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Raccolta di poesie di Annamaria Pambianchi
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Il tempo dei lupi

 

 

Vivi e vegeti, rivedo

i lupi imboscati in branchi nel grembo

fitto dell’appennino

sulla groppa del tempo arrampicati

sopra una vetta torreggiante

ben oltre sessant’anni.

Eccoli sopraggiunti

i miei lupi di compagnia

(solo in sogno se n’erano andati via).

 

Eccoli! Per niente somiglianti  

ai figuranti finti delle fiabe.

*

Incontro di occhi in boccio

Una pressante preghiera

a te tanto lontano

(quanto la vertigine d'altro pianeta)

eppure a portata di mano

nel geniale geroglifico del cuore

nella densa foresta

dell'impenetrabile spaziotempo.

 

Un incontro ravvicinato chiedo

un incrocio di occhi

un saluto che resti e sbocci

nel deserto della distanza non detta.

 

Non ti prometto parole che non ho.

Prometto di essere trepida e intera

nel deporre tutto il pentagramma

della mia essenza accanto

alla serenata della tua vita.

 

Così faremo un bagno

di lacrime festose.

Così, come sei per sempre a me figlio,

insieme saremo in un momento

nel grembo insonne della notte

nello scorrere della sorte

nel fiume carsico di generazioni

nel cenacolo protetto degli abbracci.

 

(Una notte magica - Ebook 235 - collana Libri Liberi)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Il paese smarrito

 

A voi, assennati conoscitori                                                               

di strade maestre e deviazioni,                                                                   

a voi chiedo un’indicazione                                                              
per il paese smarrito dove tutti                                                                   

- anche gli ospiti e gli sconosciuti -                                           

si salutano guardandosi in viso                                                        
sul filo steso d'un sorriso.                                                         

E' uno strano paese senza porte,                                                               

senza mura né roccaforti.                                                                   
Vive il mare ventilato e gli amori                                                       
e a distanza tiene la morte.                                                       
Ride delle guerre di un tempo,                                                          
delle logore medaglie al valore.                                                                   

Di rado in quel paese si dice "Io",                                                   
pronome sospetto, accusato                        

e non ancora assolto.         

                                              

Che sia il paese dell’eden stellato                                            
lontano dalla brace della Storia?                                                                 
Anche se fosse, vorrei arrivarci                                                                   

per una boccata d'aria ampia                                                            
e felice, l'occhio alle navi                                                          
che entrano ed escono quiete dal porto,                                         
al mio veliero in disarmo,                                                

quasi ad un palmo dal confine,

ove si spegne in sol minore                                   
l'odissea di chi non sa      

ma ancora vorrebbe sapere.         

 

(2008)

         

*

Per Hailù annegato a tre anni




Senza segno di riconoscimento
a tre anni dentro una bara, da solo,
mi hanno deposto e sopra hanno scritto
numero novantadue
in luogo del mio nome ignoto.

Chi è che urla così forte
dentro il ventre vorticoso del fiume ?
Dov’è la mia capretta?

Chiamo la mamma molte volte
Ma lei non mi risponde.
Sono qui – avvertitela - vi prego.
Portami, mamma, nel luogo
che tanto mi hai promesso.

Chi è che urla così forte
dentro il ventre vorticoso del fiume?
Non trovo la scimmietta.

Dove sto non voglio stare.
Ci starei solo in braccio a mamma.
Ma dove, dov’è andata?
Mi brucia la gola a chiamarla ancora.
Per favore, mi prestate la voce?

Chi è che urla così forte
dentro il ventre vorticoso del fiume?
A salvarmi un asinello ci vuole.

Verrà se le dite che sono Hailù.
Senza di me non può esser lontana,
senza di me, il suo piccolo principe.
Lei sorride quando mi guarda.
Senza di lei, ho il batticuore.

Chi è che urla così forte
dentro il ventre vorticoso del fiume ?
Molto spero d’incontrare il leone.

Oltre la vita ad accompagnarmi
la mia gente, ma non la mamma
a benedirmi, e a baciarmi in fronte.
Al cimitero mi porteranno
quelli che non m’hanno salvato.

Chi è che urla così forte
dentro il ventre vorticoso del fiume?
Potete prendermi per mano?

