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Raccolta di poesie di alessandro venuto
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

La stella del Nord

Tu sei il sole che

s'alza al mattino, 

e splende su tutto. 
Io, silenzio 

di clausura e 

notturno. 
Tu sei suono di voci,

carezze di mani, 

si dispiega 

tra le labbra un sorriso

a mostrare un cuore

che batte. 

Se gli uccelli sono le stelle del giorno

che vagano per l'aere 

tra stridi gioiosi,

io sono la luce 

fissa del Nord. 
Se puoi, amami per 

il tempo di un cerino

che arde e subito 

spegne. Di più 

non c'è modo

che io torni 

a me stesso.

*

Come un lampo nel cielo

Della tua semplicità 

apparente

pervadi il mio mondo.

Resta ineffabile.

Sei l'unica a cui chiederei

Resta, se ti va, 

un po' ancora. 
Non rispondere. 
Ogni silenzio

è preferibile

alla certezza di 

una presenza. 

La compagnia di una Musa

rende preziosa la solitudine 

di un poeta 
come un lampo

nel cielo.

*

Il battito

Se tu sapessi...

Oh, non ne hai idea. 

Della tua vita mi regali

un battito,

nell'attimo dell'abbraccio

in cui mi rendi reale.

Poi, nulla.

Più nulla. 

Il cuore degli uomini

è un organo 

di fiamma.

 

*

Creature incompiute

Tu non hai idea

di chi siamo.

Parli parole che

le orecchie sentono,

non i cuori;

hanno una lingua non scritta.

Copri di nero gli occhi,

traccia linee dritte sulle labbra,

avvolgi il collo nella calda

pelliccia. Senti il bosco odoroso?

Per nove giorni e nove notti

ho offerto me a me stesso

sull'albero sacro,

cercavo saggezza,

ho trovato le rune

solo per ricordarci

chi siamo.

Senti il ruscello che chiama?

Se chiudi gli occhi,

già corriamo sul sentiero

di foglie caduche,

già vibriamo al vento

agognando la notte.

Nessun riposo ci doneranno

gli Dei.

Siamo lupi, corvi

e civette.

Il crepuscolo è la nostra

ora,

creature incompiute.

*

Raven

mi sveglio

da una notte

insonne,

esco; 

l'aria gelida farà il resto.

all'ombra di un doppio

arcobaleno tra i faggi,

mi bagno nella pioggerella

sottile dell'alba.

là, dove i sentieri

si incrociano,

lascerò ogni fardello.

prima i pensieri,

poi le emozioni.

là, dove i sentieri

si incrociano,

lascerò ogni fardello.

prima i vestiti,

poi le paure e l'attaccamento.

la mente non ha limiti

che non si pone,

il corpo non ha limiti

che non può superare.

là, dove i sentieri

si incrociano,

lascerò che si fondano

come acqua versata nell'acqua.

I due neri corvi del dio

testimonieranno al suo unico

occhio che nessun io

è arrivato al suo cospetto.

Eccomi, dunque

a casa.

 

 

*

Vajra

Della mia vita non conosco

che ciò che sento;

delle ore più buie 

ho fatto preziose

lezioni quando,

solo nella notte,

evado il mio tempo.

In ascolto.

E mentre guardo il ramo

frondoso tendersi sulla strada

penso allo scorrere leggero

di un respiro

sulla tua pelle,

che reagisce

al tocco;

rivedo i tuoi occhi farsi

grandi, 

le labbra aprirsi sui denti bianchi,

tumide. Un sospiro ci lega

al di là del tempo,

al di qua del fiume.

Potranno anche dividerci,

ma da quando siamo due

sarò sempre uno.

Della mia vita non conosco

che ciò che 

immagino; mi sono accecato

affinchè tu mi mostrassi il cammino,

sordo al mondo ho

iniziato a sentirti. Ho chiuso le porte

all'uomo, per aprirle alla dea.

Oh, figlio degli dei,

bentornato in famiglia.

Il fulmine suggella la nostra

unione, vincolati

nel vajra indistruttibile dei nostri

intenti. Leviamo in alto il calice,

è pieno del mio sangue; 

sulle mie ossa danza il sacro ritmo

del tuono. 

 

*

Valkyrie

Mi avvicino

con occhi di brina

e pensieri di ghiaccio;

sono cristalli di neve

i miei respiri, batte

forte il tamburo

nel cuore.

Dimmi il tuo nome.

Ovunque intorno

alberi immoti, 

congelati nel tempo;

mostra il tuo volto. Dia

un senso alla mia paura.

S'oscura il cielo,

libera il tuono; finalmente. Alzo

il viso, il suo buio è il mio.

Sale un grido alle labbra

al primo fulmine che

saetta per l'aria. 

Quando vedrò i tuoi denti

bianchi sorridere tra le labbra rosa?

Quando poserai i tuoi occhi neri 

sul mio capo chino, 

quando la tua mano?

Ho un freddo che nessun fuoco

può spegnere,

solo tu sai.

Ho una sete che nessun calice

può saziare;

bevo il buio in sorsate

generose.

Il mio tronco e la tua saetta 

sono fatti per incontrarsi. Scegli me.

Tutto trattiene il fiato intorno: i ruscelli

ghiacciati sotto le tue chiome,

le fronde incanutite al tuo passaggio.

scegli me. 

Corro più veloce dei pensieri,

per mostrarmi degno della tua fiamma

mi sono spogliato di tutto. 

Nessuna speranza, nessuna mancanza,

nessuna storia personale. Sono pronto.

Al di là del tempo,

l'eroe e la dea sono

Uno. 

 

*

Mondi lontani

Abitiamo mondi lontani 

in stanze vuote; 

i miei silenzi, i tuoi

silenzi

han preso lo spazio

dei nostri sguardi. 
non è più il tempo

delle risa gioiose,

delle carni audaci

sotto le dita affamate. 
Sola, 

Una foglia emerge 

da una pianta in cucina. 

*

Senza parole

Mi chiedi: 

che vuoi? Lo sguardo

ebbro, 

a saperlo...

Porta una mano

sul seno, 

accompagna l'altra

sulle labbra,

gia' umide d'attesa. 
Si fanno grandi

le pupille negli

occhi a mandorla, 

di fuoco il fiato

tra lingue di fuoco. 
Affrettati,

già' si fa appresso a noi

il tramonto, 

già' stringo tra mani

tremanti il mio

nulla; 

riesci a vedere? 
E va bene così 

senza parole.

*

Solitudo

Potessi giocare 

ai dadi

il deliquio estremo, 

l'eterno delirio,

la sensazione perenne

che il tempo dia forma

al cielo: 

li rivorrei. Nulla

di me 

mi è estraneo. Dolce

tormento di essere 

uomo, 

i piedi nel sottosuolo, 

la testa tra le nubi e

ampie braccia per un'idea

di infinito che sola

nel silenzio 

mi segue. Sono nato

per essere solo

tra gli uomini, 

solo a se stesso 

rende conto

il poeta. 

*

Adige

Ho visto la Bellezza 

nelle fatalità

che ho sempre 

rifuggito; 

occhi di tenebra, 

gambe veloci, 

un seno che palpita. 
Ho visto un dio

tra ponti di pietra, 

era l'Adige azzurro

di pioggia e

bufera. 
Promette tempesta

la sera. 

*

Pan

Correa 

tra le vie del centro

quando il Dio a se mi 

chiamo'; 

si fece bosco intorno,

e sentiero. Saltava a me

innanzi l'ermo capro

tra le forre, 

ricopriva d'irto pelo

la mia pelle. 
Crea con gioia, 

crea con gioia! gridava

nel vento sotto al cielo

terso;

Supera te stesso! 
Si fermò appena a una 

boschiva fonte, 

piu' bevemmo e più 

s'accendea in noi

la sete

e il sacro fuoco. 
Tale del Dio è il comando, 

anima pagana: brucia e

corri, inseguendo 

il sogno. Lei a noi

sfuggirà sempre,

a noi che incita

alla caccia. 

*

In templi di carne e fiato

 

O finta musa

dagli occhi di

marmo, 

chè hai il tramonto 

nel viso deponi

la corona di fango. 
Terribile è scoprirti 

idolo di carne, 

dopo che lo Spirto

di Lei ha lasciato

inermi le 

membra. 
Solo un corpo

resiste al risveglio, 

le labbra aperte

non dicono nulla piu'. 

Fatale resta il mio

rincorrerti in templi

di carne e fiato; 

chi mai fu che una volta

mi chiamò 

l'Imaginifico? 

E lento scorre 

Limaccioso il Canal

Grande sulla fosca 

Rena, già il tempo

Spande manciate di

Crepe sugli abbracci di 

Marmo e colonne; 

Non già in te

Risiede la Musa, non 

Già in questa laguna 

Eterna; 

In me, 

Ebbro di città e di 

Donna, 

Dimora Lei che ogn’or 

Cercando rifuggo. 



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*

Non bastano parole

Depongo il capo

in grembo a te

che sei Notte; 

non mi chiedi

parole che nel sangue

intingi, 

ne immagini

che di te parlino, 

di me tacendo. 
Sorgera' presto, 

nuovo, 

un Sole; lascia che

bruci. 
Cenere sono

se parlo di te

al vento, 

l'Imaginifico è il solo

mondo che abito, 

che abiti; ti prego, 

lascia che basti. 
Di nulla son fatto

tra gli altri che non sei

Tu. Non 

bastano parole che valgano

il Silenzio.

*

Sanguina ancora

S'ode della Luna

chiara l'albedo,

che nello speco

d'acqua s'affaccia

e appena si bagna;

ecco stormir le fronde, 

respira. Riesci a vedere?

L'odore fragrante del bosco

ci incanta. 

Mi chiedi di scrivere

un'Ode

al crepitar del fuoco:

non ho parole

che nuove possano

scolpire te, 

bella della bellezza dei marmi. 

Ti dono il silenzio,

il segreto e un sorriso.

Stringiti a me e

lascia che sia, 

per questa notte;

è tutto ciò

che possiedo.  

Ci siamo riconosciuti

al crepuscolo,

chi sei? Qual'è il tuo dolore?

Brucia la pelle sotto le dita. 

L'alba dissiperà

noi 

insieme ai nostri sogni;

amiamo una bellezza

che non ci appartiene. 

Sanguina ancora: nome

non ha. 

 

 

*

Ove si involano le anime

Quanto pesa

sulle mie spalle

tese l'inconsistenza 

della notte quando

ramingo m'aggiro

tra le case e i palazzi

in cerca del cibo

d'un bacio ora negato, 

ieri agognato. 
Del tempo in cui

i nostri corpi

s'univano in lingue

di fiamma

non resta che 

il ricordo che nel buio

mi spinge

la' nello spazio

silente

ove s'involano

le anime. 
Muto faccio
del silenzio il mio cammino.

*

A render randagi i giorni

Che altro chiedere? 

Affamati di cielo, 

vivo a render 

randagi i miei giorni

e zingari

come cani sciolti. 

Non altro chiedo

ma affermo con forza

il si imperativo 

del sole tra i rami

e lo stormir su le fronde

di una brezza leggera

che ti accarezza la pelle

di luna. 

Tutto, ti dico,

è a portata di mano. 

Siamo come erba

che si nutre

di luce.

 

*

Come un versetto di Petrarca

A te 

che per il mondo

incedi

sol d’imperturbabile 

bellezza 

adorna, 

A te dico: 

passano il tempo

i giorni e le stagioni, 

solo tu resti

bella come un versetto 

di Petrarca.

*

È giunta l’ora che volge il disio.

È giunta l'ora che volge il disio.
Tacite stelle,
che mendicante vado
incontro al buio
nudo
come son giunto.
Te lucis ante.
Già in cielo assisa
è Luna ch’ancora
Il Sol non s’è fatto ombra.
Batte la campana della sera
I sui rintocchi a mostrar l’ora
In cui l velo è ben tanto sottile,
certo che 'l trapassar dentro è leggero.

*

L’ora più buia

Lasci il tuo respiro 

farsi carezza

la notte; 

a me 

che ancora vivo

tra l’ombre 

vago

quando lontana

l’alba attende

passi

l’ora più buia. 

*

Mattutino

Sola,

s’aggira muta

l’anima mia tra

i corpi; 

sorge un primo

sole

ma non scalda. 

Si fa scudo la pelle 

all’Ombra. 

*

Quella gioia incontenibile di scrivere.

Passa ciò che meno hai,

il tempo

e scorrendo porta via

ciò che nell'attesa più conta.

Mescolo la notte 

col the nero, 

sul foglio chino

per capir meglio che posso

come si scrivono le cose.

Piove fuori il mondo,

qui dentro tutto tace;

illumina la stanza il lume

di quella gioia incontenibile

di scrivere.

*

Il carrozzone

E ognuno di noi

prova 

           (Non è forse vero?,

             non lo fate anche voi?)

a tirare avanti anonimo 

il suo anonimo carrozzone,

forse sperando

              (Sperando cosa?,

                Come?)

un futuro, un Nome; 

anonimo imbecille s’avanza

immoto

e inventa il tempo

solo per poter dire

di non averne. 

*

quel che resta del sogno

Che cosa resta del sogno

se ciò che conta 

è l’essere?

E piango piano

piango sul fatto

versato, 

nulla di vero

tranne il sesso

e poco altro

oltre l’ombra del 

tempo. A sorsate

voglio bermi la vita

e brucia nera di forma

notte sinuosa l’ombra

di Te che a me fai 

luce, a me spirto

errante di vagabonda

mente.

*

requiem o canto dell’immenso

L’orologio batte 

le 15

ma non c’è tempo

dove sto andando, 

nè movimento. Muta 

permane la pietra, 

sciaborda il rivo 

sonoro

tra il verde rigoglio

delle rive. All’inizio

fu il verso del nibbio, 

poi luce fu;

scese ogni sera 

la notte

manto di stelle. 

Non per l‘uomo

che giace l’alba

Canora

chiamava al risveglio

ma con gli occhi

chiusi al giorno che nasce,

nato per sempre 

godeva l’immenso

che parola tace.

*

Il cielo di Ica

Alza gli occhi

alle basse nubi

Mayumi la bella, 

non ha più lacrime 

da piangere ora, 

le ha prese tutte 

il cielo di Ica che 

sembra grondare 

e rovesciarsi 

in diluvio. Affiora appena

dall’acqua brunita 

una sola palma di sette, 

a ricordar maleficio.

Mayumi,

della bellezza dei marmi,

scosta appena dal volto 

i lunghi capelli bagnati.

non può piovere

per sempre.

*

Io non sono qui

Guardami, 

sono qui, 

che cosa ho fatto? 

Agnus Dei,

qui tollis peccata mundi.

Mostrami 

il tuo volto,

donna velata

di nubi qual luna

nel lago di cielo. 

Voltati,

sono qui,

non negarmi 

il tuo volto,

dona nobis pacem;

ma già sei lontana

e rimani un mistero, 

non splenderanno

i tuoi occhi per me

come stelle ormai 

spente in galassie 

lontane. Non voltarti; 

io non sono più qui. 

 

 

*

solaris

se questo fosse

un sogno,

se tutto fosse 

vano

e si riducesse 

al nulla di un tempo 

perduto;

non svegliarmi,

ti prego,

condividi un pò 

di questa vana

gioia che non ha

nome che possa essere

detto,

che non ha gusto,

che si limita al nulla

che contiene. 

lasciami qui,

in questo niente,

che vale molto più

del vostro tutto. 

Tutta la vostra realtà

non vale un brano

dei miei sogni.

Solaris.

*

Se tu mi dai la mano

Han solcato già 

altri uomini

la Via

che stria di bianco

la mia barba. Rifuggo 

di silenzi le parole 

che dette non oso

udire.

Questa notte

che placa la mia sete

la ravviva.

