

 

coi fiori più selvatici, e l’agave
che ti offro sulle labbra-
è il mio posto, sui camini delle fate,
che taglia tutti i nodi delle mani,
e basta poco,
per andare al faro ,alle tempeste
coi resti delle mareggiate 
se nell’ambra fai bollire le tue reti,
tra il fogliame del miobosco c’è l’odore
di albicocche solo tue..allora salgo
salgo sopra il noce. Per toccarti

 

ho legato con i rami un filo al piede
annodato all’altro capo con l’azzurro,
un principio che ogni sera quasi muore,
poi risale con il giorno a copricapo,
spruzzando sulla terra la tua voce,
con i semi che può spargere una baia,
arrivo dentro il fiordo che più amo
e le vene sono un fiume di portata.

 

*

Con la vostra fronte di neonati

Il vento è con te,  e con tale grazia,
più fresco dell’acqua nuova
là dove va ogni bestia libera
o un grande albero che sta per cantare
di un lungo segreto, nella tua veste chiara
e lunghe pieghe in punta di dita
divinità da ogni parte. Ti ho visto
tre volte nel volto, nascosta
nelle sacche d’aria del tempo anteriore
alla curvatura del mio cristallino,
puro, in calzoni e scarpe di castoro,
l’ornamento della tua sacca nera
dal lato delle cose di sempre,
il sillabario della tua favola. Più lontano,
 
a labbra chiuse, sotto il grande albero-
nel prolungarsi dei raggi della sera,
la brocca sospesa sul fianco,
con tutto quello che vi è d’immenso
e bambino nel  canto- io veglio,
i tuoi fogli, ad uno ad uno la nostra ala,
 
per farne crete vive. In cammino,
alla fine del filo ci sei tu,
e uno zampillo, prima degli occhi,
fertile come fiumi, nella terra
aperta per l’amore. Cantate,
allo stesso passo, cantate
il riunirsi di una famiglia intera
di ali. Due esseri veri-
nel letto del vento,
la natura infine raggiunta
dallo spirito, che precede la brezza,
dopo avergli ceduto ogni cosa-
con la vostra fronte di neonati
al limite della felicità.

*

Al tremore più solenne della terra

 

Posso solo raccontarti di quel poco
intravisto per bagliori nei tuoi occhi
la santità del movimento -non il detto,
ma ciò che ho ascoltato, riponendo
le parole e i pensieri sotto l’aria
il soffio ed il respiro, abbandonata
alla dolce eucarestia.  Così ritratta
 

 

 

 

 
 
Ti chiamo mio fratello, e ancora, padre,
piena di gioia e di capelli lunghi,
nella semplicità di una candela  accesa 
al chiaro dell’ignoto. Sono ora
tutti i nomi ed ogni forma ricordata,
scintillante a meraviglia. Dentro il cuore
 
ho condotto per te ogni preghiera,
ogni gesto del presente naturale,
mangiando alla tua bocca contagiosa
è nato il mondo, da cui nessuno torna,
fedele al passo che matura il pane.
 
Sei tu la grande morte e il mio risveglio,
chi cerca e chi è cercato in te è scomparso
ed ogni giorno ricomincio dalla stessa 
pozzanghera di pace trasparente
dove il cielo si rispecchia ed il tramonto
indugia con la luce, nel miracolo
del mio laghetto azzurro come il mare.
 
Per gradi di visione altro non c’è
che verità accese dallo squarcio,
rannicchiata nella terra, silenziosa. 
Strappando via all’ inferno un nuovo nome
 
 
ho condotto alla luce la follia
fra tori , vacche, e pioggia antecedente
alla ragione.  Ed ora è grazie a te, 
se luccica  di sacro  questa fossa
sulla quale  poggiare il nostro arrivo, 
l’ultimo punto di una contrazione
Dove hai posto la sposa e il bambino
 
risalgo  alle corone, alle promesse,
leccando ogni ferita delle bestie,
per mangiare la polvere divina,
con i reni pronti a uscire nella luce
più sottile che lega il mio cordone
al mondo del divino ombelicale-
 
 
risalgo folle  su due piedi infine vivo
come un germe tutto intero che si affida
al tremore  più  solenne della terra. 
 

*

Un dolce di grano appena un chicco d’uva

 

 

Era il vento sul viso, puro velo di altra cosa.

Un dolce di grano appena un chicco d’uva

celavano il digiuno col sorriso

ed i capelli freschi, nel segreto oblio di me,

perché i tuoi piedi fossero leggeri. Mentre vieni, 

rendo grazie per averti

riconosciuto e sposo. Tra le bestie

è il corredo che ti offro, nel baule d’aramen,

otto ettari a pascolo e castagni,

che la terra assorbe lenta, a mille metri.

 

Ho messo dentro i ferri  con i chiodi,

i morsi dei cavalli, gli andalusi,

e quelli sardi più severi. Tra i  filetti inglesi

le lezioni nel tondino a dei bimbi un po’ speciali.

Lunghi anni tra giganti così fragili per sangue;

per destino, ho messo dentro le mie braccia

e tutta l’anima

allungata fino in fondo al loro ventre

per tirare fuori il male. Troverai chi si è salvato, 

e le zampe inginocchiate nel morire di chi non ce l’ha fatta. 

Con le fattrici ho messo via il dolore del travaglio

fra le onde dei puledri appena usciti dalla pancia,

il mio volto madido di luce, le mani sporche della nascita,

di una bellezza che non sapevo dire. Nel fienile

ti ho lasciato  i miei disegni asciugati nella paglia

e l’ora della cena, appesa ai ganci, in alto,

sempre dopo.. governati  gli animali.

 

Sfiora i bordi della dote in pieno inverno

i passi lenti che giravano il pastone attorno al fuoco,

e una canzone nella testa, quella lunga

storia d’amore con inizio e fine nei mastelli

della crusca, la pioggia d’argento che cadeva

investendomi di avena. Sulle greppie

 

è tutto là, puro velo di altra cosa. Cerimonia,

per durare- con chi batte le ore della fame,

a una a una le conosco, ed ogni posa,

fra tutte, quelle di Zahir e Leila, e di Rebecca anche.

 

Nell’astuccio con gli intarsi ho conservato

qualche cosa  di straziante

una gioia impronunciata,  tradita sulla lingua,

da ingoiare come un’ostia sul lavabo.

Non conoscevo l’ederlezi, eppure l’avvertivo

nel muoversi dell’aria all’incontrario

quando mettevo al collo dei cavalli sanguisughe

raccolte ai bordi delle vasche, lucide di fresco, 

all’acquabuona, 

come  le più belle perle al mondo da indossare.

Con  che tormento attendevo quello scambio,

/ nell’immensa lentezza della grazia/

il sangue andava da un essere a quell’altro,

svuotando il male nel respiro verde, e le bestiole

al rossovivo della festa, quiete,

le ho riposte sulle pietre umide, ubriache.

 

Quante mattine ci sarò a montare a pelo la mia Leila,

con un laccio sottilissimo  alle labbra,

usando il corpo all’alba come il sole. Mi affidavo

per ritrovare il branco sconfinato nella notte

chissà dove poi fermarmi e scivolare giù,

con la pelle più sottile che conosci; nuda,

tra i cavalli e l’erba, c’era qualche cosa

di grandioso, che ora chiamo sacro,

a quel tempo appena un  girotondo, lo scoprirai splendente,

e al petto l’amuleto per la promessa della semina

per  la crescita dei fiori a primavera. Godevo, sai?

Godevo, sapendo di pregare. Tra i raccolti

la polvere si alzava sulla schiena

formando un manto d’oro con Rebecca

che  spingeva tra le spalle per tornare

a casa. Nell’angolo a sinistra del baule,

come fiori al bordo di un sentiero

ci sono le ninive- 

le preghiere arrotolate nella mussola,

nascoste  nelle pigne, per i morti-

lasciate andare nei buchi dentro gli alberi,

nel posto più profondo del mio luogo più nascosto,

ai ripostigli della neve, nella neve.

 

Potrai scambiare per incenso, se non sai

che la medica fasciata troppo stretta e umida fermenta,

il vapore che ti fa la nebbia agli occhi proprio adesso-

stava lì accucciato al cuore dei covoni, nel tepore,

a covare come un male- gli davamo il giro d’aria

con bracciate e giravolte dei forconi

per farlo splendere nel sole- l’ho tenuto,

per non dimenticare. Ecco ora,

 

come per  raccogliere qualcosa che sai fragile,

tieni fra le mani la passione nelle ore della luce,

o, ai lati delle labbra, lo schiocco sussurrato

per insegnare a Zahir come fermarsi, con dolcezza

appena sotto c’è la commozione, a dorso nudo,

che mi prendeva a notte per  l’odore lento

che saliva dalla stalla alla mia stanza,

come  la più antica delle madri  che controlla

che ogni cosa sia al suo posto. - E anch’io

mi sono alzata  al buio per le scale

seguendo il borbottio che facevano i cavalli

ruminando o il suono ripetuto della lingua

che leccava i rulli  con il sale appesi al muro,

i miei piccoli stupori.- Una ricchezza, 

ora che ti vedo alla finestra

 

col ventre incollato a terra ti offro la mia mano

i nidi che sai leggere e un  piccolo lamento

cucito tra i capelli, a ricamo del corredo:

di quando Lei spariva nel dramma della luce

mettendo al mondo un nuovo nome, e poi narimi.

Delle mie minuscole parole

ho sentito fame e sete  solo allora

un vento  le ha spezzate

in puro velo di altra cosa

sulla tavola dei Morti, come un pane, 

indicandomi qualcosa nell’incontro,

un’acquabuona. Ai bordi della vasca

 

mi inginocchio con le perle intorno al collo,

un solo filo, che le rende grazie,

dalla notte all’alba, per gli anelli

scambiando la mia danza nella tua

un dolce di grano appena un chicco d’uva.

*

Al principio della vita poi scomparve

La pura attenzione a un lamento infantile

li aveva condotti sul verde del fiume,

con le dita leggere di una preghiera

rivolte al più caldo silenzio del greto.


Come fossero  in piccole orazioni,

le ferite, sprofondate nella luce,

più e più volte in estasi  ridevano,
e correvano, drammatiche e festose,
correvano e ridevano le  gambe,

avanzando di ritorno alle radici,

col voto di non cogliere mai fiori
nel cavo delle mani capovolte.
 
Un canale di biancore percepito
nella sua immisurabile portata
fu il sì assoluto  all’ultimo dei viaggi,
congiungendo i loro palmi al solo centro
di una  lingua imparata da bambini;


 
e tenne  fede a una consegna di silenzio
la più straziante di tutte di tutte le scintille,
appena pochi lembi di visione-
non  so dire quanto fosse piccola-
al principio della vita poi scomparve.

 

 Anselm Kiefer.

*

Con l’acqua mi solleva dal silenzio

Nel giorno più lungo del mese

io sono insieme.

Accanto crescono gli alberi

più luce. Una volta

la scia del respiro di un bimbo

                     -poi  l'acqua lo distese  nel silenzio

                      per essere vicino ed invisibile.

Segreto e favoloso

traccia l'immagine di un volto,

sopra ogni cosa,

e lentamente il suo contorno,

lo splendore che scopre

 

attraverso lo sguardo.

Poso a terra la gola,

il sole e le vesti,

dove la pelle fa male,

e la sola preghiera che so

 

fra i panni ancora chiari 

del lamento

s’infila con le ossa delicate,

lasciando ricadere come in segno,

tra il petto e l’aria, la polvere dei fiori-

 

il dono di un albero,  inatteso.

Un lungo e nuovo filo va alla gioia,

tra le rose di maggio, e la sua corsa

                    con l’acqua mi solleva dal silenzio,

                    fedele metamorfosi ed amore

 

*

Con un solo e lento chiaro

 

Tenevo fra le mani due fascine
e tu venivi per i vicoli del legno

con un solo e lento chiaro nei miei occhi.

 

Di quel gesto impercettibile ricordo
che rese la distanza incalcolabile
la più vicina al mondo sconosciuto,
pieno di grazia e lacrime serene
ai lati del mio viso, e lì soltanto.

 

Così invisibile rimane il tuo sapore
risalendo come un gemito morente
dai fiori mai nati sul palato,
liberi di guardare un nuovo ventre;
è un filo di bisso che mantiene
le tue radici alle mie mani e sopra i fianchi
il sacchetto delle strade, delle sere,
e una volpe che si sposa mentre piove
con il sole- E insieme i tigli d’oro
non possono che questo, in fondo al campo,
non altro che danzare l’ederlezi
mandando scuri un soffio di bellezza
nel buio che va dal primo vento,
al caldo dei pensieri in tutto il corpo.

 

Come è semplice il miracolo che vivo,
come gli angeli, va via prima del giorno.
Un solo e lento canto mi vien dietro

 

per i vicoli del legno col tuo passo
stringendo le fascine con dolcezza
per il fuoco nella stanza degli sposi,
il buco di calore per le gambe
da tenere a penzoloni nella gioia.

 

 

*

Pasqua delle rose

Pasqua delle rose è venuta così,

a corpo nudo, sotto i resti della yurta,

l’odore di un bambino,

nella mia visione semplice,

dividendo la nostra stessa cura

intoccata e lieve.

Qualcosa si è volto di lui,  si è aperto,

ha offerto il passaggio al morire del tempo

due giorni e ottanta mondi

il giro di distanza,

due forme di pane lievitato

con pochi decimi di efa

e un grano nuovo, sollevato,

al centro della stanza. - Col suo premio

 

eravamo tutti insieme antico suono

nello stesso luogo delle bestie

a cospargere il secco di rugiada,

con tutta la gioia sulle spalle

e i nostri bambini nelle bocche

che parlavano all’indietro

con una voce profonda, e perfetta

 

una tale bellezza attendeva il canto del grano

l’aratura dei campi la semina e noi-

fino alla benedizione dei granai-

quanto ridere, per i sentieri di giorni e giorni,

nella cavità prodigiosa degli sposi-

una ciotola appena e il primo anello

del vuoto posava l’orecchio

sul petto degli alberi- lo stesso sangue.

 

Con lo stesso sangue  caldo

fa di me la tua mano-

spezzando i vasi rossi, il rito e l’occhio,

in modo indelebile al germe al cenno

               al neuma- dell’ultimo raccolto,

la più debole voce che si leva

coprirà tutte le lingue. E tu,

visibile alla luce che solo il nulla descrive,

tu, con la stessa lingua,

respira,

a suo modo, canta.

*

Come un fiore ridotto alla gioia

Tacere toccando la terra.

Tacere,

sostenendo il silenzio i tuoi fiori.

Ho atteso

che tornasse il respiro

nel  vuoto

che precede ogni tua voce.

 

E’ un corpo senza segreti

l’anima che ora ti offro,

nessuna forma che la torturi

nella stanza più intima.Un vento,

il suo bisbiglio. E' tutta la donna-

 

sulla tavola di cera dell’ascolto,

 a gemere leggera, tersa,

-come un fiore ridotto alla gioia,

fino a togliere peso, nelle tue mani.

Come in grembo ad adamo

 

stringe il tuo seme con gli occhi 

d’argento,  il tuo yiddish nel cuore.

-All'origine che sola congiunge

il  suo primo matrimonio alla preghiera,

 

stavi lì, brillando intero,

indicando un altro luogo,

in petto, un altro luogo

che afferrava la realtà

tutta la vita. - Un fiume nuovo

 

il tuo non esserci, gira nel ventre

adesso, continua a salire

con ostinata bellezza

come un coro di acque, in piena,

nell'argento dei polmoni.

In un profondo caldo

 

si raduna il fiato sopra l'erba,

si piega per la sera.

Reclino il capo, anche io,

spingendo indietro la saliva

entro, fedele, nel tuo silenzio sacro.

La terra aperta.

Comprendo che sei qui

 

dove la vita aumenta

se, respirando appena,

cola dalle parole che ti scrivo

più vera della notte la tua voce,

se, tra le aperture delle labbra,

il nostro riso si dissangua in luce.

 

*

Amina con Aman, e poi narimi

Tra l’ombra e lo stupore, in armonia,

 

non fai altro che nascere ogni giorno

svolgendo e dilatando la mia vita,

come dopo ogni distruzione.

Nell’interezza mi consegno,  arresa

al dolore ben più grande del mio corpo-

 

mentre penetri nel cuore senza canti.

 Ti scrivo con la cenere negli occhi,

attraverso vi corre quel bambino-

senza sapere che non esce, vivo

 se per sempre metto insieme i nostri nomi-

amina con aman e poi narimi-

 

viene piena di profumo una famiglia

mentre ci abbassiamo con la sera

le palpebre che entrano nei sogni,

bisbigliando "siamo salvi, al posto giusto,

e mondi  ancora  insieme. Siamo casa.

tra il  respiro più pulito che conosco

 

del bene che precede la bontà

nell’ordine che fa cresce le rose,

preserverò i tuoi fiori. In ogni passo

è natura sempre nostra figlia-

il suo andare col sorriso verso il centro,

dall’angolo del viso, con le mani.

                             

 

Ed ora pianta le tue labbra tra le mie

 tra le mie ginocchia coronate.

Con la cenere negli occhi, ti ripeto 

"attraverso vi corre quel  bambino",

senza sapere che non esce. Vivo

se per sempre metto insieme i nostri nomi

amina con aman, e poi narimi.

 

*

Restaci accanto

 

 

Mio Aman,  Adam, e purissimo Amen

vivo e iridescente principio

che mi accompagna oltre l’inizio

di una vita intera con te,

ben  più patendo e con passione

le nostre lingue si sono incarnate

fino a nascere Noi. In questo credo

si dia  la trinità. Discesi  

nel profondo di una coscienza

divenuta terza e trina insieme

un sacrificio.

 

Io credo che Noi abbia fatto qualcosa di sacro,

un nascondiglio commosso alla luce.

 

Ed ora non posso tornare da dove

ho mandato il vento nel mistero

della bellezza che nasce,

nello slancio a vuoto, che ha detto: sì,

alla fiducia, la grande sorella

senza ragione né prova.

Dove non giunge la comprensione

 

lacrima delle cose la mano

di uno sguardo, nell’anima,

a mezza costa,

l’ambra che tiene il fossile

dove il punto di partenza della voce

è fermo. Intriso di perdita

intuisco il soffio delle parole

per rifare ogni volta l’innocenza,

forse una vibrazione nel legame,

come fili d’oro tra le ferite

nidi, nel non essere, di grazia.

M’inoltro nell’ombra e molto di più

 

spingendo come una genesi,

spingendo il coraggio sull’orlo

col muso in avanti

risalgo dal sangue: la croce

è una stella,

abbandonata la spoglia ninfale

di questo dolore,

tersa e pulita nel vento fiorisce

nuova la voce.

 

Per raccogliere respiri vi è un segreto

tacere

di parecchie vite mano nella mano

ai piedi del nostro albero

- nel tempo di dedicazioni

a ricordare il luogo originario

di altro vento.

Unico culto la cura, i baci la liturgia,

nell’incertezza benedetta che suggerisce la ricerca,

nella grammatica da Maddalena,

fedele perché ama,

nel Vangelo mai fermo,

che stupisce a ogni curva.

Sì. La fede è itinerario,

è cambiare e ricominciare, seguire e camminare,

leggeri,

con tutto ciò che si oppone alla morte

come fosse  un sesso aperto

e insieme

l’imene intatto, sulla larghezza del cuore

 

Restaci accanto. 

Tutte le parole sono state dette.

Respirare è conoscere ora.

Nell’infinito intreccio di Indra

nel meraviglioso riflesso ch’è noi,

restaci accanto- amante e religioso

in mezzo a questa montagna-

in tutte le direzioni,

e sotto il pino,  non sapere luogo.

*

io sono insieme

 

“Ogni sforzo aggiunge

 un poco d’oro a quel tesoro

che nulla al mondo potrà carpire.”

 Simone Weil

 

 

Vieni prima degli occhi. Questo lo sai.

È la domanda di bene

che ogni bambino rivolge

nella fiducia.

Guarda tu ora, e noli me tangere.

Io debbo proteggere il vuoto

mai posseduto. Ti benedico

perché non hai trasformato le pietre nel pane

che mangi ogni giorno. Sulla tua trama nera

è un ricamo quel rosso che appare

come fosse un esercizio, una veglia

alle energie più sottili. Obbedisco,

rimanendo in ascolto-

mentre il fiume copre il suono delle tua voce-

Obbedisco,

con l’alito che so delle bestie

quando si sporgono nel tepore della paura.

 

Tu  avanzi

fino a toccare tutto quello che ci rimane.

Io sono insieme- ripeto-

tra le cose in movimento,

lo scintillio della prima risata,

la mano che diceva il miracolo,

sul fuso della tue dita, la grazia-

i nomi della luce sono qui

nel più sacro recinto illimitato

dov’è il sortilegio che chiama,

seppur sfiorando il nulla,

nell’instancabile enigma dell’eternità.

 

 

Un’iscrizione ricavata dall’albero, al fianco,

coltiva l’inverno della tua lingua

vegliando i semi la folata di vento.

Rinasce la voce.

                                      Sei innegabile

nel sì finale alla passione che mi aspetta,

il lungo affondamento nel mio vuoto,

fino a sostituirlo con un principio luminoso.

 

Non saprai che ci sono ad amarti

come l’inizio del mondo,

il silenzio che circonda le parole

è  lo stesso che  precede l’azione e si spegne

nel possessivo profondo del “ mio

adesso”. Viene il mese crudele di Eliot

con ogni briciola di bene che è stata raccolta

nell’onestà della voce. Nuda,

vulnerabile ripeto il gesto di offerta :

“io sono insieme”-

e, ciò che più conta,  la tomba è vuota.

 

 

 

 

 

*

Nel lunghissimo ora

Abitata dal verde

non ti nascondo la piaga,

luminosa,

la bestia santa

sul pudore della parola

invincibile

quando spunta il fiore

non può essere detta la grazia

che smaschera un Dio.

- quale veggente cecità

ti tiene prigioniero di ciò che sveli,

non potendo sopportare il peso della libertà

scegli la felicità

dimentico del sapore dell’intero.

 

Eppure la candela rimane accesa

in mezzo al più violento temporale

penetrando nella sua bellezza

fino al tempo del riposo.  Colma,

assimilando il male dopo gli occhi

cammino  ad ospitare il movimento

del pensiero. La grazia,

la grazia è il ritorno di ogni  libertà,

quando non c’è più nulla da fare

bisogna essere, aman,

anche lavandosi con l’acqua sporca

ogni mattina

preservandosi puri

nel rituale del risveglio-

come un modo per aiutare Dio,

divenendo Noi

divini,

e cruciali,  ovunque diffusi.

 

Incarnando la mancanza

ho tenuto tra le braccia nostro figlio,

nostro figlio morente,

mutando la nascita in deposizione

nel suo ultimo respiro ho urlato

io sono madre

rilanciando la vita

                             prima degli occhi-

dov’è radicale la forza del bene,

irreversibile.- Coli dalle dita

e dappertutto

                                  rimani

dove il Canto risplende

nel lunghissimo ora

                                 che sei

*

Pesah

Ben oltre c’è la vita,

la ferita più profonda che si allarga,

nel tuo viso fertile, e compiuta,

grido

che c’è pace, nella pelle

che si apre

la gioia di portarti sulla bocca

nel sentirti venire come  neve

nel buco più divino del midollo.

E ancora non tocchi tutto dell’amore,

 

dei fili dorati che vanno dentro agli occhi,

dove entra ogni notte quel bambino

dove ti imploro- in mezzo alle acque,

alla casa, all’origine,  nella vulva di Inanna:

“nel grembo di miele, discendi, ancora

sulla tua barca celeste ” E tu,

come un santo,

ti unisci  all’amplesso,  più sacro.

 

Quattro piedi, quattro muri nella casa

di quarantena, quarant’anni di deserto,

 e per quaranta nel digiuno sei passato

in sette quarantene nel mio ventre,

dalla porta. Un’apertura in movimento

svegliando i cani i domestici e il giardino,

penetrando la foresta, per brillare,

dove ti eri addormentato, ti fai nuovo,

nella carne della sposa che ti sei

Con le luci capovolte della pelle,

 

con tutto il peso assunto nelle altezze

delle terre più profonde che hai solcato.

abbiamo avuto fin seicento anni

e millemila matrimoni nella pancia

fino al frutto che mangiamo, e siamo noi

le pietre, nell’arco della nube,

e nudi come mai insieme, ed ebbri

della Grande sera, al domani che ci canta

padri e figli,

senza paura della morte che è la nascita.

 

Nell’erezione di Moseh oscilla ancora

 nell’arca delle madri spingi

con la testa, fino al Nome

nello splendore delle nostre contrazioni,

 

facendo delle vertebre un dipinto

del bimbo rosso, tra i giunchi che si allargano. 

Nell’uomo verde, è la Pesah, l’uscita,

il passaggio di ogni porta, la parola

per parola, il tuo nome che contiene,

penetrando la tenebra finale

con la stessa lingua che è la Nostra

 

*

Fedele all’invisibile

La spinta che diffonde quando è ora

è tutta qui

se nel farsi  preghiera  muove l'aria

col goccio di saliva trattenuto

dal sogno di stanotte-

sino a rendere pesanti i nostri occhi 

                                 come frutti-

 

maternità  tra l'intimo dell'acqua

e la coppa che raccoglie la sua origine-

le terre emerse  è Noi. Mio sposo

 

          ...la mia Jebel.  ti mostro,
i suoi colori
lungo il perimetro dei  fianchi,
circondata da due fiumi, una segesta,

mentre scende nella yurta
coi suoi capelli d'oro silenziosa

ti racconto della casa

fatta come il ventre di una madre

con un corpo nomade  che viaggia

sulla schiena errante senza chiodi

solo Geni che si baciano a raggiera

e una finestra in cielo pitturata,

una corona e  come gioco il giragira:

consonante-vocale consonante-

 “Fammi frusciante il Tamashek !

il verso nasale dei Tuareg, con l'ewè,

la lingua dei bambara, eppoi lo schiocco”

ridiamo come stessimo pregando!-

 

Ti celebro così dentro i paesaggi

come in fondo al vuoto del mio letto

nell’esatta simbiosi della gioia

madre dalla lunga voce- 

fango che dorme nella luce

con tutto il silenzio fuori dal torace 

della carne, allo scoperto.  Amo.

 

Ciò che nasce non è altro

da questo uccello azzurro nei polmoni

con il dorso carico di latte

“Cosa vedono i tuoi occhi, Aman,

quando vai a fare i fiori..

la porta stretta di una retina dove s'inginocchia il cielo
quando non arriva in cima ? la sua parte di luce

                                   è  quel prodigio

fedele all’invisibile

nel rosso della gola fino a sera-

 

una piaga battuta dal mattino

nell’urlo che viene,

 la gemma che cerca

la lingua in un punto,

il suo latte,

 solo quello può essere:

                     una parola che ride-

che viene a morire nel gesto

per disegnare un respiro

riportando il campo di una lacrima

nella radura da cui riparte il filo

che appena visibile cammina

sul buco di dolcezza della yurta

 

si espande e si contrae,

ti assorbe

lo spiraglio che moltiplica l’amore

nel continuo movimento di un miracolo

librandosi nel cielo come un figlio,

a comporre la sua voce. Va alla gioia.

 

*

Buoncompleanno poetamio

Spingeremo come simurgh primordiali
le nostre upupe tendendoci  le ali
 l
a nostalgia  del Mirabile  Ruah

 

A Ferdinando Battaglia

 

 

 

A poco a poco riflesso in acqua

c’è così tanto giorno dentro al nido

che con gli anni si è nascosto in bellavista. 

Un invito all’amore la tua poesia, quel nido.

 

                                    

Ho fango sui sandali, oggi,  ma i fiori sono rossi

per il tuo compleanno, piantato nel sangue

come un dono che risuona nelle vene piene d’aria

sei quel  bisso che illumina le mani

in pochi istanti verso l’altra riva

 

difendo con un palmo la fiammella

con l’altro tengo il verso che congiunge

il mio orecchio debole al tuo giardino..

Nel capodanno lunare

 

 PoetamioFerdiNando Auguri!

 

 

*

Oltre il nevaio

 

 

Oltre il nevaio

lunghe ali trasparenti

I vecchi tigli

 

Un'aquila tra i rami

sta come un giuramento

*

C’era legna sulle nostre schiene

 

C’era legna sulle nostre schiene

 

 

 

 

C'era legna sulle nostre schiene,

la gola blu del toro,

quando viaggiavamo da Gangotri a Gomukh

per la via della speranza

fino al Ganga, nei tre cieli,

e giù, fino alla baia di Bengal.

Alle foreste di cedri abbiamo messo il vaso
acqua e rose alla fine della neve, 
sul campo a benedire le sementi,
nello stesso punto, sotto al cuore.

Ci siamo allontanati
seguendo le linee della mano.
Alle pendici delle Ande c'è un riparo,

ripetevi
una terra sconosciuta, Yasunì..

Apri le mani e Vieni !
faremo sapone dalle bacche
masticheremo foglie colorate
fino ai reni giocheremo la rayuela
con le rane più piccole del mondo.

Tocca ! sanno di limone le formiche
e le scimmie fanno lana, più di tutto
a Yasunì

gli alberi camminano 
sollevando le radici come braccia,
seguono la luce 
per otto metri al giorno. All'infinito
i nostri dolori li mangeranno i funghi
a pasti brevi-

Anche se da lì non vedi fuori
c'è un riparo nuovo a Yasunì 
e sulle nostre dita,
cresceranno come nidi braccia nuove
l'amore impiglierà nei rami 
a piangere di gioia dove vuole.

 

 

 

 

*

Rimani#SaveAshrafFayadh

Benedetti dall’esistenza e dal suo peso

tra le infinite madri della luce

con la forza della tua poesia

col buio che opprime  il tuo nome

faremo foreste di colonne

spingendo sulle palpebre le mani.

Nel luogo più profondo il più elevato

 

tu sbuchi nei polmoni, mio fratello,

con l’odore delle lettere del pane

dove l’acqua nel bianco si ritira.

Tu rimani.  Nell’impossibile morire

 

attaccheremo al seno la tua voce

coveremo un fuoco a cielo aperto

muovendo l’aria e fosse anche un goccio

la saliva, tutto quello che ci serve,

risaliremo lungo il pozzo per la via

del fiato caldo dei tuoi versi.

 

La morte è troppo poco per sparire

gli occhi luminosi di Shabani

 

Era questo il mio pregare e ancora

con le stesse garze d’acqua sopra gli occhi

difenderemo il tuo giardino, la tua casa

la poesia nel volto di ciascuno

nel più piccolo respiro della polvere

.rimani.

 

 

 

Ho sottoscritto la petizione il 26 novembre 2015:  Libertà per il poeta Ashraf Fayadh

 

 

 

 

*

Sei venuta nel sonno senza sogni

"…Credo del resto che questo tempo di prova sia una cupola inarcata su tutti, sia iscritto

infine nella carta del cielo che dovremmo veramente, per durare, tenere tutti la mano,

con pensieri di luce.."

Cristina Campo

 

 

Sei venuta nel sonno senza sogni

fasciata di nero e d’azzurro.

Sono nascosti i fiori.

Le spalle coperte dal vento.

 

L’immagine si apre silenziosa

e resta ancora un lembo

alla Certosa . Dietro  le parole

c’è una strada sottile, e sottilissima

nel giardino del corpo la tua voce.

 

Altra nascita tocca la schiena,

con le rughe gentili le mani

-dolce croce.

                            Lentissimo bacio-

 

come ultimo segno di religione.

Ti ho portato l’odore dei muschi,

e gli occhi confusi al risveglio

dal  buio denso dei boschi.

 

Quanta calma nel petto

  se danzi di nuovo

capovolta nel solco di luce

se circoncidi un fuoco

che rischiara e conduce

dove i mesi  hanno nomi bellissimi

 

Come un canto all’indietro risale,

dai granai delle clavicole,

al centro del sole

diventa pane, dietro il velario,

                      la tua Noce d’oro.

 

Cristina Campo Muore nella notte tra il 10 e 11 Gennaio 1977.

Vive sepolta alla Certosa di Bologna.

Oggi sono stata da lei.

*

L’ombra e la grazia

 

 

* Disegno tratto da : L'anima e lo sposo, Cecilia Fasser

 

 

*

Con l’estate a capodanno

 

 

 

 

 

 

 

 

Un recitato di preghiera sul trenino
un calpestio di cervi claudicandi
che hanno imparato Zingiriàn

 

avviene al caldo

 

con la testa di un bambino nella luce

 

 

 

 

 

 

 

 

stretto come il vischio addosso al pino_

la quiete che fa,
                       s'adagia sul ventre
                                                     come sognando_




siamo una coppia, salendo gli dei,

tra i pezzetti di una mela luminosa
piena di grazia e simile a un vapore,
che il silenzio ha formato nella bocca,

che ora preme per tornare con il seme

sull’albero da cui si vede il mare.

 

Sul pianoro dei tre pini c'é un amante

tra gli occhi luminosi degli assenti

e la lentezza della neve che gli offro

Lo sanno le sue mani- dove sono,

dove sono nate le farfalle,

nello stesso posto io rinasco.

 

Ti racconterò di come entrammo

dalle vene luminose degli sposi,

per la dimora preferita, nella mandorla,

per condurre insieme i nostri anelli

a far l’amore con l’essenza del linguaggio

anteriore ad ogni lingua sulla terra

per tornare coi lumini sulle dita

e il grembo d’oro con l’estate a Capodanno.

 

*

A Rainer Maria Rilke

 

 

Rose, oh reiner Widerspruch

Lust,

Niemandes Schlaf zu sein

unter soviel Lidern 

 

 

Rainer Maria Rilke

4 dicembre 1875- 29 dicembre 1926

 

 

 

 

 

Non hai posto il viso mai lo sguardo

dalla parte della carne per qualcosa

che non fosse entrato nei tuoi occhi

 

nella solitudine ventosa delle balze

portando in te la grande morte

come  invocazione di fertilità.

 

 

 

 

 

Porto ancora sotto il seno

la grazia del suo reiner,

lo amo come fosse vivo,

 

ma non è Lui che cerco

sul sentiero di Duino,

quel che ha visto senza palpebre

 

nei movimenti delle rose,

 

                                             sottovoce,

alle fonti ultime e sommesse della vita

nel grumo di radici che beve il buio dalla terra

 

preghiera, se si vuole-

 

nell'interno indimostrabile del canto

sempre più invisibile

come uno che risorge_

 

alla fine dei miei occhi,

la cui anima si sporge

                         sul mattino.

*

Con la fragilità degli angeli

Due lunghe strade due figure nell'erba
mi accuccio
dove non sono mai stata
 
c'è una donna che sbatte la luce dentro un mortaio...
al tramonto dell’anno la posso vedere-
dall'altra parte del mondo
 
implorando la durata della notte
che s'allarga nera sopra i fogli
tanto più potentemente nuda
 
come la più lontana delle stelle,
poggiando sui talloni
quel che aveva nello sguardo
 
viene a dirmi che ritorna
dove niente è più visibile-
fra gli alberi
 
con la fragilità che io immagino
degli angeli
quando spostano tra i fiori un buio d'aria
 
 
 

*

Dove ora riposano le rose

 

 

Un altro alito si tende come al nulla,

camminando dal presepe, al boscovecchio,

un piede dopo l'altro, si alza muto

 

sulle mani giunte come un vento

che lega ramo a ramo delle statue,

delle statue piccolissime di legno

 

dove ora riposano le rose

 

c'è un momento di calma luminosa,

che inginocchia fino a terra le carezze,

scavando nella grotta dei dormienti

 

 il muschio che risale alle radici

del paradiso, fra un uomo e la natura,

che discioglie la brina nel calore

 

con l'adagio più bello che conosci.

 

 

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=Les39aIKbzE

 

 

*

Dalla parte di Dio

 

Ti farò dormire in una poesia

nella mia preferita stanotte

camminando con gli occhi_

 

a piccoli passi

con le ossa esposte

nel presepe

ancora più leggera

di  un pesce d’oro a velo d’acqua,

 

sarai  il prolungamento di un respiro

nella più semplice delle cerimonie

 

_condotta da un fiore  nel regno dei morti

per sentire calda la vita,

distesa dalla tua voce,

dalla parte di Dio.

 

 

*

Salām

 

 

Dove il miracolo dell’albero

sul nostro vicolo cieco,

reciproco e altero ? -

Vale la pena tutto lo spazio

la paura

di quello che può fare la montagna,

l’urlo del torrente

a sommergere le piantagioni

a spostare le strade.

Nel flusso caldo del sangue

c’è un luogo interiore

che annulla ogni esterno

riflettendoci in luce

e indistinguibili volti

generati gli uni dagli altri.

 

 

Pensare a noi

è pensare a molto altro

nella pausa del respiro

c’è un lutto necessario;

fuoco e neve

in una stessa fiamma

i tuoi settantadue frantumi,

sino a traboccare

tra la terra e il cielo come vergini

il fiume più grande del mio cuore

nel tempo pieno della carne,

che domanda- hai messo fine

alla catena di pietre gelate

tenute insieme dall’odio

di un amore mancato nel seno

disperato della tua religione ?

in paradiso

 

Gli uomini che hai appena ammazzato

ti stanno accogliendo, non più sofferenti,

anime, come la tuaperdonata,

nel taglio  più grande dell’esplosione

che ha dilaniato il tuo velo, nel Vero

vittima e figlia di sola violenza.

 

Come un’acqua lustrale

siete uno nel tutto,

tra le vasche saldate di creta

e migliaia di piccole piante

di semi indistinti,

fino a sfiorarvi le bocche

a respirare in un unico gesto,

abbandonati.                                                           Con te  che sei rimasto

                                                                            in terra  vorrei fare la pace, con l’altro,

                                                                            con me. Salām

*

Per rendere la rosa

E' così la grazia,
parla in un piccolo alito,
a cui la mano aggiunge il segno
nel petto, l'orma della tua poesia,
era e sta.
Con desiderio-
 
mentre affondi nell’inspiegabile che avviene
nelle profondità della mia carne 
col piedirosso sulle spalle
come zampette di colombi ,
e un pizzico dello sciascinoso-
 
niente più ci separa
dall'assenza, 
dove riempi d’acqua le tue mani
per dissetare le amate barbatelle 
metterle a dimora allineate,
tenendo unite le radici per il verso,
 
con amore
per spingerle nel fondo della terra
lasciando appena fuori l’ombra 
di un sorriso
 
batti piano e intorno 
a piedi nudi
un piccolo pozzetto
per l’acqua del futuro.
C’è odore d’aramèn e dello zolfo
del sudore.  La tua terra è viva 
dalle falde alla tunica di pelle-
 è o’ pascone, vai cantando, 
il sovescio d'erbe miste per purezza
 
nello scasso del terreno che proteggi
ammorbidendo le radici del violetto-
col favore del tuo sole, della pioggia,
le dolci potature annodate con i rami
come fosse un modo di sfiorare,
poco prima che abbia inizio il pianto,
 
ed ogni volta, in sette movimenti,
sette nodi, nasce la tua vigna,
e muore, per rendere la rosa
alleggerendo il fiato
fino all’inno.
 
 
 

*

Caro Simurgh


Una foresta appena nata che si alza,

e tanta luce che si china, in ogni sguardo,

tra i miei morti, e tra gli amici.

 Quanto pesa ciò che è lieve... Caro Simurgh

 

vivo in questo canto, che rimane.

Più del vento quando gonfia tra i vestiti,

è così che mi circondano i tuoi versi,

le parole inumidite da un chiarore

 

vanno aprendo cavità dove il tuo volto

irrompe come un Dio, un Dio che nasce

per bere sul diaframma delle pagine.

E pregano pazienza le mie dita,

 

levando appena il capo,  rilasciato

in un segreto linguaggio circolare-

                                                         come il crescere dei fiori tra le felci,

                                                         col respiro su un’immagine di luce

 

                                                         è il solo paradiso che ricorda:

                                                         nel profumo ricurvo di bellezza

 

li ho visti nudi addormentare gli alberi,

in cima ai ripostigli della neve,

 

 

 

 

dove si nascondono le uccelle.

Col suono delle foglie

con smisurato amore                         

                                                               ti segue una poesia,

 

ti segue, se cammini,

fino a rendere il respiro,

serve l’invisibile.

nella discesa del suo canto.

 

*

La sillaba mancante è l’architrave

C'è sempre qualche luce se l'aspetti,

se ti metti inginocchiato sei più grande

se risplende un pianto nudo, un solo verso

fessura l'infinito e rifiorisce

la speranza. è un libro fatto d'aria

in cui le note della voce fanno tana

illuminando il gran silenzio mentre sale

lucida, e stordita, una poesia

 

usando la ferita per radice

ritorna dentro gli occhi la marea,

con la folgorazione, lenta,  lungo l'acqua-

le fila delle trombe insieme ai corni

i legni che si alzano alle arpe

e, come in piedi, gli archi, in cerimonia,

si uniscono alle onde-  dove batte

il nome che ti manca, cristallino.

 

Siamo foglie che s'involano, sorelle

nell'ovunque e immensa comunione

di nitore dello sguardo, come un lampo

che spalanca gli occhi dentro il sonno-

mentre prima li chiudeva per paura-

un altro fiore rischiara nei tormenti

e fa risorgere parole tra i suoi veli

salvando l'indicibile e chi ami

 

Così mi abiti, e, ogni sera, io ti sento

quando mi passi il pane, con le mani,

la sillaba mancante è l'architrave

che congiunge l'invisibile a chi vedi,

come l'albero fiorito nella neve

 

la cecità è questa fronte, bianca,

una coltre, intorno al cuore, muta,

è il sole che attraversa la mia nebbia

sottile come un'ostia, e, come un segno

d'acqua in chiesa, scivolata tra le labbra

 

dove la luce non arriva

abbiamo ancora una possibilità.

*

Come un frutto all’equinozio

Una danza verbale e al contempo

si metteva tra il corpo e la sua ombra

come uno di quegli alberi che mostrano

l’argento delle foglie capovolte

dal pugno della luce,

 

nel vento. Pregavo la durata

girando adagio il viso di un respiro

col fiore di pervinca tra i capelli.

Come ogni domenica nel bosco.

 

Più nulla mi velava gli occhi

sfiorando la membrana dei castagni,

la gioia  mi portava sulla schiena

come una compagna, una compagna onesta.

Nel liquido splendore della sera

 

bevevo, toccandole la fronte.

Non ho bisogno d’altro oltre i pini,

lei era il fiore e il fiore

                                   è ancora lei,

invisibile nel campo,  

                                          vistosa,

nella pace del dolore.

 

Sono pieni gli occhi , nella nebbia,

del vedere che s’innalza così lenta

così distesa e uguale, come un frutto,

all’equinozio

 

come un frutto, tra due foglie,  che scintilla,

cadendo nella pioggia che noi diciamo morte,

tutt’uno con la terra,

portando  la sua fine nella notte

la rinascita perpetua della luce.

*

Nel grumo di mistero dentro agli occhi

Saliva per dolcezza alle radici

un grumo di mistero dentro agli occhi-

qualcosa che già ha avuto voce

nel pianto dentro il sonno, in quello breve-

come il centro di un canto che si snoda

da  quella buca grande che scavavo-

 

nei giorni lunghi della pachamama

con l’unguento di erbarenna, a piene mani,

ponendo  le pietanze con le foglie

e, in cima, le più belle pietre dell’estate-

lasciando che soltanto con la luce

il corpo si schiarisse, a suo riposo.

 

Nella piega della bocca rasoterra

sussurrava che Dio ti benedica,

bevendo l’aria in pieno sole; appena

un fil di fumo scendeva  dalla schiena

benedetta nel cuore della pianta,

 

tutto l’amato e tutto  un cedere d’amore,

a  Ferragosto -

un compito diverso di preghiera

un abbassarsi a un’altra lingua, a quasi nulla-

sulla montagna  imparata in Argentina.

 

Come a passo di cervo nella gola

ritorno nella buca sul mio cuore

con la stessa età che ha una luna,

e lo stupore di un guerriero scalzo

 a fior dell’acqua. Nella terra molle

tutto accade sottovoce-

 

perché il nostro peso sia leggero,

perché la pietra, appesa al collo con le rune,

diventi un aquilone al boscovecchio,

dove l’aria sostiene le mie gambe,

fra le cadute e il volo- nel risveglio,

 

con le nostre antiche dita in mezzo ai frutti,

come fossero parole da ripetere,

da ripetere  lucenti sulle mani,

dove affondano invisibili radici

dove culmina ogni volta  la vertigine,

 

nel grumo di mistero dentro agli occhi.

 

 

*Musica di Lévon Minassian e Armand Amar, Hovern' engan.

*

Un piccolo perpetuo sulla lingua

Fece un attimo di pausa,

prima di continuare tra le viti

con un sorta di radice da tirarsi dietro

a distanza di un braccio dalla schiena,

nel fascio preciso della luce

accumulando energia

                              sulla punta delle dita.

 

Con un procedere rituale,

come a incanalare pace

in un punto d'unione la sua musica  vibrò,

come fosse uno stendardo,

afferrando della gioia nell’intarsio

delle pieghe,

un segreto per l’occhio della mente.

Non c'è modo di parlarne

se non per paragone a qualcosa che conosco;

 

come tamburi colpiti da sussurri

intrecciava con le viti una poesia

un ricamo argenteo  sulle vene

dell’acqua, in mezzo al piccolo frutteto

 

avvolgendo le mie ossa con i fili

con i lacci di un canto nel silenzio,

lo stesso di una stanza di un bambino

quando dorme

spostando l’aria col respiro.

 

C’è una vita leggerissima da allora

nello stagno di narimi,

una staziona segreta che rimane

un piccolo perpetuo sulla lingua,

nel barlume che raggiunge

                          il suo splendore.

 

 

Fra gli sguardi del sole io ritorno

nelle ombre assegnate

una mussola in preghiera ed argentina,

nel ventre smisurato del mio bosco

dei cervi muti, custodi di vocali,

dove la corsa finisce in un miracolo

e il suo corpo uno strumento che congiunge

a voce bassa dei semplici bambini

che si sporgono nel nulla

                                    ad occhi chiari

dalla cima dell’ultima parola,

con un dire lungo i lati delle labbra

la vita vince sempre su ogni uno,

con un filo, rosso, che ci lega

nel seme del tacito affidarsi.

 

 

*

In ogni più piccola voce

Non credere sia mortale

 l'eternità  di cose remote-

 

 

Non c'è punto che non veda

 del suo sguardo,

tutto respira tutto ringrazia.

 

Eppure viene solo  da una tenda

di perline mosse per il vento

lo scintillio degli occhi,

 come di un animale

quando si avvicina al buio,

restituendo doglie. Resta

e splende, nel mezzo,

come una donna  illuminata

 

tra il sogno  e la sua comprensione -

non scintillerebbe sulla pelle

fino a esplodere,

mettendo pace.

 

 

È invisibile il senso di una luce

viva che continua al buio

il coraggio nella mano

poco fa ancora vuota.

 

La  terribile bellezza che si compie

occupa spazio e si muove nel tempo,

tra quello stordimento

che prende chi non sa,

nel luogo in cui è giunto,

cosa rispondere, pronto a dire:

con tutta la vita, con solo la vita

testimonio  il cuore di un canto,

che quasi cade per troppa impazienza

di vedere con gli occhi di Dio

i nomi per lei,

in cui tutto trasforma

e mantiene.

 

Come tornare all'eterna fontana,

ricomincia così la poesia,

in quel lento riandare di versi,

ascoltando il suo corpo invisibile,

come strumento in  preghiera-

che piange

che danza che ama che ride,

e si offre, cercando  il respiro

mai interrotto coi morti.

Lungo la madre dei fiumi,

tormentata da dighe,  così

 

quando il vento la muove,

oltre la luce più bassa,

risplende il suo sguardo

altre vite

ad accogliere orme,

e lei,  che si apre,

in ogni più piccola voce.

*

Avevi degli angeli alle labbra

Ti scrivevo:

" Un solo giorno ancora

da colmare

sostiene l’Anno

sull’orlo della vista "

 

 

scuote un soffio tra i miei seni

di tre anni senza fine,

più del Nome  chiama

ciò che resta di ogni goccia

delle mie ninive amate

nascoste nella stanza,

le garze d’acqua che porgevo

le hai scambiate  col bicchiere-

aprendo le tue mani come ali

le alzavi fino al viso - inesistente,

afferrando l’aria di cristallo

portavi come un peso

dal deserto della gola

all’invisibile di luce

 

non so fin dove, madremia,

                 perché  avevi degli angeli  alle labbra,

                                                   la grazia nel tenere niente,

                                                                           il mistero delle egrette sacre

                                                                                                            a bere Nulla

 

con immagini prodotte dal respiro

l'unità sfiorata

 è la distanza più incolmabile,

se riempio questa sera

di vigilia,

la ciotola col latte nel giardino,

e suono intorno-

un lamento circolare

nello sguardo ebbro di sentire

quel vuoto lieve tra le mani,

di bianchissimi elefanti nella gola-

 

cosa resta dell’assenza

come spazio

  del suo Essere sublime.

Mi avvicino solo di un millimetro

che tutto può colmare

 

 

 

*

A comporre la mia voce

 

 

A cantare tra le mani  lentamente-

con una voce millenaria intorno al garbha,

che mi penetra, profondo, che soggiorna,

annullando il lungo viaggio e chi ne esce

con l’occhio libero da ogni reticenza

ed un segreto svelato dal respiro

unito al nome ripetuto con sorpresa-

 

bastano i miei  occhi come case

come case piccolissime invisibili

che conducono ad altre tante case

per folate di canto. Intorno al cerchio,

a tratti scende ancora il suo profumo,

sulla pezza di seta rossa di ogni sera.

Mi unisco a lei,

che più non muore tra i papaveri,

mentre soffia  l'uva dove vuole

coi grappoli enormi 

                          appesi ai bastoni.

 

E' l’eco vivente di tutti gli odori

il digiuno,

la benedizione per i campi del sudore,

quieta e potente preghiera,

al mio sguardo. La stessa mitezza

in tutto si contrae

poi si distende, ricominciando

come  tamburi d’acqua dei pigmei,

quando curvi sopra il fiume la percuotono,

da farne musica

 

ti guardo, finita  la mia luce,

immersa  nel presente :

porti avvolte sulla testa le tue reti,

e non inciampi,

nel passaggio stretto delle piste,

dove io leggera cado ad ogni ramo

per raccogliere del miele sulle mani,

le foglie verdi in fumo per le api.

 

Sul buco di dolcezza ancora strappo

un pezzo piccolissimo di favo,

lanciandolo nel  cielo, e, solo dopo,

all'imbrunire,

prendo a succhiare il lembo della garza,

tumida e inzuppata -

 

non è  impossibile andare più lontano

del grande cerchio tra i fiori e le radici,

se siamo stati tanto nudi e veri

da avere accolto in noi anche il bisogno

di essere amati, e riposare scalzi,

nelle braccia di un altro, vulnerabili,

col diaframma aperto e insieme uguale

solo al desiderio di fiorire,

se quando perdiamo una cosa cara

esclamiamo così, semplicemente,

"è andata via da noi".

 

 

C’è un segno lontano sul mio petto,

una linea sottilissima di gioia

in lotta col colore che ora scrive

schiarendosi lo spazio, poi ritorna

col duro esercizio delle sbarre,

e una ghirlanda,

nel bianco silenzio delle querce,

come in canto

 

è la bellezza a meritare

mentre vola la terra in mezzo al cielo

confermando la vocazione dello sguardo

il continuo movimento in un miracolo

:

la porziuncola di pace tra le celle

e lo spiraglio

                        che moltiplica l’amore,

nel misterioso dispensiere di vivande,

è il sapore di una  mano nuova,

la lingua calda nelle sue profondità,

dimentica di sete e della fame,

quando avanzano le ombre sopra i piedi.

 

Sui prati rosa si posa adesso un velo,

e appena visibile cammina,

superando ogni ricordo,

nel sole della sera,

poi solo un luccichio, che si spegne

 

indebolendo le mie forze per tacere,

per rendere leggera questa  veglia

alla notte del destino.  Torneranno

torneranno  nelle ali luminosi

gli angeli “a comporre la mia voce ”.

*

Uccideteci tutti, e poi seppelliteci qui.

Tradì  la vetta spoglia della cerchia

il ferro nelle vene, a cielo aperto,

e la cenere nel fondo della veglia

fece nero il verde fitto nella falda.

Un Mato Grosso la notte sui capelli,

il taglio delle mani col cavo più sottile.

 

Piegando l'occhio nel silenzio vivo

le ferite minerarie. E ad ogni stella,

ora, invoco il mio massacro,

come Guaraní, nella fossa comune.

 

Le piste dei sogni, le vie dei canti antenati 

non avranno nessuna piramide a memoria 

se non il suono più prezioso ed immortale

della lingua sorridente sotto un albero

che cammina, raccogliendo semi,

e ancora la fonte del luogo di donne

che piangono in canto come sante,

o fantasmi, che sanno attaccare

ognuna al suo seno le scimmie

urlatrici, e i piccoli maiali

che hanno  allattato la foresta più fitta,

sbriciolata in pane terribile

nelle tasche di tutti.  Voialtri,

come ladri, ci avete tolto la libertà,

ma noi viaggeremo danzando,

nel fango finendo per brillare

           a cielo aperto.

 

*

Ho sognato Hashem Shabani

Ognuno è vicino alla sua  polvere

di ricchezze private, di carezze

intimamente clamorose-

l’ossigeno, e  due pietre

nude, sotto il sole

più lungo della notte

ho sognato Ashem Shabani

 

Altro non è  lo sguardo azzurro

la mia visione umile   improvvisa,

tra una luce sfiorata e la penombra,

un destino impronunciabile che chiama

la vita nuda  gioia di una voce

benedetta dall'esistenza e dal suo peso

 

come nulla è vero ammutolisco

e sciolgo le domande nella cera

con le mani più infantili che conosco;

mi  ripeti “ovunque sei

                             esisti se sorridi

tra le infinite madri della luce

con la lingua della lupa che altri lupi

hanno già percorso, con i lasciti

e le urine. Da qui ricominciamo

bagnando i nostri sessi nell’ascolto."

 

Il succo delle arance dentro agli occhi

spingendo sulle palpebre le mani-

alzava al mio risveglio quella voce

mutando le parole con la pelle-

e un fascio di capelli nello sguardo

 

per svelare ciò che in ultimo ci copre

dove l'aquila si ciba del leone,

nel luogo più profondo, il più elevato,

che sbuca  nei polmoni come in piena,

con l’odore, poi, nel suo silenzio.

 

Senza chiedere o rispondere di quando

il nostro petto stava unito a meraviglia

come se fosse già detto o l’indicibile

mostrasse in una luce comprensibile

la grazia del contatto. Sei tu stesso,

 

se  un alito distacca la radice

di tutto ciò che sulla  terra cresce,

lo scavo nella carne e quel  riparo

dove posso saltare nella luce

che si apre per l’ebbrezza, e la violenza,

tra il nome che rimane e chi va via

nel  buio che precede l’innocenza,

è  il miele alla Signora dell’agave

dove l'acqua nel bianco si ritira,

nel bianco delle rose di un'altura,

nel nostro impossibile morire.

*

Nido nel nido

È lei che dona il fiato-

nel momento stesso in cui rivela

che stiamo soffocando

stretti alla sua terra,

nel sottosuolo della lingua

nella quiete degli specchi-

 

l'anima - e le mani,

quanto più difetta la ragione,

di quando sei  innocente-

nello stesso paradiso  conosciuto

dove continuare nell'unione

della terra

 

-ad ogni orgasmo non perdiamo la purezza,

che ci copre come un abito di lana

dalle sferzate dei nostri padri,  e Dii

gelosi di quando  entriamo  in fondo

al petto, stiamo  solo passeggiando,

fra cieli e terre, con l'imene intatto,

sull'impronta del più piccolo respiro-

 

non lasciare che la luce di un oscuro

abbassi le tue braccia

come i gigli d'oro alle bambine,

in piccole tombe, senza avvenimenti,

di ogni ultimo accadere non c'è dramma

che addomestichi le cose,

loro nuotano,  o si alzano, nel nulla

danzano...!

scavando nella gola come un nido

un urlo folle di gioia lancinante,

in cui ogni singola parola

è non un'altra che ricorda,

ma sei tu

fino al nudo, nel principio,

senza  più separazione-

 

alla fine delle acque,

formando come un arco,

che si spalanca

grondando sangue,

la nostra sposa.

 

 

Pennabilli

*

Un grano d’oro che rinfresca il viso

Puoi penetrare l’invisibile da sveglio

con un'onda trasparente  di chiarezza

passando come un lampo per il cuore 

trattenuto per segreto. E prova

 

a guardare-  non c'è spazio,

dov'è il rigagnolo, e cammini,

per le profondità del senso,

per luminose intensità,

superando  la montagna

da parte a parte,

sulle corde delle fontanelle-

l’ombra che ritorna fino al colmo,

il filo di seta che attraversa i polsi,

non potrà mai scomparire.

 

Se non sai dov’è che scorre,

puoi accostare l’orecchio per capire

dove verrà alla luce, 

difendendo il luogo, il giardino, la tua casa

e il giovano pero.  Ridursi è gioia

ad ali tese, se ti sfuggisse il mormorio,

il sussurro del ventilabro. E' questo,

non altro il suo volto indistinto e più piccolo

di una mano aperta. Tocca un unico dito

afferrando con la luce le figure

per metterle sul bianco della pula

e volar via

 

L’inverosimile sparisce

col movimento irregolare delle palpebre

senza immagini o pensiero

se tieni gli occhi dentro fino in fondo

per farti divorare

                             da tutta la visione-

finchè cade d' improvviso  e si ritrae

per non essere nominata

più sacra di qualsiasi Dio,

tanto violentemente intima

in bellezza:

 

è un fuoco acceso nel mare sommergente,

dagli animali  alla sapienza della piante

agli abissi minerali del tuo essere-

nel centro tellurico dell’anima,

dov’è acciambellata come sposa

 

quando si dilata io ti vedo,

nel  più piccolo respiro della polvere,

un grano d'oro che rinfresca il viso,

donatore felice.

 

 

 

 

*

Ederlezi * per Hashem Shabani

Sa come aprirsi nell'inferno 
il canto degli angeli che amiamo
 
Muove l'aria e cova un fuoco
dal goccio di saliva tra gli spari
risalendo lungo il pozzo un fiato caldo,
oltre le catene dei guardiani
contendenti la conchiglia dei midolli,
per raggiungere la gola e dire ancora
la morte è troppo poco per sparire
l'occhio luminoso dei Shabani
 
le loro mani bianche danno  frutti
srotolando la stoffa delle mummie
con le ali ripiegate del ricordo
ci scambiamo l'avvenire e dai pertugi
apriremo la yurta in fondo al cielo
leggendo sul labiale  il nostro nome
come cresce al centro del sentiero
 
saremo una farfalla dentro il fiume
dal fango per ricominciare
costruiremo nuove scale,
da uno strato di pelle con l'argilla,
per alzare ancora  con la penna 
lo splendore del grano e in pieno sole
per l'unione delle forze canteremo
un ederlezi come fosse il suo natale.
 
 
 
In memoria di Hashem Shabani, giovane poeta iraniano accusato di "essere in guerra contro Dio"
giustiziato con l'accusa di scrivere in arabo
tradurre i testi farsi in arabo
e di corrompere e sovvertire la religione con i suoi versi.

*

La morte è troppo poco

Con la forza della tua poesia

tutto quello che ci serve

è il respiro

che non lega a sé la gioia

ma la bacia

                                     in volo

 

Adesso che non so più niente,

adesso che siedo

esitante

tra il centro e le mie mani

la  vedo.

 

E pugnalo il mio  lutto

perché  entri la luce

di una garza d’acqua sugli occhi,

un velo; intanto la stanza

dietro le spalle si vuota,

immensa sorella,

                        di inutili oggetti

 

imparo la bufera delle ali

                              alle caviglie

il tuono dorato sulle dita

del volgersi a guardare,

quando in un unico volto

combaciano i visi del mondo

 

con le vene azzurrine sui piedi

con il gesto più piccolo che ho

prendo congedo

per toccare la terra dove mi lasci,

randagia in eterno,

sulla polvere ardente il tuo segno:

 

farò nuovi boschi con le ferite,

col buio che preme, un io che tace,

attorno al minuscolo punto di luce

un nuovo pane, nel suo ombelico

preparando una nascita

 

con l’orgasmo pieno dei  bambini

rivolto all’universo, ti offrirò

l’ognivolta  che qualcuno

si sporge verso un altro

 

nello spazio, credimi, se puoi,

la morte è troppo poco

per finire il nostro amore,

col suo tocco

infinitamente lieve

indimostrabile.

*

Quelle cose ancor più deboli dell’erba

C’è quindi la pioggia,

l’acuto di un gabbiano

a  contare i battiti.

Tu sei ancora  appoggiato a quel tavolo di legno

a  desiderare forti nevicate.

 

 

I miei piedi confermano il freddo,

la carne cruda d’inverno, che nutro,

mentre la sete e il bambino oltre il cielo

volano, tra mille bambini dai corpi celesti

di secoli. Sono tornata indietro, stanotte,

ore e ore,  con la disciplina di un’ape,

per legare in cima alle spighe i fazzoletti

cosparsi di fiori in mezzo alla betulle

 

Ma tu resti appoggiato al tuo legno,

non vuoi sentire tra le mani

quelle cose ancor più deboli dell’erba,

dove si sta per nascere ringiovanendo

con gli occhi pieni d’antichità,

di selvaggia allegria.

 

Le mie pupille nere sono due ruscelli

che si raccontano segreti

mentre sbatto minuscole ali

con la canzone che cerca qualcuno,

 il lampo di candore, nella pioggia

 

ti avrei scritto molto tempo fa

i nostri nomi  protesi,

impossibili da distinguere,

sulle labbra;

                  non serve altro

a tacere tra gli alberi lucenti-

la gioia nasce prima

della gola che si apre,

pronta a bisbigliare l’ultima parola,

amore

 

nel buio sconosciuto

la morte è un abbaglio,

nel  luogo dove si posa

sparge l’acqua

con una pioggia fitta

e due fiori di neve

nel volto di ciascuno

 

c’è molto che muore

restituendo vita all’origine,

là, dove il canto rimane,

il gabbiano si sposa

inclinando con la luce

e  senza fine..brilla

*

Ogni volta che ti vedo eternamente

 

 

Col viso accolto nel silenzio

 mi hai mostrato come fare

a raccogliere i fiori delle felci

con le mani a lume della luna,

come un’ostia, immersa dentro i  fossi,

contro l’erba dello smarrimento

                            

quando benedicevi la vallata

nel più semplice dei riti all’orizzonte

seguendo i vitelli al primo pascolo

con i semi  alzavi una canzone

madida d’eterno. la tua gioia, ora,

come un’erica che sbuca nell’inverno,

cammina a piedi giunti col mio pane-

una mano smuove il filo del silenzio

e si lascia cadere nello sguardo

qualcosa di esistente come il nulla

negli steli  più lontani, in cima agli alberi-

legandoci al passato ed in avanti

giacendo accanto a noi, come una bestia,

 

conosco l'ampio dorso del silenzio,

un animale sempre vivo

quando sporge nella sera e s'inabissa

nel profondo della pancia, lentamente,

quasi fosse un suo risvolto

per quanta cura c’è, e discrezione,

nel tu del gesto che mi ascolta-

 

come un nido che sognando

inizia per cantare nello spazio

sporgendo le sue ali come fiori 

propagando a fondo lo splendore 

che accompagna e segue ogni parola,

l'indicibile che abita nel verbo,

che ricopre la risposta trasparente

quando torna a trattenersi nel respiro,

nel paradiso delle voci impercettibili

 

Così ti parlo, clandestina,

nei miei piccoli campi della luce,

godendo fino all’estasi dell’ombra

per assumere le nostre solitudini

a legame disumano, in questa vastità:

 

faremo un altro viaggio e un canto nuovo

allargando gli occhi chiari  come pozzi

per i fiori trasparenti delle felci

ci fermeremo alla stazione delle immagini

raccogliendo il tempo in unità

si chiuderà la notte,

come fanno le stagioni sui ciliegi

quando il bianco appare d’improvviso

e il verde va da un albero a quell'altro,

              finché una lacrima compare,

finché la rende visibile una luce, 

facendo l’arco e ricadendo come neve

per quando sarà grande, per quando tornerà

a sprofondarci dentro, smisurata

riprendendo la  poesia, nella parte dell'inizio

risorgendo originaria la parola

ogni volta che ti vedo -                                      

                                    eternamente.

 

 

 

*

Dentro le tue mani

C’è la questione del passato,

uno stato glorioso,

quando non respiravi.

 Fino al nulla  puoi ricordare

 senza memoria  cosa facevi

otto giorni prima di entrare

  nel grembo di tua madre,

 dove hai chiuso gli occhi

e sei scomparso

 

 

un essere. A volte si sente bene

la pelle,

è il nascondiglio della tua illuminazione,

l’universo che tu sei nel sonno,

nel sonno profondo della veglia.

 

Dallo spioncino  puoi vedere

dal filo d’erba all’infinito

il genitore, l'ultimo, senz’occhi,

il testimone solo, la radice,

che avanzando retrocede,  

come un mantra,

che affonda in cerca d’acqua

 

Se posi qui la mano,

se bevi la preistoria tra le ossa,

il caldo umano che ti offre

è la  poesia

che da te si leva, e dappertutto

riposa le dita dell’amore,

nel cavo dell’onda,

i tuoi fragili piedi. Sulla montagna

 

strappa il cervo irredento

alla morte dell’eterno,

gridando la parola favolosa

nella gola del torrente

donando il nostro nome

come fosse una culla

dove va a posare il mormorio

della prima goccia d’acqua.

 

Proprio dentro le  tue mani

palpita la gioia

tra vergogna e riso

sorregge gli sposi

con le fiaccole negli occhi

*

Come fa l’arcobaleno a venir fuori

Fa  vedere l’anima

di spalle

senza bisogno di voltarsi,

con la schiena incurvata sopra il secchio

mentre gira l'orzo con le braccia

e le mani come a trattenere  

seni gonfi di latte.

 

Ha  una voce d’amore

il fiato caldo tra le scapole

ricostruisce l’unità

nel più semplice disegno.

 

 Comincia con le orecchie la sua storia,

la discesa dolce in fondo al ventre

di un padre col neonato sul capezzolo,

quando preme l’esile membrana

del risveglio,

il verso non formato ancora

e la carezza,

che dovrà percorrere la mano,

dallo specchio al volto.

-mi sono amata tanto,

per amare,

ho leccato il sale in prossimità del suolo

mi sono vista fiume ed alveo vuoto

 poi ancora acqua e dèi,

la linfa dell’ulivo,

un vino nero senza Dio. Negli occhi

il senso misterioso delle uccelle

quando covano nel ghiaccio

 i rami rigidi dei pini,

il grido delle foglie di oleandro

 finchè un cervo

 in mezzo al petto

trattenuto dal morire

non mi venne a respirare con violenza

fra le ossa

 in questo mondo. E' così la morte,

un  solo chicco,

ma la risaia è immensa, e oltre il cuore

 

c’è un bambino-

nel crampo della pancia,

il suo  puntare nella stalla

a chiamare gli animali con la gioia

appoggiata sulle mani-

che risale le rapide del fiume.

 

Lui solo può cantare

come fa l’arcobaleno a venir fuori,

col profumo ricurvo di bellezza,

la splendente creatura

che da basso,

più forte di una forma,

riverbera l’eterno.

 

*

Amen

Scintilla come un volto  l’Appennino

col forcale appoggiato tra la schiena

e il primo taglio della medica per terra.

Premendo il bosco nella pelle

entra un’anima nel grano dove il melo

con la sinistra scrive :- " Tu rimani.

Non barattare la corteccia di betulla."

 

 

Quel po’ di luce lenta che risale

dalle mie più piccole ferite

è lo splendore del punto sopra i fianchi,

che conosce ogni goccia di sudore,

dov’è la madre, in alto, e le due mani,

meravigliose,  hanno un nuovo nome.

Non è un semplice ricordo,

è l’altra vita, che si ravviva poco a poco,

dove ci porta a bere.  Una pienezza cieca

cammina ferma nel niente delle parti

più tenere dell’erba.

 

Vedi..? passano gli occhi !

- Certo, è stato il vento- Mi dirai

domani-.  Qualunque cosa sia

ci sono segni sul suo capo

come fosse entrata nella carne

di un’altra creatura. Può sembrare

un miracolo, ma, credimi, è il contrario;

 

gli occhi amati ci restituiscono

l’intero, tutto chiaro e battezzato

nella corrente primitiva della carne,

mostrandoci nel campo come un segno 

che anticipa la medica per terra,

per dire del dolore, per ciò che fa

dell’anima un compagno-

 

tornando verso casa.

Voglio salire alla radice azzurra, 

alla rètina grande del cielo,

                         al silenzio finale

della madre seduta

dove il verde è più scuro, 

da parte a parte. Dov'è

il momento più bello per pregare

danzando al bordo del campo,

lungo i sentieri delle formiche.

 

Quanto vento può nascere da un battito

di un’Ave Maria lungo i filari?

 

Ohh...quel chiaro dell'aria, che trema

sui petali dei mandorli, leggera,

sono gli scriccioli sbocciati tra le dita,

e il silenzio  sui colori che rimanda

ad accogliere la voce dalle mani

lasciando scivolare i grani scuri,

prolungando  la vita alle formiche.

 

C'è una musica sensuale che si apre

dove posa il chicco più sottile:

“Siamo noi quel luogo che rimane,

che ci domanda ascolto, e poi il fiato”.

 

Con la trasparenza nella bocca

il tuo viso è una parola,

                                   un largo d’aria

lieve, nella discesa del suo canto,

l’ombra amata che fa vibrare Amen.

*

La canzone del liocorno

Così lei carezzava le piante,

districando ogni  sera i capelli

coi palmi aperti

lasciando passare i fili lunghi

tra le dita, nella stanza.

 

 

 

 

La vedevo ripetendo una canzone,

la canzone del liocorno, tanto fonda

da poterla tacere. Ogni singola mano

è racchiusa in quei versi,

tra la giovane salvia e il  cotone,

per dare ancora un nome,

fin nelle pieghe del  sottrarsi,

all’oblio materno dell’alba,

e farlo crescere nel regno

di quelli-dai-lunghi-capelli-

 

Ritornava con le ginocchia bagnate,

e il corpo verde di una parola

sia fatta la tua volontà

usando il respiro

umile,

a terra, nuda.

 

Tu la chiami penitenza.

Ma, se raccogli senza peso quelle sillabe

seguendo le sue palpebre nel buio

la sentirai piantata tra le zolle

che allatta le sue piante a seni dritti

ed altra acqua, la pupilla,

che risale per le dita con dolcezza

il profilo di qualcuno, fino al viso,

di chi scioglieva i nodi tra i capelli,

in piena luce

*

Nello scambio del sangue con la luce

Ho lavorato con la morte dei tuoi occhi,
la porta stretta di questo mio cercare
il simurgh nel mio cuore
 
Tre anni e un filo lungo di esercizi
stretti tra le dita, cristallini.
Di tanto ho fatto lunghi i miei capelli
ad ogni anello degli alberi che amo.
Mi sono preparata per sparire dalle stanze
a risalire l’aria verso il buio
per trascinare l’eco della luce
e più di tutto 
a muovere il tuo corpo sulla tela
facendo un cerchio lento con le dita,
allora, sento che respiri e stai per dire
qualcosa d’invisibile, una cura.
 
 
Come cibo non un’ombra di pensiero
si distende sulla vita con un seme
stordito dalla grazia che traspare
mentre alziamo i fili d’erba dei segreti,
come fossero le teste di bambini
con le bocche socchiuse in armonia
 
tra una crisalide e la rosa ricomposta
c’è un dono che si sporge dalle labbra,
danzando per minuscole fiammelle
da un punto di paura allo splendore:
 
afferrami le maniche stanotte,
perché ritorni sempre alla tua festa
la paura negli occhi a fare il gesto
che chiude il forno nero con il fuoco,
scompiglia  i  miei capelli con la forza,
come un’acqua che nasce dalla spinta,
dal dolore dentro i sassi, mentre sogno.
 
Mi sveglierà la tua voce nel torace
nel violento calore la freschezza
di una pianta che s'infila nei vestiti
nello scambio del sangue con la luce.
 
 
 
 

*

Benandante..

 

 - Muta nei dialetti, la camicia,

l’innominabile placenta,

 la tua paura, d’Uomo. Sacro

per te è l'orribile,

l'inconoscibile del sesso,
dove vita e morte ci confondono
nel Celeste del bambino.-

 

 

Siete venuti spinti dalla palude,

avvolti nel sacco d’acque scure,
inconoscibili, tanto uguali

nella grotta tiepida.

Nati due volte, tu

e l'altro te stesso,  

dipinti d'ocra rossa.

 

Danzando su un filo,

vi ha partorito e stava

come essere  il tuo doppio,
spirando nel cordone, nella pancia

ti ha donato il cuore, 

tua celeste comunione, 
ostia nel mare della vita.
Soffio originale,

 

poco più di un grano in erba

quando ti hanno svelato l'anima

d'uccello,

la consegna tra le mani: il benandante

che tu sei. Un foro,

numinoso dietro il collo,

che  sospende ancora il fiato,

quando senti le chiamate 

che ti fanno volare profondissimo,
a combattere gli spiriti

che tengon l'erba bassa,
che non fanno alzare  il pane

nelle notti.

 

"Non gettare  la placenta! "

ordinava bisbigliando senza denti

quella zingara nel campo di mia nonna 
"lasciala fiorire insieme al mirto,

dove la nughedda ha fatto un buco,

sul fianco della mèndula. Vivrà,

se attraverso vi corre quel bambino

 

sugli alberi. Lo vedrai salire,

scendere la sera in una foglia,

disegnando un otto sull'erba,

schiarendo negli occhi il riflesso

di una poesia.

 

 

 

*

Conto ancora in sardo

 

 

Molto ferita.  Piano,  piano,

è un cambio di pelle lo sguardo-

si direbbe una musica

l’impronta più duratura

che lascia

 

è un balzo

ed insieme un ritorno

alla casa-

l’accordo con qualcosa

di più ampio

 

 Cecilia Fasser

 

 

 

 

Annuso. Ti tasto. Assaporo

il tuo sentire. Mano a mano

un verde aperto d’improvviso

un animale quando fiuta un verso

che non s’abitua, che non si ripete.

 

Faccia a faccia col mistero.

Non sei più

la driade dell’albero che amo,

 la sua altezza,

l’albero sei tu

che mi vieni incontro nel silenzio,

nel silenzio fresco senza forma,

che abbracci tutti i nomi che conosco

 

Nell’attesa, che si fa poesia,

c’è grazia.

         Mi basta                                                sapere che resiste

un raggio segreto dello sguardo

con un cerchio d’aria sopra il capo

"una febbre leggera"

 

 e le pietre cascate nell’acqua

formano un velo che abbaglia

 

dovrebbe trovarsi la tua fronte.

 

 Solo allora

se  batto coi talloni

  seduta sulla tavola

solo allora se

      c o n t o   a n c o r a   i n   s a r d o:

quando vieni-

 

 più spingo al buio

le radici

sulla bocca

più vedo il tuo albero

salire

dalla  luce.

 

Cecilia Fasser

*

Nella partenza di Beltane

Nella casa del Toro, la quindicesima,

conducevo il bestiame ai falò,

il grande cervo alla sua sposa.

 

 

Mi portavi dentro maggio, incandescente,

con le bacche di ginepro e di lillà

nell'orifiamma impuro della chioma,

aprendo il grembo dei colori, penetravi

 purificando l’eros, con audacia,

l’amorosa ondata in seno 

palpitante di  io sono

dove si nasconde un Dio

 

Se tocco con le ceneri la bocca,

gridando come fiera il desiderio,

così limpida diviene la memoria,

e la voce fiorisce dalla terra

come ruote dorate tra le braccia,

andando più lontano della fede,

sul fiore stesso lei si adagia, e gode,

mangiando il vino più profondo del pensiero,

nutrendo gli occhi. Fino all'allucinazione

 

il femminile cinge il forte verso l’osso,

sradicando  ciò che non è ebbrezza,

per andare al centro della rosa

per introdurti nel ventre di mia madre,

rompendo il guscio al mistero dell'estate.

 

-Nella casa del pane occorre fame,

come  linfa dopo ogni regressione

nell'occulto dell' inverno. Non è forse

il chicco  del tuo grano il figlio stesso

di chi lo suda con la forza,

con la fecondità del toro,

disposto ad aprire le sue viscere

Al torrente di Gihon?-  Salendo sposi

 

c'è un sabbat

nella partenza di Beltane

che anticipa l’aurora:

 

da un’altra altezza si può amare

da qualche parte nel profondo

congiungendo alla passione la purezza

come il corpo della donna, che vibrando

della luce della carne liberata,

copre il Cristo in una stoffa, nuda.

 

E tutto è nuovamente

senza fare mistero del segreto,

prendiamo ancora il volto che avevamo,

la spinta d'amore, prima di nascere.

*

Più pura la perdita

Manchi. Dolorosa.

Perché ancora dobbiamo cantare,

Cantare e le stringhe degli astri

Più alti dell'abbandono più alti

Della spina tagliente di tramontana

Offriranno riparo, senza lamento-

 

Il punto di partenza della voce è fermo-

Rimane il secchio d'acqua che ti porto

la vibrazione del legame. Rimane la sete

in un sottile movimento lungo il taglio

degli occhi di betulla che ricordo.

La vecchiaballerina. Nel lucido smagliante

che s'attacca agli occhi. E' la mia mano

che conta gli anni poco a poco

a mangiare la luce del dolore

dove non sono più i tuoi seni.

 

Mi segno con le briciole la fronte,

con la polvere che viene dal suo dentro

i suoi capelli morti. Quasi al cuore

rannicchiata nella solitudine

                                    di una bestia.

Vorrei leccare le radici per scaldarla

per danzare alla sua altezza e deglutire.

 

Finchè dal fondo mi alzo in piedi.

Mettendo pace. Si ramifica leggera

più pura la perdita.

 

 

 

 

 

 

*

Nel rosso dei papaveri da frutto

Una notte intera ferma  poco

l’uovo luminoso da cui nasce,

lasciando buchi

in ondate che si estinguono

come allunga la  mano alla mia tesa,

capace di splendori. Come pazza

 

mostravo tra le mani una canzone 

contemplando un'altra forma dell’amore,

come un Dio inabissato che risorge

con la freccia inavvertita, che non brucia.

 

Un evento naturale. - mi ripeti-

Custodiremo questa grazia pura.

La bianca, ancora intatta tra le dita,

distribuendosi in un’ombra appena nata

del bambino dell'albero e l'uccello,

ci rimanda nell'orecchio l'amicizia,

la parola favolosa sulla carta,

col suo nome primitivo prende forza

offrendoci la gola, schiena a terra

 

nel viso silenzioso dell'infanzia.

Senza paura ci scambiamo il sangue

con le dita passate sulle labbra,

appena incise con la pietra, rosa.

 

la vertigine è il linguaggio,

più argentea del lulan mosso dal vento

più madre di una lepre nella tana,

una tigre nata al buio della bocca

quando porge il muso insanguinata

 e muore

affidandosi al segreto: che rimane

 

è un calpestio di cervi nelle vene-

nello stadio del respiro fuoribordo,

una danza nelle fiamme per soffiare

col silenzio sulle spalle di un monsone-

purificati, senza entrar nel Nilo,

nel rosso mistico dei papaveri da frutto,

con la grazia più violenta,  far l'amore 

in una via qualunque del mattino

con la lingua colata nella vita,

per donare, con la bocca ancora calda, 

la mistura di una luce così intensa

 

 

-nell'acuta tensione, nel contagio,

                         ha qualcosa di talmente oscuro

l'odore della nostra cerimonia

che confonde il senso fino a quell’istante

cieco col vedere che si accende

da se stesso, che s’incide come carne

che raccoglie  la bellezza.

E tutto è obliquo, come il mio tremare

che non cessa di discendere e curvarsi,

in ogni anfratto scuro, trascinando

con sé il tempo, dove l’iride risplende

senza distinzione, fecondando

il gemito, il sussurro destinato :

 

allora il punto più vicino della terra

non è il punto del cielo più lontano,

di qui la pace che  discende

del mio sentirmi insieme allo scoperto

e al centro di me stessa.  La parola,

liberata dal linguaggio

non è lontana dal silenzio

                                 e comunione

*

Dal silenzio a te

Tende verso il cielo e si ritrae 
come un fiore viola al temporale
sbandato sotto il peso delle bestie 
poi s'inchina profumando lentamente
un'ombra consacrata sopra i polsi
circondando la mia gola di scintille
levate verso l'alto dei tre pini.
 
E' un rito tra la nebbia che mi ferma
ancora calda nel vapore del mattino
che ingrandisce la solitudine dei pini
come davanti a troppa  lontananza
restituendo il grigio una tempesta.
 
Ti ho sognato che sognavi di esser pieno 
di bambini sui tuoi fianchi nella nebbia
sei venuto con un canto,  un ederlezi  
tra le gambe volteggiavi sulla cima
per scoprire nelle mani cristalline
l'addio del celibato al primo sole.
 
La goccia primitiva che ti bagna
la bellezza nel lavoro del mattino
scoprendoti le forme dell'origine
si dispone a far risplendere sui piedi
il nudo che celavi come un frutto
 
tutto s'innalza e tutto si riapre
respirando i loro corpi nuove lingue.
Appena giunte all'orlo già scomparse
 
mi discendono due lacrime col vento,
a corona del silenzio sopra il verde
il pianoro, un grembo arcuato dentro gli occhi,
le sue vene dei  giovani sentieri
dischiusi  con dolcezza nella nebbia
e - dal silenzio a te-... mi ascolto dire
 
a passi lenti la discesa appena giorno
appena snebbia la visione un'altra volta
il bagliore nella mano mi risponde
con la spietata tenerezza della luce:
 il vento e i sogni non si possono fermare.
 
Piego e annodo dentro i pugni questo grido
le mie impronte  con l'argilla  del dolore
nodo e dono che conosco per legare
all'origine del viaggio  il nostro seme.
 
 

*

Tanto piccolo da non essere spiegabile

Si leva il giorno col  buio negli occhi,

come dimentichi di essere potenti,

se il silenzio delle bestie raschia il fondo,

pesi il tuo cuore, e intingi un dito.

 

Solo il bosco disfa il nero del mio sguardo,

come fosse la pelle di un tamburo,

se ci corro dentro, respirando dai talloni

per rinascere, ostinata, per patirlo

passandoci col cuore, luminoso

il caldo nella bocca si alza in piedi,

                a un soffio dal mio Dio,

cantando, si sostiene-

nel reciproco esondare l’uno nell’altro

 

 

il mistero della gioia è tutto qui-

un passaggio stretto e angusto,

un momento dello stare doloroso,

se non fosse la presenza di una luce

tra le dita, come un occhio che partecipa,

togliendomi la spina, la più lunga,

con le fattezze di mio figlio quando tace-

so che il vento trasporta le sostanze,

e si conosce appena, fino a che,

con parsimonia,

prende questo corpo senza limiti,

tornando viva nella pancia, nel respiro.

 

E' là dentro che ti sento a viso aperto,

seduta sopra gli occhi quando soffro,

dare un senso alle mie mani in movimento,

nel passaggio della morte, nuovamente,

con l’inversione dalle pietre all’animale

che si ritrae nella caverna delle luci -

e un soffio chiuso dentro il grembo si prepara

 

creando i passi  una montagna che mi spinge

con le braccia in una frase e s'allontana

poi si sperde in altri corpi a prendere vita,

tanto piccola da non essere spiegabile,

da come accoglie il verde immobile tra i cervi,

come se proprio in questo consistesse vivere:

 "la verità è cosa  stai  facendo,

c’è tepore dove hai procreato."

 

Il solco della voce scava la radice

rifiorendo l'orizzonte ed il profondo

cercando piano un battito e i capelli

nel continuo ritorno alle stagioni.

 

                                       E un soffio nella bocca ci alza in piedi,

                                       nel reciproco esondare l'uno nell'altro,

                                       cantando nel mistero ci sostiene,

                                       tanto piccolo da non essere spiegabile.

*

b i a n c o m a n g i a r e

Su  papai biancu  

 

Strofinava le parole sulla pelle

come un latte mescolato con la frusta
basta un’eco una reliquia per montare
per vedere ancora chiari nella stanza
paesaggi e desideri con le mani

nominando quel che vede come un bimbo,
ed ogni altra cosa intorno assente
si addensava sopra il fuoco della notte,
risolta alla sua luce quasi nera,
nell'acqua silenziosa delle piante
rendendole visibile chi ama.

Fiutava l'anima l'abisso mille volte
nella mente la sua voce speculare
assecondava il ritmo delle dita

versandole negli occhi un pane bianco
il canto interno di una donna in pieno sole.
 
Come se le parole potessero commuovere
le molecole del mondo ed ogni fossile
sciogliendosi al calore delle mani
risorgesse quasi a filo delle labbra,

e con un velo d'aria solamente
nella dolce ferita in fondo agli occhi,
offrendo alla sua  veglia altra acqua 

Fu allora che venne, che  vibrando,
come chi tace una luce conosciuta, 
si incamminò nello splendore dello sguardo
per riportare il suono alla sua meta,
strofinando sulla punta della pelle,

in luogo delle sillabe e di accenti,
un b i a n c o m a n g i a r e, e benedetto, 
liberando dalle mani della gioia,
nel parto del suo nome
                     il suo sigillo al nido.