Tu, bocciolo reciso da una guerra
innominata, tu dalla celeste
savana dei leoni e degli asinelli,
ti prego, spegni la stella
in memoria d’ogni gemma divelta.

Vestitevi a lutto, luna e sole.
Tacete, alberi e foglie.
Scendi, pioggia, senza rumore.
Sospendi, crudo mare, onda e furore.
Di pianto sia stillante ogni voce.

*

Smemoratezza #GiornoMemoria

Per un giorno, ricorda.

Per quel giorno e basta. Che ti costa?

Poi torna sereno nella norma.

Fai la tua vita e scorda.

 

Scorda il tuo nome usato a favore

d'ogni decisione feroce.

Tu non c'entri. Non hai dato l'assenso.

Non c'eri. Eri molto occupato.

 

Scorda la storia che ti sta al fianco.

Fatti gli affari tuoi e lascia ad altri

complicazioni e faticosi intralci.

 

Del resto non hai competenza

in materia di esseri umani.

In tutt'altro campo sei qualificato.

Sei dunque un assente giustificato.

Abita la fortezza, porto quieto.

Il mondo attorno è tedio.

 

Scorda ogni parola nera di lutto.

Che vantaggio ha il lusso del dubbio?

Scorda chi in mezzo al mare muore.

Non ha senso perdere tempo

a interrogarsi se ha ragione

la voce del naufrago o lo stato.

 

In fondo i Feaci e il loro bel gesto

sono una memoria non più di moda

che per nostra fortuna riposa,

lacera leggenda, nella tomba.

 

 

 

 

 

*

Augurio

 

Quando uno scricciolo vedo,

a te, fragile roccaforte, penso.

Il ruggito della leonessa

saggi a volte, ma tu sei della schiera

di coloro che portano il fuoco

alla greppia di Betlemme persa

nelle campagne stellate d'oriente

e nelle scarmigliate strade

d'un ingarbugliato presente.

 

Scricciolo, leonessa, rocca

dalla guerra provata, poco importa.

Tu sei e porti il fuoco. Fedele

vestale tu sia del suo perenne

vigore, del suo eterno raggiare.

*

Preghiera per oggi

 

 

Vieni alfabeto.

Fammi trasparente il mistero.

Vieni allegria di campana.

Vieni rintocco di orologio.

Mostrami il sentiero celato.

Scrivimi dal dopodomani

oltre i messaggi dissipati

oltre i segni spezzati

oltre le mine vaganti

delle cartoline spedite

a indirizzi senza ali.

*

5 vecchi haiku

 

 

Scorcio d'estate.

Scruto impronte criptate.

E' a nord la vita?

*

Filo il notorio.

Acque, terre, animali.

Pesco presenze.                                 

 *

L’acqua in se stessa.

Luce di viola impiglia

rasente al cuore.                                                                                              

*

Esule in acque                                         

di brina: uccello, tempo                          

e rada vita.

*

Ora qui sono.

Segni antichi piovono.

Respiro da est.

 

 

 

 

*

Attesa

Seduti al bar stanno in attesa

proprio lungo la riva.

Un caffè, un bicchiere di vino,

un tramezzino, un cicchetto,

un cicaleccio,un aperitivo, un grido.

Arriva la barca?

Arriva. Non è in anticipo.

Non è in ritardo. State buoni.

Arriva. Certo che arriva.

*

Una storia da nulla #CHERCHEZLAFEMME

 

Una storia da nulla #CHERCHEZLAFEMME

 

Alta un soldo di cacio,

filiforme e dimessa,

senza grazia manifesta,

pareva una creatura non attesa

da tenere in un cantone di riserva.

 

Chi avrebbe scommesso sulla sua esistenza?

 

Saliva gli anni uno dopo l’altro

senza inciampi senza eventi fatali

con i banali inganni

da tutti temuti e attraversati.

Già si annunciava del vigore il calo..

 

Chi avrebbe scommesso sulla sua esistenza?

 

E venne l’ora che non aveva atteso.

Un ‘ora lunga  ( troppo? quanto? )

che sale senza timore sul dorso

degli anni come una lumaca tenace

sul peduncolo periclitante. 

 

Chi avrebbe scommesso sulla sua esistenza?

 

Un bambino al proprio grembo vicino

fioriva tra malerba e senza sguardo.

Lei disse: Accanto. Quello è il posto mio.