Si spegne

di luce la fiamma

di candela,

acqua di sorgente 

è la paura di 

doversi salutare. 

Resta con me, 

va tutto bene

Se tu mi dai la mano. 

 

 

*

Nomina nuda tenemus

Crollarono proprio

ove si sentivan più 

forti,

occhi fissi han le statue

nello sguardo vuoto,

sopravvive la luce

alle stelle. Non abbiamo

che nomi. Non rovine, 

ma macerie. 

Sussurra 

al vento il filo d’erba; 

ha più realtà di

tutta la mia arte. 

 

*

Ben ritrovati monti

Ben ritrovati monti

sorgenti dall’acque

ove innominata rocca

si speca

e ben ritrovato

Bione, 

ove noi sposi

promesse leghiamo

con riflessi d’argento

all’onde 

sulle brezze di

zefiro.

s’eleva trionfante

la valle

tra la gloria dei monti

e il cielo narciso s’affonda

nel limpido lago.

 

Vercurago, 21/06/2020

*

Dove dimora il dio.

Scurisce il cielo 

nel tramonto,

albeggia il sole

sull’altro lato

del mondo. 

Tutto torna. 

E’ nel profondo

del mio niente 

che dimora il 

dio.

*

si vis pacem para bellum

S'incupisce il cielo

e molto murmuran

d'acque le nubi dense

di nero; 

si prepara tempesta. 

Fitto è il mistero

di una notte che incombe,

un'altra oscurità

dilaga,

solo resta l'uomo 

all'uomo; mi stringo

a questa carne.

E forse per questo 

segue il tuono 

appresso al fulmine: 

a dimostrar ch'è vero.

 

*

Come in un bosco di frassini

Non mai più

vedrò i tuoi neri occhi,

ritratto fiammingo, 

sguardo sorpreso 

in un eterno attimo;

distratto. 

La meraviglia è quanto

scorre via non visto

mentre ci concentriamo 

sulla banalità del noto,

come un'ignota radura

in un bosco di frassini.

 

*

Ragazza pittica

Nera è la notte 

e ci corri

inseguendo il vento, 

fa paura dormire soli

prima della battaglia; 

stringiti a me,

ragazza pittica,

e ascolta il vento

soffiare sulle acque

del Linn Garan. 

Tacciono gli aedi. 

Potessi almen vedere

le fredde stelle! Nubi basse

coprono il cielo cupo. 

Stringiti a me, 

ragazza pittica, 

stendi su di me nera

la tua chioma; 

domani ci sarà battaglia, 

sulle acque del Linn Garan. 

*

come in uno scatto rubato

Apro una bottiglia 

soltanto per guardarti, 

sobrio non riesco

a contenerti;

non danzare,

non dire nulla.

Vivi. 

Inconsapevole 

del mio sguardo, 

come in uno scatto

rubato.

*

Bellezza

E se a qualcuno mai

ispirazione die’

Bellezza, 

la penna deponga 

e mai non chiami se stesso

poeta.

Batte strofa prima

in un battito 

di ciglia brune,

nella morbida curva 

di un ventre, 

nel seno

di pesca; 

oh, Bellezza,

quanto amore costi

prima che inchiostro! 

*

Potessi toccarti con dita di fiato

Piove e l’acqua che gronda

altro non bagna se non 

i pensieri, 

che goccia

dopo goccia dopo goccia

precipitano; 

potessi allo stesso modo

toccarti io con dita

che siano di fiato,

potessi trovare in te

riparo dall’oscura tempesta

a rifuggire l’Ignoto,

in te a me sconosciuta,

nel tuo ventre straniero,

nel tuo solo respiro 

riprendere fiato. 

Ma non cosi, per me,

 è stato scritto; 

il fato me volle 

come fiamma ove

spira tormenta. 

 

*

aere nubi

E va per l’aere nubi

sparso il pensiero

e tu

leggera vaghi 

a passi d’onda 

per riva;

oh, potessi il tuo

sguardo di mandorla

donarmi, 

ben felici

passerei le mie ore.

*

Splendida Alba

Figlia, 

le parole dei padri 

sono come onde 

di un lago

sulle sabbie del tempo. 

Credi solo a cio‘ 

che senti vero,

tramonta con me

la mia saggezza 

ma già splende

la tua alba.

*

Anima pagana

Guarda il mio corpo,

è sangue e carne. 

Chiudi gli occhi

ora, e immagina

l’anima mia.

È roccia 

e acqua fredda di fiume,

il vento sonoro di fronde,

il freddo di notti pungente;

e‘ vita che vita toglie, 

e si nutre. 

E’ il mistero del latrare

di un lupo 

alla luna, 

il silenzio che dopo

il tuono risuona, 

il tocco di un violino

leggero.

E Il rullo di tamburo 

del mondo. 

Anima pagana.

*

the last dance

Io sono qui

e trascino nudi

i miei piedi

nell’anima stanca; 

Agnus dei. 

Fioca e lontana

si spegne la musica

dell’ultima danza.

*

a battagliar paura

Sguardo duro

sull’obiettivo,

non guardar chi cade

che‘ ad aspettar che tutto

passi rischi passi tutto.

A un passo dal sogno,

un passo oltre il rischio,

a battagliar paura;

oltre te esiste

l’uomo che volevi

diventare a patto

che a te

rinunci.

E’ un buon prezzo,

per chi è partito

ultimo.

*

sogni di gloria

Esiste ancora il tempo

al di là del sogno? 

dov‘è lo spazio?

E intanto ti volti

e rivolti nel letto

disfatto

tenuto ben sveglio

dai sogni di gloria,

che nel silenzio 

la Musa è vicina. 

Attento. Fa che cenere

tu non sia domattina. 

 

*

In direzione opposta

‘Al culmine della disperazione e del disgusto
ero andato istintivamente,
anzi, ero corso nella direzione opposta,
finalmente ero scappato via dalla direzione sbagliata
e di corsa ero andato nella direzione giusta.
Ed ero scappato via da tutto quello a cui ero legato (..)
ed ero scappato via da tutta la mia confusa storia personale
mentre fuggivo dalla storia intera.’

Da In direzione opposta, di A. Venuto, Edizioni Montag
https://www.lafeltrinelli.it/libri/alessandro-venuto/direzione-opposta/9788868924249

*

Ti rialzerai domattina

e poi succede

che cali la notte

non preceduta da sera,

ali di corvo

ove pupilla brilla

la luna; 

si è fatto freddo. 

Ti volgi al ritorno

e al caldo del cerchio

ove moglie e figli

attendon il rientro,

fugge la voglia di andare

e le mille certezze che avevi

brillan fumose come lampare.

Ti rialzerai domattina.

*

Il tempo dell’attesa

È il tempo
in cui il tempo s’arresta
e tutto sospende,
quando tutto torna,
ma non adesso. È il tempo
del leggero vagare per aere
di nubi soffuse
dove il cielo è più azzurro,
promettono pioggia,
forse no,
è presto da dire. Sospiri di madre
al balcone, sguardi fugaci
alle ore,
domande senza risposta,
Passi che tornan sui passi
Senza una meta;
aspetta.
Tempo e’ dell’attesa.

*

Sarò silenzio

e ti parlerò allora 

come pel cielo

rilucon le stelle,

figlia, 

io che son da sempre

affamato di notti e di

tramonti 

che’ la paura è men forte

al chiaro di luna, 

e a patti il corpo scende

col sogno quando

l’anima s’invola. 

Segui la tua musica,

figlia, 

io sarò silenzio. 

*

Mattutino

Si dipana tra le fronde e

il cielo un passo,

ove il canto d’uccelli

filtra come del sole

di tra le nubi il raggio;

s’erpica il sentiero

fino al nido dell’Empereur

sul masso,

si come la vita mia

s’apre infin

sul mondo

Il passo. 

*

Volevo solo nascondermi.

Volevo solo nascondermi
e non esser più;
io,
figlio del Genio
e di una folle Musa
che ha per verbo immagini
e tesse di parole strofe;
io,
poeta, vagabondo, schivo
che di eremi boschivi
ho fatto dimora;
a me matto diceva la gente
ma io vedevo, sola mia colpa.
Io vedevo. Non ho più paura adesso.
Di carnale passione mi riempie
la tela vuota da quando di me ho memoria,
perché io conosco il linguaggio del sole
al tramonto
e quello che dice la luna alle stelle,
oh!, quanto dolore fa la sera che arriva!
E la bellezza del bosco
Che con le foglie sussurra al mio orecchio
Demente, demente dicono loro!
Quanto è bello piangere di pienezza
Come vaso ricolmo tracima!
Ma io vedo
e già vedo Lei oltre,
già traccio con colore forme
che la mia mente veloce
disegna con dita sottili
e faccio appena in tempo a dare
ai pensieri forma,
alle immagini sostanza che già non son più
ma eccole lì, arte per sempre
fissate ai miei occhi.
Per questo vivo e soffro
e lotto da quando di me ho memoria.
Solo io so quanto fa male essere
Un genio e saperlo.
Volevo solo nascondermi
ma grazie a Follia
celando me stesso
me stesso al mondo
Ho mostrato.
Solo per Lei.
Chino sul rivo argentino di un fiume
attendo poi che scenda la sera,
un vecchio scialle sul capo
come nuvola leggera
a salutar il giorno che va.
(Ad Antonio Ligabue)

*

Il gioco della pioggia e del vento

Muove appena gentil la brezza

le foglie leggere e il gelso, 

vieni, 

ombra per noi farà 

il ciliegio. Come il suono

del flauto le tue vesti di seta

m’accompagnano, 

ebbro di caffè 

e di bellezza che 

mesci col miele

attendo,

versa,

lo berro’ dalle tue labbra

come coppa. 

Dragoni inseguono fenici

tra le colonne del padiglione

ombroso, oggi

faremo il gioco della pioggia

e del vento.

*

skål!

Riposa l'ermo guerriero

nell'arca d'oro

tra cielo e mare

all'ombra del palazzo ove

le menti eccelse ricevono dono; 

s'apre il portico elegante 

e discende diretto nell'acqua

scura sulle cui onde riflette

bellezza di luci Stoccolma. 

Tra i vicoli scuri di pietra

e storia Gamla Stan

attira il visitator inquieto

e lo guida

fino alla baia e al Palazzo Reale, 

Thor e Odino hanno portato

nuvole e notte che ancora era

il meriggio. Il freddo si fa fiato

e il respiro vapora, 

inizia la tua favola 

tra leggende vichinghe

e nordiche genti che sussurrano appena

per via. Ogni finestra

s'alluma, sale bianca la luna 

e s'affaccia 

di tra le nubi a specchiarsi

nel mare. E tu, solitario esteta,

brindi alla vita e alla fortuna

che un altro cielo ha disposto

a te vagabondo sopra la testa.

Skal!

 

*

Liberazione

Nel senso del bello

ricerco oggi,

25 aprile,

l’insana speranza;

nella Bellezza 

che della forma

e’ sostanza

e in un canto

che in questo star

fermi

si faccia danza.

*

Granada

Sopra la Rocca
di Alhambra
il cielo s’arrosa
e sparse nubi che il vento
accarezza sparse vanno, oltre
l’alta torre dove bandiera
di se fa vela.
Ai tuoi piedi
s’estende Granada;
ovunque tra i barrios
al tramonto risuonan
dei gitani il canto
e la fremente danza.
E su per le bianche
scale
dell’Albayzin,
seduto all’ombra di una
teteria, ancor mi pare
di sentire le grida
d’aquila del Muezzin
che gente alla preghiera
del vespro richiama.
Despertar en Granada
es seguir soñando

*

Ricordi

Tra cinesi colli

il monte s’apre

su cieli azzurri 

e rotonde valli. 

Sale sulla stradina

di campagna una 

bimba, s’arrampica

dietro il vecchio padre

fino a un grande sasso

che di lato al sentiero 

s’erge. S’assise la bimba

al suo fianco per scoprire 

appena nascosta una fonte

d’acqua che si tuffa sonora

in un laghetto e tra le ondine

appena abbozzate neri pesci

come ricordi scivolano. 

Guarda la bimba, e sorride; 

volge il padre lontano

lo sguardo, dove cielo

e terra s’abbracciano

all’orizzonte sopra la valle. 

Fruscia appena la foglia

del bamboo sottile

alla brezza. 

*

Il bacio di lei

Desidero l’agone

e la pugnace arena,

dei vinti il sangue 

Che la sabbia arrossa. 

Il bacio di lei

che ben promette

una lunga notte;

un buon libro. 

L’abbraccio dei miei figli. 

Fragrante aroma del the

verde di menta, 

una mente pronta

ad afferrar le sparse rime

per farne arte. 

Una tazza di caffe’. 

Il bacio di lei

che ben promette. 

La notte è scesa. 

 

 

 

*

Memento audere semper

Memento Audere semper; 

gli dei sputano 

i tiepidi. Un passo 

oltre la gamba 

è la mia gloria,

un battito d’ali 

oltre è il folle volo. 

Non potrei vivere

senza osare

l’inimitabile 

quotidiano; questa è 

la mia lotta, la mia

benedizione. Faccio questo

in memoria di me.

*

Risuona Puccini

E quando risuona Puccini

nell’immota Aere silente, 

cessare vorrei d’esser

a me stesso presente

e far d’ogni nota

respiro. Emozione

si fa il bel canto

e me porta via,  

lontano.

*

Προμηθεύς O del vivere inimitabile

 

 

Perché mai mi bastò 

di vivere ma

sempre ricercai per me

il vivere sublime; 

rubero’ agli dei 

la sacra fiamma

sol per darla all’uomo

e tutta la mia vita 

sara’ in quel contatto, 

eterno istante d’inimitabile

Scintilla. 

Poi facciano di me

come vorranno:

avro’ vissuto. 

 

A Gabriele D’Annunzio, 

poeta, vate, aviatore d’Olimpo. 

*

A una sirena.

Oh, 

in me arde una vita

che di notte risplende

più che qualsiasi giorno,

più di ogni inno degna,

gli dei devono comporre 

la mia ode! Oh canto di sirena,

nessuna Itaca ti vale e vale

questo momento nel quale io t'odo

e nessun'attesa di moglie,

nessun figlio potrà sciogliere in me

il desio di tanta conoscenza, dell'esperienza

di te che dall'altro lato del mondo

il cor m'hai preso! E muto scivolo a te,

creatura fatale, a te concedo le mie carni,

divorami. Che troppo simile a loro

gli dei m'han fatto perchè possa accontentarmi

dell'umano sapere, dell'umano vivere e ardere voglio

stanotte, più che cenere languire domani.

Gli eroi non son fatti per invecchiare

ma per morire soli nella gloria

di un eterno splendore. 

 

*

Endimione

Potesse anche questa notte,

ogni notte, su di me calare

Selene e un pò di questa

angoscia lenire. Ma forse ella

viene e io, 

che nel coma eterno 

della coscienza m'adombro,

non vedo in me luce di luna

che s'alba e buio rimango.

E mentre stringo il capo

come Courbet

tra dita d'artiglio

con gli occhi sgranati cerco ogni dove

a smascherar il periglio

che sol dentro

mi sfugge; tu nulla di questo vedrai,

oh dolce Selene, se non 

il dolce viso del sonno 

di Endimione. 

 

 

*

Ἀνάγκη

 

 

Prima del giorno

mi ha svegliato Angoscia, 

di Necessita’ senza volto

sorella che di lei

nebbia di pensieri

ambascia; freddo silente

tra le coltri striscia

e dietro s’insinua

tra sogno e il reale

alla palpebra. Pesante

si fa il cuore e come sospiro

Vapora ogni battito, 

ancora cerco la notte

e le sue mille promesse. 

Non c’e‘ giorno per me

oggi e tra le spire

del sonno io fermo il

tempo.