                        

 

 

*

Nella gonna colma di fiori

 

Di quale colore, Luca,

Quale sorpresa nell'uovo

Tra le dita nascoste

In cielo mantieni?

 

 

 

 

 

 

Nella gonna colma di fiori

trascorrerò la pasqua, con tutti

gli alberi, al boscovecchio,

portando i libri dei poeti preferiti

e un foglio di carta per ascoltarti

 

-riconoscere è un Dio, sembri dire,

una splendida ruga nella terra  profonda

è un tempo di prova

una ferita curata con olio,

fasciata

fino al passaggio-

 

ti dono i miei limiti, nuda,

il labirinto divenga quel mandala

dove mi incarno affondando

nella danza dolorosa delle spine

 

ti apro ti spalanco le mie anche

fino a raggiungere il principio

drammatico e selvaggio

Sei tu me, l'ebreo,

che attendi di essere  Sposato,

a me la testa. Spuntava il sole allora

per mettere al mondo il Messia

per incontrarmi coperta di piaghe

risorta

 

mangerò ancora in piedi

con il bastone tra le mani

e come doni luminosi

raccolti alla giunzione

dai miei reni usciranno dei re

come una naturale primavera

 

c'è una macchia luminosa nel vestito

distesa sul fondo

                              di un sogno

lunghissima,

ha la forma di un orecchio

e tutto buio intorno...

una voce sottile e silenziosa

partecipa dell'acqua

e del sangue- la sua gola

la sua bocca lo dicono-

mentre splende in tutta la sua forza

e muore,

              per esalare il suo profumo

 

nella gonna colma di fiori..

mi  posi lieve, servo e signore,

candide gemme in una goccia

di carne e di sangue

tra le scapole, ancora,

come un placido nido

oscilla il lume  e qualcosa

è già accaduto e tutto resta

come deve essere,

persino il dolore muore

se brilla tra le lacrime un sorriso,

tra le dita nascoste nel cielo,

la tua luce terrestre di passaggio.

 

*

Alfabetiere

Dalla miniera

di un antico sapere

l'alfabetiere

 

 

                                               

*

Nella grande notte delle palpebre

Cerca riparo

Tra molliche di pane

Tutto il silenzio.

 

 

C’è un grido così profondo

Che perfora i nostri cuori

Che si conficca in petto

Scuotendo il corpo fino agli occhi

Prima che si spezzi, singhiozzando,

 il tronco che più amo

Come fossero frammenti delle ossa

prese dalla morte. L’altra notte

 

Ho sognato per haiku così sottili

per la paura del sangue senza casa

implorando  sulle pietre:

tu segui il fiume

le vene lungo il greto

saranno i rami- piangevo

sapendo di pregare

ero uno di loro che cantava

nelle mie mani: -A perdifiato

          Bevendo con i morti

Sbocciano i passi-

                     come le ghiande

nella tua gola viola

cadono i sogni-   Dentro di me

ho nascosto i fiori dell’inferno,

per custodire i nomi nel giardino

in un piccolo posto  tanti piedi ,

occhi saccheggiati,

da ombra in ombra,

di tante lingue la tramontana

che si piega.

                      Meraviglioso fiore..

svettante sulle cime addormentate,

con la testa reclinata io ti prego

insanguinato come vivo

 

l’angelo sorride e l’uva è luminosa

se irrora un Dio la rosa

                                       del tuo volto

il biancore degli ulivi

                       come pietre luminose

                              intorno agli occhi

ho sognato per haiku, e per l’amore

nella grande notte delle palpebre,

come siamo

                                  cuore nel cuore      sorgendo muore

                 

                  rivestiti di foglie                                    in bocca scintillante

       

            fino alle stell                                                              larcobaleno

 

 

 

 

trova riparo

tra molliche di pane

tutto il silenzio

*

Sulle montagne

Sulle montagne

                una voce dal petto

                                      nuda preghiera

 

 

 

 

*

Presentire l’acqua è già amare

Ti secca il sole,

ti fa sparire il vento,

ma il deserto ti salva

dall’uno e dall’altro-

rendendoti uno scricciolo,

simile alle briciole

che solo  i beduini sanno,

riconoscendo il seme,

dormiente,

tra uguali granelli di sabbia-

se nelle mani colme d’acqua

turgida e piena ti gonfi

di un antico sapere.

 

Nel  perenne miracolo, aperta,

sei solo un gomitolo appena bagnato

condotto a grande distanza,

morente,

quando si apre di nuovo

sciogliendo i nodi alla lana,

la tua corona brillante

 

rotolando sulla sabbia come sfera

possiedi la perdita, e respiri

imitando il passo della morte;

sei così  viva in fondo alla carne

quando sollevi il tuo capo leggero

seguendo il richiamo del vento,

perduta ogni traccia di humus.

Disidratata, ti alzi, verso l’ignoto,

e ai vapori sottili di abele

discendi, e ti fermi,

inumidita,

con gli occhi come aculei nella terra,

sei già un fiore!

 

Anastatica rosa di Sant’Anna,

nelle pozze bagnate dei palmi, 

raccontami ancora con la lingua

di quando  le doglie eran lunghe,

di come restavi nell’acqua,

per tutto il travaglio della tua donna,

fino al vagito. del nome

ritorno a sentire il suono mancante,

della sua voce nel ventre

l'amore solitario che nasconde

 

Presentire l’acqua è già amare,

dove l'erba s'incammina verso i fiori

nelle prime ore del mattino,

con la punta delle dita,

strofinando  sulle palpebre sottili

le orecchie inumidite delle rose,

per aprire quel minuscolo dolore

che nasconde i suoi passi nel vento,

non appena ci brillano le mani..

la luce farà il resto...

*

Come una sposa che sogna

Sono una partoriente colma di affanni

e un cervo

che sbuca fuori dal bosco,

trasparente,

che si rannicchia nella mano e muore

nel tuo cuore

 

si aprirà quella magia così che il vento,

dove s'innalza santissimo il reale,

canti,

rompendo le acque al tuo sguardo,

dove incontrarsi, correndo

all'alba di pasqua.

 

-Nella casa chiusa come un grembo

c'è una chiarezza ulteriore, che viene,

che ci riporta indietro confondenti

l'energia di un altrove,

l'umido spessore di una vita

che nasce sognata. - Perciò,

giravo intorno al pozzo senza posa,

nascondendomi nei cerchi come al tempio,

finchè il sentiero ripetuto sotto i piedi

esplodesse nella strada non percorsa

dove il grido perfetto di ogni stella

ha la stessa posizione delle braccia

a farsi largo tra gli indugi delle mani.

 

Per un nonnulla è ancora vita

il tremore di un miracolo,

ha la stessa grazia

del tuo sangue nelle vene,

ogni volta che sorrido

in pace col silenzio

 

ti ricordi? Il vuoto del linguaggio

è la ricchezza nostra. 

Non è mai tutto qui

incolmabile. Quanto vorrei,

scrutando fin là,

lasciarti una traccia

poi subito svanire

 

Come una sposa che sogna

io ti parlo. Questa è la mia vita

e tutto si fonde con qualcosa

qualcuno che è entrato e continua a restare

dentro.  Nello squilibrio cieco, nel mio campo libero

c'è l'inizio di un volo o  un discendere  improvviso

con un canto, a volte un lamento, o un alleluia,

ma l'amore è chiaro di continuo,

prima di venire alla luce. Rimango ancora un poco

nel bosco dove il tempo si contrae

e si dilata, distribuendo tane, dei ripari.

 

Io sto bene. So piangere di gioia

nello stesso punto, violenta e sensuale,

dove l'acqua scava sulla pietra, la sua lama

affonda nelle viscere

aprendo senza fine

                       lampi di felicità

 

metti il dito dentro il solco quando vuoi

scoprendo dove stilla questo amore

come tace dove va, seguendo il cervo,

nel vivo della carne,

                                   trasparente

quando si rannicchia nella mano

e muore ancora

nel tuo cuore

*

Lecca gli occhi alla primavera

Dove finiscono i pini

a lungo siamo rimasti

quasi invisibili

corpi sposati

 

intorno a noi

scintillanti

nulla più oltre

le nostre spalle

piegate all'indietro

 

 nell'azzurro della pieve

le nostre mani calde

affondano in comunione

sollevando le ali

un bocciolo di piume

nascosto tra le nuvole

..e ancora

il punto di partenza di una voce

lecca gli occhi alla primavera

 

 

 

*

La soglia è sempre umida del cuore

Quando l'anima si riempie, in ogni piega,

di emozioni scambiate a bassa voce

tu notassi la luce che proviene

sottile come un'ostia fino ai piedi

come  alza e abbassa dentro il  cuore

un deserto lunghissimo di stelle.

 

-Ha fatto un passo indietro l'altra notte-

dove il corpo stava per finire,

mangiato a colpi di parole,

nella tua vacca di legno-

sensuale e delicata,

non ha perso la sua infanzia

nè l'amore in pieno giorno al tuo cospetto,

minotauro che hai seguito quel sudore

volendo penetrarla nella mente ]

 

La soglia è sempre umida del cuore

dove il suo morire resta vivo,

inseguendo i picchi sopra il tronco

la semplicità sospende il tempo,

nutrendo il desiderio e l'altro nome

del paesaggio che hai smarrito nel cortile

della reggia, una miniera che si apre

nel divino, portatrice di pietà

tra le visioni

c'è l'inferno della gioia -e la pazzia

dell'ardimento- che si offre nuda,

nelle movenze di una beghinale,

fidanzata al godimento eterno

della luce,  ch'è regola a se stessa

 

dove tu hai visto un pentolone solamente,

con la maga che lo gira, c'è una donna,

nella cavità della bellezza, cristallina,

quanto più la senti oscura, lei rimesta

delle erbacce nella terra con i fiori,

con lo stesso amore dei tuoi versi,

il richiamo irresistibile a scavare

negli stagni, come fossero dei laghi,

con le gambe  indipendenti dal pensiero;

lei si affida,

sussurrando al selvaggio delle acque,

ai buchi della sua magrezza,

mettendo semi nel sambuco, aria di menta

 

non hai scorto, dalla tua  più alta luce

per uno stelo d'erba il viso in lacrime

nè l'orgasmo della legna dentro il fuoco

per l'acqua da scaldare, nel vivaio

le sue mani, quando stringono selvatiche

la grana delle cose,  dentro casa

quanto minuscoli i suoi occhi,

come piccoli eserciti instancabili

di ciò che hanno amato pelle ed ossa,

nelle crepe della siccità,  per ogni goccia

che girava sui bordi della fede,

con amore, per un filo di freschezza,

di fertilità. È troppo presto

 

per la memoria delle lacrime

appena pronunciate;

la dolce febbre dell'acqua che risale

è un arco spalancato,

un gesto d'apertura dove tace,

se vibrando ascolta  di un altrove,

su questa stessa terra;

dal buio del fondale io la sento respirare,

scrivendo la sua maternità nel fango:

"Ho sepolto tutto ciò nella poesia"

ripete,

con un chiarore nero intorno al cuore,

nella gioia che le dona la ricchezza

di raccontare al suo ritorno di qualcuno

che ha battuto così forte contro il petto,

traducendo dal dolore come un suono,

nel mite dondolio da ramo a ramo

lasciando tracce dalla bocca dei tre pini

alle orecchie della quercia che passava

la sua voce tra le mani , ed è qualcosa

che rimane

               ad aprirmi senza fine.

*

I vangeli sono il riso che hai nel ventre

Comincia da qui, nella vertigine,

l'indescrivibile contorno,

davanti al cherubino,

a quelle ruote immense piene d'occhi,

di ogni sera. solo con la spada signorile 

giunge a penetrare lo splendore 

del frutto nel palmo della mano,

il segreto del legame che rivela 

delle terre rivoltate e benedette 

sulla fronte silenziosa, con un canto

 

con un canto impenetrabile, e durissimo,

da forare fino al cuore la mia pelle,

la parte più segreta del profondo,

che libera la carne, per la carne

 

dallo strappo luminoso del tessuto

aprendo una magia così che il vento,

sfilando un cerchio azzurro sopra il seno,

come fosse il vasto mare dell'oriente

di una donna che si svela del creato, 

riparta nelle quattro direzioni

fino al prossimo tornante dell'aurora,

ed una quinta,

nel respiro verticale su altri spazi,

in fiamme di ametista e di smeraldo

 

Alza gli occhi e guarda, amoremio,

i vangeli sono il riso che hai nel ventre

all'ingresso della tenda dei tuoi occhi,

dove sta la principessa,

nel mare tenerissimo di sale

 

lo vedi l'arco nella nube?

È quello che tu chiami vuoto,

carico di vita..

il fiore del profumo è giungere alla pasqua

con la faccia luminosa 

dove gli alberi battono le mani

nella greppia, preparando il cibo,

un frutto di luce chiuso dentro un guscio

...

ogni passo diviene uno scalpello

sorgente del tutto che esplode,

toccando, nel cuore del vuoto, la carne,

il volo per sposare le tue fiere,

fino al monte della spada del prodigio 

a contatto con la terra, a piedi nudi,

rendendo infine angeli le tenebre

 

saremo sterminatori, sai,  dei piccoli messia, 

separando l'uomo in crescita dal figlio 

che riposa come morto lungo il fondo

 

la croce è aperta  nella mano alata

c'è la forza del vuoto grondante

l'orgasmo del cielo dall'alto

del fiume che irrora e rivolta la terra

più reale del reale

c'è un linguaggio santo nell'abbraccio,

sulla punta fine del suo raggio, come un seme,

come un seme intimo e vicino

è l'angelo. chi sa vederlo

lo vede in tutto

 

*

Come fossero anni di betulle

Un passato imprevedibile

resiste al gelo nelle orecchie,

la nostra rosa bianca 

cedevole di luce 

solo se guardiamo indietro

lei non viene

se chiediamo a voce bassa di tornare

 

non importa quanto sia  lontano

è piena di voce e continua a bruciare

la casa che ha brillato dentro l'occhio

un pane sacro, dal giovane ippocampo

lo segnala la profondità di quel respiro,

un diverso splendore nell'aia

 

siamo nel cuore di un Dio, amore,

e solo gli angeli possono ricordare, 

o i bambini, dove ci sposammo,

se un giorno quella notte tornerà,

come nessun' altra ancora

in sogno siamo noi in ogni cosa

lo stesso vento che toccammo,

sotto le nostre lingue

 

al di qua del cielo 

c'é maggiore ombra nei nostri occhi

e nel bagliore debole si ascolta 

la sottigliezza del tuo andare. Ora, 

mentre si placano i dolori alle mie spalle, 

posso toccare con la punta delle dita

il centro della schiena, per contare,

come fossero anni di betulle,

i puntelli dell'oblio sotto le mani 

dove i palmi si congiungono, premendo,

in tutta la lunghezza, contro l'll cuore 

fino a scendere nella coppa del bacino 

fino all'orlo che s'illumina e ti accoglie.

 

*

Come il dito nella pozza di un bambino

Nel seno della voce è un golfo sacro

che rientra nella strada dei tre pini

una baia che rasenta le salite,

è una Pieve che dilata dove cresce

a sfiorarmi coi tuoi occhi quel che vedo 

 

C'è un lutto necessario ad ogni svolta 

degli dei, e di se stessi,

come un piccolo mulino 

se rimani ad ascoltare mentre vai 

coi piedi nudi che cercano aderenze 

battendo gli avamposti con le mani

 

se trascini sulle labbra quella luce

che avanza in solitudine stupenda 

regredisci da persona fino al seme

dove i nomi coincidono col cuore 

 

c'é  un bambino d'oro ad ogni curva

del falco dell'uomo e la montagna, 

che passa come musica e s'innalza

germoglio dell'orgasmo della gioia.

 

Ora prendimi nell'arca la coscienza 

mentre bevo nel diluvio la tua voce,

misurando il livello delle acque,

asciugheremo i fiori poco a poco 

nell'assumere peso e consistenza

ponendo l'occhio semplice al mistero

che noi siamo

come il dito nella pozza di un bambino

 

per godere  della fonte luminosa

si rischiara il paradiso delle voci

per trovarci più di tutto per sognare

camminando con gli occhi di chi canta

un luogo intatto, aperto, e in quell'istante

ti offro l'imene del mio cuore,

la meraviglia che non vuole nulla 

 

nel miracolo di ricominciare 

usa la tua bocca, Amore,

                        il tuo favo di luce 

*

Come un getto d’acqua nella neve

Nella mia piccola eternità 
è un volto all'ombra delle favole
il suo canto ancora nella luce,
un puro scambio,
se ci siamo chiamati appena svegli
senza toccarci con le dita
gementi di dolcezza,
mormorando nel vivo dei capelli,

come i leoni azzurri dentro il sonno,
-Tutto è così vero - Poi  procede
 

e certi  sogni sono  un confine che ti segue
con la naturalezza dell'incanto
- e molto dolore molto amore
diventano le nostre potature,
i figli del partire -
celebrando il suo contrarsi così chiaro
come un getto d'acqua  nella neve
quando forma, nel bianco, un cerchio buio

 

il nuovo giorno è un atto

che anticipa ogni addio
e per dolcezza sfugge dalle mani
                        come una semente

che a ogni alba risolleva il canto

fino alla sua forma, piena, fino alla matrice

di un animale celeste

che non ha bisogno di essere

per andare a bere

 

*

Per l’aria che fa l’anima

Passo ore a leggere in ginocchio

le coste seminude dei ruscelli

e sotto gli occhi gli alberi si piegano

come fossimo riuniti intorno a un tavolo

l'un l'altro carezzandosi le foglie

 

Una piccola vita

                         è il mio luogo al vento,

un filo di luce in mezzo ai fili-

che fa da madre nella carne con la luna

crescente nei capelli a farli lunghi,

come una benda sollevata appena

capovolgendo la terra con le mani,

magnifica, imbevuta delle sillabe,

con un soffio che rimbalza sui pianori-

 

già lontani. Ci spetta di rinascere

nel gesto costruito dalle dita

tra i vasi fragili e sottili delle vene

fatte di lacrime di voci. Ti accompagno,

seguendo il filo di cotone inumidito

del tuo mandala invisibile alla luce,

sulle fioriture del sorriso, e nulla più,

se resti quel bambino, ci distinguerà

le nostre vite. Il mio sentiero, claudicante,

è la tua strada di risate, la mia gioia,

e questa pelle, annidata dentro gli occhi,

per l'aria che fa l'anima del giorno precedente

il suo splendore nudo, come nostro, oggi

 

disfo i passi che ostruiscono la vista

attraversando il muro della nebbia:

ti sento rompere dei ramoscelli secchi

con lo scudo luminoso nel giaciglio

più segreto, tra il collo e le mie spalle

 

c'è un foro, e tu lo sai, di dentro,

dell'ombra lunga che fanno gli alberi dal buio

quando risplendono la primavera sulle cosce,

come si tenesse tra le braccia un cielo

un cielo come un nido tutto pieno

dei nostri uccelli in fiore da venire.

 

 

 

 

 

*

Fuori nevicava dentro era caldo

 

 

 

 

 

Era gennaio quando venne maggio

Fuori nevicava dentro era caldo .

 

Metti le radici in acqua - ripetevi- 

come un figlio dentro il ventre-

con un canto,

appena percepito, t'immergevi 

dandomi alla luce 

ferita dall'urlo della gioia. 

 

Era maggio quando fu  l'inverno,

con un solo sorso d'acqua dentro  al cuore,

in una voce sola il tuo silenzio- 

come  un pozzo senza fondo 

raggiungevo l'inizio del tuo viaggio- 

restituendomi  il colore  della stessa donna

della stessa donna che da millenni ti disegna,

perennemente innamorata, 

dentro gli alberi 

 

fuori nevicava dentro era caldo

avvolto in un panno bianco 

non ho visto il tuo sguardo celeste, 

ma il gesto interiore 

                                              di afferrarlo

dissolto nello specchio,

                                 illuminato dalla neve

 

Spingo le mie braccia ancora 

dentro il freddo e di Luca sulla schiena

splendente

nel cammino di ritorno 

io ti sento

appena mi si chiama 

ti sono il nome, i passi accanto..

*

Dove splendere è un sentiero

Ti ho visto marcare il cammino,

mostrando nei luoghi nascosti

le vene leggere del gioco

nel solo potere di cura

per giungere al punto di sole,

all'incrocio di sogni di nebbie,

nel fitto totale del bosco

col  bagliore dagli occhi ai tuoi piedi.

 

è tutta l'esistenza che nessuno sa di lei

cosa ha visto la sua fede nella vita

che affonda lasciando tracce sulla neve 

 

l'avverti  passare il calore nel sogno, 

nel limo originale del vivente,

il canto appartenente ancora all'ombra

dell'esile membrana del risveglio,

se, appena sente il vento respirare,

scopre  ciò che duole nei torrenti,

rivelando il senso misterioso

di ciò che è così semplice nei fiumi 

 

-Nei suoi fiumi c'era una donna

che ricreava se stessa sognando

come palpita un cristallo nelle lacrime

la primitiva e magnifica pochezza 

delle ore da noialtri ai nostri cari,

distinguendo già le voci ed i colori

dei volti delle case, per toccarli.-

 

eppure la chiarezza

non risolve alcun mistero

della sera che è arrivata 

se non ci fossimo commossi allora

se non avessimo tremato 

per arrivare a questo punto

che ci riconosce somiglianti 

nella danza più sottile che ci resta 

dove splendere è un sentiero 

che s'inerpica nel cuore, e le sue sponde

noi le stiamo già toccando,

per come trovano la grazia,

salendo insieme agli alberi,

come lo chiede il cielo,

da sacre lontananze  noi ridiamo

due parti di uno stesso anello

aperte,  nel suo lembo che ci colma

imparando di nuovo a camminare,  

come acqua che scivola tra l'erba,

tra l'erba alta

scrivendo,  senza più guardare

*

Lasciando cadere le mie mani

Avvolge il sentimento la parola

alza tutto l'universo in un ricamo

sulla pelle un pulviscolo di segni

da dove viene il vento al suo segreto

disegnando sopra Nina quelle luci,

nel colore così bianco della sera

tra la carne, di tutte le risate 

lasciate sulle viti e nelle mani

delle cose come un punto di raccolta 

per infiniti sogni sempre nuovi

 

viene nuovo un ramo a una preghiera,

quando tornano alla tana gli animali,

si radunano le teste dei bambini

nel breve spazio, da una bocca all'altra,

scintillano le storie sulle labbra

se l'idioma è un bacio, fra le dita e l'aria..

 

nella mandorla del mondo accosto il viso, 

accosto il viso e prendo sonno ancora

lasciando cadere le mie mani

come fossero dei fiori sulla terra, 

perchè l'angelo ognivolta che va via

ha   le ginocchia nere dell'infanzia

celebrando un altro giorno, ed una vita

rifiorisce sulla bocca, disegnando

un cervo una pianta la sua luce, 

ogni traccia di respiro, nella stanza.

 

 

*

piccola Abele

Bevo alla tua bocca, piccola Abele, 

dove gli occhi riprendono  a partorire

i contorni del mio viso debole,

nella stanza  dei colori. non somigli  a nulla

e rimani la mia lupa tinta in rosso-

un inno a combattere e a mangiare,

a far l'amore con le orecchie dentro al nido 

ululando la grande devozione

a occuparmi delle ossa- per il gioco della luna :

ed un bagliore basta,
un  capriolo quasi in cima, a una poesia
per  essere grandiosa, la forza dell'istante
che fa vibrare fino al timo col tamburo,
nell'urlo visionario del richiamo
le costole cominciano a coprirsi
della carne,  a respirare, intorno ai versi,
le nostre sillabe migliori, silenziose
nel cuore desideroso di morire,
con la pazienza selvaggia di rinascere
 
 [c'è un uomo non ferito, sulle labbra, 
che non ha paura di morire
spezzando il cuore, si riapre..  
somigliante alle rondini nel cuore,
piccola Abele, come cresci ora 
battendo il fiato corto lungo il tempo 
sospingi  il freddo nel fiore dell'amore
nel vasto mare della fiamma viva 
di chi semplicemente ama, e muta, 
per scoprire  la propria nudità, 
vergine ognivolta insieme
                                  dolce specchio 
in cui sorride l'immagine divina,
tra fiore e fiore, è il nostro abbraccio,
che rimargina il segreto dei fratelli 
 
... 
nel pozzo di ogni corpo, un cuore chiaro,
fratellomio, mio sposo  ]
 

*

La visione di Amapòla

" Come un fiume, una lacrima soltanto,

che scivola dall'occhio di chi sogna"

 

 

 

quando il canto tace in madrelingua

tu mi sfiori, come un fiume,

con Le donne che corrono coi lupi, 

se a notte mi rannicchio sulla soglia 

di una lacrima soltanto, del suo peso, 

lasciandoti arrivare fino in fondo 

 

è così che si completa il cielo

che scivola dall'occhio di chi sogna-

e benvenuto tu, nel mio silenzio,

che spingi i fianchi al caldo della casa

mentre muti la forma del destino

mescolando nella storia la magia

della zampa d'orso di una donna

investita dall'aurora contro vento-

circondato da carte scintillanti

 

è il Capodanno delle bestie che mi leggi 

disegnando l'Ararat e in pieno petto

un cervo bianco coi colori di Hokusai.

Non c'è linguaggio e gli occhi sono chiusi

nelle costole dell'arca come un chiostro,

tra le arcate dei capezzoli ti ascolto 

vibrando del più semplice respiro,

fingendomi quel cervo sulle gambe,

mentre corro al salto in braccio del ricordo,

con tutto il peso della luce, quando preme,

quando entri nelle pagine più belle, 

come mani piantate nelle neve,

nella nascita costante di noialtri

 

c'è una conca, una conca della luce,

appena sotto la clausura della lingua, 

dove si concludono le sillabe 

di tutta la visione di Amapòla-

il sussulto ed il calore degli odori 

usciti dalla tana come un canto

sui grappoli del vischio- e nel suo stare,

custode primo dell'amore e testimone,

muovendo in circolo le dita come perle, 

sulla mano di chi legge lo splendore,

ogni favola è piena di ginocchia 

che covano l'inverno delle ossa

salvate in fondo al mare con un sogno

che sale lentamente poi si dona,

in una lacrima sul volto dell'amato,

e cresce, baciando quella gemma,

come un fiume

fino a sorgere la carne,  per la carne

sentire il peso quando supera la soglia

                        una lacrima soltanto di Amapòla

                        che scivola dall'occhio di chi sogna..

 

 

 

*

Nel cantico lentissimo, Re Magio

..come si creasse ancora un mondo

nel rito non veduto di un credente,

la restituzione immaginata del parlare

a un bosco che non era il mio,

di quando ti cantavo che anche gli alberi

camminano e trasportano sostanze,

con l'aria invisibile dei morti

 

 

 

soffiando il vento dall'uno all'altro anello

con gli occhi d'oro nella luna della neve

mi sono venuti incontro degli alberi improvvisi

proseguendo in marcia e per colonna,

colonne d'aria di tutte le radici,

leggendo le mie vertebre e la pelle,

intrecciati e poi raccolti.  Appena visibili

sembravano provenire delle lettere

dove il bianco si apriva in mezzo ai rami

rendendomi visibile ogni luce

 

per l'estensione della voce

per fitte di dolore, l' ho trovato,

(nel pertugio delle lacrime)

nel sollevare il viso  a Montevenere,

il suo  celarsi risplendendo tra le eoliche

come dentro un sonno naturale,

nel silenzio  originario che indicava

un bosconuovo per lasciare i doni,

in una lingua sconosciuta e sacra

 

mi sono inginocchiata,  Yule,

piccolo santo e mitica bambina,

con le radici d'argento tra le mani

per metterti nei buchi le comete

con tutte le lucciole negli occhi

riunendo ogni bisbiglio con il canto

ti ho lasciato i bigliettini tra le pigne

immergendo le mie mani nel tuo cuore

per la  danza fino a Montemario

come fossi un piccione viaggiatore

 

ti sentirò volare  nell'orecchio

dai miei miglioriamici, al boscovecchio,

con il petto e con le dita,  nella pancia,

nel cantico lentissimo, Re Magio.

*

Nella durata minima di luce

Nelle nostre morti segrete,

nell'uragano del perduto

che non si lascia misurare,

l'Immenso è sterminato canto

che riempie di sangue

ciò che è senza limite..

 

Da un altro luogo, sulla terra, mi commuove

vedere  amina alla finestra, mentre prega,

nell'ora del cielo,  la  più bella,

dove qualcosa si lacera e si spacca

in tutta la  sua grazia  naturale

per distendere il torace di chi muore

nella tragedia umana del natale,

dondolando lentamente le ginocchia

sul carro dell'Orsa, la minore,

 

nella notte più lunga dell'anno

vengono a piedi  dodici stelle

e la figlia del fulmine, rossa,

con le mani che sanno di mirra,

una pioggia trascorsa alle orecchie

 

Ohh..C'è più del semplice passato nei natali

di quella volta che mi tenevi

coi capelli bagnati sul Savena:

tenevi la fiamma più piccola accesa

in cima all'abete, per ferrare i cavalli

nella tempesta di neve, e sulla ruota

cantavi del Re che diventava un bambino

nell'utero della dea, nella regina del gelo

eri l'amante,  il figlio  e la promessa,

nell'attimo dell'inizio,  di primavera..

 

dentro la finestra,  c'è la stessa luce-

come avevi sugli stracci allora

nell'aria stretta del rifugio, e poche cose

per non farci più vedere da nessuno,

nelle bacinelle il nome intero luminava

con i ferri di Nichole, con i ramponi nuovi

tenuti in serbo per Natale, per la neve-

se ti racconto ancora la bellezza

di come stringevo le sue zampe

tra le cosce, come tremavo inginocchiata

lasciando andare le mie mani

con un chiodo dopo l'altro  sugli zoccoli:

tra l'immagine e la voce ti toccavo

nella durata minima di  luce

col filo a piombo del signore,

piccolomio. Dove viene per morire

è trasparente la salita

e l'anima s'imbianca questanotte,

dove trabocca il mio presepe,

nel mistero femminile della luce,

divenuto intero. Io ti ascolto,

meravigliosa di tanta mestizia

e tutto quello che  posi, dentro claudia,

dove nulla è più vero di Luca,

con gli stessi occhi chiari degli uccelli

ti offro queste braccia per natale,

per l'amore di aderire con lo sguardo

fino a dove  ti sento risalire,

con un gesto che riposa ogni respiro.

 

Toccando l'invisibile mi sposo

con l'infinito ciclo delle palpebre,

il dolore appena fatto va alla gioia,

rifiorendo dallo stesso grembo

che gli dette vita per Natale.

 

*

Rimani

 

Un altro alito si tende  come al nulla,

camminando dal laghetto fino a casa 
va e viene, un piede dopo l'altro,
gettando un ponte dal verbo non caduto
 
la natura immensa d'infinite bocche,
oltre  il vivere degli occhi, tornerà,
in cima al monte pellegrino,
esponendo le mani come un vento
che lega ramo a ramo delle statue,
delle statue di legno piccolissime,
dove ora riposano le rose
 
c'è un momento di calma luminosa
che inginocchia fino a terra  la mia mano-
scavando nella grotta dei dormienti 
 il muschio  che porta alle radici
del paradiso fra  un uomo e la natura,
una piena sensuale nella gola
che discioglie la brina nel calore-
come chiedere rimani . Tu ripeti,
 a far parte di essa, 
 
 
la morte è solo spostarsi, 
con l'adagio piu bello del mondo,
a cantare la lunga durata 
delle nostre mani nell'erba.
 
 

*

Angelica, in un piccolo infinito

 

 

Angelica  trasforma le parole

con i gesti più  brevi della pelle

in quel  fiuto di speranza  si solleva

qualcosa di privato, le sue azioni favorite,

vissute nei colori,

con la danza delle mani intorno ai polsi,

nel reciproco sfiorarsi,  mi entra dentro

imparando  dov'è  che deve andare col sorriso,

col sorriso leggerissimo all'incrocio,

a non sprecare nemmeno un movimento,

rivelando più realtànascoste,  in un secondo

 

si  riaccende una gioia intraducibile

occupando il tempofermo  in qualcos'altro

diventando il rosso  un avamposto 

per vedere al centro di un accampamento

eppoi la prateria.. Si abbassa  ai vetri 

la visione, in  cosa viva,

Figlia del vento e complice-

per non dimenticare dove tutto  ha avuto inizio-

dalla rosa, tra i capelli, in Romania,

al temporale,  fra i suoi denti d'oro-

piegando il capo  per il pane in altre bocche

nel gelo della sera, ubbidendo alla natura,

con le mani macchiate di dolcezza

 

dove sarai già eri, per me, ogni mattina,

oltre la tua pena, un incantesimo

nell'offerta di sei  fazzolettini,

con la danza segreta delle braccia,

pari solo alla nascita di un fiore

che t'inonda, di tanta meraviglia

 

giunta fino  al verde... Scrivo,

di te che non mi senti,  ora

dove l'odore della pioggia cambierà

i contorni del tuo viso, mentre esclami

con gli occhi chiari e poi la voce insieme

che dice:  "mi dispiace di partire

di lasciarvi  tutti fermi al rosso"

allargando tutto un mondo con le mani

come stessi abbandonando una colonia,

dei piccoli animali,  da tenere a bada.

 

Un oroscopo commosso nel commiato

delle sacche intorno al palo della luce

e una porta che si apre,  tra i saluti,

una piccola elegia,  eppoi lo strazio

l'impulso ripetuto del segnale, i  clacson

lungo il viale Benedetto,  la partenza tra le mani,

le nostre, strette, con la certezza di altri doni

tra  lana colorata sulla  schiena

sospinta dalla tua bellezza, solo il tempo

di gridarti ancora- Angelica! abbi cura

Abbicuradite ragazzamia..

 

La tua assenza avrà gli  occhi per parlare

un'altra lingua nella musica che viene

da là, dal marciapiede, il nome  solo,

ogni mattina di chi con me ti cerca

per dare un senso all'azione dell'incrocio.

 

Ricordo  ancora di quel giorno ,

quando lampeggiava guasto  il tuo semaforo..

Ohh.. Angelica ! con la voce disfatta dalla grazia,

ti allargavi con le braccia mai senza sorriso,

per dirmi al volo che Dio ce l'ha con te

Perché La veglia del rosso è una preghiera

 al tuo lavoro. C'è una nuova Angelica da ieri

che muove fazzoletti sul semaforo

con un gesto secco e senz'odore,

del tuo splendore,  sui resti dei vestiti,

non  c'è nulla.  solo i piedi,  che sospingono

la voce a te dovuta  ancora in bocca:

il tuo sorriso che emerge dall'oscuro,

come penetrasse  tutto un popolo una terra

capace di rinascere qualcosa

come le focacce d'uva  luccicanti

tra le gazzelle e i cervi dell'incrocio,

mentre vai a te eppure vieni

verso l'altro, come se  tornassi a casa

tra i cardi e le pietraie per radici

mi lasci in fiore un minuscolo alveare

e un soffio che porta il nostro alito

nel posto dove tu non muori più

di freddo

 

Tutto è più vivido stasera

di quanto era  reale appena ieri

nel tuo modo di far scendere la pioggia

sotto l'asfalto che reggeva il giorno:

tu rimani, in un piccolo infinito,

nel cuore di Bologna, appena fuori

che mi chiama, nell'ombra  che risale, 

come un arco teso dove manchi,

al finestrino-

è una piaga luminosa che ora batte

che preme per saperti alla tua terra.

*

Dentro il chiarore del tuo sagittario

E sai come attendere ancora

camminando con gli occhi

a piccoli passi

tenendo la voce nel petto

come fosse una stanza,

una limpida stanza, nella limpida pace

per vivere ancora. Colma di luce

 

ho scelto un angolo del mio giardino

da dove si guarda nel boscovecchio,

al centro esatto del mondo,

ti ho veduta tagliare la torta

sulle montagne leggere

con un filo azzurro sul ramo

viaggiando a ritroso  dentro il chiarore

del tuo sagittario

venuto al primo giorno in cui raggiunsi

la riva occidentale del dolore

nel sogno di qualcuno che non nasce

faceva male

questo anelare che ora è gioia

inciampando sulla pelle della Bibbia

tradotta in minuscoli frammenti.

 

Quanto è vasto il nostro essere figli

se da lontano ti alzi dentro i boschi,

sullo specchio dell'anima, silenziosa,

sotto le volte delle più alte cavità:

inginocchiate al nostro Garizim,

dove la sorgente allarga il corpo

con le ossa esposte ai  vasi d’oro,

bagnammo i nostri nomi nel presepe,

con il  bianco eolico degli occhi,

sfiorando come cieche  la natività,

finchè il cielo discesce  per  toccarci

mescolando sull'orlo delle vesti

la  veglia della neve per  Natale.

Qualcuno arrivò come a coprirci,

un Angelo forse, con la testa di un bambino

nelle profondità dell’incompiuto..

 

c’è un’emozione tenera ad Oriente

del dolore, dove indietro non si grida,

nello sguardo di un'aurora senza sole,

che custodisce e vive, disegnando

un arco luminoso che finisce

indistinguibile, sul mare addormentato,

che entra nell'amore commovente

gettando  a poco a poco la zavorra,

e nel tempo della sua composizione

anche il ramo solo di un abete

fa un giardino  intorno alla sorgente,

pulsando nelle pieghe della mano

e in altre forme, sul capo, ai miei domani,

la stessa comunione, coi piedi carichi di seta,

una lezione della luce, ancora più leggera:

 

un presepe immaginario, tra l'ombelico e il seno,

annodato  sulle reni  con la forza della sua fragilità,

ritma le mie feste dondolando,

con tutta la lentezza del tuo viso,

il canto di un sentiero tra le cose

che non mi hanno mai abbandonato.

*

Un soffio è stato il fiato

Quell'ultimo sguardo appoggiato sull'uscio

prepara l'inverno, e la terra più nera

consuma la luce sopra il pianoro

insieme alla notte. Non si ferma il mare,

nella follia  chiara degli occhi,

al rito di toccare con le mani

mi raccolgo nel suo viaggio d'acqua

stretta  come il vischio addosso al pino

 

siamo una coppia salendo per gli dei

nell'unione perfetta dei corpi

tra le curve dell'8 dicembre

non esiste un giorno qualunque,

sappiamo  se  lei è qui che passa

se con la mano ascolta. La quiete che fa,

mescolata nell'aria,  come sognando

si adagia sul ventre del tempio

che alza le vele e si annuncia:

 

È una nave,  il tuo ospedale

che va verso una notte profonda

e qualcosa di grande, tutta per sè-

l'eternitá che  nasce morendo

sull'albero come le foglie, ripeto,

inginocchiata nella stanza , d'argento,

tra i pezzetti di una mela, luminosa

 

era lì la monaca, la sposa del Bellaria-

leggerissima dopo le preghiere

dove il vento si ferma nell'orecchio,

con le sillabe azzurre tra le parole, e i fiori

in te, nessuna macchia- e simile a un vapore,

che il silenzio ha formato nella bocca

con l'ultima voce di una creatura amata

che ha lasciato il calco e il guscio,-

la diga delle lacrime di chi

non ha fatto in tempo  a dire

il proprio nome con il corpo-

con la lingua di bambino, e la corona

dell'assenso per tornare a mani giunte

 

Tremava  il tuo volto nella maschera d'acciaio

vibravo io, sgomenta,  col respiro che reggeva

le frustate impresse a forza ed assistite

dentro i tuoi polmoni, è accaduto qualcosa

di drammatico, di fiati che si passano calore

come il tocco lieve degli uccelli,  in quota

 

un soffio è stato il fiato, di una donna

intorno alla parole: " il cuore di suo padre

ha fatto un salto,

un drammatico salto positivo,

discendendo il fiume estremo di una vita,

che non conosco, dove nessuno arriva"

 

sull'alta cima  è una voce sussurrata

che allarga  con un battito  il respiro

brillando nelle mani della notte:

sul pianoro dei tre pini  c'è un'estate

che canta in fondo al cuore dell'inverno

il tempo di un segreto, che ora preme

per tornare con il seme delle onde

sull'albero da cui si vede il mare

*

Con un filo all’orizzonte c’è mio padre

È la prova più grande,

nell’oscura sorgente

giacimento di luce, di forza

chiamata ad aprirsi,

nel colpo di tuono

 

ricordando che siamo già nati

ti accompagno, padremio...

camminiamo fino al nucleo

del nostro matrimonio

per partorire  il figlio che ora vede

che emerge dalla madrenera,

coscienti della luce che essa porta

 

il taglio nei polmoni

è la breccia che conduci sull'altare -

nell’orecchio, meraviglioso nato

da un silenzio così grande,

labirinto e mandala dell'avventura umana

nella conca che contiene l’Om -

fino all’apertura, all’effetha che unisce

la dura madre con la pia

lungo tutta la salita dell'albero vitale

 

è il mare dei midolli  che si ritira

per brillare fino alla camere nuziali

dove si spande in  bianco la corona

col suo primo raggio, col corno d’Amon

e i capelli piantati nel cielo, illuminati.

 

Sono tutta la donna che canta, tua figlia,

la sua preghiera silenziosa, 

nella lingua madre di un bambino,

sotto le coperte, eppure, tu, 

mi guardi come se corressi

annidata nell'utero invisibile del bosco,

dal buco notturno della stanza

con un suono ulteriore, minuta, 

per rendermi forte alla vita

l'orecchio più debole, in fondo

 

nella mia corsa a perdifiato 

per sottrazione prendo forza all'ospedale,

dall'assenza  che rinasce la potenza 

e il salto nudo, per vedere, 

attraverso le ossa della carne,

l'abisso della gioia, nella piena

del tuo andare,

udendo per la prima volta 

spandere  il tuo tesoro:

 

il ritorno dell'eterno, che coincide con l'origine

di tutte le parole nella bocca. Madre,

il tutto che ci manca, in cui manchiamo,

nel sublime, c'è, nell'albero in travaglio

la Fratellanza  di una notte umile,

al separarsi delle sue mattine,

al chiaro venuto dentro gli occhi

lanciato in direzione di quel sole

che pulsa come un tronco a filo d'acqua

che ti siede sopra il cuore come un frutto

 

è  mansuetudine al vento prealpino

negli specchi rosa dell'anima all'aperto

lo scintillio che fa spiragli tra le mani

lasciando per visione ciò che manca

come tra le gole di montagna

o camminando per Palmira

abbagliati dalla polvere del cielo,

stesa al suolo con un filo..

 

Con un filo all'orizzonte c'è mio padre,

di un blu assoluto, che rimane

*

Da luce a luce

Tornano ancora brevi come lucciole

le voci colme di chiarore dentro gli occhi

il centro è raggiunto, la casa del mondo,

se a sera ci raduniamo  sopra il prato,

un'ombra fuggitiva di piacere

si fa immensa, grondando di bellezza,

nella luce da cui spiccare il volo,

se nulla più trattiene,  il velo

si alza muto.  nel rito di purità

mi manca la tua lingua il lago e il bosco

eppure, nel vedere sorgere il mattino, 

dove finisce  il mondo della carne

per toccarti sul confine senza morte

con  le  aureole più piccole di pane

insieme al patimento delle spine

ricominciamo l'ederlezi delle rose

dove i venti siedono, sfiniti.

 

Ravvolta nella grazia del mistero

si fa  luce tra i carboni in mezzo al cielo

la tua nota, che termina con eos-

 

era solo ieri che di lei  sognavo

che bruciava diventando vita

nella stanza di commiato sotto Ischia,

dove crescono semi e fiumi e vermi,

una camicia di stelle di fuoco sulle spalle

tra melodie degli occhi lividi di pianto

veniva dal nulla, nella danza di Siva,

offerta alla luce migliore,

una fenice vicina a morire

cospargendo il suo nido  di fiori

dentro una nicchia di sole

 

rifiorirà, accovacciata sull'erba,

per l'ultima meta d'amore

guardami adesso, mio signore,

dove ancora sogno sui giovani alberi

ti racconterò di come entrammo

dalle vene luminose degli sposi

per la dimora preferita, nella mandorla,

a San Severo, tuedio

scavando un tunnel lungo fino in Tibet

per condurre insieme i nostri anelli,

anche quando fa male, da luce a luce

*

Siamo completamente soli e onde

Fu un atto di silenzio, un gesto d'ammirazione

di fronte all'abisso del mistero,

come a ricevere il potere di sospendere la domanda

con le mani piene di lettere persiane

volevi costruire la nostra casa

di sostanze viventi, le porte di musica,

un luogo nel quale congiungere le verità

e le illusioni.

 

La strada era l'acqua, a ricevere la voce

non siamo immortali ma eterni

nel lago profondo di vibrazioni

dei seni infiniti della natura

 

Ricordi quando di fronte al tuo quadro

noi stessi eravamo la fuga?

Un corpo interiore di palpebre tagliate

camminava realmente e portava la luce

mostrando la bianchezza delle ossa.

Era vero:> Le ossa fioriscono,

la visione in sé le cresce, rotolando

come le cinque magilloth ed ora..

stendi il tuo mantello con l'azzurro dentro

dormi  sull'acqua con me

dov'è limpida canto il canto di Ruth:

 

una ghirlanda di frammenti ci riporta

all'origine, un alfabeto si diffonde nel lavacro

con tutta la forza vasta e terribile

preparando il natale sempre più

ciò che è vero, che scorre

le nostre membra intorno al falò.

 

Vedremo con le mani  nel pozzo originale

fiorire un gambo verde all'incontrario

nel ricordo della luce, nel possibile che sogno

faremo contatto con l'eterno,

dove siamo nati prima-nel movimento della quiete-

mangiando il sole, e il suo splendore

e la luce della luna. Vedi quanti buchi

ci siamo fatti ! dove passano le cose

che accadono nello spazio vuoto

della fessura,  tra il nulla e un altro nulla,

noi danziamo su quell'orlo! per finire il ciclo del samsara

ci vestiamo così, coi cinque colori,

col mandala che hai disegnato per noi

e la forza, forte di ogni forza,

rovescerà  l'8 sul cappello del bagatto

fermando le scimmie da un ramo a quell'altro

e il  karma alla vita.

 

Ohh.. non costruiremo più una nuova casa,

per ottenere il silenzio, scorgendo il divino

che è in noi, costante dimora, col matto

cammineremo, col fagotto del coraggio,

nella libertà perfetta e spaventosa

dell'andare avanti, testimoni,

tra zolle di terra,  di pietre d'oro,

non suscettibili di bellezza,

formando una corona,  un esercito

di figli della luce.

 

Non ci sono riti sufficienti di soccorso.

Siamo completamente soli  e onde...

 

solo se ti giri, se mi guardi, faccio corpo

se mi perturbi in tutto l'universo

ti tocco, nell'istante infinito di distanza,

per mettere insieme tutte le scintille

dei frammenti degli specchi,

per rendere,  nelle mani di sofia,

quel sorriso uno e testimone,

dissolvendoci soltanto

nelle radici della sua natura.

 

https://www.youtube.com/watch?v=sS-kY1hBl90

*

Dove mettono i piedi per bagnarsi

C'è un canale buio sotterraneo

che sbuca in una piccola cappella

per raggiungere i polmoni,

appena fuori dal tuo cuore

e un piccolo mulino che mi avvisa

del focolaio d'acqua che si muove 

nella pausa del respiro come in piena 

seccando le montagne 

sull'enorme fianco della terra

 

nel mio orecchio debole fruscia la luce 

della tua sposa già negli occhi

mentre mordi il pane per raggiungerla 

è con la volontá del frutto

che vuoi cadere, nel tuo solco

legando la carica del vento

con la luce fioca che ti resta 

nei movimenti brevi della pelle 

racimoli la danza in quell'istante

ti sollevi ripetendo l'ombra

di un profilo che non muta 

il tuo sorriso, e una voce dentro

nel tragitto silenzioso verso il sole

 

dal foro stesso delle lacrime

dicono che il mare accoglie il mare

che copre ogni distanza.

Se c'è un fiume in piena luce sul tuo viso

è da lì che viene il suono_

                                     senza suono

che fluisce senza fine in altre acque

 è da lì che passan gli angeli

dove mettono i piedi per bagnarsi.

 

17.11.2014

*

Lacrimagliocchi

 

Tu  canti il sogno
e tutte le sue braccia
nella mia gola 
 
si svela il volto
la luce nei capelli
germina sole
 
ad occhi chiusi 
con la pancia del cuore
lacrimagliocchi  
 
sostanza viva 
abbaglia nell'abisso
in quell'ascesa 
 
si partorisce 
ogni passo di terra
dentro le stelle
 
è la scintilla 
nella  culla  del sogno 
che va alla gioia
 

*

Fa buio da tanto biancore

Nella stagione delle ciliegie

grondavano arance i suoi occhi-

con un filo di bisso

prendevano il posto all'estate

nei cerchi del sole- a dire la pena.

E poi il silenzio, nello spazio nevoso

dell'anima.

 

- doveva essere questa la sua storia,

la parte più antica:

era messa  di fronte alla luce,

distesa, come un piccolo mondo

la carne parlava un dialetto,

una nenia, scolpita nel legno,

al centro del campo-

 

è ancora calda l'aria..

e il ricordo sta in una mano:

tramanda uno sguardo invisibile

quasi  altra forma del corpo

nel  viso d'acqua scavato in preghiera 

una breve luce invernale

nel flusso di buio la chiama 

mangiando la neve che cade

-a Natale, sono a casa- ripete-

risparmiami un po' d'uva-sorridente-

 

La terra dove io sono è l'anima

si è solo nascosta

nella cella delle stelle

la ricompensa per il silenzio

è il suono,

l'incontro in una lingua straniera

dove nessuno è mai penetrato.

 

Fa buio da tanto biancore

e s'innalza  fino a straziare

i miei occhi più chiari

come acque si rompono,

per spiccare la salita,

affondando nel sorriso,

                                   che mi salva.

 

Bentornata...adesso che mi guardi,

con gli arcobaleni nella notte.

*

Come l’acqua nella sete

Luoghi templi orme, il tuo paese

delle nevi raggiunte in solitudine

nel sottovoce delle ore scure

della notte. È la musica,

che sta tutta in una mano,

dal polso alle dita,

le più sottili pulsazioni,

poi si chiude, per calmare..

 

Un passo solo, e sei lontano, mille

rimani qui vicino,

nel vuoto che m'illumina

può entrare il tuo silenzio,

come l'acqua nella sete ed io

ripiego nel pozzo, medicando le mani

passando una garza, lieve..

 

Alito appena, sai ?

Accompagnando la respirazione

come un bimbo

per dissolvermi con essa

nella fascia della vita,

mangiando corpi celesti,

il sigillo delle nozze

tra il quotidiano e il paradiso

si riscalda, un umile ruscello

come un'erba dal nulla

 

mi guardo, nuda dalla luce,

al buio penetrando per un poco,

porto con me ciò che non ho preso,

l'ineffabile segreto della lingua

dell'amore, che non ha ritorni

 

la lingua sacra, resta,

alla propria dolcezza,

il succo che la riempie,

e appena giunto all'orlo

già ricade, e s'innamora

felice

 

Così mi toccano le tue mani

come se il tempo ricominci

amanuense del giorno

di luce carnale, belva,

per viaggiare nella gioia

della tua verità,

la lucciola è a un passo da me,

come persa nella notte, tuttavia

la vedo palpitare dove muore

la fiammella

diventa un pulviscolo di stelle,

nel tuo nome

 

chino gli occhi, più sola, più mia

per rifare il salto, daccapo,

poggiando le punte dei piedi,

un punto, un contatto leggero

poi…ho trovato proprio te,

una bambina,  figlia dell'uomo.

Non ti eri persa, hai tolto,

quando pensavo di trattenere,

facendo nascere il mio destino,

nella posa del vino, dei sogni

la vita.

*

Dal sentiero alla sorgente luminosa

 

Dal sentiero alla sorgente luminosa 

è buio come dentro la foresta
eppure, nella pausa del respiro
se carezzo i rami di nepente
come liuti, per poterti rivedere,
mi sollevi con la voce sulla soglia
-tra  le braccia profumate con qualcosa
da riempire al crocevia dei nostri sguardi-
passati per le mani, uno ad uno-
 
con la strato terminale della pelle 
dell'anima che fai vibrare in aria-
l'alef che soffia e incide lentamente
il primo suono venuto  sulla terra-
con tutte le sorelle che danzando
giungono a  due luci, nella notte
 
[ non puoi nemmeno sentirle mormorare
tanto son sottili le distanze
dei volti degli assenti, le iniziali,  
col moto delle mani  verso  oriente:
annunciano che batte un cuore in corsa,
ebbre di mistero innamorate ]
 
canteremo sulle pietre per ciascuna
la scintilla che rivive dentro il nome
di una splendida parola, sulla lingua
 
se questo è un segno,  è  chiara la corona
tra i capelli, la forza del signore
che tu sei,  lo sposo e  l'increato insieme
il grido che rilanci   ad occhi chiusi
e le radici,  che non separi dagli uccelli, 
prima che il sole sorga,  per volare,
dal sentiero, alla sorgente luminosa 

*

Questo è il bosco, ed il suo viso

Un animale selvaggio,

lo spettro luminoso di ogni giorno
salendo per gli  dei, 
e  tutta la sua indole nervosa,
mi appare chiaro, ma non dura,
non dura più di un lampo nel morire
all'ingresso della sera
la tragedia della giovane paura
... una voce umida, 
poi, la musicasoltanto, la musica più viva,
a quell’ora, lo incorona,
oltre i margini segnati dalla soglia
d'invisibili silenzi, nella nebbia, 
toccando col duro della terra,
una linea lontana  di quiete
scalda  i minuti alla notte,
il ricongiungersi al fantastico dei passi
col moto delle  lucciole  sui piedi,
e una lingua di neve, che conosce
piccole bare di  memoria,
portate da un verso continuo
alla grazia divina di un canto 
 
è un corpo senza segreti
di un cenno verdeprofondo,
tra l'acqua e la terra,
la stanza più intima. É un viaggio 
con le bestie, a bere,
senza  un vero ritorno :
negli abissi lucenti
basta sfiorare la fonte coi polsi
e lievemente, per vivere
con un gesto trattenuto come sacro,
qualcosa tra le mani 
nel perpetuo giro dell’umidità,
più pura di un sorso 
si apre l'impenetrabile,  si allarga
il segno del passaggio che concede 
la luce di una sovrana guarigione
 
Tutto è quaggiù,  da tutti i secoli 
è dentro che si bagna- 
con la sua lenta saliva, 
per toccare ciò che non si vede-
il ripetersi del nostro amore
animale nel sangue dell'altro
 
Sapevo che eri qui,
distinguo ancora i tuoi capelli
tra le farfalle azzurre sorridenti
e lei,  sugli gli alberi...Lei così  bianca-
con il velo sulle alture, 
il suo velo d'argento nell'eterno
ruotare delle ossa,  con  la forza
che annida il cielo dentro al seno-
spingendo nella stessa danza il moto
nella corte del vento,  nella pioggia
la processione degli istanti 
di piccole strade iridescenti-
nel mistero dei miei occhi :
irrompe la bellezza,
veritiera, tra i capelli,
la fenditura del miraggio 
dove cresce la tua pianta
                               selvaggia
 
Questo  è il bosco, ed il suo viso- 
capace di spingere i miei monti
fino alla terra che più  amo 
e inzupparmi tra le rose
   a picco 
sul sentiero di Duino- 
 
rinnova il parto, nel grembo della sposa!
dove affondano i geni altro amore 
che attrae,  nel canto chiarissimo,
perchè s'illumini il confine:
 
sommergimi di luce, come lei
con le rose di Duino, 
cospargi la tua culla
fra le zolle della carne
innalza la marea 
e una preghiera lunga
fino all'albero del noce

*

Terra di minuscoli pastori

 

Terra di leggende cantalupe
di miraggi, di minuscoli pastori
e fosse solo questo basterebbe


toccando la distesa del mio cuore,
è qui che canta l’acqua e si ripete
chiara, nelle curve che dispiega
sotto i piedi della lupa con dolcezza
sulla pancia bruna dell’ascolto
fino al rosa della lingua e tutto l’oro
del
 filo che discende nello sguardo
camminando sul segreto delle ore 
non sente che quel battito di vento
a pungere la croce tra le mani,
la scintilla, nel paradiso delle voci

 

 

vorrei discendere- e come  pura-

nella tua profondità, nel sole,

ricevere la luce, stupefatta

come una madre chiusa nella goccia

della tana naturale dei miracoli

col vestito dei segreti dei bambini

a prendere cristalli nel tuo fiato

che cola nel silenzio dei neonati

forando il cielo come un minareto

 

poi tessere coi fili della luce -

la parola che immacola il pensiero,

una chiusa nei polmoni delle stelle

dove i nostri cari son tornati,

con la dolcezza più grande  sulle spalle-

 

guidata da lontane vicinanze

mescolando l’universo con le membra

coi miei occhi al culmine del sole

per toccare il mondo delle madri

nel perenne punto di partenza

 

C’è altra luce che trapela dentro,

come fosse  un minuscolo infinito,

una lieve sorgente di calore-

dove il tempo non scorre, ad occhi chiusi,

per generare limo, quello che noi siamo

con la forza misteriosa che diffonde-

nel buio immacolato, sulla terra

 

ti troverò, nel sonno senza sogni,

ancora Re dei mie bambini, in fondo

al campo degli zingaridanzanti

salteremo nel plasma dei colori

come torce nuziali sulle tende

portando nella  bocca una canzone

un sigillo impresso sopra il  cuore

dove brilla al centro una figura

una compagna di viaggio, nell’amore

il testimone-sublime, l’ancella:

 

lo splendido figlio che noi siamo

dischiusi, con un salto dal suo grembo,

con lo scatto impetuoso sotto i piedi

e una cosa sola nel profondo,

 stessa terra di minuscoli pastori.

 

 

 

*

Chi sognando insieme crea

 

Dormivamo ai  ripostigli della neve

per vegliare il nostro cuore, religiosi-
per scaldarlo come un frutto, e l’allegria
dei segreti delle streghe, maestose

nella tana della gioia : per sognare,
con le trineazzurre dentro gli occhi 
di 
 chi comincia un gioco nuovo- per volare 
da quel ramo più alto sulla neve,
nella carne bianca della notte

senza muovere le labbra, essere a casa.


 
"Un vespro lentissimo regge il futuro
alla parola mancante dentro le foglie,

eppure la terra si apre nei sogni, 

col respiro regolare di una vita,
come il salto più ardito sullo stelo
del divino, che germina sottile 
il seme di una pioggia luminosa,
la devozione quieta tra le gambe 
che esplode 
 in sonnovivo,

nell’oscuro mare del sapersi,

sul penultimo confine- mi ripeti-

 

dal punto intenso di splendore,
-che illumina una sola parte e piccolissima-
tra le fibre della nostra luce,
si congiungono le scapole 
a costruire un improvviso sopra il niente,
usando l’energia con un agguato,
lungo il sentiero che batte come un cuore
a pane e acqua; il tempo si comprime

fino al luogo dello scontro, per la vita,
nell’orgasmo fermo dell’unione,
per mangiare 
un sogno liquido nel fuoco

dal profondo, un coito d'oro,

del dono dell’uccello"

 

È un fulmine in tutta la sua ampiezza,
che arde quando muove - un'aquila,
che ferma il mondo, ed i pensieri -
un colpo solo, preciso ed accurato-
strema la mente che fugge che ritorna 
indebolita- per il salto

il mio vuoto si è proteso fino al becco

per toccare, ovunque sia, il tuo centro:
riportando la forma sulle mani
delle cose che non abbiamo visto mai.

 

torneremo a sognare con il vischio

coi nostri volti accesi e i piedi scalzi-

mischiando tra le foglie benedette
le nostre schiene ebbre sulla soglia-

nel vedere in pieno sole, 
il canto che la neve fa piovendo
intorno al raggio, 
al folle volo del contatto,
slanciando particole di luce,
per restare sull'orlo di un orgasmo?


 
"Allora non ci siamo detti tutto, amoremio-
nè scambiati 
 fiori con le dita,

nella velocità dei sogni, troppo giovani,

per restare immobili a toccarci-

una coltre bianca  ci copriva il viso.."

 

tuttavia mi vedi ora e sai che ci appartiene,

che prosegue il sogno per il centro,

che sale  con immensa ubriachezza
sul punto rilucente dell'unione 
al grido di chi nasce dentro il fiato 
di una luce senza terra che finisce
nel tuo mare primordiale: è una parola,

 

che commuove a pronunciarla,

insieme,

sul bianco che congiunge all’energia 
di chi sognando insieme crea.

 

*

Col vestito dei segreti

 

Salgono dal basso le parole,

col vestito dei segreti. dei bambini

a prendere cristalli dalle stelle

sul solaio delle meraviglie

 

è lì che torni per vedere

nei discorsi contenuti nel silenzio

che qualcosa si stacca dal niente

poi ride , senza memoria.

 

La parola che sussurri,

che ti basta,

immacola il pensiero

ed il tuo fiato,

                            cola

nel tempo dei neonati,

tra l'uno e l'altro mondo,

la discesa del suo canto.

*

Un’iride dal nulla

Mentre beve lucidissima d’un fiato

le splendide membrane della notte

è così vasto il  dono di mia madre

che scende  nella stanza delle rose

con le mani giunte sopra gli occhi

 

è da  lì che la vedo danzare

con la voce nuova di mio figlio-

l’ascolto del suo polso

unito al mio-

al passo di chi torna fra le labbra

con un’ostia, che diventa quella luce,

che canta quel che sai, come ogni anno,

la più bella fioritura tra le cose

 

..nell’immenso

lascia che si posi

una sera così rara,

tra i solchi della pelle,

un’iride, dal nulla-

 

per essere vicina ed invisibile

corrente primitiva nella carne-

 

sul sentiero

che fa dell’anima una terra

smarrisci il  fiato, tra le dita,

la dolce discesa dello  sguardo,

nella tana dell’inverno

*

Varchi del rosso

Se tu potessi risalire nel cammino
la rosa del giorno che dovrà venire

sotto le onde della voce, dietro le leggende

c’è una dura disciplina,
che l’ha condotta alla resina sui polsi,
che apre in altri versi il campo di una lacrima.

 

Una pioggia di gesti viene giù

dalle parole che ti scrivo, un fiume santo

s’impossessa dell’aria fino  al collo,

con morbide punte d’amore sopra i seni,

dalla magia del tuo tocco. Ore, acqua

si cercano tra la saliva del tempo.

La meraviglia che lascia il segno

fa tornare la visione e un sonno uguale.

 

Nel colore così bianco della sera

io  sognavo la tua cura, nel sale della vigna,
separando codici e sorgenti
dai minerali della terra,

e il rosso andava via per tutti gli angoli
si dissanguava,

assumendo la potenza dal colore
nel balzo dei pianori. lo sentivo 
cercare un linguaggio colmo di bellezza,
la madreverde risparmiata dalla luce.

 

-com' è ostinata la bellezza
come un secondo cuore, difficile da contenere,
in un più piccolo spazio, violentemente reale
si librava in anticipo sul vento,
per rifondare la propria parola,

per dare ancora un nome alla festa;
cantando i silenzi intrecciava i colori
pronti a migrare nei luoghi più caldi
come uccelli dal bosco-  Lo chiamavo, 
con la rugiada sul seno, ad orlo di luce, 
nella fragile danza degli equinozi

premevo lo sguardo dove trovare riparo
alle crepe del vivere; in ogni taglio
inventavo una storia tra il giallo e l’azzurro
raccogliendo le sfumature con una carezza
sulla veste più chiara riponevo la schiuma
a creare una luce ed una canzone per te,
visibile appena. - ohh!  non importa ascoltarla
il corpo l’avvera celando le note e tutto il candore
nelle sue terre interiori, in un sogno
disciolto nel sangue - Un antico tamburo

condusse la pancia sul fondo del cuore,
tra i nostri piedi sacri, con le mani piene di pupille
per toccarsi uniti al centro
di un uovo luminoso un nuovo cuore,

con la forza che fa crescere lo sguardo

sulla pozza delle meraviglie.
 
 
Un viaggio essenziale tra i varchi del rosso
che allaga nel  petto, che va alla gioia.
Prova a coprirti gli occhi, amore,
prova a guardare il filo d'erba
sotto la neve luccicante
torna la visione e un sonno uguale,
passando la spirale fino in cima
c'è un albero nell'albero,
ad ali tese, alla sua luce, siamo noi
sulle tre fascine nuove  
che mettiamo tra le pigne le parole ,

ed altro erbario sulle punte
e le sue stelle, nell'enorme vuoto
da dove viene il vento
degli uccelli innamorati.
 
Come un respiro di silenzio tende l'aria

al viso delle origini, al risveglio,
un retina grande nell'ascolto,
non il suono sul timpano del tempo
nella mente, di ciò che non si vede
da parte a parte tra le tempie

il tuo viso è la mia parola

Forse era scritto che così

doveva essere la storia,
che il rosso si slegasse in fiume
e in aperta piena il suo profumo
affondasse nel sogno. Benedetto


tu sia, allora, e quel colore
nella sua più lunga danza,
sopra l'orizzonte del vissuto 
nell'arca dello spazio: 
quel chiaro dell'aria che ora trema
è un campo fiorito con le voci
che danzano sul filo dell'inverno
nel fiume che trasporta la montagna 
l'arrotolarsi sacro della luce
che ripete i nostri passi tra le gambe,
il suo frasi frutto , che dovrà venire,
nel saluto di novembre.

*

Quello scricciolo che m’insegnò a volare

Coincideva con la poesia

con la parola improvvisa nel petto-
alla forza dei pazzi che l’annuncia

dopo l'ultimo congegno della mente,
l’insinuarsi nel magma  ubriaca

per compiere la terra finale nel buio

arretravo nel nulla del vuoto,

di un ricordo interminato dei fondali,

in cerchio di danza,- sull’orlo di uno stelo

lasciato dalla prima sillaba

 

fu chiaro il furore, due lampi

nel verde del tiglio e una febbre leggera,

nel suono del vento, uno scricciolo,

un angelo sottile mi rapì,

sulla cima del Tauro, nel grido invisibile

rovesciando il respiro in avanti

un solo sguardo.. è la luce nel varco

colma di ogni richiamo alle pietre commosse,

fino alla casa degli antenati

 

custodiva  nel viso me stessa

in forme infantili, e in cammino
generava un'antica figura a metà
tra i santi cristiani e gli spiriti delle tribù 
nel luogo dell'aria più inabitato
e pregno di materno sudore

nella tensione del corpo eccitato
per venire con  verità nella carne,
con una sola goccia di splendore,

a stringere il mistero. Distesa, nella calma,
tra i colori di una pianta sconosciuta,
dove la parola si fa corpo che si apre,
pronunciando il suono con la bocca
che l'ha generata all’apparire:

un tenero abbraccio per saltare nella nebbia

nella signora del gioco, e quasi un passo

nel tuffo di partenza a premilcuore
che liberamente invade con la gioia, 
una danza per accenti e lallazione


Ed è quando la pesantezza m'impedisce
di riaprire gli occhi che ti vedo
con l'intento di arrivare a risvegliarmi
in un altro sogno,
dove siamo noi

in altri mondi, ed al risveglio

non diciamo:  ecco, era un sogno-

d’indicibile esperienza noi saltiamo

ebbri d’esistenza, per nascita e destino

sul cammino appena schiuso.

 

Matrice d’ogni luce,  viva

tra parole da raccogliere nell’erba

fino alle labbra, ancora incerte

a prendere radice, appese all’aria,

a raccontare dal luogo del ritorno:

l’azzerarsi della terra sotto i piedi

di quello scricciolo che m’insegnò a volare

*

Un premio di luce

Come un’onda lunghissima,

nel silenzio di coppia,

offre la gola, sulla strada del lupo,

nel tratto più intimo della sua esistenza;

sulla terra necessaria e finale

una storia di sguardi e di nascita

scolpiti nella pietra, a passi lenti,

un osso al sole che entra nell’acqua,

per chiudere l’episodio della notte.

 

Qualcosa di naturale è accaduto

nella comunione  del silenzio,

la conoscenza di una fusione assoluta,

nel riserbo, un premio di luce,

si trascina per la campagna,

si vede all’aperto-  la timidezza

di una trasformazione

costruita insieme, seguendo le tracce

di un’antilope all’alba, come un seme celeste,

una limpida pioggia di frumento che cade,

lasciandoci privi di  fiato-

da come accoglie. E' un giovane anno,

un nuovo spazio,

un luogo in più, dove tornare,

attraversando due occhi, gli stessi,

i primi che osarono,

nel silenzio contratto,

saltare

*

Con la nostra nudità che luccica

Celebrava il rito dell’amore,

il suo più alto lato,

sulle lastre di pietra,

irrinunciabile



Ho inginocchiato gli occhi, al tuo vedere-
un movimento lento,
dal buio alla gioia, 

teneva tutto nella sua luce futura-
mentre pregavi ai fianchi di quel letto
ero nel mio tempio, su alla roccia-
tra i nostri passi, appena disegnati,
silenziosi,
come animali nella notte,

vulnerabili con ondate di bellezza

e codici sottili di linguaggi,

-con l’urgenza di ascoltare il soffio

e le tue mani colme di frammenti

che prendono la vita, per portarmi via

di sogno in sogno, in un brivido segreto..
più in là, più dentro a quella luce-
nell’invisibile arteria della grazia
che permette di nutrirsi e fare spazio
tra la ruota, il cerchio, e la sua croce-

fino all'ombra dell'Amenta, alle sorgenti,
all'arcobaleno delle cose non ancora nate.


Sui covoni illuminati siamo noi

sull’erba dolce, e di un azzurro lieve,

incuranti delle regole periodiche,

per assumere l’immortalità:
un breve istante per riceverti

con la terra e con il grembo, darti un figlio
per ognuno dei colori conosciuti
alla tua fonte immobile, nel sogno
 
per questo canto puoi sentire come corro,

se mi muovo sulla curva della luce,

un vento largo che si erge  tra le gemme

di calore: è il nostro spazio a compimento,
il bianco inizio di una  liturgia.


 
Tutto si compie all’altezza delle braccia,
nella baia tra il seno e le sue spalle,
 con le mani innamorate, voce a voce,

ci diciamo una magia per il Natale,
 per riempire a semi verdi il cuore

con la nostra nudità che luccica

 

Roberto Ferri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

             Opera: Eternità

              Roberto Ferri

 

 

 

 

 

 

 

*

Il nostro andare via

Al limite del mutismo,

in un’altra durata ti parlo,

con un sorriso quotidiano e solenne,

in un luogo distante dall’avere-

 

Nessun campo lungo

tutto avviene dentro le nostre voci,

non c’è spazio tra il manifesto

e l’invisibile,  pulsa

la forza di ciò che è segreto

tra le parole- respira

e rimane colmo di noi

il viottolo intorno all’azzurro

dei tuoi occhi di golfo

 

Il mormorio alla stazione

compie un lungo cammino

impregnato di silenzio, ora,

prima di posarsi pieno sul foglio

e una forza verticale si prepara

a un agguato nell’ombra della sera:

una miniera di sguardi che si lasciano

si avvicinano…poi si perdono

pronunciando un credo

per un presente eterno

e un istante dopo a far  l’amore

nel grembo religioso della casa,

il suo volto è una lacrima di gioia,

nel fuoco bianco della sua bellezza

si sfilano dagli occhi delle perle

e colano sui piedi le fibre luminose

che legano l’aria santa del mare

al fondo delle mie colline

continuando a nascere un respiro

nel verde profondo

che raccoglie il nostro andarevia

*

Coi passi magici e selvaggi

 

 

Si fa strada la visione in altro luogo-
si distende per minuscole fiammelle
in molte vite è un albero  un bambino.

Tu lo sai,
tu che vieni nel mio corpo con un seme
della stessa gemmatura di realtà,
nel suo agire silenzioso e necessario,
se ti muovi lentamente all’acquabuia,
puoi vedere i fantasmi di ogni giorno,

prendendo con le mani quella luce
che traspare mentre alziamo i fili d’erba:
danzano cadendo le parole
tra la nuova carne muta che diventa
ghiandola mammaria, seno e latte.

A passi magici nell’uovo torneremo,
guardando senza fiato dentro il cuore,
dall’ombelico delle fibre luminose
alla sfera d’energia dei nostri sensi,
uniti con agguati, intenti, e sogni,
per creare dal fango senza gli occhi,
dal punto di splendore un gesto caldo,
un luogo nostro, dove l’io ritorna
un noi d’amore e molto altro ancora.

*

Finendo di fiorire dentro gli occhi

Ripasso con lo sguardo le sue vene,

l’azzurro silenzioso sopra il viso,

la voce, che si levava appena,

finendo di fiorire  dentro gli  occhi.

 

E tutto come  sacro mi accadeva

davanti a un piatto semplice di pesce:

un uomo benedice del creato,

il suo mostrarsi nuovo tra le mani

 

carezzava quei bianchetti  come rose

come ostie fini nel palmo della mano

stremate dalla luce fino al tavolo

a una a una  ha detto una preghiera

 

portandole alle labbra per mangiarle

 lo sento ancora con la stessa precisione

come lampi di magnesio sulla strada

segreta del futuro nel suo gesto

*

Nell’ultima riserva di respiro

Sono file d’anime in vigilia

coniugate accanto all’uva,

un fremito d’api

al succo maturo

che indugia e sussulta

nel cuore allagato

 

Così prossimi noi a quel  nome,

il più dolce dell’anno,

nella cala nascosta dei secchi

pronti all'aurora, affondiamo,

con lo spasmo sublime dei piedi,

nel piccolo foro del chicco,

ebbri cerchi di luce,

le nostre dita d’oro

                               i loro re

 

-nella ghianda lucente c’è movimento

un movimento caldo, l'inizio di una forma

riconduce lo splendore nella cripta,

il succo del  sublime, di quando eri con me

soltanto una coscienza,

un  vento vivo e forte nel faggeto,

un terzo cielo confuso per natura-

 

Con l’ultimo sapore del sole

nell'ultima riserva di respiro

faremo vendemmia con l'anima

nel denso del vino

ora posano le luci, sull’acqua,

sull’altare dei pesci lucenti

e tra le viti sale una festa

dai  nostri volti, dove rinasce
la grazia, di un'antica bellezza. 

*

Per ritornare, dal mare

Ha la calma del latte

che tiepido arriva-

abbandonato alla grazia

che lascia cadere,

versando sull’erba

tre gocce di luce- il suo seno

 

Le daranno della gitana

per la lingua inventata

a tenere segreta la luce,

per come si porta via con l'inverno

l’odore dei nascondigli

ottanta mondi lontano

in una pentola grande di riso

sbattendo la neve coi semi di lino

e un mandala, il più bello d’oriente,

preparando il ritorno tra le montagne.

 

Adesso vola, 

filtrando sott’acqua all'autunno 

a rincorrere i raggi dell’ultima notte,

la ghirlanda del disco dei pesci,

con lente parole e un profumo che tiene

come  un filo alla gola di kashmir.

 

Lei sa che  morire  è generare  

un atto magico. in vita

confuso in preghiera. Le sale tutto il viso

un limpido rosso- nell’accenno della sera

convocata e lieve- nel tuo sonno

viene a dirti  “torno torno”

su quella strana trottola che gira

nella saliva della luce per la casa

 

è forza antica allora il gioco

che riprende il filo all’invenzione

se ci passi sopra con le dita,  puoi sentire

dove vanno a finire delle cose

con le gambe a penzoloni, nel pozzo di calore,

mostrando di parlare con mezzi di fortuna

dallo scarto, per battiti segreti

come lucciole alla nebbia,

anche il  pianto è una freschezza

improvvisa, nel sangue,

un dolore rimosso ai bambini

dove il taglio si adagia sicuro

e un nastro chiude le punte

facendo passare ninive

attraverso ciambelle di pane.

 

Sprofonda il mio petto carico di tane

fino all’inguine del sogno, e giragira-

cavezze,  finimenti, morsi per piccole bufere

otto buchi d’alberi ..  36 vedute del Fuji

tutto il resto è selvatico aramen-

sott’acqua…

tra il nero religioso una nicchia di luce

traduce dal silenzio la visione

impressionando fontanelle nuove

il piacere di pianori messi a bagno

nel godere. tu sapevi che senso aveva

un’altra vita nella vita della mia felicità:

il blu il boato il fuoco di lingam,

linga purana, quando ci siamo allontanati

 

con il cuore fino ai reni..vogheremo,

una battuta a mezz’aria, da un fianco soltanto,

poi via, da quell’altro,

e tra le mani una corda di perle

fitta di nodi a scorrere il tempo

risalendo il klin otto lungo le dita,

cantando al contrario del fiume,

per ritornare,  dal mare.

*

Nella danza dell’aurora

Ti sei alzato come un pane, nelle viscere,

una misura sacra e misteriosa 
che penetra e comanda di avanzare, 
di spingersi più in là della scrittura,

sulle palpebre del tempo e un bacio d’oro,

con un gusto di radice sulla lingua,
unendo i fiori che cogliemmo dentro gli occhi,  
nella parte che mancava della sera,

nel lavoro più  invisibile dell’alba


versando la tua luce, tra le gambe,
nella loro prima volta insieme, sei venuto,
per lunghe pause, a prender fiato 
tra la carne, viva. È un’altra pelle 
che ci domanda ora un'altra gioia, 
al principio delle dune di Bisanzio,
e piu in là della memoria, 
dove l’iride risale testimone
allungato sul chiarore della riva


In così tanta luce, ci sei tu,

a nessun’altra uguale, 
a fare spazio per il cuore lungo i seni
disegnando con le dita la tua terra,
i suoi fondali chiari, tra le mani,

con un fiore bagnato di saliva
per l'amore della notte.
 
Un accordo maestoso, di miracolo
e umiltà,
sospeso dentro al cielo, e al suo segreto,

mi trascina ancora sotto l'll manto,
fino a farmi un velo con gli odori,
a viver la sua luce che si muove
uscendo da un stelo, a respirare.

 

Ed io lo sento, per i versi, le carezze,
con lo sguardo di topazio che hanno i lupi,

nella danza dell'aurora. Al boscovecchio,

                                                  solo così,

si può ascoltare la tua canzone

senza distanza,

l’eco, talmente profonda,

a far uscire  i nostri corpi

in questa bellezza

sia fatto l’amore

e penetri il canto della parola

come un suono nel suono

dell’universo che siamo

*

Va alla gioia

Le parole non sono le cose,

e dici  la verità. Tuttavia

acquistano questo potere, selvatico,

e dal profondo dell’abse animale,

scalpicciando nella capanna di pace,

cavalco ogni bestia inondata di sangue,

e ognuna  contiene il suo dio,

non un’idea,

 

qualcosa che crea irruzione, imminente,

che risponde al punto del cielo lontano:

sulla lingua migliaia di stelle

dilatano in gola l’inchiostro

nel seme, nell’urlo che viene. d’amore

l’immenso si fa sterminato

e in tutta la grazia lo annuncia, inevitabile

 

noi siamo dentro la camera, sacri, e gemelli

di sposi illuminati. Ecco la gemma,

che cerca la lingua in un punto, il suo latte,

e solo quello può essere, in terra del viso,

il più remoto e nascosto al pensiero,

una parola che ride, a morire nel  gesto,

che oscilla col corpo per disegnare

facendo esercizi dentro il respiro

 

nella formula del sangue, se ti leggo,

mi siedo sulla tavola del pane

battendo coi talloni sulla sedia

a contare il tempo alla domenica, che manca,

per restituirti le mie dita umide nell’aria

indicando con un salto giù per terra,

dove ti aspettano e dove sei, altri segnali

 

se c’è un giacere, come chiamando,

è nella crescita pregressa,

nel tacito afferrarsi,

una piccolissima estensione  nascitura

che tocca la parola e cambia il segno,

imprimendo al suo alfabeto un passo

che sposta gli occhi e danza, dove batte,

riportando il campo di una lacrima

alla gioia, da cui riparte  un filo,

un’aria fresca dalla finestra

fin su alle chiome..

                              che sembrano qualcuno,

che accolto dentro si bagna, in questo solco,

poi.. si trasforma in luce, e ancora

precipita nella parola, proprio in cima,

adesso, è qui, nel mio respiro largo,

che sporge tutto fuori dal cuore

e va alla gioia.. va alla gioia

*

Dall’ombelico al timo

Dall'ombelico al timo,

rotolandoci nel fango
finivamo per brillare dall'inizio,

colmi di raggi  nell'ignoto,

sbiancando come cenere e un animale di cristallo

nel magistero chiaro di bellezza, e nel suo grembo

una folata d'acque, che ondeggia come un fiore

un grido d'oro al vento, e nuota

nel flutto, nuota, danzando

sulla pozza nera indifferente

 

 

Chiamavamo ogni forza, in altri spazi,

notte misteriosa ,
scavando la dolcezza delle tombe
sui nostri polsi bianchi di ogni giorno:

una manciata di zapiskj,

un iman acceso agli occhi

ricombaciava l'ombelico con le stelle

e il fiato perso dei suoi passi

nel pieno dello scuro, senza domande nelle ossa.

 

Miopiccolo re, fradicio di luce,

prestami la voce e il copricapo a fiori

per il miele, per l'haoma dell'avesta
dove scompare il mio cervello, tra le foglie
rovesciando l'invisibile nel ventre

se mi baci a lungo, se mi spingi

col muso in avanti [ terribilmente bello ]
dall'ombelico al timo si continua per la luce
con l'erba strega, con una mano in dono
illuminata dal riflesso vegetale
e lingue rosa di bestiole sane


puoi fare le magie se ti protendi-

coi lupi d'argento in viso, e ad ogni ora 
puoi fare luce come un punto di raccolta 
ad ogni goccia puoi danzare
formando laghi più vicini come cuori

tirando i fili dei baccelli per giocare
come fanno le marmotte con i denti-
dove c'é la possibilità di gioia

infine fare tana, ai ripostigli della neve,

una capanna di colori sui fianchi delle acacie,

immersi fino al collo in questa nuova casa,
che cammina sulle spalle, e con le ali.
 
se premi ancora alla radice dei gemelli
ti saltano marmotte sulle braccia,

come un soffio d'arpa nella pelle

attraverso i secoli dei sogni,
nell'arco della nube con un patto:

essere ogni cosa a fare petalo, nel fango,

impastato alla saliva del tuo accento


è un suono caldo che fiorisce ora

lo vedrai salire dal fondale
nello stretto del presente, ricadere,

nell'aperto dell'amore, con scintille,

per l'intero corpo trasparente,

nel dolce movimento verso..

che è già amare.

*

Come gole che bevono sogni

In sogno ti scrivo coi seni,

come fossi intorno ad altre terre,

che aprono e chiudono, nelle tue mani,

un fiume un sole una via;

sei splendido nell’aria. sei al fianco

e cammini sul filetto di una vite

illuminando la striscia di un sentiero-

da un filo che rimane sempre teso,

che a sfiorarlo ricominci dalla carne-

il tempo interno che vive in una freccia

quando sfonda l’incoscienza e resta,

unendo insieme l’ombra con la grazia,

tra la rosa  di ieri che ora cresce

la nuova rosa. È così,

come un giovane fiore

che risale alla  voce del giorno

con la parola più lunga che sa

-unavoltapersempre-

una pioggia caduta e diffusa

dove mette tutte le voci,

della più violenta dolcezza,

e conquista, nei grandi petali, un’anima

impregnandola di un’unica luce

che continua anche nel sonno

con l’attenzione di una preghiera,

con la forza interiore di un PadreNostro.

 

Nel sorriso del volto più amato

la necessità della natura, spietata,

è di amare con le ali degli occhi,

nel luogo più aperto della realtà,

di esserci e basta,

nell’eterna corrente del suono

della voce che chiama in continuo,

che in ascolto sorride. Sei tu,

nella profondità di un destino,

che salti in braccio all’autunno

nell’ampio pube alle onde

come gole che bevono sogni

      unavoltapersempre

*

Tenue come l’aria fa l’amore

Si è ha fatto giorno tra le acacie

l'accumulo del tempo,

e la salita delle membra alle marmotte
cade nel sorriso sulla valle 
succhiando la radice dal silenzio

                  
si ricomincia, ogni volta, con la luce,
tra i boschi e tutti gli angeli che danzano
nella vecchiaquercia ballerina
col grido degli zingari cantiamo
battendo l'amaranto  sopra il petto 
nella paglia della cova, ed  una voce,
più forte della nostra stessa voce,
delle più lunghe notti spinte in fretta.
 
Nelle cose ultime saremo a casa, dici,
togliendo la ragione dal profondo,
per sentire a poco a poco  lo stupore 
del bambino irresistibile .. l'azzurro
che spinge sulle labbra, la divinità
del giorno più minuscolo e immortale
nella dimora quotidiana, e la risata
la somma di tutte le risate

di ogni firmamento, dei deserti

dei conventi nella gola.
 