E fu sogno lucente del giardiniere

l’azzardo che schiara il giorno rimasto.

 

E puntò  la forza in petto ferma.

Dritto su sé stessa puntò  e sull’impresa

che non calcola l’incasso.

Di qui passò l’ardore del riscatto.

 

Chi avrebbe scommesso sulla sua  esistenza?

*

Preghiera alla quercia #CHERCHEZLAFEMME

Mi scrive una quercia centenaria

- ciarliera figura di famiglia -

che da secoli m’accompagna come

compositrice provetta di spartiti

per torcicolli rondoni fringuelli.

“Ti mando – dice – poche note

intonate dal coro

dei piccoli allievi – i ramoscelli –.

Maestro concertatore il vento

a battere timbro e tempo.

 

Noi  alberi, creature sospese

tra terra e firmamento, siamo il ponte

(valicabile a scelta) delle promesse

tra voi e il fervente viale celeste.

A volte vi prendiamo in braccio

cullandovi  come fanno gli antichi avi

apparsi nella brughiera del sogno.

Vi salviamo dai vostri buchi neri.

Ma voi ve ne accorgete?”

 

Accompagnaci, ti prego, sotto l’arco

benedetto nel vivaio del cielo.

Fa’ che le nostre labbra germoglino

il miele paziente, il fiore del sollievo.

 

Fa’ che l’occhio veda nel deserto

l’albero di manna sincero teso

a onorare la cattedrale del vero

contro ogni incendio di astio infetto.

 

Fa’ che riconosciamo l’inferno

di tutti i giorni e ne stiamo distanti

a eseguire un trepido allegretto.  

*

Nel letto del sole

 

 

 

Nel letto del sole riposo.                                                                                           

Le labbra versano il mio nome                                                                                   

di fiordaliso che spesso scordo,                                              

un nome che a volte ancora  indosso.                                                             

La bocca germoglia gelsomino.                                                          

Gettano giunchiglie le vene                                                                                                    

e la crocetta accende le arterie.                                                          

Garrisce il sangue, fremente puledro,                                                  

lungo lontane carreggiate scure                                                                                              

correndo alla sua fonte.                                                                      

Nontiscordadimé, viola d’amore.                                           

Nontiscordadimé, stilla di luce.                                   

 

Proteggi il desiderio e la sua febbre,                                                               

ti prego, o prato breve in fiore.

 

(25/05/08)

 

 

*

Rondini umane

            

 

Da un magro microcosmo e malsicuro

aperte porte  finestre pareti

al moto fluttuante di marosi

e correnti, nel voloviaggio

delle rondini umane mi verso.

Il loro vorticare osservo

mentre rammenda antichi squarci

mentre intesse fili in storie sgomente. 

 

*

Dialogo con il maggiociondolo

 

Nella notte ampia e chiara

 a te mi raccomando

 fior di maggiociondolo.

 Entra piccolo ramo guardingo

 e portami fiori a grappolo.

 Entra e raggiungimi nel sonno

 nelle contrade dell’altro mondo.

 

Tu mi conosci bene.

C’eri quando a sbalzi crescevo

e ci sei ora che invecchio.

Sei l’unico che mai con me

ha mancato un appuntamento.

Ti guardo, tronco annoso.

Il tempo ha scurito il legno

ma non l’indole tua cortese.

Ora mi chiedo come

hai potuto vivere di niente.

Sei rimasto a guardia

di questo umile luogo

in faccia all’appennino ventilato

babbo adottivo di pettirossi

d’allodole e usignoli 

poeti laureati in arrangiamento.

Io in giro nel mondo grande e poco

cercando forse il giusto e il vero,

torno rotta dal duro scontro

ad abbracciarti il fusto.

 

 Non alla rosa dell’orto defunto

 sei tornata, quasi in pianto,

 ma all’oro del mio fiore esploso.

 Che cosa chiedi e speri

 se il mondo che tu invochi

 sta lontano una stella

 e la ragion di stato e di mercato

 come un locomotore

 lanciato a tutta forza

 in polvere ti ha conciato?

 

 O albero fiorito di coraggio

 fiaccola d’una notte stupefatta

 anima d’una senzapatria

 isola nel mar della lontananza

 fune di provvisorio salvataggio

 al tuo fiore scriverò

 svicolando svelta tra un sì e un no.     