*

viaggio al termine della notte

 

 

M’affaccio stasera

per via e l’aria che appena

mi sfiora e‘ quella

di allora, 

gli occhi

socchiudo e ancor

mi par di vedere 

la bella fontana

che luce e risuona,

la notte che stelle

sul mare promana. 

Sa di sale quel buio

e nostalgia al cor

mi richiama; 

di me,

della casa gentile,

del colle che scuro

a riva declina puntellato 

di luci. Al termine della notte

un viaggio mi volle

e partii; vagabondo

la vita mi fece, assetato

di strade e orizzonti

ma ancora a volte

indietro mi volgo e dentro

quel mondo ritrovo. Conoscenza

pero’ altrove me guida. Al movimento 

perpetuo richiama la Vita,

e all’inno eterno. 

 




*

Tempus fugit

 

 

Ma dove vanno a finire

i giorni?

Sabbia tra le dita

sfuggono, acqua di lago,

granelli di un rosario,

non resta che il ricordo. Tempus

fugit. Lo vedo sul suo volto

Di bimba che a poco

A poco ragazza diviene, 

Sarà presto per lei il meriggio 

Quando arriverà la mia sera.

*

Nessun dorma

Alto è il Sole

per via, 

qui Milano, 

la città è questione

di prospettive; una casa

diventa un volto

che si scompone in mille

facce di espressione. 

Da qualche parte risuona

un soprano, Nessun Dorma, 

la gente chiama a non

mollare. 

*

A Michelangelo

A te 

che a soli 23 anni 

di Pieta’ hai illuminato

il mondo e dal viso di Mose’

imperioso nel marmo

hai impresso la Legge

dell’Antico Patto, 

a te rendo omaggi, 

primo degli scultori. 

E vita rinnovata nella pietra

immessa alla vita brinda,

con coppa d’ambrosia

sollevata dal divino Bacco

a festeggiar di Dio 

con l’uomo la sinapsi

scintilla del primevo

contatto che origine

alla Creazione diede

dalla Cappella Sistina;

Universale Giudizio desti

all’opera e al mondo

che di muto stupore 

alla volta del cielo dipinto

muto lo sguardo leva

nel silenzio ove San Pietro

dimora.

 

*

E si move la luce

 

E della casa impari

anche come la luce

di tra le stanze

si move; 

e ti chiedi se sia il sole

a girare o lei fattasi

vascello a vagare.

I raggi di Apollo

protettore di Muse

doniamo anche ai figli,

il tempo del buon

ritiro arte diviene,

disegno, colore,

letture. E musica

Sovra ogni cosa. 

Di luce han bisogno

anche loro come

seme che germoglio diviene.




*

Loreena McKennit

Fredda è la terra

al chiaro di luna, 

Luce che schiara 

E non scalda; 

rugge il mare la propria

tempesta.

Immota, profonda

la notte s’avanza; 

fredda è l’aria in stanza

per chi se stesso 

nasce dalla coltre del letto pesante.

Guidami, Loreena, la’ ove

terra e cielo insieme si fondono

in un sogno vibrante, come

un bambino che il tronco

di un albero rifugio nasconde.

A lui confiderò il mio segreto. 

Saggezza dell’uomo ho sempre fuggito 

e la’,

in quel cavo legno simile a culla, 

il tuo canto m’ispira al ricordo

Di me come prima di me io era

e poi il nulla.

*

E lei viene ogni notte.

E lei viene ogni notte

ad allietar dell'uomo

il sogno straniero

sotto il cielo di stelle

dei Mexica,

fragrante la pelle di rame che

ogni mistero della sua terra

nasconde, svelano gli occhi

l'alma silena; Malitzin,

figlia del popolo,

intreccia al mio il tuo respiro.

Stendi di neri capelli la notte

sui miei occhi pieni di stelle,

chiusi possano tornare ad aprirsi 

come aironi in volo nel cielo sopra

Tenochtitlàn la Sublime, 

sacra visione degna di dei.

E dei fummo per le genti

provenienti da Axtlan, 

ma dei di morte e rovina.

Baciami ancora stanotte,

oh nera signora di ombre vestita,

dalle tue labbra imploro la vita,

il mistero di me a me stesso rivela

ma senza parlare, che non a parole

all'uomo il destino si svela. 

Tu lo conosci, in te l'Arcano

dimora, Maya figlia di Azteca,

nata due volte. 

Baciami ancora, 

stringimi ancora,

muovi su di me la tua danza, guarda;

nel cielo è alta sopra Aztechi e Spagnoli 

la dea della Luna. 

 

 

 

 

*

Noli respicere

 

Suona per noi nell’aere

il Mariage d’Amour; 

vieni,

questa sera danzerem

l’eterno e il divino 

incanto mentre 

muore un altro giorno. 

Indossa il tuo miglior

vestito, a me stringiti 

forte; volteggeremo 

fino a perder la testa

senza mai guardarci

indietro. Te ombra non farà 

La mia paura. 

Chiara è la sera, e

serena. Tramonta

su di me il tuo 

ultimo bacio. 




*

Ἄρτεμις

Ho fatto un sogno.
Splendeano del sole forti
I raggi tra le foglie indorate
Di cattedrali di alberi
E ogive di rami,
correvo veloce tra le fronde;
in petto il cuore di gioia
Vita batteva forte e pulsava
sangue vivo e rosso, adrenalina
Dava ali alla corsa e a niente pensavo
Se non alla sete di correre
Che non si spegnea chè più forte
Avrei provato il desio di riaccenderla.
S’eccitava l’animo col profumo di selva
E l’agre fragranza dei pini, la vista s’inebriava
Sui tronchi eleganti di larici e faggi
E sui giochi di ombre e di luci.
Qualcosa s’è mosso,
ora non più.
Lo stupore sorpreso necessita di occhi socchiusi.
Là, nel fogliame fitto, un daino brunito resta immobile.
Ha il sospetto negli occhi di ambra.
Un attimo ancora,
e non è più. Inizia la caccia.
Corre l’uomo e bestia risveglia
Rincorrendo la preda
Ardente d’istinto, a un tratto sembra
Che ceda ma è solo un istante
E di nuovo riprende la folle sua corsa
E così io, di me inconsapevole.
Oh dei, quanto è costato il nostro
Essere uomini!
Ma ormai il daino è sfuggito
e stanco a un cipresso mi appoggio e ansimante ricado,
cercando aria da bere;
brilla di luce il riflesso di un lago,
risate di ragazze allietano l’aria ed eccole lì,
che schizzano acqua tra loro
con spruzzi d’argento. Tra loro v’è una
che della bellezza dei marmi risplende,
lucida pelle che pare scolpita da mano divina
e occhi di cerva color d’ossidiana
che all’arte e all’amore sublime
mi chiamano.
Oh, dolce risveglio di vita
Nel sogno potessi non svegliarmi
Mai! Trattieni quel giorno
Che la notte ha portato, Artemide,
allontana di Febo Apollo i cavalli
dal mondo perchè il nostro sonno
sia eterno! Tu mi richiami alla vita!
Ma non appena i tuoi occhi
incrociano i miei
ogni cosa finisce e misero
torno nel mio letto di sabbia,
con solo del cervo l’amaro ricordo
di un tempo dov'ero
divino.








*

grande è la luna

Rilucon d’ombre

le foglie alla sera, 

si movono appena

in una brezza leggera.

Grande è la luna.

S’affaccia un uomo

al balcone,

noia

brucia la sigaretta 

e consuma; 

la solita ambulanza 

passa e 

suona il vespro

di un altro tramonto 

senza giorno. 

*

Vanilla sky

Le tue lacrime 

di ieri

sono la mia forza

di oggi. 

Cresce un germoglio 

in giardino

sotto un cielo vanilla.

*

Requiem

Sonata

(quasi fantasia)

al chiaro di luna. 

Quanto dolore

costa questa

pace. 

Requiem Immortal 

Ad vitam.

 

*

a Vincenzo Gemito

A te

che nel buio rifugio

cera impastavi con la forma

delle idee e che il mondo 

che grande ti volle rifuggisti, 

nell'ombra protetto lunghi anni

e dall'ombra ispirato alla follia

dell'opus e dell'arte;

a te versi il Poeta Vate

dal buio notturno

dell'occhio buono

mirabili strofe dedicò

su striscioline di carta

portate dalla Sirenetta.

Mirava l'altro occhio luce

che in lui splendea 

del tuo stesso buio,

che strofe si facea,

illuminando il mondo 

di poesia. 

Fari foste a mostrar la via

a chi come noi fatica

tra molte onde

a ritrovar un porto

dopo tanto amore

di bufera.

 

*

Allegro ma non troppo

Povero il mio cuore

che poeta si crede

e scomoda la Femme 

Fatale

e i Sacri dei; 

ambisce della Primavera

i fiori e degli avi i lai 

ma sa bene

che il verso migliore

è quello che

a se pur chiaro 

non scriverà mai. 

*

Ebe

Batte l’ora di vita

sublime,

sono il cuore palpitante 

del mondo.

Vieni a me, Ebe, 

versa d’ambrosia il nettare

nel mio calice dei ricordi,

voglio ubriacarmi di vita

passata. 

Alla salute.

Rivedo i prati e i bimbi 

sorridenti, 

tramonti sul mare e

ombre di colline, 

il sesso all’aurora che amore 

porta, e dolore al ricordo;

l’odore di lei sulle dita

e in due una coca cola

ghiacciata alla baia di Riva. 

Ma adesso che il niente dilaga

dalla porta so che 

il niente è solo a un respiro

distante;

versa, dolce Ebe, 

d’ambrosia il nettare

nel mio calice dei ricordi. 

Ebbro di vita

mi voglio concedere

alla dea Notte. 

*

L’ulivo

Forse perché a me caro
È il ricordo delle patrie
Colline di ulivi feconde
E delle cicale il canto
Che saliva a onde
Negli estivi meriggi,
A me caro è oggi mirarti,
Ulivo,
sacra pianta alla cui ombra
Leto i natali divini diede
Al Sole e a Diana vergine gemella.
Sottili le verdi punte di foglia
Raccontano al vento di come
Febo Apollo Pitone uccise
E vendicò della madre l’oltraggio
Con arco d’argento.
E i rami che fieri svettano al cielo
Sembrano dirmi:
‘vivi, uomo, vivi;
chi un albero pianta è giusto
tra i giusti. A te devo il mio posto
e alle mani di bimba che con te
amorosa terra mi diede.’
E mentre il tuo tronco guardo forte nel sole
Che splende,
ripenso a me chiuso nell’ombra
per tema del morbo e luce s’accende
nel mio animo ancora.

*

Gli dei ci invidiano le risate dei bimbi



Gli dei ci invidiano

le risate dei bimbi,

il battito del cuore

che pulsa,

il contatto di un gattino

sulla pelle;

la malinconia che scende

di sera col suo velo

sottile,

la gioia che rara ci prende

E dura un’istante.

Talvolta mortali si fingon gli dei

per provare il gusto

Di un sogno

che dall’alba

finisca al tramonto,

la fuga di un amore rubato

e tosto perduto,

di un bacio salato,

di uno sguardo

rapito da portare con loro

nel vuoto infinito.

E io che il più silvano

Tra i figli dell’uomo mi dico,

altri me dicon l'Oscuro,

stasera brindo al sorriso dei miei

bimbi felici e al corpo caldo

della moglie fedele.

Fuori tempesta dilaga.

*

Medusa

Basta un tuo sguardo

e il cor in pietra

mi muta, 

tutto confonde e ratto

il respiro si fugge.

Donna fatale,

il tuo richiamo mi perde

ma in questo marmo 

che il mio corpo diviene

un animo palpita che 

ancora ti vuole.

*

Inno alla Gioia

Ho lanciato il cuore

nel profondo del cielo

che infinito porto in me

ed ecco, guarda,

lo rimiro ed è pieno

di stelle che simili a note

sul pentagramma dispongo.

Ascolta.

Io,

figlio di un cantore ebbro,

alzo il calice rosso

di vino del Reno e

brindo alla vita

che sordo mi volle

alle cose del mondo,

affinche’ potessi ascoltare

l’immenso.

Solo,

nel mio silenzio musica

regna, risuona,

e crea senza posa;

ancora un brindisi!,

signori,

s’inneggia alla gioia.

Bellezza me guida

nel profondo tormento,

me eleva e preserva con

cure di madre oh Musa!,

vedi, del figlio

anche questo dolore

nella sonata riposa.

*

Abbi cura di splendere

Così come

quella piccola sfera nel buio

e’ il ricordo di una stella

che muore,

di te sono solo

il riflesso, 

o Musa. 

Abbi cura di splendere.

*

Beatrice

Lei si muove tra le nebbie

e candida la mano

a me tende; 

bruma sono i capelli

e rugiada condensa il respiro.

Brillano luna e le stelle

in ogni suo sguardo

che promette l’oblio

mentre a me sovviene 

e sussurra all’orecchio:

’vieni, ti porto

dall’altra parte

del giorno.’

E io stanco di mille battaglie 

dolce le affido 

il cuore al riposo

e al suo spirto eterno

l’infinito mio.

*

Scrivi sempre di notte

Scrivi sempre

di notte, quando il buio

alma consola. 

Intingi la penna

nei sussurri dell’ombre

che sole ristanno,

alza il capo un istante

alle stelle

per rinforzar il desio

non di lor possedere

ma di goder di tanto

brillare. 

Di notte ogni pensiero 

e’ emozione. 

 

*

Moonlight sonata

Non importa quanto possa essere lungo il giorno,

e faticoso; 

lieve suonera’ la sera

al chiaro di luna. E

nel silenzio dolce che 

infin me prende, 

mi cullo nel ricordo

del primo sorriso

che ho sempre in mente

perché non ne ho memoria, 

di eterne brume e fisse

stelle e di qualcosa d’importante

che ho perduto, mai avuto,

eppur caro a me infinito.

E mai dolore fu più 

dolce. 

 

 

*

Estia

Arde di ciascun mortale

sacro fuoco nel pritaneo 

immortale, tempio di Vergine.

Arduo sembra proteggere

oggi la fiammella bizzosa

che al vento s’offre 

e subito danza, vibra, 

a tratti si spegne 

ma poi si ravviva. 

Altre svaniscono tosto

in un filo di fumo.

Amor sembra uccidere

al tocco di un bacio leggero,

di una dolce carezza. 

E io qui muoio lontano

per te di desio; 

a questo la mia torcia accendo

che qui reco e custodisco, 

qui ove sorge il tempio di te,

Dea vergine al mio tocco. 

 

 

*

γνῶθι σαυτόν

Scorron fluenti del sole

i raggi tra le invitte colonne

del tempio caro al dio 

che primo il drago trafisse

con arco d’argento; 

scorrono argentine

Le acque ridenti della Castalia

ai piedi delle vette Brillanti.

Ancor se gli occhi chiudo

mi pare di veder silenti le schiere

Di Peani salire il monte

a offrir preci ad Apollo glorioso;

e risuona qui, nel mio ritiro,

mentre morbo imperversa 

tra grida furiose di Pan, 

silenzio

e γνῶθι σαυτόν,

divin consiglio. 

Di sole s’accende

l’anima mia. 

 

 

 

 

*

Icaro

Nessuno spazio 

puo’ contenere l’anima mia

quando s’invola. 

Ed è subito cielo. 

 

*

Eros e Thanatos

La notte è stata piena di lampi

a squarciar del buio

il velo;

lame di stelle, azzurre montagne 

su nero sfondo e l’odoroso

bosco di pini e ginepri. 

Torna a casa un uomo, 

nel petto risuonan già 

le risa dei bimbi

e della moglie 

all’uscio il sorriso. 

Porta buone novelle

e un fiasco rosso

di vino. 

Thanathos e’ con lui 

e ovunque fischia all’intorno

vento, altre foglie

ghermisce. 