Con dolci grappoli,

lasciati al freddo sulle viti,

vengo a te, in comunione,
colma di succo della nostra solitudine
divina, nelle mani delle cose, 

per infiniti sempre nuovi,
dopo la crista che sono stata nel tormento

ecco il mio bambino, il miodiobambino, 
nella culla radiosa mai adulto
sulla via perenne della grazia

io lo servo, per disordini e capricci,

per scorgere miracoli e follia,

dove affondo con i piedi nella melma
del sole della notte che non viene 
dalle cose, ma da noi, bambini:
la possibilità di vivere  secondo com'è il cuore,
nel pianto che precede la rinascita.

 

Il resto è già accaduto, ed ora

nella pioggia mi fecondi sulla terra

sorridi con il caos e ti accudisco

come il frutto più antico ancora
dell'albero che invecchia,

con la tua  voce  azzurra, da venire,
colmando d'acquabuona  il più profondo

degli inferni in gioco.

 

E’ un allegro paradiso, non perfetto,
dove cresce il mio bambino dentro l'anima,
che tenue come l'aria fa l'amore.
 

*

Pieni d’uva

Saperti  l’uva dentro gli occhi a sera

il nudo e la parola, la tua casa,

qualcosa di grandioso fa tutt’uno

sulle mie ginocchia coronate

mentre mi lavo con il giorno al fiume-

portando in processione l’edera, a cavallo,

come un testo sacro in un continuo

insieme alle preghiere quotidiane-

là, dove cresce l’albero del cedro.

 

Anche al buio chiedo strada a quella luce,

una strada alla radice del tuo nome,

un inizio, l’ispirazione, a gocce,

tra la vista ed il visibile. Sei tu

a fare il movimento di ripetere

di ritornare dove si era stati

nel preparare doni e meraviglie

per farmi scintillare tra le nocche

le nuvole,  da cui ricevi luce,

le stesse, cariche di pioggia,

nel silenzio che sentiamo insieme

indovinando il luogo preferito

un lampo, nel mezzo di una pagina,

leggero come l’aria, inafferrabile.

 

È l’incontro a piedi nudi del tuo viso

l’odore che si prende con le mani,

in un dire lungo i lati  delle labbra

per cinque ore, ferma, sotto l’albero:

non c’era un solo nodo, e lo sapevi

che io volevo essere una vite;

 

l’intreccio era perfetto, e lo splendore

rivelava al suo sottrarsi  la chiarezza,

superiore a questa notte, in verità-

manifestando un cuore scuro l'oro insieme,

libero, di ogni eccedenza, illimitato,

all’orlo estremo della tunica, sui piedi,

che noi siamo un unico sentiero, tra le cose,

fino a contare  i sassolini trasparenti

alla foce del tempo, e scomparirvi

come sorgenti insignificanti e vere

bevute dalle sabbie dei deserti

 

a voce bassa, semplici bambini,

custodi e testimoni della lingua

che affonda il remo, con dolcezza, e a lungo,

per l’umiltà dei nostri  occhi  chiari,

quando si sporgono in silenzio

                                      e pieni d’uva

dalla cima dell’ultima parola

*

Dove la vita rimane

E' una brezza che amo e dove porta
è culla della sola primavera
nel ventre pieno d’acqua di una foglia
s’insinua in fondo al tondo che contrae
nelle sue mille logiche l’adesso
di un gioco misterioso che trapassa,
chi sa da quale lato, a prima sera

 

di là dalle notti di tutti gli inverni,
nel cuore dell’essere è un plesso solare,
la sposa divina, cui ti rivolgi,
la mandorla in germe portata nel guscio,
risale le curve del proprio avvenire-
un serpente un cucchiaio un uovo di luce
nel silenzio più bianco che muta di stato
sposando la vergine da cui nascerà.

 

congiungendo il miele immaturo al mio ventre,

tra la saliva ed il fiato, prima del bacio,

in quell’attimo a forma di labbra

si avvia l’eternità..

nello spazio imprevisto del mandorlo,

tra le vene lucide di meraviglia,

ha disegnato parole, ed il caos

delle voci, leggero, dei passi il via vai

negli occhi bagnati col sole

fila l’oro l’amore e noi

ribaltiamo la notte nel petto

a prendere posto per terra,

secrezione preziosa della  natura

che spinge nell’ora.  Soltanto giocando,

così, si dilata  la conoscenza, e un bambino-

milioni di anni fa, che correndo

nel corpo d’amore capace di stringere

spirito e carne all’immenso-

squarcia la luce di un soffio,

piccolezza che basta, persino all’inferno,

con l’identica semplicità del filo d’oro di bisso

per come sorregge e il coraggio

in tutte le sue iridescenze, il sigillo,

la folgorazione, che dona la libertà

 

È un cervo blu, nell’incendio d’amore,

che ti prende per mano e cammina

fino a sbucare nel prato delle cascate

dove brillano i piedi nelle strelitzie

e le ombre compatte, allungate sul viso

a seconda dell’ora del giorno, di gioia,

tra lo stomaco e il petto , tremenda

irriducibile e gonfia di carne e capelli

un attimo prima che stacchi dal ramo

un cuore rosso pulsante, sulla realtà,

con la polpa esposta agli uccelli, alle larve.

 

Ti ho visto pregare stamane per il dolore

segnare lo sguardo, la trama dei frutti,

le fibre cadute dagli alberi. Eppure,

è un canto ampio e infinito che sale,

                          dove la vita rimane,

con tanta forza nelle parole che amo,

è la poesia, che riparte,

ancora una volta, da terra.

*

Con un dito sulle labbra

Non scambiare le immaginazioni per i fatti ,

e i fatti miei per immaginazione- 

se credi in Dio, opera con lui,

se non ci credi,diventa lui o l’uno

e l’altro- E' vita

che si nutre della vita dall’inizio

infliggendo a tua madre quei dolori,

e ancora per il cibo lotterai, ed un riparo.

 

 

Una colonia di formiche, o gli uccelli in stormo

sanno che il principio della terra fu nel verde

al terzo giorno appena, e solo il sesto noi

gli ultimi arrivati. Ci sono terre emerse

se nel becco c’è l’ulivo, e si offre tra le mani

a garanzia di vita. Puoi piantare quella vite d'oro

nell’asciutto ed ora. È un gesto libero

succhiare alla radice con la bocca

la noce e i piedi in aria, è tenerezza

il tuo sesso sulla terra e il sogno che ne viene

sembra fermo, ma cammina come gli alberi che amo:

due percorsi insieme, nomadi e stanziali, uniti

per la luce vegetale. Dove un buco ci ferisce

viene nuovo un ramo, se ti offro un fiore per talea,

si propaga il tuo giardino e siamo ancora uno

tra la terra e il sole. Nella ricerca non fuggire

l’ombra con lo scopo del rivale.

 

Se tieni gli occhi lontano dalla mente

sono dappertutto, sui viticci gli apici e i germogli,

persino il legno e le radici hanno occhi piccolissimi

per trovare il buio, odorano la terra, per chiamarti-

sono le parole delle piante, quegli odori in aria,

come i geroglifici o le rune, è una sola voce

che per paura per amore avverte.

 

Mimosa pudica.. ti chiudi se ti tocco,

e in giro per i boschi ti riapri

e ascolti, quando cerchi l’acqua,

senza orecchie. Io ti sento dentro

con la pancia sotterranea della musica

traspirare gocce e offrirti, da una foglia

all’altra, passare la parola dai capelli

ai piedi senza niente per la mente

 

distribuita timidezza delle chiome

sfiorando con le cure la famiglia

facciamo ancora insieme i fiori bianchi

del ciliegio, per le api, fino al rosso,

per gli uccelli in volo, e il nostro seme,

andrà lontano dalla pianta-madre,

per riprendere la vita. Siamo così pochi

tra le piante al suolo, nella presunzione dominanti

con la bocca ed un cervello e il cuore,

due polmoni. Sanno andare all’acquabuona,

non è questa intelligenza? O servono astrazioni

la parola e gli strumenti? io li sento camminare,

per raggiungere una parte della luce, gli alberi

 

mentre tocco le radici di ogni giorno

come stimmate, piegando i rami all’apice,

inginocchiata sulla fonte dell’umidità,  

parsimoniosa e gravida la luce si raccoglie

bianca, tra le mani, colma di ogni sua mansione,

dell’essere senziente per milioni di filini,

come stormi uniti in volo, la sua voce

è sciame. Puoi vedere?

-o è più forte la cultura per negare,

se non ha occhi al centro della fronte.

 

Continua pure la ricerca della tua ragione,

in qualche parte dello spazio, io le ho viste,

le ho viste accendere di notte le radici

una luce per se stesse, per sognare.

                        è il sonno delle piante,

quando il loto si solleva con le foglie

riunendole a preghiera,

per rendere invisibili i suoi fiori,

nella posizione di riposo

che avevano alla nascita i germogli...

 

                    con un dito sulle labbra,

abbiamo tra le gambe un nuovo nato.

Porta nel sogno quello che noi siamo,

la presenza eterna della vita.

*

Buonanotte amore

Non scambiare le immaginazioni per i fatti ,

e i fatti miei per immaginazione-  se credi in Dio,

opera con lui, se non ci credi,

diventa lui o l’uno e l’altro- Come la vita

che si nutre della vita dall’inizio

infliggendo a tua madre quei dolori,

ma ancora per il cibo lotterai, ed un riparo.

 

 

Eppure una colonia di formiche, gli uccelli in stormo

sanno che il principio della terra fu nel verde,

al terzo giorno appena, e solo il sesto noi

gli ultimi arrivati. Ci sono terre emerse,

nel becco c’è l’ulivo, e si offre tra le mani

a garanzia di vita. Puoi piantare quella vite d'oro

nell’asciutto ed ora. È un gesto libero

succhiare alla radice con la bocca

la noce e i piedi in aria, è tenerezza

il tuo sesso sulla terra e il sogno che ne viene,

sembra fermo, ma cammina come gli alberi che amo,

due percorsi insieme, nomadi e stanziali, uniti

per la luce vegetale. Dove un buco ci ferisce

viene nuovo un ramo, se ti offro un fiore per talea,

si propaga il tuo giardino e siamo ancora uno

tra la terra e il sole. Nella ricerca non fuggire

l’ombra con lo scopo del rivale:

 

se tieni gli occhi lontano dalla mente

sono dappertutto, sui viticci gli apici e i germogli,

persino il legno e le radici hanno occhi piccolissimi

per trovare il buio, odorano la terra, per chiamarti-

sono le parole delle piante quegli odori in aria,

come i geroglifici o le rune, è una sola voce

che per paura per amore avverte.

 

Mimosa pudica.. ti chiudi se ti tocco,

ma in giro per i boschi ti riapri

e ascolti, quando cerchi l’acqua,

senza orecchie. Io ti sento dentro

con la pancia sotterranea della musica

traspirare gocce e offrirti, da una foglia

all’altra, passare la parola dai capelli

ai piedi senza niente per la mente.

 

distribuita timidezza delle chiome

sfiorando con le cure la famiglia

facciamo ancora insieme i fiori bianchi

del ciliegio per le api, fino al rosso

per gli uccelli in volo, e il nostro seme,

andrà lontano dalla pianta-madre,

per riprendere la vita. Siamo così pochi

tra le piante al suolo, nella presunzione dominanti,

per la bocca ed un cervello e il cuore,

due polmoni. Sanno andare all’acquabuona

non è questa intelligenza? O servono astrazioni

la parola e gli strumenti? Sai, li ho visti camminare,

per raggiungere una parte della luce, gli alberi.

 

Mentre tocco le radici di ogni giorno

come stimmate, piegando i rami all’apice,

inginocchiata sulla fonte dell’umidità,  

parsimoniosa e gravida la luce si raccoglie

bianca, tra le mani, colma di ogni sua mansione,

dell’essere senziente per milioni di filini,

come stormi uniti in volo la sua voce

è sciame. Puoi sentire?

-o è più forte la cultura per negare,

se non ha occhi al centro della fronte.

 

Continua pure la ricerca della tua ragione,

in qualche parte dello spazio, io le ho viste,

le ho viste accendere di notte le radici

una luce per se stesse, per sognare.

                        è il sonno delle piante,

quando il loto si solleva con le foglie

riunendole a preghiera,

per rendere invisibili i suoi fiori,

nella posizione del riposo

che avevano alla nascita i germogli.

 

Buonanotte amore..

                    con un dito sulle labbra,

abbiamo tra le gambe un nuovo nato.

Porta nel sogno quello che noi siamo,

la presenza eterna della vita.

*

Nell’erezione della luce

Attorno alla vertigine l’ascolto,

dove la dimora è provvisoria

e la sua erranza un abbandono,

nello strappo oscuro, luminoso

 

è la visione umile e improvvisa,

tra una luce sfiorata e la penombra

di un destino impronunciabile, che chiama

la vita nuda: gioia, di una  voce

che non finisce di venire accesa:

 

una candela umana, un dono dell’amore,

compagna all’ombra dello scialle a sera

benedetto dall'esistenza e dal suo peso

sulle spalle come nulla. È vero

ammutolisco e sciolgo le domande nella cera

con le mani più infantili che conosco:

dove sei esisti e non c’è nulla, se sorridi

nella grazia del riposo, rinnovata

tra le infinite madri della luce.

 

Nel mistero che mi spinge all’infinito

tra i larici e nel buio mi fai libera

nella nebbia sei la lingua della lupa

della collina e l’erba che altri lupi hanno

già percorso con i lasciti che marcano :

l’esser vivi. Sulle radici dei fossati, da qui,

ricominciamo in giravolte la montagna

bagnando ancora la coscienza al fiume-

e quante volte ancora ci saprà- la stessa-

per rifiorire in altra lingua l’anima

tesa nell’ascolto sulle piante, con la polpa

d’albicocche nella bocca, noi splendiamo

tra i chicchi d’uva e i torsoli di mele

che continuano a vibrare dalla terra

ai fianchi più remoti del giordano:

 

il succo chiaro delle arance è  dentro

agli occhi senza età, ed ora

se spingo piano sulle palpebre le mani,

le voci amate si alzano a colori,

nell’erezione della luce che beviamo,

puri.

*

Spugna d’amore

Mi chiedi se ricordo quando siamo nati.

Posso vedere solo il mondo,

attraverso i tuoi occhi di dolore

e nel piacere, una proiezione di memorie

nella mente. Tuttavia è oltre

quei confini che si stende

una remota immensità di gioia,

ed è una casa quell’amore eterno

dentro la coscienza. c’è la prova

della mia indimostrabile esperienza-

chi altri può se la realtà dell’altro è pari

al suo apparire nella mia esperienza?-

 

Ma non siamo soli nell’essere profondo- amore-

siamo il tutto, quando percepiamo con il niente

il sussurro  delle stelle, siamo il Dio

che non sappiamo nell’essenza,

la spinta indietro che ci fa andare  avanti

consapevoli, da sempre, universali liberi

 

senza confondere il ricordo nella conoscenza

sempre fresca e nuova; è, la nostra ciotola

da mendicanti, d’oro puro, e noi dei miserabili,

finchè non la vediamo : in modo naturale,

portando a brillare la realtà, sinceri,

senza parole per comunicare senza idee-

non puoi mangiare la parola “pane”

immaginando di conoscere

solo ciò che possiamo definire,

se porti alla bocca la realtà c’è amore

con azioni religiose e silenziose, insieme

chiedi, e ti sarà dato-  per non rimanere

un sacco d’ossa nelle citazioni sacre.

 

Ho toccato la materia nella stanza buia

mentre dipingevi  l’intero mondo un quadro,

il pittore Dio, e tu, che contenevi il mondo e lui,

nell’atto di conoscenza  puro essere

quando hai spalancato la finestra

inondandomi di luce a gioia,

stava tutta dalla parte della stanza,

e non del sole, la misura del candore

nell’estasi del dare. Non ho dimenticato

quella luce, di quando siamo nati

non posso ricordare

o attendermi la fine, invece,

perchè non è mai accaduto.

 

Nell’infinito impercettibile di un compito

siamo seme l’uno all’altro aperto

in piena fioritura, siamo gioia,

che di volta in volta vola senza fine,

una ghirlanda di luci, le più intense,

nell’andirivieni  di questo cuore umano,

pagliuzze d’oro, nel palmo della mano

spugna d’amore -che chiamiamo pane,

riducendola in parola-

                         il terreno che l’accoglie

e ama.

 

 

*

Puoi solo avvicinarti un poco al giorno

L’azzeramento tiene il passo

con l’amore che può darsi, anche

nella voce spaventata, eppure ferma

sulla lingua

temprato battere del poco

rimasto in piedi.

 

Prendo con me le pieghe azzurre

del bianco invaso di parole,

che tallona e spinge e la risposta

è ancora un sacco nuovo  di domande

matrice e calco a richiamare voci

ne dice il nucleo esplica il legame

e guarda dentro con limpidità

le offerte minime ai propri giorni

come un'acqua che trascina in sé

la luce per amore e sassolini,

con un filo più sottile del cotone

non c’è fine, con le mani  pure,

dove un giorno torneremo

 

a innalzarci senza volto

 

ci si riempie di gesti, di parole

che non sanno di morire, per tornare

-e puoi solo avvicinarti un poco al giorno

al vero che non vedi  come l’aria,

finchè il vento lo rivela coi capelli

sulla fronte, e non la nuca-

come l’altra faccia della luna

in ombra- siamo noi. Poi viene sera

ed un sorriso dal chiarore certo,

assomigliandosi l’ovunque

e una preghiera, non sei tu

il motivo della gioia, sono io

che mi avvicino al canto.

*

Accanto ai pozzi

 

Un minareto che perfora il cielo 

basta un niente che ti trovi nella gioia
poche briciole di un seme di quinoa
in mezzo all'erba e ai fiori,  lentamente, 
un sopracciglio chiaro, il quarto di una noce
che diviene azzurro  mentre  canti 
le lettere intorno ad un giardino,
dove puoi sentire anche una tigre 
tossire accanto a noi - Amina
Che cosa stai cantando? -  
 
Mi sto spostando verso te
tra lunghe spine bianche e fiori gialli. 
C’è un segreto irriverente senza tempo
se muovi  sulla terra  la tua bocca 
trovi  il foro dove i nostri cari son tornati
dentro, seduti nello stesso posto  remotissimo
delle nostre connessioni umane
in un soffio  risuonano  le strade,
in un suffragio rifiorisce il mondo visto
nella nostra mano  più di ciò che è,
per condurre, tra la pietra e il rosso, noi,
nella  parabola che ritorna e gioca
 
- ed ora cosa canti ? sto venendo a casa nostra,
che  vive  a pochi  suoni di distanza,
lungo distici di versi. Come  uccelli
ci passiamo di mano in mano l’armonia,
se t'incammini, lungo piste d'asini selvatici,
spargiamo voci sulla gioia, ed è una mappa
tramandata  da canzoni
catene di montagne e fiumi. No..
non avremo oggetti da scambiare,
il canto come bene,  si baratta,
al tempo di suonare  il nostro pezzo
dall’inizio, lungo i pozzi. Sul gran posto
c’è un canale buio sotterraneo
che sbuca in cima tra le acque rosa,
è un fiato caldo di midolli
e quasi non ti accorgi
che le montagne son di nuovo le montagne
e sei nel foro delle lacrime del mare
con la dolcezza più grande sulle spalle
di esser foce e la sorgente insieme
 
ci scambiamo gioia per scintille 
al punto d’incontro d’altri canti 
le nostre ossa sono vasi d’oro
guidati da lontane vicinanze,
abbiamo il cuore di una lepre dentro gli occhi
un viso verde, tra le ginocchia coronate,
come un bozzolo:  è quel canto,
dentro la sua foglia, srotolato
avremo cura del germoglio
dell’onda ininterrotta di smeraldo
che ci tiene insieme per canzoni
scambiando gioia, accanto  ai pozzi
 
Accanto ai pozzi- mi deve avere ripetuto
le stesse parole  dentro il  sogno,
perchè furono le prime 
a venirmi nella  bocca 
quando mi svegliai. Bagnata 
nel liquido ancestrale 
come avessi scambiato  tutto il mondo 
annidato nel palmo di una mano.
 
 
 

*

Nell’orecchio debole

Ti ascolto con l'orecchiodebole,

sotto la carne della rosa, è la mia carne,

di un corpo nudo nel bagno della luce;

consonanti addolcite sparse ai piedi

nel profondo centro della terra

dove tutto risuona contro pelle

nell'umida gioia, ed uno spasmo

che mi piega sul ginocchio e dove

tutto affiora così forte in un istante

a corrompere gli acuti nella grazia

dell'imene incoronato al buio:

 

-è di quel giorno che non sai in mezzo al fiume,

quando gettai la testa avanti e china,

la cascata mi coprì coi propri sogni

nell’orecchio così forte in un istante

fu il silenzio delle rose. E del dolore poi,

che scendeva al fondo di ogni petalo

caduto, con il fiume. Poi passò,

passò piano pianissimo la luce

per il foro come un angelo leggero

che mi aveva attraversata,

lasciandomi il prodigio fra due mondi

e il tremolare della sua ferita in polline,

un alfabeto di acque memoriali

da venire. Con la sua dolce mano

 

fu il seme di una pioggia luminosa,

una matrioska che si apre per sentire

quando l’erba cresce o nasce un nuovo anello

dentro gli alberi, quando l’acqua si restringe

poi si allarga sottoterra, o l’esplodere dei passi

di una lepre, sul bagnato.-  Io ti sento

a piedi nudi se cammini, nell’orecchio debole,

se respiri dall’altra parte della vita

se il tuo sesso si fa grande per  venire

nell'ampolla fragilissima del cuore

 

benedico ancora il fiume,

dorato di ninive e nascondini

pieni d’acqua

per sentire i corpi  delle lingue da lontano,

prima ancora della luce.

*

Tu chiamalo come vuoi

Sai vendemmiare le stelle

sulle tue terre bianche di neve

fino a casa, nel palmo delle mani

io ti mostro la bellezza di ogni seme

la lunga vita del suo fiore e il rosso

di ogni pane quotidiano

custodito per millenni in pasta madre

l’amaranto, lo chiamavano huauhtli,

un tempo che finisce e l’altro torna

vivo, nell’eucarestia, finchè

tagliarono le mani delle donne

per lo sguardo in cielo, e  il rosso

poi sparì.

                 Ma nelle zone impervie

l’anima è immortale, ed io

mi amo a consumarlo, come il grano,

come una madre che s’allarga

su tutti gli occhi rossi in pieno sole

ammorbidendo le sue braccia-

da un mondo all’altro- dentro l’acqua

più veloce, più lenta..Sempre accanto

le mani dormono come ali

fra l’amaranto che cresce

ricongiungendo il suono della gioia

alle sue labbra, femmine instancabili.

 

Il cielo non può nascondere

l’offerta di un amore, è qui,

se mi apri nel petto

non è una ferita,  e gode

illuminata da tutte le stelle,

in ogni nome che lo rivela

 

quello che vedo, quello che tocco,

tu, chiamalo come vuoi - Dio,

i sandali da sfilare, una battaglia, una pietra,

il monaco che disseta, la casa da abitare-

il mio amaranto,

che beve nel buio splendente

viene dall'amore per la terra

*

col respiro, tuedio

Accade non ci si accorga nemmeno

di pregare, a me succede, nel vuoto

del dolore, al colmo della gioia
come di essere compiuti in se stessi

                 "immensi"

un nuovo luogo di vita, un miracolo

che entra per gli occhi

quando la luce si presenta "intera",

                senza lotta,

in chi si concede al nascere,

al nuovo respirare


Farsi incontro a questa luce

             col respiro,

senza esserne abbagliati,
io credo sia l'illuminazione

e quanto essa chiede: amore

che nasce con la nascita

*

Filo di luce

                                                                                    A Franca, filodiluce

 

 

Sospesa a rubare pezzi di cielo  

dalla bocca degli uccelli pieni

di speranza nel cielo primordiale

dove rinasce ogni destino e la bellezza

è sempre sul punto di sparire

 

-Porta via il bambino prima che rientri

a far parte del dolore degli adulti

Deve correre con la testa in alto

voltarsi ancora da una stella all’altra

Non ha tempo di produrre il tempo

chiuso dentro il pugno con la sabbia-

 

È l’altra gioia promessa dalle stelle

nella danza- senza occhiaie tra menhir

e dolmen, nel loro sprofondare dove

non c’è respiro e la stessa oscurità

che è oltre il cielo- dove indugiano

i bambini per vedere fino in fondo 

chi aveva fatto comparire l’arcobaleno

con la voce  chiara tra le nuvole

e gli otto colori della pioggia:

 

il suo volto verso il mare con l'inverno

la bassa marea che le scopriva i piedi

 sulle rocce, giovani della vita camminata.

 

Nel silenzio qualcosa che- come un bambino

 rapito dalle stelle- avevo atteso a lungo,

la tua voce, in dono. Nel giorno autentico

prima di sparire in volo mi ha fatto nascere,

benedire ogni parola e il passo, al tuo

 

filo di luce. ti sono accanto,

in lontananze inconcepibili,

perchè ti sono parte,

nell’avventura dello spazio,

oltre ogni congedo  sei in me

col respiro dei  cieli

*

L’universo sogna in noi

Un viaggio notturno e un lampo

improvviso, più della luce

sul comodino lieve e sempre accesa,

ha illuminato il telaio, liberando la trama

dei fili, rubando alla materia la scintilla

di una luce, in fondo alla schiena,

un linga splendente. E' quasi un altare

 in acque terribili

che penetra e ruota l’intero universo

e noi, travestiti di rame, acqua divina

 

è l’unione dell’ombra con la sua identità,

tra la maschera in volto e l’immagine

sono nozze dell’anima, sul grande letto

all’entrata di casa, l’apertura del corpo

verso lo spazio, una danza l’orgasmo

nell’unità. Com’è la natura a se stessa,

quando mescola  le proprie membra,

divenendo leggera, nel ritorno all’essenza,

più leggera di se stessa

 

trasformando  gli occhi

alla culminazione del sole,

al limite di quell’altro mondo,

accanto,

è quella donna che fa il vino sposa

di tutto ciò che esiste nella coppa d’immortale.

Nel perenne punto di partenza

  di ogni creazione,

l’universo sogna in noi, disposto,

        per esser vivo, a vivere

come una sfera. La coppia è dentro noi,

al crescere dei  seni,

leggera come un’anima

ogni coppia è un angelo, e ti chiama.

 

Così ho visto l’ombra, accanto,

la mia ombra insopportabile per poco.

Siamo state a lungo insieme dentro il fiume

guidate da una voce, la più ampia

tra il divino e l’animale, incomunicabile,

smuovendo acque melmose

per toccare il cielo e l’uomo

nascosto dentro il cuore con la donna

nel mondo delle Madri, fino a Sophia,

dove l’amore si denuda

tutt’uno con la conoscenza

 

ora puoi venire, nel volto aperto,

nel sorriso chiaro di tanti anni fa,

di cerchio in cerchio nella coppa

puoi propagarti  come in sogno.

Io ti veglierò, come una fiamma.

*

Nel cesto nero c’è altra luce

Scende fino a mare il desiderio

si dispiega largo, pacato con l'odore 

mescola i sapori del garbo e un'acqua limpida

alimenta il fuoco, appreso in sogno,

dentro ogni parola c’è altra luce:

un pescatore taglia le sue corde con i denti

infila gli ami in un cesto nero, le mani calme

emergono dal buio. Un canto a bocca chiusa

 

difficile non piantarsi nel suo cuore

come un muscolo infinito nell'ascolto

mi inginocchio. Ammiro.

In un cesto nero c’è altra luce, c'è calore che trapela
ai bordi- i miei cespugli rossi, gli oleandri, il mirto

il colpo d'occhio rammendato, il borgo intatto,

la processione delle luci, le pezze bianche a notte

la lunga coda umana tra i sentieri stretti per l'estate.

 

Un lungo canto senza peso, un buco nero,

naturalmente caldo, non è poi cosí nero,

una lievissima sorgente di calore, se fosse

isolato in un cielo senza stelle,

pallidissima luce, sfuggirebbe al buco..

 

eppure non c'è nulla, non materia o superficie,

solo non ritorno che gravita, cosa muove?

Molecole di spazio il tremare infinitesimo

della grana elementare, non è calore di un oggetto

ma dello spazio vuoto in nulla,

dov'è il tempo che si ferma velocissimo

per sempre

 

a caccia dello strappo d'acqua 
per infrangere, per rigenerare il limo

quello che noi siamo

fissando ancora quel brusio di ere,

nelle strettoie del suo buio vibra,

con la forza misteriosa che diffonde

tra la lingua di ogni giorno e le sue mani,

nel mestiere di contemplare in cielo,

concentrato in un’intesa,  il mare

 

adesso è qui. nel buio immacolato

e caldo. Prendi la mia mano,

quando andremo via,

dal nocciolo più interno del mio cesto nero

fino al bianco infinito del tuo interno vibrare

cantando, in gioia, al nuovo giorno

il calore inesauribile fra stella e stella

come pesci in fiore

porta nel cesto, quello che noi siamo

 

 

                           Fotografia: Yury Pustovoy

 

 

 

*

il mio posto delle fate

 

Fidandosi del buio dietro gli occhi

si trovano bagliori come stelle 
quando la tua carne riempie il vuoto,
scavato per i fianchi, nel palato 
 
basta un sospiro, un tutto che si tiene
ritrovando la sua vera identità,
come se appena fosse senza fine
il tuo sapore, in tutto può contrarsi,
poi passa ancora un giorno che rimane
 
fino a toccare  con la fronte il gran silenzio
del tuo sguardo sulla sera - è il nostro mondo,
di toccarci con le ali, piccoli passi, poi raccolti:
ne scorgo i bordi, sopra il tavolo in castagno,
i passaggi luminosi verso il cuore
attraverso l'uscio della mia cucina, aperto
verso un lembo raro del giardino 
 
come a varcare una gola di montagna 
tra boschi e vigne fino al mare aperto
al sole. Ne ho cura, come una mansione,
un compito che risponde al desiderio-
il prolungamento della casa, quel che tocco
e come sei,  lungo il sentiero dei lecci secolari, 
dei platani,  fin giù,  alla distesa delle viti
-giungendo dentro agli  occhi 
senza conoscere il mistero. 
.mi abbandono  dove inizio a camminare.
intravedo i nostri fiori  più selvatici,
il cuore  dell'agave 
che ti offro sulle labbra.
 
È un esercizio che taglia i nodi delle mani
                dove cessa il confine che separa,
è il mio posto delle fate- basta poco
                  per vedere il faro e le tempeste, 
quando fai bollire nell'ambra  le tue reti,
i resti delle mareggiate si mischiano alla mia 
vita, tra l'odore del fogliame c'è  il profumo
delle tue albicocche, quando salgo sopra  il noce 
per toccarti da lontano. Ho un filo al piede
 annodato all'altro capo con l'azzurro,
in un continuo che ogni sera quasi muore,
poi di nuovo stelle  fiori gocce a copricapo
varcano la nudità, e le vene sono fiumi, 
la tua barba l'erba  di questo prato ed il sorriso
i rilievi della terra, con i semi che può spargere 
una baia : colandovi colore 
spruzzando di fertilità la voce
...
fino al bordo chiaro
                               del fiordo che più amo,
il precipizio il salto che tace la parola
per l'amore, che più teniamo, che solo
posso mostrarti 
                           col silenzio della vita
dischiudendo altro, con il vento,
che sale dal mare sopra il mondo,
un punto  luminoso, dove tutto ha inizio 
e tu rimani.    
 
 

*

Più minuscolo di un grano

 

 

La particolare  intonazione della voce 

mi spinse  in mezzo al Campo 

a girarmi verso un uomo, chino
sui bambini..l'espressione quieta dello sguardo,
con gli occhi d'acqua chiara
pesanti come perle. sentì  arrivare me,
dentro le sue mani, diventare lui,
quei bambini e le carezze, insieme
sollevò lo sguardo, ormai vicino:
"sei entrata come un uragano- disse-
fai più piano quando vai negli altri
respira adagio, a far l'amore
più minuscolo di un grano"
...
lo sentii venire dentro
con la dolcezza di un amante
inconosciuto, mentre io danzavo
nella sua mente, camminava in me,
come una pioggia, lieve,
trovando gli alberi e i caprioli in cima
mia madre invisibile e se stesso
 
entrammo insieme dopo
nei bambini
cominciando a cantare per Bagdad
 
" hai una quercia speciale ragazza ed io
troverò  il mio albero così ci parleremo
attraverso le radici da lontano 
con innocenza ed esperienza insieme
nel luogo dove potremo  continuare
ad unire con la carne il cuore per le vene
baceremo la gioia quando passa
con gli uccelli nei polmoni di ogni tendine,
per raggiungerci, per sfamare noi"
 
[ come figli e figlie che si sposano tra loro
come stelle penetrate ai fianchi 
 
siamo entrati  nel nostro petto camminando
in cieli e terre, scorgendo il fuori 
tutto dentro, portando il nostro cielo
la nostra terra,  da qualche parte 
nel profondo, offrendo un pane per radice 
a chi si era nutrito soltanto di se stesso ] 
 
Nel buco fondo che è rimasto a terra,  
dove la quercia poggiava le sue gambe,
sotto i piedi  le cose sono altrove
strato dopo strato, fino a te,
il luogo dove unirsi nei vagiti, il sesso aperto
dalla nascita, alla resa del respiro
 
La voce è udita fino in fondo
alla felicità improvvisa
-innata- come un passo ingovernabile
squarcia il costato finchè ne esca
un sacramento di pace
e si muovono le dita ripiegate per il suono
e il corpo il gioco e le parole in tondo
girano per il loro esistere alla luce
fino a stordirsi di un sorriso solo 
sapendo che stai bene ovunque
un'erba cresce. Tra i seni sempre nuovi
di respiro, da ovunque tu sei qui,
più minuscolo di un grano. 
 

*

Con un soffio violento

Con un soffio violento
una vertigine a Ravenna
scesa al suolo per nutrirsi 
nella colonna vertebrale
 riparte in volo 
-non tocca un pensiero-
via dalle mani, dai piedi 
trasformando la realtà 
nel sogno
spalancando gli occhi 
per fissare orizzontale
la luce che cancella
i confini delle cose illuminate

Una pelle esposta. A quanta luce? 
Abbastanza cielo. Impregnarsi ? 
Oh..Fino all'allucinazione!  E poi ? 
Ai piedi del muro vivere, semplicemente
[ senza morire] del volo degli uccelli
che l'hanno attraversato nella schiena

mostrando il cuore
investito della stessa aria dalla luce
in cui il corpo si solleva libero
dell'indicibile respiro 
che non finisce il muro
di riflettere diverso 
come un cielo in ombre 
c[i]elando ciò che s'offre 
alla nostra contemplazione.

 
fantasmi dell'uomo ..
lasciati nel buio notturno
degli animali?  Sul muro è la culla 
del graffio, lo schizzo, e l'orgasmo
la prateria stessa,  e noi più lontano-
con gli occhi nel volo- di un uomo 
nello spazio. Per l'infinito andare
di queste onde,
che frusciano col mare come un bosco 
con le foglie, mi vola via dal petto 
il muro.. Sei tu!

*

Come risacca nella notte

Nascose lentamente le due stelle

nel buio delle palpebre

per un'altra migrazione

Là posai la gola

slacciando i tre bottoni lungo il seno

senza una parola. Vidi allora gli occhi,

tagliati netti per la vita, del nero

più antico al mondo, e un'onda verde

di albe trattenute. Un solo movimento

un caldo sole, poi il mare dentro

come a una brocca, mi lasciò infinita.

 

Com'è bello il gesto che rimane

sfilando via la stoffa del ricordo

sei la fonte che mi lava nel cammino

del profondo, sei lo spazio fra i miei seni

ed una fede nel frastuono che zampilla

in perenne pulsazione. Ad ogni asola

hai la grazia stessa della farfalla

che entra ed esce con le labbra

contro il cielo, mite

dentro il fiore amato.

 

Dove hai nascosto la parola

sulle montagne del cuore

c'è una pace tenera e fedele

custodita per due stelle

in cui tu parli sempre,

un'onda larga che ti accoglie

fin dentro il sogno-vita

non è che questo

le stelle così basse, sono gli occhi

garze inumidite

su un lembo semplice di terra

come risacca nella notte

*

E’ il giorno che scompare e torna

E' il giorno che scompare e torna,

coi capelli fradici sul prato,

mi raggiunge il viso, da dove era partito.

 

Col cuore umano e la pelle più sottile

di ogni mattina, gli occhi mi domandano

di essere esauditi - nella cripta del palato

non c’è pensiero- e viene

dal sangue religioso luccicante

nell’umido di poche sillabe un respiro,

contenendo in pochi tratti di mistero

tutto ciò che l'intelletto poi separa

 

dalla remota intensità di un sogno,

dove il tuo salmo non arriva,

imparo con le interiora delle bestie

l’armonia, dal volo degli uccelli

come danzi,

nella processione dei bambini,

che camminano sul verde come cielo

lasciando lievi impronte, con l’arrivo

 

affondavo nell’aria del mio prato,

nel taglio che riapriva la visione,

e una sola

creatura di fango nelle mani

cui poggiare la testa rannicchiata:

un’altra pelle mi toccava

per la prima volta nuda, ad ascoltare,

nel brivido del mondo addormentato,

la notte della carne di un bambino

che mangia cantando della neve.

 

Nell’erba tornavo gravida a vederlo

dare calore sui luoghi da cui sgorga

raggrumata nei gorghi dell'inconscio

-in un'altra terra, in altro tempo, e a lungo-

la parola che teneva sulle braccia-

di quando solo per un giorno

il fiume andò all'indietro come me

tra i fili indescrivibili del prato-

nel privilegio della quiete. Con la luce

 

sulle punte più sottili io ti ascolto

dove il muschio si corica la sera

a carezzare i sassi sopra il greto,

dalla tua quercia, che ogni giorno corre

finchè diviene un'aquila e scompare,

nel moto unitario di natura

 

la morte non può niente,

in piedi, dietro te.

mentre mi piego per lavarmi il viso

al fiume sei tu che mi sostieni

perchè  non cada.

*

Nello splendore del grano

Imparo a baciare con una lingua nuova

tutto lo splendore del grano,

dentro il ventre continenti

di larici e betulle, nelle orecchie

campi e mani a disegnare

dove gli alberi hanno gli occhi

e dove dormi, sul mio viso

 

sono ancora insieme, ovunque tocco

respiri di bestie, di gioia, e una risata

nel buio che insegna a partorire,

scrutando la propria terra,

grammo a grammo il nero, con un canto,

come serbasse il codice di una costellazione,

lì, dove incomincia una pianura

                                     per diventare collina-

una striscia sul labbro, un punto esatto

dove le cose coincidono

"un calmo alito, un vento, un soffio in nulla"

tra percezione e rituale-

                                la bocca è altro respiro

a celebrare le unioni di un piccolo seme

che so nelle tue tasche che amo

da tutto ciò che fa male, a quell’ombra

riposa l’estate che viene il tuo nome,

a rifugio, come farebbe un bambino, con te

che mi ascolti nella cadenza la voce-

di quando ti scrissi dei mostri nel grano

dei cingoli neri a radunare i braccianti

che toglievano il giallo al silenzio

dei chicchi- fino a dissolversi in crusca

sui fogli scalzi di sempre

che chiamano i cervi nel grano futuro.

 

La ricordanza è cenere in aria

che vibra,

che benedice il cammino,

per quanto a lungo stende le mani,

la terra che vola sei tu che ti alzi

nell’istante del grano, che plachi nei secchi

formando col pane

ciò che la luce già sa

 

 

il palmo è offerto al vento e ora

se aggiungi un altro passo poi sorridi,

ti offro le mie mani per le ombre

nel petto qualcosa di dolce,  il posto

e il nome dove l'erba voleva volare

poi preferì rimanere, per dare riposo

ai rami dei cervi.

                               Nello splendore del grano,

inumidendo la terra come un messaggio,

ascolto gli alberi, la cerimonia semplice dei frutti

a viso aperto, mentre il tuo sole entra nel mare,

nel suo ritorno a Dio.  Con la stessa calma,

che non avevo visto mai,

dove una collina bacia la pianura,

nel punto esatto io t'incontro e basta

a prender forma un sogno

       in mezzo al caos.

*

Grazie a voi..

Grazie a voi

sono salita così da mio padre

come ci si sposa,

attraverso un mistero

che ha reso reale l’odore

di ieri-

 

dietro di me c’era qualcosa, qualcuno

che potevo toccare, davanti quel sogno

del patio, le mani e il suo viso

silenzioso come le stelle in alto col mento-

di gioia indubitabile. Con un sorriso chiaro

nel palpito leggero del "perché ?"

mi sono velata di bianco,

come un tacere ad alta voce le nozze

e uno sguardo divino esaudito nel cuore

del pranzo. E’ stato il primo gesto-

in cui ancora vivo - risorgendo-

davanti alla finestra

finchè gli occhi non mi faranno male

per l’assenza impercettibile ai contorni

segreto fino a me- nell'ultima parola:

". Mamma si è addormentata dolcemente,

come in sogno..Ecco perché, rimane".

 

E’ seguito un lungo viaggio nel silenzio,

un tempo magico al ricordo, il nostro,

fino a quando Papa Francesco se l’è portato via

ritraendosi da messa. Come un’ondata ha detto:

"Claudia..è così semplice amare questo Papa

è un polline naturale…" -facendomi rivivere

di essere venuta al mondo – ha sospirato poi,

con gli occhi del bambino più antico sulla terra

" Quando prego è a Papa Wojtyla che mi rivolgo,

sai…lo chiamo sempre papà

nelle preghiere , io lo chiamo papà…"

 

Come un segno d’acqua in chiesa

le sue parole

stavano sospese nella luce

di chi non ha conosciuto un padre.

Al fondo dello sguardo,

riflessa nella sue pupille, è divenuto un’ostia

il pane di ieri nella bocca. -Non sai babbo

della tua bellezza, come è andata

verso l’interno oggi, la nudità

del tuo segreto, in ogni luogo polline,

per quanto sussurrata.

 

Danza nel vuoto della casa, ora

insieme a me, stupenda madre,

dall’altra parte della vita,

con battiti profondi e nuovi

si è chinata, si è congiunta a noi,

come una sposa, papà,

la gioia.

*

Sporgiti dal paradiso solo un poco

Sporgiti dal paradiso solo un poco

da un punto del cielo all’azzurro,

tra i fili di pioggia sull’albero

sono pronta a bere col ventre sollevato

dove una farfalla si accorda con la luce

 

C’è un passo veloce  che ora ti somiglia,

che calma la terra in pozze di chiarore,

dentro brilla un porziuncola di pace,

una viola de fado che sorride

portando l’acqua tra le pietre.

 

È tutto molto semplice. Ma domani

andrò dal babbo con il pranzo cotto,

e una luce cruda per non piangere

se mi porterà nella tua stanza

a chiedere del respiro d’oro che faceva

la morfina.  Nella stretta delle mani

ti chiamerò, sottovoce,  per raggiungerci,

come un albero che si piega per i frutti,

e con le dita, per rafforzare le parole

 

avrò il coraggio di tenere le sue spalle, piano,

come coi rami più fragili e sfiniti,

quando farà  il viso del “perché?” -

mettendo tra le mani la dolcezza

del dolore - immenso nei suoi occhi chiusi,

sotto il peso di quella leggerezza,

con un amore tenuto stretto come

un bastone, per riprendere il respiro

dentro i boschi, gli dirò:

il nostro dovere è di essere felici.

Bisogna testimoniare la sua luce. Vieni.

Ogni cosa che è qui è solo qui. E ora

piove, e ci sono  da svuotare le grondaie.

 

Avrò il respiro  tra le braccia come un cerchio

di ricordi che si chiude, che si ferma sulla tavola

a raccogliere le briciole del pane. Usciremo

come nudi nel silenzio faccia a faccia

nel vuoto che c’è, e che farà, come fosse oro

sotto il patio, stringerai  le foglie tra le mani

fino ai piedi, bagnandoli nel tempo

più sacro, avrai  il mento in alto,

come qualcosa che  vuole dire

Un Dio lo sa dove fare ritorno.

 

Mentre ancora la luce si nasconde

sporgiti dal paradiso solo un poco,

nel vicinarsi di domani, un’altra volta,

da un punto del cielo, su  mio padre.

*

Ti sei accesa in procinto di sparire

e a vederla tanto inginocchiata e assorta,

raggiunge la grandezza del viso degli oranti,  

con le mani  tese e  aperte,

come sul punto di staccarsi dal suo corpo,

in quel tacere. Entrò nel sonno  ieri

mentre gli animali uscivano dal ventre

incenerito. Tu eri nell’acqua che splendevi

a ricevere la voce e il nuovo inizio,

una plenitudine senza incrinature:

se grondava commozione

                          è perché spiegata piano
piano, come un saluto dolente nell’addio,
il più bello che si potesse immaginare,
un sole che non rischiara semplicemente

che risveglia.
 
Come brillavi tra il sottosuolo e il cielo!-

spingendo ad ogni anello la rugiada

per gli uccelli - gloriosa nella luce

 

ti sei accesa in procinto di sparire

con l'amore  tanto scosso tra le cime

ti sei alzata nell'aria, senza gravità,

con la forza delle frasi di chi amiamo,

con la gora dell'acqua sulla schiena

e, tra i rami neri di poesia, la gioia,

mentre ti perdevo.  Oltre ogni silenzio

alimentavi il fuoco ripetendo:

guarda. io resto. accoglimi.

 

Ha i capelli corti ora che la guardo

benandante sulla terra

                                col peso della luce.

E' beatitudine  che ti ha mandato a dire,

nel gesto in fondo piccolo, la sua immaginazione,
che dentro gli occhi il caldo non finisce
di rifugiarsi nel letto  della tenerezza,
come scendere  tre gradini dentro l'albero
nella tregua interiore e vegetale 

 

-tenera argilla e benedetto,
nell’euforia o lacerazione,

il taglio netto che ci esaudisce, infine
l’oltranza delle immagini, e la febbre
per lo svelamento del destino,

è  il ricordo di qualcosa ormai  tradito.-

In un’altra pace ti confidava i passi e degli odori,
nell'aprirsi più esposta e più splendente,
più feribile alla vita/ sotto il taglio,
perchè il dolore non fosse da nascondere-

 

Ora puoi congiungere i lembi del passato
con le monete d'oro cucite tra i capelli, 
che il vento le solleva, dentro gli occhi :
c'è un piccolo dio, con poche cose, al centro,
e una fiera sorgente che cammina
col filo d'erba che ricresce sulle mani:

il puro esistere degli istanti che ha lasciato

per colorarti del suo sangue intero.

 

non sente più la sete e  accenna al volo,

la sua quercia-

la perdita è la parte più struggente

dello scoprirsi grati nel dolore-

ripetendo le parole senza fretta

come un seme che si affonda nella terra,

-percorrerai  le mie vene fino ai polsi

con i rami, fino al fiore di udumbara-

 

 

*

Con gli occhi d’acqua

 

Non c’è altro che luca nel cielo

come il suo nome per terra..

In mezzo ci siamo  noialtre

e giovani piedi le orecchie / un velo del corpo

in un luogo che sembra fermarsi

                                            a una cena segreta,

e come in un altra lingua pregare

lo spazio di gioia nella risata

senza alfabeto, che lo innalzi protetto

per farlo addormentare almeno l'erba,

dove piega i lembi della veste

quasi con le palpebre

nei pozzi intraducibili di chi muore

 

a kurskaya kosà. si racconta

della foresta che danza

lungo le piste di sogni, e di un albero

come un violino, il dentro di un uomo

che viene che va tra gli anelli e ogni volta

aggiunge alla vita un anno di vita

cantando all’indietro, fin dentro il sorriso

liberando il singhiozzo dalla paura

delle sere senza latte sui balcani

di quando ti lavavi, con la paglia

e il fiume, alla conca dei rumori,

era la tua vasca del passato. La ricchezza

ha un luogo in una ciotola, l' orecchio

delle uccelle che siamo diventate

nella somma di ciò che tace,

scorrendo il sangue forte, dentro il fiato

 

alla conca dei rumori,

nella più piccola dell’appennino di sasso,

può tornare la durata di ogni voce

e nessuna mente, illuminata e più minuta,

tra il silenzio e l’ombra che attraversa

davanti e intorno a sé, senza ossessione,

a un passo dai confini ancora canta

per offrire sulla lingua il taglio della luce

sotto i piedi, nella fessura più divina che si mostra,

di quando abbiamo visto il diavolomortale

di come, in quella pausa, dopo il volo basso

il trauma nominava l’elegia, danzando,

tra gli animali aperti come noi,

sotto il respiro delle rondini

 

nel cielo occidentale c’è la pace, ora,

scesa a terra, sul pavimento della casa,

delle voci, mentre mangio i semi delle acacie

e nel latte di altre terre lo stupore,

tra l'una e l'altra vibrazione

                                               non c'è altro-

di una piccola gioia che viene per riempirsi

in fondo all’estasi, e non ha misura

il luccicare in una parte della mente,

per non ferirsi - per volare ancora,

con gli occhi d’acqua delle uccelle,

nell’acqua umana di ogni sogno,

come il suo nome qui per terra

*

In qualche luogo, in un istante

Si desta come un istante perpetuo tra i luoghi

e insieme si scompone al boscovecchio

respira senza conoscenza in volto

lasciando la sua impronta senza immagini

guarda  preesistente verso noi,

come ancora non avessimo imparato

il nostro nome, giungendo dalla fonte

della vita, dove dimora, in ogni attimo

che schiude il suo morire. Tutto tocca

 

nel natale originario come un’acqua

il miracolo che entra  dentro gli occhi

è tanto intero da affondare nell’oblio

sollevati dalla luce, senza lotta. Respirare

ciò che pesa  ciò che ci sorregge insieme

io non so che cosa sia-

tutto il respiro della vita in un istante-

 

per tutte quelle volte che ho seguito

le impronte dei miei cervi  dentro il bosco

seguendo qualche uccello di richiamo

o sedendomi nascosta sul laghetto, per l’ora della sete,

andandoli a cercare non ho compiuto passi dentro il cuore,

ma  nel tondino  di un maneggio per l’ allenamento,

e il laghetto intorno a dire: li cercavi, e ora?

 

Quando sospendo le domande,  quando corro

sulla pelle-  il suono è uno solo sulla terra

se non incalzo la coscienza, se all’improvviso

dietro il sentiero si accende un capriolo

che sta più in là della mia mente, che la inonda

e si perpetua nell’istante unico ed intero

-al centro del mio essere c’è amore-

una  cosa  di poesia che non so dire-

una creatura intirizzita e  a un tempo

folgorata  insieme: con la luce

è il pieno della voce  lo spazio chiaro

dentro l’anima-  l’immediato con l’udito

del gemito il sussurro, e  più di ogni figura

ancor più di ogni azione destinata, con il salto

e per ondate che si estinguono, per  attimi

simili a scintille, come solchi appena aperti

nell’erba alta-  si fa un’impronta chiara, di bellezza,

con un’ombra , in quell’istante cieco del vedere,

un vuoto,  che si raccoglie e custodisce come cenere.

 

Quando parte, quando fugge dietro la sua curva,

con me rimane quel silenzio lungo, verso dentro

 e nel più segreto allora si stacca una parola

appena, in un  minuscolo frammento,

lasciando intatto il seme

in qualche luogo, un altro cervo, in un istante.

*

Un lungo dialogo prima di partire

Un lungo dialogo prima di partire-

con la casa, con il paesaggio, delicato

nel vasto rito di rispetto ad onorarlo

fino al lamento  dei  fasci delle canne

in fondo al giardino, di malinconia

estiva, voce dell’intimo- per pochi giorni

 

Un luogo a parte la madre- silvana

nella sua nudità ed io, nell’atto di obbedire

imparo: le parole inevitabili

 che non bastano-

-nella sua natura immensa, serve quel sorriso,

il vero figlio nel tempo della storia

del lutto, che ricada come pioggia

                                              nel suo ciclo

 

dove spuntano le canne si forma allora

nella visione più ampia più feroce

la  verità che pretende l’anima, che  avvera,

vibrando per qualche istante, la pietà,

sulle formiche che portano la gioia,

dove s’inchina mettendo pace dentro gli occhi

l’acqua  dove si cresima il canto dell’infanzia

che mi aiuta, lucido e sentenzioso,

a partire verso il mare: eccola..

soma di luce,

sono così piccola nelle sue mani sul mare,

ancora vuote poco fa, di casa in casa.

*

Finchè non sa di bere

La poesia è ritorno. E’ sempre un ritorno la poesia,

nel desiderio femminile che ha in sé, la casa,

l’abbraccio, quando entra carezzandoti, le mani

sulla carne del cuore, perché possa rivedere

come vede un animale il respiro di tempesta

e sanguina,

impazzendo alle stagioni quando tornano,

spine, e morbidezze. Dentro casa

si apre il fiato e ancora una volta ti racconta

della notte di natale che verrà,

dell’uomo coi legni sulle mani, e la promessa

di tramandare quel segreto all’acqua,

nel fuoco sacro di trovarla, tra le radici

e l'estasi. Finchè non sa di bere

nella penombra sta la donna, l’educanda

che trema nel presente nudo,

per leccare le falde, gocciolando piano;

sa dell’amore, come batte il salice, come si abbassa

sulla lingua speciale del puerperio,

perdendo luce dai suoi occhi

senza lasciare traccia

la cicatrice sepolta nel bianco.

 

La chimica del passo ha mille nomi

mentre il mio settanta volti soli

nel punto estremo di resina e respiro,

come l’acqua quando vibra con un sasso

prima di arrivare, ti ho mostrato,

nello spazio aperto, un’anima

che precede la pronuncia del suo nome,

inconsapevole al lume del mistero. Io resto

dove posa il piede prima dello slancio,

in questa brevità, tu devi rincasare,

nella poca luce, nel sussurro,

dove l’acqua tende, per tornare,

per tornarsi a vivere. Da questa poca morte-

nel silenzio delle sponde, tutto avviene

intorno agli occhi- rendiamo la verginità,

alba su alba, berranno le nostre gole

ad una antica dimora d’acqua

 

la tua poesia non ha felicità,

ma la sa offrire. per sempre

la porterò via, legata a me,

come un soldo agli egiziani,

lungo i campi di cinabro,

legata agli alberi  nel cielo,

come in casa,

mettendo il riso sulle foglie

per sempre sacre, e chiare,

al chiaro del letto accanto al mio,

dove dormi tu, che mi sei fratello,

e il figlio che si genera,

con tutto il pudore che hanno le parole

concentrate in un fiore senza voce,

per la stretta alleanza che le muove,

che ritorna.

*

Quattromani nell’erba

Se nella quiete aspetti la notte

spostando un ramo solo nel cammino,

l’ombra che cade comunque è fedele ai colori

e inizia dall'erba la luce che varia, ancor prima

nello sguardo anteriore al colore del giorno

che adorna il suo nome affidandosi al suono,

muovendosi in mezzo alle cose, come una donna

in penombra, nell’andirivieni al balcone,

scostando appena le tende : sembra cammini

 

dentro la neve, coi piedi nulli e i polsi leggeri,

nel suo splendore, facendo strada sulle ginocchia

ad un cuore. E' un lungo viaggio fatto di adagio,

con le foglie dentro le orecchie, il frutto maturo,

l’interno morbido delle parole, la tenerezza:

è una piccola casa una parola nascosta,

dove dondola il legno, ridendo a ogni cosa

 

e noi,  - come una anziana cicogna

quando i figli la sostengono in volo,

e dolcemente, da ogni lato- con le ali

ci apparteniamo ancora, ci affidiamo

come l’estate che si apre, sul lembo della terra,

dalle bende calde di un inverno di dolore

e passa avanti con un salto alla mutezza,

tra le ossa ed il mistero di pronuncia,

la riconciliazione con l'inizio

                              del canto, la mietitura :

 

"se metti a conca le mani

se le tieni appena sotto il timo,

e col ventre raccogli dal profondo

                                             delle spighe,

dalla falda più amara del fiele, la pena

dell'ultimo sorriso che ricordi

                                                      di lei,

portando in avanti le mani, e le braccia

più lontano che puoi, lentamente,

se rovesci le mani- ed osservi

come il nero non macchi la terra

e si offra tinta coi fiori

mostrando sul dorso dove posare

il primo sorriso curato nel seno,

diamante del viso più chiaro-

segretamente ti sfiori."

 

Tutto quanto era la luce

tornerà. Dal gomito dell’angelo

le libellule per la stessa strada, per rincorrerti

ai ripostigli della neve, all’erbarenna,

canteranno ogni giorno, con un gesto ripetuto,

con un solo sorso d'acqua, nel sorriso, 

la luce per potersi allontanare

nella raccolta delle voci e di un amore,

per il vuoto che si scava nell’anello

con un fiume, in un piccolo anfratto del greto,

il disegno sull'erba del ramo

il profumo coerente e persuaso

come l’azzurro, per rivoltare le zolle,

che smette per terra, per farsi ricordo

 

( Niente parla di noi, tuttavia,

camminando la notte- ripeti-

tranne ciò che ci tocca)

 

 

nella minima nicchia degli occhi

c’è una colonna di luce,

che ammette lo sguardo,

                                    che tocca,

nella più tenera somma, i colori

fedeli a quell'unico ramo

                                   che siamo

quattromani nell'erba, ti mostro.

*

Alla Signora per terra

Nel suo  riserbo, al laghetto azzurro,
come un prato trema in sacrificio

il mio piccolo graal,
con gli occhi silenziosi 
alla feroce innocenza del sole
gonfia come un amante la gola
sul  ventre che si rovescia in luce

è un pomo di adamo quasi invisibile
nella congiunzione luminosa,
nell'istante bianco del fulgore,
ha trasformato in luce la parola Dio

candore  senza mediazioni la purezza,
a se stessa dà il nome, lentamente,
nella sua incantagione, nel ringraziamento,
celebra  lo stordimento  sacro dell'inizio
di una religione  con l'Aperto,
e lo fa poggiando l’orecchio debole sul bosco
e alla Signora inconfondibile che è in lui
nudissima
amante degli assenti e luogo

cammino  fino a fare spazio
per una apparizione
nell’indicibile comunione con l’essenza,
quando si ripete, quando  s'immerge,
li tocco avanti e indietro nella morte,
che esiste,

nelle diecimila cose, innominata


fino all’ultimo respiro, verrò qui,
sotto gli alberi, commossa,
a difendere la luce di un bambino,
dove tu canti - Lei sanguina nei fiori
di madri passate, riunite,
che hanno preso il nome tuo  poi l’altro-
con  Narimi- il capo più vicino 
del filo che rimane a te,
che sei nei cieli
luce ad altra luce-

e alla Signora confondibile
per terra,

quando si avvicina.

*

Con la terra di Malta

Nell’acqua delle cinque sorgenti
nel  recipiente di bronzo ti lavi

e oscilli nell’aria di una tela irregolare
nella fatica del raccolto, nella morte di un caro
nella fame avvelenata in fondo al cielo

Maria innamorata, di Nardò,
di un amore che ti ha lasciato dentro
in un velo di papaveri costretta
a ballare tra i colori  del dolore
la catarsi pitagorica , innocente

la tua cerimonia. É la  cura, Maria,
nel movimento del ragno,
come le madri  che non danno riposo 
ai neonati,  a forza di braccia la culla, 
non già nel silenzio,  ma come una nave
il canto  si muove, assegnando potenza
nutrice dei corpi, nel mare. Sei tu,
progetto di ritorno a quelle braccia,
un canto indietro;  non è follia
quell'incontrarsi  primordiale della  pelle,
nel  profondo di ogni essere.  rimani
della tua meraviglia innamorata

a metà del cammino che tacemmo
lascia che dica delle rose di Duino 
del vento nel lavacro e della musica,

che ti spezza muta nei singhiozzi, che ti placa,
venuta al mondo nei passi di una danza
che io possa dire  da dove  tanto amore,
dalla bellezza zingara e madonna
quando ti muovi

Maria di ora e cresciuta,
con la canicola nascosta della mietitura,
dal bianco abbacinante delle case,
ricoperta di calce sei tornata
col rimorso, al centro dello spazio,
sacerdotessa inconsapevole, di tanto latte
trabocchi quel dolore e danzi
risolta nel raccolto, e donna nuova
coi suoni,   tutt’uno inginocchiati
per stanare la taranta con l'offerta
del violino sulla faccia che ti vibra

La  tua pelle, Maria, è il tamburello, 
percossa nel ritmo ordinatore
dentro è fuori e  il ciclo si ripete. Ti ripeti
tu: taranta, con la testa tra le gambe   
piegate  come zampe d'animale, rotoli
nell'indistinto, sulla schiena  strisci-
smarrita  delle dimensioni- sotto le sedie,
e le travolgi portandole  lontano,
con la pancia nera, salti  in piedi e danzi
nello bianco del lenzuolo, rotei,
cadendo  infine, Ragno potente,
notturno inconscio.

Pura Maria sotterranea, se non è veleno,
cos’è che ti fa danzare fino a San Paolo..
con la speranza di ascoltare, dal forte labbro,
la preghiera e una parola che ti salvi,
che annienti  il tuo dolore sulla croce
di due pietre e ogni anno?

Terra del rimosso di un passato sofferente
che ritorna. Nella cava più segreta

della quercia, anche tu  sarai dimentica:
nel giro di una danza è l'occhio di un bambino
finalmente esploso
dalla rebecca fino all’animale
all’indistinto, te, privilegiata,
per tornare a raccontare tra le  messi
dell’amore di ogni anno, dello sposo
che ti pizzica celeste tra le anche
che ti fa santa,

con la terra di Malta,

impazzita di gioia

 

*

La realtà è così delicata

 

 

Ti guardo, dove cammini,

vicino alla casa del sole

bisognosa di un luogo  concreto

di un corpo abitato visibile   

a somiglianza del cielo,

 in mezzo alla notte

 

la realtà è così delicata, là dentro

-e pesante  l’immaginazione-

ruota la lingua nel cuore

interamente viva

e una vita è più grande
coi pensieri delle mani


siamo subito insieme, se vieni

a trovarmi,  non esiste un confine

succhiando le dita agli anelli ancestrali 

con dentro dei soli persone e le stelle    

 

è solo pace, sai, che si volge insieme

che si allarga tra le cosce del mattino

e si richiude, nei capelli, di fragili azzurri

Chinando il capo sera dopo sera

ascolta,
con le labbra nel vano del camino 

il mormorio benevolo degli alberi,
di quel dolore che domani muore

nello stesso incanto con la luce,

in altre anime,

sotto la pelle splendida che freme,
tra i girasoli,  io ti seguo,

lucida e leggera madre,
per l’oro che risplende nei tuoi versi,
che  si confonde con la felicità
di una musica che ancora forma il tempo
di queste prime notti estive,
del cancello che mantiene l’infinito
in una stanza, ad aspettarci,
venute dall’aurora.

Così per ogni sera conto, a uno a uno,
come chi chiude casa ,  i girasoli,
seminando una luce ancora calda 

sugli steli e al cuore

teneramente incido l'intero sutra
usando appena la punta delle dita,
più chiare che mai dove tu  stai
per essere tutt'uno con la terra

nel liquore brillante del risveglio.

 

 

 

 

*

Per l’ultimo matrimonio

Nel silenzio dei fiori avverto i tuoi passi
negli occhi.

Un albero solo
mantiene  la schiena,

conversando con te.


Tutto è presente  e così altrove, insieme

occultando l'apparente della pelle
rendiamo visibile il nascosto-
primo tesoro-

nell'oriente  della forma

nel più profondo noi
emerge un io celeste,

il nostro doppio in cielo
tocca  l'inguine  dell' essere
nello spazio puro delle lingue.


Nell'istmo delle celle immaginali
io ti vedo, e  nel sommo dei sensi

 mi espandi mi dai forma.  Nel viaggio, 

fino all'estrema spiaggia dell'ombra ,
col lampo del sole al tramonto,

                                          mi bagno
nell'acqua perenne, fresca e salata

alla punta sottile dell’estasi
estraendo mercurio,  dentro le mani,
si scioglie  un diamante,

mescolando la vita  alla vita,

come l'unica fiamma di una candela

che può accendere altre candele,

senza una perdita-
nell'oceano di fango del corpo, di angosce
e stupori,  fino alla goccia più trasparente
raccolta nei palmi all’estuario-
 
trasformiamo le stelle,  cadute nel buco
che inghiotte di  nero ogni cometa,
nel centro esatto di luce,

col  getto amorevole delle fontane
bianche d'amore, e di un’ anima,
in un corpo astrale, senza più differenza

c'è un grembo sottile, un seminarium
nell'atto perfetto della preghiera,
tra noi,  una segreta energia
che libera  il cielo nascosto nel cuore,

salendo alla mente  come un'aurora

un'onda di miele, di bestie, fino alle  piante
alla struttura tellurica infine

per ogni pietra dell'essere. Ho pianto

al limite dell'invisibile
fedele angelo mio, giungendo per te
alla sposa segreta.
Rannicchiata dentro il mistero
ho iniziato  nuovi sponsali
col sentimento della distanza,
di simultanea presenza.

Nel nono cielo,  privo di astri,
contemplo il nostro splendore:
è un velo, sulla  nostra  bellezza,
un solo albero lungo la schiena

i tuoi fiori, tutto negli occhi 
è presente, così altrove, insieme,

un passo tanto dolce

può essere solo di gioia,

per l’ultimo matrimonio,

L'infinito.

*

La muta della carne in un respiro

Respiro  di balena il vasto cielo-
quasi tutto sapesse lo spazio in noi
cos’è,

ogni cosa che accadde
lasciandosi andare nell’amata
maestosa forza nel grembo dell'oceano-

potessimo raccoglierlo, ancora misti al buio,
un solfeggio per sussurri e vibrazioni 
nell'estasi oracolare, nel movimento
spargerlo di un vuoto interminabile
e ancora offrirlo agli alberi, 
con il caldo delle mani, avvolti
nei nostri piccoli abiti, negli occhi di novizi ;

 

è solo al centro che vedi aprirsi in folla
gli altri centri di eterna pubertà
quasi comprendendo chi li culla,
nel sonno che addolcisce quel lamento,

una volta c’era il mare, lì,

tutt’uno col deserto

E se domandi  dal centro della rosa

di aprire all'angelo le ali
adagio si alza in canto la fragranza
di favola e amicizia, ed è una  gioia
in alto, con un crescere che pulsa
il suo nome nel tuo insieme,
la muta della carne in un respiro
che s’incurva, che penetra nel vivo,
fiorendo  nello spazio uno per uno
la lucidità che schiude questo amore,
donando  libertà dentro lo sguardo
senza dramma quando deve ripartire
dalla luce delle diverse apparizioni.
 
Senza dimensione, la luce,  è l’infinito
e noi -  in anticipo per sempre sulla carne,
che lenta si distende nelle radici del parlare  

finchè  verrà a tacere-  dalla nascita,

se  crediamo in lui,  una sorgente

 

*

Le stelle vengono a piedi

Allunga le ore il suo nome

Con Indicibile e breve potenza

Trova riparo negli occhi

Una mussola bianca, si muove

E raccoglie  le cose del mare,

Nella fragile danza di casa

 

Così profonda l’assenza

Da tornare, come una volta,

Dove precipita il respiro

Negli spazi fino ai minimi d’azzurro

Sul margine del bosco necessario

Per togliere dagli occhi la chiarezza

 

Offro un sentiero al silenzio

Verso il largo del pianoro, e più su,

Alla chiusa del vento, si colma,

Nascosta tra le mani,

Di tutta la distanza luminosa,

Un’urna, per dire sì al Solstizio

E niente ombre

 

Mentre vegliamo la luce più grande

Del giorno che c’è, in fondo alla gola

Un fluido commosso si acquieta

E le stelle vengono a piedi,

In processione, stupende

Alla notte minore, da farti restare futura

Nel continuo vedere e chiamare

Mammet

 

Nel piccolo buio. Inciampo ancora

e bevo,  nel grumo, dalle radici amare

Sprigionando la luce da cui vengono gli alberi

Come te, con un gesto delicato

Come un discorso d’amore

Imparo nuovamente a cadere,

Più grande e devota, attraverso  le vite,

Tutte le maternità che genera la morte,

A rialzarmi  tra poche cose, nella povertà,

Più sensuale e pura, conosciuta

 

Nella perdita, ogni cosa ha la sua legge

Fino al bordo della vasca

Un solo sorso d’acqua, per la gioia,

Basterebbe,

Come i fili d’oro sulle cicatrici

Che riparano quei vasi, per brillare,

Basterà.

*

Nel volto che trapela dentro il viso

Il segno è figura,

la figura è atto,l’atto è unità,

comunione, integrazione, generazione;

l’unità è il divino, il divino è figura,

la figura è segno

 

-Emilio Villa-


Non sapevi del divino, o dello spirito distinto
Dalla carne, nella realtà sensibile e unitaria
Con le grandi chiazze rosse dei bisonti
E il coltello di silice insanguinato

Dell’uomo dentro l’uomo_remotissimo
Nella tua  naturalezza,
Il sacrificio 

E' l'equilibrio di energia
Tra l’animale e la figura sulla pietra


Nella caverna siete uno e tutto il mondo,
Nutriti della carne primordiale, un solo Dio.
E tu lo mangi, nello scambio, 
Rinasci l’omogeneo - il nostro agnello, 
Mutato in salvazione
- non c'è morte,
A risospingere la vita. Nel simbolo agitato,

Prima del totem del tabù e di ogni religione,  

Sei presente, al massimo universo

 

Con un segno una ferita- tra le mani
Forti le incisioni o  leggerissime- 
Sul ventre del magma immaginario
Ti dilati per contorni, poco a poco
Le  corna sono vita, e gli occhi e il cuore 
Del bisonte, che gronda sangue o stride
Del divino percepito : Sei il segno


Tradotto dal silenzio dell'amigdala-
A misura delle mani, la tua mandorla,
Dichiarazione umana, più che un nido-
Con il cuneo nella mente hai scritto i battiti
Hai deciso per la forma con la punta, 
Per nutrirsi, per nutrire  un’anima,
Accumulata nelle tue caverne sacre

 

Senza passato della prima morte 
Nell'atto  dell' inizio in creatura
L'intero concepire, tutto il  tuo pensare,
Nell’esplosione irrimediabile del rito,

Al sommo dell’azione, la più lunga

E' scrivere: la forma della bestia,
Col movimento delle dita come fiati
 
Colorerai le vibrazioni semplici del polso
La concezione dall'impeto  al riposo
Senza  numeri del tempo, ti ripeti, uno,
E uno dopo l’uno ancora  uno

Nella pura quantità del Tutto.  Il nome è solo
La voce universale, nella sua matrice, il vento


Nel silenzio,  sacerdote e vittima, di sale umano
Veemente  fino all’orizzonte e al primo cielo 
Delle acque di una partoriente, fino al germe

Al cenno al soffio umano, a quello che sarà

Una poesia
Sul ventre amplissimo dell'immaginazione,

La rinascita dell’anima, primordiale al sé umano

Sulle vertebre ora cantano i tuoi versi
 
Rischiarati dalle tracce di una luce
Con la scia nel nostro sguardo scriveremo
Con la sinistra delle mani
Disseminando nel gesto le visioni
Come croci cerchi stelle o altre  sfere, 
Nel volto che trapela dentro il viso

Nell'ultimo nascondimento della luce 


In_segni, prima del fiore, la radice-
Traversarla , nel più piccolo morire
Della vita- da cui si irradia l’infinito

*

Nella giunzione irriverente delle mani

L’immersione nell’anima di uno sconosciuto

infilando il dito nel buco della diga,

perché non mi travolgesse la sua favola,

poi viverci accanto e sognare

 

-eri meno di un sogno, di là,

perché ti sentivo arrivare

figlio del mondo e madre perenne

dai lombi sacri, le ginocchia svelte.-

 

con la polvere negli occhi dell’infanzia

mutando le parole con la pelle

nella meraviglia che dischiude un sesso

come l’alba, imparando l’abbandono  

col tramonto e un fascio di capelli

 lasciati lì a durare

nello sguardo altrui chissà in che modo

 

nella perfezione muta del nostro nulla

ogni giorno accade il “ sì” dolcissimo

- e  sale dalle pagine dentro la tua vita,

superando l’esistenza di un Dio instabile-

con le gambe nude, ovunque lei si trovi,

                                              nell’acqua,

per catturare ciò che in ultimo ci copre,

nella giunzione irriverente delle mani

col seno  sta  giocando coi tocchi della  luce

come fosse creta / sotto i tuoi occhi

come un’altra pelle, indifferente alle regole

fitte di parole incomprensibili,

tra le arance d’oro. Piena d’acqua

                                           della nostalgia  

sta cantando nell'occhio della rosa -

piantata davanti alla finestra,

guarda e si raccoglie nella vasca

col vivissimo amore che discende

nel punto più del  grembo

sotto la spinta del suo crescere

tra i cespi di more- così lucente,

nelle mani di chi ama,

persino il suo lamento

     viene, all'ultimo.

*

Non guarda più contempla nello spazio

Il volto che non raggiungo me lo dice- la femmina

del profondo, con una lingua sua,

vede le cose parlare,

come appena presente, una famiglia

che sopporta l’essenziale con coraggio

:la contemplazione senza polmoni fissi,

respirando lo spazio, prima, poi l’aria,

e le cose che lo abitano- cercando un punto

sulla fronte, con l’anulare della mano destra

lo cerca, chiudendo gli occhi, senza significato,

con una dolcezza vista soltanto nelle foglie

quando si sdraiano  negli animali, a terra, poi

 

non guarda più . contempla nello spazio

una sfera di  8 ettari di medica, infinita

in sé presente nel suo vuoto, danza

e danzatori  insieme, noi superando_

_ci siamo bagnati  senza separazione

senz’acqua  lavati via le croste con la luce

in ginocchio, pianopiano, celebrando il dono

impossibile da nominare, così sottile

che perdi la strada con le parole. Come valli

vuote nel movimento come tronchi

sinceri,  come acqua torbida che sedimenta

andando alla quiete, alla sorgente colma

della voce che vede le cose parlare

quando ancora non sono presenti

 

lì, dove abbiamo seminato la placenta,

quando la neve è all’appuntamento,

si addormenta la foresta con le mani

a quattro zampe:  c’è un piccolo paese

tra le nostre dita, coi lumini sopra i piedi

vicini si vedono in lontananza, si fanno visita

nel sogno, e nel cuore della bocca

nasce il nome, gemendo, dalla fronte,

           ti goccia  negli occhi

 

    così ti scrivo, senza guardare,

 nello spazio puro, che danza immobile 

                        l'amore

 

 

*

Narinzemi

" Eia, mater, fons amóris,

me sentíre vim dolóris
fac, ut tecum lúgeam."
 
Nel  tuo racconto  sulla spiaggia,
aperta dalla luce
così  pura nel mio male
ho riconosciuto quella donna, 
e il resto intorno, dalle spezie 
tenute tra le mani,  dalle mille 
e una notte alle confessioni;
 
affondava nell'aria una scala di seta,  
su tutti gli aranceti che esplorano lo spazio,
tra le vesti  e la casa degli uccelli-
un canto solo e i violini due respiri
vicini all'elegia, di quelle notti estive
un momento di amicizia tra la veglia 
e il sogno  delle  rose, nel silenzio, 
su cui poggiare la testa. Con il filo
 
ti racconto del zaum, di quella  profezia,
con l'incanto della lingua piantata sulla  terra, 
dove l'avvenire non è avanti, ma ti avvolge
all'intorno che ci aspetta
 
ti lascio entrar dagli occhi  
come un lungo inverno e madre mia 
come sabbia sul mio fianco, benedetta 
in ogni angolo in ogni baia,
per brillare senza ostacoli - 
il mio fesh-fesh dentro la carne
 
la dolcezza del tremolio, 
è così forte al sole
che le arance scendono negli occhi e tu
mi sollevi con un'ombra, mi proteggi 
in una scia, come sotto ad una chioma 
che dissemina dal centro il suo calore
 
prima di ogni altro narinzemi ,
curando il taglio tenero del succo 
negli occhi dritti al fuoco,
con gli intervalli di bellezza dell'amore,
mutandoli in colore, 
spezzando la rincorsa alla neve eterna, 
nel giro più normale  della vita
 
Ho pregato in quella donna, l'adagiarsi in me
della sua voce, tra la riva e la coda di cavallo 
che portava, nascondendo  un fiume più profondo
del filo rosso in gola, di vaghissima bellezza
 aveva un dono per farti sentire sulla pelle
la fragilità dell'esistenza, e un patto con la vita,
un mistero che non riusciva  a interrogare:
migrare o morire: inseguì le mandrie di animali,
selvatica tra le bestie  nelle praterie, fino a casa. 
Al nostro mare
 
ci alziamo,  col suo vero nome 
a un solo tratto dal corpo, e un uomo,
un uomo di passaggio, che aumenta la realtà 
correndo, allargando la ricerca della grazia,
ad ogni passo e un varco
capace di contenere orme ed il domani
sulla soglia, di bianco in bianco 
correggendo la nostra vista corta,
nello sguardo curvo, e vivo,
come un invito, nella stessa orbita
 
quello che ho amato - spiega-  è senza fine
tirandosi dietro l'anima,  proprio il corpo, 
recuperando peso, residuo altare alla fede
                                                  nella  vita
per essere vera e sacra  - prosegue, 
unendo  col suo volto le mie mani-
sono il labirinto di una persona
che si è persa,  nella trama dei suoi vestiti neri,
che domanda l'unità, fra la voce ed una storia,
di un'armonia difficile da trovare- Sotto la neve
non esiste una realtà unica,
come sia arrivata qui, e chi l' abbia
accompagnata nel sonno, senza sogni..e poi
 
Si sofferma, e prega, con gli occhi del mare,
sulla freschezza, nell'ora più chiara,
girandomi  l'acqua tra i piedi. Rianimata,
vedo appena il movimento del respiro,
mentre lui scompare, oltre le dune, e lei
messa semplicemente tra le mani, 
una resina chiara che risale 
fino all'ultimo degli alberi di Sasso 
 
avvicinandosi prende una luce,
l'odore di questo segno splendido
                                  della sua vita
per farne Una
                     che alla mia cammina
 
 
 P.G.Fischer
 
                 P.G.Fischer - Donne sulla spiaggia

*

Come il Nuctes di Michaux

Nella tua dura luce strati di terra

più concreta e necessaria

nell’intimo si piegano,

ma il poema batte ovunque l’aria, e il sogno

che racconta  la ballata, il largo con le labbra

degli occhi- del desiderio di contatto

di un sorriso universale  con il mondo

creato delle acque-  più elementari,

è uno sguardo all’uscita di casa,

tra  gli alberi  e le ombre, un inchino

 

Nel chiuso dei pensieri sei rimasto, e solo-

senza mandare un brivido

a sollevarmi i capelli-

tutto all’altezza della parola

supplente, quasi, fino in fondo

finchè, amore, non ci separi

una piramide di fango

 

Se avessi tolto prima  la cornice

ti sarebbe apparso il perimetro alla tela

con il colore originale dello sfondo,

il rosso carminio, del carapace della cocciniglia,

dove tutto si trasforma e viene fuori, nel ritratto,

lo splendore della vista attraverso le comete

di ceneri, silenzi e fioriture, la chioma che innamora

come una campagna che tutti abbiamo percorso,

una stradina nel verde dove s’infila il vento, e noi

con lui, nello spazio breve del giardino

che genera l’incontro, tra la visione e il cuore,

giustificando il transito: l’adagiarsi della luce

piano, quando viene sera. Nel lembo estremo,

 

scolpito nel tempo di un riverbero

è una vertigine infinita la calma coscienziosa

sull’ottuplice sentiero. Amici, è tutto quello

che verrà, dopo l'arrivo alle nostre mani,

strette umane l’una con l’altra a dondolare,

annunciando l’inesprimibile, come in sogno

nei carmi figurati, ricreando geroglifici

le nostre tracce, lasciate nella notte/ dappertutto

 

mi chiedi di morire quel che c’è?

Il viaggio da luogo a luogo, l’intreccio, come

delle voci, i rimandi, le scoperte, gli accostamenti

all’amore, alle mie pareti, le praterie, il tuo volto

come enigma,  e le radici a nudo, alla fine del corpo,

non meno della mente o della musica

della storia personale dolorante. L’emozione

dei nostri silenzi, sulle pupille d’alabastro, e la danza

ininterrotta, dal divano blu, ai pianeti fluorescenti,

nella stanza dei tesori, il colore biologico del rosso,

sulla veste impudica, i movimenti della mano;

con un gesto unico, la mia montagna che cammina

vuoi.  Immagine e scrittura

sembrano chiudere lo spazio

ostacolare il balzo avanti dello sguardo

 

è  viaggio nell’aria, il mio, tacita e lieve,

che si apre accogliente sull’immenso andare,

come apocrifo e segreto resterai,

celando il vero volto, semplice ombra

di molteplici tu che viaggiano in sogno

cercando il segreto in un’altra vita.

 

Strati di silenzio inalienabili e nudi

mi proteggono, come alla nascita, muti gemelli.

Con l’addome magro sul volume di preghiere

non prometto di non immaginare

che siamo corpi esposti a un Dio,

fragili fortezze, nella pace giusta della gioia,

che abbiamo vissuto. Riassorbiti dall’acqua

i versi. Se ci addormentiamo fuori dai corpi 

ognuno ci sognerà,

con qualche gesto da ricordare:

 

sapremo  l’uno dell’altro, restituendo l’antica bellezza

di un Amen. Sul mio quaderno poso il tuo nome,

di un bianco lucente fino a perdere i sensi, e scompare

con l’arrivo del nero, si colma a disegni,

formando una rete i trattini, il ritorno alla quiete

 

Senza più lingua né voce, è il nostro sonno,

dalle mani alla carta. senza le braccia,

riprendo a camminare, sorridendo,

come il Nuctes di Michaux, sotto le spalle,

l’abbozzo di un’ala che cresce,

piano, pianissimo,

per volare ancora nei sogni.

 

 

 Henri Michaux, Emerging Figures -

The National Museum of Modern Art

               Tokyo - 2007.

*

Reliquia desiderantur

Non ci sono tutti i pezzi, mancano

persone incontrate nella vita

dentro una pena grande o fili luccicanti

di una gioia bianca in ogni poro

nelle strettoie del buio. non indietreggio

sotto la mia mano, mi apparto

e disegno figure d'angeli, e l’angelo

che avevo in mente più di tutti

 

assorta nell'acqua, all’ombra di una storia

accesa come una candela

per quelli che non hanno occhi,

per i fiori, anche per me, salto

da tutto l'invisibile- come fa un bambino

lanciando il gioco per avere la misura

di gravità- del canto, del rumore in una strada

bianca, a velo, sul Sile.

 

Durante una piena dolente di dolcezza

viene avanti piano il bene

lo annuncia l'aria, anche quando non ci sei,

col suo atto d'attesa, e l'anima

sussurra di luce, immensa luce-

 

togliendo i chiodi uno alla volta,

morbidi, dagli occhi chiari,

fino alle radici rimaste con me

-riparata dalla punta scura

risaliva la notte, e tornava

propagando le movenze dei capelli

e un cerchio, fiorito sulla bocca.

 

il resto intorno nudo, come la bontà,

insorgendo lentamente,

senza aggiungere nulla, scopriva il capo

di gratitudine, con la bellezza tra le braccia

del sesamo, a rubare la morte- nel cristallo

dell’amore infinito, sul suolo più puro

-che non esiste. Oggi era il tuo nome

composto col sudore splendente

nella fatica, raccolto da terra, brillavi

come una lucciola, sulla conchiglia del fiume

senza inizio, e senza fine altre vibravano

dipinte sull’erba- le tracce, se le adoro

in quella loro luce scarlatta, se guardo per bene

non hanno limiti, possono solo danzare,

a sigillo del tempo, che manchi

 

mi pare un luogo che conosco,

appreso in sogno, alimento d'amore,

e forse, quando vuole pregare,

lo fa col disegno degli angeli,

con questo colore e più dentro,

se mette il seme di un cuore mancante,

altre lingue nel rigo, altri segnali,

è per dirci che c'è

altra luce, per l'alleanza  del respiro

e la forza  misteriosa che lo rende,

quando è ora.

 

 

*

Nel peso taciuto

Non è accaduto all’improvviso,

Ma dal dolore al domani,

Allungando le dita negli spazi,

Troppo grandi di sgomento

Perdevamo il nome delle cose

Nel lucido dell’occhio,

Tra la superficie dell’aria e il battito

Sulle nostre nuche : due diverse soglie

 

In due diverse stanze, dallo sguardo basso,

Ci siamo amati a non toccare niente,

Mettendo il corpo non so dove,

Pregando nell’altro di farci passare

 

A mente vedevo spostarsi la tua schiena, e il dito

Finire nell’orto,

Toccando il velo rosso degli anemoni,

Impigliati tra i seni del tempo, rimasto

Dopo la preghiera.  Eludendo l’angelo

In un varco, in anticipo sul pensiero,

Cominciarono a muoversi le labbra,

Le ossa del suono a scuotere la notte,

Sulla porta azzurra dei pianeti

 

Per non scriverti, ora, dovrei lavare piatti

Ma non cucino, e ho una tazza blu, soltanto,

Che va e viene dal vuoto al pieno

Dei bisonti dentro il petto,

Con l’unità che tento di raggiungere,

Tra la purezza inesprimibile e la parola

Di un Aronne. è l’eros dell’attesa

Di nuova bellezza, ed il tuo tempo

Diviene questo spazio. Di una luce abissale

 

Riprendono i nomi le cose, il pane alle labbra,

Se appena l’annusi, lasciando la parola

Lo disperda ancora, come ogni nuovo inizio

Incline al vento, che ripete sempre uguale un sogno:

L'andar solo per la propria via, profonda,

Passando tra le miniere per risorgere

Nel grano, si flette, nel colloquio,

Nel più intimo duetto al giardino dei gentili

 

Dopo il candore,

Se un corvo becca ancora le tue mani,

Alla fine si scolora, ricordando

Che il contatto è il desiderio col perduto

La ricerca di aderenza all'altro

E molta fioritura. Serrata tra le ciglia

Va la scrittura col passo di una sposa-

Apparente, e insieme nuda,

Prima di vederla in volto- battezzata

A qualcosa che si lega, che precede

Un codice smarrito, ed immutabile

Cercando di continuo i simboli, per dirsi:

 

In questo luogo antico, fiore del vento,

Restituendosi nel cerchio della sera,

Di là dagli occhi, nelle movenze dell'origine,

Senza riserve. dove la vita sgorga,

Affondata in tutta la sua luce,

Ancora una volta scalza, ed Ama,

Senza farsi udire nel suono,

Nel primo pianto della gioia,

Un gesto di pace,

Che si raccoglie in tenerezza.