 

*

Un picchio in cerca del nido

 

 

Da un villaggio in Costa D’Avorio arrivo

ove l’acqua viene dal fiume

e la luce dal sole, ove alta

cresce la gramigna di guerra.

 

Chi bussa alla porta?

Un picchio in cerca d’un nido.

 

Da ogni vostra norma trafitto

assediato da aspro sospetto

guardato a vista, attraverso

l’Europa  e non esisto.

 

Chi bussa alla porta?

Un picchio in cerca d’un nido

 

Tra veto e imprevisto muove il viaggio 

oggi ad Amburgo e chissà domani

nel gioco dell’oca a quale casella

sarò rinviato dal lancio dei dadi.

 

Chi bussa alla porta?

Un picchio in cerca d’un nido.

 

Eppure in casa vostra ho mangiato

e steso le ossa la notte di Natale.

Si spezza un pilastro della fortezza

e si fa abbraccio nell’ora del commiato.

 

Nel cuore del susino un ramo getta

gocce ariose di promesse.      

*

Se si potesse

 

 

Se si potesse all’ultimo istante,

un sipario di querce

 

un piccolo pettirosso sul ramo.

 

Se si potesse all’ultimo istante,

una quaglia dal canto crepitante

 

papaveri e fiordalisi tra il grano.

 

Se si potesse all’ultimo istante,

la grande nube di Magellano

 

la libellula congedare.

 

 

 

 

(07/12/10)                                                                       

*

Laguna

 

 

Figlia del maggior mare,

acque tengo nella cuna,

acque straniere a questi cieli,

acque straccate per antichi travagli.

Acque migranti tengo

forzate all’andirivieni

nella voragine dei marini seni.

 

 

 

 

 

 

 

(marzo 2000)

*

Preghiera

 

 

 

Innalzerei sul far della sera

al bagliore morente

là sull’orizzonte

un’indifesa preghiera.

 

O cara madre, luce di pietra,

chimera svapori, sorga la stella,

fiamma festosa rompa l’attesa,

resti la notte intessuta di seta.

 

*

Canzone della neve bambina. Canzone della neve incanutita

 

 Neve a fiotti alla finestra:

Racconti di brina i boschi.

 

In sogno gattomammoni facondi.

 

Piroette di neve a festa:

Dal nord, dal silenzio il bianco autore.

 

Castelli di faville, cenere, ciocchi.

 

Un tranquillo metro di neve:

Randagio uno spazzacamino.

 

Ribollita, pancotto, appetito.

 

Una tormenta dal tocco antico:

Frassini e faggi dalla sferza storti.

 

Mattine e sere ai piedi dello stupore.

 

Neve quanto basta alla ricordanza:

Ginepri, muschi, pungitopi.

 

Semina di alfabeti e scongiuri

in cerca degli uccelli migratori.

 

Neve antica degli antenati:

Nonno Egidio, pastore e contadino,

 

cacciatore di lupi

sulla neve alta al chiaro di luna.

 

Neve nel valzer del momento:

Dal potere fitti fiocchi spergiuri.

 

Giaguari truccati da agnelli.

Un lume e un tenersi stretti per mano.

*

La partita a scacchi

Sotto assedio - sospiro.

Mi arrendo - mi dico.

Poi, sotto l’ombrello del dubbio,

riprendo la partita a scacchi

la stessa che si gioca rigogliosa

nei campi di nebbia dell’esistenza.

A darmi scaccomatto,

la potenza vertiginosa

delle parole che si imparentano

prima e in un lampo si inimicano

e ruggendo fuggono.

 

Le parole tradiscono l’intenzione.

E non solo la mia.

Le antiche sono fuori moda.

Sfarfallano le nuove  

come sciami di api impazzite

in cerca di un miele di morte.

Basterà a rimettere ordine

un’acchiappanuvole

o serve un’accademia filosofica?

 

Ci vuole un laboratorio che disegni

parole snelle, figlie delle scomparse,

vestite di grazia senza sfarzo

da stagionare nelle fessure

vuote, ma fresche e ventilate del cuore.

 

Che dica no alle parole definitive

un no all’arbitrio di parole eterne.

Che dica benvenute

alle parole in transito

comprese quelle del dolore

le parole pioggia e rugiada

arcobaleno e sole.