Accende in lui di casa

il desio, degli amorosi 

abbracci e degli sguardi fidati.

Eros guida i suoi passi.

 

*

Ode a Giosuè Carducci, Grande Vecchio

Ode a Carducci

Or che di questa nostra casa
Morbo fece vascello
Navighiamo a vista
in attesa che sorga nuovo un Risorgimento;
mai così lontani i tramonti dalle albe
sembrano e di lancette sui quadranti
son vuote le ore.

A te il mio pensiero va
Come nebbia agli irti colli,
Grande Vecchio cresciuto
All’ombra di una civetta,
un lupo e un falco,
brandente simile a flagello penna
per voce dar
a straordinarie visioni inquiete,
forza d’Amor e spasimo di Psiche.

E quando sospinto fosti
Come foglia al vento
Da Firenze al Monte Amiata ove
Elvira amata viva il tuo compianto
Scrisse,
amor di Patria
T’ebbe così forte che armato
Di Leopardi, Foscolo e Parini
Fuggisti ratto dall’Arcadia.

All’ombra della torre che mai cade
Di lauro classico
Cingesti il fiero capo
E l’umor sanguigno bagnando
Al caffè Ebe brindavi
Al nuovo Risorgimento intellettivo
Fino a veder le torri di San Miniato.

‘Evviva me!’
Scrivesti allora fortunato;
Dante, Virgilio e i grandi saggi
Non Manzoni!, risuonavan gloria
Per Valdarno e le tue Rime,
da te scritte per te solo,
Italia stupiron coi sonetti
E le ballate.

Mai amor di donna ti ebbe
Come il cuore accendea furor di Patria;
la tua battaglia combattesti dal campo delle Muse
e lottator aedo al Risorgimento voce desti, non braccia,
e a Garibaldi, Mazzini e Cairoli il lustro
di eterni canti; da Bologna infine giunsero
Barbariche rime e per gli eroi
inni di infinita gloria
chè tutti gli uomini ad Achille simili
son figli illustri della Grande storia
sol se un bardo cieco al mondo
di lor racconta.

Ed ecco quindi i Gracchi
Accompagnarsi ai canti di Mameli e
Par che giammai tempo sia trascorso
Tra i marmi e i fasti di Roma immortali.
Solo avanzavi avanti!, avanti!
In sella al tuo ‘destrier de gl’inni alato’,
Di ascrea musa in cerca e da lei ispirato.
Eppure in cuor tuo ombroso ancora custodivi
Della natia terra memoria dolce
E delle serate allegre di vino
coi baldi amici.

Risuonava ormai il tuo nome
Tra le genti
E con se recava le antiche grida;
risvegliavan in loro furor di patria
e di liberazione le Primavere Elleniche
che sorsero su austriaci inverni
e Nuove Poesie su genti inermi.
Roma imperiale risorgea nei tuoi canti
E l’alme eroiche di chi l’Italia
Fece grande,
a sprone e detrimento di chi serva la volea.

Novello Orfeo a furor di popolo
Eletto fosti a rappresentar l’Italia,
repubblicano fin nel midollo
e rivoluzionario del primo giorno,
tra i grandi Grande accolto
e di altri Grandi vate e modello,
insigne guida a generazioni
di giovani menti.

Tra gli incanti dell’Alpe
Si nutriva di bellezza la tua feconda ispirazione
Ma già cedea il corpo,
incapace di contener una tal alma;
senator ti vollero
e obbedendo alla voce che risuonava
d’oltre la tomba e di riva al mare
accettasti.

Opera omnia
fu la vita tua e degna
d’esser ammessa in tal Accademia
che Omero e Dante vede passeggiar insieme
con Foscolo, Petrarca e Verdi;
e alle urla di chi
ancora nol comprese rispondesti piccato:
‘è inutile gridiate abbasso, perché
Natura in alto mi volle.’
Anteponesti sempre nell’arte e nella vita
‘L’esser al parere, il dovere al piacere’,
sempre te ispirando e altri innalzando
‘più alla semplicità che non all’artifizio,
alla grazia che non alla maniera,
alla forza, alla verità e alla giustizia
piuttosto che non alla gloria.’

Il sole calava infine
Su tanta arte
E di rime nuove, Odi e Ritmi
Tingea tramonto il cielo di tal colore
Fino in Svezia ove, di fronte a tanta bellezza,
la letteratura volle onorarlo col Nobel;
né si spense il poeta con la morte del core
che il core del canto eterno accese.

*

Chirone

Eraclea peste
Imperversa e vittime miete
Come falciatrice su un campo
Di scacchi; la morte
È per gli dei meno
Di un ghigno fugace.
Fuggono molti vigliacchi nel petto,
restano i più, e resistono;
insieme si stringono a se i cari.
La paura mozza il respiro
ed è come un soffio nel cuore.
Canti di sirene costanti per via
Ululano necessità di immediati soccorsi,
riparo cercano e trovano i miseri esseri
nelle cure dei molti chironi
che infaticabili i corpi e
gli animi assistono.
Si ergono eroici
Contro gli assalti
Del male nascosto
E molti strappano
A lui, ma troppi ancora
Tra le dita loro scivolano
Via.
E il dolore è una freccia
Che scava nell’animo
Di questi eroi che non si perdonano
Di essere umani, un veleno
Che non uccide ma
Che molta disperazione
Consegue.
Ma immortale è
L’arte loro,
di Ippocrate i figli,
padri degli uomini.
A loro eterna va
Gratitudine d’ogni uomo
Che resta.

(dedicato con profondo rispetto a medici, infermieri, oss e a tutti coloro che lottano contro l'epidemia di Covid-19)

*

Lacrimosa

Et

vi fu un tempo

in cui l'uomo mise

in mezzo al cielo un Dio

che lo rendesse signore

di tutte le cose,

a Napoleone simile che se

se stesso

fece imperator e non le mani del papa.

Da allora

rimasero mute a osservare

le forre e le selve,

i fiumi, i mari e i laghi,

i pesci d'argento e le grandi balene,

gli uccelli e gli animali tutti

mentre l'uomo ebbro di se

le distruggeva.

Qualcuno provò a parlare,

ma si scambiarono i Tiresia

per Cassandra.

Gli dei abbadonarono il mondo

ed egli fu solo.

Ben altra corona Natura

mise allora sul capo dell'uomo

ed egli si trovò barricato in casa,

nascosto da un nemico invisibile;

il re è nudo! Il re è nudo!

'L'uomo colpevole per essere giudicato

sorgerà dalle faville, piangete!

Piangete!'

Per le strade lattine ramate,

una scarpa,

fogli di giornale letti dal vento.

I giorni han smesso di contare le ore.

Ma adesso è tempo di riscoprire

le vecchie carezze, di stringersi un pò

intorno allo stesso fuoco;

delle risate dei bimbi,

troppo spesso zittite

da adulti nervosi, delle favole

al buio sotto un cielo di cartone.

Del pane spezzato e condiviso,

Di levar la polvere da quel posto rimasto

Vuoto; delle ombre che si allontanano

In silenzio.

E dello sguardo di lei,

che c'è e c'è stata

sempre.

Che cosa conta adesso?

Per cosa vivere? Oh, è tempo

di riscoprire ciò che sei,

uomo,

e per chi combatti la tua battaglia.

E' il primo giorno

di primavera.

Lacrimosa.

*

Pan non è morto

Tuorlo d’uovo

rosso

sorge il sole

su un cielo di panno

Di un altro giorno senza 

l’uomo.

Una brezza leggera 

accarezza le foglie dei platani,

frizzante. Condensa ancora 

il respiro. 

Qualcosa si muove ai piedi

del Duomo tra la bruma, 

un branco di cervi reali;

bramisce alla piazza deserta

levando in alto 

I fieri palchi un maschio, 

desideroso di lotta;

leggere danzano intorno

le femmine, fendono 

l’aria le code veloci. 

Un grido poi un altro

risuona per l’aria, 

falchi rapaci saettano

tra le guglie e il cielo

E oltre, dove sguardo

si perde. 

Alto è già il sole

e riscalda il Naviglio

argentino, 

cala un nibbio

simile a freccia e squarcia

il pelo dell’acqua, 

un tocco appena e risale

verso il cielo granito

con un pesce tra molti sinuoso

nel becco.

Osserva saggio 

un airone, 

immobile nella corrente e

Gracidano pappagalli

queruli tra i tetti delle case;

salutano il mattino

Giocando tra loro

Cuccioli di lupo

Nel bosco che si è ripreso

Il Sempione.

Attenta osserva la madre

E attende che tornino gli altri

Dalla caccia feroce.

E la’, 

Di tra le forre e le rocce 

Del parco in Porta Venezia 

Risuona un urlo selvaggio, 

Pan non è morto, 

Pan il divino è tornato. 

Simile a Dio

L’uomo se stesso credea

Eterno; ma dura lezione

È quella di vedere la fine

Dell’umano ma non 

Quella del mondo.




*

Il canto del cigno

Si trascinan tra loro i giorni
A loro simili
ora che nessun sole sorge
più a far luce a nivea luna.
Divisi ci volle  
non solo il dio
Che d’amore me 
Colpì folle, non te;
anche l’uomo. 
E come aria respiro
L’immagine che di te ho 
In mente
Adesso che gli occhi non possono averti. 
Ma lasciami credere per un attimo 
Che questo sia reale:
di ali la mente le braccia mie
ricopre
e di nivee penne leggere.
Desiderio d’amore fa vento
Al mio volo
E mi elevo supremo
Sopra le case e gli affanni degli uomini
In casa rinchiusi;
la città è assente a se stessa. 
Oh, batte il cuore il tempo del volo!
Solo te 
sola desidero,
sola te voglio mirarti 
in questo mio sogno
d’aliante.
Più veloce del vento
È la mente che già accarezza
La tua pelle di miele, 
vibra al suo tocco,
un pensiero sfiora appena
le labbra e mentre nel sogno
il tuo sonno riposi 
sorridi. 
Apri gli occhi e guardami,
guardami che dio per te
cigno si è fatto
e illumina
il mondo col tuo primo
sospiro.
Non senti? 
Ambrosia è per noi
L’aria all’intorno. 
Inebriati,
Tu che di bellezza
Venere a sé simile t’ha voluta
E lascia che la tua estasi 
Diventi la mia.
Celebra.
Il tuo corpo è il mio tempio.
S’intrecciano tra i tuoi capelli
Neri
Le mie bianche piume;
noi siamo divini. 
Vivi. Vivi. Vivi ancora.
Fa di me la coppa delle tue lacrime,
lo specchio di ogni tuo sorriso, 
noi siamo divini.
In questo tempo di miseria
E lacrime,
amore sarà per noi
l’oblio.
Oblio scelgo
E il sogno severo
Se tu ci sei;
io sarò il dio
che cielo per te 
fa la terra
solo per poter insieme
volare.
Preferisco per sempre
Perdermi in un questo
eterno istante
D'immaginazione divina
Che in qualsiasi realtà.
Sarai il mio canto 
Del cigno.

*

Volevo solo nascondermi

Volevo solo nascondermi

e non esser più;

io,

figlio del Genio

e di una folle Musa

che ha per verbo immagini

e tesse di parole strofe;

io,

poeta, vagabondo, schivo

che di eremi boschivi

ho fatto dimora; 

a me matto diceva la gente

ma io vedevo, sola mia colpa.

Io vedevo. Non ho più paura adesso. 

Di carnale passione mi riempie

la tela vuota da quando di me ho memoria,

perché io conosco il linguaggio del sole

al tramonto

e quello che dice la luna alle stelle,

oh!, quanto dolore fa la sera che arriva!

E la bellezza del bosco

Che con le foglie sussurra al mio orecchio

Demente, demente dicono loro!

Quanto è bello piangere di pienezza

Come vaso ricolmo tracima!

Ma io vedo
e già vedo Lei oltre,

già traccio con colore forme

che la mia mente veloce

disegna con dita sottili

e faccio appena in tempo a dare

ai pensieri forma,

alle immagini sostanza che già non son più

ma eccole lì, arte per sempre

fissate ai miei occhi. 

Per questo vivo e soffro

e lotto da quando di me ho memoria.

Solo io so quanto fa male essere

Un genio e saperlo. 

Volevo solo nascondermi

ma grazie a Follia

celando me stesso

me stesso al mondo

ho mostrato.

Solo per Lei.

Chino sul rivo argentino di un fiume

attendo poi che scenda la sera,

un vecchio scialle sul capo

come nuvola leggera

a salutar il giorno che va.

(Ad Antonio Ligabue)

 

*

Tebe

 

Silente

Tebe si stringe 

ai suoi figli;

tragedia senza coro 

che narri 

son le strade vuote

che collegano le piazze deserte

di un mondo senza gente, 

fioriscono gli alberi tra semafori

ammiccanti di luci:

Mi chiedo per chi.

Granelli di sabbia

si fanno i pensieri

sul fondo 

del tempo perduto.

Attende Telemaco 

Sulla riva del Naviglio

Un padre, forse nessuno, 

Un segno;

È forte in lui

Il bisogno di aspettare. 

Con occhio vigile

scruta verso l’orizzonte

di significato.

Ma una nivea farfalla

si tuffa nel volo 

a sfidar l’immenso, 

sola fa vela

nel blu infinito; 

e io con lei. 

Aedo bardo si risveglia

Che in me cieco

Dimora. 



*

Potessi io in un fremito d’ali quel bacio..

Potessi io in un fremito d’ali
Quel bacio aver
Che per divin castigo
In volo alle mie braccia
Hai negato.
Un sogno ho fatto
questa notte che da te son diviso
e la sorte a me nega
il conforto sublime del tuo viso gentile,
quando nel meriggio appariva
e mi bastava guardarlo per sentirmi felice.
Né più mai avrei osato di te possedere se non
una parola appena,
uno sguardo veloce dai tuoi occhi di mandorla.
Ma questa notte nel sogno
Appariva una rupe alta e scoscesa
Sotto un cielo di stelle e di luna;
da lì una brezza leggera
Il mio corpo prendeva
E me sollevava
Simile a foglia,
Sogno di un’ombra
Che si diletta in quel suo volteggiare,
Fino a depormi davanti a una casa
degna di un dio, a sua immagine
speco dell’anima mia.
Bellezza aveva costruito quella dimora
E Bellezza ispirato ogni stanza,
Bellezza respiravo in ogni dipinta parete
E voci soavi di canto laudi levavano
In coro;
non mai gli dei
così vicina la mano
aveano proteso a quella dell’uomo
E Io ero là col cuore di entusiasmo pieno,
quanta Bellezza può contenere un’anima umana?
Gioia e passione in me ardeano sbocciare
E io ero il fiore e l’ape divina.
Mai notte scese che fu più ardentemente
Attesa.
Lei sarebbe stata là e nel buio sublime
Mi avrebbe amato,
nel buio protetti saremmo stati
e invisibili al mondo
nessuna luce a pupilla umana
avrebbe fatto di noi l’immagine
scintilla.
Ed ecco finalmente involarsi l’amata
Nel buio,
occhi non vedono quanto possono
le mani di amante su amata,
sospiri profondi di un’ombra più scura
che si fa carne morbida e calda
traccian le dita e onde sinuose
percorrono il corpo dal piacere pervaso,
Solus ad solam di due uno stanotte saremo,
umano e divino,
chè mortal divenire eterno presente
fa Amore.
Oh, la tua lingua è una fiamma
E di un fuoco m’accende
Che voglio arda per sempre,
non svegliatemi più,
lasciate ch’io bruci
Ade al di là di ogni tempo.
Una voce si alza dopo l’amore
Dall’ombra che amo, canta
‘se teco vivere
Mi sia d'amor concesso,
Per antri e lande inospiti
Ti seguirà il mio piè.
Un Eden di delizia
Saran quegli antri a me..’
Poi scese il silenzio e Morfeo
Soave gli occhi tuoi dolcemente
Richiuse, non i miei.
Potessi vedere il tuo volto,
mostrami il tuo volto una volta sola
per sempre, il tuo volto
meraviglia sublime.
Così hybris accendea in me
torce di desiderio dove curiosità
pensieri tesseva che presero corpo
in un gesto;
e un pugnale di luce
il buio squarciò nell’alcova.
Bellezza è un lampo nel cielo d’autunno,
la spuma dell’onde che giocan tra loro,
luce di un istante che nessuno vede.
Così per me fu il tuo volto.
E Amor all’amata vincolò l’amato
Ma fu solo per un attimo e già
Non eri più,
il giorno batteva alle finestre della mia stanza
e mi ritrovai solo nel mattino.
Nel mio cuore però
Ancora stringevo nel pugno serrato
L’immagine di te sorpresa
In un unico momento di luce.