 

Figli di noi stessi, ci sia sempre speranza

La visione di ciò, a un anno dal Noi,

Le parole che vennero,

Dopo un secondo linguaggio

Riprendo ora la lentezza della danza

Nella mia tazza blu_ oltremare

Quieta del tuo narimi, nel mio cuore

 

A perdita d'occhio. Nel peso taciuto

C'è un nuovo lascito di luce,

E di fiato,

Coi suoni più piccoli dei serafini.

Continueranno a posarsi sui rami,

Spargendo il polline che noi respiriamo,

Orientandoci alla testa dell'albero

Di un uomo-cristo-poeta

*

L’ultimo sole da baciare

Si tendono le dita come foglie

avide. È l'acqua che domandano,

nella sua continuità, alla nebbia

che risale dal torrente. Come un prato

assorbo l'acqua che ricade, e un fiume

che riflette 

nell'argento del  branzino,

luccicante di salvezza, la poesia 

 

Ho solo poche cose, un frutto umile per dire

di come nostro figlio  immerge i piedi -

volenterosi e incerti 

a molcire il dolore del distacco-

l'orma piu completa e morbida

nel sapore dell'argilla sul fondale

 

Ti bacio gli occhi,  generando ancora 

un altro_fratello, sulla bocca,

dove sei Perfetto, 

per renderti  una casa,  una perla 

                             a cui tornare
più della mano, è il bacio
la lingua degli uccelli,
che inizia nel tuo ventre 
crescendo nel mio corpo 
                               con le ali
ripeto un ritmo muto e brevi spasmi
nei cerchi solari delle piume
 
finchè svanisco io, negli occhi, e il bacio
nella pace del respiro di un bambino,
nell'altra metá dei sogni
di chi ci diede vita 
                                   in altre acque -
il golfo sacro delle stelle, 
                        dov'è la palpebra divina
l'ultimo sole da baciare
 
 
 
 
 
 
 

 

*

Alla bocca del fiume

La gola dice mare, quel che resta,

sull’autostrada del Sole,

nelle pieghe delle cose

chiamata dentro, amata

via via più semplice

la bava del cielo, e le labbra,

al limite del gioco, gonfiano di sale

un verso e lui, nel fiore degli occhi,

la chiama innocenza, mentre

trascrivo con pudore le sue parole,

tralasciando il clamore superficiale,

esausta e serena sono a casa - qui,

deve esserci la quiete  e di nuovo

campi per il vento, adeguati al corpo,

al nulla che mi afferra, tanto poco

vergine, senza condizioni,

come una nube mi allargo, masticando

sassi e cantilene - con la pioggia

raccolta ad aspettare.

 

Protendo il pugno del respiro,

ma sembra un fiore, succhiato dalla voce;

un pane che ha radici, amare,

pegno e impegno, costante

e fedele. lo proteggo, con la mia nudità

semplice e antica. Nel silenzio

di gioia,  ho lasciato il mare,

a perfetta distanza da te.

 

Pronuncio terra, come un amore

tenuto stretto nel suo cerchio,

il suo scorrere, la sua luce

nell’ultima più angusta cavità

                                                     del cuore

senza giudicare, come un frutto che matura

trasformo le mie lacrime nel contemplare,

il sapore di dolcezza, che ritorna ancora,

nella lingua dei pesci, e preme ed entra

dalle dita luminose, distese sulla spiaggia

l’ultima volta per te, vive, nell’unione

 

come adesso che ti parlo,

alla bocca del fiume,

e celebro tutto ciò che vedo,

in bilico, su un ramo,

il senso della luce

che libera gli uccelli.

*

Basta un chiarore, un capriolo quasi in cima

Per inizi mi allontano, carne a carne,

dove il fondo designa la sua vetta-

sepolta nella terra, dove tace la semente

nei giorni della mia passione
-nel suo grembo, ricerco le sorgenti,
figlie dell'altezza nel seno delle valli,

un filo d'acqua appena
nel rintocco sottile che accompagna
con lo sguardo umido dei fiori

che non s'impone mai, che non si scopre
dalle nevi, dai ghiacciai ai cristalli delle nubi.

 

mi fermo qui, seduta
come all'occhio di un veggente,

che accetta di essere visto
nella dolcezza del riposo che mi assorbe

nel balbettio. L'evocazione sola

di un simbolo sul ponte mentre piove,

scilla fino in cielo coi colori ,
nel solenne risveglio delle pietre.

Attraverso la bellezza e lo spirito cammina

verso l'invisibile. ti mormoro di sì

nella valle piu fertile e nascosta

per udire la tua voce

conosco appena i rudimenti della lingua
lo scintillio nella movenza, i lampi provvisori.


E tutto trema come a un'immersione
nessuna traccia dei tuoi passi
un rifugio o il tempo della vita,
se il cuore batte , se c'è gioia, non lo so,

posso soltanto viverlo, lassù
non so nemmeno di pregare,
come un fiore il suo profumo,

dove il vuoto partorisce nel segreto
i salmi del silenzio e le salite 


tutto diventa trasparente,
dove l'anima riceve un figlio, piu che averlo,
seguendo un ordine armonioso

toccando lieve il suolo
senza osare calpestare mai la cima,
il centro della vergine, la purezza
del miele della rupe e l'olio,
che non trattiene

neppure lo sporco più sottile

di un bambino con un solo giorno al mondo
nella Corona del paese
 


è una preghiera in cammino,
e lei in cima, sepolta dagli angeli,

sola, nella stessa solitudine del Solo,
toccando con le ossa che Tu Sei ,
le mani si immergono di cenere,
che il vento spazza senza sosta
sul muschio delle pietre, sull'erba alta
nei cimiteri trascurati, della Grande Morte
infine, poco a poco, e in umiltà,
nell'ampiezza del silenzio

io ti offro un canto

che va oltre l'eco,

un canto privo di parole,
nella memoria e nel cuore

mentre dondolano gli alberi come danzatori
o santi dello splendore vestiti d'edera

Faccio comunione con le foglie,

non ho altro, nel suo giorno amato,

con mia madre, che m'inonda sui vestiti
senza mai staccare le sue mani-
lo spazio di un lampo e gli occhi
brillano del vuoto che nasconde

i raggi dentro la montagna


come alla confluenza di due mari,

è una calma marea che mi trattiene
dove l'onda non si ritira più

dove non comincia a risalire,

da non poter tornare con le mie forze

indietro


mi tendo con le mani aperte

in attesa di un dono, un piccolissimo commiato,
richiudendo poi le dita sopra il vuoto:

basta un chiarore, un capriolo quasi in cima,

dove le anime non muoiono e si sposano,

in questo nulla di qualcosa di creato,

alla fine dei miei occhi, mi riporta a casa,

col profumo dei suoi fiori, già compiuta.

 

 

 

 

*

All’ultima parola della sera

Quando la guardo non so respirare

Mi basta il tremore di un velo

Qualcosa che giace oltre le mani

Il dolore e la gioia, quando succhi la ferita

Dal taglio del prepuzio, con la luce.

 

Omozigoti madidi  d’amore

Sussultano al contatto della pelle

I nostri occhi pieni di saliva

Tra le cosce tese, dov’è più pallida la vita,

Nell’orgasmo di passione, di mangiare Dio,

Entra una carezza, una per volta,

fino al mormorio-

La più fiumana delle madri

Che va indietro anche nel tempo-

 

È tutto qui, al centro, che salva la parola

Dove anche i rami bassi son felici

Il più amore di tutti gli amori che ti arriva

Come una felce leggerissima sul viso

Poi risale, con un fiore tra le labbra,

Una cosa amata, sospesa tra due vite,

Dolcissime e feroci.  Se si ascolta,

Ti ripete che  in un figlio brucia

Quel divino, che si apre come una ferita

Anche  la gioia.  La mia voce di battesimo,

E di fango, si alimenta di uno sguardo

In un paesaggio, di una creatura luminosa

Che forse non sa niente

Dove il dolore trova la sua pace.

 

Mi arrendo al grembo misterioso

Dentro il campo, per dirti che sorrido

Che mi curo con l’erba medica, e le foglie

Amare  delle bacche, e la tua poesia.

Tutto resta nel mio corpo

Che sparge la certezza del tuo essere

Invisibile, come il fiore della felce

 

Vengo a te,

Con il sangue degli occhi, il più dolce,

Tra le cose della nostra carne,

Quando mi accompagni sulle labbra

All'ultima parola della sera,

Sorella, luce occulta, e sposa

Dell’ombra  più vera del reale,

Spandendo la tua sostanza bianca

Nella sua corona radiosa,

Nell'unione,

Piena di sale  prezioso,

Purissima.

 

 

 

 

*

Chiudendo al seno le persiane

In tutte quelle cose c'eri tu, dentro le case,

come sul petto dei devoti, proprio al centro,

mentre salivo con il corpo la montagna,

sulle spalle scintillanti per la pioggia

si schiudevano tutte le persiane,

nel sentire che davvero piove

quando scende la Madonna su Bologna,

e vi penetra un'immagine:

 

-con chi vedi la prima luce, tu,

con cosa spingi il buio, fuori dal balcone,

con gli occhi soli o tutto il corpo insieme?-

 

Alzale piano, le tapparelle, amore mio,

sono gli occhi delle case e benedetto il giorno

sia, nel movimento impercettibile che amo,

di quella leggerezza nelle celle,

mentre sul bosco, io, spingo fuori il seno

con le braccia unite alle persiane.

 

E' la storia che risale dalle spalle

dell’aurora e prima ancora all’alba

annunciando qualchecosa che s’insinua

lentamente

nel chiarore ineludibile al risveglio

un balbettio appena un’ombra della luce

che produce un segno. Fra tutte le fessure,

è da lì che passa la bellezza, e gira,

nel momento privilegiato del respiro,

anche se è una cosa di un istante, come noi,

e prima che compaia sul tremore delle rose,

quel sorriso, la linea dell’aurora

che scaglia tutto il buio in fondo ai vasi.

 

L’alba assiste al sogno, e tu lo sai-

prima ombra della luce-

penetrando negli occhi senza lotta

sembra offrirsi, lasciando solo un mormorio

dove germoglia come un seme sconosciuto

che forse, solo a notte, senti palpitare,

quando per un voto si produce nel silenzio

come il frutto della nostra profezia,

celebrando le sue nozze con il sole-

e una lingua impregnata di colore

di canti nascosti, nella sua radice,

nella voce primordiale- fa l’aurora..

come l’erba e i tulipani del giardino,

quando cercano la luce, nella loro debolezza

come a un’acqua unica si volgono

 

Se col petto unito alle mie braccia,

se spingo piano le persiane,

mentre alzi lentamente gli occhi-

da lontano- confondendo l’alto con il basso

veniamo insieme col mattino, poco a poco,

abituandolo a parlare, come l’alba con l’aurora,

ci congiungeremo nell’annuncio della luce,

nell’invincibile unità dell’infinito

 

saranno parole sacre le nostre voci,

sui balconi, e un cuore la tua mano

che scava un vuoto tra le spalle e il viso

colmandolo di fiori. Sopra i piedi nudi,

quando prendo il buio di ogni sera

non ho più paura,

dove sono il tuo cuore e le tue mani,

se, chiudendo al seno le persiane,

ora guardano i tuoi occhi, dentro.

 

 

 

 

 

 

*

Namastè

La lucentezza di un girasole

narra una storia d’argento,

i suoi occhi un bracciale di fiori.

Alle spalle uno splendore.

È lì che giungo.  Namastè

e m’inchino al corpo che conosco,

al contatto che apre con  la pelle

per sapere se mi sono mai  sposata,

ti mostro il palmo della mano

aperta, e vuota

 

è nella bocca il latte che hai versato

attraverso le pupille,  in vasi d’oro,

come inserirsi in un canto centrale

a un’altra voce e controtempo,

ciascuno all’altra rivelandosi

nella zona della lingua. Sono sposa

 

quando seduta sulla tavola ti cerco

e batto coi talloni la spalliera di una sedia,

contando coi respiri il tuo arrivo. Già lo sai.

Con un cucchiaio chiamo il sole

a salire piano per entrare ancora

 

Son talmente nuda di colori

e non esiste oblio più grande

di ritirarsi in te, in questo centro calmo,

saturo d’aurora,

dall’intimo che sale nel silenzio..

 

e l’occhio ricomincia all’infinito

a vedere il dramma di energia,

lo spazio che si offre all’immaginazione

di un mondo aperto e chiuso da un ventaglio,

nell’istante di assenza del vedere,

la cecità del battito di ciglia,

per la costruzione della più segreta luce

 

il lenzuolo con le impronte  dello scambio

è una tovaglia chiara di cotone,

che stendiamo  con fatica nella casa,

contiene vento il muro e un fuoco insieme,

che si accende nel reciproco parlarsi.

 

nel mio mondo piccolo-  di stare tra gli spazi

da e con il corpo, che a suo modo invoca

un continuo basso- là, dove cantano gli amici,

nasce Dio, dove credere è ascoltare

che cantando si crede. Nella notte più radiante,

luogo per luogo,

partendo dall’intatto per curare il rovinato

dei beni amati, immergo l'ossatura della schiena

del torace dei nervi delle vene, tutto,

nella tinozza d’acqua con l’impasto di cotone

e giro di continuo con le braccia,

fino al foglio più compatto

disteso  poi a giorno su un panno morbido  di lana

e uno dopo l’altro salgo sopra con i piedi

finchè tutta l’acqua lasci  l’umido soltanto

ad asciugare sullo stenditoio, per incidere a calore

il simbolo dell’8, con un cartiglio, i tuoi ricordi,

pieni di preghiera e compassione. Non è sogno

la cura di noi stessi che saliamo in cerca d’aria

di un tempo primo della vita.

 

è un’ora comune per tutti,  e per lei

era l’ora delle ombre degli alberi,

che oggi quasi non si distinguono da te,

esponendosi all’amore verticale, l’assoluto,

che ti viene a trovare nella stanza, quando credi

di stendere le sue camicie fuori al sole

dove il vento fa l’eterno. allora scendo a quelle madri,

alle sorgenti, secondo il comandare del mistero,

quando Lei mi passa via leggera…e tu rimani

annuncio dell’illuminazione senza luce,

finchè l’aurora si riversa ancora e lascia

nell’incanto del giardino impresso il simbolo

dove si compie quella storia, nella  rosa dei destini,

verso sud, dove l’Akhal-Tekè, nei suoi deserti,

ignora ancora il celeste della neve

 

severa madre che disseta il ventre, bianca

tra i segni dell’inchiostro e dove fu una rosa,

dall’altra parte del silenzio, io mi genero, parlandoti,

nonostante l’ombra, e una memoria delle mani,

di una pelle che va sopra i vestiti

riconosco la chiave antica, di una strada,

posti dove andare più di prima,

e  muri per i polsi, a riprendere il respiro,

case che fanno credere alla luce

chiusa tra le dighe. Me lo dicevi

sicura, dentro la tua vita. io ti credo.

*

Nelle camere nuziali dei miei occhi

Mi raggiungi ognivolta,

nel segreto di Dio,

col fiato lento di una luce partorita

sui capelli neri fatti lunghi; 

questa è la radice che riparo

con pazienza, l'anello sulla zampa 

bagnato dalla pioggia, trasparente 

 

il mio sogno è tutto qui, 

lo spazio da riempire

più profondo delle cose

della tua ombra gravida,

durante la mia cena

leggera, di bestie, di libri, di alberi parlanti

e otto  ninive d'acqua sopra il comodino,

mentre mi preparo per la notte

e prego, nell'orecchio all'elefante, 

in quello debole, di lana,

facendo un solco piccolo col dito

un gesto chiaro sopra gli occhi,

come un segno d’acqua in chiesa

 

la stessa linfa di un fiore che si chiude

nell’armonia di una casa quando a sera,

sigillata dalle mani più amorose,

in sé divine, come una freccia va

e viene in fondo all’arco-

a rigenerarsi dentro al nulla

con la respirazione  degli uccelli

riuniti  nel fuoco dell’eros divorante,

che non divora l’occhio e la sorgente-

fino a lui, al di sopra di tutti gli amanti,

e nel vivo delle viscere pianta un riso,

aprendo il grembo nel segreto della rosa.

 

Mio amante chiaro sulla moltitudine,

dove poco a poco si muore in tutti i sensi

per vivere in te,  come pronti a fuggire

dal corpo scosso, dalle fondamenta

che si aprono via via che questa stretta

fa il profondo. E  l’Oriente ci risponde.

 

E’ il tuo Nome che posso udire ora

Posso godere,

senza attendere l’ultimo giorno

anche morire,

guarita,  nella tua castità

portando degli aromi

fino al termine di me stessa,

la pietra del nome.  E l’eros più sottile

è tutto qui, vertiginosamente bello,

nelle camere nuziali dei miei occhi

non ho bisogno di toccarlo,

è il silenzio che divengo,

il  bacio profondo di un angelo

 

 

                           Fotografia: Alpi Marittime

                                  di Luigi Maria Corsanico Nastasi

*

Senhal

Anche il più lontano dei volti

parla di una madre. Corpo a corpo

avevi un segno sulle labbra come un fiore

che ti faceva respirare

anche sotto tanta neve

lassù al pianoro

quando il fieno è già al secondo taglio

come ora                     

il mio sguardo si è fermato,

dove la quercia si carica dell’ombra

dove non riesce più a  germogliare,

nella carne pallida, ed è ugualmente felice

prima di sparire.  Ti  vedo danzare

di nuovo, come un corallo rossovivo

riprendere dall’inizio della morte

 

in questo spazio aperto mai finito

rispondo alla chiamata

nel gesto più semplice, dei singhiozzi,

scorrono oltre il sale le mie mani

e con il tuo spirito mi tocco:

fiorisci, e respiro più a lungo

sospiri, ed io lo stesso suono luminoso

che ti ha portato via

disarmata e nuda

credo nel credere degli alberi, nel canto

più antico della pazienza, del polline

quando ricomincia, fecondo e vago,

per condividere la gioia. Sei rimasta

piantata per terra soltanto/ morta/

con rispetto, come un’opera umana

del passato, emetti suoni

incidi ancora sulla luce

i passaggi dei sogni e della pioggia

con un odore di muschio/ vivi/

fai ancora meridiane . sui fianchi dell’altura

 

          mi sono costituita al tagliaboschi

          :sono io le garze appese ai rami, tra le ossa

          l’accudisco, mentre regge il giorno con la fiaccola

          e mi offre un fascio di papaveri, di spighe,

          dal suo  tronco corinzio. Come un rosone

          orienta la mia preghiera della notte

          dalla finestra. Tra il viso di Bruno e i suoi arnesi

          si è fatto come il vuoto

          di una contemplazione montanara,

e di un pastore . E’ un atto di pietà l’assolvermi :

“che la quercia riposi dentro il suolo

per onorare i morti”  Senza lutto,

ne coglie la bellezza. E tutto è ordinato

per restare. con il timbro e il suono del silenzio

nella gola dice sì , poi, con una mano alzata

sul pianoro,  avverte  la mutazione della luce

e dove l’aria profila  il movimento

concede il suo Senhal: rimane tua

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Opera: Manuela Carrano, Alberi su garza

 

 

 

 

*

Sono bambini al buio i luoghi dentro gli alberi

Con un ginocchio scoperto vengo a te,
sposa a sè stante, dalla voce,

prima che nella parola. Puoi sentire,
passando dall'acqua più verde al sangue,
con un  patto interiore, gli sponsali:
si scambiano il respiro, prima del senso,
un salto nella gestazione
di un codice smarrito ed immutabile

-nella lingua madre che dice il sesso delle cose :
nient’altro che fiori rossi, i nostri globuli

senza nucleo, nelle sue profondità invernali.

 

Ti accolgo nel segreto del midollo osseo,
pieno di occhi, tutt'intorno, come l'anello di Saturno
che contiene il solebuono

Sono le traiettorie per accompagnarti dentro

che brillano,
con la spartizione naturale dell'istinto,
dove sanno i sapori le parole,
con un ginocchio a terra. Nella postura dell'orante 
dalla quercia al leccio, al pioppo bianco,

sali con gli occhi  tutto il  verde  delle ossa,
delle immagini che vengono prima del possesso,
nel  candore di un vagito naturale

 è la catarsi,
l’appartenenza nuda a una poesia. Dimmi :

che ricordi  ti sfilavano davanti, da lassù,
quando ti sei girata nel ventre per la luce?
 
Dico  gioia. Per ogni gesto minimo dei rami
aderiva al corpo,

con le sue ginocchia coronate,
aspirando al cielo da lontano,
dove termina la strada
fin dai primi tempi dell’amore,
con la bellezza lucente della terra

sotto i piedi. è  un’ederlezi, per cantare,
appartenendo solo al lampo
accordatore di respiri,  tesi
su tutto ciò che vive solo
della primavera nelle  ossa.
 
C’è una macchia di purezza

nella stanza  armonica,
se mi avvicino il suo profilo è quello
di un bambino  e una sorgente sui capelli
che smette di morire intanto mostra
le fontanelle aperte come linee di una mano
sulla testa dove un tempo fu la notte
per gonfiare la sete al destino delle rose

rampicanti. Sull’albero del pane, come una volta,
a chiunque darà di noi la ricordanza-

il suono sulla cima a scegliere le pere, il loro nome,

lo splendore- tra le dita
della prima metà dell’esistenza,
quando solo la carne tremava sui cavalli
barattando con nuova salita per guardare

l’anima, quel punto così in alto,
dove la terra si muove e batte gli occhi
tutta quella luce sopra i fianchi.
 
Ogni goccia  provoca ancora sentimenti,
uno spazio vuoto che s’inclina poi s’innalza
nei buchi a doppio cieco dentro gli alberi,

come  perle sotto i vestiti, nelle tuniche di seta delle donne

quando assorbono la vita a chi le indossa,
con una forza sconosciuta sopra il seno. Dentro là,

si trovano gli amanti, il tempio che cela meraviglie,

le nozze verdi misteriose, e i geni;

 

sono bambini al buio i luoghi dentro gli alberi
che ogni giorno attendono la luce,
e la ricevano, con l’intero corpo trasparente,
la covano in sé, con la seconda vista. Amano,

inondati di vita, silenziosamente religiosi,
nell’inventare una luna, nella pace

di un cielo profondo, che si distende 

lentamente, lentamente nel chiarore
scaturendo una voce e un dorso lucido

come mani nell’acqua, che carezzano 

sulle ginocchia,  congiungendole,
come due piccoli Monti Athos

in mezzo ai loro rami, in fiore.

 

 

 

 

 

*

Sulla tavola di cera dell’ascolto

 

Seduta come una montagna
ti offro  il mio silenzio
con una mano sola, e una preghiera,
avvoltolata nella manica,
dritta  nella luce, senza peso
 
con lo  sguardo azzurro io ti cerco
nella nostra forma mobile di eternità,
inalando spazi la prateria dell’anima
e un nervo scoperto ai confini dell’umano
che santifica la perdita in candore
 
Sul tetto del cedro del Libano,
a guardia dell’eredità,
vi era appena  una voce, e lo sguardo solo
percepiva dal basso le parole,
dalla selce primordiale,
con tutto il buio sulla  schiena
 
è un rumore bianco,
chiamato dall’infanzia
un posto in fondo al cuore,
dove tutto ha inizio 
non c’è erba più erba dell’erba 
scossa dal vento di un sogno
che attecchisce alla terra
 
Tornerà dentro l’inverno con un fiore
sulla tavola di cera dell’ascolto
a mangiarsi la gioia trattenuta
alleggerendo il  fiato fino all’inno
nel pane sostanziale
più prossimo a quel volto,
accogliendo sulla lingua le ossessioni
di piccoli dolori, di quadri che si bucano
negli angoli più esposti, pieni di pudore
 
La voce si congeda sul terriccio
cercando una tana per dormire
negli umori dell’anima, si addentra,
mettendo una parola accanto all’altra,
un'essenza  di luce  che l’aumenti, 
che la tenga in vita-
dove la ferita  è il solco 
che attende per la semina,
premendo nella bocca i grani,
le tracce favolose-
per  ritrovare la strada
in un’acqua più grande di noi,
per affacciarsi interi,
con i volti illuminati, e versi brevi 
nell'ora più  acuta che ci viene 
addolcita 
nell’esicasmo: "per te
 
cerco di pregare
come prega una montagna
restando come in volo
nel fondo del respiro
mormorando a mezza voce
il canto delle rondini
nuovamente pari a stelle,
prima di noi, felici
 
 
 
 
 
                                            Opere: Okusai, Monte Fuji

*

Usando il corpo all’alba come il sole

Manipoliamo le ossa come gusci svuotati
del loro profondo, generiamo la morte,
nel rigore del verbo. S’incontrano il cielo
e la terra nel corpo reale, compagno
dell'umido nostro incompiuto
 
accade in silenzio, ma in fondo a quel vuoto,

se solo ti sporgi, vibra una messa,
diffonde il suo profumo, per l'arrivo dello sposo,
si tiene sveglio, in questo il sacerdozio,

e carne viva,
sconvolgente per bellezza, vergine
della sua fecondità,
mano a mano che il pensiero cede il peso
all’anima. mi ha tenuta stretta

in un bianco leggerissimo
fino a smarrirmi l'eleganza persa in aria

dei gesti così piccoli, il movimento imprevedibile,
dietro il gioco dei colori, di una danzatrice di Dio

per entrare nell’erba


Gli occhi aperti dalla grazia
illuminavano altrove ogni passaggio
solo per pura illusione immobile,
con la superficie ondulata di un sorriso

disegnando a terra con un nastro
il suo rifiuto di corrompersi,

e la sapienza di tornare,
nel grembo morbido e infantile,
per danzare intorno al vuoto

esercitandosi sul nulla
del barlume di verità 


qualcuno si sposta con lo sguardo, afferra un soffio
e la bocca si regala in un respiro,

mostrando un mondo. La vita di una donna
è passata di qui, nella propria povertà,
alta poco più di un metro, sulle cose


non posso  più scordare
lo spazio vertiginoso dell'eterno-
lo convoca l'amore il segno chiaro
che continua ad affiorare, quel contatto,
incessante perfino nella quiete,
che accorda volta a volta il movimento
e difende i nostri visi nelle mani,
quando vacillano le gambe di paura
e le braccia, nella sua dolcezza
-usando il corpo all'alba come il sole
quando avvolge le cose con la pelle
per accogliere ciò che accade. Allora


dico sì alla nudità, fittamente umana,
primo luogo dell'io che si dissolve,
con un bacio.  vorrei sentirti eco-
rimettendo  dentro gli alberi il respiro,
come stazione di una piccola passione,
-che lega creatura a creatura,
stanza d'amore e tenerezza. Insieme


faremo luce come corpi di bambini
che si sanno eterni,
tornando al prato che ci aspetta,

con l’orecchio accostato al cielo
nelle pozze. Di tanto volo
non importano i nomi o le durate,
che venga il canto, importa, fino al centro
così- con gli occhi nudi di una scimmia,
puntati sulle stelle per raggiungere quei luoghi


irraggiungibili stringo uguali le tue mani
mentre dormi- con musiche di carne

e al crescere dei seni,
viene ancora avanti una favola.

*

Nelle ore di luce più comuni

Nel giorno senza giorni

nell'ombra che raggiunge un’altra ombra

di noi cosa terranno le cose stesse

toccate, per l'eterno?

 

Se la grazia del campo  chiude gli occhi,

ridenti di ogni cosa, sul tendine del sole,

nella visione che comanda fino al sangue

tra il silenzio e la saliva degli steli,

nell’aria più sapiente c’è

una pianura immaginaria

allenata nel respiro

sulla  lunga sorgente della fede

 

dalla carne al bosco basta così poco,

appena un verso, e il cuore è circonciso

di ogni ben di Dio si alza il canto,

dove le parole non possono arrivare,

dove lecca le cose, e vive, senza pensiero,

 

in questo caos, lì, Ti avrei nascosto

all’ombra dolce, compagno e uomo,

tra gli sterpi,  nel rosso mistico della carne

gloriosa,  verso l’ignoto

seguitando l’andare come bestia

nell’elegia naturale che brucia la vista

donando ancora  la bocca calda

in una via qualsiasi, perché si accosti l’altro;

 

se mi sporgo, è tanto e chiara quella gioia

che mi giunge, la mistura,

con la forza eversiva del suo corpo,

è uno stadio del respiro

che insieme cerca il cielo

con gli alberi di maggio,

da cui rinasce come una bambina

segnata da un mistero

per un viaggio lungo come questo, amore,

 

scoprendo un velo che  tiene tra le cose,

con i salmi e con il corpo insieme,

un’addizione di splendore,

nelle ore di luce più comuni.

*

Nell’onda ininterrotta di smeraldo

Dicono che l’uomo solo

vuol sentirsi dire le cose,

apparenti e finite. sulla verità

non ha mai compimento

il nostro cammino,

per vedere sempre di più nella gioia.

 

 -Così, nel cielo,  rimane uno spazio,

e nascosto  di vero,

infinitamente si allontana

dal passo che ad esso ci avvicina-

 

Mi hai lasciato una manciata di kippà,

come  nelle mani a un ubriaco

che ha perduto le chiavi di casa,

perché non mi ostini a cercare

nei pochi centimetri d’asfalto

illuminati a pena da un lampione

 

Dove è troppo buio forse

non è un posto lontano

la brina che si posa

dove tendere le mani

verso il basso,

con l’assidua cura del muschio.

 

-Realtà minime e profondissime

ci portano là, dove si ferma la sapienza,

capaci di rivelare al cuore, ai sensi,

luoghi negletti della conoscenza.-

 

Se poni le mani tra i muschi, quiescenti,

senza alimenti e radici, se sfiori la speranza,

cogliendo la ricchezza, per ogni colonia,

la lentezza del dolore condiviso

spartisce il suo segreto fino a noi,

intravedendo il sacro, e come accade,

in poche ore di pioggia, tutto questo

 

con l’impronta modesta dell’acqua,

chinata verso il tempo delle origini,

nel proprio splendore capillare,

nel trasporto che avviene

c’è un colore brillante di gioia

che appare indistinta, se guardi,

nell’onda ininterrotta di smeraldo

 

così vicina, così piano, una mano,

se vibra  insieme, all’altra si fa luce,

nel silenzio contratto della terra,

scambiando segni, di comunione.

 

 

 

 

 

*

Portando a velo d’acqua il nostro peso

I vestiti impregnati d’acqua, ricordo.

Quel mattino non fu facile

con le ossa delle mani guardare dentro,

dentro il ventre del mandorlo

aprire una breccia, con morbida potenza,

con l’urto delle cose, dei giorni

producono scintille come pietre

sbattute insieme, per vedere la luce

dove l’ombra è più densa,

 e tutta la dolcezza fatta piena

accoglie e lega i luoghi interni

col mare della mente

 

Dove pulsa, in segno di benedizione, l’armonia,

ho bisogno ancora di una madre,

in questa notte, e una preghiera

per rannicchiare il viso

dall’esercizio del lavoro fino a sera,

una speranza: rimani un po’ con me,

con le scarpe in mano, e il silenzio quando viene

nella casa vecchia al mare

asciugheremo quei vestiti insieme

 

portando a velo d’acqua il  nostro peso

tornerà per terra, come un giacimento,

sbucheranno dolci, i gigli bianchi, e d’improvviso

prepareremo qualcosa che somiglia

alla nostra canzone per l’estate,

per ogni giorno. Non va perso niente-

dall’interno del corpo,

è carne vera il suono che trionfa

-nella sua storia d’amore con l’immenso.

*

Nelle quiete vasta delle mani

Affonda dentro ogni volta le mani,
a toccare  l'odore che bagna la pelle,
col cuore in sussulto, d'inchiostro
che morde in un verso, e si arrende,
poco prima dell'alba,
quando una linea divide
il resto dal cielo

annuso nell'aria come una bestia,
seguendo la cerva fino alla tana,
per ricordare la gioia
come sia iniziata  a venire
in tutto piena a dare sapore,
a farsi di luce, dentro un grande silenzio,
il breve respiro, il primo passo per terra
nei fili di giovane erba

così mi appare il suo volto
quando l'amore si è fatto
già un albero alto,
non solo una greppia- aveva l'età
della vita, vibrante nell'aria
e radici fin dentro nel cielo, 
dove l'acqua nasce di spinta
dal dolore dei sassi. Tutto canta
sui lembi di una stessa ferita


nella marcia misteriosa di una goccia
che scende con la sera nella gola
dei cervi.  È un lamento da seguire,
respirando dai talloni
l'urina luminosa sulle foglie,
per la femmina lontana, all'alba-
 
per  la stessa sete noi
attraversiamo il cielo,
seguendo gli antenati,
col filo di una musica che dopo
sará il vuoto e la fantastica bellezza
del sangue scintillante sulle foglie,
bianche. nei giardini della mente

un cammino interiore,  le tue mani-
un ciclo d'acqua, di bestie ,
in un ultimo slancio,
lungo il sogno dei mangiatori di loto
in cerca di parole e creature
-nella casa della sera
come uccelli sacri,
quando tornano al nido
con germogli e semi,
luminosi di fibra, di preghiera,
cui m'affido...senza temere
l'impronta  che mi sfiora al buio

è nella tua lingua che mi curo,
che metto in bocca  il suono delle dita
e con gli stessi occhi trasparenti

ci bagniamo le ginocchia,
piegate insieme nella notte,
aprendo un frutto al seno
lo splendore del racconto
dove il Tuo fluire è cielo
che avanza tra gli alberi e invoca,
con il corpo di una goccia sola,
piena di canti, e folta del bosco, 

la luna,
nella quiete vasta delle nostre  mani.

*

Alla Stazione del noce

Nel sacro cerchio dell'assenza
splende  invisibile il ricordo,
come nascondesse quel che svela,
dove noi siamo più vuoti,
il suono bianco di una lingua

dentro il tocco dell'aria:
anima e corpo in una tazza
d'acqua fresca, che torna alla sua terra,
chinando il capo,  nelle mani di Dio.


Nel gesto nudo e vedente insieme
possiamo prendere respiro

da quell’albero nero della notte
filtra ancora un sole come argento,
il silenzio da cui affiori,
si posa sui tre pini, e  sul tuo noce,
in questa sera umile, la pace.

 

Nel distante odore che m’invade,

io ti ascolto.  e un poeta è l’albero

-al centro della sua figura le pupille-

bastone segreto e testimone estremo 
impregnato di visione,
come dopo un lungo viaggio,
quando rimane il tempo leggero sulle braccia
senza vestiti e il ventre magro, alla stazione,
fradicio di gioia , dell'amore fatto,
che batte nel cervello come un polso
quando in cielo, la stessa ora di ogni sera,

c'è una nuvola, nello stesso punto,
che cambia solo  di colore,
fino a perdersi, nel  bianco più lucente

è una casa senza peso e di preghiere
un lungo lascito di sogni,
che confonde l'immortalità della ferita
con l'imminenza della Pasqua,
spezzando  il pane- come una prima madre
che divide la notte dal suo latte
mantenendo solo il seme al buio-
per ripartire da tanti anni fa,
con i sassi sotto i piedi e le farfalle
nel midollo, senza sosta, e nel sorriso
 
Tutto va alla foce di quegli occhi neri

nel restituirne la bellezza,
per come segue, nella  luce,

se tocchi questo muro della pelle,
tolta l'acqua che ho negli occhi adesso,
vedi che si muove ancora il giorno,
che risorge  sulla creta  dei sentieri
per mostrarsi nell'intero della voce-

se  solo tu conosci il timbro
e il sogno gonfio della Pasqua.

Lassù condurrò il babbo, sotto il  noce,

a respirare come figli piccoli. 
Tornerai nel vento

a fermare le sue lacrime,
nel punto esatto dove nonna
coltivò la tua placenta, con un fiore.

*

Nel tutto vivo della grazia

È questa piaga luminosa che ti offro

-nella piena oscurità che ci divora

nella pausa del viaggio più silente-

un'umida soglia e quel che ho dentro

di simile alla gioia, per entrare,

con la delicatezza del tuo corpo,

da parte a parte, senza voce

 

là, dove ti aspetti di trovare acqua,

c’è miele selvatico, tra la pelle e il tronco,

nel tutto vivo della grazia

sul lunghissimo amore, che sente,

come un utero contro un altro utero

in un luogo uno, arreso alla dolcezza

di tutti i silenzi

 

tenendosi le mani coi pensieri

una corda vocale passa per la cruna

stabilendo il suo contatto, e una nuova lingua

è un'alba in abito da sposa,

nell’immersione totale del battesimo

 

In questo stesso luogo

lo squarcio madido del vuoto

ci riempie il viso e attira

dove un Dio ci sente vivere

per accogliere la luce,

come nella terra pronta

le sementi

dopo un tempo di riposo

 

(mentre il padre si ritrae

diminuendo

perchè suo figlio cresca)

 

in questa piaga luminosa

nel tutto viva della grazia,

tenendoti la mano coi pensieri,

in un luogo uno, prego insieme,

tagliando i rami intorno ai segni

per scambiarli con Passione e ricordare

l'ansimare di un respiro,

sentendo che sei tu, tra le radici,

nella cavità dell'ombelico,

il corpo iniziato dentro il grembo

 

E tutti quei bambini sulla schiena

brillanti, fin dentro la terra,

attraverso la piaga stessa, ridono.

*

Nello spazio di carità del nostro vaso

Ascolto, dentro il vaso di cristallo,

le cose che non conosco, la radice

e il cielo tra le mani:

i suoi passi lungo i vicoli di Praga.

 

E un taglio netto si apre sul leggio,

la ferita  del  bordo screpolato,

è la cicatrice che portava sul tallone

per quella distrazione  della rosa,

mentre i vetri scivolavano per terra,

e i gesti lenti della fasciatura, poi,

serene confidenze del regalo

 

con gli occhi chini nell’anima del vaso

ho la tua parola e quel foulard

che si slega, e che si apre

al viaggio della sete,

che si ciba di memorie

per unire il tuo tessuto al canto

 

ma la parola ha lacrime stasera

che tintinnano sulle ossa di cristallo,

e gocce d’oro, dove finiscono i rumori,

poco a poco, tenere di  pioggia.

 

Lo so. Sei qui. Nel cerchio della vista,

soffiando al tempo come puoi:

siamo ancora scalze per le strade,

nella roccia cava di quel cielo, e brilla,

tra i tuoi capelli neri, come una corona,

anche il dolore, ridotto, infine, nell’ascolto,

penetrando nella pelle a lavorare-

 

la sua energia è un taglio sopra il cuore,

trasformazione sulla carne in luce

tra le mie mani tese e la tua offerta,  

siamo confuse col nocciolo divino-

nello spazio di carità del Nostro vaso

 

c’è un mistero grande, al centro della rosa,

un manto umido, messo da parte, come sacro.

*

Hanami

C’è ancora tanto da guardare.

C’è il rumore con cui siamo partiti

nascosto nella terra

catturando i guizzi dei muscoli facciali

col riflesso di parole in superficie

di un'acqua più profonda

 

Dietro alla facciata delle case

il non detto delle stanze, i corridoi,

i vestiboli dell’intero corpo pesano

persino più del mondo che si tocca

Nel suo modo d’essere Originario

hanno una  grammatica privata

un'oscura forma, le cose che noi siamo

per non assassinare la magia

Volevi mangiare i colori della vigna rossa,

disinfettarti alla luce di ogni giorno,

per scorticare la pelle con la sua dolcezza,

fino a spezzarti, nel cielo, ricostruirti

sugli alberi, tra i muri, sui volti che fanno

 

ti cerco come posso, dietro la schiena

e sotto le suole. C’è un Prima

-un flusso che attraversa  lo stesso luogo

che gesta le radici, nelle praterie della verità-

catturato con lo sguardo, non c’è errore

della vista, attraversando tanto spazio,

se oggi diventa tonda la tua casa

da lontano, tra realtà e vita. porto un sassolino,

un fil di lana anch’io, dove mi siedo,

insieme alle parole uscite via dal corpo

 

c’è così tanto da guardare

leccando l’alfabeto di ogni fiore

in cerca di salvezza. Sono due in uno Eduard Boubat

con ali bagnate nella polvere,

hanno un movimento circolare

prima di cadere, nel profondo che trattiene,

si fa eterno l’anima, prossima al vuoto,

affollato di luce

 

è l’intreccio di silenzio e di vocali,

la celebrazione, madre di se stessa,

un divenire prima di spiccare il volo

il sacrificio delle parole verso il corpo,

che genera l’amore,

al limitare della ragione,

perché ancora da dirsi..

nel respiro

 

è da là  che viene dentro, lo stupore,

con altri occhi, della mente,

e lo consegna in dono sulla lingua

nell’attimo che tocca appena il fondo

in una sola luce immaginale

è l'hanami, di vita in vita, che risuona

fino alla dimora del principio,

che si apre, ancora senza nome,

dove la sua voce è quella stanza

con gli alberi, e tutti i fiori dentro.

*

È chiaro ciò che cerco di toccare

Mi hai condotto nel tempo anteriore a questo esilio

penetrando nello spirito, nel suo principio al nome;

delle nostre lingue differenti hai fatto pentecoste,

dove il legno è primizia della croce,

in questo quattro Aprile, e oggi

 

sull’orlo del mio abito, colorato,

qualcosa vive  e luce a giorno 
è la radice interiore  di quel  figlio,

la gestazione, al culmine del dolore,

che promette di crescere

senza voltarsi indietro,

per diventare a ogni gradino carne

e tempo eterno insieme, nell’epiclesi

riunendo il cielo alla mia terra,

dove le acque sono amare

e amaro il nome. Condotto al tempio,

intanto sale,

comprendendo tutto l’infinito

che si limita nel cuore,

come canta l’ufficio di Natale:

“la terra offre una grotta all’inaccessibile”

 

Ha le gambe nude questo riso

di mio figlio

con una mano sola  copre il pube

nell’istante in cui tutta la tua voce

ci raggiunge a domandare  del finito,

aprendo una porta, in risonanza intima

col nome, nessun segreto divide più

le nostre labbra separate. Nel dire: io ti vedo,

Luca- è chiaro

ciò che cerco di toccare.

 

Egli riderà per sempre

dove  Dio ha fatto un riso

anche per noi.

*

Tutto è nozze

La tua Lilith, Adamo,

il suo grido più forte,

è solo

un giglio rimosso,
una libera donna
in cammino ogni notte
una nuvola in viaggio. Gemella


nella tua  cena segreta
ti narra l'amore in aperta campagna
con l'erba del cuore ti avvolge
scalando  i miracoli fino al mattino

sfoglia le pagine dei nostri passi
e diffonde foreste con la pelle dei sogni
con la dolcezza di ogni  parola

costruisce le nostre pareti
inondando con l'ombra le stanze,
più fresche al mattino,

come la prima preghiera


Sei  l’onda venuta fuori dal mare
di tutte le lingue e mi segui
mescolando i miei piedi alla luce
strappata dai nervi del cuore
con la  spina dorsale mi doni gli anelli

e un nuovo ombelico ogni volta
fiorisce, con un canto imponente

sul Reno
piegando i lembi alle vesti 

come un ricordo e sull’acqua
raccolti  i capelli all'indietro 
nasce un sorriso. e ti guardo-
Ci conosciamo? Per caso?-

 

“donna e uomo, sacerdotessa e tempio”

sono la tua poesia.  Velata e nuda io
mi nutro del suo corpo
dentro queste valigie senza fondo
per diventare sposa a questa madre
che ho generato
aprendo la mia fessura, l'anima,
sulle palpebre inviolate del tuo sonno
quando lacrima la notte sopra il viso,
e colmare il vuoto senza nome
tessuto sul mio vestito

per un simurgh


Sono una donna, e il sogno
è una via, che cerca se stessa
come saliva

trasportata dai pettirossi
        null'altro

tra gli alberi che amo
e l'ombra del balcone

sulla casa
 
lá, dove il tuo sguardo si distende
mentre il nostro profilo si  allontana,
nella sua magrezza, c'è questo fruscio.


Ė il principio di un odore
che vaga nelle cose,
fino a quando scompariamo,
impregnando il petto 
con le ceneri della nostra storia

 

tra le mani sollevate,

a sostenere questi fogli
come una candela,
c'è lo spazio di una gioia
che disegna ombre
come angeli
più alte di ogni muro

Tutto è al suo posto, ora,
quando salgono, quando scendono
uno stesso flusso di vita

Non chiudere il libro
per mille e una notte
saremo ancora nel frutteto
con la forza capace di mutare
dall'immagine alla somiglianza
divenendo, ognivolta,
un'anima vivente
e luce piena, infine ,
nel luogo della nostra nascita
 
Nel molto antico dell'interno di ogni cosa
tutto è nozze,
nel profondo del buco senza fondo
che è la luce.

*

è la sua casa che riposa

Come un rosso di Mark Rothko
la voce chiara e ferma mi colpì
con calma- un ferro dolce
quasi opaco tra le rose
di intollerabile fulgore-

 

si rifletteva come una vertigine
di radici ripetute

che dava forma a qualcosa con l'argento
consumando il bianco del suo corpo

e il giro d’ombra

nella caduta dentro il nero iridescente:

 

era il fuoco, lì, dove stava,

e un’altra pelle sulla soglia, muta,
dove il tempo si fa uomo che non può
più dire, un desiderio un sogno, la paura

divenuti lingua senza una scrittura,

una fede inanellata in ogni verso

e dentro inciso di quel giorno,

ovunque andrà,
nel suo incessante sforzo di parlare:

la speranza di un Nome è la sua casa
che riposa
, e si fa incontro e si apre

a te e in parte- è l'orgasmo del silenzio,

che cercavo, un bacio

per venire dentro il sogno
che vive, tuttavia,
della propria impenetrabile esistenza,
quanto è più suo- fuori dall’essere

 

non ti arrivo, a coprire la distanza,

con l’altra che sono io a me stessa

sollevando la terra che cammino

in un grembo così oscuro. Ciò che resta

della visione è un lembo di qualcosa

che risale verso il cielo, è un viso

che ha la pelle ancora tenera

e gli occhi troppo stretti

per mostrare con le dita

di quel calore, il simbolo,

dentro la sua polpa. Dopo il rosso

 

è un vento morbido che viene

se ti accosti con gli occhi sfavillanti

ti basta poca luce, ora, per vedere

del silenzio e poi la musica

farsi un fuoco insieme, nella casa,

con un soffio d'aria tra le mani

 

che ci saremmo avvicinati ancora

alla bellezza-

nell'istante in cui finiva il sonno,

attraversati i terreni, i prati dei bambini-

come un voto tra le mani

tenendola viva

come un pegno.

 

 

 

*

A fare dell’amore per domani

con un’annotazione lirica sospesa

prima di partire torni,

dentro una preghiera,

dove non abitiamo più

a riempire le mani con il volto

della prima volta. Ricordo i miei capelli corti

e le parole in gola,  il desiderio poi

allargando il mondo con le braccia  

tanto così, come quella foto sul pianoro

dal quale osservare vita sentimenti e morte,

con Noi.  Anche oggi avrei voluto

accucciarmi a terra e farti: qui,

con la mano,  rimaniamo,

per tenerci  fissi nello sguardo, al cuore

 

Con un fremito negli occhi e un giorno netto,

non sarà più la stessa sera a dirci via,

si va a letto.

 

È con le mani che facciamo nostre le preghiere
con le cose quotidiane che intrecciamo,
ricordando che siamo il sale della terra,

spremendo il latte al seno, e  il miele dalle dita

di ogni padre, è  così che cresciamo questo figlio_

amore

 

le preghiere sono un segno sulla croce

un goccio di saliva trattenuto per la sera
un'acquabuona  quando vegli dal lavoro

sul respiro di tuo figlio

in contemplazione verso il sole
non danno pane caldo le preghiere,
non le gambe buone a camminare,
i muscoli, o  il sangue nelle vene

in assenza della pelle in congiunzione

Così ho portato via tuo figlio, il NostroCuore-
morto quella volta, se non fosse
che quel fiore trasparente senza gli occhi
ha lasciato cadere delle gocce, poco a poco

nel fondo della gola
quando le tue mani non volevano toccare

-l'ho condotto in cima alla montagna,
dove pregano gli amanti

piantando delle ghiande,
si farà forte, avrà una fede, sai

si sono fatte stanche le mie braccia
al chiuso, troppo stretti  i suoi sorrisi

per la fame,
con le mani sporche pregherò la gioia

pregherò i tuoi occhifermi, a perdifiato,

trascinando sul  labbro quella luce

dove avviene il gesto in fine sera

 

noi saremo nel piccolo mulino,

con le arterie insieme dentro i rami

dove mettere i piedi per bagnarsi,

a fare dell’amore per domani.

*

Più di una sera

Non è un Dio, sulle ginocchia,

è il mioDio,  più di una sera,
l’arcano impenetrabile che chiamo
non è astrazione, è ponte e via,
è centro che si apre in ogni nome
che lo rivela inaccessibile,
quando imploro nell'abisso di volere 
quel volto senza mai
incontrarlo. Nel dramma delle voci
le mie voci
si parlano, nella dis.grazia e quella luce
che il creatore ha posto dentro il cuore
 
sotto me stessa sotto le acque vado
per la sua esistenza
giungendo al limite del pianto
che si muove come un pendolo
tra due respiri sovrapposti. Io mi fermo
nel punto di riposo. Mi abbandono -Se potessi
nascondermi in Te, Signore, aperto
come un rifugio,  tra visione e tatto,
chiusa tra quello che vedo e quello che tocco,
come sei-  Soltanto il cuore lavora appena
giungendo agli occhi, al posto del favo,
dove l’ape deposita il suo oro assimilabile,
faccia a faccia col respiro
da cui rinasce con l'aurora
e quello che c’è dentro
 
senza pensare- muto animale,
pianta gravida m’inchino,
senza conoscere  il mistero nel mio grembo,
tra la vita e la morte unite, c’è quel soffio
-a niente più si può ridurre invulnerabile il respiro-
di una nascita incessante
tra  me e l’uccello sconosciuto,
che vola alto il giorno  come cieco 
sullo sguardo acerbo della sua covata,
sicuro che non possa essere distrutta,
annunciando qualcosa che verrà
e tracce di ciò che si ritira ormai:
una luce liquida, una luce alata
 
più di una sera
ti ho sentito arrivare
alla caverna cieca del mio cuore
posarti quieto 
mormorando agli  occhi,
dove penetri e scendi
è la tua voce, Intera,
che si adagia in ogni punto
tra le mie gambe incerte,
iniziando a camminare-
se non mi volgo
al limite del Vero.

*

Ho sentito le nostre madri toccarsi con le dita

L'incanto è nei primi passi dell'ora che rallenta,

solo che si abbia il coraggio di toccarsi,

dove avvolgerla e girarle intorno

 

quando il suo corpo arriva

la luce è fiato che riprende

lo spazio del pensiero,

lingua che va nelle pupille

di due mondi in sogno

vegliando la speranza dell’incontro

interminabile. Dove il tempo cresce

nel cono di luce di una stessa attesa

anche lei si volta, appesa alla parete,

per riconoscersi, dall’altro lato, col Tuo libro-

un corpo che era suo, tra i gigli bianchi,

a illuminare l’arco della vita- e una carezza

 

ti basta tenere nel cavo delle mani

quella luce col suo ultimo respiro,

che spinge ai margini la morte,

restituendo la maternità, nome su nome,

e cibo per vedersi nella nascita

ai piedi della casa, dalle nostre spalle al muro,

nel suo potere di resurrezione:

 

la felicità di non vedere,

generando voci

a ogni sentiero,

aggiungendo luce

al mio piccolo lume,

e mani,

che si propagano come alberi distesi,

e le radici ed i capelli insieme sono Uno

 

Sono sola, e l’altra io ha fame.

Così ho mangiato un fiore,

spuntato in piena neve,

in una notte precoce

il canto continuo di un vento,

nella mia garza di piccole cose,

innalzando come un vaso il nome

nel cielo e un'altra figlia ha posato la testa

nella parte profonda del ventre- senza dolore-

abbassati gli occhi

                                insieme

ho sentito le nostre madri

                                toccarsi con le dita,

conservando calore

 

è già sera, quando canta narimzeni,

al di là di questo buio,

quando il sonno ci porta da loro,

per fiorire

dove vanno a tornare le cose

che hanno amato. A un passo appena

vi guardiamo di ritorno

nello sguardo delle figlie

piantate con il corpo nella terra

per aprirsi , sempre più profonde,

ritte sui bulbi color miele,

senza dimensioni,

                        poi, c'è il silenzio,

tra le gambe nude,

si allarga nell'attesa, ci soffia dentro,

sconosciuto e splendido

 

con la pancia nel cuore

siamo una piccola famiglia,

in una stanza tra due isole

il loro viso è la tua parola.

 

Tra i miei capelli e la tua mano

si leva ignara e santa la pupilla

di chi ci sfioraqueste donne,

che entrano dentro tutte,

con la tacita fede delle piante,

nelle loro infinite rinascenze. 

 

 

.

 

 

 

           Scultura: Martin Hudáček

*

Una piccola bestia di gioia #poesiapoeti

Stringeva tra le mani  come un canto

una piccola bestia di gioia, consumata, 
con la nuvola la cima il gambo, l'ho seguita.
Entrando  nello spazio stretto dedicato ai libri,
con un ritmo che nasceva da lontano
ho percepito un movimento sacro di saluto
 
Tutto di lei è muto, tranne quelle mani
nelle pause di ogni libro, come dicesse delle cose
con qualcuno che le scorre in fondo al sangue
che si effonde nel fiato e d’improvviso
mi è parsa saltare sulla terra, così leggera, 
al gioco del mondo, in cima a tutto lo scaffale,
nella rayuela, continuo a sentire  più forte
il jazz del suo  silenzio. Si allunga con le braccia
come immersa in un'acqua veloce
e gli occhi grandi ondeggiano tra i pesci
di De Luca. Nelle sue infinite forme
si guarda risplendere e nuotare
fino al giardino dei pensieri, a Pennabilli,
assottigliando i piedi  a farsi niente. È ferma
tra i frutti dimenticati e le corsie
 
s'illumina la pelle, al contatto della costa, 
quando sfiora la polvere di stelle,
posati i propri nervi sulla neve,
di  Tonino Guerra. Raccoglie  un nuovo libro
ora, come un velo, lascia andare gli occhi 
con i miei
 
è ricordo ciò che chiama, nella calma
unisce due lembi tra le pagine,
mi apre un varco  al collo 
senza ali  né vocali 
avvicina la memoria. Entra tutta in una stanza
a non sentir più niente di com’è
là fuori il mondo. Trema nell’abisso
con Primo Levi nell'ombra si copre il viso,
se questo è un uomo, sussulta a un cuore così bianco
e danza con tutti i figli di dio, danzano
insieme al percorso dell’amore in un tempo differente,
e un pezzo di strada con qualcuno. Due passi ancora,
accarezza  Il suo vero nome in copertina 
disegnando un otto con le dita,
senza curarsi di nessuno
quando porta alla bocca  il libro 
con l’eleganza di una curva
mettendo un bacio tra le pagine di mezzo..
 
ma più di tutto sono state le sue lacrime
a fermarmi, incontrando la Szymborska,
con la Gioia di scrivere piegata in mezzo al seno:
ha premuto tanto forte quelle uniche poesie
ricoverate nella  stanza,  così piccola
da sembrare  un animale nella tana
quando gli esce il nato fra le zampe.
 
La fisso. Aspetto che si giri verso me,
dove finirà la pagina, di sentire il suo respiro
che non smette più di andare, di vedere.
 
Nell’atto di volgersi
tocca la sua  lingua con un dito,
stringendo l’aria prima dell’incontro,
e si offre allo sguardo.
 
Non credo cercasse qualcuno
nel riflesso del mio silenzio
se non quelle carezze sui capelli,
mettendo fine ai suoi  pensieri
un nuovo nascere,
come si fa correndo verso il bosco
andando a trovare gli alberi
 
 

*

È stato un sì assoluto

 

 Il dono ricevuto sulla fronte,

    il venire di una mano,

prima del silenzio della sera,
quando ci  inginocchia la fatica 
della nostra ultima luce, sul balcone,
dove anche il vento trova fine,
tra le rose, è stato un sì assoluto
 
di bellezza, di presenza pura,
per come respirava sopra il volto
senza cercare un movimento,
mi ha stretta là nel più  profondo
e più ancora  in cima a tutto
penetrando con lo sguardo antico
fino al  primo cielo
 
si scuotevano le dita come foglie 
sulla pianta in cui si  versa luce 
e un vuoto amato grondava nella carne
mischiandomi alle vene della terra
di quest'assenza divenuta  forza 
 
 
 

*

Un giorno così bianco

Tutto è chiuso, ristretto

Finale. Già una volta

Morta. Eppure

Ribollente di vita

Chiedi una speranza

Di nascita

In fondo alle radici

Del tuo sofferente apparire

 

Quando avvicina le distanze

Lo sento sempre l’alitare,

Dal modo incerto

In cui cammino-

solo il lamento

ai bordi delle pagine

nasconde la gioia,

quale sia la ferita

con una mano sugli occhi-

Le acque si fanno più piccole

Ma si spiega in questa luce

Sul mio appennino

La lezione del fiume

Verso il grande mare

-miolimpidosposo-

In una lontananza irraggiungibile

Stendo la mano e mi tocco

Impastando il fango

Della vita quotidiana

Con la tua saliva. Voglio tornare

Nella mia foresta con le mani

Vibranti in alto come orecchie,

Alle pose dei miei cervi, scalza,

Mentre un canto che continua

scandire da lassù

Il numero degli esercizi

Per il tribale battere dei piedi

Nel magnifico duetto-

e un madido declinare

sul sudore, che si porta dentro

il profumo di una primavera-

Pare eccitarsi con noi:

Assorbe la luce

e la restituisce

Come un respiro:

 

Un giorno così bianco,

 Così bianco

E' passato tanto tempo,

Ma se scuoti gli alberi  discende

La polverina celeste, prima dei frutti,

Come l’avesse toccata l’incanto

 

Se ora vuoi ricordare,

Guardami in fondo:

due donne, sorelle affiancate

-"non crediamo nello strazio,

col dolore avuto,

picchia, ma non resta"-

Poco dopo le fonti

Siamo salve, come madri

Destinate alla speranza

*

Si stacca un angelo dal muro

Si stacca un angelo dal muro

umano, fratello silenzioso
di una gioia preistorica,
trafiggendo la mia voce,
con un’estasi violenta
spezza il buio  sulle  vene
al centro della notte

È la sua mano d'argento,
ed io l'avverto, che mi tocca
in un morso d’amore,
che spacca le labbra
mentre guardo le rose,
con la forza di un bosco

in tempesta

come un grembo

che  prepara una nascita
per entrare nel fondo

delle ultime acque
 
ho imparato a difendere il nido
con una danza ubriaca,
attraverso il mare dei giunchi
il respiro di ogni occasione

laggiù, nel profilo senz'ombra

amando il tuo Nome-

pietra sacra nel gelido fuoco-

ho condotto in preghiera le mani,

nel ventre buio delle marianne

 

ho strappato  il  cuore alla luce

dal leviatano, con le lacrime il fiele
per portare rimedio ai  tuoi occhi
nella  pelle finale,  al tuo  matrimonio,
sigillando la carne al suo posto-
dove vanno a passeggio le navi 
e tutti gli ognuno di noi
formati per gioco di un Dio,
sorridente nel pesce più grande
a prenderci i Nomi che Siamo-
affinchè rinasca  una  sposa:
 

la figlia che  esplode la pietra
nella casa del vino, la nostra,

la sua castità,
scaturita dal fango,
che danza alla fine degli occhi,

dilatando il centro alla gioia

 

nel cesto delle rose sul comò,

è accaduto questo,

dove mi raggiungi

per venire fino in fondo al sogno,

e ritornare un angelo.


 

 

*

Vieni. Non tardare

 

Come fa il sole

con la schiena della quercia-

tremante

nella sua carne immensa

nel poco spazio che l’accoglie

sul dirupo, che la preme ovunque

con le sue masse

togliendo ai colori le ombre

alle cose i loro nascondimenti-

e quel ramo nuovo che nasce

nell'atto di porgere il suo cuore

avvolto nelle fiamme, stretti assieme

all’amore per l’esistenza e il suo bisogno

di dirla con la luce : Vieni.

Non tardare.

 

Avremo continuità nei nostri occhi

qualcosa di incorruttibile

nel fondo ultimo del vivere

sulle spalle l'amore viene

poi respira, disposto al volo,

nel suo futuro inimmaginabile

ci invita a conoscere l'avvenire

che discende in ogni istante

- soltanto la solitudine quassù

cura la passione della mancata eucarestia,

in quell'istante di calma , la pace di un'ora,

nel silenzio delle vite

a patire il tempo fino in fondo

alla rivelazione.

 

Rammentando per poter vedere

ciò che intorno al Noi è nato,

nascosto nel centro della luce

si apre in altro modo alla visione,

capace di cadere,

di penetrare come l'acqua, l'amore,

trattenendo il tempo nella meraviglia

 

parlava di di Lui, alito dell'anima,

manifestando l'ombra del sogno

tra i due fiumi, offuscando lo sguardo

che lo vede ancora nel posarsi,

come fosse la sua voce umana

rimasta indietro, in qualcosa di diverso

che si divora,

trasformando il suo stesso corpo

in ali.

 

 

*

Respirando qualcosa del suo fiato

Con  il cuore pieno di cavità

Puoi udire la musica anteriore

Ad ogni musica composta-
Come se avesse raccolto del tempo
Ad ogni inciampo, mandando un soffio

Che ci ordina di camminare
Sulla strada più lunga di neve
Nella gioia trascorsa dei suoni-

Con altre creature

In questo spazioaperto della notte
Pulsano  in pieno corpo i nostri passi
Sembrano essere l'impronta di un solo

Cuore..

E' lì, dove ti porto in processione,
Nella casa rossa di raccoglimento,
Con il girare silenzioso dei pianeti,
Il ritmo inalienabile e profeta
Del  vuoto azzurro del respiro

Come prima, quanto più ampio

Nella ParolaTrasparente, 
Contiene quasi un'orazione


-solo il rumore del mare e il vento
gli assomigliano nei silenzi
quando passano dolcemente
senza attesa e senza vuoto-
Dove un sospiro inestinguibile 
Trascende le parole,  e vive
Nella voce sacra
Di un chiamare ed un ascolto insieme
La promessa custodita che non cela 

Un amore irriducibile. Fosse pure
In un respiro. Lo si riconosce,
A riposarsi dentro un nido,
Respirando qualcosa del suo fiato


Riparati nell'arnia del silenzio
Avvertiremo l'inimmaginabile 
Con naturalezza
Che la Parola sta per nascere

Penetrando nella gola come un seme
Nel mentre che svanisce


E se spingendo piano va nel buio

Per diffondersi
Nella carne dei capelli
Si adagerà tra noi

Oltre ogni accadimento

 

 

 

 

 

*

Un viso d’acqua

Un viso d'acqua chinato come l'erba
nel pieno della pioggia
disegna  l’onda che fa il corpo umano
quando inginocchia la testa tra le gambe


La vedo ancora nel parco dei ciliegi
che si bagna, sulla terra senza figli,

quella donna, prende la pioggia la beve
e smette di tremare quando prega
può chiamarsi Annāh, colei che trova grazia
davanti a Dio. La sento poi voltarsi appena,

andare via con tutta  l’anima

fino al geroglifico egiziano
all’ideogramma fenicio passando per il Sinai
e  giù allo steccato dei terribili animali
alla prova dell’8 nel recinto, col serpente

il più saggio di tutti gli steccati
 
"Quanto è grande l'abbondanza della tua bontà
nascosta, che non mostri per coloro che ti temono"
È così, a causa del bene che nascondi
in te, che le porte del tempio saranno
sprofondate nella terra? Come la semente
cela l’albero, affondando per morirvi,
rinascendo nelle nove beatitudini
che riportano allo zero.  Del collo altissimo
della vergine, sia fatta la tua volontà. 

Nasca la figlia- femmina sterile,  

si sposi col buio _

_del padre.  Canti Alleluiah,  
a chi la penetra nel fondo
per rivelare  il suo nome-
lacerando la madre
aprendo una breccia

nelle strutture più sacre
del mondo che ha messo da parte
la mandorla orlata di luce,
quella il cui guscio è scoppiato
facendo cadere tutte le pelli
dell'Uomo, È luce compiuta 


nell’umidoverde del primo mattino
come un ciliegio  è feconda
l’azione di grazie, la lode che piove
in quel viso  tornato al suo posto
che cade, e poi si rialza
sempre più piano


rimpicciolisco con chi è lontano

leggendo le ossa
nelle sue orme più grandi
voglio tornare  all’indietro
forando il contorno delle cose

per entrare in contatto col suo cuore
nel matrimonio  della Pelle,

finchè ci sarà pelle, o cieca

fino al risveglio,

dove la luce non cessa di discendere
di curvarsi nell'oscuro,

dove l'iride risplende,di chiaro in chiaro,

su questo solco appena aperto in aria.


Può capitare di scoprire
in una rientranza del terreno
un luogo segreto che nasconde
l'amore che va a raccogliersi ogni volta
e il miracolo che entra dentro gli occhi

per la gioia,
quando la luce si presenta intera,

non sarà preso per abbaglio
da affondare nell'oblio- il dimenticare
comincia così, disconoscendo-


io ti tengo stretta, adagio adagio,
fino a casa, seminando luce

sotto la pioggia Tu
mi fai vedere l'anima
tersa tra le tue mani la bellezza


nel suo centro illuminato
il mio sguardo si  solleva a malapena
sopra il calice di questo unico fiore
per inabissarsi  nell’oblio

della  sua contemplazione :
un viso d’acqua, inginocchiato,

che rimane,
senza saperlo, un'onda.

*

Nella prima pancia

Quando nasceva un bimbo

Loro andavano a prendere un bozzolo

Da tenere accanto al nascituro

Perché lo aiutasse a riempirsi di fantasia.

 

Nella prima pancia, ormai

assolutamente semplice,

tutto si sta compiendo, la propria fine

la propria immensità. Nel cenno

del mistero, ti prego

di infilare il dito oltre la pelle

nella ferita del costato

penetrando nella carne viva

non è cecità della mente

inchinata al dolore

è un itinerario che può comprendere

l’oscurità, che si alimenta di domande,

che sale sui sentieri, per alture

Sottile è il Signore, senza il fiore

delle domande dai tanti petali

non si ha il frutto delle risposte

 

Eccede attraverso un incontro e ora

i miei occhi ti vedono, prima di trovare,

solo dopo ti cerco. Nel cuore

ho la carne, l’evento di un’umile anima

quando mi muovo, quando parlo, anche

quando disegno il fiore di una cipolla,

e mi sembra di piangere, è solo

una questione di sguardi

per accompagnare qualcosa

d’invisibile

“alla sua incalcolabile destinazione”

 

un movimento di Realtà

con questo solo tesoro:

se vedo un albero che cammina

dentro la sua foglia

disegno una mano che si alza  e la sua luce,

dal braccio che attira a sé grani di stelle,

inondando i campi di rami gli occhi

neri del prato che s’inchinano

nel freddo di questo marzo buono,

a un punto della corsa. Andiamo, come amore,

 

coi modi invisibili del cuore, toccandomi

un disegno. Allunga la tua mano. L’albero

lo farà passare,  la massima carezza

è così Unica, vicina

all’atto della creazione. Apre alla gioia

 

Allarga con grande respiro

e riposa

dove ti aspetta per l’albero più alto

che è nel tuo corpo,

un figlio da crescere

nella prima pancia

 

 

 

Opera: Il cielo

di Claudio Parmiggiani

*

Dai lunghi respiri dei capelli

Quassù, dove le uccelle succhiano il miele

dai cardi selvatici, c'è  una chiesetta, a Battedizzo,

nascosta da grossi peri  senza frutta,
appesi ai rami piccole strisce di stoffa
in segno di una grazia ricevuta
 
con gli occhi neri, e inzuppati
di una nebbia luminosa,
si alzano da terra  tre betulle
e un cespuglio antico di equiseto
bianco. Ogni tanto nel silenzio,
rispettoso in quell'aria piena,
si espande un canto
dai lunghi respiri dei capelli 
 
nel bagno silvano tra i pini neri
sulla sponda del rigagnolo
nella vasca riservata per le donne
stavamo sedute e guardavamo nude
un mondo riparato sotto grandi ombre
di castagni centenari, la terra chiara di fiori
caduti, in mezzo all'erba alta un cimitero
con le tombe morbide, come culle 
 
ci siamo sfiorate per un attimo con gli occhi
quando il sole d'improvviso ha tolto l'ombra
dalla cima degli alberi disperso con un  soffio
un po' di cielo azzurro sulle nostre spalle
fino alle labbra, come fossimo sotto una cupola,
tutto pulviscolo, vapore dorato, sospeso
lungo i fianchi della nostra vita

Ed è proprio lì, nella conca della musica,
che abbiamo imboccato un nuovo sogno
col catino dei rumori tra le gambe
e ondate di silenzio
che toglievano agli alberi i sospiri
per la caduta della neve a Monte Mario
o la via d'aria che si formava tra le mani
quando aprivi la finestra della stanza
ed io le braccia  per sentirti  dentro, 
dall'altra parte del mondo, al centro. 

*

Ogni coppia è un angelo

Quando sei dentro un temporale e balbuziente
nell'orto sacro danzi  per guarire
lo strazio che ti viene
coi simboli che nascono da terra,
dalla memoria, versando latte chiaro
sull'erba medica, con la lingua nell'argilla
trasformando il fango in cibo
si riforma  il seme,
ogni volta che  perdiamo la parola,
e le cose crescono di gioia
sul ramo isolato della pena
 

Nel preesistente cerco casa
nella  danza del sognato, come sai,
la rugiada dentro gli occhi
altrimenti non sarebbe.

Non vedi come muta
la luce inginocchiata
sotto i nostri  piedi

s’innalza, e poi ricade
dove  indugiamo soli-

per godere dello iato
con le vocali nella gola 
trasportate da un sangue gigantesco-
fino a non sentire più,
nel  suo torpore,
chi  cammina o prega.


Lì, dove fummo figli e soma della voce,
c'è un suono che non abbracci:
la femmina della tua lingua
in una lingua propria

 

Nel punto di rottura della perfezione
sta la parola Aiuto: l’arma del ricordo
è muoversi, spostarsi alla fine di un respiro,
in un luogo dove la notte passa
sfilando al corpo la luce più segreta
in noi

l'imene si volta  dentro un canto Intatto
ci scambia nudi col pensiero
diviene coppa come una montagna
ricevendo nel cerchio quella spada
che chiude  la testa con i  piedi  
nell'altra grande nudità che ci oltrepassa

Tu ritornavi vergine con me 

nel rito di divorare insieme la carcassa
del bue che ci nutriva, col nostro sangue,
le nostre fibre sazie infine
di sè persuase: adesso


                       ogni coppia è  un angelo
 e
cammina sugli stessi rami

 in Altri cieli
Ascoltiamo raccolti quel respiro 
                                     vuoto con Vuoto 
nel gesto più  giovane  che abbiamo
offriamo all'infinito questo amore.

 

*

Alla fine degli occhi, la musica

Tenendo le ginocchia sempre a terra

domandavo  quale roccia o pozza d’acqua

ha un sogno e la distanza tra due luoghi

se puoi anche misurarla con il canto.

 

Ho mosso le dita una dopo l'altra

formando ai bordi del bagnato

una doppia fila di puntini

poi  ho cancellato con il palmo della mano

disegnando un cerchio con un trattino lungo

infine un buco,  dove siamo entrati

chiudendo gli occhi per vedere

le rotte delle migrazioni

dei sogni,  lungo la porta delle lingue,

le dita degli sposi che si bagnano.

 

Con l’orecchio in terra

                                      avrei voluto portarti

la fine della neve, tenere per te,

dove il ruscello si muove ancora tutto,

le vibrazioni della lucentezza,

nel segreto dell’intimità ,che bagna

il creato, tra le gambe,

accadeva qualcosa, sotto  la pelle,

di imprendibile.

 

Non toccarlo con la bocca, con le dita,

ma col dentro della pancia, dai piedi in su,

e fino al cuore, fa come  il salmone

lasciando le uova  poco a poco,

cantando  nel silenzio di chi viene

senza muovere le labbra

 

è appena dicibile sul volto  lo stupore,

incide solchi corrispondenti ai suoni,

e vibra indietro, mettendoli  alla luce,

verso di noi, quasi chiedendo aiuto,

una vena di voce, e di ogni cosa viva.

 

Tutto lo spazio è cresciuto.

Non potrò mai dire

molto più di questo,

non è visibile

l’intensità dell’apparizione,

alla fine degli occhi, la musica ..

...

 

 

*

Nel soffio più possibile leggero

Le Mont-Blanc vu de Genolier par Charley Case

 Le Mont-Blanc vu de Genolier par Charley Case

 

 

 

 

 

 

 

Nel soffio più possibile leggero
si schiude il mio ciliegio al boscovecchio,
nell'abbraccio circolare ritrovo noi.
Eppure  lui mi educa, nella parola senza voce,
a diverse dimensioni, la sua estensioneVera:
la pazienza  di ricoprirsi con la neve,
il pieghevole sfinimento  dell’estate-

e so con quanta cura
si volge alla corrente della luce,
l'andarsene  calmo, con la sera,
respirando dai talloni, 
quando gli uccelli scenderanno a primavera,
per nidificare e riprodursi,
di come i rami sotto il loro peso
gravati  di nidi a centinaia
saranno pane, e soffice pietà

così è l’esercizio dell’amore-
spezzando il seme duro nella bocca,
delle mutazioni in atto. Annuso ancora
la tua poesia su queste tempie cariche
mentre intorno volano le piume
e sfioro con un dito la caduta
ascoltando la discesa lungo il corpo
di un dono aperto,  che esce dalle ossa,
                            col miracolo dei fiori
si bagna il cuore buio
di fratelli innamorati
fa luce ai i piedi quel che non si vede
E gli direi di amare un'altra volta
di coprirmi con i petali nell'aria

soffiando dal mio fiato.
 
Si spalancherà  piena di vento
la gioia dei frutti tra le mani
lasciando cadere le ciliegie
con  quel  rossore intimo  sul viso
riempirà di vino le nostre bocche
nel soffio più possibile leggero
il vecchissimo ciliegio, e noi, di nuovo,
appena nati.

 

 

 

 

 

 

 

 

                            

*

Sulla fronte azzurra tenerissima

-L'asciutto contiene l'umido
La roccia contiene l'acqua
L'Uomo nasconde in sé un Dio-

 

 

Sulla fronte azzurra del ceppo primitivo,
ti poso, col silenzio delle vesti,
il segreto del primo fiore, senza necessità
di capirlo, sull'assenza che ti sgorga dentro
al seme nudo delle fontanelle,

lo sguardo intatto, dove si uniscono le cose
l'ultima volta, alla fine dei sentieri,
i segni di un amore

nella bracciata profumata
ti consegno il fascio più maturo,
fiorito di fresco dal mio cuore
con le ore luminose, la corona

dove palpita la nascita
di una vita che si leva, col nutrimento sacro,

nella follia di una croce,
nella manducazione dell'invisibile.


Nessuno sa, nè l'argilla o la pietra,
che servono da segno, raccontano il mistero
del dono divino, un velo sollevato
scopre un altro velo. La Bet è posta,

nella casa aperta, sulle stele di Mesha
 tutte le sorelle danzano

come pietre luminose

La scrittura è una luce nella notte

che ci salva,
verbo_crocifisso da semi nomadi,
che nel deserto grida il Nome suo, ciascuno
a divenire Lui . Nessuno potè sentire allora

la lingua umida nella tunica di pelle,
quando cogliemmo dei mattoni
come figli al posto delle pietre,
ognuno recante solo una scintilla
Padre dell'Uno, asciutti fino a Pasqua


quando bocca a bocca s'incise in alto
l'incontro delle grandi lettere,
con le piccole del basso. Fino al cielo
il traforo è compiuto, e ci tocchiamo
cantando il pane nella linguamadre

 

con il sale di Miryam, unendo il mī col mā,
il vento ci porta in bocca l'ostia,

fino all'acqua matriciale, che scintilla,

sulla fronte azzurra tenerissima,

dove nasconde in sè un Dio.

 

 

                 -Fabienne Rivory-

*

Così tanto vivo

Con i sogni nella carne,

come ceste per il pane.
Così tanto vivo
con occhi di parole

-privi del dolore occidentale-
l'affondo nella vita della verità,
sfiorando il corpo di un mare sepolto
una mano, dal fondo del tempo,
nell'ora più sottile del mattino
quando lo spessore della pelle

è troppo fine
per celare l'interno delle cose


-non tremare se la chiamo
 solitudine

                      è solo un taglio nella luce
in cui si apre il mormorio della speranza
quando l'usignolo rischiara i fiori e in te
mi spingo nel paese di mia madre
con qualcosa in più e quest'altra me
che s'accontenta

dove il tuo spirito colma la mia passione


Dove si annidano gli occhi
così tanto vivo

tra il verde luminoso e l'infinito

fino alle radici della solitudine
per vedere la crisalide del tempio
arrivare limpida alla luce


Nel chiaro del bosco è un altro regno

che  l'anima dimora e custodisce
sognando verità

che ancora non sono vere

 

 

 

 

Cervo e Unicorno

terza figura del De lapide Philosophico di Lamsprinck

(Musaeum Hermeticum, 1659).

 

*

Disegnavo un piccolo capanno

Disegnavo un piccolo capanno

ogni sera un po’ più grande

finchè un giorno mi notasti, domandandomi per cosa

avevo tanta cura, se all’interno stava il vuoto

 

-Ho visto un cavallo libero nei prati

in cima a Montevenere,

non posso chiuderlo se non sa chi sono,

che gli voglio bene per come brilla al sole,

ma nel capanno c’è il pastone e la paglia fresca

Forse un giorno, se l’aspetto.. se gli aggiungo delle cose...-

 

Mia madre si commosse, e  come premio degli esami in terza media

riempì il capanno con Zahir, il primo nel disegno.

 

C’è tanto amore in questo andare indietro

a cogliere la bellezza cieca

da proiettare nell’invisibile presente

in ogni sillaba si alza ancora la Tua voce

di Maestro, e tu Blanchot dicevi della poesia:

che nasce nel movimento

in cui Orfeo perde Euridice.  Nel distacco

è l’infinito andare della scia d’argento

o quando la gioia di vivere non basta e scrivi

 

Con la lingua degli angeli 

mi hai insegnato a morire

per tornare nella mastella di lino con le braccia

girando  nell’acqua tiepida  la crusca

coi germogli di soia,  a rimanere,

quando in mezzo alle gambe stringevo altre zampe

ferrando i cavalli , come allacciare le scarpe

a un bambino. vedendo l’intoccabile:

l’anguilla che fa morire, dentro la pancia dei cavalli,

premendo  il viso, e curare il respiro, se cattivo ,

cercando le sanguisuga, tra l’acqua più chiara,

da mettere al collo per vivere. Per poche ore

è così che Zahir  ritrovava il suo galoppo

col salasso più antico. Pitturavi nell’aria quel salto

volando  sui fianchi a Soraya, tirandola appena

verso di te. Mi guidavi come danzare

sopra la cima di  Montevenere, dal primoamore,

passando per Le Croci e sotto l’abetaia di Rossara

sdraiando le nostre schiene, come fossimo sull’acqua,

a ginocchia strette, con la passione di affidarsi,

entravamo nei boschi acquattati come bestie,

negli occhi delle mucche e poi giù, giù col baio chiaro,

con il fulvo sulla pelle umida del corpo

parlandoci senza bocca, col sudore morbido ai polpacci

e il suono dell’orgasmo tra le dita e le redini sottili,  

accogliendo nella pancia la discesa,

l’alfabeto baciato degli zoccoli.

 

c’è un punto esatto- mi segnavi-  tra le orecchie

dei cavalli , piccoli movimenti impercettibili

che congiungono le punte dritte nella luce

formando un otto, solo lì, è dove ti alzi in verticale

 e voli via leggero, risparmiando le salite

 

All’inizio dell’autunno mi hai bendato gli occhi

con una lana a fiori che pungeva

per dirti gli anni dei cavalli o dei dolori

con le mani carezzavo il naso, quei gradini come rughe

che vengono nel tempo, affondavo piano con le dita

sotto gli occhi, nei fossetti; passando poi tra i tendini

e i nodelli, imparavo  le fatiche, e le fessure prima della coda,

per la fame, immaginando la magrezza, dei cavalli nuovi

infine… mi chiedevi la prova che stordiva : del colore

strofinando il pelo, se aveva delle macchie, se grigio o come:

sapevo dalle setole i colori, dallo spessore, e la temperatura

svelava sopra i polsi con dolcezza

se le femmine avevano il calore. Era tutto come amare.

 

Se stringo forte gli occhi  sono al centro del cortile

ancora oggi mentre tu  mi vieni incontro

tenendo un cavallo per la corda poi due e tre

per scoprire il suono che marca  dentro il passo

tra di loro dove la zoppia, di chi, su quale fianco,

avanti o dietro. Alla fine dell’inverno

cavalcavo come cieca nel tondino

ed ero dentro  gli animali e dentro il bosco

quando tremavano col  manto a una pozzanghera,

o tendevano la schiena a un ramo basso.

Annusavo  il buio dei ragazzini ciechi,

che sarebbero arrivati  a primavera,

per vedere con gli occhi dei cavalli

la bellezza

fino  in fondo alla luce dell’estate

 

Sei stato dell'invisibile Maestro,

chi ha fatto i segni sulla strada  

per affidarsi al buio,

per tornare al  Vuoto del capanno

con il suono di ogni albero,

quando si piega,

indicandoti la via.

*

Con una lingua tenera

Viene dall’invisibile

incarnando la presenza delle voci

ogni volta che accendo il fuoco a sera

affonda il verbo nella legna

con la saliva, da buio a buio,

mostrando  lo spacco del sacro -la ferita,

il nome-  delle rose  nei  miei fiori,

sono la nostra anima

                                       là dentro,

nel camino acceso  in cui abita qualcosa,

perché cresca la luce. Piegando le ginocchia

mi accuccio dove viene il rosso

con la veste arrotolata fino al timo

scoprendo la macchia azzurra  sul mio fianco

scintilla nuda e disarmata -immutabile simurgh-

 

Con un piede dopo l’altro ascolto la corteccia da bruciare

le piste dei sogni attraverso gli anni

le pulsazioni di ogni tronco - ognuno canta per anelli

cigolando sotto i miei talloni- sotto le piante

sento gli uccelli volati via dai rami

                                                  le foglie rimaste sole

nel rettangolo vuoto del giardino. Mi tramando,

credendomi un albero,

Prego, senza una parola,

sono la stessa cosa. Nella pancia

i legni sono pronti

per rinascere dal fuoco

mi alzo scalza con tutto il corpo,

la riconciliazione nelle mani,

una per una. Odoriamo di pace

come quel giorno, nella sala di commiato,

non separandoti  mai da me stessa

 

Con una lingua tenera

in un bianco leggerissimo di cenere

il nostro esserci è un segreto

ognuna canta nel pensiero

*

Con le membrane lucide dei sogni

L’elegia ci fa trovare, al di là

dell’albero più ferito,

di Paesi e continenti, l’acquabuona,

una cascata di perle e di animali,

dove cercavo il mio menhir

sulla riva del laghetto azzurro.

 

Intatta immersa e protetta dall’acqua fresca

aveva gli occhi aperti come fosse viva

Ridarle vita con otto stagioni

fu l’unica cerimonia nel cuore dell’inverno

profondo, portare licheni per nutrirla

rimuovendo la brina dagli alberi

mi  toccò i capelli.

 

Ti adoro per la dolcezza, per le mani

e così sia,

anche nel silenzio degli uccelli,

canta.

 

è un miracolo nudo la nostra creatura

le linee della mano tanti rami e

ad ogni dito il suo respiro fa gli anelli

un panno bianco, di cielo in cielo

 

nel canto d’emergenza coincide con i sensi,

a un poi, che calma, che trascina

la mia immagine nel Vuoto

dove trovo riparo. dove ti riveli

con il viso mentre mangi

mentre raccogli nascosta la mia mano

ti do un nome, allargo tutti i rami

per avere ancora suoni e somiglianza.