 

Che apra la porta anche

alle parole burrasca e acqua alta.

Che dica, venite, vi prego,

fate di noi un silenzio non offeso.

Fate dell’inutile nostro nulla

la culla d’una metamorfosi

il disegno che ignoriamo

e nemmeno sappiamo di sognare.

 

*

La mongolfiera dell’incenso

 

 Un guscio di noce la chiesa

di pergamena il parroco

a ghirigori  le facce erose dal tempo

fiaccole i bambini assiepati

prossimi all’ingresso in un altrove.

 

Ma qui si sta caldi

nella galassia dell’incenso 

aggrappati al tappeto volante

a sorvolare un eden promettente.

Non fa male sognare distante

sciogliere ossa sangue e timore

e far lievitare la mente

in una nube fastosa

nella nenia azzurrina dell’orazione.

 

Anche le candele si giurano

pronte a vogare in onde

fragranti e felici far luce. 

 

Se è un terno al lotto l’uscita

dalla cerchia stretta dei monti

e il salto attanaglia la gola

scommetto sul primo che osa la soglia.

Scommetto sull’aroma della partenza

appesa agli sguardi e ai silenzi

di lampanti fanali.

Accesa d’ardore mi arrendo

all’effluvio che sale sontuoso.

Mi arrendo alla mongolfiera che loda

in volo l’oceanoincenso.    

 

( Il profumo del tempo - Antologia proustiana 2017)

 

       

*

Alta di febbre

Alta di febbre

 

Alta di febbre ferve la notte.

Infiamma olmi e betulle

distanti una vita

nei torrenti secchi a sud del cuore.

Nelle piste dormienti dell’ovest

infiamma querce, ginepri e ornielli,

potentille e sigilli di salomone

sulle rive terse delle visioni.

 

Alta di febbre ferve la notte.

A onde corre una processione

tutta capre, cammelli e allocchi

tra dorsi cifrati di stelle.

 

Notte, che intendi l’indecifrabile,

liberami dai fantasmi molesti

fa’ che il silenzio parli e non mi sgomenti

conta tutti i miei petali, aumentali

e disperdili  oltre frontiera 

là ove cresce il cuore perspicace.

Notte, solenne custode della sosta,

madre dei mari interni e degli abissi,

notte, scrigno fatale e confidente

dei sogni schivi e impossibili,

a  te, notte, sovrana di ombre dense,

innalzo la lode in lettere poche

e secche osando appena darti nome

dal fondo inviolato del mio principio.

 

Nelle tue baie e contrade,  notte,

chi controbatte è riverente

ognuno comprende l’altro al volo

con un cenno e anche una pazza 

per tacito statuto è quasi normale.

Notte, qui ti lascio il cuore schietto

e senza chiavistello a far capriole

*

Crescere viola

Crescere viola

 

Nel silenzio aggrondato delle notti

nelle ultime nevi ti chiamo.

La luna sollecita  mi spinge

impasto di terra a primavera

e d’altro tempo olezzante ricordo.

 

Vieni a portarmi la brace.

Cancella il catrame dal cuore.

 

Nel grembo obbediente del prato

rompo adagio l’animo del ghiaccio e salgo.

Sotto l’occhio scosceso dell’inverno

ormai senza scettro, nel boccio

del mattino mi desto

viola nuda ridendo rugiada

nel viola aspro di marzo che viene.

Straniera all’altopiano della parola

mi sento e a esserlo m’infiammo.

 

Vieni respiro del desiderio 

umile elisir innamorato.

 

Da tutto l’intatto mio nome

dal limbo diletto della corolla

una miscela minuta di seta,

di sole e di alito esultante effondo 

all’aria della foglia commossa

all’erba accesa verde vicinanza

all’arbusto che si sveglia e sorride

alle api e alle farfalle ubriache

di frizzante buonagrazia.

 

Vieni e spezza l’asse del tempo.

Invera in viola l’umana interezza.

 

( Il profumo del tempo - Antologia proustiana 2017)

*

Stazione del paradosso

 

Lungo inaspettati binari,

in una contrada inviolata,

hanno corso locomotive

abusive, senza segnali,

senza orari né traguardi.