*

Alhambra

 

 

Ti ho inseguita fin

dove il marmo si fa tempo,

Qui dove son secoli

le curve della pietra rossa

che divien colonne

e ogive a sorreggere

cieli di stelle eterne.

La’ ho inseguito il tuo canto

e il mio respiro tracciava

parole e versi nella

roccia nuda e viva

finché non era che

un immensa laude

Alhambra, 

giardino segreto

dove in piscine infinite 

si specchiava Bellezza. 

Inseguivo te e l’assoluto,

assetato d’infinito ignoto

perche’ da tutta la vita

cerco il segreto della notte.

Tu puoi dirmelo? 

Gia’ antica musica 

risuona al cospetto dei Nazari

ove dei due mondi il Sovrano

d’amore scelse per se dimora

quando Alhambra il cor 

gli prese. 

Eccomi qui, o Musa: 

ancora risuona l’eco del tuo canto

tra le colonne e il marmo

ma già non sei piu’ qui, 

ne io; 

amore eternamente insoddisfatto

e dolce

riserva Bellezza a chi di arte

fa vita. 

Canta ancora per me, 

più dolce delle sirene;

di nuovo me vedrai

in estasi nel folle viaggio. 

Per stanotte resto qui, 

col corpo a Milano

e la mente in Andalusia

indocile,

dalla tua voce cullata

che Alhambra diventa. 

 


Inviato da Libero Mail per iOS

*

Per Amico Lu e Jessica

Di quanti orizzonti 

vi sono debitore, 

amici?

Di quante albe gloriose

sotto inediti cieli,

tra risate e insegnamenti preziosi,

di ogni sorso di strada libata insieme

che più che spegner ne eccitava la sete?

Sognatori temerari

di viaggi infiniti,

torneremo insieme a solcare le valli

feconde 

e la vasta terra

e a bagnarci nei laghi tra i monti

o nello speco blu dell'oceano mare.

Presto, amici,

brinderemo agli dei sotto un cielo di stelle

avvolti da mille notti di tenda.

La lontananza non fa che eccitare

il desiderio vagabondo di noi

quando l'auto sembra volare

e già la mente pregusta l'arrivo

solo perchè è tappa di un nuovo viaggiare,

memento movere semper, 

è con voi che ho imparato. 

Tutto andrà bene, 

amici,

e di nuovo saremo felici

nel nostro vagare. 

Fate i bravi. 

 

 

 

*

Atalea

Te che di bellezza accendi il mondo

ardi come fuoco

in me che sole mi faccio

per accarezzarti di luce;

ma ecco che con un sorriso sul viso

mi sfuggi

e i miei pensieri come raggi

non possono averti.

Gia’ sei corsa via,

veloce lungo il rivo naviglio

al calar della sera,

dove ondine di luce

riflette il sole dal pelo dell’acqua

sul muro di mattoni rossi

di una casa che affaccia.

Mi aspetti a un vecchio tronco d’ulivo adesa

e mi chiami,

desiderosa più che di fuggire d’essere presa

e al tuo capo fan corona verdi foglie,

si schiudono alla mia luce le tue labbra di rosa

che dicono ‘vieni, vieni prima

che l’incanto finisca e la terra mi abbia’.

E un’incantesimo sembra che un dio spanda

Sugli occhi se vedo che

D’erba si fanno i tuoi capelli sparsi

quando ti sdrai,

di terra le dita che affondi

quando la bocca per il desio

dischiudi; son gemme nivee

i candidi denti tra petali di labbra,

la lingua una primula rossa

e non donna ma Musa te

ninfa dei boschi trasforma.

E mentre tra le braccia ti stringo

sento che parte di noi

nel tutto si perde,

si fonde

con l’aere il respiro tra i gemiti,

Bellezza si spande

a rivestir il mondo silvestre

e linfa divien la nostra vita

che scorre.

Innalza piacer il nostro canto.

Ma radici Alike non metterai,

non metteremo.

Atalea.

Adesso alzati e corri con me,

una verde foglia tra i capelli neri

a ricordarci l’amore

mentre il giorno scolora

e di lauro trionfale

il tramonto con luci

incorona il tuo capo.

Noi siamo divini.


*

A riveder le stelle

E insieme sfiderem 

l’eterno, 

a passi di danza

divini. 

Non temere, 

non insieme. 

Fissa i tuoi occhi 

nei miei, 

prendi la mia mano 

e ascolta:

usciremo 

a riveder le stelle. 

 

*

Bellezza

Vivere per amore
Amare vivere.
Quanta bellezza, meraviglia, stupore.
Quanto dolore.
Amore è carne e occhi e viso straniero
Terre d’oriente,
voci dalla strada,
di che colore è la tua pelle?
Quanta bellezza può contenere un’anima?
Riempila per me,
tu bruci di una fiamma che dice
prendimi,
accendimi,
non toccarmi.
Io non altro che il canto
Degli usignoli al mattino
Del sole al tramonto
Del vento della sera
Potrò dedicarti.
Odore di mare.
Rami di ulivo.
L’aroma del caffè.
Il desiderio di un bacio,
del contatto con le tue dita sottili.
Del suono della tua voce.
Vivere per amore è
Non possedere.
E’ arte.
Bellezza. Bellezza.
Bellezza.

*

Nigredo

Chino sugli avanzi del giorno,

tramonta il sole

nel mio piatto di minestra scura

come solo i pensieri migliori. 

Rimescolo un pò la broda densa

del mio cervello

col cucchiaio di legno,

separo il grano dalla pula

ma del tutto non riesco.

Sono giorni di gloria

in un tempo sospeso; 

batte il cuore nello stomaco

nero. 

Vorrei 

saper essere solo per un pò

come il ghiaccio 

nel bicchiere ma inerme

come il giorno che muore

attendo la notte sull'anima.

Nigredo.

 

 

 

*

Adda passa’ a nuttata

 

Un lungo sorso

di caffè nero notte,

per metà ancora 

la mente nel sonno.

Dicono che la realtà è 

Zona Rossa.

Sorge il sole

sul mio essere

e il nulla,

immote son le foglie

oltre la finestra in cucina 

verdi e brunite,

rosse alcune. 

Dicono che 

la gente è fuggita, 

ieri assaltava il bancone,

oggi il vagone;

gente d’assalto. 

La luce del mattino

Silenzio ha portato con se 

Sulle strade deserte,

Horror vacui. 

Penso che un vetro 

Sempre si rompe dove

È più naturale, 

Chissà perché.

Nuotano i pesci

nell’acquario,

un libro e il gioco dei bimbi.

Adda passa’ a nuttata.




*

Della bellezza dei marmi

Te

che la bellezza dei marmi

possiedi

Io Fidia scolpisco

con parole d’eterno 

e sulla tua meridiana

fisso lo zenit del 

mio mezzogiorno. 

Nessun’ombra

Più trascinerà il tempo

sulla tua pelle

e viso incorrotto

su occhi sempre aperti

di Bellezza eterea brillerà 

il mondo. 

A te dono faccio

di luce perpetua,

Alike.

 

 

*

Essere in divenire

Hai mai sentito
I campanacci delle capre
Risuonare alla sera
Mentre in gruppo rientrano
Insieme,
il diffuso belare?
Hai mai visto il sole farsi basso
Fino a tingere di cielo
Le punte dei frassini allineati?
Crini di pennello sottile
Sono i fili d’erba,
terra battuta e soda
consola il piede
che si fa incerto
al calare del buio.
Respiro a pieni polmoni
I colori del giorno che parte
Per dare un po' di ossigeno al cuore.
Una nuova vita si affaccia sul mondo;
sono mai stato pronto?
Di certo non a vivere,
forse nemmeno a diventare.
Mi fermo dove biforca il sentiero
Nel campo di grano,
la campagna m’inonda
di sensazioni piene
che non potrei trattenere
e come il vento tra le pannocchie mature
lascio fluire.
Mi passo le mani tra la barba vecchia di giorni
Per ricordarmi chi ero,
né mi sovviene del tutto;
non certo il mio nome
mi spiega
ma non ci sono parole.
Svaniscono i contorni delle cose,
s’intensificano i colori
e li sento dentro,
non più li vedo
mentre li piango dagli occhi.
Si fa cielo la mente
e tramonto in un tripudio di luci;
Si attenua il dolore,
non si placa la sete.
Oh si,
spaventa ma
è dolce questo essere
in divenire.

*

Riflessi a Milano Tre

Non le tue mani,
non i tuoi occhi
sono quello che credo
ma riflesso d’imago
a me fanno eco.
Siedi con me.
Guarda come si protende
Il ramo di ciliegio di rosa fiorito
E oltre,
la superficie del lago
che fa da tavolozza
dove il cielo per sè
pesca i colori.
E nuvole vedi cangianti
E uno spicchio di sole
Poi ecco che un’anatra lascia la scia
E si alza nel volo.
Luce si dipana leggera
Tra le due dimensioni
Né so più,
né lo sai,
quale sia riflesso
e quale il vero.
Nemmeno tra noi.


*

rapsodia

tramonta d’angoscia

un’altra notte,

agli ultimi lembi di luce

m’aggrappo ma nulla 

tra le dita mi resta e già 

s’accendon le luci per strada. 

Nessun passo ancora su per le scale,

dove sei?

Lenivo un tempo il dolore

con rosse bottiglie

che poi nere ghignavano

vuote dal tavolo

ed era mio il teschio che tra le dita

stringevo, interrogavo, 

ma ghignando silenzio

non rispondeva.

Ne’ volean le stelle 

che con luci sfavillanti 

taceano se ebbro chiedevo loro

’chi Sono?’

Incombeva su di me cupo il cielo.

Poi Lei ha iniziato a cantare

e a dare voce al dolore, 

a rendere normale vedere e sentire

sempre un passo oltre

quello che agli altri era dato capire

e scrittore di nulla e di tutto

m‘ha fatto: così 

ho dato parole al mio canto. 

A me si è mostrata una sera

nel cuore del suo giardino segreto;

seduta al centro di un chiostro rosato

un’arpa tra le mani teneva

e con dita di seta suonava

nella brezza leggera. 

Occhi tagliati su labbra di rosa,

lunghi capelli neri ossidiana

a me sorrideva

la Musa vestale. 

Da allora mai più 

mi ha lasciato e ogni volta

che cala la sera

e melancolia sale

faccio di carta una vela

e con la penna timone 

per creare  un mondo

dove viaggiare,

con Lei come vento

Dell’immaginazione. 

Rapsodia. 

 

 

 

 

*

Immortale splendere

 

 
Il capo reclinasti al grande viaggio.
Non amore di sposa
Né potere di regno
Poterono nulla a trattenere
L’anima grandiosa,
morte non attende
e non ha caro il conto degli anni.
Scendea la notte 
sulla fertile valle cara agli dei,
luccicavano miriadi di schegge d’oro
sulla superficie semovente del limo
fiume Nilo.
E chiusi gli occhi al mondo
Tramontò lo sguardo sulle cose dell’uomo
Ma alba sorse al di là,
Ove posasti lo sguardo radioso
Sul piccolo legno che attendeva
nell'acqua scura
sotto un tempio di stelle radiose.
Immagine vivente di Amon
attendeva Ra solerte
che tutto vede
sulla barca della notte.
Brillava il sole nel viaggio notturno
Dell’imperatore bambino,
reciso fiore anzitempo da sorte avversa in vita
per immortale splendere
con volto d’oro 
sulle genti di tutti i secoli. 
Salisti a bordo 
Ed eri già un dio
Mentre rollava la barca e staccava la riva
Verso le braccia di Nut, 
lussuriosa notte 
madre di eroi
al termine della quale
sorge l’alba di nuova vita
ed eterna gloria.
Lontano si tenne Anopi il serpente
da Ra testa d'ariete
Guidato da percezione, 
comando e magia
e vittorioso tornasti a splendere
oltre il duat
emergendo dalle cosce della dea,
porte del mondo. 
Saliva intanto di fuoco il sole
Sul regno, 
e tu con lui, 
Libero da ogni dolore mortale.
Mani amorose ti avevano deposto
Nel silenzioso sepolcro e
La terra su di te
Si era chiusa con abbraccio di madre
Per consegnarti al segreto e all’oblio; 
Mani sapienti di uomini audaci 
Ruppero invece il sigillo 
e morte sfidarono
Per riportare l’uomo alla luce
E consegnare il Faraone alla leggenda.
Fissa ora la tua maschera d’oro 
Dall’eterno 
ogni uomo e sembra dirgli
Di non avere paura,
l’immortalità 
E’ solo questione di tempo 
Ma è di ciascuno
splendere 
L’imperativo immortale.



*

Mihi, Musis et Parvulae Familiae

Mille e altre mille volte ancora
Il cielo solcherò
Fino al sole
armato solo d’ali di cera
perché Musa in me ispira
d’Icaro gli infiniti voli.
Come Dedalo ho costruito il mio labirinto
Di vita complessa e articolata,
potente illusione!,
Finchè io stesso dentro non mi son perso
E il desiderio ardito è sorto di fuggire.
Ma non si può, dicono.
L’uomo,
che moderno si dice,
non può più scappare né lottare
e come un pesce nella rete
finisce di annegare.
No, non così,
non io.
Troppo ampio il cielo,
troppa terra attende che io vi possa camminare,
poca vita resta, un attimo ed è andata,
per vivere volere
potere e viaggiare.
Non son venuto al mondo
Per farmi incasellare,
faccio da me,
sindrome del cane sciolto
mi voglio diagnosticare e non c’è cura
a questo male
se non andare, andare con Bellezza come vento
alle mie vele
e nuove strade sotto i piedi,
altri cieli e sogni per una testa da riempire.
E infiniti libri
dove altri come me
Io possa ritrovare
e me stesso anche
Dopo un altro viaggio vicino al sole.
Mihi, Musis et Parvulae Familiae,
a nessun altro è concesso di venire.
Sussurra ancora
in me la Musa
occhi d'Oriente e labbra di rosa
parole che non possono parlare,
Arte saranno
e grato sono
a questo amore;
di Lei infiammato
Icaro è pronto
di nuovo per volare.

*

Colline di ulivi

Caldo sole

alto sulle colline

di uliveti ricche,

si tendono i rami dalle foglie puntute

in alto all'eterno saluto.

Verdi son chiare nell'incavo gentile,

più scure all'esterno

sui rami pregiati.

Poche nuvole lanciate nel cielo

si muovono appena,

l'azzurro diafano il bianco 

ne esalta.

Da quanto tempo non piove?

Tirano i contadini grandi reti d'arancio

tra i venerabili tronchi, 

pescatori di terra

in un mare bruno che presto sarà colmo

d'olive piccole e nere di forma,

aspre di succo. 

Pesca sarà abbondante,

st'anno, se prima il ciel

non la uccide di grandine e pioggia

o geli improvvisi.

Alza il volto cotto da mille giornate

il contadino, solleva appena il cappello

e si terge la fronte

con un braccio nervoso

poi stira la schiena dolente

per il peso di generazioni di lavoro infinite,

dai tira che c'è molto ancora da fare

e le parole non fanno il lavoro da sole.