 

Nella danza fragile precipita il respiro

preme il cuore, dentro quella crepa,

la luce, per quel minimo d’azzurro,

ti è salita fino agli occhi dalla pozza

ho tolto le parole per amarti,

cerva di un solo fianco, nel silenzio,

venuta via dall’ombra.

 

è con l’acqua che ti fascio il viso, ora,

con le membrane lucide  dei sogni,

sei un canale di biancore

tra i rami fino al petto

il segno che racconta un corpo

porta  il tuo Nome adesso –Rimani-

nel respiro degli alberi,

l’impronta più Viva

tra tutte le voci

Anima di gioia

sul bianco del foglio-

senza grida.

                                                                                                                    Scultura Tomohiro Inaba

http://www.youtube.com/watch?v=TodtrEItYx8

 

 

*

Se dal polso tiri il filo

Il chiaro dell’occhio è proteso nel dono,

ciò che sussurra prima del fremito,

al movimento delle nostre mani.

Non spezza mai il filo l'accoglienza

cammina. cammina con la propria storia.

 

E il vento insiste nel domandare

perché come i bambini

basta toccare certi punti dell’aria

che s'incantano le dita 

                            nel grande suono-

consegnando i pensieri

al vuoto che non soffre.

 

Nessun fiore raccolto nell’urna

sa dire alla voce il colore

                                 più dolce,

calpestando la terra,

il viaggio oracolare dei nostri volti

nell'andare incontro al fresco del mattino

Domani

porta con sé lo spazio inviolato degli occhi,

.che inconsapevoli corrono.

nella misericordia di un’aurora,

colmando le pupille di presenze,

spose dei sogni, emozionate.

 

è così che faccio quando manchi, corro

con lo spago legato intorno al polso

e un palloncino sale e viene giù dal cielo

mentre pronuncio :- Lontano- e poi –Qui-

per farti comparire quando giro

sulla la strada quasi trasparente

rinasci di continuo. E ci guardiamo

scendere il cielo dalle mani

in un’altra terra come

 

è con te che sollevo gli occhi caldi

e sembrano tutte le nuvole

essere in coppia per sempre

quando tornano indietro

per  rinascere dall’acqua

pronunciando la stessa parola

- Qui - e poi- Lontano-

 

ci tocchiamo all'indietro

nello sguardo liquido dell’angelo

se dal polso tiri il filo

la terra stessa è un angelo

che ci mescola leggeri insieme al vento

come dopo l'amore

risponde al nostro sogno

entra nella radice, poi vola via

al centro della stanza azzurra

niente è più grande, penetrato ogni canto

                              da un'infinita distanza-

Avere ricordi non basta-

 

*

Spugna di luce

Una stella come un’ostia

a capo chino si mantiene

o  in grumo di sale al mattino

viene a sciogliersi dal cielo

nel  lavoro invisibile dell’alba

che comincia a versare la sua luce

 

con la stessa fatica del riverbero

ho usato tutto il corpo per accogliere

quel che accade  nel  silenzio

avvolgendo le cose con la pelle

-quota di muscoli e fibra carnale-

da sola all’alba, ho visto la tua vita

nei miei sogni, il fresco pulito

in terra. spugna di luce

non smetterai di stare in me,

 

come davanti a troppa lontananza

sgorgano dagli occhi dalla bocca i luoghi

gli episodi dell’amore,

da ognuna delle specie di donna

che è ogni specie di donna,

brillando al vuoto bianco

la realtà più reale:

 

quel lungo grido d’amore

di feroce bellezza

così impudico nel dire

il loro immenso eterno e altrove

nell’aria intatta batte ancora

il ritmo della mente. col respiro

tra gli alberi cade il suo sigillo,

il cordone di cinta,

il bastone che tiene in mano.

*

Sul vestito di lana di Febbraio

Col vestito nuovo di febbraio

mi scrivi che il Fuji si è velato

coperto da petali bianchi

di una nebbia tranquilla che splende

 

con lacrime di venerazione

ne farò un rifugio e con la luce

vaschette per gli uccelli e per i fiori

che tra le mani fradice si spingono

nel vuoto di una nota musicale

 

è una poesia di  cose -che tu incarni-

l’apparizione  breve che ti vede

scomparire in loro, e nel riflesso

sarà come mi seguisse il sole

  sui vestiti neri

per avere camminato nella pioggia,

per sapere anche  nella nebbia

come i rami  innalzano preghiere,

coi fiori rampicanti sulle braccia

che sanno della mia consolazione

 

Hai il fiato di un bambino quando scrivi

con la luce dentro gli occhi di un uccello

colano i tuoi semi sull’inverno

si attaccano al futuro, facendo pieno il cielo

dell’ombra sacra che respira come l’erba

nell’anima che cresce la nostra prima pelle

di futuri  bambini  e di antenati-

correndo come  cavalli  come stelle loro

si fanno caldo  insieme

con le braccia di quattro madri

 

Mi domandi se sento ancora l’odore dell’inverno:

-toccami-  cadono solo più foglie oggi,

ma se nevica, se piove , per la candelora

le mani diventano un pozzo di calore

 

Da qui muove la luce le radici - guarda

sul vestito di lana di febbraio,

come i rami finalmente si avvicinano

offrendo  al vento i loro seni nudi.

*

Morsa di puro amore

Anche senza immersione nel Nilo,

purificando la lingua sugli alberi,

dove il balzo verticale è verso Dio

mi bagno sulla tua corteccia umana.

 

dalla carne all’inguine del bosco

ti conducevo come fossi genesi

dilatando quell’immagine sui rami,

per quel tono  fragile che avevi -

al centro della piana di Senaar

nel mezzo di un profondo sofferente-

se restavo nella cerva a far l’amore,

col rigore con l’impegno e con la forza,

folle, nel desiderio di unità.

 

Santità si scrive qedusah e prostituta-

qedesah-In lingua ebraica ha radice di sorella,

poi di Issah

se l’Uomo sposerà quell’Altra parte-

senza prostituirsi all’esteriore

così gelando in ogni dono, se non viene

fatto matrice il corpo, ma prigione,

infine tomba- dentro se stesso

passando dalle nascite alla nascita..

 

dentro Rahab-

la prostituta che avverte lo splendore

delle spie, e le protegge sotto il lino

steso sul terrazzo- nel suo nome

c’è la forza, la volontà d’estrarre pesi-

con la mentesatura di Nulla- alla miseria,

per un momento di felicità.

Ha ricevuto tutto,

il signore col barbone e il suo mestiere

quel giaciglio come letto

di morte o culla a nuova vita.

Ha tanto amato,

lasciando andar chi amava, trattenendo

il ripugnante. chi ha pianto. è  Rahab

che ora sente gli altri come  sogni,

con una parte privilegiata di se stessa,

da un’altra stretta, ha colto il filo rosso

che si lega al polso dall’interno

spremendo il succo nel suo sangue,

più delle spinte

che hanno fatto sconvolgere il suo ventre

 

 

Ha scelto la parte migliore anche Maria

di Magdala non si è affatto preoccupata

della buona reputazione o della legge.

 Manel pieno dell’orgasmo ha colto un punto

un punto  luceverso il quale volgersi,

riprender vita, là, dove provava

il suo piacere, l’elevarsi in un’offerta,

nel desiderio folle che l’attira

in una irresistibile vertigine

e vi sprofonda e si abbandona da ogni parte

contro i piedi di colui che mai credeva

di raggiungere nel franare a pentimento

nè l'll filtrare di un’aurora nella notte-

ponendole la mano sulla chioma

 nell’orifiamma impuro,

e benedicendo inonda

poco a poco come mai gli amanti prima-

con la tenerezza d' Altro Amore, scorre il nardo,

un’intuizione di pace nella stanza del Signore

 

ebbre di santità. Vanno e vengono queste donne,

prostitute nel fiume della vita, poi

si fermano per ascoltare e contemplare,

accompagnando l’uomo di dolore, con l’ardire

del pericolo. Donna! E' la  parolaPrima

del Risorto. Poi Maria. Finalmente amata

 

sotto gli alberi più verdi e le montagne

dentro il fango stabiliamo le radici

di quel Nome che ci chiama dove nasce.

 

è di una grazia così violenta

che si ama con la gioia

verso colui che si nasconde

che appartiene ad ogni Anima vivente

 

La trovo là, in quel punto

che non ha la dimensione,

nel cuore della rosa, che diviene

nel dramma lo splendore,

devota al proprio nucleo.

                                    Morsa di puro amore

è il dolore di Noialtri se vicini

come un passo innalzato nella neve

che più dolce chiama e il palpitare

come se cogliesse in cielo

dove l’Ora ha nascosto le vigilie

di un segreto inverno

 

se il dolore è una ferita

è da lì che passa l’inatteso

l’invisibile mistero della gioia,

nell’offerta di se stessa fatta carne

con la mano sempre tesa sulla piaga

luminosa, nella pena più rinchiusa,

immergendoci lo sguardo,

si può scorgere  l’Iddio,vivendo,

incontrarlo mentre affonda

nella morte che guarisce, con l’amore

 

se lecco il canto buio dentro gli alberi

mi ritorna in melodia, dolce midollo

dov'è il globulo rosso che scompare

attraverso la parola Prostituta

ripetendo " Voi siete mia Madre"

con la forza di una Santa Eredità-

*

Salendo con le lettere del pane

Ci sono Vergini  Nere, spose non sposate,

Seppellite sottoterra in tutto il mondo

Dall’isola di Pasqua fino a noi

La terra è piena di queste statuine

Della vergine che deve partorire –

 

Virgo paritura-

sei andata al mare con la brocca sulla spalla

per consegnarti ai suoi colori ti attendeva

per inchinarsi sugli scogli

portando a fine il viaggio della pioggia

e un’ immensa gratitudine nel cuore

 

è una mangiatoia il nutrimento che mi viene:

le tue parole e l’acqua che ti scopre madre

di un amore tenero, che ti scava un vuoto,

camminando scalzo il mare

 nella casa del pane

sostengono la sera, dove ho riposato,

l’ordine impercettibile di una fede

ed una tua poesia nel segnalibri

piena di svolte, d’impronte umide di fame

di mandragore, dove si bagna con l’amore

il sale fondamentale d’ogni cellula

capace di mutamenti, di tenerezza divina

 

nel pieno delle tenebre

tutto il vero non è mai definitivo

come la verità,

se ti vedo di nuovo scomparire

un passo dopo l’altro le parole

nei gesti quotidiani dare voce all’afonia

sentendo che il tuo cuore batte lento

mentre io ancora corro via dal labbro

che copri con le mani e una scacchiera.

 

 

Non posso vivere senza sogni nelle mani

in quello scambio termico è la vita

se vango attorno a un albero

è tutta la preghiera- nella distanza delle mani,

dal basso risalire, nasce sempre un figlio,

nell’apertura del suo ventre,

si muove appena rasoterra, ma lo slancio

abbandonato  in direzione dei tuoi occhi

gocciola ancora di fiducia

e se nell’aria Sorride quietamente

può prendere  le ali  della grazia

ricevendo un nome nuovo da Sarai,

nella notte più preziosa dell’aurora,

Sarà,  la più vicina alla sorgente,

dove accetterete di morire,

Dove il figlio vive.

 

Così la sera e l’acqua fanno un solo cerchio

Del mistero femminile intorno al pozzo-

come una fidanzata che diffonde

tutto e dentro il suo profumo

salendo con le lettere del pane-

che tiene nelle mani la ricerca

di un luogo certo e del momento

dove il caso

e la più preziosa delle guide

la  conduce

 

*

Coi nomi degli odori

La risacca vi ha restituito solo

qualche frammento colmo di colore:

frammenti dei fratelli, sposi dell’estate

allevata in sé come regina

del mattino

 

quando al sommo si aprì una fessura

dilagando nel sogno e spalancata

la carnale tentazione di cadere,

dilatò nelle pieghe delle vesti

la coscienza scura

 

Fu la notte in cui vi cadde il cielo

nella soffice buca sulla terra

Neppure l’erba alta vi ha nascosti

nelle veglie più domestiche

 

quando avete smesso di mangiare con la luce

foderato le finestre a carta nera

eravate l’uno stretto all’altro nel silenzio

e con un fremito lieve alle radici

tra il bianco e il candido

 

salivate alla gola coi nomi degli odori

frusciando nel buio della stanza quasi ciechi

come dopo un acquazzone nella foresta fitta

imparando a riconoscere la scimmia

dalle foglie con la tigre contro gli alberi

ed un nome Condiviso

 

con l’alito di vento vi ha salvato,

più che la vista, la fragranza del celeste

Ed ora, con le mani sporche di pittura

appoggiate alla spalliera di una sedia

tra la tenerezza e la paura

 

è come se da un momento all’altro voi

poteste respirare con l’odore al seno

a prender forma di mammiferi ancestrali

accendendo quella lampada sul viso

con la forza della nostalgia

 

 

dipingendo tra sussurri le radici

coi frammenti dei fratelli per tornare

a quel che non c’è più, salvando i piedi,

nell’odore celeste e grato di un giardino

piantato ancora dentro, prima della Storia:

è qui che sporge un'erba, è qui che canta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

P.Gauguin- Noa-Noa- Il fiore in ascolto

*

La luce diventa ciò che tocca

Le cose si conoscono l’un l’altra

In quel luogo dove Dio ebbe finito

            Il centro esatto

E quel vapore intorno agli alberi che tocco

Non è un’afflizione se non ci sono bordi,

Sono gli angeli,

Che tengono gli uni agli altri i rami,

nel prodigio di salire

Spingendo avanti le montagne per comprendere

Nel vuoto aperto un’anima,

Dove noi vediamo una chiusura,

La natura che ci parla di ritorno.

 

C’è voluta un’intera vita e ancora claudico

Per vedere che non c’è orizzonte,  il cielo e l’acqua

Sono lo stesso essere in alto e in basso

E la rosa di Duino non vive separata

Dal sentiero che ricopre sul muretto

 

Così la luce diventa ciò che tocca

Le cose gli alberi il vapore le nostre ossa

Se solo tu potessi  intravedere lo splendore

Delle rose senza bende sul tuo viso

Di come l’alto e il basso stanno sulle braccia

Si dilaterebbe il cuore farebbe grandi le tue mani

Nel toccare il dentro quando viene fuori

All’universo Aperto dove vivono

Tutte le creature, e i morti

Come  là, il reciproco sfiorarsi

di una mano in una mano,

sono privi di possesso

nell’interno indimostrabile

dove Nulla c’è che attende per la fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

S’inventa sempre un sogno

Se balli con me - con quel poco che avevamo
s'inventa sempre un sogno -
fin dentro la terra coi capelli
allungo i piedi in cielo, disordinando l'aria
con la forza del colore che ricade

se canti una canzone, un'ederlezi,

 

se colmi con l'immagine e trascini
la pelle con la pelle intorno al volto
il confine è la tua mano,

è dove precipita il respiro,

all'insaputa delle labbra,
da poterlo anche tacere, tanto trema,
offrendo un sentiero nel silenzio
dell'alba che passa sopra gli occhi
di un fiore operoso dentro il bianco

 

Se il  profilo del Luogo che Siamo,

è il Lontano, tu, certo, lo ricevi 

dove sono il cuore e le tue mani

con la curva che fanno gli occhi nell'Amore

quando si espandono in cieli senza limiti

*

Ti ho stretto a un filo d’ambra

Si stringe ai seni con le mani

attraversando il mistero della stirpe
-e un canto d'acqua allatta il suo bambino
nelle braccia di creature superiori-
spremendo sogni dai capezzoli del mondo
resistono gli anelli esposti al pianto 
a contenere oracoli nel dendron 

-Da quando l'esistenza era di muschio
e ti tremava l'acqua nei catini
hai catturato luce e dato meta
ai corsi, alle radici muscolose?-

Dai fianchi dei più fertili rifugi
come volessi sbalzar fuori dalla roccia,
difendendomi da sola ognuno i rami,

così ho combattuto per l’Amore

-Portavi acqua alla corteccia nuda
proteggendo l'odore della resina 
Così lunga la tua attesa a vivere-

Mi sono aperta colmando le ferite
sollevando lunghe ali trasparenti
a scalare le montagne e con il vento
puntata al più estremo della cima 

- Ti ho vista superare il livello della neve
per inondare a sogni le tue spalle
Ti ho stretto a un filo d'ambra una preghiera-

Sei sempre Tu a prendermi le mani
quando sogno e mentre bevo 
stringi i polsi nel dramma della luce
a quella stessa ora dello sguardo
unendo i fiori che cogliemmo e tanti anni 
rimani a far l'Amore- mi ripeti- 
cammina con gli occhi di chi corre 
con l'oriente custodito in ogni giorno
e un tramonto che ti attende nel suo tempo
con la spinta che diffonde quando è ora.

*

I sospiri lungo i vicoli del legno

Con le fiaccole negli occhi tra le file   
di case e matrioske  nelle mani

della notte muovi tutto se ti fermi

senza mentire tradizioni  ed i miei fiori

con l'acqua pari a stelle nelle vene
non finiscono col noi e le radici
fanno oscillare il suolo senza fine
dove  riposeremo  in un'offerta
con gli effetti ontologici  dell’eco

riparando i lamenti delle gole

con le corde trattenute nelle mani

come un liutaio sente dei violini

i sospiri lungo i vicoli del legno

e va togliendo polvere alle cose

con l’odore del pensiero. E così sia

il Nome dell’estate in cui si taglia

il frutto sulla cima della cassia

strappando il velo dell’ottava ora:

avremo nervi nuovi e nuovo cuore

accettando di non saper più niente

senza aspettarsi nulla varcheremo

il totalmente insuperabile del senso

fino a dove le nostre mani vedono

e l’occhio può toccare uno spiraglio

accostandosi alla pietra più nascosta

sigillando questa carne nel profondo.

*

Sul vuoto delle braccia

Una vena d'argento nel buio del risveglio

distesa come lunga tela bianca,chiusa da lenzuola,

accompagna il chiarore della casa. e tutto un sogno

mescolando nel colore, come in certe tele di Bonnard

oltre la porta di una stanza, in fila al cielo,

un’ultima stagione

più segreta, nell’ordine del vento,

l’aspettazione della sera.

 

Nel rito di restituzione dell’attesa: il vento viene,

dove è entrata quella luce canta di un luogo sacro-

Chiusa la porta. Tu sentissi il silenzio che mi accoglie.

E' il silenzio dei libri, i primi davanti agli occhi.

L’urna di mammet,e le rose che profumano sotto, la pirite,

un piccolo libretto, il guscio dell'ananas, e il cestino di Sevres

con i frutti di Pennabilli. Li tocco tutti sai? Li tocco. 

E' commozione.

Spariscono i rumori delle ore, le voci del giorno

la persuasione i consigli gli aiuti le questue

le interpretazioni - Con la forza del suo corpo

per potere guardare con fermezza

il mio dolore, battezzarlo ogni mattina

a colazione, proteggendo il pane con le mani

coprendo il suo chiarore, dentro lo spiraglio

scavando una benedizione. Solo allora

posso lasciare la casa vuota

come una madre che mi aspetta

fino a sera

rientrando poi nel suo segreto,

una voce sottile e silenziosa,

dove il tempo è solo spazio

sul vuoto delle braccia che mi tiene.

 

 

*

Poggiando le nostre bocche a Dio

Altre sere verranno  così intatte
sotto i portici rossi  di Bologna
a sollevare il vento la sua voce,
nei giardinetti  delle  lunghe ore,
al suono  umano : "và verso di te",
trasfigurando nella carne più divina
il desiderio che circoncide  l'incoscienza
per la luce di sentirlo ancora qui.
 
La sparizione delle pelli,
nel pensiero eretto a piedi nudi,
dentro il bosco, è dove lei ti canta ancora,
con i semi della neve che non vuoi
chiudendo gli occhi  e un segreto sulle mani
-prima che  riaccadano altri sogni- :
"Spingeremo come simurgh primordiali
le nostre upupe tendendoci  le ali
tra  l'onda e il mio corpuscolo di scaglie
la particella viva  nelle vene,
la nostalgia  del Mirabile  Ruah"


Con quale pioggia ci si mostra  il desiderio
sul prepuzio del respiro e dentro gli occhi
col vapore che si stacca,
dall'acqua  di una ciotola di riso
sopra il fuoco, e  solo insieme - mi rispondi -
il dialogo scolpisce, queste anime di notte,
con un filo tacito e scarlatto
con i nodi , e con le pance del riconoscimento
appesi come un segno alla finestra
di una prostituta nella luna
per entrare nella città di Gerico
col potere irresistibile di un bacio-


Intuendo come un altro corpo
potrebbe entrare in loro nel morire
a quello e in altro sangue, un altro cuore intatto
a ognuno  tra le dita sembra alzarsi,
con una sola musica promessa,
un'alleanza d'eros così sacro
da riportare  il sesso al verbo e
la meraviglia degli amanti
nella  sua PrimaVera trasparenza
 
Lasciandosi sgorgare in altra luce,
col sole nella testa e con l’anello al dito,
invertiremo il corso al Gange
prolungando  in sé  l' amore
al centro di un cuore più sottile,
per mutare nella somiglianza ( ultima)
la saliva celeste senza suono
e  renderne il respiro con un bacio
poggiando le nostre bocche  a Dio

*

Ponendo uno spirito lene

Mutano nella luce le nostre ombre

Di pelle in pelle, alla fine delle pietre,

L’ultima sarà la Tua.  E non voltarti indietro

Per  questi occhi di carne

-finirà la visione

nella sconfitta dei sensi-

 

Con un soffio, passami accanto la sera,

Ponendo uno spirito lene,

Come dentro ad un sole

Sàlvati il viso. Discendi  sul fondo

Ad aprire le strade delle cose sparite

Tracciando solchi dorati

 

Terrò a mente, nello sguardo escluso,

Come afferri  qui  ciascuna  rosa

Tanto profonda  e irrevocabile

Tu sappi dell’immagine

Oltre tutto ciò

Che su di lei si chiude

 

 

 

 

 

 

*

Il canto nel ventre di mia madre

Come la testa di un bambino

che oscilla nel ventre della madre

per mettere le mani  nella luce

così  ti faccio nascere

per giungere nell’asse della vita

dove le contrazioni sono scale

e una dopo l’altra nell’evento

scolpendo le mie vertebre sui pioli,

si rompono le acque  come un vaso

nelle profondità dell’incompiuto

 

C’è un’emozione tenera ad Oriente,

dove non si grida. Un'aurora senza sole

si custodisce e vive,

nel tempo della sua composizione,

fino a volgere il viso alla sorgente

cambiando le pietre con il pane

quando torna in sogno. Avviene al caldo

E' uno speciale sovvenire. Non ritrarti

con le mani, non coprirti gli occhi di paura-

mi ripeto- per generare un fiore

anche il ramo di una quercia sola

parrà giardino intorno alla sorgente

per zampolare il burro e lavare i panni

badando a partorire ancora Leila e Majnun.

 

E' troppo poco, nell'erba viva

neppure un giorno che sale dalla terra senza te,

e per riempirsi il cielo 

sale sul foglio un alfabeto

che pulsa nelle pieghe della mano e in altre forme

china sui fiori la sua lezione di luce

portando sulle labbra la prima comunione

di piccole cose, le sue mani  fanno chiesa

sul capo  ai miei domani - dici

non hai niente da darmi-  È poca cosa forse

il suono e un bosco con i piedi carichi di seta?

 

Una retta ideale che congiunge

una coppa immaginaria, tra l’ombelico e il pube,

vestita di maestà, e  annodata sulle reni

con la forza della sua fragilità,

filtrando l’aria come fa l’orecchio

nell’ascolto della terra, come Dio,

lo sa, che fioriscono sogni nei capelli,

scambiando l’acqua con il sangue

da un solstizio all’altro. Dal Vuoto perfetto

nella  totale attrazione è la bellezza

che ritma ogni vita contemplando

l’ombelico nel luogo più immutabile

e sorgente di ogni movimento. E' là,

fino al soffio dell’ultima sua terra,

nell’estremo orgasmo della Morte,

che oscilla ancora,

in un ritmo binario primordiale,

il Canto nel ventre di mia madre.

 

Col dolore posso sedermi ora, e stare sola

con la gioia, alla bellezza della tua presenza,

lunghe ore dondolando  per uscire

come la testa di un bambino nella luce-

e qualcosa di più grande si fa mondo-

va e viene. calma

*

Nei campi di cinabro

L'ascolto si distingue dalla voce
nel tracciato primitivo che disegna
un uomo piccolo, che tende i suoi polmoni,
staccandosi dal cielo con un soffio
il verbo dentro il fuoco e tutto il sesso
giù nell'acqua dentro i campi di cinabro
ricercando l'immortalità. Mi hai scosso la matrice,
gli irrisolti umani al mondo dell'Avere ,
nelle dieci contrazioni di Mosè,
per vivere la Pasqua nel possesso
della terra, ho combattuto l'illusione
con Teseo tutta la notte
mentre mi tiravi per il corpo dalla vita
nell'anarchia del basso della acque.
Nel diluvio partorendo solo figlie
come  ricordare della  sposa,
il vuoto nella carne-
non un buco  primordiale della terra-
nel suo centro,  luogo Ultimo d'Unione?

Dovevi penetrarmi
prendermi nell'arca la coscienza,
per sentire la tua voce
e il peso delle altezze, nel diluvio
restare ancora al caldo, come un lievito disteso
con bellezza. Ora legami all'estate
degli  uccelli, che vanno e vengono
misurando il livello delle acque,
dentro il tempo. Mi  farò animale
a nuova terra, asciugando fuori
a poco a poco, neanche il corvo tornerà.

C'è così tanto giorno da godere ancora,
quando mi chiami per il Nome Libertà,
inebriati e nudi del possesso- mio Ararat
quante volte la salita antica
senza giungere  alla cima  dell'interno !-
seguendo l'arco nella nube della schiena
ci siamo visti lungo il ponte con le pietre
nelle mani come frutti  queste vertebre
Ti ricordi la scintilla ? dalla Grande Sera
al Domani che ci canta
nel compimento della Croce
fu splendore
della luce che s'invia ad Altra luce
nominandola nel volto dell'Amore
abitando le sue immagini in eterno

*

Il viso verde del suo nome

Ho potato il giovane albero, i rami più bassi,

suturando le ferite, succhiando il sangue

dalla tunica di pelle, gettata nella polvere;

perché appaia la luce le carni sono aperte,

tagliate  per il frutto che rivela le sue terre-

il nome che ritorna dell’anima vivente-

è così che crescerai, nella potatura,

 mentre io diminuisco,

tenendo in conto l’Altro Amore

 

anche Tu hai perso il sangue di ogni mese

nelle acque uterine della notte

fino a Lui, Adam, sotto la spinta del dolore

con l’arresto della parola Madre

hai  partorito te,  dentro la casa,

passando dalle porte successive,  

entrando nella gioia di metterti al mondo

nel cammino verso gli sponsali

hai svegliato il cane  il giardino e i tuoi guardiani

 

Cercavi  la sua immagine e nuove tutte le cose..

penetrando l’ombra  fino in fondo

nei cieli interiori con un bacio

la debolezza  si è capovolta in luce

e ai piedi dell’albero  l’Istante,

gravido d’eterno, è un  viso verde Ora

 

Distesa sotto il mandorlo, ho posto il viso

tra le ginocchia coronate, le più nascoste

delle profondità invernali,

prendendo  forma come un seme,

ho toccato  con la terra estrema

il mio giovane figlio in cielo

alla nascita della sua benedizione .

 

siamo alberi capovolti noi

e come alberi camminiamo

con le radici nell’invisibile

e le fronde sono i piedi e sono madri

morse dal serpente, e sono Edipi gonfi

nel foro aperto Achilli deboli

 

Terremo in mano quel piccolo tallone

rinascendo, con l’Amore

ungeremo i piedi dei bambini

prima della cena, guariremo la ferita-

del padre ucciso, dei figli orfani, e delle vedove

con ciò che è più prezioso , come il nardo

dalla testa ai piedi, avremo cura del germoglio

distinguendo dal nocciolo la scorza

in una sola lingua.  Sulla Porta degli dei

sposeremo nostra Madre

per resuscitare il Padre

nel luogo più profondo e più elevato

saremo congiunzione

divenendo l’un l’altro il Suo Nome

Corona  alla sommità dell’Albero

*

Sposami ancora questa notte

Sposami ancora questa notte

ogni notte che rimane nuda sposami

nel circo sacro della pelle che cerchiamo

in quella musica perpetua del pensiero

se il dolore delle spine è nutrimento

nel gioco d’archi a sesto una dimora

è il brivido che s’acquatta nella schiena

per l’amore che non vive senza rose

 

tra le ali  e gli alberi dell’anima

abbiamo petali bagnati di visione

e tenerezze nel cuore silenzioso

schiuse gemme solitarie i nostri semi

nello stato di chi ama il delirio delle stelle

al ritmo elementare del tamburo

 

per guadi stretti

dove l’acqua scorre densa

sul percorso ritagliato nella carne

della nostra futura Madre sono i fiori

con la parola aperta delle cime

allo stesso modo un uomo

e la sua sposa sentono la vita

bisbigliare. con lo stesso sole

distaccarsi la preghiera che rientra nell’eterno

cercando i verbi all’infinito

imparammo ad  amare

                                            fino a partorire

la mano aperta di un bambino

                                                   con la rosa

dentro gli alisei e le sue gambe

che spingono nell’aria

lo scatto del respiro come un’onda

in cerca dell’uscita tra le cose

                    nel velo più bello al suo dolore

 

 

*

Mi arrivi con l’unica viola, adagio

Entra formando una sfera nel seme

che splende  di vuoto e senza saperlo

avanza cantando l’identico nome

la voce che torna

alla riva segreta di Schubert

con l’adagio più bello.  nel mondo

mi arrivi con l’unica viola

sul cuore dei passi , e una lamina d’oro

come una tromba tu piangi  energia

mettendo dolcezza nel gesto potente

a levare il respiro. con che pressione immensa

arriva l’umano e penetra la tua poesia

quel che cercavamo da soli, nell’eterno conoscersi

non si arresta, e s’inarca al lamento,

alla calma cadenza, diminuendo il più acuto

nel ventre

adagio è sentire  la terra muoversi piano

se un fiore nasce gemendo, l'adagio

è camminare  coi lumini sulle dita

piangendo con la luce nella gola, per tonare

a casa, con l’Identico Nome .

 

*Schubert- String Quintet D.956, Adagio

*

Il tocco nero dell’angelo

 

Così vicini gli occhi nello spazio

anche il tuo non esserci è più vero
ad osservare  quel chiarore ignoto
da doverne dire il tocco nero
dell'angelo, che passa come musica
e rimane,  giunto a veglia nello sguardo,
fino a sfiorargli il viso irraggiungibile,
racchiuso tra le parole e gli alberi 
mentre l'alba muove il tuo respiro e sale
la misura inconsapevole del dono,
assolvendo il nulla 
                                    tutto nel suo stare 

*

Aman Aman, dalla parte di Swann

Ho messo al muro la notte e  il calendario nuovo

dalla parte di Swann, poco sopra dove faccio colazione,
la carta patinata del primo mese ancora nascosto.

ho comprato  il vischio nei sacchettini con il nastro colorato,

ne ho comprati tre, uno per me e mammet,

l'altro per mio padre domani, e questo è "per te",

avrà cura dell’assenza per sempre.

 

Col muso spinto in avanti,

ai piedi tamburi fanfare nei passi,
amina è andata a vedere la piena,
io ripeto- narimi-
minuscola donna
inzuppata di bosco- rimani
con l'occhio che brilla sul dorso
dove l'anima tende una lenza
al branzino che guizza
pieno d'argento. per ore
e ore. ti dico: possiamo essere ovunque
con gli occhi che tingono il vino
con lanterne rosse di carta
porteremo dei sassolini
lasceremo gli auguri cadere fin là...

c’è un suono che striscia sul muro
più bello di un jeko a mezzanotte
sulle ombre affilate ho teso la mano 
cercando la fonte
eretta nel vento:
un pugno di ore allo sprazzo di luce

dove sfugge alla regola  un filo
che sale e rilascia sostanza
-cos'ha da suonare- gli chiedo
cercando la forma alla mano
come mille orchestre d'uccelli
-è la notte,

vuole fare la seta sui letti 
portando la luce
dove il sogno ha già buio-

 

stringo forte la vista
metto dentro parole
non so fare altrimenti
per fermare il lamento
che "ti dice" qui accanto
dove hai saputo arrivare
raggiungendo il cuore col suono

prima ancora del nero la carta
e sto col ventre ritratto

nel sogno

per raccogliere tutta la pioggia,

una scatola di cerini, e una mamma morbida


Sognare è certezza d'esistere, e stare

con le braccia tutte aperte

a disegnare un luogo con l’aria,

con un salto in braccio, da una piccola rincorsa,

raggiungere ogni viso

fin dove cresce questa pianta umana

che rotola, aman, aman,

come una stoffa ebraica nella pancia
uscendo in profondità

al lamento del fiato, claudicante.


Sei una pozza di luce impregnata di colore

dove il destino  mi ha fatto immergere le mani 
è pieno di spazi il tuo dentro

da potersi  toccare le vertebre, e ancora
dove mi fai scappar lo star male,

colpendo ai fianchi la notte,

con un sorriso,

scaturisci qualcosa che si diffonde,

un nido negli occhi del canto,

dove si sporge  del buono,

staccando la verità, e noi

possiamo soltanto amare

Dalla parte di Swann, a casa della zia Lèonie,

nella stanza ho girato il Nuovo Anno

aman aman

 

 

 

 

*

Le mani sono belle

se metti nelle mani le parole,

l'attenzione nell'esistenza umana-
nei gesti incomprensibili la logica,
le province di senso della mente -
dando la parola alla persona,

le mani sono belle
 
se ogni visione dell'Uomo
fa perdere di vista l'uomo [che ho di fronte]
nel silenzio che grida altrimenti,
dando il moto a ciò che sembra fermo-
a chi  fugge ogni contatto

seguitando regole diverse
per discendere l'opaco- sotto il polso

le mani sono belle. Di fronte alla montagna

ogni figura

che  incontra il suo contrario perturbante,
ciò ch'è estraneo, di straordinaria grazia, 
di lievità, nel petto si fanno le sue mani

e sono la valanga  il pettirosso il falco

e la montagna

nomi che coincidono col cuore 
fiorendo  nell'orecchio circonciso,

nel consiglio delle voci, c’è l’interno di una mano

 

c'è un piccolo uomoalla casa sul pozzo-
col ricordo degli occhi che hanno visto le bestie,
nel deserto  la sete  del bambino d'argento-
e disegna  grappoli ai muri pieni di vuoto

per  quanto è alto il dolore

e la testa inclinata. dell'amore

le mani sono belle nel cortile

le ricevi sul tuo viso a spazio immenso,

fenditura per l'acqua dove mettere i piedi,

e una carezza nelle ferite vissute

 

tra le ossa e la terra

l'intero durare
che trasfigura le mani

in preghiera

è meno lontano da Te.  la bocca del buio

va crescendo  lentamente una luce

sulla grande presenza sconosciuta

e a un tratto tu la vedi, e le sue mani,

dalla vetta dell’ultima parola, sono belle.

 

*

Entrare piano è rimanere..

Una piaga luminosa di dolore

non fa uscire la notte dalle stanze

e stai seduto davanti al telescopio

dondolando lentamente le ginocchia

nell’ora del cielo, la più bella

la più forte, di quarta vigilia

per distendere il torace  di chi muore

 

sul carro dell'Orsa Minore

cerchi pace nella sera dalle botte

facendo il segno della croce senza il padre

ascolti nascere le stelle rasoterra

la continua creazione di speranza

verso il punto di luce che ti allarga

 

mi commuove saperti alla finestra

smarrito nell’anello che ti unisce

dentro il guscio di percosse ricevute

è il tuo dito che punta verso il cielo

mentre io, da qui,  non vedo fuori

ma so che torneresti a casa – Andrea-

colmando il vuoto del segno nella croce

 

se ancora avessi tua madre da proteggere

e non un segno bianco sul costato-

in cui entrare piano è rimanere

un passo indietro - denso di preghiera

*

Il matrimonio delle palpebre

Tenerezze carnali

come labbra cieche

benedetti rami! e un cuore..

Mi sono aggrappata così forte

per sapere tra il  tempo del segreto

e te, esposta come un orlo sul mio plesso,

evocando la realtà la pelle in atto

 

Privilegio e limite le palpebre

la tensione di aderire con lo sguardo

fino a  dove ti sento poi sparire

si apre l’anima, la vedi quando

stacca via dal tronco e balza fuori

con le cose intorno umane, per vedere

quando il pane viene via dal cesto che ti porto

per sfiorare il buio dell’uccello azzurro

dove le parole si sono ritirate, dove

si muore di continuo si rinasce. A poco

a poco imparo col finire la scomparsa-

il grido di richiamo e  la risposta:

 

non avere paura di quel vuoto

se dentro un altro riposa ogni respiro

se non distingui l’andata dal ritorno

c’è dentro un caverna un astro,

una cupola di musica del parto

sonoro fecondato più che amore

con un gesto

irradia dal silenzio che rimane

 

Come l’acqua è della terra

e del cielo insieme, l'equilibrio

solo unendo si rinnova nel perenne

per congiungere  ricchezza a povertà

Così  sotto le palpebre

nell’infinito ciclo che le fa perfette

unisce un’acqua l’anima alle cose

toccando l’invisibile si tende

dal silenzio al suono

come per sposarsi, sempre.

 

 

 

 

 

*

Ti offro queste braccia per Natale

                  

"Io non ho mai abitato in una casa,

sono andato sempre vagando sotto una tenda"

 2Sam (7,5-6)

 

 

 

Ti offro queste braccia  per Natale
e tutto quello che mi posi dentro gli occhi
per ogni volta che ti leggo e ancora
perché rimani nel respiro a riparare

i momenti più immortali di bellezza

accogli i miei doni trasparenti..
con gli stessi occhi chiari degli uccelli
saremo mano con la mano alla speranza
nell’infinito vivere d'amore
così vicini in meraviglia a quel mistero

al profondo accordo che tiene senza casa 

                      

Abbiamo un’arca sotto questa tenda

che pur patisce il moto del suo carro

ma guarda da lontano come un tempio

quanto è semplice il divino senza altezze

la potenza del continuo nel richiamo

dentro il volo circolare d’infinito-

ruotando attorno al ventre per l’eterno-

di Gabriele. In tutti i Nomi ed ogni Luogo.

 

     Auguro a Tutti i Nomi un sereno Natale

sotto questa tenda de LaRecherche in ogni luogo

*

Spem in Alium nunquam habui

Ascolto i tuoi passi

al tramonto dell’anno

ti aspetterò lì, in quel punto

di tenerezze terribili

dove nulla è più vero solstizio

dell’impalpabile. Nulla

è più al centro di ciò

che sta fino ai margini

di quando Pangea cominciò

a dividersi , e quando

fino a un’altura

si congiungerà

brillando nei campi

avvolta di luce.

 

un ex voto,

che viene a notte fonda,

del tuo stare qui

essendo altrove,

può,

da una pozza di niente

saltarti addosso qualcosa

lontana da tutto, la gioia-

 

e non arriva un rumore,

rimasto per terra,

nei buchi neri isolati di stelle:

a Pinnacle Point viviamo a maree

nel mare del nostro mistero

dove mi hai detto delle correnti

senza perder di vista la costa

ti ho chiesto la porpora delle murici

per celebrare il natale del sole,

di quando lui tocca,

nel suo punto più basso,

tre giorni

dove viene a morire

per ascendere al cielo

 

è lenta, è trasparente questa salita

dove l’urna trabocca il presepe

mi adorno al tuo seno, ti ascolto

"spem in Alium nunquam habui"

taglia col freddo l’insonnia

meravigliosa di tanta mestizia

non diradare i tuoi passi

al tramonto dell’anno,

dove nulla è più vero

a metterci in salvo

di Nuovo a sfiorarti

in quel punto e domani

*

Ti manderò a dire con la sera

Un falco scintillante

nel cunicolo di cielo

entrò per fare un canto

 

Con lo schianto d’uno strumento strano

là,  dove il mondo incominciò, credevi

di bucare le montagne con le mani

Con le mani sporche scavavi lungo i fianchi

d'angoscia, a caccia d’impossibile reale

L’illecito volar di maggio nell’esistenza

e lastre detriti, foglie latte zolle : erbe pressate

alla fine dell’estate quante volte

 

E tante volte esiste un tempo, un luogo

esiste che la cicala perde il vizio di cantare

che fa il silenzio di formica, fa l’inverno

Esiste un senso… e ora

 

Lasciami dormire lentamente per Natale

Sarò con gli alberi a leggere le tue poesie

le tengo strette nelle mani, adesso che ti scrivo,

impregnate di dolore appena fatto

Assieme all’oro antico delle tue mailArt

è vero, non ci sarà mai un altro giorno

come questo. Sicuramente i colori-

se custodisci il tempo- ancora

li puoi  incontrare per il vortice del fiato

per la forza di tutti gli alberi

che sfuggono i tempi

In splendidi Vuoti..

 

Ti manderò a dire con la sera

di quali doni mi avranno innamorata

su quale ramo

la realtà con l'aria

ha raggiunto il sogno

che chiama amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pablo Picasso, Femme assise au capuchon, 1902

 

*

Se l’andante che segue con l’aria

Inciampo nei sassi di ere

Lasciando sul limo l’impronta

Del corpo, le mani, e la rosa

Morendo, in silenzio un minuto

Il seme che viene a splendore

favilla dell’ultima  luce

Poi scoppia in grandezza e s’interra

Incidendo lo spasmo contratto

Nell’occhio l’erranza che spinge

A salvare un’urgenza- un miracolo

Un attimo tuo benedetto

Sulla carne coperta di luce

È l’odore mandato a memoria

Che costa del sangue a partire

Di una donna che pensa e ripensa

Vincendo ogni volta il pudore

Del rosso traverso il torace

Dell’uccello che canta ferite

Nel fare l’amore con l’albero

Accogliendo una spina nel fianco

 

Un magone strozzato il respiro

È una morte immaginaria-

Che trafigge tutta la valle-

Se l’Andante che segue con l’aria,

Quando s’abbia il coraggio a toccarla,

Nel potere di resurrezione

È il più pulito dell’uomo

-A darle nuove parole

I nomi per altri mattini

Che germogliano intorno

All’inciampo

 

 

 

 

*

Se l’Andante che segue con l’aria

Inciampo nei sassi di ere

Lasciando sul limo l’impronta

Del corpo, le mani, e la rosa

Morendo, in silenzio un minuto

Il seme che viene a splendore

favilla dell’ultima  luce

Poi scoppia in grandezza e s’interra

Incidendo lo spasmo contratto

Nell’occhio l’erranza che spinge

A salvare un’urgenza- un miracolo

Un attimo tuo benedetto

Sulla carne coperta di luce

È l’odore mandato a memoria

Che costa del sangue a partire

Di una donna che pensa e ripensa

Vincendo ogni volta il pudore

Del rosso traverso il torace

Dell’uccello che canta ferite

Nel fare l’amore con l’albero

Accogliendo una spina nel fianco

 

-Un magone strozzato il respiro

È una morte immaginaria,

Che trafigge tutta la valle,

Se l’Andante che segue con l’aria,

Quando s’abbia il coraggio a toccarla,

Nel potere di resurrezione

È il più pulito dell’uomo

A darle nuove parole

I nomi per altri mattini

Che germogliano intorno

All’inciampo

 

*

Quando resterà più luce

Una grazia che ignora se stessa

un po' larga di fianchi

qualcosa di cui potevi fidarti,

nuove prospettive alla durata,

tra ciò che Lei toccava, e ciò che la circonda

dove finisce il suo corpo..ora

sembra un’estensione con le cose

nel soffio del sole che viene leggero

foce di suoni e colori

più fitte che mai le sue mani

sanno di mirra e d’incenso. negli occhi

c’è un minareto, e una pioggia trascorsa

sulla sua schiena, di neve su neve

per tutti i capelli bagnati

a splendore

 

in coincidenza con lo spazio

lasciato vuoto per la mente

le gambe corrono tutta questa danza

del suono come limite, dell’egoismo senza meta

nei tuoi gesti. Nell’acquario forse

i pesci muoiono, senza sfoggio d’umiltà,

senza mansioni. Invece l’usignolo

può cantare molto a lungo

nella sua mole piccolissima

e un cigno volare gli ottomila

senza fatica del respiro

riempiendo tutti gli spazi liberi con l’aria

fino alla vertebre, alla cima delle ali..

 

quando resterà più luce

allora immagina

il gran peso delle Notti

guarda coi tuoi occhi sani

per sentire ancora al buio

la latitudine dei sogni

dove l’amore è indissolubile

quand’è libero. Trattienilo

nel volto

c’è più del semplice passato

che rimane,

il suo canto puro

verso l’Aperto.

 

 

 

 

*

Nell’alone dei seni

Quasi non vedo a toccarti
tanto sei troppo vicino,
più dentro ad aprirti,
a chiederci : è un'unica rosa?
nel freddo
di dolorosa bellezza
può immaginare
il cuore di un fiore
scendere fitta la neve
fino al suo centro?
 
Muovendomi era così
che cadeva felice,
precedendo l'azione, l'amore,
riparandone i vuoti,  per Rainer
io  vedo l'imene e i tuoi occhi
nell'alone dei seni
con l'aria
che ci rende bianchissimi.

 

 

 

 

 

 

 

*

Nel peso di una vita la dolcezza

 

 

Era piena di grida la casa

più non vinceva la luce 

il peso della morte necessaria
  

 

C'è un senso di larghezza dolorosa
che mi prende contro i muri della sera
incapaci di rispondere al bisbiglio
quando nomino del  bosco la preghiera
e non bastano a far giorno le lenticchie
nell'ovatta dove crescono la voglia

 

Mi sono presa cura della casa,

del male incognito da dissodare dentro,

facendo uscire i nostri corpi dalle porte

per camminare là dagli alberi,

dove c’è conciliazione ancora vergine,

colmando di riguardo e  riverenza

dinnanzi  a quel che è più di noi

qualcosa, l'anima

 

Il ritrarmi  tra due innamorati,

reclinare  il capo  tra la ginza e il tiglio

nella grazia concessa a chi dona un inchino,

è pietà che mi lega

nella loro dimora

è religione d'antica eusebeia-
qualcosa di libero e sacro

che fa spazio all'incontro;

 

è  lì che mi chiedo che cosa
stiamo facendo per casa
dove si svolge la vita
la notte che grida la parte
dove si erge il male finito

prego i miei  alberi
alla sapienza più grande

di sapere morire
permettendo di nascere ancora.

 

Ritorna l’anima ai muri, ritorno io

simile a un albero,
a guardare  le stelle del mio focolare
tenendo in mano un pugno di terra
negli occhi la linfa a toccarmi la carne

nel pieno di una fiamma, il ventre nudo.

 

Entra  svuotata e gravida  di luce

nel peso di una vita la dolcezza

ritrova  quella  mano per tenerti

come un viaggio infinito  tra le ombre.

 

 

 

 

 

 

*

Due monazeni stretti gli occhi

Sale con la nebbia dentro il fiordo

un giorno intero per te, ancora  rose
le cicatrici fioriscono nel buio
delle profonde fenditure sulle rocce
con tutta la lentezza del tuo viso
l'urlo della mente
è una colonna d'oro
in un campo azzurro
due monazeni stretti gli occhi
a cielo aperto
bloccati per sempre nell'ambra
dove tu arrivi a strapiombo
prima del tuffo nel mare 
irradiando un'ombra sulle mani,
discesa  dallo sguardo, ti abbandoni
alla vita, delle mie labbra fai  te stessa,
se continuo a baciarmi, t'insinui nella terra,
bagnandomi le dita. Dove ti posi
ti mormoro, madre, Buoncompleanno,
aggrappata al fianco delle pareti
ascoltando la danza del mare
pendente sopra le onde
oltre i propri limiti .

 

 

 

 Fiordo di Furore- antica meta dei suoi compleanni

 

 

 

 

 

*

Il Rotolo dell’Angelo

 

-Eravamo al principio del mondo

sulla riva nord del Giordano

per Betlemme cercavi la tua pecora
inciampando sulle pelli della Bibbia
tradotte in minuscoli frammenti
sullo specchio d'acqua d’Isaia
sotto le volte della più alta cavità  
inginocchiati al Nostro Garizim-

 

Bagnammo i nostri nomi così piccoli

tra le ossa esposte in vasi d’oro

sulla riva di un luogo lontanissimo
quando la sorgente allargò il corpo

 

come il rotolo dell’angelo a Bet-Sham
con le dita dell'istinto, della fame,

fra i capelli bagnati di parole

sfiorammo insieme  la Natività.

 

Battendo ciechi, come il cuore di una lepre,

contro il bianco degli occhi primitivi

leggemmo col respiro polmonare

 

la nostra supplica sulla pancia nuda.

Qualcuno arrivò, coprendoci la schiena,

le angele forse, sognammo. 

 

*

Il giorno che si unirono col buio

Da dove vuoi che venga lo struggimento

della danza, il  canto nella lucida malinconia

nello smarrirsi il selvaggio più sublime

incerto del dolore?

 

Sospesi al cielo col bastone della pioggia,

forato al cuore da buchi in tenerezza,

al muro dove volano gli uccelli

il tempo esatto di una grazia liberata,
compiendo un balzo, non esiste più

distanza, esiste ciò che la circonda,

il suono.  non è scivolando sulla superficie

è penetrando fino al Nulla

il centro della sfera

dove giunge sommessa la figura. da lontano
ha la fermezza di un tempio in un villaggio
abbandonato. ti entra dentro,

se sapremo contemplare nel suo interno,

se devoti, conosceremo i sonni fatti,

l'uno per l'altro attratti. rifiorendo
nella sua bocca quanto un uomo
e una donna abbracciati. dalla morte
all'immortalità  degli occhi chiusi.
il giorno che si unirono  col buio
nel  grembo materno. ancora prima
di nascere. tanto erano innamorati

Regredendo da persona a seme

per lo stesso grembo che gli dette vita
nel mistero femminile della luce
è  quella danza la notte  partorita-
aprendo il chiaro di sentieri nuovi
l'inesprimibile completezza, il fondersi

riflessi dentro un occhio solo-

è  quel segreto divenuto intero.

 

 

 

 

 

*

Sul tuo pendio più azzurro

Nella ricerca  vibrante dello spazio

di finitezza umana ci aiuta la sera

a dire sì alla sua conclusione, con la mano

lasciamo la presa e il cuore s’innalza a ritroso.

 

Nel ciclo dell’aurora,  nella tremenda dolcezza

dell’origine. mi contemplavi dentro l’acqua

e ai piedi, con la tenera pazzia di un turbamento,

lo sfrigolio dei lumini sulle dita

mappando l’inguine la luce

ravvolgeva in ombra l’abisso d’altri segni

ripercorrendo  il sangue  e  nulla,

verso le altezze d'ora

ha la stessa voce dei salmoni

sul tuo pendio più azzurro

per gettare una scintilla nell’inverno

della distanza- è una voce di  forza elementare

se l’inverno mi ritorna il volto del tuo nome

per contenere tutta l’acqua. tra le gambe

sgorgando la verità di quell’amore .

 

 

 

                Controcorrente- Giorgia Lubian

 

 

*

Se l’amore che avevi non sa più il tuo nome

 

Una mela riflette la luce,

gli occhi la portano dentro-

se è rossa, se sta cadendo,

come arrivare da un posto a quell’altro?

Tano e Maria.

Da dove viene la mela

c'è la notte che preme

e un sibilo bianco

vede solo il calore

della coppia, di sedie,

la fronte riunita,

e una piccola porta, 

dietro tutte le cose:

quattro ruote le zampe,

e uno stesso cavallo.

Un giaciglio, le labbra

al  calare del sole. Maria

fa sì con la testa

negli occhi di Tano,

immobili i nomi,

confusi bambini.

 

Nel parco degli ippocampi

ho trovato gli sposi,

seguendo la voce,

nell’eterno presente

del loro saluto,

" mi ami !"

e a capo chino

gli dato la mela.

*

Non so chi sei che amo

 

Riluce dove è oscuro
quel colore infantile quel caos
di madidi amori da succhiare
stimmi febbrili d'uguale dolore

mostrando del nudo la verità

-gli slarghi  del tepore

violentemente amante-
per concessione dell’inverno
con le punte trasparenti  verso il cielo,
che si apre lentamente in un'aurora,
degli alberi, che emergono brillanti
battendo coi bastoni  sulle porte,
per la questua interamente d'edera,

col fiato caldo avanzi

presenza solitaria e silenziosa

apparentemente inanimato

 

t'intuisco appena, visionaria,

tra i rami stretti del tuo buio
mentre ti espandi in uno specchio d'acqua
semi cosciente, della vita nel laghetto
in minuscole gioie fai vibrare il tempo
liberato dal ghiaccio del mattino

danziamo flessuosi, gocciolanti d'acqua
e, capaci di commuovere anche l'aria,
dove mi sfiori senza fare gesti
sono così piena del tuo volto..
-anche se non ne so nulla-
a dare vita,
che il farsi della vista è l'armonia 
che avanza in solitudine stupenda
che avanza respirando con l'argento
dell'abete sulle labbra del Natale
" tu vivi presso me"  -mio donatore-

lungo le rive gli alberi e le vene
e- non so chi sei che amo

oltre la poesia.

 

 

 

 

 

*

Di te che leggi il tempo di ogni canto

Pensami con te nel centro
di Trieste cercando un libro di poesie

sopra un banchetto, nella piazza, al bar di Ernest

a baciarti tra gli specchi. All’obelisco di Opicina

pensami mentre punto il seno verso il mare

con le braccia che stringono sui fianchi

fino a sentire il tuo sesso contro il mio

ti dico il mare allora e il carso. dentro gli occhi 
pensami che stiamo andando

a far l'amore

sul sentiero delle rose di Duino

 

Ed è come se potessimo mangiare

dalle nostre mani un giorno come oggi

e molti luoghi

svuotando di tenerezza l’anima

con l’odore delle rose nevicate

assorbendo luce e umidità dagli occhi

nel contatto pre.verbale  divenendo

l'io un Noi  che inonda

dove c’è la meraviglia e cresce un figlio

posando i piedi piano con rispetto

ci trasformiamo

per non separarci mai

rimanendo a leccarci tra la mente

toccando piano il ventre per condurre

amore. E  Quello che noi siamo

soffiato  in lontananza inconcepibile

come nel primo giorno

col servizio che risiede dentro il  cuore

di te che leggi Il tempo di ogni canto

nello scialle di preghiera sopra il capo

tra mezzanotte e l’alba pensaci

bruciando la Nostra offerta, l'ultima

“al di sopra di ogni benedizione”

come fosse sempre la prima notte

oltre di noi immensa.

 

 

*

Due bambini sulla strada

Ancora un inverno e nuove ali

ai piedi nudi che cercano aderenza
-battendo ai vetri gli avamposti-

sorvolando a mente dove il fiume

fa una piccola piega e si ritira
tra la pancia e il cuore. Con la neve
è un tatuaggio nuovo a caratteri di fuoco

un’ipotesi di cura sul sentiero

di suoni labiali ci spetta un nuovo amore
nei corpi schiusi di bianchezza-
per ogni sogno spento-
si sporge e colma il cielo
gonfiando la pelle alla soglia

 

eppure migriamo

nella rivelazione del silenzio-
soffrendo la ciotola di pane
dove abbiamo raccolto del vento

lo sguardo intravisto a manciate
l'ombra degli assenti. Stringendo al dito
una memoria segreta come reliquia-
dove calmiamo il  male di bianco
trascinando sul labbro una luce 

nella piena del freddo
aspirando a un colore lontano

a un albero più vicino negli occhi-

che si adagiano chiari all'andare-

proteggendo quei pozzi vedenti

come un'Ama le perle del mare

come il cielo i lumi la sera

Quei due bambini

non scendono a patti

                            con la realtà

camminano verso di Noi

non si voltano indietro, la loro innocenza

scende la strada, viene fuori dal paese

tenendosi per  mano. l'orizzonte

alle spalle. Tutto diventa cos'è.

 

 

 

 

 

 

 

         

         Soutine- Due bambini sulla strada

 

 

 

 

*

Sulla strada per Ourika

 

 

C'è un tempo del segreto che  attraversa

sottotraccia l'accadere delle rune

che l'anima rimanda non più corpo 
nel dolcevuoto della clandestinitá


sulla strada  per Ourika non hai casa 
non hai spazio dove mettere le voci
con la cura  della lana, e le parole
moribonde, nella conca 
dei rumori


in quel gesto  si dà forma a un altro suono
intorno a quel che resta della cova
nella crepa dello spazio fancora fresco

dove l’aria ti passa per 

la tocchi come casa se rimani

ad ascoltare nella camera votiva,
la stanza d'oro, dove il respiro non si perde
con la sua stessa voce lungo il viso.

 

 

 

 

 

*

Voltandomi il sorriso in altronulla

Trascorre negli occhi il suo giorno,

nella sua febbre, il fuoco di poi...
cede la parola, si fa debole,

nel silenzio di luce, un’altra quiete

sembra nascere un canto

all'insaputa del buio

scorgo quelle labbra

nella dimora del cuore, nel singhiozzo

guido le mani le carezzo la  schiena

come facevo quei giorni

" come sei brava bimbetta"
sussurrava con tutta la forza che ha.

 

Mentre bruciava le ore inattese

-dolce lume arreso-

sulle piaghe future tremava l’inverno

Tremavo io per Altrimondi, per un giorno dilatato

pregavo. Come un papavero offerto al gelo

si è fatto l'ascolto

l’attesa dei fiori che oggi mi dona

e il buio un’antica sorgente

dove il vento accumula luce

e  paziente respira, e  riappare mai sola

nello scatto del cervo, nel taglio

della nuvola sotto il monte,

nel cuore in corsa, nella tana

voltandomi  il  sorriso in AltroNulla

dove mi trascina

sul confine della neve

nella sua danza. è primavera anche questa.

stella trasparente

sul dolore della sera.

 

 

 

                                  Fuji- Okusai

 

 

 

 

 

 

*

Dove si risolve il cerchio

A fior di labbra
con la mente  sul confine
è un ponte quella cucitura
che si stringe sulla pelle nei due punti
un margine di tempo alle ferite
di un uomo senza veli sul mio cuore
sono nuda con lo sguardo di una donna
dilatato sei lo sposo alla mia pieve
passo passo sopra il muschio della riva


con  la dolcezza più grande sulle spalle
a te sono venuta lentamente
baciandoti la fronte infreddolita
al buio dei capelli- tacerti accanto
Ho paura. -O dove devo andare
con la mano per amarti
se dormi e vivi nel midollo?

 

sentirmi donna e maschio
penetrarti
mentre ti appartengo fino in fondo
dove sei  entrato- dalla madre
fino al seme - Matrioska

Ascolta- nella cavità che ci appartiene
in un atto chiusa  insieme al sesso
non si accorge che nasceva in due
con il bosco sotto i piedi  Adamo
nella sua metà di donna che si muove

 

come un fiume e piena di qua di là
verso la fonte verso la foce 

s'intravede il doppio
nella terra di questo nostro volto

 

Dolce nella pancia a poco a poco

divenne chiaro senza una parola

e gli occhi amati

dove si risolve il cerchio.

 

 

 

 

*

Il vapore di Abele

Un tempo dell’attenzione, della conta

un tempo, dei pensieri, uno spostamento

dell’azione- meno di dolore più

di forza-  la parola di _amante fidanzata compagna moglie

Lingua che non violenti quanto la violenza

Chi guarda solo

è più pericoloso di chi fa male

-immaginare altre vite: che non allevino  califfi

di Senofonte:  la soglia di casa separa l’uomo

che guarda al di fuori da cittadino, dalla donna

che guarda solo dentro e dirige casa-duemila anni fa-


Dov’è il Nonno autorevole? E non tu, padre coetaneo?


Metti gli occhi nei cortili degli asili

tra girotondi e scivoli tra bambine

con bambine- non si mescolano i maschi

con le femmine, le due metà del Mondo

delle camerette di attrezzi  colorati, mostri

e mezzi di trasporto, mica peluches e bambolette

I calciatori sono maschi, femmine le ballerine

meno forti e preziose, riproduttive certo- bisognose

di protezione-  Nei cortili degli asili è l’ombelico

Di PariPasso, se impariamo a mettere

la ruota della bicicletta sopra un albero

 

Questo è il viaggio:

“Chiamala violenza non amore”

Uno due tre quattro mani insieme

Proviamo a cambiare racconto:

che la violenza è fragilità,  non donna

alimùt è violenza,  elem il silenzio

dell’Uomo  che usa le mani

per linguaggio- s’appropria del Tuo

vapore, della bocca di Abele.

Delle mani di Camille Claudel

interrogarsi è un acceleratore

 

“Sì ero sola in casa. Sì confermo di essere stata

sola  in casa, di essere solo caduta dalla sedia…”

 

*

Col nostro più antico theremin

Salendo le scale del condominio

di tante esistenze, è da sotto le porte di casa

che scivola ed esce la famiglia riunita

con l’odore dei tortellini tra i piani

confondo il mio solo di latte

nella tazza all’adagio di Mahler

tocco di nuovo  la terra nella mia stanza

allargo le braccia come fossi un uccello

e l’incenso per fare domenica, l’altra metà

del cielo  la forza è ballare tra  bestie

del passato a fermare il dolore. E' resilienza

a volte la sera rotolar giù dal letto

per quell’unica fioca candela,

da basso dove viene la musica,

a piedi nudi in giardino bagnarsi 

con le sagome nere degli alberi

fare quel passo  e un  ritmo di_verso

danzare nel chiaro del legno e l’erba per fiume

lasciarsi rivivere, sentirsi a casa

tra gli abeti la ripida sporgenza del Natale :

le pareti sono nude, le finestre le radici

una dentro l’altra trasparenti sono tre

e una pozza di luce al davanzale

è vederti bianca nel buio della mente

tenere  insieme il mondo

col nostro più antico theremin

fino ai rami fino alla chioma

assorbiamo la pioggia suonando

toccandoci senza le mani

“né legno né corde né crine”

 

Con l’aria siamo vicine coi seni

che mi hanno fatto crescere

mangeremo la luce agli odori.

 

 

 

 

 

 

*

Abbiamo smesso di camminare

Abbiamo smesso di camminare

Fatto l’amore tra i rami

Nello spazio cavo di un tronco

E di noi stessi. I volti somiglianti

A figli nostri-  ancora bianchi di tamburi-

A un giorno che non muore, una madre

Che non fa un passo con in petto il sole

Niente potrebbe svegliarci

Disincarnati e pieni di luce

Ornati di foglie con mani d’argento

Nessuna parola descrive l’interno solitario

Gli sposalizi di albero in albero

Le volute delle immagini , le meraviglie

Di un bosco coraggioso,  l’ultima canzone,

Dilatandoci lo sguardo, senza voce,

Nel Vuoto della gioia. Eravamo inesistenti

Al viaggio delle distanze, come specchi

Seduti sul bordo di un letto

Nascosto in campo d'amore

 

Col chiarore del  pensiero ci avvertiamo

conservandolo -col calore se potessimo-

è già amare-

 

Riesci a sentirli? Puoi sentire i tamburi?

Tutto ritorna a casa. Senza lasciarci soli

L’Assenza. L’anima vede, basta un Nulla,

E siamo doppi sebbene ciechi, sentiamo

Ritornare la luce di ogni giorno. Per vivere

Ci contempliamo trasparenti ci attendiamo

Nel grande centro Silenziosamente

Abbiamo smesso di camminare

Per ricevere la Luce che rimane

*

Loro si dissanguano in luce

 

Erigi cantando chi vive

e muore mi hai detto sul  foglio

a colonne, cupole e  altari

da correrci intorno col  fiato

che tiri da sotto il maglione

a riempirsi Come una jihad

il mio credo la fede  d’amore

sostiene lo sforzo  fa leva

solleva il tessuto e  t’avvolge

ogni volta protegge, ti pare, irruenta

preghiera di fede l’anello che tiene

ed implora nel rischio che accresce

la voglia d’amore, la parte mancante

d’inverno, le forze di petto

unite per stenti  sollevano il grumo,

che  piano riprende, che costa fatica,

dolore di fiato che trovi disgiunto.

 

La nostra casa solleva le pietre

tocca lo spazio al confine di voce

si fa grande in silenzio vibrando

costruendo sistemi di  attese speranze

patteggiamenti di pene, per quel che ci resta

e non morire. Come un totem di dentro

mi scoppi e risorgo. Non so

se sei consapevole di cosa mi renda

scuoiata, nel sentire le  mani,

tra un corpo che s’_offre, quando ritorni,

dai canti originari  di cose Estreme

e ti sento risalire contro l’abbandono

che spegne la voce in buchi di luce

 

A cantare piangendo, senza fine nel tempo,

senza fine non  muori Padre Nostro  nei Cieli

Elusi mystèria, correndo la spina dorsale

doppia di meraviglie, le basta Un dipinto

per vivere una pretesa di Mondo-

fosse il mistero del non potersi più dire

i semi che fanno nascere i prati

il segno che racconta di un corpo-

che non finisce mai d’iniziare.

 

Rabdomanti di parole noi

sgorgo di sillabe per trasfigurare

Le cerco perché la sete è

carovana migrante, la fonte , la pozza

in questo deserto il tragitto

gramaglie di nomi che fanno il perdono perchè

non lo potrai più addormentare

chi hai tra le braccia tenuto a fuggire.


Carovana di sete le dimissioni dal prato

alla luce devote

cercano un angolo, l’ombra

a nascondere sposebambine

all’appena,

oltre i Monti Mari Pelori, sull’orlo

dove comincia l’oriente, fin quando

dirai delle cose il Suo Nome

dentro nel buio: tu guarda:


Lui tiene in mano una castagna

Lei sente gli alberi gridare

Lui tiene in borsa una melagrana

Lei sente i monti camminare

Loro non s’incontrano mai, per adesso

 perdono Sillabe nere sul foglio

Loro si  dissanguano in  luce.

 

 

 

 

 

*

Se ora scendiamo

è la grazia dell'acqua negli occhi
invisibile per eccesso di luce
lassù dove siamo saliti
abbiam Visto le pietre bagnate

dando alla luce morendo

la nostra pelle fare poesia

in un ciclo continuo,
dove ci siamo scambiati le vesti

non puoi vedere di più,

se ora scendiamo. L’alto di Noi,

al di sotto del mare,  è l'll ricordo
che  possiamo sapere

l’accendersi della parola

dove una volta una luce

ci somigliò  a chi siamo

smettendo di essere

 

 

 

Anthropomorphic Landscape - Joos de Momper II

 

 

 

 

 

 

*

è quel bambino sopra il seno

S'innalza si libra

poi svanisce

a mani giunte in ginocchio

 

 

 

Ha qualcosa di così delicato in volto

un sapere un amore

nelle pieghe del corpo

una luce che brilla. a pensarlo

vola via da ogni singolo sogno

un'onda gravida  in dono

sopravvivendo alla sua stessa morte

coi capelli impigliata  nei  rami

nulla vale a legarli  o distanza

necessaria al  destino- nell'eco

che ancora li volge, implacabile

è un filo di canto alla gola

la Sua poesia

un cuore grosso di gioia,

come quando salta i fossi da sola

senz'altro sapere alla sponda.


hai soffiato dentro l'albero un respiro

della vita il suono consonantico

impronunciabile - ai margini del chiaro

riusciremo forse- Nel notturno dell'ascolto

ti conoscevo appena, i miei occhi ora

ti Vedono  donna

e una voce più sottile

è l'affondo nel buio del  terreno

che si leva in stelo,  è quel bambino

dal ramo che fiorisce sopra il seno

mentre un vento conduce via la sposa

dall'altra parte della neve sulle spalle

giudando le sue mani nelle stanze,

nelle stanze bianche di silenzio,

svanendo infine nel momento

del suo più intenso splendore.

 

 

 

 

Giovanni Segantini - Le cattive madri-

 

 

 

*

La fiamma protetta, l’integrità della neve

Pensare a noi

è pensare a molto altro

nella pausa del respiro

un lutto necessario

fuoco e neve

in una stessa fiamma

sino a traboccare

tra la terra e il cielo

il fiume più grande del mio cuore

nel tempo pieno della carne-

il miracolo dell’albero

sul nostro vicolo cieco

altero e reciproco-

vale la pena tutto lo spazio la paura

di quello che può fare la montagna

l’urlo del torrente a sommergere le piantagioni

a spostare le strade

nel flusso caldo del sangue

in luogo interiore

che annulla ogni esterno

riflettendoci in luce

e indistinguibili volti

generati gli uni dagli altri

 

come un’acqua lustrale

rimane l’incontro-

tra le vasche saldate di creta

e migliaia di piccole piante

di semi indistinti a memoria

tradisce l’antica presenza

di occhi assetati e compiuti-

per l’ultimo tratto

guariti

fino a sfiorare la bocca

a respirare in un unico gesto

la fiamma protetta

l’integrità della neve

tra noi

 

*

E li chiamo i miei Amici

 

C’è un linguaggio totale

che continua a propagarsi

dove  sbuca d’improvviso la tua assenza

con Istanti di pienezza

sulla baia dei cipressi

la potente melodia di una rientranza

sulla strada, c’è il rumore originario

il nesso che mi lega e ti allontana

da una soglia che separa e torna a unire

la percezione del paesaggio al suono

cogliendo nel colore  dello sfondo noi

l’anima di una gioia lancinante,

il gemito, dei cipressi senza braccia,

che dona il compimento del brusio

l’intimità del canto che si spiega  nel respiro

-siamo nell’assenza delle immagini il silenzio-

 

Vivono in disparte in cima al campo

prossimi ciascuno all’altro,  un corpo solo

in mezzo a loro il buio impenetrabile

può attraversarti di una luce commovente

che non puoi dimenticare. E questo avviene

E li chiamo i miei Amici

come avessimo una mano sola

nella comunione. Siamo così.

Ci ascoltiamo. raccolti a sera

se chino il capo una pena si fa grande,

se lo innalzo

comprendo la loro forza dentro il vento

a celebrare quello che han vissuto-

se li tocchi iniziano a parlare

coi profumi- con un canto

per non smarrirmi anch’io dico di me

delle  ore coi pianeti nella stanza

di quel dolore. Quando chiedono di Te,

nel principio e nella fine,

si sostengono l’un l’altro

sfiorandomi la solitudine, solenni,

come fossi  dentro di loro e  in ogni tronco

la preghiera della sera, un dramma, il compimento

le loro braccia insieme, un Padre Nostro, nulla

e un piccolo anello inesauribile di sillabe

fino a sentire  il loro sonno sul mio petto.

Allora vado Via  fino a domani.

*

Socchiudo gli occhi a pagina cinquanta

Appoggiati al muro e muti

tra due suoni
fedeli al duro accordo
di sanare le parole

rafforzando la grazia dell’ascolto

pur temendone il dolore

in quel silenzio
gli odori sono usciti dalle porte

 

Un muro inerte- dici che saremo
che sarà faticoso nelle stanze
contando i tuoi respiri
ricordare  del bacio ad Istanbul.

 

All'incrocio con Dalgic Cikmazi
socchiudo gli occhi a pagina cinquanta
nello spazio di un piccolo Museo
dell'innocenza, l’epifania intoccabile
di un miracolo più ancora
cadendo al muro giura
sulla promessa estrema- 
con il petto lavato tra le pietre-

dischiude la sua accoglienza e il tempo
infine non fa male

 

Come una mano potrebbe aprire un origami
ci ha sconvolto così

il vuoto spazio dell'amore
il velo irripetibile

fino a dove ci siam spinti
levava le parole di ogni giorno e ora
la sera viene sopra, a poco a poco,

al Nostro primo tacere, da un lato nuovo
chiudimi pure gli occhi,  io vedrò
come un fratello col mio cuore

a vita nuova amarsi

 

               Orhan Pamuk- Masumiyet Müzesi

 

*

Per entrare ancora chiari nei colori

Sono lunghi anni di Vento

che fanno spargere il mattino

la luce custodita dentro gli occhi

-luce antica di una nube sui telai-

che illumina la mente naturale

uscendo dal sè ,come la rosa,

nell'armonia con il creato e l'anima

 

sul fondo dell'occhio trasparente

come membra nelle membra del diluvio

nelle celle persistono le immagini,

anche dopo la scomparsa del frastuono,

la disgiunzione del tempo nel diorama.

 

esposto sulla neve al boscovecchio

dopo il Ponte lungo lo scalone

ti accoglie un frammento luminoso,

nell'universo inquieto  come un volto,

tra volti ebraici che non si possono fermare-

tramonta l'uno e l'altro sorge lento

dei settantadue  trattenuti nella gola-

o come l'acqua, mai per caso, che diventa

qualcos'altro col vapore, con un salto

flottano a urli nel buio delle palpebre

i pigmenti con la canapa  e i pennelli


mentre Lui corre al petto  dei viventi

suggerendo eternità a perdifiato

nel sangue, nel sudore del ricordo,

ci camminano di fianco i nostri morti

respirando, come in sogno io li porto

dove gli occhi ritornano puliti

per entrare ancora chiari  nei colori


 

Joseph Mallord William Turner 
Luce e Colore - La mattina dopo il diluvio

 

              

 

*

Diversamente pelle e congiunzione

È un centro così forte che colpisce
l'incomparabile incertezza, un Dio futuro
di tutte le forme, un bosco un tempio
il vento, vivo in assenza della pelle
di volta in volta con un gesto delicato
dove mi abbracci fuori  mi sei dentro
ciò che il corpo dice,  se lo sfioro
-come faccio con la luce intorno gli alberi-
una lacrima sale verso il viso e
coincide con il tempo dei pensieri
dove il Tempo è fermo a immaginare
"dove stiamo ora?" - Al centro. Le domande
sono i  brevi movimenti della pelle
" E tu?"- ed io, se dici una
parola lunga, se mi accarezzi ,
se la terrai vicina alle tue mani
le farai sentire il tuo piacere sentirà ;
tra  quello che puoi dare e che potresti
e quanto la distanza sia rispetto
a loro, non ci salva che l’a_ more
-quel più di ogni giorno che rinnovi-
per quel sentiero che rasenta l'assoluto
miele eleusino di api trasparenti
che discendono la soglia. delle Rose
la forma che fa pieno il vuoto è l'estasi
nel Centro della vita, è la rugiada
spoliazione e  sposa
,

nel tragitto silenzioso verso il sole,
di un fiume in piena luce sul tuo viso,
che distilla nella sete il desiderio
che fluisce senza fine in altre acque,
nel seno della voce, è un golfo sacro
diversamente pelle e congiunzione
.


Dicono che il mare accoglie il mare
così dai nostri sensi custoditi

-nel graduale che ci spoglia fino al salmo-
giungendo dentro un fiore la radice
è il centro che dilata dove cresci
dove entri con a more e ribes bianco

sfiorami i tuoi occhi, se lo puoi,
dì loro che li amo in quel che "vedo",
non per quel che so dietro la schiena,
dove avviene il gesto in fine sera

aspetta  solo San Nicola l’ora
della neve per danzare con gli amici
una donna e poi quell'altra ancora

più in alto siede, dov'è l'oscurità
che senza mani e volto ci risponde
,

nel reciproco sfiorarsi  nelle rose
che piano si avvicinano all'interno.

*

Tra l’acqua e il legno ti ho incontrato

Alef  Bet Ghimel
Dio l'Altro- Noi
che portiamo l'acqua dal deserto
nella terza lettera dell'alfabeto
C'è un canale buio sotterraneo
che sbuca nella piccola cappella
di Quinta da Regaleira

appena fuori Sitra 

È lì che ho ricordato di Zakor -
da un'acqua tra le rocce rosa
la propria parte dolce  e
Femmina, per l'unione dei gameti
fecondando fino ad esserti la sposa

Un fiato caldo dal deserto, l'Uomo,
risalito da quel pozzo, in cui sará
-dopo le statue dei guardiani
contendenti la conchiglia dei midolli-
spina dorsale, e battezzato

                                           Adam
sei alla luce  e quasi non ti accorgi
dell'orma tua più grande .della vergine.
nel percorso immacolato del compiuto
nella grotta dell'inizio
e di te stesso
nel ritorno non "ricordi" ?
Ti fai sposo. Le montagne
son di nuovo le montagne

Così ti ho sentito  risalire,
appena fuori Sitra,
supina ad aspettare
dal tallone verso  le caviglie
incrociando sopra il cuore
per raggiungere la gola
pulsare al  canto interno
dell’occhio luminoso
penetrarmi dal cervello fino al cielo
Sei nel foro delle lacrime Del mare
il radicale insieme della madre
unendo ciò che crea con chi nutre

Alef

Fai ponte tra l’istinto e il razionale
il due che dividendo non separa:
è il battito: il tuo bet che m'innamora
l’alternanza con l’opposizione
il movimento che più amo di Zakor
l’inclinazione intima di un uomo
le disposizioni a donna del suo cuore

Su quella linea di separazione
tra l’acqua e il legno ti  ho incontrato
nella mia propria pelle contro il seno
s'è chiuso il cerchio con le spalle
di Quinta da Regaleira sul tuo viso.

 

                         Quinta da Regaleira,
     vista da Gruta do Oriente para o Lago da Cascata. Sintra, Portugal

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

La spinta che diffonde quando è ora

Ritmi fratture segni e torni indietro

al confine di dicembre col Rosario

imparata dal seme lentamente

tranne il Mistero della messe 

che muore per dar vita. È tutto qui

la nostra fragilitá come dimora

nel farsi  preghiera muove l'aria

nella debolezza cova un fuoco

un gris-gris per la buonasorte

dal goccio di saliva trattenuto

quando afferravi Qui

                             ciascuna rosa

 

Così trasformiamo queste cose

con gli occhi aperti di animali, volti

nelle loro pupille calde come bimbi

nelle lacrime rese di contemplazione

consegnate  una a una  nel lavacro

per i semi ancora verdi sopra l'll  cuore

e dentro le ossa Implori di tornare

dove hai nascosto Rilke tra le crepe

nella casa abbandonata come tempio

tra gli alberi da frutto e il loro peso

" Puoi ancora piangere.. -Ti chiedo-

ripetere le stesse cose ?"

 

Sino a rendere pesanti gli occhi 
                                 come frutti

ho bisogno di te giorno per giorno_

_tutti ugualmente lontani da quel Dio-

di ora le tue mani bianche 

sono la pianta e l'Angelo soltanto

la rugiada che non conosco. Aiutami

come in sogno alla sorgente antica

dov'è l'Amore che matura gli occhi-

alla legge del giorno di coraggio

la passione della Notte di Novalis

prima di addormentarmi 

nel Libro delle Immagini, anche Tu

sei maternità 

tra l'intimo dell'acqua e il secchio

la coppa che raccoglie la sua origine

nel medesimo silenzio che ci unisce

al Parto.  io sento la tua sorte

dal nulla che ci attornia

la spinta che diffonde quando è Ora 

le terre emerse

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Rimani dove posso raggiungerti

Per il bosco Così leggera

Ti ho nascosto sulle spalle

Finisci con il fuoco- pensavo-

Incominci per il sole

Colore e luce

Incorniciano la notte

Voci notturne

Silvane

Nel verso lungo

spezzato insieme

Nel ritrarsi di mia madre

Si esprime l’infinito

Nel contrarre spazio

L’urna

Accudisce il Vuoto

Dal punto indivisibile e inesteso

Si misura con l’anima l’attesa

Nel muovere in avanti il suo per.dono

 

Tra l’anca e l’osso sacro

Mi rimetti in piedi

Le fontanelle ancora aperte come mani

Che l’Uomo vide per la prima volta appartenergli

e si capì Persona: esserci

nella mia stanza. Domini

come il Monte Ida

la piana di Mesarà di Creta

il vaso con la dedica di Athena

 

Coi  gesti morbidi del bianco

Colmi di anticipazione

La chiarità dell’occhio il suo contorno

Nella curva dei capelli

Strugge lo sguardo e sei seduta

Dalla vista alla visione

Col viso avido di stelle

Ti chiedevo Amore

Da dove viene

Tutto questo chiarore

Dopo l’oscurità

Me lo hai detto per i morti :

 

Rimani

Dove posso raggiungerti

Per lo spostamento

È per questo che seguito a tornare

Per i tuoi boschi “

 

 

*

Vortex temporum

Se passi il dito sulla corda puoi sentire 
altre note per altezza quando arrivi :
se per metà di sopra c'è l'ottava
nel Tempo degli armonici è la Vita-
nell'onda degli impulsi nel pianissimo
-come insetti ha compresso loro i cuori
lo spettro  che dal nulla ricomincia
muovendo velocissimo formiche

S'incomincia lungamente 
e con gli stessi oggetti
un rintocco nello spettro  del più  grande,

 

in un diverso tempo dell'acuto, il grave,
ridisegnando in basso sulla stessa nota
quel che c'è nel piccolissimo, si spegne

È l'assoluto incedere il rituale
delle balene, il tempo lento, e calmo
l'adagio delle ottave dentro il canto 
il movimento che fa scorrere alle dita
nello spazio del registro la distanza 


l'attrazione che si muove  per l'abisso 
un cammino che ci attira e non si cade
[ si continua per discendere anzi si sale ]

nel silenzio cui si torna dall'inizio


al centro siamo Noi, la cattedrale 
umana  La salita di discese
la parabola dei singoli frattali 
-tutto intorno ci sono delle voci
che da lontano vengono e spariscono
[ Do / Re diesis / La / Fa diesis ]

Si fa preghiera il nome tuo, L'adagio
sull'ultimo gradino dentro il tempo
nel canto di balena io risalgo
mentre giunge sul finire l'll colibrì 

 

 

*

In quello scambio d’avvenire

                                 L' Inatteso

fracassa le pareti della mente

con la dolcezza feroce di un affanno

tra turbamento e lingua la tua Voce

come penetrasse l’atmosfera

e noi

posati in mezzo  un campo i giuramenti

.nati con la camicia benandanti

nella lista degli angeli. all'indietro

trasciniamo le mele dallo stesso lato

dissetando le piante con una mano sola

dalla punta dei piedi ci allontaniamo. insieme

commossi e bensapendo dentro-

sotto quale neve nella pelle

dell'Altro- tremiamo soli

 

E' bianco tormento d’invisibile
chinarsi a terra per baciare il velo
su questa brevità dell’occhio

                                 che svanisce
che  cambia- la vita senza tregua
si afferra a tutto quel che può- mi dici

 

con la solennità del sacerdote:
verranno i giorni delle messe
diventeremo madri delle cose
di più sottili confessioni silenziose 

                                                                                        si fa pretesto un corpo_
                                                                                                                        _in cui deporre i se
                                                                                  portando il peso di un’immagine tremante
                                                                                                    nella figura che alimenta Attese.


In quello scambio d’avvenire va il congedo-
al confine dei prati,  alla salita,

coi piedi nudi  al boscovecchio –credimi:
modalità dell’accadere è respirando

senza posa – sulla china del profondo
resiste puro lo sguardo, e ci sovrasta


[dove gli alberi camminano in avanti.]