Si ride poco e si parla anche meno

dove domina la terra odorosa

sull'uomo. Così è da sempre,

vita dura richiede il privilegio 

di servire Natura.

 

Pronte dovranno esser le reti

a suo tempo,

non dopo nè prima.

Oltre la casa

scende il sentier

di pietre squadrate

tra muretti e terrazze a olivo e vite

coltivate. 

Lontano, immenso a ricordare

all'uomo la differenza tra 

presente ed eterno, 

danza la sua onda il mare. 

 

 

*

Imago

Impresso a fuoco nella penombra

il tuo profilo di tre quarti si staglia,

nero notte sul negativo

della luce bianca della finestra piena.

Creatura notturna, 

giri appena il volto e da sopra la spalla

sorridi. 

Non dici una parola, 

non ce n'è bisogno.

La notte ha portato via con sè

tutto ciò che non dovevamo dirci.

Sarà custodito con cura. 

Imprimiti bene nei miei occhi,

fotografia di un istante

che non posso trattenere

nè voglio; 

memoria eterna 

di ciò che incarni,

godo di questa immagine di te riflessa

tra la finestra e la mia retina. 

Un attimo e già non sei più. 

Ci sei davvero mai stata?

Imago. 

 

 

*

Noogenia

A te che
Nella neraluce della notte
Non dormi,
ma osservi lento dissolversi il falso essere esteriore
mentre inizia a brillare numinosa perpetua
l’essenza di ciò che sei.
Substantia.
A te che nel silenzio che scende
Una musica odi,
né altro la sente;
a che pro domandare?
Lei ti dorme accanto.
Non potrebbe altrimenti dormire.
A te che a passi lenti e misurati
Accarezzi coi piedi
Il parquet della casa
Un respiro per metro quadro,
e non saranno mai molti,
perché il letto è un covile di pruni pensieri
e i sogni non voglion venire.
La senti questa musica?
No, nessuno può, da quando eri bambino.
Celtica.
E giran nella mente eccitata
Versi di strofe come vento tra foglie
E immagini che sembran indicare più in là,
sempre più in là;
lascian appena intuire ciò che invero
con forza intendon celare.
E ti struggi in quel dolce tormento
Di chi si mette per mare
Senz’altra rotta che non sia il navigare
Irrequieto.
Ritto in mezza alla stanza, solo,
senti frinire il fogliame notturno.
Ha un suono il vento che passa tra le foglie di ulivo,
un altro quello che accarezza i peschi
o i rosei ciliegi,
un altro ancora quello dell'erba
o dei muretti secchi in mattone.
E senti l’odore della terra
che la notte esalta sopra ogni cosa
e si mesce con quello del sale
portato nell'aria dalla brezza del mare.
La luna raggiunge il suo spleen.
A occhi ben chiusi
Vibra con le dita intensi colpi di colore,
tratteggia linee e forme,
danza.
Sii musica.
Ed ecco fiorire cimbali e viole
Liuti e cicale
Nella notte fredda che hai scelto di abitare,
l’universo in concerto per un solo spettatore.
Nessuno è invitato,
nessuno escluso.
Un antico canto
Viene intonato da qualche parte del bosco
Nel vecchio uliveto.
Non si paleserà la Ninfa
Voce di fata che intona una nenia
E t’incanta.
Noogenia.
Strugge i men forti
Il desiderio del tutto,
che nome gli han dato
melancolia.
Ma dolce, dolce, dolce
è abbandonarvisi
e lasciarsi andare.
Nessuno saprà
se non te,
ciò che vuol dire.

*

Tempo di svegliarsi

Il giorno è stato gonfio 

di scrosci di pioggia,

la notte cala senza 

nessun pomeriggio e

come acqua ad acqua si mescola

nella vasca del tempo e

la riempie. Brilla di riflessi leggeri

che tra le colonne emette e spande

sino al soffitto delle terme

romane l’incenso arabe fragranze. 

E ogni riflesso è l’illusione

di un’ora che inebria me,

essere del tempo

e del tempo a un tempo

me illude e me ne priva. 

Emergi dall’ombra anche tu, 

Alike, 

prima che tutto sia finito

e si riveli al sognatore

il turpe inganno 

e l’inconsistente condizione. 

Lasciami credere per un attimo

a un Dio benevolo

che abbia scelto tra le tante

cave un masso vivo

dove la tua figura già intuiva

e abbia dato mani

all’amorosa opra

per dare forma

a Bellezza gloriosa

e porti infine qui, 

a me davanti, 

solo per concedermi

un istante di stupore. 

Lascia che io creda veri

i tuoi cocenti sguardi

e le curve sublimi

che dai seni discendon

verso i fianchi

Perche’ poi nulla, 

arriva il tempo di svegliarsi.

A me tendi Alike 

La morbida mano

E qualcosa dici senza muover labbra 

Ma gia’ pesanti mi si fan le palpebre

Nel sogno

E si chiudon gli occhi

Per aprirsi di nuovo di là,

Da qualche parte della follia 

Che vogliam reale ed ecco 

Il freddo torna e il buio

E son solo. 

Ridatemi il sogno dell'illusione

E non il sonno dell’illuso

che vita dite. 


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*

Floki in via Tortona

 

 
Che ci faccio qui, 
vagando in via Tortona? 
Niente, perché dovrei? A
me basta camminare.

Nuove strade, volti grigi, 

pioggia che cade a scrosci. 

Algidi corpi dietro le vetrine 

ma non capisci se son 

commessi o manichini. 

Vite di plastica.

E piovo anch’io a tratti

ma infaticato procede 

il mio vagare. 

Un lampo illumina 

da una vetrina il volto mio

antico;

Floki mi sorride

di riflesso e me sprona 

a continuare. 

Uno scherzo ben fatto è la vita

e ha regole precise, 

solo chi gioca fino alla fine 

potrà vincere, mai arrivare, 

che’ ogni porto è sosta e mai

un luogo per restare. 

Il mio respiro è l’onda 

e solo

in questo continuo ricercare 

batte in petto audace 

il cuore di un navigator pugnace. 

A ogni alba un tramonto chiedo

Sotto inedito cielo

E la pelle di lei;

felice sono solo

nello spazio tra due luoghi.

Memento Movere Semper. 

 



*

Inquietudine

Cupa rabbia

esplode nel cuore, 

nubi profonde abbassano il cielo

a toccare ogni cosa. 

Grida in tempesta

il mare. 

La tua bocca rossa. 

Squarcia il fulmine 

l’oscura notte,

ma dura un istante

e si richiude potente

il buio sull’onde. 

Inquietudine.

*

Eroica

 

Da tutta la vita attendo 

che eroica la crepuscolare anima

mia trovi il suo canto

e non si franga simile a risacca 

contro gli scogli del giorno.

Vorrei una voce. 

Ma invece celo sotto i panni 

dell’uomo sconfitto

le vestigia del dio

che tutto vuole, 

nulla stringe, 

odierno Superman

che si nasconde da

Clark Kent. 

Ma ho udito il dio

gridare forte in Gae Aulenti

e il poeta scrivere su carta 

‘No, gente, Pan non è morto’

a conferma. 

L’ho visto scalare a forza i verticali

boschi a caccia di modelle,

ninfe di passerella

che il mondo vagano

e non fanno il nido che per

pochi giorni. 

Il sole del mattino mi scaldava

un poco

ma il Dio mi bruciava il petto. 

Volevo una voce ma non gridai

per tema del giudizio. 

Vidi Apollo sorridente in alto

nelle torri del potere e Atena

manager di Milano capitale

scendere di tanto in tanto in Sempione

con Diana per cacciare. 

Ma ancora non ero in grado di parlare.

Scorreva veloce Hermes sul filo 

L’uomo un all’altro connettendo

Ma mai qualcuno a se stesso

Che ciascun di più l’ombra sua teme

Che tutte quelle dell’intero Ade. 

Venere di notte la sua malia stendeva

fuoco nelle vene e di ogni ragazza

pelle di seta sete viva mi accendeva,

una fiamma antica senza forma

che del divino ha la sostanza. 

Per mesi mi aggirai ebbro di vita

alla ricerca del tutto.

Chiesi

alle stelle urlando

chi ero

ma nemmeno si ritrassero per sdegno

e solo il silenzio era eco al mio

chiamare. 

S’accendea Piazza Castello di luci

come un focolare, 

Zeus lanciava fulmini tra nubi plumbee

dal Duomo

verso Galleria Vittorio Emanuele.

Poi una notte che il piacere dolore

diveniva troppo forte 

una penna e un foglio di carta 

vennero in soccorso e non io,

gli dei cominciarono a parlare. 

‘Guarda l’uva che feconda nasce

in autunno quando tutto muore

e benedice i campi con dei chicchi

bruni il lor turgore. Donne la raccolgono

e insieme a bimbi e canti 

schiaccian via il succo prodigioso

che nettare a me sacro acre botti

empira’ nelle cantine odorose.

Migliorera’ invecchiando, 

insegnamento e monito a ogni uomo.

E cosi‘ tu, 

armato di divin strumento

che entusiasmo dite, 

spirito insonne, guerriero d’arte, 

a te simili invia il tuo canto

dalla tua stanza in Casoretto.  

Al timone di una barcaccia

che sembra senza fondamento

come l’Itacense assetato di esperienze, 

fa che sentano. 

Studenti, impiegati,

donne di strada o imprenditrici, 

letterati e poeti,

vagabondi e drograti

non importa, dovranno sentire. 

Non gli opinionisti: a loro

follia ha mangiato il cuore. 

A me dedica ogni strofa 

ma l’ispirazione oscena

ricerca sempre dalla Musa. 

Lascia che ti accenda. 

Primavera d’inverno,

Dell’alba tramonto, 

Homo novus 

Innalza il tuo canto!

Che dei e uomini sentano. 

Non importa come sia,

ma simile a giovane rapace lanciati

nel vuoto e 

cadendo vincerai il cielo. 

Fa della tua vita 

la tua più grande opera:

Eroica sia,

niente di meno.’ 


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*

Carpe diem

 

 
 
 
A misurati passi
Cinerino s’avanza l’airone
E sembra che danzi,
Poi ritto si ferma e immoto resta
Sulle zampe che affonda
Nell’acqua che scorre del fiume 
Di cui scrisse anche Dante. 
‘Intra Siestri e Chiaveri
S’adima una fiumana bella’
Ed eccolo qui a me avanti
L’Entella che poderoso dai monti
Reame dei Fieschi discende, 
Di pesci e uccelli fecondo.
Son le rive verdeggianti 
Di foglie e bamboo e salici piangenti 
Tra cui maestosi crescon gli ulivi,
Alberi santi forgiati dal tempo
Ai quali mi accosto poeta devoto.
Nuotano nell’acqua argentina sinuosi
Neri pesci e rilucon bagliori di squame
O bianche le pance a tratti tra l’onde.
Osservano saggi i trampolieri maestosi,
Gazzette d’Italia e gallinelle di mare
Tra sgraziati gabbiani e germani reali.
Cammino leggero 
Senza pensare ma ecco a un tratto
Levarsi in volo l’airone.
Trattengo il respiro davanti 
A quel maestoso vagare 
Lento
Come se nell’aere potesse nuotare
E va verso foce
Dove il grande rivo conosce vasto 
Il mare che tra spuma e correnti
A tratti lo accoglie
A tratti respinge. 
Che poi forse non altro che questo 
È il senso del mio vagare
Dalla sorgente arrivare alla foce
E poi imparare a volare. 
Ma alta si staglia oltre il ponte 
Dei frati cappuccini la torre
Campanaria a indicare 
Che tempus fugit, 
Oh uomo, 
E che tanta Bellezza 
Non deve aspettare.
Carpe diem. 
 
 
 
 




*

pomeriggio d’estate

Senti ancora il suono fresco e chiaro
Della campana che al meriggio chiamava
Al riposo?
E voce di madre che dalla cucina
Diceva:
‘Ale, è ora di pranzo,vieni’?
Abbandonavi quindi le giovanili letture
E correvi a mangiare,
pregustando non già quanto nel piatto vedevi
ma le gioie delle ore a venire.
Giallo arrivava dalla finestra aperta
Il canto fragrante delle infinite cicale
E l’aria calda e salmastra che
Ai sensi eccitati portava
Il gusto del mare.
Netto nel cielo azzurro e infinito d’estate
Si stagliava il sole.
Due telefonate agli amici ed eri fuori
Nell’afa cocente né la sentivi tu,
Ebbro di vita bollente
che traslucea sulla pelle come una scia
di sudore sottile,
ecco l’estate, ecco la vita,
siam pronti a gioire!
Ogni strada del paese era ricolma di sole.
Sfrecciavi veloce con la bici
Nel silenzio del giorno
Che si ripara dal caldo,
via Roma deserta e del Comune la piazza,
strideva con forza per aria un alcione
e al coro delle cicale si univa
poi con un salto deciso pel cielo volava;
ti giravi appena a mirarlo sorpreso
per vedergli sorvolare alto le grandi colline
di ulivi e mediterranea macchia vestite
e le mille sfumature di verde
dal sole esaltate;
ma tempo era di recarsi al mare,
il grande mare che di noi tutti sua gente
è un’infinita quarta parete
che nulla allo sguardo preclude
ma all’infinito sembra ispirare.
Ed ecco gli amici già pronti sulla rena brunita
E le ragazze già calde dalla pelle di miele,
grida felice qua e là un bambino.
Suonano piccole radio
Con voce elettronica
I pezzi dell’anno.
Ti svestivi veloce dai pochi indumenti
ed eri già in acqua tra mille schizzi.
E poi c’era lei,
la sola tra tante,
e ogni cosa aveva il suo senso
se dai suoi occhi di mandorla nera
guardavi il tuo mondo.
Brillava la sua pelle
Di piccoli diamanti d’acqua,
spessi e bagnati i capelli
incorniciavano il volto
come il sottile costume
ne nascondeva le forme
che esaltava a un tempo.
E la fantasia correva
E accellerava del cuore il suo battito,
un bacio leggero di labbra salate,
una stretta di mano poi:
‘Che dici, giochiamo?’
Si irradiava il suo sorriso sul mondo.
Sentivi forte la vita
E la sabbia, il mare, il cielo e gli amici
Erano parte di te illimitato;
Niente sarebbe stato diverso
Da quello che avresti voluto.
Bastava tendere la mano
Per rendere di potenza volontà
Possibile,
più simile agli dei che non all’uomo
è un ragazzo di fuoco
sulla riva ligure di un paese
nel cuore dell’estate.
Così ci sorprendeva quindi il tramonto mai atteso,
di rosso il cielo il mare infuocava
e le case pastello al di là del treno
che via ti avrebbe portata,
a casa, almeno fino a sera.
Un ultimo bacio, uno ancora
e ti guardavo salire e poi andare.
Selvaggi del giorno
rincasavamo felici, mai stanchi,
in attesa di ciò che la notte avrebbe portato.
Che la luna non si presentasse nemmeno,
che nessuna stella brillasse nel cielo
se la notte noi non avesse cullato
e i nostri baci audaci custodito,
un gelato veloce di mango e limone
e poi di nuovo in spiaggia
sulla sabbia appena bagnata
a imparare l'amore
maestri di vita.

*

sogno di un’ombra è l’uomo

Il giorno è stato pieno di vento

ma adesso nella casa è sceso il riposo.

Dormono i bimbi di risate esausti

dopo un altro giorno di forzata clausura,

dorme lei col volto tirato

in attesa che presto il mondo

torni com'era.

Ma io non posso prendere sonno.

Scende fragrante nella tazza

acqua bollente

che del verde thè il colore apprende,

dalla menta l'aroma frescante

e mi siedo lì,

sul grande divano,

in attesa del niente.

Sogno di un'ombra è l'uomo

ma questo non basta,

alzarsi al mattino aspettando il tramonto

e dormire sperando di vedere l'alba al risveglio.

Si levasse almeno ancora il vento

a battere con forza sulle nostre finestre

ispirando antichi canti di guerrieri e foreste

ma nulla, solo il silenzio mi accoglie

e vorrei svegliare lei ma a che servirebbe?

Non capirebbe.

Sorseggio il mio thè e assaporo la menta.

Un uomo è solo davanti a sè stesso,

Liquido è il futuro senza un presente.

Gli dei non parlano con noi da troppo tempo

nè ci inviano più miti e leggende.

Ma a che servirebbe..

Sogno di un'ombra è l'uomo.

Solo un pò di rifugio ritrovo

nelle serenate di Mozart che passano in radio,

adagio andante è la mia melanconia

ma dura un'istante.

Eppure, dei, che inganno

Al mio tempo che finito mi vuole

Mentre infinito il mio intelletto

Immagina immenso!

Finisco il mio thè

e inghiotto quanto resta

di ciò che penso,

lavo la tazza e penso che

comunque vada

domani arriverà lo stesso.

Nel buio la notte attendo

e sorrido.

*

beata solitudo

Ma se di me 
Il dol solo conosco 
E me stesso me
Soltanto vedo, 
Non altri per come io sono, 
Non ridere ancora,
Dolcissima signora, 
Pria che il pensier
Volga a compimento;
Se ciascun di se‘ dicevo
Unico al mondo 
Il mistero sape
E il nome, 
Non labbra su cui pronunciarlo
Ne’ un petto morbido 
Sul quale piangersi,
Che resta allora? 
Menti concave e pensieri convessi
Scavano solchi su corpi complessi, 
Dimagra l’alma in tempi duri
Di uomini di paglia. 
Non io, Alike, 
Non noi finirem così 
Ma sull’afflato denso
Di un unico sospiro 
Ognun per se’
Ci troveremo insieme
Al di là di ciò che sembra
Per significare ciò che è. 
Bello, certo,
Ma non reale. 
A me poeta
Ascrea musa predisse
Illacrimata vita 
In solitudo. 
 
 
 


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*

La febbre oltre il pineto

Vaga la mente 
Tra le note della vita
Del Vate poeta, 
Pesante in testa 
Piacere s’effonde,
Ne’ lucidità ottunde.
E allora che cosa..
Sarà la febbre
Che in questa città esala,
Fiera non china 
Il capo a corona
Che il virus depone
Ma vibra e vive
E lotta tuttora. 
E allora che cosa..
Sarà che piove nel pineto ancora
E sulla terra di frassini antica.
O forse è Mozart
Che con tanta dolcezza 
Il cor mi spaura? 
Poter volere, 
Inconoscibile resta
il mistero di Iside
nel monte di Venere. 
Sarà forse che sei lontana,
Alike,
Da queste strofe
Di crocifissa rosa. 
Amor ch’a nullo amato 
A te perdona non amare
Come io t’amo
E giaccio qui tra le coperte
Di sudore e febbre esauste, 
Un libro ancora e sarà notte.
Ma non c’è trionfo 
A questo fuoco.
Innocente, 
A te invio parola nuova 
Che oggi m’illude,
Domani t’illuda. 
Aspetto che stanotte piova, 
Alike. 

*

Imaginifico Sublime

Vieni con me.
Questa notte ti porto
Pel paese mio che
come gatto acciottolato siede
a’ piedi di collina
di torti ulivi abbellita
e si speca narciso
nel Tigullio mar,
santuario de cetacei.
Silenti son le vie del centro
Dai medievali ciottoli
Di risonante pietra,
via Roma di case stretta che
come un rivo procede diritta
e a un tratto s’assurge
di Santo Stefano alla gloria perpetua.
Non suonerà per noi stanotte la campana,
ma aspetta;
alta è ancora la luna con le sideree stelle.
Corri con me tra i portici antichi
color de Fieschi,
asconditi e svelati come Siringa
con Pan gagliardo e aitante
che più desiderosa d’esser trovata
che non di fuggire
a un tratto in flauto si è tramutata
per esser presa e musica divenire.
Già dagli operosi forni s’espande
fragranza di focaccia e marinare forme
che innumerevoli Vulcano
nel cuore della notte
bianchi di farina al loro pane danno.
A casa i bimbi loro dormono e le mogli;
scambieranno al far del giorno posto nei giacigli
ma ancora nostra è questa notte,
prendi la mia mano e andiam là
verso dove il mare scuro
imbibisce l’orizzonte.
Si apre tra le case piazza del Comune
Da malnata gente comandato:
Ma quanto è bello nel sublime
Imaginifico silenzio
Di un notturno cielo stellato?
Separa ferrovia la terra e il mare
Ma bastan poche scale
Ed ecco stagliarsi scura sul litorale
La statua imponente dell’ammiraglio
In tutto il mondo noto pel suo navigare.
Sublime imaginifico è dell’uomo il suo sognare
Ardito e l’incondizionato osare
Chè alcun limite conosce
Se non ciò che riesce a immaginare.
E così noi,
creatura figlia del tempo
che con me hai scelto sulla notte di trionfare.
Rugge il mare su la scogliera
E sbuffa,
Sciaborda tra le pietre
scintille bianche di sale grevi innalza
ancora e ancora nel suo eterno
tentennare.
Asciuga la sabbia umida l’onda lasciva
Che nuova torna dopo l’antica
A bagnare i piedi di te
Che quasi nuda corri ed eccitata ridi
Nella notte immensa che intorno a noi
S’adima.
Lascia che su di noi si chiuda
E al mondo nasconda
I nostri d’amor sospiri
E le carezze immense
E i baci profondi e pieni
Dell’imaginifico sublime
Di un amore senza psiche.
Non a caso tu hai nome Alike,
o creatura del mare oceano
e non ricordo più se in esso ti sei tuffata
per divertirti ancora
o dall’onda sei emersa come Venere signora
e mi abbagli
col tuo primo sorriso,
e mi confondi ogn’ora
chè tanta bellezza non è data
per occhio mortale esser compresa.
Nereide Alike di spuma adorna
dall’occhio scuro che di mandorla ha la forma
stringimi forte perché paura più non abbia
del tempo che fugge
e dell’alba che presto farà impallidire
le ore tarde del nostro vivere sublime.
Ma tu già non più ascolti parole che io non posso dire
e adagi sulla rena il giovane corpo ambrato
in attesa della danza che entrambi da tempo
abbiamo atteso.
Da qualche parte sulla passeggiata un gabbiano stride
Mentre si accende in me la torcia da portare
In te, tempio di Ebe;
e le labbra schiudi sul dolce volto
e la schiena inarchi
in questo tutto nostro divenire;
qui ci darem la mano,
Alike,
che la vita adesso è solo un sogno
da non sprecare.
Questa notte io e te siamo
imaginifico sublime.


*

Diastema

 

A te che della fatal musa 
Sei l’imago 
Questa sera rendo omaggio, 
Diastema. 
Sorgendo dall’acqua 
Ad Afrodite di spuma simile 
Incanti i miei sensi,
Nè mi guardi, 
Di un anonimo Dante
Inconsapevole Beatrice. 
Tanto bellezza aumenta
Quanto da lungi è mirata
E desiderio di te me incendia,
Sacra fiamma illibata,
Ma non la mia torcia 
Accenderà il tuo braciere
E arde passione di fatuo fuoco
Ispirato.
Sei arte e Incanto
E infiniti versi, 
Che’ simile a Musa
Come Musa opri
E incanti. 
Due occhi bastano
Come i tuoi e comprendo
Come di Ulisse Calypso
Per dieci anni ha sospeso il tempo. 


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*

Amore ai tempi del corona

Si svuota Milano
Mentre Pan di grida infuria per via
E risuona l’urlo panico
Tra gli scaffali vuoti dei negozi
D’assalto presi da torme di gente
Spaurita.
La civiltà getta la sua maschera
Di educata convenienza
Sull’altare della lotta per la sopravvivenza.
Poco importa
Che l’allarme esista o meno,
l’ha detto la tv
e persino facebook.
Deve essere vero.
I porti il cuore ha chiuso
Già ai tempi del dragone,
anafilattica crisi arde or la mente
mentre corona il virus depone
sul capo di chi tra noi seleziona.
Né diventiam più umani,
né men bestie.
Ciascun per sé
A sé pensa.
Adesso gli altri siamo noi.
Ma non c’è cura per chi
Untore dannata ignoranza diffonde
Perché se ancora vaccino non esiste alcuno
Al male
Ciascun di noi a sé prescriva
Amore ai tempi del corona.
Spaventa più la paura
Che la sua causa,
l’unico vaccino è la conoscenza.
Tanto basta.
Restiamo umani.

*

Piazza dei Mercanti

 

Ricordi ancora le soffuse ore
Dei meriggi d’ottobre
Quando dalle finestre della classe aperte
Secco giungeva aspro di fumo 
Fragrante l’afrore di legno bruciato
Dai contadini solerti sulle colline 
All’intorno e non più la scuola vedevi 
Ma i campi coltivati a piane 
E i muretti di grigie pietre 
Ove bello era ascoltare una zia 
La sua nenia vociare
Nella lingua di Lighea la sirena. 
Seguivi allora con lo sguardo curioso 
Della snella cicala gli sbalzi 
E dell’ape il ronzio del volo soave
Che tra i fiori s’allieta. 
Sorgea tra il verde dell’erba 
Un papavero rosso. 
Ed era bello sentire le spighe
Carezzare le gambe e arrossare la pelle
Nella corsa sfrenata di bimbo sicuro
Che’ sa che
Per quanto lontano lui vada
Ritorna.
Ma adesso volgi lo sguardo 
Sulla pietra grigia e severa 
Decorata da stemmi e volti d’eroi; 
Non la scuola ma la vita 
Ha guidato i tuoi passi 
Tra le colonne che ornano 
Dei Mercanti la Piazza. 



*

Notturno

Lento si stacca il punico legno
dalla banchina deserta,
sciabordano nella notte oscura
ove cielo e mare si fondono le onde nerastre
contro la prua simili a carezze di mani lascive;
non una stella,
nè la siderea luna han cuore d’assistere
alla tua dipartita e nascoste si sono
dietro un manto di nubi.
Notturno.
Scricchiola il ponte e battono secchi
Sull’acqua i remi sonori
Mentre tu ritto ti ergi e
Non ti volgi indietro a guardare là
oltre la poppa ,
ove lontana si fa la terra che un tempo tua dicevi
e che portasti in alto sul podio della gloria
ma ora già si arrende al nemico
Carthago la Bella,
Carthago la madre profana
che il figlio più amato ha venduto
affinchè piccoli uomini di sé indegni sé stessi fan servi
e il collo presto servono al giogo del romano padrone.
A fatica trattieni di sdegno una lacrima dall’occhio sano
che lontano scruta nel buio
e guarda l’altro dentro di te e ogni cosa conosce
e ti svela.
Aletheia regna sovrana nello spazio del giusto.
Si volge allora l’animo all’invitto cuore
e si fanno saldi insieme
rimembrando l’antico giuramento eterno
di odio perpetuo ai figli di Roma
che bollente scorre nelle vene simile a fiume di lava
e risveglia alla mente purpureo l’impegno solenne.
Lasci alle spalle Carthago la Bella
e punti la prua su Tiro fenicia
che là, salda oltre il buio, attende che torni
il più glorioso padre tra i figli.
Né più mai vedrai le sacre natali sponde
e le vie per le quali bambino correvi giocando alla guerra,
le piazze familiari, crocevia dei popoli, il richiamo alla preghiera
nella casa degli avi.
Soffia sul mare una brezza leggera.
Si china appena il capo di ricordi pesante sul petto
e già gli occhi si fan pieni d’immagini di tempi che furono
quando, giovane condottiero, stupisti il mondo
e scrivesti il tuo nome col fuoco
sulla schiena di Atlante
reggitore del globo che si era fatto pesante
dopo il passaggio sulle Alpi dei poderosi elefanti.
Non l’inverno pungente di titanica neve
nè le imboscate di celti furenti tra i picchi ghiacciati
poterono niente contro la forza del sogno
ed ecco che, oltre le montagne, si apriva ai tuoi piedi
lasciva l’italica piana.
Nulla aveva potuto a fermarti nemmeno d’Imilce l’amore,
non la gemella progenie.
Suonava cupa per Roma l’ora più triste.
‘Generale, generale, che fai non dormi?
Solo l’alba alzerà il velo per noi sopra Tiro
fenicia, fonda è la notte per chi nella notte
cerca consiglio.’
Apri l’occhio buono e non c’è più la fertile terra d’Italia
ma cupo e profondo mare
che risacca e mormora di piccole onde
lungo lo scafo veloce.
Non mai una notte intera hai dormito
in tempo di guerra né in quello di pace
ma simile a un lupo strappavi un po' di sonno al tempo
quando appena potevi, né mai lo volevi.
Tempo per dormire ce ne sarà a iosa al di là della vita,
hai sempre pensato.
Difficile sembra orientare la nave nella notte che avanza
come nella vita nessun vento è opportuno per chi non ha direzione
ma tu hai fatto di te un astro nascente per illuminare la via
e del tuo sogno ali al folle volo che ti ha portato lontano.
Immensa è adesso la notte sul piccolo legno.
Chiudi ancora gli occhi e con le mani ratte nell’aere
disponi truppe e ai lati numidi cavalli
e gli elefanti a tutti davanti per paura e stupore,
tremi il nemico avanzando la piena potenza di Annibale il Grande!
Gli dei non amano i tiepidi.
Cala il terrore sulle genti d’Italia.
In te rivive la gloria di Alessandro il Macedone e il furor guerriero
di Achille uccisore di eroi,
ma sei anche Ettore il misericordioso principe degli uomini
e Agamennone generale di eserciti vittoriosi.
Si alza la tua falce sulla pianura padana
e tinge il Trebbia di rosso il sangue romano
mentre mieti con forza e mano istruita alme di uomini
come spighe di grano.
Benedetto dagli dei,
avanzi veloce e muti la sorte che pareva di Roma
sul mondo aver fatto regina.
E già sul Trasimeno fugace essi spandevano fumi di nebbia
che di Flaminio agli occhi nascosero
l’esercito audace.
Simili a ciechi si moveano i Romani
nell’algida alba che avrebbe fatto loro da tomba
quando tu della battaglia desti il segnale;
al tramonto oscurarono il cielo di fumo
i fuochi di centinaia di pire
né la sera ebbe cuore a tardare.
Ogni cosa sembrò allora possibile
e la libertà delle genti a un palmo di mano.
Ma un nuovo astro faceva allora il suo ingresso
nel cielo di Roma e desiderava guidarne le sorti
né vollero gli dei svelarlo anzi tempo.
A malapena da Canne un ragazzo portò a casa
salva la pelle e a lungo pianse
la morte dell’inclito padre,
che come lui Scipione faceva di nome.
Un mare di corpi copriva la terra d’Apulia
ovunque l’occhio potesse guardare
perchè migliaia di figli quel giorno
vennero strappati dal cuore di madre
della città fondata da uno dei gemelli di Rea antica vestale.
La vendetta di Annibale contro l’arroganza di Roma
accese nel cuore del giovane simile a fiamma
la voglia orgogliosa di una divina rivalsa.
Sorge l’eroe paladino nell’ora dove la notte è più buia
simile al sole a peso portato sul carro
dagli alati cavalli d’Apollo.
E sempre l’alba sorprende
chi con sé Morfeo non ha tratto.
Un’ombra di sonno passa leggera
dietro le tue palpebre chiuse,
rolla e beccheggia la barca ma
alcuna terra il buio profila.
Tempo c’è ancora di ricordi e sospiri
Perché quando la vittoria sembra ormai giunta
Tosto s’allontana come Nike
con un colpo di ali.
Ed ecco che Capua ti costa una guerra
e anni di fatiche e tormenti e vite di giovani
eroi rimasti a morire in terra straniera.
E’ davvero brutto lasciare le ossa
lontane da casa.
Non le lacrime amare
dell’amata sposa né la cura di un figlio
ne avranno memoria,
non i dolori degli anziani genitori potranno lenire.
Tombe senza un nome come il mare profondo
si sono chiuse ormai su quei corpi da tempo
e nemmeno il nome è loro sopravvissuto a futura memoria.
Ma tu ancora vivi e batte il cuore caldo che di luce risplende
nella notte sul mare. Morire da solo è l’eroico destino.
Guarda.
Che cos’è quella striscia sottile che aleggia biancastra sull’acqua
e la rende più nera?
No, non si sbaglia chi come te l’ha attesa per ore nelle innumerevoli guardie
e tutto il mondo intorno sembrava dormire.
Ecco!, si fa incontro veloce alla nave l’alba,
vicino è il mattino e l’approdo di Tiro.
Più fresca è l’aria all’intorno nell’ultima ora del buio.
Ma un’ultima battaglia va ricordata prima del giorno
e si apre davanti a te l’infuocata piana di Zama,
simile a falco dall’occhio rapace ti libri alto
nel cielo furente.
L’umanità intera è schierata a battaglia.
E tu vedi te stesso condottiero d’esercito
lanciare feroce uomo contro uomo nello scontro finale
ma già gli elefanti hanno esaurito lo slancio
e imbizzarriti portano il caos
tra i tuoi stessi soldati.
Una nuova regia è in essere allora,
gli dei hanno ormai scelto un nuovo Mercurio
per parlare con l’uomo
ed è un ragazzo che un dì chiameranno le genti e la Storia
Africano.
Ma ancora non sa che nel suo destino eterno c’è il nome
che quel giorno scrisse nella sabbia di Zama.
Oh, com’è amaro il gusto della sconfitta dopo
aver libato per anni con calici gonfi
di vittorie sublimi!
Quanto pesa all’uomo
riscoprirsi umano
quando ormai era a un passo dal cielo.
Ma già si chiudono le divine soglie
davanti all’hybris del generale
un tempo invitto.
Niente è più bello di ciò
che non è stato ottenuto.
Crollano le file degli uomini
una dopo l’altra,
nulla di ciò che andava fatto
era rimasto da fare.
Mantengono la posizione
i punici audaci e durano fatica
gli astati romani ad averne ragione
ma arriva di princeps e triari la linfa nova
che vigore restituisce alla pugna offensiva.
Accerchiato è l’esercito di Carthago la Bella
che come novella Andromaca attende ormai
dalla cima delle porte Scee la fine impietosa
del suo divino Ettore
domatore di cavalli.
Calava così in terra d’Africa il sipario su Annibale il Grande
e sul suo sogno di gloria,
Roma imponeva allora
il suo imperium a sigillo
d’eterno comando.
Si scuote l’eroe e si ritrova adagiato sul ponte,
appena appoggiata la schiena.
Già il sole è alto nel cielo
e come lui tosto si leva e getta lo sguardo
oltre la nave,
giusto in tempo per vedere che nuova terra
viene incontro
e già Tiro sembra proporre
al generale la solenne promessa
di rinnovata vita.
Il generale è l’ultimo ad abbandonare la nave.