 

*

Per toccarmi il cielo

 Di nuovo il vento dei centoventigiorni 

- e la sorella azzurraprimavera

spingerà nell'aria i semi dell'inverno

come Dio vuole. La voce che non sai da dove

è nel sentirlo entrare carezzando

i luoghi della nascita sorgiva

raggiungere in continuo i nascondigli

con la forza di travolgere ogni ostacolo

facendo di quello che non è:

l'll possibile che amo 

 

Sei movenza misteriosa Vento!

 per toccarmi il cielo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Una processione d’acqua

Una processione

              d'acqua

tra le gambe e l'aria del mattino

si confonde

- per decorare casa-

tra il ventre e il succo

aprendo il desiderio con un soffio

oltrepassa con l'incanto dei dettagli

l'uno dentro l'altro come anelli

nella grotta dell'adorazione 

sta l'eccitazione. e viceversa

dove solo bagnava  l'Anima del cuore

s'inonda ora  il Cuore della Pelle

[così assordante fai rumore del silenzio ! ]

sulla lastra blu d'ardesia

ci sono tracce del buio che mi lasci

una chiamata dove prima c'era il Nulla

di una vertigine che non  consuma in risultato-


Annunciando  l'indicibile

quasi non ce la fai

e in stato di veggenza della notte

s'incide nudo

nel tuo sguardo umano

la profezia dell'utero

che mostra il suo  venire

in quel silenzio sacro

l'intimità d'origine

di una donna che trascrive. il sogno

nutrendo il mortale

tutta la vita. ed ogni mondo

una processione d'acqua

 

 

 

 

 

 

 

*

L’oriente custodito di ogni giorno

Si vede il mattino la luna crescente

Calante la sera. D’estate

Ruotano tutte le stelle

Nella notte maestosa del cielo

Al tramonto sono stelle diverse

Quelle chiare che sorgono a oriente


Nei movimenti del cielo ti scorgo

Sognando quel volo da terra

Vederlo girare nel mondo

Come andare a cercare una luna

Durante l’eclissi del sole


Là - dove Occupi un ritmo profondo

Che penetra e mostra nel cuore

Tra il linguaggio e la lingua l’amore-

Ti celebro dentro i paesaggi

Come in fondo al Vuoto del letto

Un’anima guardasse in paradiso

La sua nuda evidenza girare

Nell’esatta simbiosi la gioia

 

Non sarà più come prima

Nel conforto che niente è improvviso

Ma il sentire di un vecchio e bambino

Così prossimi ai luoghi di nascita

Così vicino a dove torneremo

Nel mio viso di terra porto Te

Per farvi ruotare ogni cosa

Di sacro. Guardo i tuoi occhi:

L’oriente custodito Di ogni giorno

Trattengo il respiro lo raccolgo

Dove insieme “saremo. Venuti

Nel  Centro” che sempre rimane

Senza più bisogno del Tempo

 

 

 

 

*

Aprendo la yurta nel cielo

Si accuccia ogni sera nel cucchiaio

giunge miracolo alla bocca

il cuore è fuoco mantice i polmoni
vapore acqueo  intesse e gira
colore......disegno….imprinting

come una spoletta sulle trine
una striscia di cotone che si srotola

tenera e crudele di passione

di ogni veglia universo sconosciuto:

chiara parola parola del richiamo

                stupefacente di bellezza
nella lingua degli uccelli ci sorvola

intrecciando  con leggende i miei tormenti
cercando in "otto voci"  

                   le più dolci fiabe e Noi

coi piedi scalzi nella yurta sulla lana

un caldo speciale che ci adotta al centro

mentre dombra pizzichi sul fiato

ti racconto della casa fatta a ventre

rotonda e bianca come di una madre

e di un corpo nomade  che viaggia

sulla schiena errante senza chiodi

né viti né cemento: Geni

si baciano a raggiera  e una finestra

in cielo pitturata, una corona

tra il tempo e Dio, impermanente

col fuoco in basso l’acqua in caldo

corpi. insieme ai miei ricordi ceno

rispettandone le regole. Così

deve accadere. e gioco

consonante-vocale consonante-

-vocale : “Fammi il frusciante Tamashek

il verso nasale dei Tuareg  con l'ewè

la lingua dei bambara eppoi lo schiocco”

 

Parlare è procreare

le distese solitarie in specchi d’acqua

fecondare alla morte l’imbrunire

disegnando nuvole d'argento e piombo;

dal lato del figlio otto suoni e otto

dallo scuro-

dal lato della volpe pallida-

nasciamo Verità come da una  notte

il giorno. aman aman

congiungendo il senso sulla lingua

del nascosto che bisogna disvelare

sul bordo dell’acqua le parole

le “cadute”che  non vanno disperse

per continuare il racconto. Domani

andremo a raccogliere  cauri

per vedere la luce la sera

aprendo la yurta nel cielo

dal ventre materno un bambino

camminando l’inizio del mondo

brillare col suono

                       nel sacro rumore

dei grandi tamburi asè

 

 

 

 

 

*

Nel salto contro il tempo

 

Così veloce in su,  fino ai tre pini

 

dove i sogni mi avevano  guidata-

 

cercava un luogo il posto mio,  una radice

 

in aria- nel salto contro il tempo

 

alla rayuela;

 

fu l'improvviso di un bambino

 

che domanda delle renne  a Santa Claus

 

un girogiro, in una notte sola,

 

e tutti quei regali. Dentro un suono,

 

sulla piccola rientranza della strada,

 

nell'onda della voce ... ti ho riconosciuto,

 

dai millemila fazzoletti sulla testa

 

e l'intrecciarsi della voce con le  mani,

 

più avanti ancora, al passo degli dei.

 

 

Una forte nevicata

 

ricopre caldo il giorno benedetto

 

componendo la tua immagine un respiro

 

la terra, aperta lentamente

 

dove entra perfetto il tuo cuore.

 

 

               Vincent Van Gogh- Bivacco di Zingari

 

 

*

Segesta

                                                                                                                       A mio figlio


Non  come porti pane a casa
benedetto o accidentato 
ma come vivo sai il respiro

capace di distinguere un segnale

di sopravvivenza da un rumore
come rischio  dov'è il cuore, sai
al centro del dolore

che non fa paura del futuro

piangere
ballando al buio con la pace
la montagna
          ...la mia Jebel  ti mostro
la portata d'acqua  i suoi colori
lungo il perimetro dei  fianchi
circondata da due fiumi una segesta
abbandonata a 36 colonne- nello scrigno
morbida  roccia incompiuta vita
niente del suo splendore più colpisce
il semicerchio vuoto nel Teatro

 

il donativo del paesaggio toglie il fiato

quasi a morte nel tuo sguardo. dov’è il mare

alimenta il mio pensiero mentre scendo
tengo il filo del fondale. fino al fondo
ondeggia  sulla prateria la posidonia

coi suoi capelli d'oro silenziosa

l’ossigeno di un peso  troppo grande

dentro gli occhi delle anfore  perdute
con le mani sulle alghe ti racconto

come levarti dalla solitudine

-che avresti giocato in paradiso. "Sì

anche lì viene la neve " ti rispondevo

 

Risalgo  le domande  sulle dita

le acque strette  erano il tuo viso
impresso c'è quel nome- figlio mio-
già illeggibile

al mare che ti chiude

                                           infinitamente tacito

 

 

Thomas Cole

 

*

Non interrogarli

 

Alibi dell'invisibile

pretesto dell'Amore che sta Fuori

spinge l'animale misterioso Altrove

riflesso letterario 

che non distingue i giorni

sbocciando nell'incanto della stanza

una rosa doppia 

nel solo fiore. Angeli fraterni

infantili piedi

puledri fermi dentro il fieno

-senza farne cibo- teneri

nel gioco - a volte spaventati

da come scarta il vento un'ombra

all'attenzione- limpidi Amanti

 

 Tu non tremare. Non interrogarli-

a  loro tocca guardare lontano

difendendo le spalle. Sereni e Assenti -

recuperando la Vista 

 

 

 

 

 

*

Per non morire da ciò che non c’è

Hai toccato le vestirosse

ascoltando  tutta la verità

il vuoto dentro di ogni donna

lo spazio aperto l'accoglienza

usando la stessa lingua del silenzio

stranieri della stessa sete - Altro Amore

Essere anche te :

farsi sottili nello sguardo

di ciò che arretra con la calma

prendersi cura in contemplazione

educando gli occhi nello scambio

come incontrare i cervi in mezzo al bosco

imparati al sottile dei rumori

così fanno le parole quando passano

quando portano scaturendo dalla luce

un abisso di splendore : la materia

varchi di un'incertezza chiara

i segni del tempo- conoscerne la storia

immaginando i gusti lasciando essere

gli odori -fatti di pietà di confidenza

generando memorie in qualche luogo

                            d'intimi sconosciuti

 

La bellezza è saperti gli occhi-

l'attesa che mette su radici

una dolcezza che  sa dell'abbandono

è la grazia di una tenda

portata sul terrazzo da qualcuno

                    con le mani in cielo

dentro la tua vita. Non ti muovere

ora che hai saputo rimanere

fino a qui. Raccontami di Noi

dell'acqua del respiro insieme

del Ponte che guardi più di prima

con Altri occhi. A casa io

riconosco te nel fitto

come un polso che sia tenuto stretto

da come appoggi il cuore sul balcone

la tua carezza- ho visto

nella grazia della sete

 

L'abbiamo detto tacendo- amore-

per non morire, da ciò che non c'è.

 

*

Contra su chelu abantzu

Non so la radice divina che tocchi

il limite matematico a dimora

solo un canto in lingua Sacrale 

parole strette  come un osso leggero

nell'orgasmo di petto alla gola

pronto a rinascere 

su frori prus bellu

 

"sta nella ferita  d’assenza

- mi dici- l’amore

nell'ombra chiara

delle prime rose"

 

Sta dove il dolore mi trasforma

le ossa nella tua guarigione

sa petza esposta al canto, 

i seni  in rose, sa bestia

di gioia, Lei,

può passare la porta stretta

sotto il cuore della terra

sotto il cielo parallelo con la schiena

-madre dalla lunga voce- 

con il sangue avanza

-contra su chelu abantzu-

lavando il petto della cerva 

fango che dorme alla luce

tutto il silenzio fuori dal torace 

vita e moto le sue vocali in carne

allo scoperto. Ama

odorando l’Assenza, infine

comente cantu 

ubriaca il dolore 

in su bentu 

 

*

Il gemito più corto della terra

Un filo d'aria mi rinasce
nel giardino sordomuto
la dolcezza di colline
è un tempo d'uva
e tesoro silenzioso
il melo si apre gravido

nello spazio delle gambe

svuotando l'orizzonte
in pause lievi nella mente
la distanza si contrae
sul polso della Vita
l'anulare:
è la grazia di un pensiero
l’indugio per toccarti più selvaggio
il gemito più corto della terra
nel breve canto della lingua
guidandoti le mani nel profondo

s’inchina  la prima lacrima di gioia

dove desidera essere carezzata

sei Tu. Il poeta

che leggi il mio labiale,proprio qui,

per quanto sia lieve

per i vuoti in gola

tenendo accesa la luce

al centro del sentiero

come aria che suona

*

Per altri occhi, credimi, se puoi

Metto il fiato nella ciotola

e cinque rune,
lo chiudo con l'orecchio,faccio il buio -
la mia vera fronte sulla spalla

Aspetto l'eco, una dopo l'altra

le parole

"Come  legni per il fuoco

per salvare qualcuno - nella bocca

per scaldarsi ancora ?" chiedi

L'Anima diventa carne 
oltrepassa qualcosa

che puoi vedere
da dove era partita, in basso,
luci speciali
s'incontrano, ogni sillaba
è un angelo
la voce limpida che torna
che ripete calma

Credimi , se puoi

                                       per altri occhi

-l'irraggiungibile non è mai in alto-
scriveva Marina Cvetaeva a Rilke -

Ferma

senza morire io

ti  sento camminare
arrampicare i muri del santuario

per venire sul mio viso
e ancora fiato
                                    per chiamare...
fare spazio l'odore umano

lasciando qui il mangiare

dove si versa  della luce rara

i desideri che l’hanno preceduta

-splendore inintelligibile. Crudele assenza

sposta il limite al dolore

e non fa più male il Nostro luogo

quando vola via col cuore

dal cerchio della ciotola

come un pastore torno

nella casa illuminata

da miofratello

per altri occhi.  Credimi

se puoi.

*

È finito il mare

 

È finito il mare 
Nella brocca dell'acquario 
Per nutrire i pesci l'acqua 
Nella circonferenza della Madre
Nuotano gli angeli Solenni
Silenziosi 
Disidratati
Nel tormento della Creazione
Si toccano l'Un l'Altro e Noi-
Nella testimonianza che arriva da lontano
Ed una confessione che ci esplora 
Tra verità ed errore
Nelle opposte direzioni del tempo-
Allargando  i contorni d'una  piaga
I lembi della ferita e chi li tiene
E.marginiamo
Chi
Neanche più
Sanguina 

*

Affidarsi

Tra giganti e ostinati pescatori
l’enormità quasi innaturale
nel mare dell’ombra che ci sfida
al grasso d’olio agli spermaceti
fino alle ossa, all’ambra grigia:
la resistenza muta non ci salverà

 Tutto scorre ma non passa

-come rondini finite in una stanza

picchiando la testa contro il muro-

pena l’ottuso atto di fiducia
del gabbiere

                   in assenza di vento
che dagli alberi sale i pennoni
quello che sa più di tutti dov’è
che il mare finisce e comincia
tra mistero e confine la terra
a métà del guado, dal nulla
(come) un fiume a Prati di Drava,
si fa attesa più certa . tensione

                                                  fondata
la mano instancabile che tocca i malati
                                                di sabbia
plasmando un volto di carne.  nel volto
affidarsi

                        nella seconda innocenza
al distacco - come punto d’arrivo
il "non Volere"-


battendo cortecce di gelsi nell’acqua
fino alla pasta morbida e mite

-questa. e l’unica lacrima insieme-
ad asciugare sopra un telaio
pochi metri più in alto la luce
dove hai riposto le rose

                               inattaccabili. ma

quando mi sveglio dentro ai sogni
alle pareti fisso col respiro
mutissimi sapienti e oggetti interni:
colorano in amplessi le figure
con uno sguardo prima che dileguino
si stende sopra il ventre quel disegno:

di chi  s’è messo a nudo

                                     per essere

protetto

È  da lì che muovono le Cose

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                             -disegno scuole elementari-

*

Una piaga battuta dalla luce

 

Una piaga battuta dalla luce

Per la vita, più grande e negata,

Affollata di carne di ombre

Questa grazia nel doppio

Di là  dalla fine. Conosce le regole Altrui

Non sono le sue. Al fondo dell’urlo

Docile muso di bestia

Germoglia  dal suolo

Succhiando le ore  nel  fiore

col  passo bianco di narimi

 

Raccontami..

Del silenzio iniziale quel bianco  

Del canto continuo nel vento

Rimasto per anni  testardo

Risorgere dalla tua bocca

Persuasa racconta-

 

“Si è innalzato il tuo nome"

Dalle garze di piccole cose

Il fiatare sommesso nel vivo

C’è aderenza che tende alla luce

Come un  vaso nel cielo Una figlia

Ha posato la testa Di dentro

Ecco i bambini tornare

È La parte  profonda in azzurro

Senza dolore, monumento del cielo

 

Ascolteresti la mia storia con spavento

-trascorsa nel biancore -

Arrivare a dire  del miracolo

L’Impetuoso fiume,

Che il mistero di ogni anima rimane,

privato/ Irraggiungibile segreto

 

Ma se  accosti a un’immagine buia

La ferina chiarezza degli occhi

Ti mostro. L'alone di sofferenza

La Gratitudine Se m’apri nel petto

Troverai  gli alberi ancora piantati

Nel cuore ansimare Dire di sì

Alla vita: “nel bozzolo inizia a guarire

Fino al fossetto dentro il sorriso

Riposa dove  fa luce sul seno

E La fronte terrestre un santuario

A tua somiglianza La curi

come ferita

Amando la conca dell’anima

Sulle bestie che siamo

Traspare un  punto immortale

L’innocenza più alta, la compassione

 

Ti fa vicino a  conoscerla

Partecipata di travagli

S’allungano sui tendini radici

Nell'ora di compieta si consegna  

- la fitta liturgica quando ti legge -

Una spirale aperta: le vedute del Fuji

Diversamente uguale. Soffre

E gode. Esserci

Inquieta e sedata. Nascente

Fare l’aria più chiara  e sentire

Il passo del bosco negli occhi

Un corso fluviale di grazia - battesimo e lutto-

Bagno di filiazione

Un compito. Diceva Rilke. Che ci riguarda

Destinato a fiorire dalla piena di sangue

all’indicibile magma d'amore

 

Una giovane Lettera

Che sanguina e cade

Sotto gli occhi di tutti

 

Mi tiro su da terra

Con la luce dei bambini

Che ignorano la morte

Come sapessero

D’essere eterni

 

Nel movimento

Del dolore

Trovo pace

 

 

     Hokusai- da: 36 vedute del Monte Fuji

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Per Noi, non è cambiato niente

Brillano gli occhi chiari di ricordo

se mi chinassi verso la fotografia

li sparpaglierei come lucciole sottili
alla fine dell'estate

che s'addormenta sotto l'albero del tasso
con le braccia lungo i fianchi. Lei risale

tenendosi alla vita un mezzo giro

su se stessa

col battacchio della ciotola fa il suono
e mentre dura a lungo sta sospesa
con fatica, con fatica estrema
sollevando un ramo  innominabile
quando tocca terra ed è già tutto

in piena luce nel suo pettoscuro

a coprire generazioni di dolore

una pressione che la sfonda

sullo sterno

una fitta lenta  nel diaframma

ferma il mondo

con  l’aiuto di nessuno-  dove viene

con la neve che si ferma, che s'allenta
con la pena -ancora viva-

succhia il verde ultimo di vita

come fosse un albero la cima

 

non è più dato piangere sull'urna

della sera

si sono fatti segni di una ruggine
che delineano un sorriso in fondo al cerchio

e due  viti sopra i bordi nel risplendere
sembrano i suoi occhi che si  vedono..

sfioro quella madre che contiene
otto ninive scritte con la cenere
i suoi gioielli ancora dentro, una magia

fa vacillare  in tempo

                                  il tempo

facendosi di carne tra le dita

finchè le mani passano. a far male

un'altra volta

leggera come un'anima

la tocco

come se avesse della vita adesso

deciso  il perchè si muore

dove finisce il suono nella ciotola


è l'ora del mio passo che la porta

al punto in alto  della prima luce

io mi abituo al buio che ricavo

nel rosso della gola fino a sera

quando un gesto nuovo si propaga

e vi immerge profondo il suo sorriso

per Noi, non è cambiato niente.

 

 

 

*

Come se volasse verso casa

C'era il nostro sguardo nel giardino 

una religione creata indovinando

ciò che gli occhi non sanno più di avere

nel silenzio selettivo :

la bellezza dei fiori, lucida

in un lago senza fondo

di fronte una montagna, immensa

siamo Noi

sotto un cielo tanto irraggiungibile

da non intendere cosa possa accadere

tra il profumo e il fiore 


di tanto splendore s'arricchisce la Vita

come  volasse  la casa dentro un verso 

la sorte che c'incontra  nello "scambio"


Nel giardino di Fiori belli

tra i bellissimi. coltivati

ci stavamo innamorando..

 

dove la perla.azzurra si nasconde

tra l'anemone che spunta dietro casa

là davanti ci siamo visti nudi

ad occhi chiari

dove il futuro è già accaduto


Nello sguardo "ritornato" dello specchio

lenisce il  suo tormento un rito

poco a poco solleva la speranza

prima che ritorni il buio fitto :

la veste bianca

si svolge sopra un Rullo

muove con le mani lentamente

la Forza che avvicina  il più possibile

all'intangibile sapienza della meta

celebrando la nostra solitudine

.vertiginoso enigma d'innocenza.


Conosce segreti un'anima dei corpi

l'inesprimibile della Notte di Novalis

dove Giobbe ci tiene tra le braccia

dove il dolore si dilata nel dolore

c’è consolazione  presi nel respiro

nella rinuncia la nostra guarigione

come se volasse verso casa

 

*

Ha scritto per il corpo

Legando l’emozione

al grido di dolore primordiale-

la storia immaginata senza tetto

tra le mani- stringo le foglie d’erba

e Whitman

con occhi fermi di bellezza circolare

l’incontro con i resti di natura

Ci sono sguardi  in fondo al  verde

pupille vere

Geni dei bambini che non hanno

un posto dove stare a testa in su

ciò che nasce non è altro sulla foglia:

un  volto geme nel suo cadere dentro

a piene mani qualcosa ch'è rimasto

nella schiuma  dei giorni profumata

un'acqua di bambino la fonte dei segreti 

mai finisce

l'attesa del respiro, le mani nella gioia

il Nome dell'incanto immaginato

nel punto culminante d'innocenza

ha preso in mano la paura e ha fatto il bianco

avvolgendo il cuore  d'altra pelle  in una vasca

ha scritto per il corpo irrorato la sua carne:

 

un vento largo si è scucito  sopra il seno

come il tassello di un più vasto mosaico

-un atlante eterogeneo, un'anima che passa-

compone gli orditi calcola per giochi

di forme liquide, di cosmogonie,

le vie dei canti stanno nell'amore

il gesto-magia che imprime sulle tracce

dando vita a colline con gesti di grazia

un disegno complesso e affascinante

 

Se vieni più vicino se ti chini per guardarlo

si trasforma in un altro e nuovo bianco

"firmando per l'anima ed il corpo"

 

*

Rimani a far l’Amore

è la porta stretta di una retina
dove s'inginocchia il cielo
quando non arrivi in cima

la sua parte di luce

-quel prodigio-

si avvera dal di dentro
nel cristallino opaco
in cui  riversa il sole

 

fedele all’invisibile

rimani  a far  l’Amore

come lo fanno i fiori

portando l’uno all’altro

un’ape la magia

 

stacca l’anima

 il suo petalo

nel ventre

la tua immagine

*

Cammina con gli occhi di chi corre

Tutte le madri diventa, a bassa voce,

una  donna lacrimando sul dolore

acqua notturna testimone della notte

le scorre addosso ciò che è stato fatto

nel respiro  che non conosce  gridi

di congedo Trema in ogni suono

ricongiungendo le vocali scure

nel melisma della gioia sulle labbra

come un masso stai sospeso al culmine
nel centro di un dolcissimo languore
sulle corde fugge l'anima fa volo
illuminando le singole parole

 

mentre qualcosa oscillando va per terra
in dolorosa gioia e mesto amore
dilatando i sospiri dentro un canto
chiudendo il baricentro al madrigale

quella  donna che ti passava accanto

cammina ora

                           con gli occhi di chi corre

porta un segno sulla fronte dei sonnambuli

una pozza di colori  che le cresce

sotto il peso dell’autunno lecca il miele

fa l’amore con la lingua dei fratelli

un flusso sotterraneo di saggezza :

è uno spazio verde, che ti accoglie,
una sorgente vivida nel seno
come un'arnia lucida d'amore

fa silenzio alla ragione intemerata
e non inquina la parola "d e s i d e r i o"

il controcanto infinibile di un sogno

 

 

 

*

Quali sono i pianeti con le dita

Andiamo. andiamo a casa ora

Da tutta questa notte vieni a dirmi

Quali sono i pianeti con le dita

Che  brillano  sul muro tranne l'ultimo

 

C'è un'ostia nella pancia che conosco

Un volto nel suo chiedere più luce

Se stringi dentro il pugno la pirite

Ci mostra le scintille lacrimando

 

*

L’abbraccio buio di mio padre

Aveva tutto il  corpo magnetizzato

dalla Concordia, anche i suoi occhi

salivano piano per riabituarsi a me :

i rimproveri per le macchie sulla maglia,

chè non cambia il dolore

se tieni il sole fuori

 

L'uno all'altro uguali

nelle pause

che lasciano al silenzio

il tempo delle immagini

lo spazio intorno

di " più niente"

l'accadere del giorno

"senza mamma"

si assottiglia nel cercare minimo

un filo come voce, un passo breve

nello spazio bianco spalancato

C'è troppo lutto.

Scorre come l'acqua

negli occhi che si spezzano

a pietà

tra la sua testa piccola

e la mia spalla debole 

vorrei una  fossetta

per accogliere miracoli.

 

Dove il tepore alita paura 

rovescia dentro una preghiera 

l'abbraccio buio di mio padre.

 

 

 

*

Sei un uccello dentro i polmoni

Lo ritrovo qui, nella mia savana 

all’altezza degli occhi in Trasparenza

tra le pieghe dell'azzurro l'elefante

-già andato avanti-

le orecchie  dormono come ali

un’idea dopo l’altra al ritmo di una marcia,

che più m'intenerisce al mondo,

incrollabile di fedeltà viaggiatore Vero

sul bordo bianco ritorna ai posti amati

per anelli. Io credo che Lui sogni una martora

la macchia bianca nella gola come un cuore

lo scavare nelle tane, il suo passo inconsistente

nella neve. del manto bruno ami la lirica

mai livida di freddo dove vive il suo idioma

a che prezzo si accuccia nel silenzio

dell’inverno. Quando amina lascerà il mio corpo

non è per elefante amato che vorrei rivivere 

nel giocoliere di strapiombi

d'intesa con l'altezza, un cervo

a prendere l'aria con i piedi

nelle discese acrobata violento 

 

Io credo che Lui sogni un elefante

libero di urtare al buio che gli passa accanto

gli anni leggeri sulle spalle di millemila

storie messe a dimora  nitide di caldo

rovente, immaginarlo quando la notte aiuta

a vedere il suo ritorno incerto rovesciando

nella pelle il cuore l'ombra grande

 

Nell’atto d’unione, nel desiderio Tu

sei un uccello dentro i polmoni

così grande cresci per bellezza

Non è Te che vorrei essere domani

al riparo dei boschi quel cervo. solo

per continuare a sognarti 

come l'Altro da me che amo

 

 

             Alpi Marittime- Fotografia di Luigi Maria Corsanico Nastasi

 

*

A sostenere la grazia

Non so dire con parole
l'emozione che traspare dalla pelle
la postura che si prende amando
lo sguardo che ti viene al desiderio
quando porgi le braccia e tiri su le gambe

contro il petto dove non c'è l’Accanto

che la visione è Tutto: l'allontanarsi

il tornare delle cose, lo stupore :

con una sola spinta piccola sei in Alto !

Come dire? dalla finestra incorniciata

se le spalle si stringono nel seno

se ginocchia al mento se le piastrelle

si bagnano di lacrime passando

la fessura tra le gambe che si forma

è sotto il tuo sguardo che mi amo

 

è tutto qui,  nell'aria

che entra in un nocciolo,

sull'erba camminata

a sostenere la grazia

                          prima c'è un gran peso

la semplicità ha la schiena carica di latte

in fondo,

quando posa il capo dopo il bosco,

c'è un'eternità. davanti al Creatore

 

Metti incinta il mio mattino con la notte

c'è un  figlionuovo, nel buongiorno, Nostro

"Qui c'è il Sole

che ti salta in braccio"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Liberando un occhio

Si fa il vuoto negli orecchi e intorno nero                                                     

d’ossidiana salire rapidi la cima

Eppure m’inoltro adagio- dopo il primo fiato

Ad occhi chiusi le palpebre nell’esistenza

Aperte. Cercando il quadrifoglio

Nel prato della medica vive il movimento

Di raccogliere a mazzetti, riparare con il verde

Le fessure della pelle a nutrimento

Quattrofoglie in fila,

da una mano all'altra,  ritrovate

Fino a inumidirle sulla bocca gli occhi chiari

Brillano come sole vivono Di nuovo

 

È limpido l’ll lontano ora

                                    al centro

di ogni cosa

                         fuoriesce amore

 

È un niente

da quassù

dimenticarsi il mare


prima della vista  vedi

una melagrana

vacilla

nella paglia

di fronte

a tanta

possibilità

liberando

un occhio

si spalanca

   da sè

 

 

 

 

 

*

Dal fango come a Djennè

L’altro versante non si addormenta

dove risiede l’Altro schieramento

il suono feroce degli occhi chiari

.l’ottava bassa che ritorna.

nel reciproco pensiero umani

ciò che resta di loro :

sa come aprirsi nell’inferno

il Canto degli Angeli

 

viene da lì il corpo

che entra ogni notte. insieme

si rifà

dal primo abbraccio la carne

cresce come una farfalla nel fiume

dei Fiumi 

per ricominciare dal fango, come a Djennè

con falde di terra cruda bagnata

come un mattone come legante e fasci

dei nostri rami curvi di quercia, dei tigli

a tenere la dilatazione che piove

che dilava ogni notte

che erode la grande Moschea

protetta dalle sue mura, dal delta del Niger-

 

giocandoci dentro possiamo

impastando con l’acqua, e Noi

rimescolare l’argilla in continuo_

                                               _bambini

preparando le scale di legno alle mani

grandi che stendono il nuovo

strato di pelle concreta e fragile assieme,

come la Casa di Ise in Giappone, sacra.


Fino al desiderio di Filemone e Bauci

Ci alzeremo in piedi come le spighe,

nel giorno del fidanzamento, dorati

per l’unione delle forze. nelle anime

uniti per il tronco. Fratelli

sulla soglia del tempioVecchio

commossi

come un Canto di Natale.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Quando smuovi i miei capelli corti

                                                                              *

 

 

 

 

 

Una figlia tra le più fragili ritorni  

                                                          madre

mi pieghi nelle lacrime del quarzo

di ogni notte attesa confessione

trasparente da un mondo all’altro

placenta lucida. la colpa.        senza carne

dai piedi il sangue alle tue mani

è sempre fresco di perdono

quando tocchi appena  le mie pietre

che non sanno divenire pane-       le ferite

un anno e un filo troppo breve di esercizi-

nella gola stessa in cui  respira l’anima

stretta tra le dita. cristalline

ci riconosciamo.  nel mistero

             .apprendistato di frontiere all’invisibile.

nel matrimonio di silenzi

in ogni angolo di casa e del giardino

-tra lampi di luce insostenibile

e ancora il rosso nella mente-


incorporea quiete, come nei boschi,

ci elargisce l’aria insieme

quando smuovi i miei capelli corti.

 

 

 

*Scultura contemporanea:
Martin Hudáček, "Bambino mai nato"

(" Unborn child ") (2011).

Conservata a Bardejovska Nova Ves (Slovacchia).

 

 

*

Come un dolore perfetto

Ho allungato la strada di casa

per fare minore la notte

fin su alla Rocca di Badolo,

dalla mia quercia, a toccare

se trattiene ancora il calore del giorno

Vedessi che bella che è

con le punte illuminate

non sai dove finiscono i rami

ed hanno inizio le stelle.

 

 

 

Sono scesa dall'auto sfilando via la giacca

pungeva l'aria pochi passi..poi non più

tutta la schiena era contro, dentro di Lei

che chiedeva: “Come va con il dolore, l’anima?

 

Come poggiare all'orecchio una conchiglia

se spingi forte la schiena contro la quercia di Badolo

puoi sentire addosso la carne di tutto il cielo di Herat e le stelle

ti vengono contro senza dolore. Non so dire di più,

ma non è meno di così. chi ami, se solo sapesse

a che ora una quercia preme a quel modo la schiena

se aprisse a quell’ora ognivolta  i palmi delle sue mani

troverebbe parole indicibili e chiaro negli occhi. incessante

un taglio.un dito dopo l'altro. sulle mani

“ ti amo”. come un dolore perfetto.


Quanti calici di parole ancora

vergini troveranno

nelle tracce degli anelli

che non sono state

proferite. Com'è forte la carne

dov'è debole l'anima

nella foresta sacra!

 

*

Lei è tornata con i fiori

 

remo piano la notte il buio tra le mani

nel luogo in cui riposa Claudia

per assicurarmi che non le manchi nulla

                                           la  luce azzurra del mattino

sotto la tenda delle nuvole quel soffio

                                                                            chiaro

                                                     fino a finirle accanto

 

  é andata Via / non ha lasciato nulla dietro sè

  stamane/

  un letto vuoto di parziale verità

 

 

                               inchiostro nero in fumo

 

 

 

 

 

 

 

                            

 

 

 

               scuoteva l'anima

 

 

 

 

 

 

 

 

prigioniera di una Impossibile Poesia

di un giorno vivo

 

 


 

 

 

  testimoni  impressionati

  gli occhi chiusi 

  contro il muro 

                             di una stanza

                                           

                                                           la mente

                                                                       chiudendo

                                                                                       l'aria

                                                                                                 nella casa

                                                                                                                  dove sei?

 

                                                                                              dal recinto è giunto un albero

in ascolto    

in un fiato il cuore  si è fatto azzurro

 la tristezza il canto

Lei è tornata con i fiori

  già tutto è dato

 

 

 

 

                                                                                          

 

*

Era il primo pane di ogni giorno

 

 

È con tutta la testa che ti porto dentro

colombre ed invisibile ti sposti

allargando il cuore come il più forte

di una cucciolata- arrivi

al seno mordi

a fare male- non sentendo

che non hai fratelli

  in vita

quel premere affannoso

che sentivi ai fianchi

era il primo pane di ogni giorno.

 


L'acqua è uscita tutta

da tutti gli occhi cade

ciò in cui crede : [ niente in cambio]

nella culla della carne

palmo a palmo gravida

e assoluta.

 

 

 

 

 

 

 

*

Il taglio in cielo che attraversa

 

 

 

 

 

In alto

Dove s’incontrano le nuvole alle stelle

Hai perso i passi ai piedi,

Tra cosa e cosa il taglio ?

Per scavare l’anima

Così violentemente amante

Ogni profezia

Vibra incomprensibile

Assolvendo sofferenze

Nella mensa amara della notte

Ho abbassato gli occhi

Ho cantato all’indietro a scomparire

Danzando da distanze spaventose

 

E' l’aria –questa-

Dove mi hai trovato Tu,

Sottile al Nostro sentire,

Come l’amore è solida

Sacra stretta nel giro del sole.


" Perché la limpidezza uccide?

Come possono fiocchi di neve

Da così lievi

Diventare una tormenta?” La stessa voce

Lo stesso sguardo, le mie semplici parole

Si sollevano

Dal tronco in controluce come braccia

Tagliando gli aquiloni in fondo al vento

Uniamo ancora i polsi per volare

Sulle dorsali fragili del tempo

Come abbiamo imparato a fare

Con la poesia

Sia benedetto il  Vuoto Suo

E il taglio in cielo che attraversa

Il nostro sguardo : è  uno spiraglio

Un al di là di dove sei

Passaggio continuo che concede la visione

Di un bisbiglio che non accade mai

Una volta sola, una sola volta per tutte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Chi sei Tu che spingi il tempo

C’è un segreto dentro il frutto che si schiude

nella gola quando senti deglutire

fa  più tenera la voce quando preme

per uscire. Nel dramma della luce


chi sei tu che spingi il tempo,

al riparo del bagliore,dall’altra parte della casa

per riempire questa drupa  col mistero

d’infinito con le mani dentro al petto

nel mantello -la mansione più leggera-

a prender cura dell’inverno che non nasce

da una madre, ma dal  Nulla. Venne incontro


come  un’eco, nel bisogno di felicità,

la sostanza primigenia del pensiero

trascinata dentro e verso l’immutabile

quella costola di là della montagna

distese così a lungo le sue mani

che a toccarla non si torna senza amore.

 

 

          Sol Invictus - Anselm Kiefer

 

*

Una farfalla si accorda con la luce

Ti cerco con l’acqua nelle mani

se ti concentri sulle labbra sono strisce

una fessura di polvere arenaria

aperta nella grotta del deserto

sete- fiumi effimeri- alberi neri

solo negli occhi rotola la luce

si restringono le ombre fino in terra

a macchie  di umidità e millemila fenicotteri

piantati nelle braccia come cespugli 

dalle gambe lunghe e il ventre sollevato

pronto a bere. nel silenzio della gola

stringo forte il mio rosario

mi calo a sei cinture fino in fondo

dove gli uccelli bevono, dove hanno fatto i nidi

scavati nella roccia morbida :c’è una pozza tiepida quaggiù

una tregua prima della pioggia.

 

Torneranno le iene nelle loro tane

e i serpenti punti neri delle pietre

da un cielo sfolgorante

una farfalla  si accorda con la luce

sul tempo breve della vita : un patto –

un viaggio nuovo. E’ già  mattino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Qual è il suono di una mano sola?

Di queste cose che chiami

  diamanti rilucenti
  è una tortura il chiaro
  di ogni mattino all’iride
  che pulsa come sangue un'avventura
  con aria d'anima

  che non  riesce a passare
  tra l'immagine e gli occhi :

  c'è fitto di non vedo

  quello che vorrei
e tutto il mondo immaginato

 

http://www.youtube.com/watch?v=Ub42kTzRAyg&list=FLDSZDU1TZWX8z-6rkQ8fSdA&index=2

 

Oh, non darti pena Dost ! Accade.
  La sera tardi e al risveglio
  si fa sottile ogni strato della pelle
  tanto da restare un velo solo
  in quel momento esatto
  e soltanto allora
  vedo così bene tutto

  che le lacrime fanno percepire appena

dove s’arresta il sogno e inizia il tempo

 

http://www.youtube.com/watch?v=nshilBV9f1o&list=FLDSZDU1TZWX8z-6rkQ8fSdA&index=1

 

                            -È bellissimo?-  Sì, lo è

All’incerta luce di una torcia

  è Dove posso vederti a trovare le parole

  guardarmi il viso immerso  per capire

  nel ventre della terra la carezza breve

che avvolge con dolcezza che dilata il desiderio.


Amato fratello che leggi la Rayuela,

  che puoi saltare con  la voglia identica

  di volare tra gli occhi – disuguali amanti -

  è  latte materno il cuore degli uccelli, sai?

  Un focolare acceso che tende un filo al cielo

  sul quale camminare

  una trama d’armonia con lo sguardo bianco,

  di per sé incolmabile, superando se stessa,

  che ci separa in bimbi piccolissimi, e vicini

 -non ci sono appigli  nessun appoggio

  per i nostri piedi

a vedere dritta  la Natura -

                                          fin dentro il corpo

-Mancarsi

  al punto opposto dentro la Campana stessa

                           “Qual è il suono di una mano sola?”

 

http://www.youtube.com/watch?v=ghcE8HnK6UA&list=FLDSZDU1TZWX8z-6rkQ8fSdA&index=3

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Charis

“non sono le fasi della luna

a sconvolgermi le acque alla deriva,

ma ciò che snudi

agli occhi miei di te che sei

d'insopportabile bellezza,

 

bellezza che sempre è spasmo

d'irrisolvibile solitudine.”

 

-Ferdinando Battaglia-

 

 

Soffia fresco l’inesuaribile  maltemi

Foschia azzurra Una superficie piana

Tendini sensibili sotto la pelle,

nascendola nel tronco,

di un grande albero piccola magia dolente

Sento l’acqua che gli scorre dentro

                     l’essenza nuda per l’orecchio

attraverso la lentezza Cosa vedono i tuoi occhi?

 

Così poco di luce dura un’alba

consumando ogni immagine nell’attimo

e un tramonto che attende nel suo tempo

Voce sofferta

Ostinato silenzio propagato

avido di pieghe tra caduta e volo

Un brusio difficile da definire..

 

il più impossibile

possiede una dolcezza che lo giustifica a se stesso

nello stupore della gioia, della benevolenza

lo sgomento che contiene  a lungo

il  thauma che denuda. un dolore che guarisce

tra l’abisso del patimento e il riscatto della luce

 è charis …

                                                  questo vedono i miei occhi


Incontriamo angeli, io credo, per la Via,

fratelli maggiori nella fede

con le mani di chi ama l’Invisibile

che rendono percepibile il tormento

rovesciando chiaro sulla carne

d’insopportabile bellezza

 .messaggeri necessari.

 

Non c’è parola suono o immagini  né musica nel mondo

vibrazioni d’aria  dicono di Loro

.estranea all’etica, alla verità.

che penetra la vita  inafferrabile

nel nostro scivolare  al  Nulla

 

 

 

*

Sino a guarigione. Vibra

Notte-della-Taranta-la-musica

L’hai presa  nel grano

malinconica e muta

Taranta d’acqua Taranta libertina

 

 

 

come un sesso violento

si aprono i fazzoletti

tra movimenti caldi, compulsivi

hai un abito da leggere

morso di ragni dolorosi

aderente il suolo striscia 

Quale colore prendi?

mostra il dramma e balla

è epidemico…l’amore

                        pizzica Sollima

le gambe rigide cercano la brezza

abbracciano i violoncelli sulla terra

rafforzano i mantici scomposti

rossi… veli neri battono la ronda

nell’ossessività scoprono contatti

per ogni segno buio scatenati

Pace sorda non si ferma il ritmo

l’intera veste ruota di braccia vive

 ….Pianissimo

Si leva un violino, da ogni lato si diffonde

sopra i tavoli.  una mano ha smesso di tremare

di ascoltare il freddo come nomi da ricordare

a morire nel tormento. Sotto i piedi

la ragna si consuma. Nel suo posto

compie l’ultimo ballo. quasi in volo

una donna

sino a guarigione. Vibra

TARANTA-NERA-a26225083

*

Di fronte alla Porta Bella

33. La voce che viene

da Est,entra dall'orecchio

destro

e insegna un canto

 

Da : I trentatré nomi di Dio

(Marguerite Yourcenar) 

 

Non è mai appena buio il buio

se mi vedessi con il viso entrare

entrare dentro il massacro del silenzio

scardinarmi nel mezzo  rilucente

come stringono al collo le parole !

-piegarsi simili a incessanti  filamenti -

che vorresti a bocca chiusa 

come un canto sacro; se mi vedessi

aspettare la notte in equilibrio contro le linee

come una bestia i piedi nella profondità del cuore

di volontà terrena  slacciarsi dalle mani

minuscoli pastori in cerca di un natale

di una Pasqua vittoriosa, più che un Cristo morente

nel silenzio della fede che sembra urlare

Colui che cerchi non è qui. Ripetere.

 

Di tutto l’andare mi fermo intirizzita

nel desiderio acuto di unità

resiste chi siamo,superando l’inverno

di fronte alla Porta Bella


In questo dentro che vorrei dirti

c’è splendore,

Altro non ancora immaginato,

"lo sguardo e quello che guarda"

nei trentatrè nomi di Dio

 

 

 

*

Quanto coraggio nel silenzio

Solo gli Angeli sono generosi

quando portano via le lacrime
lasciando nuove rose
un nuovo nome alla poesia
sul quale camminare

 anime, una nell'altra sempre

  con un nevaio sulle spalle

e una parola magica, una casa

 


Se ne potrebbe, non si può dire
di più dai buchi profondissimi degli occhi
fino allo splendore di essere simili  fratelli
nella voragine delle mani che cercano di aprire

modi impossibili tra i palmi 

                                          per trattenere l’acqua

che un bambino ci ha passato da una riva all'altra

rallentando il passo, se ne potrebbe dire di più.


Nel passaggio stretto puoi solo accendere candele,

farti piccolo

traverso le montagne inestinguibili

                                                          le cose
prendono il nome giusto dal cantare
                                                      all'indietro, 

fino alla grazia del nome Rimanere
senza più dire. come una promessa, come compito :

 

sul frammento caduto da un cielo generoso

-che è impossibile riattaccare a nulla che si conosce-

piantarci una tenda, tornare ogni volta che hanno sofferto

-chinando il viso troppo avanti perdendo il loro peso-

nel canto di partenza che vede fino a un bacio

il ricongiungimento cieco

                                    per conoscersi alla voce

Quanto coraggio nel silenzio che chiude il cerchio e tace.

 

*

L’io è il miracolo del tu

Segnava le burrasche sulle braccia

della terraferma,  per ogni suono un segno

l’amore che sogni nella pagina tra i rami ,

dove siamo già nati, levigando

passandoci il cuore saliva dagli occhi

un movimento. Una cura è ancora viva :

la forza del colore che ricade

-il prezzo è la mancanza che batteva

scappata dalla carne la parola-

faceva  venire le ossa di cristallo

mentre m’innalzavi dai capelli in cielo

restando a penzoloni  le ginocchia

nelle crepe di corteccia  con i fogli

coi pastelli ,  quel poco che avevamo,

continuavi a trovare che ” l’io è il miracolo del tu”

per ciò che siamo.  attraverso gli alberi

inventa un nome allora ! che non torni via

dal viso, dal vento dai fiumi che porti nelle tasche

e  tutti quei bambini sulla schiena

dietro una rondine prima o dopo  finiremo

l’infinito? A retrocedere  le matassine dei fili

disordinando l’aria ..dimmi la verità…

 


   “bisogna fare come la bambina della scultura,

     allungare i piedi fin dentro alla terra,

                  e diventare alberi,

    attirando con i capelli i messaggi cosmici.” *


            Come la bambina- andavo ripetendo-

coi piedi dentro gli alberi

              e i capelli in cielo, a spostare il vento

A sfilare il sole. Per sempre

 

*Il Poeta del Parco, Lorenzo Mullon

Grazie Lorenzo..

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Non innaffiare con tanto caldo i fiori

Orfana e dolce tutta la sua pena

La punta del giorno che ferisce

Quella che di notte canta dall’Epistola. 

Una donna muta il Proprio Tratto d’ogni sera

Nella parte densa più interna e cara

 

Dove crescendo si diventa piccoli

Riposa il cuore nel graduale

Giardino fraterno di passi amati

Poi si allontana poco a poco

Dove il visibile non splende nel guardabile

 

Nella luce severa del mattino

Che ogni cosa invita a ripartire

Tendo le braccia come entrare in acqua

Per andare là- dove non c’è-  nell’ortensia blu

 E gli occhi neri nell’orecchio a dire:

 

Non innaffiare con tanto caldo i fiori

Riversa amore con l’appello della sera

Chiudi gli scuri, ora, e tieni il fresco in casa

 

 

 

 

 

*

Il fantasticare è così assiduo

Ho messo nel baule d'aramen
le parole che ti fanno andarevia
fasciate  a una a una nell’oblio :

il bianco che si posa tra la carne

il sogno di chi porta dentro i fiori

 l’infinito così largo in mezzo al petto

                                                                        E' stato assorbito tutto.
 

 

 

 

 

 


Poi viene un tuffo – dove cadi-

sale alto  che non parla ancora

sbiancando una luna sul sentiero

l’angolo dove mette piede il cuore

Un' intermittenza, cerca altra cosa:


l’altra  metà della memoria
scaglia oggetti dentro gli occhi

per colpirci, per amarci ancora

fa sembrare nuova la prova dell’origine

ed antica la nuova sensazione.

 

Il fantasticare  è così assiduo !

che stringe   l’avvenire a  giuramento.

 

Nel corteo  di phantasma e phantasia

riprenderebbe il canto- ed è per questo

che –amorevolmente- non ti scrivo :

come ogni cosa qui_

                           che dialoga a distanza_

è tutto l’ll possibile

                           - in nessun luogo  mai.

 

*

Il prodigio del profumo

Il bosco aveva il profumo di chi ha appena fatto l’amore

La pioggia. Era venuta la pioggia. Tutto quel chiaro!


Ti tocca corpo e mente.  Fermandoti -quanto puoi-

dove  il sole si consegna

percuotendo ai fianchi l’esperienza

per apostrofe, coi gesti con lo sguardo..

Con la voce. Mi dicevi di non mettere congiunzioni

Che se lo spiani, se lo rendi liscio il desiderio

subito si spegnerà adombrando la passione

Usa gli iperbati  come un improvviso vento

le cose passate nel nodo delle vene

come presenti. fin dentro “gli appartamenti delle donne”

E quello che segue è ancora più forte

Delle metafore: non accumulare!

 

Allora per dire del bosco, di quell’odore

so fare solo così: mi siedo sola

come al bosco-davanti alla  tazza blu:

i biscotti nel latte...e tanto viso nel sacchetto
il prodigio del profumo...fa la cena.


Con la stessa vita accade
con disperata saggezza
mando giù le lacrime fino in fondo
come un templare le rifugio

 

E' umiltà l'essenza che mi bagna
dell'amore
la confessione eterna del bisogno
con la neve che cade dentro gli occhi
a fare tutto quel bianco l'll chiaro.

 

 

                                                  Immagine Antonio Paixao

 

*

Nei versi di Cristina la tovaglia di Dolina

 

                                                                                                     A Cristina Bizzarri

 

Dolina di Forlì mi aspetta una volta al mese

per raccontarmi della linea gotica, sulla guerra

per pranzo a casa sua. Mi reco da Dolina

una volta al mese per vederla

apparecchiare la tavola con premura

che solo il dolore di una guerra mi sa dire.

Quella donna apre la tovaglia

come se ti entrasse in casa

il sole all’improvviso  tra la fiandra

e il mogano, una nuvola la tiene tra due ali

a fantasticare di memorie…attimi nel cielo d’aria

Poi Si adagia lenta  come una collina

Ma non è tutto..è quello che segue

Quello che fa dopo con le mani :

schiaccia quell’aria con aria ancora

leggera tra le dita il rosa

distendendo il colore a calmare il ricordo.

 

Non sembrano mani le sue, sembrano altre

nuvole  e sopra e sotto le nuvole il sole

s’inabissa nella luce delle braccia

quando lo sguardo azzurro s’alza e le solleva

come una cattedrale.  poi s’inchina semplice

per sistemare i veli alla più radiosa delle spose

 

Quando le mani fanno così alle tovaglie

sono mani pie che  sistemano ferite

mani che dicono la verità, mani persuase

“va tutto bene, ora. È tutto a posto. Siedi”

 

È un gesto Vasto e Misterioso

Che viene voglia di piangere ogni volta

che gli occhi tracciano quei gesti religiosi

Dolina non sa.  Non sa del presentimento

del  linguaggio. Intanto sulla tavola

sulla tovaglia liscia

le cose soffrono le une con le altre

più di quanto sono.

 

Ogni volta, tutti i mesi da quando la conosco

entra il sole in casa nei  versi  di Cristina

nelle mani  le nuvole  alle nuvole

verità di pane sulla tavola imbandita

come solo ho visto fare alla Dolina.

*

750,000 Anni fa l’amore*

 

Implacabile  e chiaro nella corrente il respiro

con tutti i segreti  di dentro –

stacca  la terra dal vero  chi siamo

dimenticare.  e fare un bambino

che cammina e ci riempie d’arrivo

al richiamo 750,000 anni fa

resta ancora a bere rimani

nel bel mezzo del sogno

...tutto è così familiare

 

In un campo di fame

c’è La canzone nera

di un uomo ammutolito

che inghiotte il sole

tra due mani  spalancate

alla metà del cuore senza pace

 

Un dolore inesprimibile che potere ha?

Se non ha mai chiesto nemmeno una carezza!

 

Hai tardato molti anni. Lo Sapevi

ti avrei  sognato. Ma moriremo-

ripetevi- certamente  lontani.

 

Torneremo con gli uccelli

tra gli alberi  senza male

resteremo a bere.  A nuovo amore

qui  passammo noi

due insieme 750,000 di anni fa :

avevi  un segno bianco sulla  fronte

appena nata.  la neve ci sposava

e tu m’imbiancavi  il seno ancora vivo

Ma nulla si vede dalla terra.

Si curvano sotto i monti le parole

di un cuore che si riavvia più in alto

non c'è modo di raggiungere il passato?

 

 *

 

 

 

 

 

 

*

Nel cestino di Sevres

Chino il capo punta dal sole

 

gli odori si fanno più forti

nel caldo totale del giallo

di festa. Stigma materno

luogo interiore.  Vuoto

sulla terra aperta a luci

da ripetuti sibili d’agosto


Parla piano

sussurra un augurio

pesante sul palmo

lo dispongo con cura

mentre ti muovi

insieme alla cose di casa

-quattro pareti e Ferragosto-

nel cestino di Sevres    ( che tu..)

l’amore è concreto

da dove ti scrivo  fa buio davvero

ma convince alla gioia :

che non basti quel poco

nella ore più avanti

che ci hanno divise

dagli alberi  ora

vado a portarti

in un punto preciso

l’acqua dei fiori

 

 

 

 

*

Tornerà dagli occhi

nella piu leggera delle città

senza nome
lungo le  rive del Tigri, nel Diarbek

china sulle piantine di mussola

una donna  incideva le ninive
-fragilissime preghiere d'acqua -
filtrate una a una con le garze
fasciate come bimbi nascosti al sole, dalle zanzare.
Ninive da portare nella gola

su un camion di stoffe  per l’Europa

 

Per rispondere al Cielo tratteneva sangue

con alimenti e aria, sul limite del solco,

dal dolore che tutto bagna nelle mani

e il volto nella parte neutra

dove si alza lo sguardo - dove vacilla-
passandoci accanto un movimento
dolce e segreto, di un angelo sottile
che prende il nostro affanno, in aria
con passo uguale e lento
camminando fino a sparire
al Nulla - come le hai chiesto Tu-
in una lingua che non potrà nessuno.

Tornerà dagli occhi -la sua esistenza-
[ con Altri occhi ] pieni di lacrime
nella parola dell'Inizio; di un'Altra specie

la ricevi nel tuo viso che già vive

sorella

fiorendo da ogni vena- tacendo il grido-

tra le mani calde di ninive

la devozione nel  grande Suono
dell’Indicibile che ci dimora.

 

*

il y a

 

Ognuno è vicino alla sua  polvere

Di ricchezze private, di carezze

intimamente clamorose


Trattengono gli occhi nel passato

Vivo ciò che ama: l’ossigeno e due pietre

Nude. Nel corpo della montagna

Stanotte è nevicato sul punto di piangere

Ma non avevo il libro delle preghiere

E il mattino ha cancellato come vento

Le impronte al primo sole.


Era poco fa. Altro non è

Lo sguardo azzurro

Acqua che si ritira

Nel bianco delle rose

d’altura

 

Alla vertigine della libertà

Tornerò nel bosco a far notte

Per la speranza dei cervi

Per la continuità del volo

E l’ultrasuono- tremendo

Nell’orecchio del cielo-

Intorno al silenzio

Che rimargina

L’impossibile morire.

 

*

Se la notte sfiori la Tjuringa

 

 Sugli occhi un rigo d'acqua

che viene su dall'aria

va destando la tua assenza

all'altro lato della vita 

 

sotto lo strato indicibile s'incarna

-nel labirinto silenzioso eppure vivo-

in me come un amante fa vibrare

sull'intero corpo ogni singolo respiro

rifluendo nel petto generoso incanto

 

E' il getto d'acqua che racchiude

l’identità di entrambi

a rendere visibile la pista

senza trovare fine. gli occhi

sanno poco nulla di Noi

se dediti alla caccia alla raccolta

o entrambe. Per le Vie

siamo giunti cantando il Nome di ogni Cosa

fino a segnare l’odore con un dito

nella neve. Abbiamo dormito insieme

il tempo del sogno lungo mappe

di pozze incise  sotto i nostri piedi

quando sull’erba umida ti ripetevo :

 

è cantare esistere. è sulla scia

che formeremo Vie per ritrovarci :

la strada che misura la distanza

tra due luoghi : è il nostro canto -

dove Siamo.”

 

Se la notte  sfiori  la Tjuringa

se  percorri  con le dita il movimento

dentro il suono dove vengo mi raggiungi

la prima volta che abbiamo fatto l’amore

 

 

 

 

*

Lullaby

Nei mille piccoli cieli puoi restare

tra la tessitura delle cose

conservando la freschezza sulle dita

il movimento ritmico innocente

che le fa apparire e scomparire

nella mano tesa quotidiana

l'invito  a camminare intorno al pasto,

come principianti delle cose,ininterrotto.


Sulla carovana di sale non è dato

del prima dei neonati, né dai morti il dopo

ma un fratello. silenzioso. di tutte le cose

l'estrema possibilità d’amore.

 

Ricordi quando ci incontrammo alla fontana

come venne danzando una donna del villaggio

come in croce stendeva le sue braccia ?

passando vibrazioni per le scapole

nascendo da una mano all'altra ci raggiunse

piegata nel movimento di preghiera 

prese a dondolare una canzone lungo il torso

fino ai polsi. per dormire tra le dita

cantando una ninnananna.  Canto a sé stessa 

il palmo chiaro volto in alto 

come una richiesta di silenzio

legandosi alle braccia fazzoletti

come rami -i più teneri degli alberi -

ripeteva il vento a dondolo infinito,

l’avanti indietro coi suoi fianchi, della culla.


Se si abituano le mani alla penombra

se la mente diviene silenziosa

di una luce blu scuro ininterrotto

ricorda  il mare Indifferente !

Quando ti calavi giù verso il cobalto

fasciando fiori piccoli al silenzio

alla corda  un’urna tiepida di sete

colmando il Vuoto denso e nitido di noi 

la volontà  di amare indivisibile

Nessuno sa fin dove . E risalivi

 

*

Nella terra dove non si muore

 Nella scissione tra la spinta e una  rinuncia

tra l’anelito perduto  ad un oggetto

e il perturbante  che erra in casa sua  

dove le stelle stanno cadendo come sangue

la luna  ha percorso metà del suo cammino

su  mezze verità in oratorio e non saper perchè

di nenie responsoriali : nel mezzo è il nero

 

 

 

                          - Rothko -

 

 

In alto  bianco.  Continuava a vivere

nella stagione dell’aurora si addensava -

dove niente  è paragonabile al ritmo del respiro

ne sa più di noi. della scrittura

sui crinali chiari trascolora  

l’immensa moltitudine che mostra

vissuta oltre sé stessa  inconscia

resistente tortura nella melma del dolore-

                           ricercando un suono  primordiale

                                       a tutte le Poesie  


Esercizio  di divinità  l’ascolto -ci attraversa-

non è dato che per vibrazioni

un palloncino che  puoi  tirare verso il basso

cogliendone un frammento di fortuna

nel raccoglimento.  poi lasciarlo

risalendo col destino nella terra

                                      dove non si muore

                   Quel canto è le cose che nascono la Voce

-aprendo il petto dalla gola

pulendo tutto il sangue

                               in un giorno di silenzio

e una nuova lingua in bocca-

                               come la Bibbia da Dio.

 

è lì che si squarcia  nel velo

                              il dentro  di un Credo

il sentire  con.fuso

                                 nella  felicità

 

 

 

 

*

Just a rumor

Un vento largo solenne

Volteggia sopra il bosco

Inondando l’aria come fuoco

Sulla quercia i geni di vidala

Nel cammino impetuoso

di una misa criolla


mosso da giustizia comincia qui 

il rumore bianco nelle foglie

a percepire le singole frequenze

con tutto il corpo le pulsazioni

di una parte troppo grande  di sé:

melodia postuma - di quiete

profondissima ferita-

feritoia insieme


"se incontri il Buddha,

 uccidilo!" t’insegnano-

Lavorerò  con la cenere negli occhi

delle preghiere Conservando soltanto

ciò che sono disposta  a perdere

delle attese del dolore il sedimento

tratterrò sulle mani la grana opaca che assorbe

la luce -non solo la sua immagine-

il respiro del vento sembra muoverla

nascondere un Dio dove meno ti aspetti

cancellando il resto. Solo una voce

il nome che può essere pronunciato.

 

 

 

*

l’uccello canterà più forte ay mama

accade che suoni lontanissimi

rimbalzino davanti, tra le cose,

una tempesta eterna dell'anima

-una delle meno conosciute-

serra di leggende di miraggi, ma

 

se gratti la terra dell'oasi se raschi la pelle

per tenere l’emorragia se appena cuci i lembi

coi tendini dei  salmi sotto più a fondo le ossa

sono ancora viventi le colate di ghiaccio

hanno trine negli occhi  e boschi di pioppi bianchi

tra le gambe azzurre laghetti di balene

minuscoli pastori Noi viandanti

umidi pascoli  tra le mani

cespugli spinosi per corona

sotto i piedi del mondo nel punto più a sud

dell'anima c'è un Luogo senza memoria,

una pelle che fa ruotare lo sguardo

dai gesti miti, un linguaggio sottile di tenerezza, là

dove si conduce il fuoco nella canoa

al nuovo capanno, per la festa dei fiori

di lana cantando l'amore delle balene,

quando il rombo del fiume diventa assordante

e le stelle tinte dal nero del Silbaco


l'uccello canterà più forte ay ay mama… 


facendo sorgere l'albero nell'orecchio

le radici nella mente

la chioma nel cielo intatto dell'anima


Io posso solo danzare portandoti un fiore spontaneo

                                                             per ritrovare l'Ombra dell'Uirapuru

tu puoi sentire avverarsi un desiderio

caduto per sopravvivere un sogno?

 

 

*"Uirapuru" è il nome sia di un attuale uccello amazzonico che di una creatura mitologica.
Nella piovosa foresta l'uccello Uirapuru canta una sola volta in un anno, quando costruisce il nido;
raramente anche alle prime luci del mattino.
Secondo quanto racconta la leggenda, il canto dell' Uirapuru è così bello che tutti gli altri uccelli smettono di cantare per ascoltarlo.Sia nella leggenda che nella realtà l' Uirapuru è simbolo di rara bellezza

Si tramanda che poterlo ascoltare porti felicità

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

come bestia serbo meraviglia

Se guardi nella pancia dell’ascolto

Se tocchi l’acqua buia del mio carso

La curva che dispiega scorre dolce

e sono gonfi gli alberi di vento

sul bordo. d’incenso e tenerezza

tocca_la distesa nel suo cuore

trattieni_la custode del confine


                                                                                            -Puoi sentire il respiro del principio?

L’istante del  respiro sparge bellezza

verso la Tua poesia il passo  È qui che canta

e l’acqua si ripete come fosse

necessario scegliere

cosa s’aspetta? -un Uomo meno

di 250milionidiannifa vedeva

tra le rotaie gli equiseti, ricordi ? -


Ci sono nudità che la luce spegne

per volare in alto la purezza

per il sentimento di Handke la durata

Ci sono prove sulle DoloMiti , un grido puro

250 milioni di anni fa

era sul fondo dell’oceano e milioni

di creature marine schiacciate insieme a

perdere il proprio corpo, bocciolo d’oro,

lo sa il Green Lake la privazione

dell’ossigeno il colore scuro sulla pelle

fino al rosa del veleno In pochi vogliono

in pochi possono restare. Vivi. Sedimenti

nel vortice d’amore che il mostro demolisce

di piegamenti  campi elettrici e visioni

pericolosi dislivelli e terremoti

episodiche esplosioni di correnti

significati chiusi nelle faglie.

Cosa è servito tutto questo?-

 dolomiti !

L’innalzamento è tutt’ora in corso

a mostrare il biancore di scogliere

delle rocce Coralline  le incisioni

potenti Continueranno a crescere sospinte

Farà l’amore il  Rosa con le punte

nel blu cobalto il cielo con il plancton

 

Fino all'ultimo colore- non più facile

della vita-  come bestia serbo meraviglia

camminando. nel segreto dello sguardo

un'immagine vi penetra. Altro

non sento che questo battito di_vento

 

 

 

 

 

 

 

*

Nei movimenti delle rose ti cerco

Non ha posto il viso

Nè mai lo sguardo

Dalla parte della carne

Per qualcosa che non fosse

Quel che han visto gli occhi

Lì ha posato la gola. Denudato fiori

Sorella di un Verso di poesia

-dell'immenso impresso- l'Anima


Seduce la carne la parola

Dove giunge il tuo piede

-La fermezza  nella voce

Dei ciechi- Scuote il petto

Lo sa ogni buona madre

Lo sa il figlio

Che le piange in viso


Porto Rilke sotto il seno

La grazia del suo Rainer

Lo amo come fosse Vivo

Ma non è Lui che cerco

Sul sentiero di Duino


Quel che ha visto ..senza palpebre

fa cadere il tempo. Nelle rose

Lentamente

Più del pane sazia

Il bordo della coppa che fa tremare un uomo

Se chiudi la farina dentro il buio

Se con le dita avvolgi l’ombra

 

È così che ti cerco Amato

Figlio mio. Senza contorni

Nei movimenti delle rose

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Hanno preso le tue mani

Ti ho portato via

Come gli odori l'll vento

Dagli occhi le tue mani

L'una nell'altra luce

E promessa di frumento

 

Hanno preso le tue mani

La forma del mio seno

E' il respiro che senti .adesso

In corsa sugli appennini

 

*

Al suo posto di sempre

Una coltre  di  luce consumata

dall’eterno riverbero accecante
brucia gli occhi le mani nel suo interno
la fonte di cristallo imprigionata

nel bianco e il blu del cielo al limite



Estraggo sale
faccio/disfo montagnole
trascorrendo profezie a tonnellate
non c’è orizzonte che produca
a dare spazio alla distanza

d’agosto, scaverò una buca
a Pachamama offrirò latte
e porzioni di cibo ringraziando
deporrò una pietra e fioriture
-una per uno-

L’offerta propizierà il raccolto
del segreto l’indicibile devozione
nel luogo più profondo alle parole
dove si è-  pronte per la notte

oltre il dorso di pietra del gigante

Nel buio leggero della carne
ha posto il suo rifugio un’anima
partorendoti al tramonto

-al suo posto di sempre-
e se canta una canzone
un’ederlezi
non schiuderà  le labbra

fin dal nascere un lamento

sempre più intoccabile

di sale

*

Ci tiene stupefatti gli occhi chiari

Un filo d’anima alla volta

viva.  e indispensabile scintilla

nascente da lontano

passaggio d’apertura

alla rivelazione


non posso toccare – Lo sguardo

colmo della vita-

mentre penetra come un fiato

sul mercato del sale

il tempo nella macine di sesamo

per tutto il giorno piano piano-

il nostro punto d'incontro-

 

Finchè  s'illumina con l’oscurità

sulle colonne di roccia degli oranti

come un imam sta davanti

la bomba inesplosa nel duomo


non puoi portarla via

È un’ostia nella gola

che ci tiene .stupefatti.

gli occhi chiari .

 

*

Lo sanno gli uomini d’aria

non so dire il rumore

che fa la corteccia

quando il vento la stacca

dal tronco

del pensiero/ è la sposa

dell’orecchio assoluto

 

lo sanno gli uomini d’Aria

mendicanti di verità

tra la virtù e la colpa

il premio della pietà:

 

 

non c’è impronta

senza respiro

se non nascere

a capo dell’albero

con tutto il dolore

sentire

in cima alle dita

staccarsi nelle parole

la nostalgia

fermarsi. per un momento

e condurre al contempo

 la vita

*

Il mistero delle Egrette Sacre

Un solo giorno ancora

da colmare

sostiene l’Anno

sull’orlo della vista

 

 

 

 


Più del Nome mi chiama

ciò che resta

l’aprirsi senza fine-

nascosto nella stanza

lucida di male e creme di avene-

delle garze d’acqua che ti porgevo

 

le hai scambiate  col bicchiere

aprendo le mani nude

le alzavi fino al viso

afferrando l'aria

come a portare un peso

dal deserto della gola

all'invisibile di luce


non so fin dove

perché  avevi degli angeli

alle labbra

la grazia nel tenere niente

il mistero delle egrette sacre

a bere Nulla


                                                      riempio la sera, ancora,

                                                                                                 come una pita

                 la ciotola di latte grigia

                                                                                                          e suono intorno

                 un lamento bianco

                                                                                                            circolare

                  nello sguardo ebbro

                                                                                                            di sentire

                       quel vuoto lieve

                                                                                                       tra le mani

                           che resta dell’assenza

                                                                                               come spazio

                                                           del suo Essere sublime

 

 

 

 

*

A passi di preghiera

A passi di preghiera

 

A prender l'acqua

dentro il bosco

con un esile respiro

si lamenta

contro gli alberi

la schiena

in attesa della pioggia

spinge  alle labbra

un canto

per metà dolore

e chiaro agli occhi


Siamo inzuppati

Quasi felici d’improvviso


Fedeli

Altri passi  in silenzio

riconducono a casa

col sole

adagiato in quel luogo

remoto

 

 

 

*

Un cenno sale leggero

A mezza via

tra la torba e l'anima
immergo  il capo

dall’umido alle rose

sono fradicia di silenzio


Un cenno sale leggero

il corso della notte lunga

è uno spiraglio nella neve

-non solo il gioco delle ombre-

che passa brillando

ad asciugare la pelle

*

Guarda quanti fiori

guarda quanti fiori!

messi in silenzio

non disperano

della morte

nella mano più pura

che ripara

la parola sovversiva

 

 

 

 

*

La parte della neve

Vorrei cantarti della neve
                                      la parte della neve

della parte del sangue che non sai


                               del sangue che non sai
a togliersi  mai più dalle preghiere


-non toccare il nome nella voce

per marcare  la vita – e noi stessi-

e milioni di possibili modi

 

per tornarsene a casa

                                 tra il bianco la terra-

 

sai portare nel vento

un fuoco sottile        non è un cero spento

-che per l’altro non  soffia-

 

ma la più bella parte

la parte più bella di te: la forma di madre

 

- che avverto senz’occhi -

nel  grande  Rito  d’amare

                quasi non fosse lontano la neve

 

un’eco fin giù. nel rosso del sangue

nel  raggiungersi  ciechi alla meta

                           compiuta. come  fratelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Il percorso dell’Eufrate

Nella bottega col capo reclinato

Siedo accanto alla forma che ti chiude

Le mani intrecciate nel trasporto

Del corpo inesplorato  Io Rivivo

La memoria gestuale -un luogo certo


Col rumore di un soffio da ogni lato

Si apre il desiderio di un estuario

a cantare col cuore verso l'uomo 

-Quali preghiere si tengano lì dentro

Il  percorso non scritto dell’Eufrate-

 

Non bastano gli occhi del volto

Che ci venga vicino sfiorando

Ma il Nome profondo Il  più chiaro

Che Può inginocchiarli nel buio

Fino a quando bevendo

In Dio  

Non  riposa la mano

 

*

Senza un fiore ci tocchiamo

Lascio andare piano sulle mani
colline calanchi e segretezza
un codice matematico
ricavato dalla bibbia

tra ragnatele d’archi :
cambaciano le linee
di piccole incisioni

sfruttando le fessure naturali

mischiando malta ferro legno

e un lavoro sporco con la pietra


al cuore torna in suono
un palpito –piano piano eroso
come un filo di canzone-
le dita lente a domandarsi
il futuro dei miracoli
a brillare vive sui nostri d’oggi
polsi bianchi come ancelle
mentre l'acqua porta via

tanti strati di pittura

ai volti l’essenziale

 

c'è un sottile stelo tra i vigneti
e noi
a meditare sui camini delle fate

l’ignoto inesauribile

lo spazio vuoto

che quei pieni dovranno limitare


Così ci  amiamo.  l’anima

senza un fiore. ci tocchiamo

la grande bellezza

 

 

 

*

Dove sposano le volpi

Piaga solare armata
sui nodi delle querce
dorme la paura
spaccata nel sangue-
ribelle fuoco di montagna
zeppo di vento di doni
di sentieri liberi di ore
forti di dolcezza e fianchi
di pace carsica. l'alba

 

scuote ogni mattina il cielo

-in una sola attesa-
nel suo ventre minerario
fino al pozzo ai piedi della collina
dov'è poggia sul dorso delle mani

accogliendo il segno della tua
felicità. sei. chi è giunto

 

fin dove  lei farà in silenzio
immaginando quello che non vedono

gli occhi di un’immagine riflessa

terrà forte le cime coi piedi nel fondale

della diga immacolata

memoria della carne

non uscirà con l'arcobaleno
                                   dove sposano le volpi

Perchè così ha promesso

finchè scompare

 

nell'acqua come compimento

scintilla  con la voce. la veste
di rifrazioni sfuggite all'oblio

agli ordini del fato la devozione

restituendo le mani con  un’ala

per essere abbastanza innocente

mostrando il volto dell’amarti .un sogno


si raccoglie  in mille sfumature

nell'involucro purissimo dell'aria

si stacca in volo ed io trattengo quello

Un luogo nella  luce- fino a salvarla

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Da te che dormi

Non sono buona
a misurare le parole 
Sto imparando 
facendo conto del silenzio 
come in buchi dentro gli alberi
nascondo quelle grandi 
facendo risuonare nelle ciotole
più volte  fino al piccolo

che resta  per la casa

da te che dormi 


Non sarei buona
a tacere tutto il  chiaro
che cade dentro  gli occhi

è così sai
che non  vengono singhiozzi
che se  tengo la fronte leggermente
sul tavolo sento cadere delle gocce

in basso toccare il pavimento- 

d’infinito breve- e andare via

 

Le figlie ti offro

come sorelle 
come ogni cosa buona

che non sfiorisce

l’innominabile grande

*

Voleva tenere per lei

Sono passata nel tempo

di due vetrine all’ingresso

bussolotti di sabbia, le forme dei sassi

dei cristalli di metà mondo

ogni suono caldo Nei calici

fragili  dita ridisegnavano

l’uno nell’altro –loro-

viaggiando.  Lui ha raccolto

meno mari di bicchieri

Lei viaggiava di più.

 

Prima della cucina

abbiamo pianto

dentro l’ombra

più ampia  del mare

terribile più dei vetri rotti

verso il mondo

dell’Altro Lato.


Implora una voce. Una breve

moratoria nella tiepida sorgente

coi pesci rossi umida e segreta

tra il canneto. senza altra pena

un appiglio :

-potremmo andare Noi

a prendere la sabbia  che manca

dai luoghi dei bicchieri dell’Est-

 

Ho sognato tua madre -sai-

di farmi trovare  per primo

con le pietre migliori negli occhi

all’ultimo viaggio  

volevo tenere per Lei …

 

Non saremo mai pari. Ingannava

il tempo che resta nel viso

mettendo avanti  la sua bellezza

guerriera al dolore

tintinnante là fuori. al freddo.

 

Col cibo semplice delle mani

oggi

per qualche motivo ti ho trovato

a Istanbul- ci siamo immaginati-

abbiamo preso Fiato.

 

*

La radice è nell’aria

 

“Spalla come guancia”

“Corsa come giugno”

“Mare come arrivo”

“Cuore come treno”


Se sai riconoscere la felicità

mentre succede alla luce

del giorno con la carta piena

del segreto di vento , viva

nel disegno basta una scossa

Lieve...

un semitono tolto  piano

e lei giura sul tratto d’aria

percorso dal confine

si fa il Segno della vita

molte volte

dalle infinite altezze

raggiunta

ringrazia cauta il tempo

Imprevedibile, se per questo

della continuità

 

Ma quando va via

la luna. dove finisce l’erba

piega le ginocchia E muore

piena Di memoria

dal culmine volata  in fondo

ricrescerà che ricorda una poesia

La radice è nell’aria

                radice come aria- dico                           


“Non si sente che il suo respiro e, lontano e sepolto, il cuore.
-Cuore come treno – dico.”
- Italo Calvino -

 

*

Nell’entasi del tempio

 

 

 

 

 

 

 

 

Il profilo sempre più teso

il rigonfiamento esiguo

per tutto il giorno reale

o illusoria montagna deserta

 

E’ a sera che  la senti salire

a nudità di buio parziale

passar calore dalla bocca

se la scorgi in viso.

 

Ti attraversa

accanto  non si riduce

con più forza con il silenzio

di una poesia bianca

allarga gli occhi

a possedere la stessa luce

a lavorare stanca

nella postura nuova

fiorita d’estate. Vibra

nell’entasi del tempio -solitaria:

 

ha l’andatura di un sentiero

la membrana robusta

gode di suoni

all’altezza della notte

gonfia . Fino all’alba.

quando regredisce

l’occhio umano

e di nuovo il profilo

che cammina

è nella terra esiguo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Stringo con forza i lacci

 

 

Indosso con parsimonia

i tuoi sandalini brasiliani

 

Oggi  ti hanno condotta

Verso nulla di conosciuto

Sotto la montagna di Vergato

Già pesante con che stanchezza

Consumano . a passi veloci

L’inesprimibile dolore


Mentre tu cammini a piedi

Scalzi  il bosco. dal lungo ramo

Trema il filo come una carezza

Sul nodo dall’albero al tuo giardino

Dove non sei più tornata prima

Di quella pace per sempre intatta

Stringo con forza i lacci e avanzo

 

Oltre il corso delle sere

Più grande

Nuovamente nell’aria

Riempie la porta

 

 

 

 

 

 

*

Da chi siamo sognati

Non ti era nascosto

Il Fiore della carne

Raccolta d’amore

Ricamato nel profondo

Corpo della terra

Ai corpi embrione

 

Senza posa fisso

La trasparenza del mistero

L’Immenso da chi siamo

Sognati gravemente

Mortali  negli occhi  scritti

Senza Regimazione delle acque

La tua immagine ferma

Come in un ritratto

Restituisce il fiore

E luce nella stanza

*

Più di un luogo d’amore

È una lama sottile

Che penetra il fianco

Mentre respiriamo

-Un attimo di quiete-

 

 

 

Non togliere ai  piedi i tamburi

le fanfare nei passi

di  cucire monete d’oro tra i capelli

non finire  di fare l’arpa nelle vertebre

sulla via trovi frammenti di canti

all'indietro, fino alla palude

che tiene bassa l’erba-

dove un uomo disegna l’impronta

della voce che manca-  C’è tutto

nell’acqua un sesso aperto che ascolta-

l’aria il tessuto la tregua che  filtra

la supplica-  superando il pensare

dove tiene in segreto la luce invernale -

c’è un fuoco  laggiù di ottanta Mondi

dentro un mortaio una pista di scambio


Pioverà molto al suo centro

a pungere il cuore tra i rami

di Telajen. Per non tradire le cose

chiudi gli occhi anche Tu . vieni

nell’acqua -come un bambino  immaginato

nella luce invisibile  porta tra le mani

una piccola rana sulle zampe  pogggiando

le dita nell’ombra - trascorri un linguaggio

che dura  alla bocca  che Tocca l’acuto

della verbena la carne, seconda vista

più tenera di una sorella. Talvolta


si sente un sospiro di sera

quando i frutti del buio fanno radici

nei fianchi e le radici non muoiono in fiore


Nâ- Koja-Abad  è allora

l’interno si fa involucro e pelle

Piu di un luogo  d’amore di quello

non c’è punto:

dove le immagini preesistono

sottili porziuncole sdraiate come un 8

alla fine del respiro, sulla vetta dell’acqua

 

Mentre il sangue in fondo al bosco tace

-il dolore delle foglie  la bianchezza

del cielo il nudo d’acqua della martora

che indugia sul passo dei cervi-

nel paradiso delle voci  ai ripostigli

c’è  la  Pasqua delle querce, la licura

sulle pietre il trillo del tekiah

intorno ai salici ciechi

lo sfinimento delle corse dove ci  sa

felici al tempio la candelora sulla Pieve

la confessione del laghetto nella rosa


Più di un luogo acceso. Sì

-dentro la costola del cuore

tra i muscoli preghiere tra le mani

piccoli pastori- lo stesso tempo. C’è

 

la stessa montagna fuori dagli occhi dipinto

un vascello che va con la grazia di un fiore

s’incammina confondendo ciò che accade

con chi potrebbe ancora accadere 

sotto la superficie della forma . Cresce

un altro sangue  a convocare l’inaudito dove

scende un fiume così potente da generare

luce che si frange morbida nel dono

di una terra. sprofonda come un mantra


Più di un luogo 

rimane tra fratelli

d'acqua

 

*

L’acqua è un sesso aperto che ascolta

È una lama sottile

Che penetra il fianco

Mentre respiriamo

-Un attimo di quiete-

 

Non togliere ai  piedi i tamburi

le fanfare nei passi

Di  Cucire monete d’oro tra i capelli

non finire  di fare l’arpa nelle vertebre

sulla via dei canti trovi frammenti

all'indietro  fino alla palude

che tiene bassa l’erba-

dove un uomo disegna l’impronta

della voce che manca-  C’è tutto

nell’acqua un sesso aperto che ascolta-

l’aria il tessuto la tregua che  filtra

la supplica-  superando il pensare

dove tiene in segreto la luce invernale -

c’è un fuoco  laggiù di ottanta Mondi

dentro un mortaio una pista di scambio

 

Pioverà molto al suo centro

a pungere il cuore tra i rami

di Telajen. Per non tradire le cose

chiudi gli occhi anche Tu . vieni

nell’acqua -come un bambino  immaginato

nella luce invisibile  porta tra le mani

una piccola rana sulle zampe  pogggiando

le dita nell’ombra - trascorri un linguaggio

che dura  alla bocca  che Tocca l’acuto

della verbena la carne, seconda vista
più tenera di una sorella. Talvolta

 

si sente un sospiro di sera
quando i frutti  del buio fanno  radici
nei fianchi e le radici non muoiono in fiore

 

Nâ- Koja-Abad  è allora

che l’interno si fa involucro e pelle
Piu di un luogo  d’amore di quello

non c’è punto:
dove le immagini preesistono sottili
porziuncole sdraiate come un 8
alla fine del respiro, sulla vetta dell’acqua

 

Mentre il sangue in fondo al bosco
tace:  il dolore delle foglie  la bianchezza

del cielo il nudo d’acqua
le impronte dei cervi nella neve
sul passo  della martora che indugia

nel paradiso delle voci  ai ripostigli della neve

c’è  la  Pasqua delle querce, la licura

sulle pietre il trillo del tekiah

intorno ai salici ciechi nella radura

lo sfinimento delle corse dove ci  sa

felici al tempio la candelora sulla Pieve

la confessione del laghetto nella rosa

 

Piû di un luogo acceso. Sì-
dentro la costola del cuore
tra i muscoli preghiere tra le mani

piccoli pastori- lo stesso tempo. C’è

la stessa montagna fuori dagli occhi dipinto

un vascello che va con la grazia di un fiore

s’incammina confondendo ciò che accade

con chi potrebbe ancora accadere 

sotto la superficie della forma . Cresce
un altro sangue  a convocare l’inaudito dove.

scende un fiume così potente
da generare luce che si frange morbida
nel dono di una terra. sprofonda
come un mantra Più di un luogo 

rimane tra fratelli dell'acqua

 

*

A prendermi le mani mentre bevo

 

 

 

 

 

 

 

 

Le sue parole davanti al viso
la testa  china di  ogni sera

 

Nella giovane grazia svuotai

il succo al tempo essiccato

di un ananas.la metà estrema

intonsa
prima del pane degli Angeli.

 

Contiene l'Acqua Grande ora,

spigoli di pace. una potenza minuta

oltre la cenere. mi mantiene calma
nel corpo vivo come chiamando 

la levo in alto dentro lo spasmo

semplice  come bere la speranza

consumata fino al centro. Accolta

 

in comunione

da tante notti qualcuno arriva

-per sfumature appare chiaro-
a prendermi le mani mentre bevo

fino all'ultima doglia sul pianoro

è una mano che scrive che offre pace

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Yo envidio el viento

 

 

 

 

Potresti essere donna, un albero

la balena nel laghetto o il palombaro

non importa. Hai cambiato il rumore

alla notte tutta la vita

e posso vedere

il tatuaggio di fede divina  

- un si-murgh nel verso -

questo, è l'amore più forte di me :

l'ostinata figura di un cerchio

per il volo che scava infinito

-che non vale per sé-

nella forza che hanno le cose

quando sale a  spirale

nel vento sufficiente a servire

 

senza ferite dall’olmo

all’albero di legno di Sapan

sarei meno

                     leggera

nel volo 

                     insicura

a coprir la distanza

che ora

mantengo nel fiato

da te

più delle tortore

per non toccarmi gli occhi

dentro il fesh-fesh

per non voltarmi più

fino al simurgh - chi sia

a pregare il Signore

che cosa.

 

 

 

 

 

 

*

La fortezza veggente delle falci

Sono protese le nocche della luce

sotto il peso sempre più chiaro

del suo corpo. Bastavano i ritagli

i tre quarti di uno sguardo a ritornare

col sorriso messo accanto al fieno

il giorno dopo. Domani è adesso

prima del raccolto. L’ultima sera

s’è visto il braccio alzato

fino alla mano

che accende le candele.

 

Nell’umido lucore della notte

si sparge lentamente il suo commiato

sui grappoli ancora verdi delle viti

la fortezza veggente delle falci

sul  più gonfio grembo del silenzio

 

Nell’ora dell’anima

lei corre

col fresco della medica

a governare  i cavalli.

*

Unendo i fiori che cogliemmo

Ha un petto grande il canto
che più duole
per quanto bagni i piedi nell'oscuro

delle mani portano fiori nei bicchieri
e molte, mille rondini sui fianchi
raggiungono le cose - alle radici
Non un solo ramo è inutile.

Lì, dove i fiori parlano : la vedo.

Mi sta di fronte
al centro della sera
come un segno con la felicità
spezzata nel calore
come pane si alza
e sale nelle braccia
una ghirlanda

dalla pietra che sostenne il piede
all'ombra
di chi traduce un angelo
nelle viscere stesse
della terra
dei lamenti puri

non avrò più paura
del paesaggio muto

che si sporge
nella risacca del respiro
dove è fatica bere
l'esercizio del silenzio
mi indica in preghiera
la parte che mancava

-se tuo era il sangue-
unendo i fiori

che cogliemmo

dall'alto. Fino a qui.

 

 

 

*

Nel gesto largo di una donna

Vorrei piovesse con violenza a mezza strada

mentre riparto sulla tratta giornaliera

dell’asfalto diviso in due dal fuoco

ore di pioggia nella corsa per guarire


di mia madre. vorrei un fiume, il symbolon

da combaciare limpido col sale

-non un filo che non fluisce in volto-

nella nicchia minima degli occhi, piangere

discesa a nudo per  risorgenza,  identes

 

Dell’affluente  tortura chiedo il getto

contro il corpo l’acqua. nel fragore

di una lastra di ghiaccio che si muove

-non  distacco delle ancore dal secco-

sulla resistenza dell’argine di  nero

 

C’è una colonna di luce In transito

fra gli spalti notturni si dilata-

nel gesto largo della Donna- inconsapevole

rompe le acque del rifugio  Ed esce.

in un angolo appartato tra le acacie

nel cesto vuoto sulle spalle d’erba medica

torna a piovere la Luce in grosse gocce

congiungendo in lacrime i due regni

 

 

 

*

Il dubbio non vale meno di una preghiera

Se devo dire  un suono

non comincia

con un moto non si fa trovare

nella stanza vuota

quando torno dalla sedia

nel silenzio che lo segue

dal nulla

al nulla umano- muore

non definitivo

se “legato”

a qualcosa che diventa

Musica

nel punto di confine

il desiderio dell’opposto

la trasparenza udibile dell’altro

l’Armonia

Da un crescendo al subito

Piano.  La gioia/

Il dolore che si rubano

nel tempo. La pulsazione

che continua “fuori”

Irrefutabile. In avanti

fino alla fuga dalla vista

l’ascolto


Così Se potessi dire

della passione di  un lamento:

È la gioia

che  fa l’erba

quando cresce

“legata”

nel dolore delle foglie

sull’addio dell’albero

l'Amore

per cui vale la pena Vivere

Il dubbio di non sapere

-il verso-

Non vale meno

Di Una Tua preghiera

 

 

 

 

 

 

 

*

Avamposto degli angeli

" La casa è uscire fuori nella notte" 

                                                                                         - Marina Cvetaeva-

 

 

Nella chiusa di vento ti seguo

-le ultime impronte le ombre-
scura sul vetro  dell'acqua 
sulla carne coperta di luce

avvolta nel rame. 