*

Imaginifico

Imaginifico è il cielo 

quando d’ombretto al tramonto

s’arrosa leggero.

E lente pasciono

come armenti divini

le bianche nubi 

a consigliar riposo,  

e di cessare meditazioni

sulle cose del mondo

per lasciarle andare

come i rami le foglie di bronzo. 

Richiama la campana al vespro.

Imaginifico e’ il pensiero

che allora mi prende

e di fronte a tanto immenso 

un po’ mi perdo,

e una sottile angoscia 

simile a sera nel cor

mi sorprende. 

Non cerca parole

ma porta con se il desio

di uno sguardo silente, 

di un mirar lontano

nel grande mistero

che il cielo sussurra 

ma Sfinge non svela.

Ed ecco che allora 

una rapida rondine sfreccia

nel rosa e nel viola 

e sibila forte un augusto richiamo,

come a dire a noi mortali di terra

pesanti siete nei corpi, 

ma lasciate che la mente vi voli. 

Guarda come vola leggera

verso il far della sera

E lascia che l’anima segua.

Imaginifico. 

*

io sono tempesta

Cala plumbeo il cielo sulla città

che a un tratto si fa silente. Ogni suono

s'ottunde in piazzale Loreto.

Fai piano, anche una brezza leggera

può fare rumore.

Cammina piano,

la bellezza di ogni tuo passo

fa male se non posso

averlo.

Esistevi prima che io ti volessi,

Figlia del Tempo,

eppure ti desidero da prima

che fosse fatta luce,

tu, unica testimone della creazione divina,

a sua immagine ogni cuore richiami.

Mi danzi intorno

in mille occhi di mandorla,

nei volti di porcellana

vestiti di capelli come ossidiana.

Sono tempesta mentre

mi vivi intorno,

respiri, parli e ti muovi

come se non ci fossi che te,

non io,

e l'anima mia si fa mostruosa

mentre tu ti espandi

e io svanisco.

Vajrayana.

Potessi, come aria, respirarti.

Potessi, come pioggia,

scivolare sulla curva dolce del tuo naso

fino alle labbra che simili a rosa

si schiudono.

Respirami.

Ma tu non mi vedi nemmeno,

distratta allontani con una mano

una ciocca bruna di capelli,

li sciogli e simili a cascata

scivolano sulle spalle sottili,

passa nei tuoi occhi distratto un pensiero

che non mi riguarda.

Aspetta.

Sulla veranda simile a tastiera

suona il cielo con le prime gocce.

L'aria sa di terra bagnata e di asfalto

mentre ancora ti guardo,

mentre fuori il mondo piove

e tutto ritorna nelle cuffie nere

come il tuo vestito che leggero

ti nasconde allo sguardo

e ti esalta alla mente,

è ambra e miele la tua pelle.

Potessi assaggiarla.

Ti muovi leggera nelle tue scarpe sportive,

lento e pesante il mio sguardo

dietro la barba di giorni.

Mossa imprevedibile, mossa magnifica.

Scacco al Re di una Regina inarrivabile.

A che serve essere sole

Se potessimo piovere insieme?

Disseto di parole

La mia sete di movimento

Ma non mi resta che la pioggia

per confonderci le lacrime

e il canto di te,

nascosto dal tuono

che di qualche Dio riporta

il colpo di martello supremo.

Potessi essere folgore,

risplendere in un attimo

di eterno splendore e abbagliarti,

anche solo per un istante.

Io sono tempesta.

*

Strada panoramica

 

O strada della mia giovinezza 
Ove il mio corpo fanciullo corse
Di tra gli ulivi ritorti, 
Alta via che sinuosa, simile a fiume,
Tra muretti in pietra raccolta
t’adimi per il colle sontuosamente
D’alberi adorno
ecco il tuo canto; 
Ricordo ancora il suono dei passi
Che al canto delle cicale festose si mesce, 
Il sole caldo sulla pelle che sa di sale
E nell’aria il profumo di carne alla brace; 
Qualcuno, sulle piane, festeggia l’estate 
Che arriva mentre viene incontro la sera.
E la’, in perpetuo moto sullo sfondo immoto, 
Giganteggia il mare turchese di luce acceso e incontra la’,
oltre il luogo ove lo sguardo puo’ vedere, 
Il cielo immenso che in esso si specchia fedele. 
Ancora corro e respiro e son vivo
E si fa appresso una cappella di pietra 
Al limitare del bosco di ulivi, 
Tempo di una breve preghiera a Ebe, 
Dea di giovinezza, 
A Nettuno, del mare profondo e gagliardo 
E a Dioniso che porti con se, 
Insieme alla notte, 
Le labbra di una viaggiatrice straniera. 
Quanto è profondo il cielo, 
Visto da qui. Sono tutto spazio. 
Il cuore già pulsa nei muscoli tesi, 
La testa leggera intona un canto
Sul far della sera. 
 
 
 
 
 
 
 
 


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*

Novara

 

 

Si svela piano al visitar curioso

Novara, maestra di luce, 

come timida vestale 

di colonne adorna. 

Sono vicoli e strade nascoste

i tuoi veli, 

arrossa le virginali gote

il tramonto acceso sul castello

e si riflette di trucco ostinato

sul pastello dei palazzi gentili. 

Ma già cala la sera,

S’accende d’avorio

La tornita torre che

Su tutti s’eleva e l’altra di riflesso

S’oscura.

Rincasa la gente dal corso, 

alcuno s’attarda all’ultimo caffe’

e gia’ la serranda sbadiglia, 

un’ultima risata tra amici 

poi si va, 

ognuno per la sua via.


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*

Alzaia Naviglio Grande

 
In duemila anni
Non un solo nuovo dio.
Hanno cessato di parlarci le forre selvagge
E i ruscelli gentili, 
Le bocche chiuse di inquinamento sottile
E metalli pesanti.
Né sussurrano più gli dei 
Con brezze leggere
E torrenti di pioggia,
Non tuona alcun dio
Prima del lampo sonoro. 
Invano attendi che di sorriso feconda
Nasca una Venere dalla spuma del mare
Ma basta un tramonto 
Che l’anima tutta s’asconde
E si sorprende
E socchiude gli occhi a
Mirar lontano 
Che da qualche parte ancora 
Non risuoni di Pan 
Flauto sonoro, 
Rincorrendo veloce occhi d’Oriente. 
Vi attendo qui, o Dei, 
A Dioniso simile, 
Mollemente adagiato sul ponte
Sul Grande Naviglio. 


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*

Duomo di Milano

 
 
Tacciano i poeti
Le lire strofe
Le algide rime 
Le silvane atmosfere da boschi fasulli
E i priapici versi per imenee muse di carta. 
Tacciano i poeti. 
Depongano carte e penna 
E tocchino con mano la pietra fredda
Del Duomo, si spauriscano i pensieri 
Tra le guglie che acchiappano nuvole, 
Vaghi la fantasia tra le mille e una statua. 
Guarda, vittoriosa c’è una Nike su tutte dorata. 
Prendimi la mano, 
intreccia le tue dita alle mie.
Carne calda, sottile l’osso, 
Felice ossessione di occhi a mandorla
E capelli di corvo. 
Di te scriverò ancora, non mai. 
Schiocca nell’aria una lattina di Monster,
Gratta la gola,
Accende la mente. 
Dalle ragazze di strada
Arriverà il Canto Novo, 
Dai vagabondi di stelle 
Nativi digitali di indiane riserve. 
Prendo nota e compongo. 
Un po’ di caffeina, una penna 
E vi riscrivo il mondo. 
Tacciono i poeti. Ascoltano e già 
Tra loro ridono. Ma non sanno: 
Loro sono morti. Io sono vivo. 
 


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*

Sabato mattina

Risuona dolce una voce
vicina all’orecchio,
lontana nel sogno: ‘Amore, svegliati, vado.’
Luminosa una striscia di luce
nella coscienza s’avanza,
lotta Morfeo per mantenere il dominio
che perde.
Un bacio.
Aspetta, ancora uno, ti prego. E ci sono.
Appare il mondo agli occhi vacui di sonno.
Già giocano i bimbi da qualche parte di là,
bianche voci greche, alte sonore,
risate, scalpiccio di piedi che danzano sul parquet.
Ascolta. La campana del mattino
già richiama i fedeli alla Missa Solemnis.
Ma si chiude piano la porta e sei uscita già.
Il letto invece non mi lascia partire
dal suo morbido abbraccio di coltri.
Calypso.
‘Papà, papà ci prepari il the? Vuoi il caffè?’
Bussa il giorno urgente di bimbi,
gridano piccoli Pan di vita pieni.
Chiudo gli occhi appena e torna la notte
e il suo ricordo e di te
che scivolata furtiva nel buio a me vicina
mi hai sussurrato all’orecchio: ‘i bimbi dormono’.
Scintillava il tuo bianco sorriso
di piccoli denti precisi, morbide labbra
si schiudono e mi cercano e trovano
il mio respiro, fai piano, non sentiranno.
Sorrido adesso anche io al giorno
sileno, arriva il vigore, irrompe.
Tempo di alzarsi. Accetto la lotta.
Fischia di bianco vapore la rossa teiera
sulla fiammella azzurra,
già disposte le tazze,
‘Del the, presto!’
Brunita si colora d’ambra l’acqua
bollente che diventa caffè e fragranza
mentre strappo un minuto al tempo
e afferro un libro del poeta Vate,
‘Ove il tuo nume, o Dioniso,
e il tuo riso, e il tuo furore..’
‘Papà, mandarini! Papà, trenino!’
Suona il telefono. ‘Amore, c’è da stendere.’
Si, è la vita che hai scelto
e generosa richiede attenzione.
È il tuo pezzo di cielo, in terra.
Scegli ogni ciò che hai. È ciò che sei.
Melancolia e sbalzi d’umore, come tramontana,
arriveranno ancora.
Ma oggi c’è il sole.
‘Eccomi’, dici mentre ti levi. È tutta vita.

*

Albeggiare a Milano

Sbadiglia ancora l’ultima notte,

pallida arriva la luce. 

Albeggia.

Scuoti dal sonno le pesanti coltri,

risveglia il corpo col primo sbadigli.

Venere. 

Polvere bruna nella caffettiera algida, 

gorgoglia vapore fragrante sulla fiamma;

illumina i primi pensieri. 

Aprono gli occhi le finestre luminose,

sbadigliano le serrande  fragore di tuono

ed ecco!, già il tram sferraglia sulle rotaie lucide

tra le pietre. 

La citta‘ si sveglia. 

Volti tirati emergono dai palazzi e svaniscono 

nelle auto, giù in metro, sugli autobus; 

stomaci tesi, sguardi bassi, la distanza tra realtà 

e sogno è spessa una palpebra. 

Ma quanto sono distanti alla prima luce del giorno

che si dirama sulle chiese di mattoni rossi,

tinge di viola il cielo, di rosa pastello il marmo 

del Duomo. 

Brilla la Madonnina il suo buongiorno.

Sei uscita anche tu, tra gli altri; 

un secondo caffè nel bar già affollato 

con lo sguardo distratto che vaga

tra le colonne di S. Lorenzo.

Brinda alla luce maestoso Costantino il Grande.

Perche‘ non hai voglia di affrontare il giorno?

Da quando la vita ha fuggito il tempo?

Nevrotici, veloci, disconnessi. 

Basterebbe un minuto sul prato davanti alla chiesa

di Sant’Eustorgio, 

un buon libro sotto il cielo ormai chiaro. 

Un minuto in piu’. 

Sorseggiando il caffè con aria sognante

scosti una ciocca di capelli dal viso 

con un gesto leggero della mano ed ecco, 

chiudi gli occhi a mandorla 

e si apre la via dove cammini veloce

mentre si appressa l’Arco di Porta Ticinese, 

sulla destra la Darsena dove nell’acqua fresca

si specchia alto il sole. Scivola una barca leggera. 

Non ti stupisce si alzi in volo un gabbiano?

Ruzzolano numerose le auto per via, si fa pesante

l‘aria. 

Cammini leggera lungo il corso del Naviglio Grande,

entri in una libreria ombrosa che profuma di carta

dove scricchiola il pavimento di legno che

ricorda un antico non visssuto. 

E’ tempo di un terzo caffè seduta all’aperto, 

un libro di Knausgard da sfogliare

e un respiro profondo. 

Poi torni a te stessa, paghi ed esci dal bar. 

Sei pronta alla sfida del giorno.