Impressionato lo sguardo 

all'origine

l'anno che sta per raggiungere

il suo mese più immobile

sfonda il destino  la minima voce

la minaccia  che stringe

-a mancare la vista-

discesa
nell'arco sgranato
l'acutezza del bordo,
il mormorio
delle viti. dove si è giunti 

ti annuncia :


l'odore mandato
-Tante volte 

a memoria-

nella brezza 

che trema

a capo nudo 

per  terra

grondo di neve 

nell'estate 

raccolta

come un voto:  il tempo
dell'agosto 

che mi ferma.

sul ciglio del fuoco
- Suo ubbidito-
una luce
a tutte le luci
diversa.

 

Ma Tu,
il raggio Alto-
fino a battere la vampa
ciò che si conserva 

in una stanza

accogli 

quello che è servito

a uscire "fuori
nella notte" di Ninive-
mi plachi, oltre le Case,

Avamposto degli angeli

 

*

Sul seno dei papaveri

Incideva come bulbi di papaveri

I suoi seni misteriosi a tarda sera
Raccogliendo nelle viscere la pace
Del prezioso succo nero con la Vera
L'argento del lulan mosso dal vento

Di una tigre nata al buio della bocca
Puoi sentire le premure farsi chiare
Come l'aria che respiri fiato a fiato
Più madre di un coniglio dentro il nido
Succhiata a gioia  per urgenza a morsi

 

Che porge il viso insanguinata e muore.
Credendo ancora nel cerchio del donarsi

 

 

 

 

*

Un pieno di sole non scompare

 

 

Ti porterò ogni volta a piedi

Sulle Vie dei sogni  

 

Un recitato di preghiera

un calpestio di cervi claudicandi

che hanno imparato Zingiriàn

toglie respiro al sonno. sulle tempie

si fanno gemme ai fianchi i rami

invano viene sera e la calma nel cortile

 

Un pieno di Sole non scompare

ovunque vadano i raggi  a sbiadire soia

durerà a lungo il viso acceso per soffiare

le foglie di abacaba sulle braci, scaverò

una buca con le mani  per tizzoni

-non si sarebbero più spenti-

verso un volto ignoto di frontiera

a rivedere la stessa Terra, un'altra mano

fare il segno della croce. sul lembo di foresta

annaffiando i fiori. fino all'ultimo rifugio

la stessa pace. a scendere le scale

della  sua esistenza -di un vivere come vuole-

ho diffuso una danza lenta nelle fiamme

sulla Testa di Nostra Madre. indurito la punta

delle frecce. Conserverò l'acqua -agli occhi-

per i campi di pianura. le radici dolci

a cielo aperto. della Tua Poesia il sangue

una miniera per la fame -rifugio d'animali-

metallo grezzo sulla canoa del tempo:Urihi

sulle Vie dei sogni. lo stesso fuoco si riposa

 

Col silenzio sulle spalle di un monsone

che chiude il tuo bagliore di granito

tra le dita. ti porterò ogni volta a piedi

per la prima volta leggendo sabbia

il mio piccolo Dio tenendo a bada

le mosche nere dalla taiga ai Dani

 

Dal sottobosco alle montagne

respirerò appena il NomeErrante

battuto dal vento con le mesa

affidandomi al segreto che rimane

dei bambini quando vogliono Restare

 

 

*

Tace le Rose e la cura

Due lunghe strade

due figure nell’erba

“vai piano. Torna presto

dove non sei mai stata”

 

Non c’è casa

sul monte Carmelo

alberi  di pioggia solamente

fontane segrete .

 

Seguono la rotta i piedi
nel nome che cercava
per le rose. Solo uno
che non ha raggiunto
che difende -Più lontano

cuore - le nasce intorno
trattenendo fame

sulle ginocchia scorticate

-il saper toccare insieme
un significato che ci basti-

a finir la notte. delle notti
ad ascoltare dove niente è più
visibile a chi viene dopo Rainer.

 

Ha la fragilità che io immagino

degli angeli
quando spostano il buio dell’aria

tra i fiori

 

Là, dietro le palpebre, 
quel modo suo di venire profondo

lo ricevi  nel viso e ti chiama.

 

Fa tanto rumore nel nome ..

che tace le Rose. e La cura

-ferma nel grido

come un segno nel grano-
impalpabile e chiara
una crepa privata
offerta a far sera
viene splendida in dono
posando la pace
a chi ha dentro

una spina. Le basta

poco

un nulla per vivere

penetrata di luce.

 

*

Claudia degli Alberi

                                                                                                       A Claudia degli alberi

 

Ieri ho incontrato la donna

del bosco - senza radici -

non calza  che pelle di vene

ai piedi conduce una pigna

e una ventata improvvisa

-un'eco di grazia elementale-

per fare rayuela al pendio

determinata a reggere il tempo

di quello che Vede nel fondo

 

Si racconta al Paese

che corra  la notte

con gli alberi. E' muta

se domandi il suo nome

ti apre le braccia

come volare. ma  insieme

inchina una spalla sul fianco

e veloce ritorna. con l'altra

più scarna

leggermente in ritardo

rimane

ferma  a un sussulto

-a pena contrario- 

donando la simmetria

che  manca dell'altra.

 

Se poco comprendi

di claudicanza

nel buio di un gesto

posa a terra la mano

come lasciarti una storia

e svanisce tra i rami severa

nella sua corsa. perfetta

sembra parlare con l'anima

di "Claudia degli alberi"

del fianco ferito

di un cervo. nel sole

tra la lingua e la gola

 

D'amore l'll muto rituale

dall'uno all'altro versante

in tormento

da qui si sente. e a ogni ora

è un boato che torna

ostinato

come nell'albero il ramo.

 

 

*

A quella stessa ora dello sguardo

Con quale forza La notte densa

sollevò -in grida- un albero nero

.con tutto il peso di una nascita.

invaso di volti, di lampi e una vita

sola nella -sua- voce!  Mi ricongiunsi

a tentoni nello squarcio - cancellato

il cielo- tra la mano e i rami

intuendo il profilo grave

la cavità oscura  Scossa

 

Fu piena l’aria d’acqua ferma

vicino e forte

da non potere dimenticare

come cresceva lo spazio la paura

il confine delle cose, in eterna attesa

di quel nome chiamato verso il bosco

 

Piantai  una candela per ogni fitta

per illuminare le macchie cieche

sotto la pelle -a figura intera-

le radici  della casa vacillante

per riempire il muro del lieve della luce

le piantai a spargere speranze 

negli occhi vuoti per accogliere

-immaturi-di lasciarla andare via

La sera prima.

 

Poi venne Il Giorno, là dentro,

deciso. l’angelo puntava il dito

verso. il sole alla fine della terra

E un albero bianco in cielo

attraversò la stanza

col giuramento di restare

in piena luce

a quella stessa ora dello sguardo

che la porta chiude senza Lei

Eterna

 

 

 

*

Per quanto a lungo stende le sue mani

Si raccoglie nel suo nome trasparente

E tace Quasi non avesse forze più

Piegato nella pelle -In quel tacere Di sé stessa-

Non si rivela. Dalla sua fronte l’acqua

Intanto cola sulla ferita immedicabile

Lasciata nuda per la notte a un’altra fede -

Somma di ciò che termina come una preghiera-

A dipingere le cose di continue guarigioni

Si rapprende la voglia di uscirti dalla carne

Ogni parte. Ogni istante si fa strada nel “vedere”

Come albeggia

Lei s’inchina alla sua benedizione,

Nell’eccesso doloroso, per quanto a lungo

Stende le sue mani,  si commuove

Abbandonata nel “guardare” puro.

 

*

Qui siamo già stati bambini

 

 

                         Mi chiami madre

Tu

                              che  hai posto  bende

calde

                              sulla schiena

dell’inverno

                             di dolore. Solo un padre 

                             conosce quel luogo

della pena 

                              non togliere le mani.

 

Scenderà negli occhi l’estate:

 

 

 

 

 

C’è una madre là dentro

in piena luce. Padre

nel fondo stabile

dello sguardo che si rinnova

in Noi così

              come si trema

per un’offerta

               per una preghiera, è  in Lei,

nella sua grazia 

che ci vedremo ancora

              Qui siamo già stati bambini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Sta come giurare

Un'aria chiara

Un punto di voce
Scomparso dalle case
Dall'interno dell'acqua
Dal bosco, nella parte tesa
Delle mani, nel fondo buio del pino
Dalle ore dure delle foglie. Di notte
Soltanto, in apparente bagliore
Di bellezza
La rosa incessante è di tutti
Un porto, un dendron, il nome
per dire " Un altro 
luogo di sogno"

Chiusa nella bocca, viva
Sul volto che affonda nell'erba
Sta come giurare una stella
Le poche cose dagli occhi
Con cui ci siamo scritti

Un attimo benedetto

E perfetto

         

 

*

Istintuale

                                       Si riconosce l'ansa nella mutezza delle immagini

uno spazio del cuore che finisce la parola

 

 

 

non più udibile. una donna

ai ripostigli della neve conta il bordo

al suo principio di bianchezza nella grotta

sporgendo il braccio con un gesto ripetuto

e quotidiano bere dalla stessa tazza

via via che s'avvicina nel profondo

nella cripta del sesso silenziosa

piove sul dorso solo di una mano

l'atto d'amore radicale al buio

che il paesaggio nega e tocca

di verità cristiana sulla lingua 

sfuggita allo sguardo del reale

 

I suoi sensi erano in due divisi

Nell'intimo sognare presso Dio

 - Chiunque

Esso sia- Gli affida il dramma

della Ragione,

del segreto: che non sa

                        chi sia che ama 

la bocca che ha bevuto

                   senza sapere come 

che l'anima riconosce e sa

 

 

 

 

 

 

 

*

C’è così tanto giorno

 

C'é cosi tanto giorno

riflesso nei pozzi 

quando rotoli via

nei cerchi d'acqua

si formerà un respiro

di corpi celesti

nel punto esatto al vento

del tuo lento partire

nella veste intatta

per potersi allontanare

 

Pregherò la notte

ostinata

nella lunga luce 

del moto  apparente 

al sole fermo pregherò 

per la tua fortuna un fiore 

l'll più magico negli occhi.

 

Finisce qui, sulla riva,
senz'ombra

l'll punto d'incontro del mare.

 

C'è così tanto giorno 

che mi hai dato tu                [tanto fa]

da potersi allontanare 

con un solo sorso d'acqua 

sorridendo, là

nel viso della luce,

senza povertà 

 

 

*

Nello spazio bianco un giglio

Alta da terra, nello spazio bianco

lungo la libreria, una tela nuda.

C'è dentro la mia zingara,mia madre

a piedi nudi sul baule, gambe incrociate

 

Tendo nel braccio della notte la fatica 

per raggiungerla nel viso di ogni sera

nelle pieghe della veste chiara,dal sorriso

l'accarezzo fino ai piedi con le mani.

 

Quieta  prima del sonno, protesa

verso terra, nella sua immagine,

raccolgo i piedi affaticati tra le mani

lasciando che l'unguento sani,

che disseti l'ultimo saluto

finchè sia giorno,di nuovo alba.

 

Nell'ombra delle bestie

generiamo un simulacro

ed una voce uguale

Appena Un fiume- Tersi

nel  movimento dello scambio

nulla va perso ai piedi,

l'ultima corsa, l'invisibile,

di un seme sulle labbra 

sposo silenzioso della luce

di sillabe custodi di visioni ignare

anche il Nulla è illimitato

nel mistero che si schiude d'infiniti

nomi, colmi di cammino nel sottrarsi

 

Nel sottrarsi della sera

delle Madri

un concilio che sigilla l'occhio

ci somiglia dove tu sei

la mia métà di figlio alta da terra

nello spazio bianco  un giglio


 

 

 

 

*

Ailanthus

S'innalzano fatali
persino negli anfratti
incolpevoli per la verità

                                       per la bellezza
Ailanti numinosi
come giovani anni di pensiero
camminando sullo strapiombo
del chiarore Mai definitivi
mordono polvere ad ogni costo e  sale
negli occhi di ciò che cresce
con gesti albini, rapidi per vicinanza
al nero. Del mondo aprendo
un varco -senza fare buchi raso terra-
dove la bellezza cede
nel paesaggio
                                    si vanno incontro
come in un cerchio hanno il modo
                       per sfiorare [ l'll paradiso]

A cosa rassomigli per odore?
Ti smarrisco nella voce
mentre leggo. Versi  nella stanza 
il volto più fiorito visto mai
carezza
che propaga il tuo sapore
                                          tutto  ritrova
nel cuore della notte. Ammutolita
nel più alto cielo, gli occhi
in pace. Siamo
                                 sulle vette e il viso
la stessa cosa
L'insperato che continua
                              a crescere. Il figlio
lentamente
                                           a superarci

 

 

 

 

 

*

Vestigiali. L’imene intatto delle cose

In una regione lontana dalla scia luminosa della Via lattea

 a nord della coda dell'Idra e del Centauro

 

 

 

giace  Almah

priva di luce e ombra. Vestigiale

ai confini della chioma di Berenice

intuisce l'estate del cuore,carne

il vagare solitario di un abete 

nel deserto di un Anello

Mentre l'Anima divarica. le gambe

fino a sanguinare sull'altare

oltre le poverissime verità

Privo di tratto l'll tacito accadere-

del respiro delle dita immacolate

stelle esplose fino al silenzio attese-

si spacca nel sole di ogni giorno

rosa. dentro Tutto. La rosa impenetrabile

d'amore che non dura al gesto

solo. Ogni mio risveglio, al pari

è senza rami, non la sera 

che mi ricopre i fiori

in solitari compiti fedele

vergine in sua prossimità

come ogni cosa che è nel grembo

del mondo, caduca e immortale

mi apro in esso l'll desiderio

di esserci stata nell'imminente nascita

del prato venivo su con l'erba intatta

come le trentasei vedute del Fujii
nell'orgasmo quotidiano differenti
imparando a morire come ogni cosa
viva. Nell'immanenza felice
di scoprire l'imene intatto 
delle cose. L'assenso incondizionato
sulla vita tanto profondo e irrevocabile
 
Cuore aperto a tutto 
e Cosa sola Unita
Madre  e  Vergine
nell'estasi   Fedele

 

 

 

*

Camminiamo alla fine degli occhi

Non ti posso dimostrare
Non si può dire più di questo
Quando apro gli occhi
[ inadeguati]
É tanto di più.
La mia giornata
comincia con lei -quando si siede
a fianco- giardini azzurri Tu
e un minareto
spegne la voce, più forte
e persistente, come sul finire
gli usignoli, nel canto prega


-Entra nell'erba
Vede l'll piangere
fitto

di lucciole
fino al petto.
Immensa

esce da Lei
È lingua degli angeli-


Noi

incessanti Larici
Già compiuti -corpi-
Di salvezza
In salvezza
camminiamo
alla fine degli occhi
riflessi
nei tratti del volto

si mostra
come una vocazione

la musica insondabile

che non pretende

amore

 

 

*

Nel vuoto aperto: un’anima

Luogo percorribile 

 aperto spazio puro 

 

 

Semplice vita di un amore

che genera bellezza Con fatica 

Con sofferenza irriducibile
ti riposa nel fiore di una mano
una lunga confessione 
come mai altrove accade:
il sacrificio sconfinato
alla più pura possibilità interiore
nel compito silenzioso di accettare 
il suo sentire creature e morte
sul prodigio delle soglie, dentro i segni,
la libertà del tempo
l'assoluto dell'agire incustodito

Ti celebro Esistente
dal nero dello sfondo provvisorio
Ti canto per mostrare lo stupore
attratta nelle cose per potenza
l'intuizione di uno spazio inespugnabile:
sopravanza sorgente Originaria
nel Vuoto Aperto : un'anima

 

*

Se fossimo bambini

Prosegue Confessata

Un'ombra chiara sulla luce 

Scura di bellezza vergine 
E sposa perde il figlio-
L'uomo  ritrovando il  Dio
Non più ti amo. Solo
Posso adorarti. Nei piedi
Abbracciarti. Ancora io
[a]viso scoperto, ti veglierò 
Custodendo l'll velo dove fugge
Un uccello sulla pada del gradino 
Intorno alla fontana 
Dove ti ho incontrato
Se fossimo bambini.
Unavoltapersempre 

 

 

 

 

*

Corpi sottili senza scomparsa

 

Abitacolo dove principia il silenzio

l'ascolto, le cose tornare da te

nel poco di luce dell'auto

del viso sfinito l'impulso la forza

su per gli Dei affiora un sentiero 

la mano una nicchia, dove battevi la vita,

nutrice di un lume nel volto. Quieto di passi 

"Ognuno è l'altro" Mi dici 

"Corpi sottili senza scomparsa

Se dormi sei arrivata,

ma non devi addormentarti. "

 

Si dilegua dal nero tornante la voce

un canto di ore 

mi colpì sulla fronte di ieri, di notte

Mi colpì, lucido e fisso, di tenerezza.

 

Compresi "chi mi aveva" al mattino

chi mi aveva condotta alle scale 

e non volere la fine  Il suo toccare

una perdita, un buco. Di contenere

umidi occhi -chiuse senza durata-

là dove il caldo è nel ventre, dell'altro

nutrizione profonda al creato,

nella fatica di  nominare una lupa - 

ciò che l'attraversa feconda-

nell'atto tutt'uno si perde 

in una Parola, e Sola

 [ insostenibile ]

sulle ginocchia di casa

m'inonda ancora e rimane.

 

 

 

 

 

*

Ti tocco piano Ti riconosco

 

Era la stessa notte, prima  luce

della tua poesia , di un soffio

quando mia madre entrò nel sonno

per morire ancora  E ancora. Ho pianto

ai piedi del mondo. di quest'uomo

al mio risveglio

nello stesso sogno che prosegue

 

ti ho incontrato 

-dove fu semplice morire-

tra le lettere e il vuoto

 

fora per gli occhi la stanza

nell'atto di cogliere il volto

al richiamo del buio incessante

un Sonar Innesca le voci

laddove la fede è protetta

nei segni,

nell'abisso d'amore, la madre

tortura  che pulsa nelle nostre radici

sta ferma

a ricevere luce. guardando

fisso nel cuore del sole 

Suo Figlio

partire. nella parte di me

che Rimane

                 Ti tocco piano nel Vuoto

                                          Originario

Completamente aperto

Nel buio della voce

Nella Maternità di Dio

 

Ti riconosco

l'll segno .. ...

Nel volto delle acque

Che ogni notte lascia

Bagnando lentamente 

L'll sogno 

aspettando che entri

La Felicitá 

*

Poso la gola al cielo

 

Poso la gola al cielo
-Strettoia d'aria. di alimenti-
Indicibile chiusa 
Di tutti i meridiani. sangue
Tra la testa e il petto
L'affidarsi è pace sulla fronte
Sulle labbra il cuore del tuo dito 
La terra porta e il cielo lo ricopre 
il piccolo segno della croce
In luce e caldo
L'osso del frutto ignudo
-l'unico tempo vero-
nella cripta del palato
Dalle vene aperte della preghiera
Il mandorlo
-Gli darò il tuo Nome-
Che più non può tardare
Dove sprofonda il fiore
Il vuoto che si colma 
E lo racchiude ora

*

Alla fontana

 

 


Insonne confronto  nel  suo volto
Prima della conoscenza alla fontana
Perlatura  lattea non raggiungibile
Con nessun altro bianco  che ci adombra 
La piega sotto  il toccare calmo del battista
Un vagito di fragilità apparente
Nel punto più vicino
La verità è un canto
Non sono gli alberi il samsara
La sentirai con un vento nella luce
Madre 
Scia vivente tesa fuori campo
In Fiori
Dal sogno custoditi -Prima attesa-
Dove incrocia la risorgiva quiete

 

 

 

*

Dove non ha più coraggio il buio. Dove non può

A volte ho fretta di andare via. Premura

Per aspettarti al principio della scala

Dove non ha  più coraggio il buio

Dove non può. Mi farei trovare

Nel punto che ogni notte il sogno

Mi concede sulla costa la montagna

Che ti spera. Nudità dell’anima

Sotto il frutteto

Nello splendore trattenuto che combacia

Nell’aria che appena osa respirare

-Appena un fiume-.  Mi raggiungi madre

E sposa, quando ti perdo nel risveglio

Per lasciare spazio al seme

D’intrecciare l’umano col divino

Dentro cui la giornata ancora cade

Prima del sonno. Di una bellezza

Indicibile a noi stessi : una piccola

Costruzione di mattoni bianchi e legna

Per l’inverno.  E’ l’ora che torno via

A sedermi sulla tavola senza pranzo

E batto coi talloni i bordi della sedia

Segnando il tempo che mi manchi

Da quel mare illimitato - sguardo

Di un nativo che dipinge i nostri volti

Che risale l’acqua Che s’annuncia nella pioggia

Con tutti i nomi della Luce : Adam-

Fino al sangue degli occhi la tua sposa

Dema  –tu le chiami lacrime-

A immagine del cielo

Dove non ha più coraggio Il buio

Dove non può

Col viso che s’innalza

Rivolta dalla stessa parte

Mi troverai con Noi

 

 

 

 

*

Nei punti di fessura

Segnandomi nel corpo nella voce

Rechi profumi accesi ai suoni

Passo rapido nel buio gli occhi

Vedono appena il primo tratto

Della pace nei punti di fessura

Si distacca la matassa di Dio

Ritorna in superficie  la donna

Tra il suo volto non ha più paura

*

A dorso bianco

Marca nello sguardo il limite

che ci fa chiari da parte a parte

ogni volta per bere Qualcosa in più

che guardarsi intorno Un passo in più.

 

Si alimentava fresco  come una cripta

il fluttuare della devozione

curvando il capo l’atmosfera

a respirare di sofferenze antichissime

contraccambiando il volto

una figura sola. Qualcosa di centrale

mandata  dalla natura in tocco lieve

contro la luce  – sostanza A dorso bianco

ne usciva improvvisa, per poca vita,segreta

nella veglia  lucida

tornava in silenzio vedente


Buio pesto accucciato al letto fatto di linee,

di lana dai riflessi viola –in prova d’esistenza-  

sostiene il mio pensiero  -Dura così poco

la tua Assenza-  come  mantra ti ripeto

ostinato loop di sete mi divori  Mi guarisce.


Sei  ad un solo passo. Vai per poesie tremante

di paura Innamorata  davanti alla montagna:

-“Rimani col sole alle spalle a soffiare”-

Angelo provvisorio che muove  la mano

che chiamo magia  Nascosta fusione

fin sulla lingua cura il fruscio  

-bevanda pura-

sulla carta a dargli forma  il viaggio

arriverebbe  in cima Come fosse un contatto

che muti, se ogni voce parla,

ci rende gonfi di gioia

Oltre ogni cosa veduta

 

*

Pellicano sui nidi delle allodole

A Ferdinando Battaglia

 Pellicano sui nidi delle allodole

 

 

Messaggero del mattino. prima luce

dell’alba sollevando in canto

il crescere nel cielo e scomparire

fiaccola caduta a sera per risorgere

alla terra.  sei pura immagine

nella Visione aerea spirituale

in pochi istanti a poter volare

notevoli distanze. per estreme verità

l’allodola ti nutre, grano in erba,

nella penombra del solco, cresci

melodia di temperanza, in onore della luce

la  preghiera. Nel mio disegno sei

pellicano sui nidi delle allodole 

incurvate verso il petto. dal tuo fianco

sgorgano acqua segreta e sangue 

incontrati sulla via del Pellegrino 

risalire la sorgente delle acque. 

attraversare il fiume verso l’altra riva. 

discendere a_ mare la corrente.

 

Viaggio  nel celeste. trascinata luce 

-dipinta sulla rupe-

nello spazio magico di rivelazione

il tuo Giardino è un mandala.

Sezione aurea che ancora si compone 

con il grande Tutto

posso passare le  mani nel tuo vaso

sul "graduale” verso che cammina

trasparente, nel fondo del ruah,

acqua che tracima il  segno

sulla croce Difendo con il palmo

la fiammella, come chi va nel buio in alto

e guardo  in cima, nella sera dove vai -

colmando luce tra  le mani il filo

di bisso naturale- nello spazio curvo

fitto di vertebre, aman aman un nido:

negli occhi si fa altare la parola,

un dono che risuona  seminale

che ripete meraviglia nella svolta 

lo scatto della differenza nel respiro

la visione che catturi apre la  porta 

tra il mio pensiero e il canto

voli via 

*

Non fuggire alla porta degli dei

A livello dell’umanità non ti fermare

Afferra il tallone debole del  fratello

L’uomo dalla terra rossa ha il piede gonfio

E tutta la città diviene sterile

 

Alla porta delle anche non ti fermare

alla ferita, al calcio  lotta ! –Cambia il  nome

Uomo- la vocazione che guarisce-

Va a dormire e sogna. Tra l’essere e l’avere

si sale attorno al tempio le curve concave

della colonna sacra  che dai lombi ebbe suo Figlio

 

Non fuggire alla  porta degli dei. Teniamoci

alle clavicole, tralcio tenerissimo prima del cielo

di conoscenza A superare insieme questa porta

-piaga più dolorosa sulla spalla

Dura cervice all’uomo del silenzio, l’ultima vertebra

del limite, dell’Atlantico incollato al dorso

 

Porta dentro tutto dall’inciampo

Il peccato dalla ferita al piede,

tra Babele e Pentecoste le tonsille.

E oltre ancora…c’è il Sublime

*

Alifib aLife

L’avvio della folata è una voce

che annega anche il tempo. l’abbrivo

del pianto in salita ferma i polmoni

una zampa scesa giù nella neve

 Alifib

sepolto nel petto tra le costole e i rami

regge il silenzio -dal mio atrio al suo-

come bende avvolge il domani

-il mistero del viaggio in avanti

il candore di una presenza mai vista

cola e si espande  un respiro speciale

dove la terra veniva su nera

sulle tempie. s’intride di luce

il preludio alla discesa. Finisce qui

il mondo a me conosciuto. Come sott’acqua

il palombaro

nelle corde azzurre sotto la pelle

 dentro un canto a dirotto, improvviso

 "Alifi my larder

 Alifi my larder"

 a credere piano che passa

 che dove fa male carezza

 e cresce  imparando lo sguardo la vista

 -non dalla luce che l’occhio pretende-

 

Seguo le tracce nell’erba dei cervi

dove sdraiano a sera

gli occhi gonfi di chiaro

un giro lento l’incedere

un filo di canto alla gola

Vieni più vicino a vedere

come una donna mandei

si stringe a raccogliere il limo

sul greto del fiume

nell’ansa del ventre

ricostruendo quel nome

la forma del tempo

dove riemerge.  A.Life

 

 

 

 

*

Rivolgiti all’aria

Se mi avessi visto salire 

con il viso alle correnti

-devota- scardinarmi a zero

proteggermi le mani dai rumori

con la testa nascondermi dai luoghi

–senza giudizio- In equilibrio

respirare sul petto della quercia

perché volevo vederti arrivare

come una bestia antica e un figlio addosso

che non arriva a sera. con la lingua

di tutto il mondo -Io e lui – 


Saprai di me, ora, il gesto intimo

le mani e i piedi nel pianto delle cose

impreparate a quell’incontro


Rivolgiti all’aria, alla buona sorte

Stai con Lei. Riempie il suo nome

Il vento. Ricompone la lontananza

L’atto mancato della pelle muove

Il più impenetrabile sorriso

Non abbiamo perso Tutto

se l’anima si piega nel gulag della notte

ed è fatica l’ora di compieta. A restare liberi

con le ali ci innamoriamo

 

*

Mudita Come stai?

Nel silenzio duro brucia

dietro i vetri d'agosto

il buio andare -le tue ciglia

nere - alla promessa 

dove tenerti in vita

 

Ogni singola trafittura copre

la ferocia Ultima dei nervi

di qualcosa che finisce

in mater dolorosa. Succede ancora

-un corpo dal fuoco-

da avere un proprio odore

-etereo- mi mette sulla via

il Risveglio attraverso l'opaco

la trasparenza d'averti chiamata

Sta tutta lì. nel bordo di grano 

(Creatura muta)

Cristallina Dignità di tutto

Il suo abbandono al flusso

come bagnare i fiori  l’acqua

tornava giù da dove ero partita:


c’è spazio.C’è solitudine. Imprevedibile

legame misterioso. Consegna le visioni

attendere niente seduta a sentire

l’attrito. Quello che capita. La voce

che viene immaginata -ho imparato-

So come mi procuro la  sofferenza.

Calmo la tosse con l'orecchio

al suolo. Non soffro più di soffrire


Una pioggia sottile ripete la domanda

" Dov'è chi muore?". Ripeto e spingo

avanti il muso l'esistenza delle ossa

senza lamenti. Oggi


una donna corre sul posto

- Mudita-  è casa. è Tu

e mi comprende l'inafferrabile gioia

di te l'accogliente postura 

del sorriso dove dimori. L'amore 

non finisce. è spazio

-figlio di tutto- Madre

fino al risveglio.

"Come stai?"

 

*

La medaglietta lungo i seni

 

 


Poco sopra l'inizio del sogno

- il luogo non è mai preciso-

cucio monete d'oro tra i capelli e Rilke

contro il fianco, mio netsuke, come un'acqua

che mi nutre Indisturbato

incide la parte più nascosta 

sicuro della sera Fino in fondo

l'abbandono. Il rito orale

tra le mani la collana sale

alla bocca la medaglietta, un cuore

il sottile scolpito di un'ostia

stretta- con che pressione

immensa- tra le labbra divino

labirinto la lingua nell'haiku 

diventa consistenza, insieme

battito sfiorare la saliva riempire

le parole dalla base al ventre

 

muoversi :  23.1.63 fissato per iscritto

lo percorro Parto da lì

Cerchi piccoli Un anno dopo 

l'altro, consumando le parole: Ti Vogliamo

Bene. Minuscole per gli occhi

nel lasciarla andare ( a lume spento)

tra il pudore e l'effondersi del giorno

lungo i seni. 

 

 

 

*

La curva chiara che forma

In atto di Madre

Mi sfami

Quel levare la pelle in tumulto

Togliere la macchia della sera

La pena che contiene

Tra le mille che tentano

La perdita è infinita

 

Forse è solo un gesto dell’aria

Sulla parte più nuda del giorno

La curva chiara che forma

Un margine preteso dalle dita

Nella direzione dello sguardo

Seguirti come un odore

Di muscoli nei punti più alti

Lo spasmo. Lo fai con la pomice

aumentando la veglia

Brivido.breve che attende

La luce

per sognare A colori

 

 

 

 

 

*

A doppio cieco

 

“Tacita vita, aprirsi senza fine,

sete di spazio che non toglie spazio

allo spazio che il cerchio delle cose restringe,

forma  non circoscritta, senza contorni quasi

e solo interna, stranamente tenera

e che da sé fino all’orlo s’illumina:

conosci cosa che somigli a questa?”

R.M.Rilke Da “La coppa di rose”

 

 

Il salto dalla bellezza manifesta

all’ineffabile tremendo del sublime

mi farà  soffrire  di avere in sorte

celle templari come occhi

chiodi luccicanti da usare sognando

nella raccolta delle offerte

guarire  nella parola ed attraverso

la piaga stessa innamorarmi

"per tutta l’eternità, più un giorno”

 

Riaprire il buco - di commiato -

sulla terra in sofferenza

mescolando l’impronta all’orma del fermento

lo sguardo sudato di spavento

sempre a repentaglio Nell’orecchio

non protetto ad ogni vibrazione

apre le gambe l’anima tracima

come a partorire  lascia  entrare

nel corpo della mente -a doppio cieco-

un grido cristiano d’Amore

oltre se stessa

 

 

 

*

Nella stanza dove arrivano i rumori

 

 

 

 

 


in orazione

ricomponi la cavità scalza della solitudine

della conca dei suoni a sera

nella stanza dove arrivano i rumori

nella liberazione del riparo

la gravità dei piedi al cuore orizzontale

si frange nella quotidiana profezia

che conta la vicinanza percorribile

a guadare. i dintorni della verità

-tenendo la corda appesa a un cielo

che singhiozza condiviso sulle labbra

ancora umide di miele- si sciolgono

   mentre schiocca nella bocca

soffre l’aria che esce fino a nascere

in un altro fiato suono primitivo

vergine come i rumori dell’infanzia

il profilo notturno appare e piove

ammorbidendo briciole di pane

secche dalle ore lunghe del giorno

 

Resto lì. e so di essere. chissà dove

 

*

Come aiutare un Fiore

 

Se solo segui con  la mia mano

il fiore puoi sentire gli  stami

sul finire. Per sostenersi in Vita

?*non c’è più niente da fare..*!

 

Domandavi tutto il possibile

Per vivere o morire il miele?


Eri così verde ..da confonderti nel fogliame!

Quando mi hai detto che era l’ora

Di diffondere i tuoi semi, lontana

Dalla pianta madre

Si sono fatti polpa i tuoi occhi neri

Deiscenti.  troppo acerbe le mie mani,

chiuse nel tuo sapore,  per il vento-

valve saldate ancora insieme

per racchiuderti-

 

*Non c’è più niente da fare*

Se solo segui con la mano il fiore

Puoi sentire le gemme lacrimare

Salire le preghiere per la via

degli opposti Angeli Regale

a ritornare a casa, senza spada

 

Così il doppio nascondersi di Dio

Incrollabile, Rimane. come Corona

la Sua voce ha condotto lontano

il disegno le mani quel fiore

goccia a goccia la fede

da chokhmà a malkhut

nei campi di Luce i semi. nel grembo

miele -tua morfina-

fino a toccare con la cima il cielo

l'amore

come aiutare un fiore

a morire. Nelle mie mani

Madre.

 

http://www.youtube.com/watch?v=UKRFbLkCeug

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Fiori di Felce

 

 

Si nasconde più veloce

 

dei nostri passi a  domandare

 

il desiderio  perde colore dagli occhi

 

mentre con le mani avvinghiamo l'aria

 

i sibili tra i fiori della felce 

 

fanno chioma in cielo

 

a notte piena

 

c'è un Acqua grande sulla terra

 

dove cresce Altro sangue

 

- più delle parole- esonda

 

un siero cede in cima alla collina

 

- le cose viste prima-

 

fino al tuo balcone

 

pianta nuda

 

di questo stare.Carne

 

 

 

E se alzi gli occhi lá 

 

Dove pensavi di trovare il buio

 

Siamo Noi Soli

 

Per un attimo appena

 

Fiori di felce

 

In caduta dal cielo

 

Petali rossi tra le parole

 

Invisibili

 

 

*

Naima

 

 

 

Essenza rara nominare l'incantesimo

 -Il niente tra l'ombra di una mano 

 lo stormo dentro gli occhi di una runa-

 per incontrare un altro cuore il buio

 fuggito nel midollo della notte

 

 Indifesa davanti allo stupore

 Sorrido. non mi vedi lacrimare

 É  un refolo nel petto che t'avverte

 un battito sospeso tra i colori

 

C'è un passo che lento gli somiglia

come un odore solo senza corpo

incede il suono, s'inchina. dentro brilla  

nell'involucro di creta a terra. Prega

il Nome che avanza vicinissimo

a dove ritrovarti si rivela

così potente da partorire luce

un'ombra 

in una lingua segreta ad ogni altra

sotto la superficie della forma

per tornare all'Anima e svanire

Assai più grande 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Apparente d’acqua

Il  tempo  si è fermato al fianco

di una luce ripiegata contro il seno

Incontrarla è subire l’irradiarsi

della forza creativa naturale

 

Viene voglia di toccarla

da ogni prospettiva

tendere la mano, come fosse una scultura,

in cerca di dimora. l’angolo su cui cade

 l’ombra dal silenzio che si forma

apparente d’acqua m’innamora

*

Sulle montagne ho dipinto un vascello

La visione coincide di cecità i volti

un tuo gesto le bestie,  il limonio

confonde ciò che accade giù in barena

con ciò che potrebbe accadere

se ci affondi dentro le dita

puoi sentire il sogno fermo sugli occhi

cancellare l’idea  tra la tela e i colori:

 

sulle montagne ho dipinto un vascello

 

col calore, per aprire i polmoni

dilatando le narici  alla tana, l’esatto nome

più prossimo più estremo dello sguardo

durante un tremendo temporale

-l’avrei ucciso portandolo per mare-

Cresceranno ortiche a celare le vanesse

in postille. lavacri come un’offerta

 

 

 

 

 

*

Quasi non accadesse altro

*Per il dono di domani


Ti ho regalato sempre cose

Da possedere.

Come quel tronco così grande

dove lo scalpello girava forte

a scavare fino in fondo,contenere ghirlande

brillanti. grovigli di sorrisi il tuo stupore

quando ti voltavi all’albero

e non erano viole del pensiero!

 

Ho imparato a fare lontano  un suono

non sobbalzare al tremito delle mani,

a partire dai bordi della ciotola, vibrare

per un viaggio lungo, poco a poco

dove s’incurva,  oltre i muri, per le strade

udirlo fino al fiume e ancora. Nel profondo

mi sono preparata a sparire dalle stanze

risalire l’aria,  gli alberi, con le punte

della dita sopra l’acqua lentamente

dentro il palmo verso il buio che trascina

l’eco nella luce levigata : per il dono di domani

ho imparato a fiorire come felce

negli occhi crescere il segreto:

invisibile cosa s’innalza in suono

 

-strada fra tutte-

si propaga come una preghiera

l’eco Tuo senza voce canta

del figlio fatto della mia sostanza

che la notte mi stringe mentre dormo

le mani inconsapevoli di mamma


Un’immagine si volta e vive

Quasi non accadesse altro.

Solo così sappiamo Noi

del dono di domani

 

*

Quel filo di bisso in Battaglia

 

 


                                                               a Ferdinando Battaglia


 


 


C'é un sangue tenuto stretto 


nelle vene piene d'aria


dove si assesta il silenzio


trova corpo. morbida la resina


cola giù dal sogno tra le cose


si serve della luce il tentativo


- filo di bisso tra il cielo e il mare-


sul fondale tagliando la seta


mette a dimora l'animale


il Giuramento  dell'acqua Tua


il tuo fuso di oleandro Puro


Nell'ascolto cristallino si fa altare


la Parola


lumini accesi le dita delle mani
 
coincidono con il battere sul seno 
 
a fare latte. 

è transumanza di respiri leggerti 

Ferdinando

una ricerca naturale al cibo

tra rifugi sparsi  per i monti

alpeggio la lunghissima "teoria" 

di passi, di sensi in branco 

guidati dal suono largo l’eco, 

su indicibili distanze, sopra i corpi 

massicci degli appennini : un dono

piantato nel sangue che risuona

da qualche parte potente di luce

 " Ogni  piccolo filo d'orizzonte

si ritrae, si ripete la meraviglia

che serve alla cecità 

per estinguere il suo pianto"

 - Ninnj Di Stefano Busà-

 

*

un vento bianco


Alberto Masoero- Sizigie- Studi cosmici 1989 


 

Al ritmo delle sizigie 

le tue epifanie - cuore

che impara l'occultazione-

in una sole luce retta

ripetendo il miracolo

della congiunzione il filo

che tiene i vivi e i morti

insieme - un vento bianco-

 

purezza inscritta nel sale 

l'impronta delle  mani nuda 

interrompe la distanza intera 

sulle cose. ti sentirò tremare

nel limpido splendore della carne

umida come un frutto teso

alla vigilia della pioggia  bere

 

Aperte sulle mie colline dilatate

oscillano selvatiche le braccia

nel blu carsico della tempesta estrema

resta la fondazione dell'ecchimosi

serena nel penetrato sogno, scalza

sul tuo sterno, danzo

come fossimo una genesi

Cerchio Cardinale. Aleph 

 

 

*

Agganci di fase,acrobati

Sincroni del volto. forme vive 

talmente somiglianti

da un capo all'altro

l'offerta delle mani

non è che un istante

nel chiarore della comPrensione

 

aggancio dell'amore  trattenuto

s'accoppia e sale per trovare luce

combaciando i pioli al sogno

ingenui di cadute. i nostri occhi

levati in volo con lo stesso nome

in bilico nell'aria senza voce

 

        s(c)i.amano

rivolti verso l'll cielo

         acrobati

piegano l'erba  bagnata

        in lacrime 

       scintillando

 germogli nella danza

    fermi a rimirare

il mistero che si schiude

 

 

 

*

Una costola, di là della montagna

Viene sempre avanti una fiaba

dal buio che ci consuma

una sola goccia nel cavo della mano

diviene forza nel profumo del deserto

le pareti scendono come foglie

liberi i grandi alberi camminano.


Nella terra dell'Iman nascosto non so morire-

negare il confine dell'invisibile

il dove di tutte le cose-

è un mondo di corpi sottili l'ottavo clima,

-na-koja-abad-

lo spazio che si fa vicino del tuo fiato

accorcia il desiderio. di là della montagna

è conservata una ciotola di terra cruda


-una costola-

l'interno si fa involucro

quando gli uomini muoiono

è là che si risvegliano, a casa.

-Sei arrivata quando dormi

ma non devi addormentarti-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Doina

Sfida i sentimenti, preme verso

la parola, nella parola tende

l'assoluto naturale d'armonia-

senza niente in mezzo-scavalcando

il destino della festa, la preghiera:

malinconica doina. è un gesto vivo

esporre il lutto dove mi siedo e scrivo

atto d'essere capace di sussistere

dopo la sua scomparsa nelle ossa

Una piccola porzione di pace.

La più antica. Fulcro della Madre

 

*

Pianissimo per non svegliarla

"E lo sognavo, e lo sogno,
e lo sognerò ancora, una volta o l’altra,
e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà,
e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno.

 Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo

un’onda dietro l’altra si frange sulla riva,
e sull'onda la stella, e l’uomo, e l’uccello,
e il reale, e i sogni, e la morte: un’onda dietro l’altra."

                                                                                                                                                            - Tarkovskij -

 

 

Si elide lentamente

nelle forme cicliche del rito

l'ansia che sa il termine di tutto

battendo di un solo passo l'uomo

-mundus  imaginalis

lieve parete - al volto tuo

con quali occhi e mani

posso avvicinarmi

-lama gemella  di bellezza-?

 

Faccia a terra con le parole. lotto 

aspettando entri. la felicità

pietra luminosa che si muove ancora

nel giordano infinito. sotto la neve

fruga il pane tra gli steli

il nome (è) sveglio si posa sulla sera

lei sogna riversa vita

in completa nudità, dimentica

di una ferita polare senza cura,
correndo dentro tutto il corpo
poco e molto insieme. Pianissimo
per non svegliarla
dagli occhi esce la foglia 
si leva l'ascolto dalle mani
schiusa
verso terre di quiete
dove perfino il buio
ha spento il buio,
colando ai piedi luce

 

 

 

*

Shofar

Respiro la formula del sangue,

prime vocali senza congedo, 

come  toccare gli alberi un cieco

la corteccia  a sentire luce

Lui canta all'indietro

Il colore della Voce

di là della volontà 

seduce,

ponte all'invisibile fissarlo,

ripeterlo.


Aprendo l'aria

ti accolgo

ininterrotta

nel  moto d'animale

intonazione

flesse corde prima del segnale

cantillazione

- una sola voce-

vaga sull'immagine

cercando un luogo

come la superficie il suono

dappertutto

-vocale muta-

ho scelto l'odore

dove finiva il canto

arrivando "da lontano"

le mani giunte

invito per le labbra

un trillo

tra due tekiah

e trenta  suoni

al timbroblu

immortale

 

 

 

*

La svolta del respiro

Permanenza ignota

nello spazio curvo - la svolta

del respiro-

finisco per amarti

senza avere  iniziato mai 

a saperti

spartisco l'urgenza

con mitezza

a costruire  piccole preghiere 

 

Voce frantumata

Originaria lallazione

Strumento Unico

che non sta in mano

dentro il fondo si posa

l'inizio. risale

dove sigillo

la primavera ci tace

- da come accoglie -

per speranza indicibile

come giurando

il suo futuro. prima di Noi

e dell'Eterno

*

Come un salice cieco

Nove mesi. Ancora

mi prende su

ogni sera come i cuccioli

al collo. mi immobilizza

raccolta. Si muove

come un salice cieco

fa buchi di luce alla stanza

mentre attutisce il sonno

prepara una nascita

nell'ora che più pesa

sulla terra

posando le impronte

feconde

per la notte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Così le toccò le vertebre..aman aman

Vibrava nell'aria

a un tempo soffriva

come mantra si diffondeva

e le ghiande toccavano terra

leggere

gli occhi pieni di spazi

fuori le mura


Si sono visti alla fonte

-così le toccò le vertebre

aman aman-

senza un filo di vento

tra i fiati

e pelle d'uovo i fiori

di jacaranda alla finestre

salivano come una canzone

a quel punto del mondo

che sobbalza una parola

che fa scappare lo star male

capace di colpire la notte

un nido negli occhi

a manciate di luce

 

 

 

 

*

Nella luce dritta la Tua voce

Lo scalpiccio di zoccoli

come un sestante al risveglio

che sa dove ti trovi nel caos

Ventisei respiri al minuto

l’infinito stretto in un poco-

 
in un niente
 
hai superato la memoria
dilatando ciglia
percorso una parabola
scambiando sopravvivenze
nel nodo alla gola
ti ho riconosciuta
dentro quel pozzo di calore
con le gambe a penzoloni
intrisa di luce
tre volte nata
prima d’iniziare il giorno
con un altro cuore
 
Nuda- in presenza di me stessa
nella luce dritta la Tua voce
scendeva la montagna
cercando una preghiera
da parte a parte l’io
 
nel corpo (al corpo) assomigliavi a tutto
tra il centro della mente
e il tempo che mancava
a quello spazio
nella luce addolorata
mi sei venuta incontro
nell’angolo di sete
colmando l’illusione
che morire è generare un atto magico
un voto di conoscenza
che ci attende
 
nell’ora inesistente
nel viso più nascosto
siam per mano
dove la parola viene a dirci
che Ritorna
e Forza antica
-la donna che hai nel volto-
se ci passi sopra le dita
 la notte Rimane
 
 

 

 

 

 

*

Sub rosa

Un’ombra

Un ordine del cielo

Verso la Matrice. Taceva

Vinto ogni altro

legame. Danzò

gridando di dolore

 

Verrà il primo giorno

degli Azzimi

quindicesimo di Nisan

nell’anima

di chi possiede la Grazia

quiescente al centro un Sole bianco

di maggio, d’incontri, di conciliazione

Liberando il sottile dallo spesso

Soffiando dove vuole- divino


suono primigenio Tu

che scuoti

seguendo l’acqua, i petali

penetrando le montagne

nel quinto plenilunio tra le mani

dilatando delle cose l’espansione


Dio! Solleva anche la mia testa

Il battito complice

che annulla il peso

affidami ..

la sua voce, lieve

nella Pasqua delle Rose

 

 

*

Come polmoni nati in Tibet

 La speranza durava intatta ventiquattr’ore.

Tutti avevano ventiquattr’ore.(..)  

I cumuli di neve ammassati dal vento

prendevano forma di corpi rannicchiati,

e una folata che sibilava sopra una sporgenza rocciosa

pareva un debole grido di aiuto.

Oppure,  in quegli  improvvisi,

attutiti silenzi che a volte calano in montagna,

quando il vento muore e resta sospeso in una quiete cristallina,

capitava che qualcuno sentisse il pulsare delle proprie vene

e lo scambiasse per il battito del cuore di un altro.

(Da: Il suo vero nome – C. D’Ambrosio)

 

 


Ho udito il suono nel midollo

Un bagliore solo

Vocali di luce, alte, vive

staccarsi senz’aria dalla roccia

come polmoni nati in Tibet

l'amore

con abile torsione

dappertutto s’annidava,

prima del volto e l’erba alta alle ginocchia,

sei diventato grande

 

Di irremovibile bellezza

nascosta aurora - il desiderio di una donna -

là, sull’albero,  sfiorava l’Altro canto

tenuto nell’azzurro, in abbandono

per la dolcezza che  trattiene

in fondo al petto

come avvicinarsi il più possibile

e sprofondare le tue mani una carezza

che nessuno può penetrare in altro modo

la presenza immaginata ai nostri occhi.

 

Questa è l’unica cosa che posso dire

della sua Poesia : mi tocca per immagini

levando lo sguardo -appena oltre

i passi - nello spazio delle ore

necessarie a respirare

alla neve che saliva poi  si apriva

spostandosi nel cielo

quando  batteva  il cuore sul torace

negli strati più soffici di neve

in quel silenzio

al centro, viva.

 

*

Chiarissima Visione Impura

Batti l'acqua col bastone

-attrazione dolente-

Mi rivolgo lá 

dove cadono i rumori

senza trovare voce

Chiarissima Visione Impura

Scelta docile ad una vocazione:

camminare scalza sulla sete

in ogni arrivo  che risale col mattino

dagli occhi scende il desiderio

segretamente geme

la mia forza

s'immischia con l'inchiostro

un dolore che non vedi

*

Danzerà sui mari la tua brace

 

 

 

 

 Non posso darti al mare

Madre

-prigioniera dell’amore

sono ancora occhi le tue viti

la mia famiglia

l'odore dell'incenso

 

 

 

 

Da quell'onda mi hai respirato

nella bocca, in salvo

per le braccia giovani

sfinite

nello spasimo mortale


mi fa male mia madre

in tutto il corpo

nella pancia troppa voce

tiene insieme

le cose che ci hanno fatte

in due


Ti ho scavato una vista piccola

su Cipro

nell'avamposto sulla libreria

E la promessa ..

di farti libera

dal rame

 

Viene buio presto

anche nei giorni lunghi

ogni mattina trovo neve da spalare

La fatica si fa droga

a muovere i minuti

sbatte la luce

di là dell'amore


a volte resto in casa

ad imbiancare -quaresima

dove mi perdoni- in una rosa

infin,di vita,  sta

l'eternità

di un'ancella luminosa

Obbedirò.

in quell'ora dove finire

è espandersi

dove non arriva l'll suono

oltre la grazia  Ti lascerò andare-

le tue ceneri

per quello stesso mare

 la tua pace

nel compimento

di tutti i lamenti Libera

d'aria benedetta

legata alla montagna

 

Danzerà  sui mari  

                                                                                                                                                la tua brace

                                                                                                                                                  nel bosco

 

 

 

*

e lo fai con la luce

 

 

Ti sposti

nell'avvicinamento del mancarsi

del raggiungersi

nella sera che va colmandosi di luce

ho visto l'acqua che tracima

farsi l'll segno della croce

inginocchiandosi

nell'erba delle insenature

respirare con ogni ramo

per entrare

nella navata di chiarore

con tutto il corpo

come una candela, guardo in cima 

difendendo  con il  palmo la fiammella


come chi va nel buio in alto

chiama le cose chiare sulla fronte           

consumandosi  il respiro

-figlia del monte-


impregnata di questi valichi

d'appennino-  e di te

che misuri la mia terra

come un cervo

e lo fai con la luce

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      

 

*

Sconfitto da una rosa

hai sfiorato il mio vestito

             lieve

che potere ha la fragilità!

 

      dici di non vedere

pure hai occhi che nessuno

        può scordare

 

in una notte bianca sapevo

        ti avrei sognato

    cuore senza immagine

 

     parlava la montagna-

                perle

         le nostre iridi

 

mute. testimoni emozionate

               dolomiti

    entrate in una sola ostrica

 

dev'esser questa la prima volta

     che ti ho visto arrivare

           in quella mano

 

           "dove entrava

                perfetto

            il mio cuore"

 

     Lo spazio vince il tempo

       sconfitto da una rosa

               di poesie

   battezzandoci  lo smentisce

        capace di salvezza

 

*

L’Ararat finisce con l’aurora

Notturni crudeli battono chiodi alla  croce

-oscilla su di un carro di neve, poi ancora

alle pareti - di buio trattengo l'aria,

le parole sulla lingua si tuffano nell'acqua

dove niente di umano può vivere a lungo

una colpa.  Nuoto in altri occhi,altre mani

accendono il canto invisibili

di cristallino dolore. la montagna trema da sotto,

pure è senza tormento. L' Ararat finisce

con l'Aurora e ricomincio a dimenticare

la notte lungo l'll viso inquieto di minuti

quando claudica il silenzio limpido  di voci 

-quasi cieca al giorno l'urna, che accoglie

un'altra notte, uscita dal  fiume brucia

*

A toccarci non si torna senz’amore

 

 

Vado dagli alberi come fossero persone

C'è al boscovecchio un cipresso chiuso in se

come un bimbo nell' armadio pieno d'anima

luminoso come un iceberg nero

Lo chiamo rainer.


Nasconde le braccia come non avesse rami

-a non essere toccata la corteccia-

fin dov’è sereno.

Voleva essere una rosa

intangibile

 

Dal respiro ogni giorno più profondo

mi avvicino

fino a scomparire con le mani

nella cavità  del suo pulsare. metto un seme

nel tempio la mia carne per i suoi mille occhi

poi mi offro con le braccia a fare i rami.

A toccarci  non si torna senz'amore

 

E Tu eri gonfio d'acqua - Rainer -

quando lacrimavo.  c'era nascita,

uno nell'altro, con la vibrazione

inclinato nel piacere ti ho sentito. Uscire

Respirare. Aperta rosa

l'll resto di ogni ora

 

Di grandezze molto piccole

sono i tuoi abbracci illimitati

Di quale amore la durata !

 

 

(Rainer è un bambinissimo,

fra i tanti  rari, un cipresso nella rosa

Sta imparando ad abbracciare,

a farsi cogliere

stringendoti con  centomille  braccia ,

a passi piccolissimi ma infiniti d’occhi)

 

 

 

*

Dominante chiara

 

La puoi decidere anche così

la direzione da prendere :

"per i girasoli che ti guardano in faccia" 

Ciò che li spalanca ci apre

affondando il colore nella bocca

l'origine rivolta della sorte

come le instillasse un canto

 

Nessuno può sapere

a quale oscurità d'amore

giunga la tenerezza in viso

che dissolve ai piedi  l'ombra

mentre la luce ardendo

batte in pieno ai fianchi.

 

Così credo di seguire la tua voce

e raggiunta dalla notte quotidiana

trattenerla ..

negli gli occhi che si oscurano

dominante chiara

 

 

 

 

*

Viola de fado

 

Melodia del fado. Pausa e dolore
dalle caviglie al cielo
vogliono luce
all'indietro
l'amore inondato di sole
nella stanza svanita d'arrocco -
un punto d'appoggio qualunque
e sollevano l'll mondo

la voglia di ricominciare

a chiedere quanto dura l'll dolore :

 

- correvo sull'erba luisa, cercando dove finiva la pioggia
nelle mani due pietre
a segnare la notte
quando resta fuori dal giorno-


All'ora esatta torna a casa la maternità

le trine negli occhi.il Malte di Rilke

Maman

( Un credito di fiducia la billy cook, i finimenti in cordura

i ferri che tagliavano il gelo al granito )

 

Niente si dichiara pronto a mostrarsi

quando giro in orario le dita sul bordo di rame

l'll suono nascosto arriva dalla finestra
aperta, come se piove
da molto lontano,
di qualcuno l'odore che si avvicina
e mi parla. Di mia madre sono inzuppata,
del suo ballo
di viola de fado, dalla montagna,
quando cantava la melodia del destino,

attorno la casa  rimane

 

 

 

 

 

 

*

Levando lo sguardo

circola il silenzio

posa haiku tra le parole

la sensazione

è il solo mezzo d'espressione

vuoto

da renderlo equivalente

all'evento :

dicono che noi Siamo con gli occhi

crocevia della bocca.

levando lo sguardo

ch'io sia

 

*

non-finito

Spietato come un colibrì

dissangua in luce nuda

tanto rapido difende

-all'infinito battito

d'ali- in battaglia l'amore


erranza claudicante

perfetta al fiore. immobile

di petto vola nel dolore

nella nostra bocca. stretta

a riplasmare  impronte con la cera


buco di luce che t'investe

e dona, nello scarto,

la prossimità

il contatto "non-finito"

come dell'Artabano a Dio.

 

*

Mani negative

 

 

 

l'ombra è di ferro.  non hanno braccia

nel vuoto originario le mani negative

-ampiezza immensa-

completamente aperte di colore

impregnate oltre la pietra spruzzate

dalla cripta della bocca, di morsi mutilate

nel buio più profondo.trentamila anni fa

urlavi di granito  quelle mani .

sondavi un limite

nella grotta dei cervi- ho proteso la mano

alle mani  una gola che beve

perchè in loro c'era tanto amore

- parola che scoppia tutte le altre -

in grani di nero prendevi  qualcosa

qualcos'altro lasciavo di più umano

della superficie esposta alla luce

un rosso. per inabissarlo in Dio

odora di bianco la macchia nel cielo

le mani

 

 

*

Un luogo d’aria

Nello stipite depongo il bacio,a sera,

lungo i fianchi della porta che non trema,

la tocco piano,bianca,poi la tengo

come entrare nel suo sonno ovunque sia

un luogo d'aria aperto di quel Nulla

 

rotola come stoffa nella pancia

il suono della ciotola d'amina

finchè sparisce in profondità

dove il mattino si contrae 

appena sceso dalle scale,unanime

 

*

Ci sei nei boschi

                                                                                                                                     A Silvana

 

 

Otto mesi.nel numero la promessa                                                                    

in quel più dell'infinito ti ho

immaginato: bimba -vedi, anche la morte

ha avuto fine- Come stasera-

quando rompevo il fiato su per "gli Dei"

trascinando gli occhi contro le salite

e l'urto tra le spalle del suo lascito,

lieve, dondolava cenere come sangue

poi si appoggiava come un marchio,

a colpi un soffio.tremante. Una Voce

dal paradiso delle voci  un'anima

inghiottita di tenerezza nel ricominciare

-Ci sei nei boschi-

sensibili alle fiamme. Mia madre

è là, dentro.poi a casa.

 

(E non la vedo scomparire)

 

 

 

 

 

 

*

L’urgenza della luce

Con la vita tenuta tra due mani

comincio ad assorbire la notte

a capo chino celebrare il buio

gli acuti degli uccelli ai salmi

 

Ognuno è l'altro -dici- la disperazione

non esiste. Per vuotare le tenebre

tu parli . e da qui  non posso rispondere

 

soffia bianco dove scendi.-mi raggiunge

ciò che sei, a nudo, voce che inseguo.

La fine del respiro che ti esce

dal petto lascia salire leggero

 

un sangue limpido come la luce

urgente intorno al collo preme

la dolcezza più dolorosa  di ogni parto.

*

Carne del cuore

                                                                                                                                                                                                                                                     

 

Le parole esatte si devono immaginare

Lui parlava. Lei ascoltava

pelle sottile di canto,carne del cuore

Poi si era interrotto

dove l'abete bianco giungeva in alto.

la realtà non è sufficiente a dire

cosa ci scava sotto e la determina-

quando anche gli alberi camminano

inquieti come gli animali

come  uomini

in cerca di armonia-

per farla diventare trasparente.

 

 

 

 

 

*

Nel privilegio del bianco

Un abisso apre le porte tra memoria e cielo

parole nascoste tra le mani -fratelli-

tutto il candore in Uno, stesso ligneo

alla foce del respiro,dove premeva

silenzio dal nome  operoso in preghiera.


Una  scatola, come fosse un sentiero,

stava tra loro, sola, nel privilegio del bianco,

come un'attesa .. ...

 

*

La dispersione delle parole

 

 

Si disperdono le parole

dove sono venuta.Splendi

fotografo cieco

sino al mistero elusivo


Quale magia possiedi? 

O ti fa male l'ombra

-che credo riparo-

l'occhio identico 

che ti guarda dentro?


Riflettono le sue mani

in esilio

la mia voce

*

Un cuore uscito fuori solo

Come un crinale

dal petto dilatato in canto

dove Dio si china in ombra

la pieve mi raccoglie, mia regina,

mia sacerdotessa mi solleva

col suo raggio troppo breve

questo sole -

che nell'anima trattengo

per l'll buio che rimane -

nella resurrezione

 

sonorità famigliari

morsura animi

nel piombo di parole incerte

disfatte l'una con l'altra dalla neve

liberate nel caos collimano

scivolando nello stesso passo

a flusso di vita si distende

il verde di rilanci come mani

e nell'orecchio interno una donna  corre

al monologo di primavera

senza fiato :

 

sollevate le maniche - a braccia nude -

sui  polsi l'aria mi bagnava

del suo alito spietato

soffiando l'inverno dalla fronte

un cuore uscito fuori solo.

*

Dove prendesti il sole

Migrano da lontano

le figlie dell'autunno

ritornano come nessuno

 

A quali estremi non siamo andati

fra mille altri passi di figli già accaduti

contratti nelle pause  nelle attese scavati


come occhi che vedono troppo

sotto una terra che non permette

piano piano comincia il dolore

si ammala qualcosa che non ci appartiene

 

Nell'ostinazione della primavera

l'indizio numinoso che distingue

il respiro dalla calligrafia :


Partire ricordando

-come la luce i minatori

come l'unica ipotesi che resta-

dove prendesti l'll sole

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Come la magia del Festspielhaus

Non posso vedere il respiro sepolto in cielo

Se l'll mondo è  andato via

c'è sempre la possibilità di salvare chi_ami

l'll nome verso il bosco come fosse ancora qui

 

Pelle profonda portata tra le mani
nel caldo del sonno
-come una farfalla addormentata potesse vivere per sempre-
grembo vivo inserito dove manchi,in un albero
preservo nel  colore la tua luce, dove l'acqua è promessa
 
Pensala mentre  sale ! - mi dico - vieni a vedere, Amina..
sta bene presa dalla sera
come un bambino che si copre la faccia
mentre avanza e mi precede. nelle parole_casa
 
si  espande il più piccolo dei miracoli
come la magia del Festspielhaus :
Minareti oscillanti. nella cecità
s'impregna nelle orecchie il suono
fa unica la fuga : come un flamingo scarlatto
 
di stupenda evidenza è così accanto
da rendere insopportabile  tutta la distanza solo agli occhi
distinta come una lacrima che sta per lasciarli
sul pavimento,cammina ancora là,
come musica,dove a sostenermi è il buio

*

Nel Silenzio di Ninive

"Gli uomini hanno perduto un volto, un volto irrecuperabile e tutti vorrebbero
essere quel pellegrino (...) che a Roma vede il sudario della Veronica e mormora
con fede: Gesù Cristo, Dio mio, Dio vero, così era dunque la tua faccia? (...)
Abbiamo perduto quei lineamenti come si può perdere un numero magico, fatto di
cifre abituali, come si perde per sempre un'immagine nel caleidoscopio. Possiamo
scorgerli e non riconoscerli".( Jorge L. Borges ) 

 

                                                                                                                                                  

                                                                                                                                                         

Crocifissione Bianca- M.Chagall

 

Pedra viva petra unta
dal labirinto
dalla coscienza del limite,
nella in.certezza che cresce

sul dolore infinito,
irriducibile: la sfida
dell'esistenza

di Dio

l'll morso
sulle frontiere scosse da un vento
che prende d'infilata la vita
"una brace,un pungolo,un tormento costante"
 
Nel silenzio,

Che non deride il dubbio,

Una Voce chiede di essere

"Riconosciuta" in preghiera

mentre cammina dentro Ninive.

e Resta. Crocifissione Bianca
dove la fedeltà è sempre

un cambiamento

*

Su un foglio a quadretti

 

 

Porta di aurore.Pelle che cresce

Sei tutti i corpi.Carne che trema

dove gli archi incontrano una voce umana

 

la persuasione in un pugno

sonora e cava come il bambù

a volare dondola il diaframma lieve

su un foglio a quadretti

parte dal basso, dalla tua mano,

stringe dove si sosta. Respiro quotidiano

il peso della grazia ci prende nel petto

deposita un uovo congiunge

nel sollievo la sorte

ripete il suo centro moltiplica

nei colpi di vuoto l'orientamento

lavoro di volontà l'esercizio tra gli occhi

e le tempie. Tremenda felicità

ancora trema.  tra il foglio e la luce

suo controcanto il tuono

si fa massima forma

nelle orecchie dei cervi

dove il fermarsi è correre

ancora di più

 

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=imYnZtIuIng

*

Dorothea Roschmann batte in picchiata ai vetri

 

 

 

La parola nell'occhio grida

una dolcezza assorta

nell'ombra della guida

incombe solo la natura

su per i "tornanti" della sera

il ciglio della strada è insufficiente

per difesa,ancoraggio inerme

la salita degli dei

 

Si stringe a madia la pieve, in fa minore

sostanza elementale di soprano

la vera casa è il viaggio,di contralto

in stabat mater dolorosa

gli archi, juxta crucem lacrimosa

dum pendébat Filius

il basso continuo, lentamente piango, in Pergolesi

come imparare a crescere la transumanza:

un lume ad olio gli occhi restano in asse

lungo il movimento del mare grosso

tutto intorno

s'incurva di lineamenti nitidi mia madre

 

Ho paura. E canto

ai piedi del cervello

dove nessuno può vedermi

altro dai cipressi

-che non hanno braccia-

 

Dorothea  Roschmann batte in picchiata ai vetri

quando gli angeli a bocca chiusa 

fanno le comete

-senza saperlo

mi ritrovo a casa.

 

Eia, Mater, fons amoris...

domani staccherò l'alianto

dai muri

il futuro arriva come un gatto

*

Anche se da lì non vedi fuori

Pilastro senza inizio di una fine

il fuoco del lingam, Linga Purana..

 

 

C'era legna sulle nostre schiene la gola blu del toro

quando viaggiavamo da Gongotri a Gomukh

per la via liquida di  speranza fino al Ganga

nei tre cieli, giù fino alla baia di Bengal

alle foreste di cedri abbiamo messo il vaso

acqua e rose alla fine della neve, sul  campo

a benedire le sementi nello stesso punto

sotto al cuore,quando ci siamo allontanati

 

ho seguito le linee della mano

alle pendici delle Ande

c'è un riparo nuovo, una terra incognita:

Yasunì

Apri anche tu la mano.  Vieni !

faremo sapone dalle bacche masticheremo foglie

con il cuore fino ai reni giocheremo alla rayuela

con le rane più piccole del mondo e i tapiri

alti come cavalli. Tocca ! sanno di limone le formiche

e le scimmie fanno lana ...ma più di tutto c'è una cosa

che voglio dirti -come a finire un lutto- :

-C'è che a Yasunì gli alberi camminano...

tirando su  le radici come braccia

seguono la luce per otto metri al giorno

Possiamo andare con loro,Dost,staremo bene

all'infinito, i nostri dolori li mangeranno i funghi

a pasti brevi-


Anche se da lì non vedi fuori

c'è un riparo nuovo a Yasunì

sulle nostre dita

-amputate- cresceranno come nidi  braccia nuove

e l'amore impiglierà nei rami

a piangere di gioia dove vuole

*

Una seconda vista

Hanno un secondo silenzio le parole

un risarcimento. Placando la sete

bevevo succo di melone tsamma

-di qui è passato uno sciacallo,

la femmina di scorpione penetra l'impronta

prima della mezzanotte-

 

Si trattengono le ginocchia nella gola

gli occhi scaleni nelle orecchie

pronte a colpire l'argento delle orate

che risalgono la corrente affiorando

nel cielo saturo di luce

da credersi uccelli picchiavamo con forza

l'acqua del fiume a rovesciarle

nelle nostre mani tutte intere,

suono-tatto-corpo, il tempo della custodia :

una seconda vista -impossibile e vera -

imparando quello che la terra ci suggeriva

tradotto dal silenzio

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Respira anche se non te ne accorgi

Schiaccio gli occhi intrecciati in otto fili d'oro

seguendo il ritmo delle stagioni affondo l'iride

nelle uova sigillate in cera d'api.

Leggo gli uccelli nel vento: so che sta per piangere.


Non cambierà mai, come il canto del tucano

Ti evoco. Vedo con i tuoi occhi

dove torna l'll sogno il colore ancora  cade

sul balcone- Respira, anche se non te ne accorgi-

come stare immobile nelle acque basse

mostrando la  ferita  della rosa berbera la spina dorsale


Me l'aveva fatta Lei mentre dormivo, la notte di Natale

incidendo la spina al fianco in una sola linea, 

lunga , sottile fino al polso, nel palmo trasparente

i petali  volti a sera nel loro agire intorno al centro

lisci di silenzio come un aquilotto incappucciato


Seduto nella stanza accanto un albero cresceva

carico di cieli , suonando col piede di un bambino

stringevo nel pugno il suo respiro  vergine

il ritmo che  pulsava il nostro sangue

si faceva indistinguibile

stabilendo la fiducia a volare via dal braccio,

a far ritorno, mescolandoci - mai definitivi.


Al risveglio ho preso l'aria che nasce tra la rosa

a far sciogliere la neve il tempo che riposa al fianco

-potente profumo il sentiero del dramma

quando tutto schiarisce intorno-

incessante nel vuoto saprò danzarti

restituendo la Tua presenza e molto più del segno

 

*

Mentre porto gli animali a bere

“Poi un bambino si tiene aggrappato a un magnifico uccello color dell'aurora
Tra le sue ali grandi e pesanti c'era soltanto un cuore che batteva.
Gli pareva d'esser lui a portare l'uccello“
J.Bousquet -Tradotto dal silenzio-
 
 
Figlia  di una gigantessa la visione
il peso della luce che ne viene
-Uno per pollice i mirtilli del rosario
nove dita in sofferenza  blu il boato,
col silenzio fuori, svuotato dentro  me
il colore- Solo occhi disseminati
di sinestesie di fini anticipate i nostri tagli,
le combustioni,i buchi d'amore
- così violento il grande -
Dove siamo caduti questa volta
per non trovare gioia? Sono in torto i fiori?
 
Appena fa  una mattina Incerta
cammino al tempio -nella leggenda
di Gajaranya Kshetra di  Quanzhou-
E' là che mi appartengo, alle gamme di colori
trasfiguro nella mia proboscide a risucchiare Ofelia
per annaffiare le rose a Rilke poi volgermi 
a soffiare con le zanne sulle teste erose
impressionando  fontanelle nuove
l'inconfessabile piacere di pianori
messi a bagno  quando  vedevo crescere 
i miei seni sospesi fuori e tutta la verità
 
Sai: quando abitavo coi cavalli e  gli occhi scuri
li sentivo bere, la pelle raccoglieva tutta l'acqua
della terra  in un solo secchio, tanto  le bocche
si allattavano, mi svuotavo  al loro centro
sfidando la gravità il percorso al muso.
prendevamo forma nella  stessa cosa e
le narici sembravano fermarsi nel  godere
d'acqua,si contraeva la lingua nello sguardo
d'improvviso e tu sapevi che era colmo il ventre
assente da me stessa, amante .Dio quanto!senso aveva
quella sete senza  sorsi  Limite della mia forza,
a debolezza invento un linguaggio per parlarmi
della realtà: vissuta felicità fonte della mia felicità.
smembrata
restituisco amore come un'altra vita nella vita,
strappata dagli occhi delle immagini
mentre porto gli animali a bere

 

 

 

*

Sulla macchia di Poisson

Diffratto amato io

perturbazione continua, in Si_minore

al bordo stesso fenditura

gonfia l'll respiro le lenzuola

sporge  dal sonno in piena, sulle spalle ,

dove la vita è chiara sulla macchia di Poisson,

erotica,la pietra splende levigata, ne prende l'll corpo

l'anima di primo yant- eccitazione dell'ignoto

misurando gli anni battezzati dalla neve ai non vedenti

 

Un Si_murgh per trenta uccelli , ma tutto è  più veloce

sul crinale. Il sanscrito del corpo

stringi piccola samurai ! (che tieni il latte sulla porta-)

 

Incantesimi bendati-una rayuela muta-

con  un gesto caldo hanno inciso  le sue mani

il morire lento in seno  : un tatuaggio breve,

da lasciare a sempre la felicità. Dalla vita in giù

un abisso di luce ti tiene ora. nascosto,

tra le cosce al buio, un simurgh:

otto colori separando lo spazio bianco

dalla parola fine;  l'll segno vola

se sanguina piano. Ritorno è ogni ora

oltre il limite del passo

 

(Eppure avrei giurato che l'assurdo

era un tatuaggio che cantava)

*

Non importa.

Scalda il palmo della mano

la possibilità residua l'll fiato

che rimane sulle labbra chiuse

di nero religioso. stridono

le bende-asciutte parabole-

in pugni di riso.senza calma

si allungano a mostrare la salvezza

di qualcuno che verrà.non importa

se la nuvola passa veloce. io

continuo a vedere che danza la luna

 


-"la bellezza è nei Geni di chi guarda"

Non basta alzare gli occhi in alto !?-

 

Foro la pianta dei piedi,il coagulo

accovacciato dentro l'incavo che "svuota"

la scheggia blu- mio Zarqa-

 

Comincio a nascere adesso

tra la navata e l'altare resta sempre

un rettangolo Aureo,una nicchia di luce-

quanti quadrati puoi sottrarre

non importa- se zoppico:

Voglio viaggiarle insieme

 

https://vimeo.com/38631354#

*

Aramen

 

 

                                                                       

 

K.Hokusai-Red Fuji-da 36 vedute del Monte Fuji

 

 

 

Tre pieghe d'aramen

 mi sono preparata

 e lo splendore

 nella sua umidità rigonfia il verde

 in pochi tratti vene

 quattro volte doppie nel baule

 -oh mio mandylion-

 Non s'ingannano le balene alla frontiera

 Nulla da dichiarare! -

 -E il rame?

 - intarsi. Il mio corredo cucito a mano

 cavezze finimenti morsi,

 tracce di camminamenti per piccole bufere,

 fesh fesh sottili per un tempo. Bave di perle.

 Effetti degli haiku . Vuoi contare?

 Sul fondo c'è la fibra:

 otto buchi d'alberi, ventisei respiri,

 le ombre dei tre pini

 ceneri, pasta madre e galle,

 un uovo di pasqua mai scartato

 nella mussola di Hatrac-

 Non ho stoviglie, paesaggi di Hokusai,

certo, lo sguardo nelle anse

 oltre l’amore, nelle curve Rilke.

 Il paradiso e l'inferno sono qui -

 dolceviolenza e Cento vedute del Fuji.

 E' tutto, naturale.

 Ho tradotto un theremin

 con la lingua che hanno i pesci

 quando fa vibrare il suono

 e non finisce mai di stare dentro

 Tutto il resto è selvatico aramen"

 

 

 

*

Appannaggio

Scavano l'aria gli occhi

prima della luce le sofferenze

che esplorano, fino al piccolo

punto di dolore, il corpo


nel mio baule pieno di rame

di istanti fragili,non trema la vita

se a pochi altri minuti di luce

ondeggia la sera il giallo sulla candela


mentre le labbra si separano

a dire su tutte le cose, non vissute,

la durata.la visione nell'atto nominata:

lana da cardare. tutto sul punto di nascere

di infrangere nella coppa delle mani

pozzanghere di latte nero


martella fluido l'intimo con l'aria

cambia il volto : agilità di palpebra

che non ci appartiene

se non per assicurare il pane

dentro un alibi-quando stiamo

-altrove

 

 

*

Quel filo di grazia

Contavo i gesti.per fedeltà

intenerita nella tua casa

che brilla di esattezza,

come in una stretta sezione

luminosa

praticata nel pensiero

ritrovavo la (t) tesa al giorno

l'orlo scivolato sulle braccia

aperte :

quel filo di grazia

sufficiente per vedere

 

(il conto della vita)

 

 

 

*

Una matita tra i denti

Smaltisce l'inverno il dio

delle piccole cose,nella lana tiepida

schiarisce come un'indiana

la pelle dentro un catino sinuoso

il riposo.Al riparo la stanza d'amore

gli ex voto alla pieve

dove il bastone fece nascere il pino

 

Si stende una nebbia sottile

di trina e l'assenza, che segue,

è l'unica luce possibile.Nitida

Riaffiora scolpita dal vento.

Senza mediare :

unisce il respiro due bocche

la linea di una matita tra i denti

-la punta a memoria- la vibrazione

-un corpo ti sfiora- implode nel pozzo

di cecità, la cicatrice sul mio domenicale,

le tue Mail Art aperte, all'indice

Viaggio breve, la felicità.

*

ti voglio rivedere-dove è buio.Dio

A morsi viene  su il chiarore

rivoltando immagini con parole

spezzando  in due il Symbolon

Militante di colori mi disseti

a tenerezza. Dove è sempre

colpevole il silenzio complice

metà ciuscuno


Luce è chiave e braccia spalancate

nella mano fuggevole

punti miniati in mezzo ai tronchi

fioriscono ninive a Oriente nel bisbiglio

come jeki brillanti muovono la stanza,

e chi gioca


E gli stormi di gazze e  fuochi come inferni

lottano titanici sull'orlo di quell'onda

che  sottrae incandescente

la vista madre,nel campo di comjato

 

Cogli il fiore con la pietra !

nella mano fai un segno contro il buio

come la più lontana delle stelle. dritta

come un'apparizione

finchè non t'inginocchi e tocchi,

ancora tiepida,la cenere e ne respiri

ad esser parte,a fermare l'urlo di paura:

la tua impronta, con il gesto circolare

a sedar le fiamme,

come ti ho insegnato a far nel bosco. Frangere.

dove accampa la mussola agli spini

alzando le punte poggiando sui talloni. -Prego

quel che avevo nello sguardo.

invento un nido di capezzoli e promesse

rivestite con segreti di baleni,  piccole castagne

poi ripeto il giro e la magia che viene-


”ti voglio rivedere” dove è  buio. Dio


E' allora che si fa grande intorno al tronco

un elefante, fino al letto, dove sogno

di sentirla nell'orecchio dove  m'infilo

quando scendo nella gola. E la raggiungo,

ancora,sul punto di venire via, con me

*

Convivendo

non si crepa un'arancia

ma gli occhi duri come minerali

alla(r)gano fragili gioielli

separando fenditure.in modo netto

al tempo

non la ferita-immortale-

che rimargina le mani

 

convivendo-

dove più l'una si contrae

l'altra  chiede spazio

*

Altro da uomo

Tappe di avvicinamento la genesi

pungolo segreto la natura dell'amore

(non dialettico apparire)


Si dona. Avanza. S'abbandona.   

Rinuncia l'Amore:per l'Irrinunciabile

-sguardo suo invisibile-

per_dono_primordiale indefinibile.
 
Ancora torno a quel latino...e trema
l'intenzionalità che rovescia ulivi
ci guarda. è ingiunzione :
il vissuto della Sua- atomica -particolarità
avVolto nel volto ,come nessun altro,
di dio
-Quest'individuazione ha nome - l'Uno
di.vieni
"Altro da uomo"
chi convoca-
 
*Ciò che contro il vano conta
non è tanto delle cose la certezza 
quanto la loro eventuale vanità *:
Come stimmate portavo
l'affettiva corrispondenza
riconosciuta.Tocca la fede
qui ed ora, dove sperimento
e attingo, come carne
sa d'essere toccata
e di toccarsi in altro -
Altro da sè

*

April Ti prendo il polso

http://vimeo.com/40301492


nuoto e porto in salvo i nidi di legno,

sui capezzoli, uno dopo l'altro

il punto dove andrà inciso il carattere del luogo

la grazia, uno spazio di rifugio

dov'è più lucida la pelle dei miei alberi-

 

ti prendo il polso dove sgoccioli nel cedro-

come alla febbre,

nella pancia metto ciò che sono, e chi mi nutre

di slogature e cervi nudi,  di povertà,

metto il rumore che si alza dalla gola

e il sangue,  in un lago di neve

sprofondo il petto nella tua corteccia

carica di tane. -Ascolto: se l'inferno è ricordare

che resiste che fa male il compito di dimenticare.

claudico e amo di una speranza disumana


mentre riparo il viso dalla stessa parte

la fede mi tocca fino a sentire che parla-

come al buio

quando sapevo i lineamenti di mia madre

 

 

 

 

*

farlo come accendo le candele

Un respiro  infrangibile congiunge

gli occhi del limite,senza mani

anche senza unirci

all'alba.ancora ti svegli

 

Mi hai sentito : piegare  Rilke tra le crepe

farlo come accendo le candele

-come Isacco di Ninive-nel silenzio

un fruscio di chiaro  sotto la porta :

è ancora   nevicato-

 

immediata la contemplazione, raso terra

ricade nell'ombra, liscia

dove si contrae amata e amante

simultanea.come un bambino Io Vivo

[sfiorando gli estremi]

la lentezza E il corpo intero

ora che quasi non ci conosciamo

si crede in pace

*

Un’Alba alla Volta

Basta una mano a contenerla come una Perfetta

grandiosa di splendore

con l'altra carezzarla nella maglia. Calda

come un' ostia nella bocca.


 

 

 

 

 

 

- che salga dalle tende

che bagni anche le mie cose piccole con dentro un vento

lasci il segno contro le parole a scintillare la falda

Nel Sogno Intanto Sia diligente! E segreta Un'Alba alla Volta

 

 

<p style="text-align: right

*

I fiori -pestati-senz’occhi

Emettono suoni nel legno tra i secchi di lino

come il fruscio di una esigua famiglia

che sgrana bacche tra i piedi

si scrivono sopra la pelle col viola
e nel giallo di spore battono il petto come  un bucato,

ritessono un modo plurale di sagome chiare.

 

dallo scollo del tauro al lichene di amina
si trafigge tutta la valle nella testa dei geni
tra membrane in groviglio di more passa la vita

messa a dormire con latte disciolto

succhiato dai corvi di spine e dolore.

Ci siamo spezzati anche noi -in una sola parola- di pane
sfilati come le perle che hai sulle dita.

Metti verbena alle ciglia! Falle sottili
da vedere lontano  i fiori -pestati-senz'occhi :

siamo Noi quelli laggù siamo invisibili


Rimane Piantato l'Amore Si salva.Nel nome   
Germoglia la Felce -fra i nostri mantelli 
grezzi di lana- otto raggi di luce 
e un bambino a narimi.

*

Alban Heruin

come sul mare viene l'incontro

e il sole ti  tocca nell'acqua,

semicerchio del cielo più alto,

senz'ombra

nell'attimo esatto. d'indugio

la comunione d'oriente

 

Si sentiva da giorni : masticava verbena

nel fondo dei pozzi vedeva il riflesso               

dal nord i suoi occhi il pulsare

si avvicinava. Sapeva :

Quell'uomo guidava un carico d'Oro

di rami dei miti,resine sacre

sacchi di semi di felce,il segreto

del fiore senz'occhi le spore

 

(quella notte

gli offrì il calumet
dentro un destino terrestre
inciso fino alla pietra
sette le cerimonie, sette  veli
e i suoi fianchi )
Si sentiva da notti:coglieva la salvia
otto anni d'agave nell'aria
ammaestrava il dolore più ottuso
fasciata di mussole.ginocchia piegate.
come aveva imparato fare a Santiago:
a falce l'agave, a petto chiuso
solo la parte centrale tarlata di bene
tagliava la lama nell'antro
al cuore le unghie,il passato
tra le mani solo la pina,
come un jimador
(nel dentro l'ordito
accoglieva la larva
erba con erba .rimarginando
la vita
il feto di una poesia
scalava ogni tormento:
sette anni e uno la yelda
-l'attesa al mezcal)

Si espande il succo pregato,
s'inclina il calumet.
la vita guarisce.Si sporge
il canto giurato manda un bagliore
la polvere in oro
e l'urlo d'amore come un'estate
trova una vena.potenza minuta
su fino all'orlo come sul mare
Si sente.Ora.Alban Heruin.

*

Analemma di fortuna

giurare nelle stanze, nella parte calda

delle incrinature tra le mani, di sfuggire

quella presa-ferma- fino a che si sfioca

e prende di un mistero pagano l'analemma

sono mostri gli infiniti contano anche

le metafore : in cento e mille colpi

di tallone dondola dalla sedia il tempo

che manchi : fa otto ore avanti

indietro. d'improvviso tutto è sogno

scoglio irrequieto,contro il gelo,di fortuna

*

Mansione nel mantello di lana

Nel mantello di lana
Di certezza indimostrabile
Intrecci la risorsa intatta
-Tua sharia- Di viandante
Sulle Cento Pianure

Correndo più della luce
La Mansione di  sopravanzarla
(dimorando)
Per Replicare
-Mentre ancora non sa 
Che è morta -
Tua madre 

*

La candelora nel dramma della luce

lumino al valico d'attesa

alla gola sciolta

nel suo venire,illesa,di pane

imparato alla distanza.

che solo stando insieme avremmo detto:

-è un miracolo.sui Tre Pini

l'ingiunzione dell'incrocio,le Ganzole-

dove regnava dio e in tutto il cielo.

Sbucando da una nebbia a perdere

qualcosa che non s'indovina:

la fede. c'era lassù

qualcosa di mai visto.di ordinato

quel troppo chiaro d'improvviso

senza gradi di separazione

nella confusione e a stelle fisse

mi mangiava il fiato

ad ogni verso

sola.nel dramma

della luce

la garanzia di ricevere

-senza corpo-la candelora

a mani nude, nella piaga

hai dilatato i pori

lo squarcio e quel cercare

verso il Sasso,

intorno e al fondo

luminosa d'altro canto.

Là dove resisto

 

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=xk_B1e28w_c#!

*

Appena prima che sia

Come morsi in battaglia

le braccia

sbattono ai fianchi

in fondo alla bocca

ad urti

ti sento salire

come lichene,a colpi di luce

se cammino ,se scavo

nasce dell'aria

 

Nei sette colori spezza lo sguardo

volto nel volto qualcosa

diviene qualcuno

appena prima che sia

*

Nel fango finivamo per brillare

un grido d'oro al vento,

alla gazzaladra, in cerca di un morso:

una manciata di zapiskj -


nel  suo grembo una folata d'acque

allaga il cuore

come un animale di cristallo

donna identes

su una pozza nera indifferente.

brilla. l'ombra

seria  sul suo seno.

non (la) trattiene la memoria

il suo bagliore. come fiore ondeggia,

si apre chiaro

come un ribes nella cattedrale

mentre l'anima rintocca,

fino in  gola,

su quel corpo troppo in fretta

ai dieci lustri,

sgronda in secchi d'acqua il lino e le sue braccia

a germogliare  il tempo del galoppo

quando il tondino era insufficiente

ad asciugare il pelo madido ai cavalli :


-nel fango  finivavamo per brillare

lipizzani-

sbiancando come cenere

dal grigio

un magistero chiaro

di bellezza

*

Se la fai fioca. Se appartata

inutile sommare di là del giorno come nella morsa

in_vita  il gelo una lacrima d'oro, le dita con il ghiaccio

passi che vanno dove solo loro vogliono andare

dove qualcosa li aspetta  in giri di cielo  a catenella

piccoli punti di lontananza, uncinetti guidano le fila 

e come rafia calcola le pause la corda impugnata

che a Tunisi prese l'amore come ferro  da calza uno 

alla volta, nel giro di ritorno, si pianta  addosso da sola  

la sua ombra assetata di bianco di suoni d'archi di fiati

 [ solo in un'asola ]
Dove claudica fresco il lutto di nerissimi capelli
muove lento la voglia di contatto, fino a perdere 
coscienza, nella sua stanchezza  pesando,a ogni piede,
punti di fame. Mio  piccolo Re Soprano prestami la  voce-
[Se la fai fioca. Se appartata]
- finché la mia parola non dice più.
 
A quel  temp-i-o  saranno chiari gli occhi ,colmi
di piccoli Re farai fiorire abissi ,fradici di luce
come ali sacre al simurgh sulle mie clavicole 
sporgerà come l'inverno  il cuore,da dove resta
la tua regina, bianca,in un Punto Alto ,del bosco.

 

*

Orsante

 Orsante, prima ancora  dell'amore temerario

alla caccia clandestina di tesori immaginari

ho calpestato mille lingue e terre nere  

sghiacciando zoccoli ai cavalli nei catini

per ripartire senza sole in faccia

ho rubato l'esperanto e gli  animali da addestrare

sull'Ararat degli orsi, sulla Stara Platina 

inventando un dialetto solo nostro,animalesco

incomprensibile carne sacra senza un nome

bevevi alla mia nuca Tu  la ferita che mi sfilava notti

silenzioso e buio toccavi tutto in  tutti i punti indefinibili

un iman acceso agli occhi Sa Sartiglia,

ricombaciando all'ombelico perso il fiato

d'una stella i passi tuoi nel ventre fondi

come Dio-

sicura ho fiutato i berberi del Toubkal 

attraverso il loro ghiaccio ho stordito i sensi

sul dipinto la montagna, e tutto il cielo

senza domande tra le ossa, nel desiderio

d'alluminio, come guerra duro, mi fa sangue-

dove spingo dentro il suono e preme

come zampe un cucciolo le mammelle

che alla vita pulsano dolorose

facendole parlare tra di loro

di quella verità che cola al caldo

come caduta  gioia [di  per sé tragica]

-mentre infilziamo  Sa Sartiglia  

*

I.dolo DI.stanza

 

Tappe di avvicinamento la genesi 
pungolo segreto la natura dell'amore 
ordo amoris ..non dialettico apparire 
Idolo e distanza 
Si dona, s'abbandona Si avanza 
si ritira in amore...per_dono 
Primordiale,originaria.... 
indefinibile,fiera 
Nuovo assoluto,filosofia_prima l'll bosco 
Carne~ dono~ in_relazione 
Alterità originaria che ancora torna...trema 
inSOStituibile....irrinunciabile sguardo invisibile 
l'intenzionalita' che rovescia 
mentre ci guarda è 
ingiunzione l'incrocio 
l'll vissuto della Sua- atomica-particolarita'-atomica 
Volto del volto ,come nessun altro, volta, mostra,in te 
Quest'individuazione ha nome Amore? 
"Altro" dì_vieni,chi convoca, chi puo' prender del volto l'll volto 
determinato sei l'Uno 
Niente di epistemico,di ontologico 
ciò che contro I'll vano conta non e' tanto delle cose la certezza 
quanto la loro eventuale vanita' 
come stimmate l'affettiva corrispondenza 
riconosciuta 
e' I'll Con~esserci cio' che fila 
con~ fonde ...I'll donarsi 
Non la certezza ,certo! 
le rassicurazioni... toccano 
sei dove sperimenta ,attinge e tocca 
Qui ed ora come carne, sa d'essere toccata e di toccarsi 
in altro,in Te_Sé 
Senziente e sentito a prender carne, in comunione 
indistinguibili nel desiderarSi sfamano 
delle carni I'll sentirsi sentire e risentire 
accolgono, 
una sorta di incarnazione ... 
Femina e Fera 
incarna te sé stessa,mentre si offre ti riceve 
Non ci basta nominarla la carne... le cose 
La percezione si fa chiara nella forza l'll desiderio 
Spezza lo sguardo la solitudine I'll corpo dell'Altro l'autonomia che ci corrisponde 
QualCosa diViene QualcUno 
eros e agape non giungono soli 
Dramma e garanzia di ricevere se' 
Esiste forse un'attitudine spontanea dell'altrui riconoscimento senza tatto? 
I'll Con~esserci 
La seduzione 
La vertigine dei sensi 
danza carnale avverte la ragione l'istinto 
in_boschi per gradi di separazione 
condivisi 
duri e dimori 
...Anim'e fera 
Sola più  
 

*

Albero nell’albero-superstite a una sola striscia

 

 

 

 

 

 

 

Appese  a  un filo d'ombra

come pini dai coni setolosi

le preghiere, al Limite estremo

dell'universo osservabile,

pur se il tempo avrà cancellato il proprio inizio

riempiendo i crateri,divorato le  montagne.

-I fortunati  di pietra si faranno

fossili in speranza;di carne il resto

per sonno  in dissolvenza

proprio corpo un'Alessandria

in fiamme ogni pergamena di foresta.-

 

Nel dendron resistono gli anelli 

di una volta celeste incisa

a contenere oracoli

Stelo ligneo per spingersi in alto

a trovare  luce asciutta 

quando l'esistenza era di muschio-

sottile strato sopra la roccia

esposta al pianto

l'acqua mi  tremava nelle bacinelle-

inconsolabile

 

Tu - già Pino dai coni setolosi

protesi al muro di granito della Sierra

tra l'aria fresca e secca prediletta

alle montagne Bianche e il vento forte-

hai catturato  luce e dato  meta

ai corsi d'acqua le radici muscolose

come fianchi poi sei strisciata via

dai  più fertili rifugi per vivere

la tua dolomia ferma e dritta color rame

e d'oro come volessi sbalzare fuori dalla roccia


Sei sempre stata un albero nell'albero,

difendendosi  da solo ognuno i rami

portando acqua alla sua corteccia.

nuda ti sei mostrata-dove già morta-

e per un solo punto nodoso, di resistenza

al filo, raggiante in aghi verdi, l'odore tuo

la resina ha protetto il sangue nostro

bianco, superstite a una sola striscia

di sole brillavano aghi sottilissimi

di siccità imparata,letargo immobile

dei coni fino al nuovo inverno

nello spasmo della crescita del cambio


Così lunga la tua attesa a vivere

che, certa al colpo del fulmine, ti sei aperta

divisa, colmando le ferite nel piano d'emergenza:

nei semi hai sollevato lunghe ali trasparenti

a scalare col vento giusto  le montagne

puntato  al  più' estremo della cima.

 

Salva, come un pino

m'inonda di mia madre il sogno:

sciogliersi il ghiaccio sulle sue spalle

curve nella mia febbre come seta

ti ho visto superare

il livello della neve

più alta di ogni vivente

bianca a una sola striscia

di superstite preghiera

*

Se gli angeli fanno la fila

Se gli angeli fanno la fila

la retta infinita è Dio

[ mica un punto fisso siderale]

dove la nebbia può salire la sera

nel segmento  dello  sguardo e le scarpate

raccogliere il latte di foglie versate

nel lutto di una luce silvana

gli omini accendino più in profondo

scenderanno di una poesia  piccoli

e sensibili soldatini di bene

nell'ondata di dolore insopportabile

raggiungeranno  in fila

mendicanti  sogni infreddoliti

*

Prendi il bicchiere con la candela

Sono occhi pieni di sole i passi

mentre ti leggo dovresti vederli

nell'angolo, traverso lo schermo,

disseminato  di  luce l'amore

in terza maggiore il  rintocco

la nettezza ,a colpire dolente,

di un filtro tra corpi di carne

c'è sperdimento di neve  poi

caldo  rifugio, sollevando la pelle

le cose, a mostrarti,  più sotto

gli strati, fragranze e ossessioni

nell'atto di  vivere

dentro un uovo  uno spino

in stato di bisogno

un buco nello stomaco 

non è una stella-

 

Prendi il  bicchiere  con la candela

genera meraviglia  ....entra.

Senti  che  nostalgia? Lascia

niente fuori  e sogna almeno

per l'll tempo 

rompi le acque

poi esci.

*

Trigramma,poi scompare

 

 


Respiro d'uomo che viene su dal buio 
come un'aria di chi spiffera per notti
di montagna splende segni sulle mani 
calma d'acqua  l'incrinatura al guscio
del trigramma l'll numero d'amina
negli  anelli  la forza primordiale :
rimanere steso l'otto tra due linee
di fuoco Lì ,tra la terra il mare
l'inizio e l'abbandono che contiene
sul netsuke madre in sposa al rosso
del desiderio a riprodursi in Lago
sulla bocca dell'autunno Lei si bagna
nutrendo i figli a ciotole di cielo 
protette contro il nostro invecchiamento
la donna cresce come tuono,cade
eccitato il cammino ad ogni passo
penetrando l'uomo nel respiro viene
tra le cosce del vento  poi scompare

*

L’abbandono-sai-non ha misure

-cose che vengono

da qualcosa appeso

non sai più dove

già accaduto-

placide bestie

inanimò la bora

sul sentiero di Duino

l'Abu Dabi in mare

 

all'altro lato della vita il cuore,

per un momento, nella luce

-a cervello ancora vivo-muore


in ventisei respiri mira l_ago

per la_c(r)una del destino s'apre

lo spazio separato. si riduce

nel flutto taciturno indifferente


l'abbandono-sai-non ha misure

eccede sempre.solo.d'abbandanza

ha larghi gli occhi per il suo dolore

trine che ghiacciano le mani

 

                                                                             privilegiato amore

                                                                               perchè non vada

                                                                                         perso

                                                                                  quel che resta

                                                                                         sacro

                                                                                    si fa morire

                                                                                     in carestia

                                                                                 senza palpebre

                                                                                    sugli occhi

*

Pin Pe Obi

Troppa l'aria nei polmoni

 

fino a perdere il respiro

 

l'alfabetario di costellazioni

 

saturo.basterebbe fare campo

 

cristallizzare negli accumuli il passato

 

nell'immobilità dell'ora. continuo

 

ritorno alla lingua fluida. dell'infanzia

 

inconsapevole quiescenza

 

in transizione.Guarda il cielo

 

come una voce fragile di donna,

 

a polmoni prosciugati,palpita

 

la cima  alza la neve festosa

 

non torna come un sasso non cade

 

nè un lamento

 

della linea che non rimane in alto

 

che un minuto

 

posando sotto la mano il suolo

 

lisi finimenti tra le dita,sfinita

 

finchè il morso è nudo, in atto_

 

_di fiducia narra:

 

non so per quale soma-

 

come l'ape dell'esagono la fine

 

la fede spinge,avanti i musi, a bere

 

i passi agli animali che non siamo

 

per la spremitura ultima del succo:

 

l'_ottava,  inconosciuta luce.

 

avvolta nell'antilope commossa

 

la sera fiuta del futuro gli occhi

 

esaudita sotto più alta tenda

 

cerva nell'Haoma dell'Avesta

*

Arco rampante

dice collasso crepe a crepe il tempio

al boscovecchio

-sacer factum insinuare la montagna-

nella fenditura ci nascondo Rilke

poco a poco la Preghiera di Mosè

e La rosa, pilastro centrale nell'adagio

spinta laterale a comprimere i pilastri

contro il tempo familiare al crollo

ci vogliono poesie sulla linea di pressione

il contrasto in un braccio di sotegno

la spinta,L'Arco Rampante preciso,di verità

è il momento in sesto acuto, spettacolare

slanciato al cielo nell'intreccio

ri_verso di ogni pietra, punto giusto

a contrarsi nel nomeproprio. proprio nome

nell'ogiva è trattenuto il codice

segreto in otto piedi religiosi

avamposto restituito al gesto

-chiave di volta-

adagio Rainer_ nella rosa

*

Grondi di neve spolti

Grondi di neve

spolti

in un'ondata 

di ricordi

torniamo taciti

con le speranze 

ed un sorriso breve

nella sua chiaritá

ci nasconde la fatica

dentro una stanza

che annuncia freddo

-raramente bello

*

Di una luce che ancora non esplode

Radente il fischio

in_seguito ai cent'anni

bruma che iberna

nel volto imperfetto

la ragazza sempre

e le sue stesse mani

              intelligenti

gelando per resistere

musa nell'abbraccio

straniante,

in bilico di ricordi evanescenti

vibri -nelle ossa di cristallo-

di una luce che ancora

non esplode

tra gli alberi,scarna

improvvisi pieni di suono

-nella certezza terminale-

inaudita come un lupo

nella notte divorando

la tua vita  liberata

e calma

affondi luminosa

nell'inverno spaventoso

[attutita]

nella tua posa intatta

invisibile a morte

*

All’inguine del sogno

 



Sapiente filo d'erba
cenosi indifferente al fine
dell'ultimo respiro
o della fame di farfalle
Nel  cielo non c'è niente,dici?
Rimanere alla carne? -Rasoterra
Chiamandosi nelle cose

All'inguine del sogno,
dove riposa 
ti mostro le mie emozioni 
senza vergogna
come le piaghe,
e quando si espande 
tra i nodi della gola 
e il suo respiro al petto 
il latte scende buio
Se accosto l'urna
al ventre e siamo in due
ogni notte
è togliere le bende o
milioni di farfalle?


*

Coi lupi d’argento in viso

 

 


C'e' nell'aria un pezzo di pace.
un richiamo in Lei nel riflesso 
acque che  precipitano
all'angelo.Da sbranare
Ascolta Sta celebrando.
Fioriscono splendide le ferite, 
sulle montagne del cuore,
il profumo più in alto
sotto le mani si sporge cantando
nel regno si perde. Il fardello 
nel buco lasciato dal fianco
spinge col muso in avanti 
asciugando  un volto che piange 

Non basta ricordare un nome 
a tenerlo a mente Va celebrato 
che io mi  ricordi dove fiorisce 
l'll fiore raccolto nel gelo,nel bosco
inconsapevole e sia tua
ogni cosa nel nome
promesso quando le notti non si formavano 
Saremo al temp[i]o dell'ottava elegia 
quando avremo colmato lo scrigno 
mischiando uguale ogni cosa a noi 
alla neve
c'incontreremo  come amuleti
coi lupi d'argento in viso

gemelli,infine

*

Sogno

Irriducibile

in un punto.unico

ad una sola forma

compiuta.

                impassibile

perseverante lo consumo 

all'occhio

mi dà scacco

nella volta per tutte

interamente

sopporto l'eccedenza

con l'umiltà  che resta

alla mia immagine

            inesauribile

nel vuoto che solleva

 

Così ti trattieni 

dall'apparire

sogno

c'è ancora tanto

da guardare

*

La più tua epifania

Mio figlio, unico, l'ha cresciuto il cielo.  a gioia

Ottantotto giorni buio -in attesa-

le spalle lente d'anima

recisa l'oscurità.consentita

per dare alla luce,vivendo.

 

-Quando hai fatto  La più Tua

grande Rayuela, in cielo,

saltando dal ventre

senza respiro, ti ho lasciato.

uscire.Tremante. Del resto

avevi la determinazione di un fiore

ed io  un pugno di terra,

malmessa.

senza radici nè odore-

 

Poso l'orecchio sul bronzo,

lucenti le sento parlare

voltarsi al mio giunger la sera

"Stiamo bene" - continuando

di un giovane che non conosco,

nella voce nel suono che mette mia nonna

per lui svela un cerchio di luce

che confonde mia madre, poi me

- Lo vedrai salire sugli alberi~dice~

discendere a sera come una foglia

e felice

fare il salto dai tronchi

a raccoglier ninive, preghiere,

dai buchi. Oh !m'incanta :

quel suono perfetto che posa

disegnando un otto sull'erba

come un sorriso che tace

all'angolo della sua bocca

coi piedi tesi nell'aria

a schiarire i suoi occhi

 

"Sempre lo stesso quel canto

Lo fanno i bambini

del cielo.in rayuela"


-Agonia del discorso

ricombina il verdetto

nell'atto  converge

il silenzio

si posa alla testa la strage

al banchetto delle lesioni

il perdono. In azzardo

singhiozzi.

Ponendo  sul piede

funambolo

l'orlo di una poesia

senza lasciare pertugi,

giochi in apnea,

senza congedo.

il sangue privato d'amore

espulso  in un tuorlo

l'aborto

bruciò le suppliche, il tempo

di un lampo

Trovò me.Sprovvista-


E' accaduto al boato

d'epifania,

quando mia madre ha potuto,

fermare quel pianto. "Calmati

ora. Va tutto bene. C'è qualcuno

Chiede di te. Asciugati il viso.

Non possiamo ti trovi così"


Figlia a terra.senza paura

In cielo sgomenta

Madre.

Onorando la neve

Nel sole

Fermo

l'll rosario

In un momento

L'urgenza

Di andare

Da lui .a gioia

La più mia

*

Come gli anelli agli alberi

Ho buio in bocca

Tra gli occhi

un precipizio

E chi_amo

-laterale al respiro.

Oracolo doloroso

Tradotto dal silenzio

 

 

*

Dietro lei,sono a casa

Foreste di attenzioni spasimi subiti

mai provati tagli di carne dal dolore

distanti dai nervi non all'osso

prove di forza. Giovinezza.


Poi, venendo qui silenziosa come la vita

e la paura che ci vuole a viverla

-venendo qui, ti dico, sono a casa.-

(esitante) Prima di tutto.


Lentamente e dopo torna,

dietro Lei, il respiro,

avanti i segni sulla terra,

la curva del suo petto splende

pronta per la notte.

 

 

 

 

 

 

*

Segno d’acqua in chiesa

Tempi indicibili, dubbi estremi

dentro riverbero e silenzio si mischiano

nelle figure immobili ogni gesto

come una ferita giorno per giorno

con ansia di morte gli accordi flebili

sulla soglia, tutto l'altro è lontano

quando preghi.Le vedo inginocchiate.

Cantano.Cola dai piedi una bellezza

nascosta,nei respiri di un anno

Come la vita non fosse così rara

quando esco con un segno d'acqua

in chiesa,nascondo il viso dalla stessa

parte dove il tempo è un lembo di stoffa

su un capo fiorito, anche la solitudine

è pura e là si posa,perenne sposa.

*

Con un patto

Quando ho chiuso gli occhi

non sapevo più contare

Siamo state ferme a lungo

come prendere la mira

Quanta calma...- poi hai detto: Salta!-

ed io ti ho presa in pieno

nel mio resistere,

nella tua intenzione

stavi per tornare,mamma.


Abbiamo soffiato l'anno

dappertutto

siamo uscite

dall'altra parte

con un patto:

insieme.

 

 

 

 

*

Premilcuore

Ci sono fiori sulle fette di pane

Buchi grandi di vuoto, con dentro più marmellata

Scendono gocce grandi sopra le dita di capodanno

All'oratorio i bambini di Premilcuore

Fanno bocche brillanti, come campane

Sotto il Monte Giovanni XXIII

Grondante di sangue

 

(Ricordi di una bambina trasportata dagli inglesi lungo la linea gotica,durante il secondo conflitto mondiale,da Premilcuore a Sotto il Monte Giovanni XXIII;

a Capodanno le famiglie del paese portavano doni ai bambini rifugiati negli oratori delle chiese,pane frutta e marmellata

Quella bambina sceglieva le fette di pane con i buchi più grandi,  perchè dentro  cadeva più marmellata.

Accade che dove c'è meno a volte sta il più premilcuore)

*

L’anticipo del vento

Sei  l'anticipo del vento

-che protegge-in fiamma piena

allo stremo della mia minuscola foresta

-là,dove resisto-

come deportata,ogni sera

-per un solo gesto

per il sogno-

in quella grazia

mi fai calma

oltre l'istinto

nell'ebrezza del digiuno.

Dove stai per giungere

è tutto.Fra qualche ora.Vivo

scuote l'uovo nell'orecchio

il trillo- un vento sacro muove

alla gola un fremito, sale

la niniva della sera nodo

sciolto nel tuo cieco venire

ammenda alla mia fame.


mentre,all'altra sponda

una fiumana in voce bassa

gonfia  l'll  gelo

tra le ultime forze

inzuppate di pane

e bachi da seta

imprecando al nuovo vento

perchè va troppo svelto

*

Ederlezi

Si solleva in canto, Ederlezi

nello spazio intimo delle tue mani

come fontana  colma del soffio

l'origine come fiorire,  nel foro

lo slancio, ritorna l'odore del fieno

nella zolla d'aria mi tieni, suono

d'acqua,in succo d'uva rinasco alla bocca

ogni cosa bussa alla terra ad ogni passo

rinnova da qualsiasi fine i fiori nel ghiaccio

liberata, la mano leggera,come palpebra geme

 

Canto d'amore -sa me amala oro-

nel tremolio della bocca ederlezi

congiunge le mani nei seni

ti offre l'agnello -dive kerena

amaro dive- gridando invoca le ali

dilata l'inizio per crederci ancora

resisti - t'implora -

un'altra volta e ancora fallo accadere

rivolgi a terra l'll  viso di sete, in vespro

la sacca di pane al tuo fianco

liturgia nelle  ore di luce

 

Ci chiuderemo uno nell'altro

fiori all'altare dentro uno scrigno

Non vacillare sulle porte segrete

l'll gemito e' solo l'll peso della mia vita

all'avamposto l'll sole non muore


Guarda ederlezi,  guardala in viso

da vicino, trema, di tanta speranza

fa  gli occhi chiari la veglia e ti chiama

nel grembo nuovo dell'anno che attende

 

*Ederlezi-Testo originale romaní
Sa me amala oro kelena
Oro kelena, dive kerena
Sa o Roma daje
Sa o Roma babo babo
Sa o Roma o daje
Sa o Roma babo babo
Ederlezi, Ederlezi
Sa o Roma daje
Sa o Roma babo, e bakren chinen
A me chorolo, dural besava
Amaro dive, amaro dive
Amaro dive, Ederlezi
Ediwado babo, amenge bakro
Sa o Roma babo, e bakren chinen
Sa o Roma babo babo
Sa o Roma o daje
Sa o Roma babo babo
Ederlezi, Ederlezi
Sa o Roma daje

 

 

 

 

 

*

Nostòs Algia

Racchiude le costole l'anima

in fiori di felce e limonio

con pane d'aria, a bagno

nei versi,mi copro le spalle

e da me stessa

 

Sul mistero si solleva la veste

per terra s'incontra la carne

dove l'avorio riluce in dolore

avviene il possesso

dove si perde la vista

la nudità ci raggiunge:

meno che una carezza

mi assomiglia questo Natale

 

Rinascono le ore

giù per il  boscovecchio

si fa sacra ogni minima fibra

canto di nostalgia la messa

tra gli alberi scossi di consonanza

ricongiunge le mani poi vola

nel taglio più bianco di luce

del mondo, sigillando

la vocazione del sogno

*

Severo come un albero

Si comprimono gli occhi

nel palato

in sfacelo la temperatura

della voce

carezza del nulla

rovesciata all'indietro

sulla vita. Nudo

è il tuo nome sulla neve

scasso di memoria

a spartirsi il sonno

-senza bugia-

Severo come un albero

di tanta chiarezza

è il carbone

dentro gli occhi

 

 

 

 

*

Moneta liquida

Scava fino le più umili radici

la liquerizia

a  zoccoli di pane le nostre vite

di vetro,le vicende umane

di pistacchi , di cioccolata..

olsen olsen

penetri nell'umano

a scelta deliberata

Signoria dei Soldi-tuo mercato-

a non giudicare le preferenze

che soddisfano,in cima alla visione

salta la taranta negli occhi la savana

muove sul posto come ruminare

abbacinante nitore

quel nero che  propaga

-moneta liquida-


Ha tempo la taranta e spazio

di una danza planetaria

piega e  dispiega sui letti il dorso

al cuore della logica

accresce nel grido le riserve delle gazze:

-una cella moderna:novanta dollari a notte

-250mila  il diritto di sparare sull'elefante bianco

-i servizi di una madre indiana-surrogata- a pena-ottomila

-puoi affittare il diritto d'inquinare e

-scriverlo per sempre sulla  fronte, per diecimila

-a fitto per un po' meno-


Non finisco di battermi

al petto

la prima neve che cade

accecante

di nero-a gratis

*

Stordite

L'opera del tempo è

nel vivo della vita

quando porto al sole

il mio silenzio

-come febbre-

all'altro lato della casa

mi fa male mia madre

in tutto il corpo

 

poi si diffonde

colmati gli occhi

in placida luce

dove il cielo ci tiene

stordite

di ricordo perenne

 

 

 

 

 

 

*

Eucarestia

cade la neve senza le mani

la ingoio in ginocchio

tra i ciotoli e il fiume

in un ventre di buio,di sangue

m'imbianco.Poi spero. Così

le voci non si perdono più.

*

A tentoni

Nello stadio di un  respiro

qualcosa agiva come un sigillo

orbita di quelle gambe così lunghe

fatte minuscole, a tentoni

lo stupore nel viso di ieri

nato fuori dal finestrino

oggi era come svanito

 

Avrei fatto girare l'll mondo

in un dito delle tue mani dure

mentre  negli occhi prendevi

solo il colore di un  battito d'ali

della tua sposa dal cielo

-la tua fine del mondo-

padre.

*

In riva al Reno

Nella zona da proteggere l'amore

raccoglie vetro come fiori e lattine

in riva al Reno. Quella donna spalanca

come finestre una croce celeste,sua niniva

contro i furti d'identità sulle scarpate.

La vigilia di natale masticherà verbena

a benedire l'erba, fresca, tra le mani

a cicatrizzare l'll muschio  sul collo

bagnandosi più volte nello stesso letto

dove l'll Reno congiunge con la Setta

il focolare della neve, ripostiglio tagliato

d'ombra dai temporali. C'e' odore d'inverno 

sull'Altopiano.Sulle tempie è nevicato.

Devo andare. -Non è tempo di gioia-

 

Dentro le lattine si nasconde

sazia di briciole dai piedi

a forza spinge i vetrini nei sacchetti

grigi dentro i buchi degli alberi

fin dove può la vista stare senza

baratta l'll ventre

con  gli addobbi di natale

 

Mi guardano dai bordi della strada

suburbi abissali, pesanti di un lamento

che in alto non rimane,

esili in superficie

così lontani dall'Avvento

*

Nella sottoveste rosa

Rosa che non trova pace cercando

sugli sfiatatoi  poco d'aria

calda, negli anfratti dei portoni,

sul ginocchio leggere la lettera

l'll segno, la distanza nelle file,

della mostra tenuta al Grand Palais,

di profonda e dolorosa povertà


Stazioni senza treni, scomparse voci,

case vuote di corpi  umani

in attesa di qualcosa che

non s'indovina in Hopper.Attesa

non felice e sposa di nessuno

intanto l'elemosina s'allunga 

-strapuntini,rimasugli di qualcosa-

un passo prima di restare bocca vuota

i pori della pelle si dilatano

ai doni di stranieri del natale

apatiche comete, distaccate

sotto la pioggia d'ore

per potere entrare

nella sottoveste rosa

*

Gisela

 

Battiti Gisela

a rimanere precoce

vigoria del ciliegio,dolce
non so quanto
tesa in avanti
di prospettiva, mordi
perfetta come un'aria
di montagna
le braccia stanche
di chi non parte
e mai una parola
di pane per le notti
 
Siediti qui,achanto
-solo dio conosce
 tutte le nascite,
di quiete immobile-
Dura per quel frutto

premi la polpa,
nello spazio delle mani,

la drupa
che t'accoglie 

sul volume di corona

i raggi

messi dentro
 

*

Sorgiva- Madre mia Invisibile

 

Pieno di grazia

e qualche settimana.

Il presepe

una specie di solitudine
dove avviene il tumulto
alza la posta

 

È pietas l'acuto
di percezione, tra la carne
e l'inquietudine,insaziabile
di presagi,di confidenza
coi territori dei sogni
si sgretola carsico 
così flessibile.....

come grano

-da poter essere seminato
prima dell'inverno-
una pace relativa
un sè minimale, l'essenza
di quella voce  che le spighe
non riescono più a trattenere
le sue iridescenze incrinano
fino al nadir del silenzio
l'abisso di tenebra

 

-Madre mia Invisibile-

trasformeremo in latte
il gorgo di luce 
Padre,tra le cose

che non ci hanno

abbandonato


Corri adesso,settanta anni fa

vento freddo della steppa

Sulle montagne gelate

tagliavi l'inverno a métà

Prodigioso sagittario

irriducibile silvana

Mia -lupa

con la criniera -

L'acqua si fa blu,balena
e congela sulle labbra secche
Il canto terminale
fitto da una verità allucinata,
La lottatrice  è nuda. Vera
più del vero,inzuppata
di dolore, lucida di male
oltrepassi il tormento.

 

-Sorgiva-

Con la cautela dei fiori 

ponevi il vento,spingevi

nel vuoto severo

del tuo polmone arreso, 

l'll  coraggio

-banco di prova 

nostra morfina-
la protezione raccolta
tra le tue braccia
mentre un destino Altro
ci attraversava le scelte,

le cure i viaggi,

il presente


-appartate-noidueSole

tutto è stato possibile

in un momento,

calata nel buio

Ti ho sentita

 entrare 

in paradiso

Mi sporgo,ora,

dove ti muovi

stasera,in segreto
dove ti espandi

sotto i miei occhi

di latte e biscotti

preparando il tuo compleanno,

il primo.Di sempre.

 

Ti proteggo raccolta.

Tra le mie braccia

ho una bambina

di appena tre chili

brilla, a gambe incrociate
nella sua culla

d'Avorio,nido di cenere

e gioia splendente

di un altro mondo

 

Si accende.Si accende

Soffia! Soffia ancora!

Sì,così!

Buoncompleanno!!

 

Crescerai, Mammet

Dentro di me

Finchè sarò 

Fatta piccola

Piccola

Come Te

Invisibile

 

 

 

 

 

 

 

*

Sternenfall

Il cielo sta sempre

per cadere.Lo sente

Palomar. Lo sai tu.

L'uomo a piedi nudi

è disteso. Grava

nella mano aperta

Scende dritta una linea

luminosa

agli occhi chiusi

 

Si è fatto un foro

nel petto. Vedi?

Lampi .. .

stanno cadendo

a fiato

le stelle.

 

Prendi una scala,

non bastano le ali

a tornare

senza intenzioni,

ma

la persuasione

del cervo, l'esercizio

dei monti feriti,

sul canale di  biancore

al passo

*

Da mancare la presa

Accade dentro

ogni minima fibra

un'aggiunta

da fare un lamento

il rumore 

delle cose che cadono

nel loro bisogno

di felicitá 

da mancare

la presa

*

Leva svantaggiosa

 

Si piantò lontano l'argano
lunghissimo,bene-detta
leva svantaggiosa
il tempo che ne nasce
non dà-gli occhi,e mille volte
torna,maestrale di me stessa
irruenta fune,participio inquieto
che a sollevarlo soffochi
 

*

Come un siamese

Il luogo dove non finisce l'll fiato

pieno di grazia  

il bulbo,

- non dice il segreto

del vento circolare nello  scrigno-

scava gallerie ,gonfia di pioggia

lividi cunicoli di Gaza,portando doni.


Pulsa un solo cuore quando l'apri

m'inginocchio

dove la tua voce mi feconda

e rovesciando un canto

impollini  i miei occhi.

 

Cattura amore

l'utero del fiore

ne inghiotte la memoria

come un siamese

mi fai sentire gravida

di quella felicita'

che s'apre

con due dita

al cielo

*

Di compiuta vista

-non puoi dimenticare molto-

nel sonno limiti i solchi del cervello

in sogno; basta voltarsi poco poco

e niente è più familiare. Suda buio

il ritornarsi,spuria di notte yelda

la luce piove autentica in un attimo

più forte, l'Urna, fino a creparti un bordo,

una fessura per stillare, sul limite del bosco

lo sbocco ad occhi asciutti

di un futuro figurato accenno:

-Io sto nel passare-

nell'eventualità che può

rifare luce,come acqua zuccherata

bevo al kokoro,il cuore della vita,

religione che non lega bocca

che non spezza le parole.

 

Cerco cibo come bestia, sulle dita

la fine del chiaro in_vero e

tra le zampe i figli della carne

ne sento il peso

l'odorato di  prossimità,

udito di lontananza..e vista-

non c'è specchio agli occhi laterali

unita somiglianza a due a due-


Come sangha, il terzo rifugio

tocca lo spazio

-passando per il corpo

per il sangue-

diviene puro l'animale e tutto il viso

nell'unica volontà di vivere

che conquista e salva

dalla lontananza

come fosse parte di se stessa..

e l'Urna

ogni notte più leggera

di gravità.Di compiuta vista

 

 

*

Luminosa piaga

Balocchi le sue mani

di freddo si contraggono

attratte come stelle a

fare astro verso se stes-se 

Orizzonte isolato

d'assoluto,la caduta

di ogni gesto. A scomparsa

d'occhio,Luminosa piaga

Mia sorella.Un buco

nero riflesso

e pegno  di speranza 

*

senza palpebre

è in fiore la notte

sale la neve, l'amore

su  cui riposa,giace

al confine della voce

vibrando di silenzio

si fa grande

il presentimento dell'essenza: 

in vicino del lontano-

imbianca d'intimità il nesso

tra le cose e Noi,come colori

che si spieghino tra loro,viene su

da quel buio,senza palpebre,

come estrema possibilità

d'amore

*

Non guardare senza pregare

Mai abbastanza.

Come fai ad essere felice?

canti quel volo pesante d'alabastro

(d')ombra,

negata luce in carne opaca,

sagoma paralizzata d'ebano

ardi il cuore rosso siderale

nel gioco dei primari

di stelle,che non sanno d’eternità


Come un lampo si dilata

precipita l’uomo,la sua retina

di chiaro, apparente

bianco di morte,

finisce fuori la pelle il nero

in verticale di caduta,il cuore

esplode in_fiamma di dolore,

il non colore della somma

-biancodidio-

del suo limite, limite pulsa

dove il taglio s'adagia

come mantra

anche un pianto è freschezza

come "cosa che felice cade"

volando nel cielo di Dio

non guardare senza pregare!


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Alzale piano le tapparelle

Alzale piano,le tapparelle

-mi dicevi- amore mio

perchè sono gli occhi delle case.

C'è pudore nel risveglio

fiori

negli occhi deboli

tra gli spazi d'aria,

carichi di frutti,

un riparo

dalla meraviglia

che ci regala

lieve

la luce

se la tiri su

piano.

 

Un culto

istintivo

è già

amare

 

 

*

Quel Canto per Baku

Badu-kube

la città dove soffia l'll vento

sul viso, un khazri burrascoso

tra montagne come deserti,

bianco a neve l'Azerbaijan

abito di donna in lino ebraico

caduto tra due solchi di terreno

raccolti assieme prima dell'alba;

fortezza invalicabile nella tempesta

selvaggia. Oltre l'udito

il canto fa volteggiare le sue frontiere

precipita in bisbiglio

un debole sospiro di Mugham

penetra le valli,  dove il caldo è tenero

cola lunghe litanie

l'acqua del Bosforo

dove il Caucaso è sempre verde

E' distanza, Baku

bellezza di lontananza

murata città

Al centro una donna.Parla con l’aria: 

tende le dita, dentro l'anello di Baku

si prepara a partire, a cercare Perfetta,

la propria scomparsa


Stanotte per lunghe ore c'è stato un diluvio

-raccontano le donne-

Tutto attorno a noi è arrivato

il lagho azzurro, e anche le farfalle rare di Baku

si son fermate alla radura dei gelsi

Nel campo di grano è successo qualcosa

che allarga il biancore del cielo,

da farlo fermare  nel pentolino di rame

Narimi  sapeva I'll fine di giungere di tutte le cose

così prendeva nel petto le spighe di grano,le acerbe

allattava pian piano, a fermare la voce, nel suo vero nome


Gioco sacro d'istante scandisce la musica e dura

mentre Lei ha pregato con i prigionieri,

messo bende calde al dolore di Baku


l'll suo treno ora corre veloce,

passa in ogni fessura del bosco,

dove  l'aria   fa come una pioggia

rossa di frutti negli occhi di Amina

 

Da qualche parte a Nord Est,oggi

sta correndo in avanti l'uomo di Hatrac,

difende il suo territorio, Mogù,

il suo fianco di stoffe sottili,porta il niquab,

shari'a d'Amina con fiati d'argento

lì,dove il capo si stringe al futuro,

è lo spazio in cui si trasmette il dolore.

In un istante qualcosa di limpido,di generoso

é accaduto

rompendo l'incanto della paura

l’Amore,

la mappa infine più forte

negli occhi ninive di muscoli chiari,

lasciando che l'acqua inondi i tessuti,

nel prodigio di mussole, chine

a fermare l'odore del canto

da sentire l’ll domani

di  Baku nel vento

 

( per la visita a Baku durante Eurovision Song Contest 2012 )

*

Non c’è che il superfluo che incanta

Non c'è che il superfluo che incanta

*

A durate

E' tornato il vento
dei centoventigiorni
occhi di diluvio
universale
amore sacrificale
che non finisce d'iniziare
-tempo penultimo-questo.

Ti mandai a dire:

-Si sono riempite le fontanelle,

i morbidi pianori,

sulle teste dei bimbini-

hai mai toccato

quei vuoti tra le dita?

Ora che accenni

a restare

sono scomparsi

I ragazzi salgono le scale

e tu devasti lo sguardo

neghi lo scatto-ma

comanda l'll tempo


Porto le ninive sotto il seno,
come mettere il mondo
tra i solchi di un bambino,
negli occhi trine nere

ricamate
come testimoni emozionati
una rete di speranza

l'arpa eolica
una resa viva,
nella foresta di orologi,
salva,brillante d'acqua
dell'Io, l'argine alla deriva,
di gesti nascosti.
Trema
l'oro del cuore
nel canestro di dolore
giro a durate le braccia
nei secchi di lino

i semi fin giù,
e sollevo le mani,
lucenti
a quel dio
che di noi
ha bisogno
per fare
miracoli

*

La carovana della sete

Diligenza di mussole

carovana  della sete,le donne

diverse di lingue,di curiosità

con un solo sorso d'acqua

 in vita, uguali

 

Tolgono di dosso la polvere

in un Hamman dedicato nelle ore

per lavarsi, coprirsi di confidenze

nei vapori di fumi confondersi le idee

con voci accennate a pena

tanto a servire(a bastare) il tono ,

il suono al senso di preoccupazione

delle donne in Tunisia

 

Più in là,all'ombra delle moschee

i veli egizi sopra i jeans,

muovono di grazia il Cairo,

delicati,l'aria di parole nelle donne

 

Lungo le strade,in Rajasthan, è mattina presto

camminano solenni  le donne, come camion

colorate di saree ,delle regine

i fasci sulla testa son corone, con_turbanti

parlano,accucciate nei campi

macchiano di colore

schiacciate la sera sul carretto

non tradiscono sofferenza,in piedi

tanto eleganti tulipani

 

Nel Gibuti le donne sono i Fiori

rassegnati di mutilazioni

di una terra secca,a tinte spente,

dietro i banchi di frutta colorati

sorridono,eleganti,per nulla intimorite

gridano la vergogna appesa ai cartelloni

in quell'angolo di terra in bilico

tra la pace ed i cartoni

Sono le Donne i fiori del Gibuti

 

Intanto,si diffonde il velo in Libano

di devozione e moda alternativa

scelta di giovani musulmane,

anziane tradizionaliste

fianco a fianco sul viso con la moda

e il codice dell'Islam tatuato

il hijab,prova a dire libertà

 

Le donne  Amandebele pregano

e protestano sui muri delle case

arte che si tramanda madre in figlia

strumento di lotta,di resistenza attiva

la fanno con la luce,con il colore

una pastamadre che si ripete

prestabilita

 

In Madagascar le donne son formiche

sul continente rosso, nella montagna

scolpiscono la roccia,fino alla ghiaia

il tempo a colpi di martello

battono in processione,

gli occhi senza speranza

senza sfamare la famiglia

 

 

In Iran dagli occhi si dissanguano

nella luce le poesie concesse nude

dai piedi dalle mani Forough Faronhzad,

Tahereh Saffarzedh un brivido balbetta

nella gola preme a dirotto,schiocca

urlano le tempie come angeli in ritardo

in bianco e nero sulla città cerniera

la solitudine di una donna metàorientale

si scioglie e prega una forma nuova

una pioggia temperata di libertà

 

 Siamo tutte spose

  di ogni velo

di Libertà

 

 

 http://www.youtube.com/watch?v=rHEHL_ZnGWY

   

 

 

 

 

 

 

*

Vergato di tenerezza

Mura lucide nel vivido chiarore

Straniante intensità che nel buio spaventa

la vena violenta, piramide di carne minuta

e dolore di indicibile grandezza.

Dove ll'l futuro si stringe

reciti l'Om Mani Padme Hum,

o quello che sai.

 

E' allora che trovi riflesso quel fiore

-un girasole- poi altri otto chini

La notte "Vergato" è bellezza, anche oggi

nell'occhio che chiude e colora :

i bastoni erano steli,corolle i boccioni

uno a uno rivolti al loro sole senza capelli,

soltanto nei petali  l'll vento,

nella gabbia che chiude,che dondola

....sono flebo di stanza, ogni fiore

Piangono linfa,lentissime gocce

la notte si chiudono, nei loro occhi

di ogni passo l' orientamento


-E' preghiera che esalta il dio delle cose

delle piccole cose dentro una stanza

cogli un'immagine,la traduci
restituendo bellezza a qualcosa

che infastidisce,sul momento, gli occhi

ne chiudi uno,allora...

 "Vergato"

di tenerezza

 

* Vergato è un tipo di carta che in trasparenza rivela una sottile rigatura

*Vergato è il participio passato di una botta

*Vergato,la propria firma, è l'ultimo appennino visto negli occhi di mia madre

 

*

Poso la gola a terra

Sapevo come fare contro la febbre maligna

che  prende i cavalli ai polmoni,all'ape colla

con un coltello aprire la  vena,a misura giusta il salasso

poi li facevo bere al biondodidio.

La sera  gli davo cortecce bollite di quercia che balla

otto giorni e stavano bene,il  male tornava lontano,

spento, tra i sassi Generosa la vita,

mica ti  metteva addosso le mani !

gli occhi neri erano arditi,i polpacci ribelli

 

La terra  torbida sotto i piedi di novembre

lo scalpiccio riporta i sassi, bollenti

la febbre è tornata come acqua scura

troppo sottile la vena, sfilato il coltello

Ho le mani addosso di tutta la vita !

Raccolgo i pesi nei pugni,inzuppati

come un rosario  infilo quei grani

per ogni giorno  concesso,Ringrazio

                                           -non valse più in un momento-


Trema d'inverno il canto,oscilla nei campi

-Poso la gola ,  a Terra- Silvana

dove l'ombra impastò il sole le vesti estive,

un cuore sudato, dove la pelle fa male

pronta al taglio di nuovi aquiloni

come il graduale di un pellegrino

-silente, come Betlemme-

 

( A Mia Madre)

*

Morendo al niente

C'e' un tempo forte, di notti rare

e uno debole, di lunghe sere

un format l'll  battere e levare

l'assenza e la speranza come fiere


Si sono visti in fronte,nella nebbia

come cervi tenaci e occhi vivi

l'll raggio di grazia non diede anello

scivolato dalle mani,diminuendo.


Un poco a poco l'andar via,come forcelle

chiuse da un tempo allontanato

dipartendosi nel piccolo cerchietto

avevan  detto -Aman Aman-

Solo l'odore resta, forte

cicatrice che non chiude

 

Va, l'll profumo,

smorzando,

separato dallo sguardo

morendo al niente

*

Visione debole Più di Tutto

le pietre sollevi, con le mani

compone un tempio

la ragione dell'oltraggio,

la comunicazione della violenza

-materia greve- visione debole

cera flessuosa-timido ostaggio:

efficace per i Suoi scopi

per come amava, sacra,

devastato angelo

simulacro d'argilla,

sesso penetrabile

taciti lo strazio, dove

fa rumori il mondo-incapace

di suoni

Tremendo insulto l'esilio

di voce

(senza riverenza nè stupore)


Tieni aperta la tua intelligenza,Lorena

il tuo amore anzichè il contrario

sono la forza,

la differenza

 

Palude la cultura,

la cova

dalla parte dell'ombra

-coltre, in mancanza di prove,

l'assuefazione-


C'è fierezza nello scrivere

di te stessa

l'ascolto del proprio corpo

in stato di grazia

svela un taglio

nell'ombra

e dentro l'll segno

carne linguistica,

materia organica

della caduta di silenzi


Più di tutto

il divenire Donna

rigenera

la libertà,

la dignità

"ni una mas"

 

*

non so chi sei

Luce di un atto d'amore

che oscura i diamanti

carni di fragile bagliore

circuiti di brividi efferenti

la forza di ricevere la vita

confusa nel dono che trapianta

 

-Ti svegli-

nel miracolo

avvenuto

 

non-so-chi-sei  

chi

amo

 

 

*

senza scelta

c'è nel movimento l'emozione

la sua psicologia assoluta

come il fremito dell'erba, senza scelta

è il coraggio che risale la paura

quando ti getti acqua sulle mani

il sudore va a finire nel ruscello

è annunciata la terra !

le creature sanno che Tu tremi

*

IncendiAria

Liquido metàfisico

incatenato a un legno

esisti,nella sensualità,

nella mia più segreta

armonia incendi-

aria, racchiudo tutto

di erbe secche destinate

i resti sono linfa,

provata vita.Di una luce

mi rendi gli occhi  chiari :

dovunque sono- io

io- madre,mi vorrei

*

Ti sentivo deglutire

Ti sentivo deglutire

respirare in contatto

poi espanderti fino

alla Giada,il luogo

più povero di tutta

la terra, nella Ricerca

-a ritroso-

struggente annegamento

di felicità

mi asciuga il volto

-senza equilibrio-

*

Shirvan

così, mi lascio avvolgere,

nel shirvan, come un sudario

per non toccarmi gli occhi

col Moloch di cemento.

Esco, a notte, tra gli antenati

nella caccia selvaggia,tra le belve

contro i sabba e lo sbattezzo.

E' tempora d'inverno,

e dischiude la mia saliva l'olio

la creta dei segreti messi

tra gli alberi, si allarga

la corteccia, il fondo livido

che la bambina vi soffiò

in ginocchio,sopra l'erba

quando a vent'anni

si incontrò con i morti

e non sapeva

di pregare

*

memoria cruda

c'è odore di latte intorno

su  per  le mulattiere

procede con discordia il giorno

la quotidiana morte  delle sere

si rigenera come follia

il pozzo di giacobbe che bestemmia

 maledicendo il cielo

la sete inzuppa di tormento

infine la memoria cruda  il gelo

disimpara del  perdono sul momento

 

Sgranando sabbia in fosforo

il rosario

*

sul mio polikarpov

Tra l'll mio mare nero e il caspio sto

rientrando alla base sul mio Polikarpov

spietata strega della notte

di tela angelica di legno avvolta

d'aria versata negli occhi

bombardo di volontà,bombardo

e amo come grandine sparo

pronta  a farmi fiaccola in aria

solo per Te

*

Il simurgh

Siete venuti spinti dalla palude,
dalla caverna magica d'acque scure,
inconoscibili, tanto uguali
nati due volte tu e l'altro te stesso
fratello e madre insieme
nella grotta tiepida, dipinta d'ocra rossa


vi ha partorito e stava
come essere il tuo doppio
pochi attimi allo scambio
soffiando nel cordone, nella pancia,
ti ha dato il cuore, col respiro primo
tua celeste comunione, la placenta

magica come un'anima di terra
ti ha nutrito nel mare della vita
si è fatta soffio...ostia

e tuo gemello originale
 

Eri grande che ti hanno svelato

l'anima d'uccello, la consegna tra le mani,

il benandante


Qualcosa di numinoso e magico
che ti sospende ancora il fiato
nelle notti di quarta tempora

quando senti la chiamata
che ti fa volare profondissimo
a combattere gli spiriti
che tengon bassa l'erba
che non fanno alzare  il pane

 

-Non uccidere  la placenta
Non tagliare il cordone a tuo fratello
Lascialo morire di morte naturale
quel bimbino che rinascerà

anima-gemella-
 
Muta  nei dialetti 

la placenta
si svela al suono

 "nati con la camicia"
Sessualità, femmina innominabile,
divinità madre
alle caverne ti leghi, alle acque scure
all'ipogeo, alla palude è il parto,
l'origine della vita.

La tua paura, Uomo.
"Sacro" per te è l'orribile

l'inconoscibile del sesso
dove vita e morte si confondono :
la comunione è il corpo
il sangue della madre
la Placenta Celeste del bambino

 

 

 

          

*

El tango del Ocho

Vagava nell'aria torbida e una lama  stretta,

consumava omicidi quella notte,inseguiva il criollo

per vendetta del compadrito morto in Plaza Mayor

con uno sparo,con un inganno.

Dietro le pareti  sospettose avvenne quella raffica :

el tango del cuchillo

nella coda verde dei  suoi occhi duri,mi brillò

 

Andavo cercando Madrilena nell'arrabal,mia sorella,

come una incerta rosa valorosa della Sierra Morena,i miei natali.

Dietro  i bidoni,quel suono all'angolo della bocca,mi tradì,

scambiando delle sillabe  l'ordine alle parole verse,

narimi,nell'arpeggio balbettò


C'è altra brace  nella polvere,c'è dell'altro:

il peso della  spada silenziosa,

nell'asfalto  i miei piedi nudi,il ciuffo nero

e quel segno,l'inciso innominabile alla  sfida,

il giallo in ali al petto il rosso:un simurgh

come un geco il tatuaggio,mio  orgoglio,

per tre dirham mi svelò il respiro,

tra queste cose,in un cantone  del suburbio,

per un grammo mi mondò.


C'è stato solo il tempo,solo il tempo  dell'ocho

una milonga per me, in un istante eterno il canto

-senza un prima, senza  il dopo- l'otto

al mio eroe,un coltello del nordest,  ci unì

Nel passo,nell'elegia,mi feci donna improvvisando il salto,

"el tiempo que trama  en la milonga venturosa

la fiesta y la inocencia del coraje,odo l'eco en  un istante

brillaron le mani de color dell'Alcazar en la vereda"

appena eri ombra scura,e subito perdido.


El Sur custodisce  quel segreto,

di  guerra dei mosaici i fiori

dove la pelle luccica la fiamma del ritorno

Qualcuno fece il nome,qualcosa anche

si disse in un cantone di un  coltello,una stazione.

-Ti sei giocato la vita? -

Mi sta cercando quel nome,il  brillio del dono.

Solo Dio può sapere ciò che si cela nel nome,

il rigonfio del coltello,

"en los ojos el brillo y cerca corazón,el bulbito"

 

Ed ora io, sul  patio col pergolato,sulle cime della Sierra,

all'alba dell' ombù, nelle mie mani dure

guardo brillare le vene come tendini di un laccio 

dove s'intrecció la  nostra storia  a nuove pietre


Un Solo Nome, in fondo, resterà

tra queste cose del tempo,

dove ho  giurato in quel tango

del Ocho, l'Amor

 

 

 

 

*

The click song

Qongqothwane

con sillabe a gruppi 

hai lasciato cadere

le prime vocali

sulla terra appartata

come Miriam Makeba

appoggi la lingua nei denti 

all'indietro cerchi lo schiocco

lo scatto ancestrale

È così che nel fumo ti trovo

nel buio distinguo 

tra  grovigli e rumori

di orecchie piene di fitto 

il passo che vibra le ossa 

Mi scopre la pelle

il tuo arrivo  l'idioma

come i delfini- ti vedo

mi vedi- 

noi come ciechi  

nelle stanza di fiamme 

troviamo la porta

nel click

l'eco della salvezza

Come back

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Custodi delle porte

Sogni di carta

Patti di reciproca fiducia

nel punto cieco, animali

in grado di leggere

verità non reali

sul tuo piede d'avorio

errori non falsi

Ti offro il mio corno lucente

nel palmo della mano

l'oscuro grigio

di una perla preziosa,

nell'altro

Indovina Tu

il Bambino d'Oro!

 

*

Ortodossia

Figlia di un assoluto

La pelle aderisce perfetta

Oltre lo scisma,fedele

All'amare,ortodossa

*

La danza pervinca

 Scioglie come ghiaccio negli occhi
giù come perline celesti
tra i seni raccoglie pervinca,

un ansito blu quella luce
poi ci voltiamo e cominciamo a dormire
-così gli disse-
faccio la danza poi scompariamo.

Come una taglia su Amina

pendeva un grande dolore,
a dirotto premeva la gola,
sul palmo batteva il segreto
tra voce e mutezza,la sera
come una tenda che gonfia,
un latte che entra dentro la stanza,un biancobaleno
           Volteggio' cosi forte!
                                         Amina
sentirsi svenire le parve, morire
disidratato ogni volere
le sue ombre fino al foro del collo
come spazi che il bosco riprende,
il gesto lento dell'abbandono,

essenziale al perdono
immunizzò la paura del mutamento
l'infinito stretto in un poco,in un niente
dentro la stanza
un dito alle labbra che dice silenzio.
Alzò con dolcezza le braccia, con precisione
lungo il segreto del palmo che trema
tenendoci insieme le mani.
Giungerà il richiamo
dove l'acqua è più in su della vita,
dove l'ultimo passo si  trae nel primo
e scompare l'assenza di ogni destino

Stanza di perle-pervinca-parola antica

dentro il capanno a precipizio 

tra due pareti armate ancora di tutto
e qualche respiro là dove il tempo non si calcola più
Un anno, un passato minuto

a sciogliersi in  nenia,poi
solo il battere del sangue alle labbra..
a coprirti gli occhi nel suono
Dormi Mogù
-ripeteva-
dormiAmo, così 
va a compiersi la nostra durata 
dove ognuno esercita, a suo modo,  l'amore
Il suo modo di restar
a sè fedele come le note..
non può esserci nessuna nuova danza,in fondo,
ma se dai al movimento un particolare significato,
quello avrà un suono diverso
riuscirai a scegliere proprio ciò che ti serve....
a sparire
Occorre attenzione per riconoscer gli indizi,
la persuasione
La sofferenza fisica diviene corrente
fiume lungo il quale scorre un lamento
inonda di  bellezza nascosta cola dai piedi
dorme in noi. intimo moto d'amore
 Amina danzò. 
nel pervinca ,gli occhi gonfi di chiaro
una sorta di luce all'incontrario
che corre via   a chi guarda
sparisce alla vista per sottrarre dolore
a chi resta.Preservare non è follia,è purezza

C'è riserbo, pudore nel raccontargli la favola
tenerezza estrema nel suo filo di voce
-tienimi la mano,spariremo insieme-
Sapeva non sarebbe stato così.
            Mogù  non poteva
Deve partire Amina Risalire, pin pe obi
dove si cova di ogni lettera quella iniziale

                            pregare all'incontrario

assorbendo tutto dentro il suo cerchio
A Mogù aveva consegnato il segreto,
il netsuke d'ambra e preziosi con dentro
il filato in ninive,un trenino,
due gechi e tanti colori
Tra le dita  ora teneva solo una corda
intrecciata di nodi
nel verso che stanno cantando
Per tornare Amina non avrà che da cantare
 
                                                 al contrario.
 


*

Pasta Madre

Acqua e farina  -tempo

di rimandi -attesa-

di chiarimenti -cura-

costanza : di sottrazioni, di addizioni...


Riposo.


Vulnerabile tra i nostri volti

dove il buio si condensa

senza finire, dove seduce

una pelle  cresce da noi,diversi

Reciproche stringono le mani

la Pasta Madre,spezzano

i quattro elementi trasformano

farina della terra l'acqua,

l'aria il fuoco in cibo

impastano l'ora fatale,il luogo

promesso che lo circonda, muta

dove l'acqua scioglie e cede

infinite sostanze  senza voce

l'intesa fra tutto ciò che tace

Vita e morte insieme,senza scarti

c'è tutto dentro il cosmo il caso

la vita di batteri la loro fine

un processo di coscienza, il calore

delle mani  l'occasione, del mistero

avverti densità,la sua temperatura,

l' intimità  che commuove  della Madre

nello scambio il suo futuro,condivisione

la potenza della vita che propaga

un midollo cosmico quel dono,

placenta e Madre

Allogenico trapianto l'accoglimento

racchiuso entro i nostri corpi come pane,

ora, figli della stessa luce

che ci rende uguali, nel rilevar la pena

poi l'Amore

 

Erinni le nebbie fanno vuoti

scavano a mani nude inconscie

mutevoli vendette che ti amano


a intermittenza

 

tra dita  all'osso, tenta la vita

strazia nel canto, lacerata

rivoltata  dal muro, tolta


Cosa nascondi di bianco tra le dita ?

-un latte che entra dentro la stanza

l'infinito stretto in un poco,in un niente

che  sbatte i quadretti di un  foglio

l'autunno staccato a metà

 

Accade che i suoni non sempre

si sciolgano  in modo irreparabile

si sa, a volte, dove vanno a finire le grida,

rivolte tra  banchi l'un l'altra l'estate-

-indiana ripete il suo canto :

mentre l'll vento picchia l'll tempo tiene

le lingue insieme dispone sull'altare

unendo l'occhio al centro una Voce chiara

e dove  l'aria lascia che le Vocali sposino

un abito le veste in grazia

*

Uccideteci tutti, e poi seppelliteci qui

 

"Uccideteci tutti,e poi seppelliteci qui."

 

La vetta spoglia del Carajás tradì

l'll ferro nelle vene della terra in cielo

aperto, la cenere fece nero dell'inferno 

l'll verde fitto, Mato Grosso

la notte sui capelli 

taglia  le mani il cavo sottile

il fiume del Pyelito, una ferita

che beve, il luogo che conosciamo

Harakwà

terra di ferro ,di sfratto ancestrale

Implori di rimanere,invochi

le ruspe,il tuo massacro, Guaraní 

fossa comune le piste dei sogni

le vie dei canti antenati 

Nessuna piramide a memoria 

se non il suono piú prezioso

della lingua, raccolta di semi

di geni di flora,ancora fonte

del luogo che Tu conosci, di donne 

che sanno attaccare al seno

scimmie urlatrici e piccoli maiali

che hanno  allattato la foresta fitta,

sbriciolata in pane terribile

nelle tasche di tutti, come ladri

noi viaggiatori,silenziosi

non spargiamo voce

 

*

Nostra Graduata Madre

Vulcani di sabbia che mangiano case 
case sulla sabbia 
La nostra pianura morbida, priva
di consistenza, di appoggio 
la sabbia spruzza fuori violenta

da terra come fontana

Li chiamano vulcanelli all'istituto di geofisica
quando le case  ci van via da sotto i piedi 

Troppo tenera la nostra piana !

così di otto volte amplifica del sisma la forza ..

Come aver pelle troppo sottile o bianchissima 

occhi troppi chiari al sole

Come Stringere troppo  forte un bimbo

un'anzianissima donna

Ferite aperte nella terra

sono i segni della sabbia 

che scappa via dall'urto

traversando crepe pozzi pavimenti

ogni fessura aperta si fa spiraglio 

via di fuga e morte al tempo stesso 
Oggi I vulcanelli stanno li'

 coni di sabbia di niente,di pochi centimetri
allineati, come soldati semplici
sputati  fuori da nostra Madre Terra

con gradi, dalla pancia, 

come un grido di travaglio al peso

di tutte le città e troppe ambizioni
su quel cuore morbido che è
la Nostra  EmiliaRomagna

 

(31 mag

*

Emilia 29 May- Alle dodici

 

La sua forza raccolta come rabbia

a lungo covata

 Fa scatto  nelle ossa l'orecchio

non riposa I'll maglio

 inflessibile colpo  nell'aria la ghisa

La pompa dell'acqua perde  I'll comando

tra bordo e steccato trema lo scialle,  I'll ghiaino

C'e' ruggine in cielo

al boato,sangue di scolo

giá sette son morti.

Alle dodoci

salvata  da fasci in batista piegato di fresco

salda al suo posto la mano

 s'abbassa per stringere ....sola  

un cellulare

Ha scosso la terra le torri più ' alte  le chiese

abbattute, cede Cavezzo vuota di sotto

I'll sottosuolo s'avventa

strappa I'll suo spazio quel peso

Nulla al suo posto

Come altrove, qui accanto

Allora stai con chi scuote

 Perchè dentro  gli trovi l'll garbo, la grazia

a misura I'll silenzio d'epifania

 unheimlich....

C'e' questo confine di CentoChiodi

 a chiudere I'll cerchio la condivisione

 

(sono 17 le vittime,tanti i feriti , oltre trecento,gli sfollati migliaia

ora che trascrivo a  poche ore da quel boato)

 

 

 

 

*

Ovunque proteggi

Chiamata senza appello l'll suo canto

non da tregua la Terra fluttua nei fianchi la notte

t'invoca rapace come un sesso violento

svuota le ossa
Epifania di piste  irresistibili
avvolge la danza, un nastro chiude le punte
la grazia, il mistero che dura 
ti entra negli occhi
una vertigine sacra che sbatte alle tempie
insegna umiltà
s'innalza,si allarga si espande
protende di metri il suo fianco
nessuna afrodite a sbucare
a colmare l'impronta
di cosa l'è stato portato via
solo un lungo respiro, s'abbassa,
indiviso, un fiato idomabile
dilata il nero del cielo,
tutto s'ingoia.
 L'orecchio è scattato di colpo...nostoi

....La vita allora era atillata
da un solo fianco la mussola, nel collo un solo foro
il cuore prese a balbettare
sgravò tra le gambe ninive, come preghiere
le faceva passare attraverso ciambelle di pane
otto gocce di miele, a sognare:
"pellegrina" la donna
accorcia stoffa alla vita
più scopre più rivela innocenza,
seni primitivi di latte
traverso la grata di rete
a protezione, a rifugio;
sotto i veli bianchissime bende
di lino ebraico, insospettabili
annunciano ulteriore bianchezza,
senza bisogno di fare domande
le morbide curve del ventre
scolpiscono
nella cautela la cura.

Il liscio che a tratti spiazzava
ancor fa sottili le palpebre 
d'amore il colore che brilla
Un anno-cantava-
0vunque proteggi
io voglio restare
 
Lo scalpiccio di zoccoli fu
come un sestante al risveglio
che sa dove ti trovi nel caos
Ventisei respiri al minuto
l'll tempo a servire
l'onda di un passo che gira le viti
a tornare.

 

 

 

*

Nel taglio di Matisse

 Arbitrario commuove 

l'll taglio,di intimita' 

la trasgressione, la curva 

del collo, che sanguina e manca

 

Mettici  l'aria -tu dici -le dita negli occhi !


Scompone e colora l'll dolore 

l'll cucito...la terra bruciata

scrive i suoi vuoti di sogni

andati altrove( a morire)

 

Aveva  ottant'anni anni l'll bambino,
costruiva disegni, sapiente e scapestro

tagliando le carte del circo ai nipotini 
mangiatori di fuoco, clown e bestie feroci


D'istinto, la forbice in aria

Un colpo d'ancia di sax come Bechet ,

virgole, frange..come Stravinskij  

sincopate le trine  scendevano in gola  
i guizzi come Ravel ,i giochi di Vian 

a proprio rischio quello che va,
cosa ne resta, la schiuma

dei giorni. La verità 

penetra nelle figure , a misura 

le mani  serve,contorna  al vivo  lo sterno  

cesella l'll malleolo, divarica l'll foro  la  nuca 

di getto, vuota la mente di carta 

le note di un canto,le corse.

Le grida. Anche un pianto

è freschezza, che senti 

nascere sopra,la devozione

suo alfabeto, da orecchio-

a orecchio,lo scatto.


Nei fiati oscilli  .. Matisse

nell'opaco sicuro  dove il taglio  s'adagia 

nel dolore rimosso ai bambini 

una scia arbitraria di luce

s'improvvisa nel sangue

l'll tuo jazz.

 

*

Cacciatori di miele

dove l'ombra s'addensa al dirupo

fila il bambù del khukuri,

le corde sottili  dell'anno.

con una preghiera

di fiori di frutta, di riso,

 

 

prima del fuoco.

brillano le Laboriose,ogni pochi secondi

lucciole nel fumo pulsano

gli alveari più grandi del mondo

i nidi in ghirlande d'oro, i favi


E' limpido filo sul viaggio lo sguardo

nervo scoperto tra costole fragili

un laccio alla vita, la mira che taglia

dal vivo di pietra,le api in dolore

 

Pulsa e risale la caccia un lembo di stoffa,

un capo fiorito, la mussola

l'll seme di nido reciso

cervo nelle vene giallo che vibra

aderente,si fa carne al bisogno

la bocca nel cerchio di miele,

pezzi violenti  di vita nelle mani

sfumano le laboriose  al filo.

 

Nella fata verde, di emozioni crude

si mostra ora  la distanza

in appiglio la verticale

sangue di miele,Sua khatat

primitivo coraggio

strumento di libertà

 

 

*

Bad hejab

Comunità e confini s)piegano l'll mondo

una certa idea di mondo:

le donne iraniane in posa

per essere libere


si stringe l'll rupush

Bad hejab

dove la frusta s'allunga

 

bad hejab ..

nel gesto minimo di due donne

l'll colore s'impressiona

sguardo d'acciaio

dolcissimo sul dolore

di confidenza-

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Il ritorno,Suo zahir

Troppo minuscola la distanza

fra te e Te e la terra fitta

del ventre non conosce  il circo_stante

solo l’ombelico

l'll resto è ordinato buio

nei suoni di altri

più volte c’è da cadere

per incarnarli


Una membrana doppia

tra i nostri occhi vedenti

e lo sguardo altrui, c'inchina

solo l’ll ricordo dentro il becco

quando lo tocchi , disegna

la sua punteggiatura l'aria,

nel suo compiuto carico di attese


Risorsa inaudita e' fare un  passo

dentro la paura

Spostarsi  nel fiume carsico  dei  segni

fare  spazio gravido l’istinto


Migrazione è ogni volta un  parto

di quel suono che fa l'aria quando migra

luce dell'acqua dove cala l'll sole

controcanto l'll ritorno, Suo zahir

la guarigione

un Voto  di conoscenza che ci attende

come stimmate

la sua affettiva corrispondenza

 

 

*

Di notte tutto rinviene

Di notte tutto rinviene

-se ci passi sopra le dita-

dove vanno a finire le cose,

 

tra la risacca e l'altura

agli angoli tende la nuca

riflette sul dorso la fibra

ai fianchi la crepa nel nome

lambisce origami e tre balzi

 

 

le spalle serene di schiena

se ci passi sopra le dita

dove vanno a finire le cose

di notte,tutto rinviene

 

 

*

Kotatsu

Al fondo del kotatsu

dentro quel pozzo di calore

con le gambe a penzoloni

come un altro cuore

ti proteggo

Te lo dirà la montagna

del vento e dell'uccello

che le ha viste pulsare

cercando una preghiera

nel tempo che manca

a quello spazio

 

 

*

Dwa

Ve do vo,ti sillabo

padre,ma non comprendo

solo facce d'altro

altre facce al mondo

 

Tu sei chi:non sta in due

 

Dwa,la sola sillaba

l'll nesso tra noidue

doppio l'll tuo dolore

sempre figlia invece,io

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Se te


Angolo di se_te le parole
della donna che hai nel volto
nel tuo sonno lieve convocata
la parola viene a dirti che ritorna
come buccia tra le dita
come bestia infin di vita
-non è questa la realta?-
oh, allucinazione!
trasferire la realtà nella visione
la descrizione nell'immaginazione
lo sa Flaubert,che non provoca terrore
che le bestie son di gioia a non mutare
che noi bambini siamo ladri coi fucili
e difendiamo Nostre possessioni
arrotolando l'll filo torno torno
a quella strana trottola ch'è l'll giorno
forzando di trovare l'll senso
all'invenzione del silenzio
alla saliva della luce
agli occhi espatriati.
Si fa dimora e forza antica allora l'll gioco,
la danza che riprende l'll filo della scuola,
tutto essendo nulla si ripete
per questo

si ricomincia dalla Se_Te

*

Le vie dei canti

Tappa del respiro l'll bordo

traguardo  la finestra per tornare
prima come mai disinfettate
a volontá e piano s'ingrandiscono

sull'orlo-le parole- 
mostrano di parlare con mezzi di fortuna
di capirsi nascondono,

fino all'ultimo respiro,provarsi

delle diastole c'è l'll tempo e uno delle sistole
seducono così ,ombre nell'acquario,nuotano
é getto allora ,un Ararat

 l'll doppio battito, tempia sorda che sbatte

uno scalpello agli occhi

e fatichi a trovare misura nella sintesi,
traverso la scia delle parole,dallo scarto
estrarre la semplicità,l'll linguaggio delle cose
-come mai ti basta il cuore-

dove puoi dire? A chi e come ? -
a dirotto preme la gola l'll cloro
quando nella bolla spinge  e lascia
sul palmo i segni come pioggia,profughi
battiti segreti in forma d'aria
Tra mutezza e voce, Noi

-più fragili di tutto-

 

http://www.youtube.com/watch?v=8vDjkAifR9U&list=UUDSZDU1TZWX8z-6rkQ8fSdA&index=3&feature=plcp

*

La lepre delle Ganzole

Sai tu la lepre delle Ganzole

 che scarta piu' della Piana?

Negli occhi grandi di xeno

le scorre a morte  la vita

quando d'un tratto si volge

rovescia I'll destino, fuggiasca

ubriaca zigzaga,in apparente suicidio

coglie della curva lo strappo, dei fari I'll binario

seguendo allo scambio I'll contrario

alla luce come del vento

dell'aria si fiuta l'amore

cosi' nel cono di buio

la curva le dona la vita

sulle Ganzole,lo sa

esserci un nero come un sol occhio

che I'll vero trattiene, la Piana

si mischia al suono l'll rumore.. ...

pulsione improvvisa degli archi i fanali

rischiando inesausta, risale un senso continuo

sincopata ti pare,eppure è dentro, t'invade

autentica, spiazza la linea del vero

la voce gonfia come Tom Wait,la rotazione

s'inchina come betulla,piega la nuca

disegna  lenta del corpo una preghiera

si ferma  nel suono piega nel simbolo il segno,

l'asfalto al nuovo bagliore si stende
finchè offusca la vista

allora il tempo non conta già più e

come libellula nera entra nella bocca dei fari

si avvicina a un dio,zigzagando

la lepre ,le Ganzole,la Piana

riunendo

 

 

 

*Le Ganzole sono un piccolo valico dell'appennino bolognese,un tratto  particolarmente tortuoso  a collegare Sasso Marconi  con Pianoro,dove le lepri hanno imparato la sopravvivenza dei tornanti,più veloci,a me pare più allenate in questo  di quelle dalla Piana,i motori arrivano gonfi in salita,come Wait nella voce

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Pennabilli,l’ll rintocco di Lhasa

Impasta morbida la pietra di lingua materna
-salvare il salvabile anzichè piangere
sollevando bianchi macigni-
scioglie i discorsi traduce in agire
c'è un fiore caldo sotto la mano
un tocco di grazia-vieni.... mangia-

Un viaggio in avanti nei frutti dimenticati

cresce imparando nel bianco

di poche sillabe preme la testa

conFuso in preghiera si fa l'odore dei frutti nel pane

chiaro degli occhi sui Rulli di Sera

l'll rintocco di Lhasa

tra il pero cotogno e steli di pietra serena

nel bosco incantato entriamo come bambini:

-c'è mia madre laggiù

nelle mani dell'estate

spalanca la finestra sull'ortensia

un sorriso le sale tutto il viso

per il risveglio del vento,poco a poco

Le ho detto:-insegnami ancora,aspetta.. ...

dimmi del movimento l'll segreto

del rosso di Alhambra l'll filo limpido

nella luce lenta della sera-

E'  intenso a Pennabilli il vento,

percuote l'aria,lievita,

si solleva, sorride e danza

colma di no(t)te e respiro

nel suo tessuto più tenero

mi spande di cenere e amore

 

http://www.youtube.com/watch?v=p4_FcAXVeXs&list=UUDSZDU1TZWX8z-6rkQ8fSdA&index=2&feature=plcp

 

*

La Gemma Grigia di Gargath

Elba è quel punto, l'll suo nome,


inno sanscrito,  la respirazione,  
il suono di goccia che cade
dentro quel buio.  E sulla fronte

ha raccolto l'argilla dal lago,  la donna, 

la pasta di sandalo rosso per il tilaka.

Dall'altra parte del mondo

inpira ed espira

scompare e ritorna. 

 

come fare a vederla -mi  chiedi-

tieni la Gemma, la Grigia Gargath 

una perla che tiene in contatto persone lontane,  
che scambia nei sogni parole

nel tempo la vita.
Se sfiori  il di dentro se muovi le dita

le vertebre senti mancare, una falange a metà.

Manca ciò che deve essere protetto,

custodito, traslato dall'Universo a Noi.

 

E' così che la donna ti sente spostare i capelli

chiamare nell'albero rosso, 

come un figlio perduto che torna,

e rimane.

*

Stabat Mater

Mi pesano le braccia in casa

gli occhi si gonfiano per eccesso di dolore

non di lacrime.

C'è una donna leggera che mi attende

Silvana,luminosa

copre  la mia ombra ancora dilaniata

acerba  come i fichi, sulle alpi i bucaneve

Sono notti e notti che cerco di curare l'll cuore

in sè stesso più grande del dolore

più forte di tutto quel che c'è,che è

senza nascondergli l'accaduto

l'urna di luce si fa la sua grandezza insieme

la sorgente diretta della forza

Entro qui..così,con gli occhi chiari

gli anelli stretti di ricordi..protendono nel suo vero  nome

dicono...-Mammet !sono tornata....

fa quasi freddo..già

 non lascerò più la finestra aperta da domani,

solo poco poco,a giro d'aria.-

Non è incrinato il cuore,la voce sola stenta...

mormora che verrai,verrai  a conoscerla

le braccia allora si fanno d'abbandono..

fa cuore nel mio viso la tua ombra

C'è una vita solo nostra- tua e mia-

estranea ai giorni, che scava gli occhi

più grandi dei silenzi

delle notti seminali abitate dalla fame,

una vita immobile ferma sulla radice delle cose

le Parole

 Un'esistenza fatta di visioni splende "estrema"

-Più che vissuta contropelle è intatta,sai?-

nelle pupille chiuse evoca i nostri cristallini chiari,

non c'è polvere nel coraggio

non paura nella fame,

sta imparando che  l'll buio è un eccesso di luce l'll nero

e niente è la parte di una cosa altra

che è l'unione del contrario l'll suo splendore

vegliando sempre,come vestali l'll fuoco

Sappiamo nulla di promesse,di crudeltà,paralisi o consumazioni

ma possediamo la parola visiva del luogo

del dove  giorno a giorno ricomponiamo mut(u)a la vita

Non credo sia esperienza la nostra,non la mia

nemmeno la ragione ci conduca

che sia rivelazione è l'll mio sentire

voci che si chiamano in palude e non si vedono

rivelazione dell'incomunicabile

Quel gioco indicibile del silenzio  con la luce

risuona senza requie apre una via al sempre

muove montagne di Ararat nei corpi assenti

La roccia non sa inventare...credimi

è così grande da dividere in chiarezza l'll buio

nell'ora esatta di quarta vigilia  ti chiamo

ognivolta sogno,stringo l'elefante

nell'orecchio debole  gli accosto l'll grande e ascolto,

indovinando l'll gemito di quel bambino

se sarà felice ...

afferro allora le ferite,le più profonde

dove la neve non si vede

le colmo di miele nel bianco delle vene

con le mussole che mi hanno messo a nudo

mi vesto,mi coloro

torno ogni volta a splendere

in Stabat Mater

e..sogno di quella felicità

che mi rimane

http://www.youtube.com/watch?v=RXzqMPU6XQg&feature=share&list=UUDSZDU1TZWX8z-6rkQ8fSdA

 

 

 

 

*

La preghiera di Narimi

Quella notte la risposta fu abbagliante quando mi svegliai

alle quattro del ventisette luglio

-corri da Lei-

Si era consumata a tre quarti la candela benedetta

il 2 febbraio di tanti anni fa nel giorno della Candelora

una donna di mare me ne fece dono

incartandola dentro una preghiera

accompagnò le sue mani la parola di raccomandazione:

"Accendila solo in caso estremo,quando non c'è più niente da fare."

Durante questi venti anni l'ho conservata in alto

nei mobili più alti, più vicini al cielo,lontani dal dolore

Nei momenti difficili l'ho sfiorata poi sempre riposta

ho creduto non fosse l'estremo dolore quello provato

ce la posso fare-mi ripetevo-

deve esserci qualcosa di più grande

per convocare Dio

La voce spezzata di mia madre

bagnata nei capelli come una bambina

appena nata

conteneva quelle parole:

"non c'è più niente da fare"

dieci mussole sono le garze imbevute

gli ultimi sorsi d'acqua succhiata

dalle mie mani tre volte

tenevi tra le labbra sfinite le garze ,come ninive

io pregavo te le porgevo e pregavo

narimi,sussurravo,rimani

negli occhi avevi"non posso"

ed io ti ho implorato :Perdono

 

Nella notte piena mi ha inondato

la vigilia della sue parole

nella camera bianca, le sue braccia affaticate

lungo le mie spalle, a dire fai presto,

fai tutto quello che puoi,corri.....

Non c'è più niente da fare.

Sono uscita dalla stanza

con un compito ben preciso da proteggere

Ho aperto la carta che conteneva la preghiera,la candela

solo allora ho compreso il senso,la misura esatta del tempo

 e tutto il lago nel cuore

Quella candela sarebbe durata solo...

il tempo degli Angeli

si era consumata tutta, meno un quarto...

il tempo di raggiungerla

Il tempo dell'uccello che canta Narimi all'alba


Le cose aprono fessure segrete

i numeri tornano perchè così qualcuno ha prestabilito

sapeva da tempo mia madre della sua imminente partenza...

sapeva Lei,Zingara,tranne Noi

n anno di Vita..Kurskaja Kosà,

per prepararci al distacco...

credo questo sia stato il suo dono,

il più grande,L'Amore

le garze di mussola nel numero giusto

il solo fianco,il suo dolore le Ninive...

quante preghiere inginocchiate in un anno

gli amici del boscovecchio,le fessure i segreti la creta

di loro sempre mi chiedeva,dei Geni

Infine ventisei respiri...

entisei volte hanno girato le viti

alla vita la sua casa di legno,avamposto sul mare

Ho chiuso gli occhi...

a venticinque ho detto piano +1 è arrivato

...l'ultimo foro.. il sigillo a tenere il segreto
la neve
il rosso nudo del sangue,sciolto di ceralacca

un premio di luce

è una piccola pace quella che sento

nel tormento del lutto,l'amore

tante cose da dirLe ancora segrete , sfinite

Gli aghi dei pini cadono quando è ora....

quando è ora

Narimi

resta il dolore,contiene tutta me stessa

regge il mio passo,nel bosco, senza fiatare

fino alla radice del foro

stringo le mani le garze imbevute

le trasparenze degli occhi

chiari ,che niente nascondono

Lasciami l'll tuo coraggio

-le ho scritto nel suo avamposto-

La tua paura di niente che mai hai avuto, deponi

nel cuore mio impaurito e solo

una niniva di mussola

sottile respiro di quiete,la neve

 

Ho messo nel pugno la corsa,durante la messa

la rondine,la traccia,il fianco,la tana

stringevo le zampe la cerva,il mio bosco

la niniva,come come una figlia 

l'ho messa ancora al seno,attaccata

le ho dato da bere la luce


Inginocchierò gli occhi, alle 7,45

come un muezzin canterò

ogni mattina, a quell'ora

come l'usignolo ....Narimi

UnaVoltaPerSempre...nell'8sdraiato

MammaRimani

 

http://www.youtube.com/watch?v=xk_B1e28w_c&feature=relmfu

 

 

 

 

 

 

*

Lo sa Alifib,lo sai Tu

Un colpo di luce nella nebbia
scioglie una nuvola, scolora
la lunghezza della notte implora
dentro l'acqua che ti aspetta

che non ha principio.
Tu che nudo hai imparato

come si tiene in piedi il cielo
nuota!come un uccello sul dorso!Và
E' struggente itinerario di purezza l'acqua...sai?
Lo sprofondo della paura

sgomenta l'eden del desiderio
slaccia gli schemi,

stravolge in metafore e naufragi
Anch' io avrei voluto un mandala sul seno

invece ho solo un neo!
Non vedi le farfalle?  ti si alzano dal petto!

a millemila,fino a Monte Mario

fino al bianco tra le ciglia
nel viso più nascosto

siam per mano
Spingi contro i reni

quella goccia che s'allarga nera
Inizia a respirare !
è travaglio l'acqua è contrazione
pulsione l'accoglimento,
l'onda che l'll vagito stende
di darci alla luce non può finire mai
Morire è generare un atto magico
la ghirlanda nel disco dei pesci che resta
Lo sa Alifib,la rosa...lo sai tu
a muoverti nelle mani l'll fiato

me stessa sono te
un buco di luce noi.
(Nell'ora inesistente

una donna d'acqua
sente l'll tuo odore
l'll tuo bislacco accento)

 

*Monte Mario,un magico promontorio che domina Sasso Marconi

 

 

*

L’alterità mi attrae,l’ll non-umano

Col corpo vivo con le passioni

l'll non-umano l'impensato

senza perdermi senza perderlo

l'll Bosco sento nell'orecchio Vecchio

gli animali che escono dall'occhio chiaro

dalle tane l'll jeko l'll merlo dai cespugli

alzano templi nel mio udito l'll monaco,la cerva

nel linguaggio tiro l'll sasso,nella vita

l'alterità irriducibile in quel tacere

sperimento e vivo

apro uno spazio,come sogno

l'accolgo in me,la singolarità

ci giochiAmo insieme la somiglianza

la diversità

nell'Altro-non-Qualunque-non umano-

mi riconosco

 L'Altro che mi riGuarda mi sta a cuore,

mi ha a che essere

tanto più potentemente stride immenso

nuda al contatto di gioia mi attrae

*

Quando risuona l’Asham

Risale per nodi la mano l'll bukhara

arrampica piano la scelta, l'll rimando,

la disposizione segna radure,

approdi, rifugi del sangue

la regola l'll movimento

filtra la supplica,essuda l'll pensiero

purifica, la montagna si fa copricapo

sua kuffiya, la radura moschea

a tenere segreta la luce ,come d'inverno

era scalzo  l'll tempo di Amina

l'odore dei nascondigli esploso sul viso in minimi gesti

Patate e riso,a Shimshal

aveva barattato yak con jeki brillanti

melograno con latte e chapati

Su un fuoco  ottanta mondi lontano

Mogù a terra, tiene una pentola grande

un piatto di ferro di riso e fagioli 

bruciava dell'aglio contro la piana

della paura strofinava l'll suo fianco

annusando la luna

Una donna sbatteva la luce di là dall'amore,

dentro un mortaio sul tetto del cielo di Srinagar

cospargeva di semi di lino

un seno inquieto di neve

tra i più belli d'oriente,tra acqua e montagne

cuoceva gli agnelli del caspio e di Dio

mentre pregava il ritorno della sua mente

-stretta tra i ghiacci del Pir Pnajal-

invocava il richiamo del muezzin

di Roza Bal,della fede

quando risuona l'Asham

 

 

*

Un filo alla gola

Un filo alla gola .. ... di kashmir
regge nel clima che muta

l'll rigore del buio
al tatto la seta a graffiare la roccia

l'haiku,nelle notti più fredde
di steppe,di resistenza pashtuni.
C'è un segno,un sigillo dravidico,

vieni a vedere sul ventre !

i lapislazzuli scavan negli occhi

il turchese come una mappa

lungo  Kunlun,dal Caspio a Kandahar
una pista di scambi di pelle

nella gola delle Porte di Ferro
fino al Tigri conservai nella lana Ninive

fino alla porte del Caspio,piegai ad Herat,

per una rosa,poi nella terra dei Seres
giù fino a Sera per la porpora

l'll burro da barattare al pedaggio
Cercavo Mogù sulle alture innevate,

ubriaca di vento,tra i rami di telajen

lente parole,una lingua inventata,

un himan,per non tradire le cose