 

Campi in festa, cieli africani

nella corsa l'una intravedere

diceva. L'altro, da pellerossa

delle praterie di paese,

rara controllata escursione

nella terra amata dal bisonte,

senza narrazzione, ammetteva.

 

Fendinebbia e scambi i macchinisti

hanno poi provato come richiami,

ma in un baleno incrociandosi

schizzarono le motrici maldestre

in direzione di babele.

In principio aveva quasi un nome

la smarrita destinazione.

Concordi la chiamavano amore.

 

 

 

 

*

Disarmonie

 

 

Dentro la dissomiglianza che sorge                                             

sonora dai tetti, altre dissonanze                                        

vincono il ventoso orizzonte.                                                      

Dentro gli spigoli aguzzi s’incurva                                     

un cielo sordo alla parola di chi                                         

parte, di chi rimane. Conosco chi                                      

precipita tra gli spigoli, rette                                               

linee di certezza, assi carichi                                               

d’ombra che nel domani s’invera.                                      

Conosco chi si dissolve dietro                                           

un muro retto da muto interdetto,                                     

dietro contrafforti di assiderata                                          

geometria, elettrodotti di pena.                                          

Asseverando distanza, il silenzio                                       

è una freccia e porta lontano.                                                      

Assassina la Storia. Seppellisce                                          

le storie. Ma a me altro non è dato                                              

che reggere obiettiva assenza                                                       

di matematica esattezza.           

*

Parole amiche

Parole ascolto, da lontano                                                           

venute, da un’ombra che si volge                                       

alla vita senza esitazione.                                                    

Parole mi giungono                                                             

strette parenti del pane.                                                        

Fresche parole e felici, figlie                                                        

del mondo, eco-commento                                                

del mondo. Imbastite sostengo                                          

con il filo dell’addio e del ritorno.                                     

Dissetanti parole di colombe                                                       

sull’acqua della pace in volo.                                                       

Parole inzuppate nel cibo                                                   

adatto alla mia fame.                                                           

Parole in forma di libere gemme                                        

nella libera terra del cuore.                                                 

Collane di parole colgo                                                       

ornate di onde leggere,                                                       

di pietre preziose e delle sirene                                          

il canto. Parole in rima di viole                                          

all’indirizzo d’una presenza                                                

che si fa nuova narrazione.                                                 

 

*

Partenza

 

Questo solerte mattino d’agosto                                                  

dal passo nuvolosamente chiaro                                                 

rema da marinaio scaltro                                                              

dentro una città dall’anima d’acqua,                                  

di sentore di sale, d’argento,                                               

dentro una laguna di vela e vento.

 

La luce tesa tra cielo e terra                                                

promette un celeste viaggio interno.                                            

Immobile mulina il tempo,                                                           

oblioso d’essere stato e d’essere:                                          

allora si salpa nell’azzurra ora                                                      

che partorisce un mezzogiorno ardente?                                    

 

Il tempo s’è fatto accesa preghiera.                                    

S’è fatto nel respiro sospeso                                               

del canale arresa bandiera.                                                 

E’ tempo d’attesa, è fuoco spento.                                              

E’ spirito esule: lontano cerca e                                                   

vicino un perduto ordine sereno.

 

 

*

La notte dell’idioma

 

La notte la imbocco da settentrione

dall’alto pascolo del giorno.

Alto e freddo e lunare.                

Scendo lungo il fianco della notte

senza fiaccola fino a valle.

Scendo dall’altopiano del non posso

e del bolso baccanale

lungo la scala a pioli

dell’idioma cortese

fino in fondo, là dove sta un bosco

di parole in boccio, bennate, avvezze

a stormire di rado ed a ragione,

solo dubitando e a bassa voce:

tenerezza di sorelle

che filano pensiero e azione. 

*

Il gregge

 

 Un gregge di sillabe sonore inseguo

un gregge insofferente

al pascolo programmato

al preordinato recinto.

E’ un antico gregge affabulatore

maestro dello stratagemma

contro il buonsenso del pastore.

 

E’ un gregge al vento e soffia forte

tanto da non farsi imbrigliare.

Ogni pascolo è buono a metterlo

in un annuvolato viaggio.

Pascola in cielo in terra e in ogni dove.

Nomade è il gregge e selvaggio.

E’ un calicanto nato a caso in un campo

che appare inaspettato lungo il giorno

e infiora la notte di visione.

A volte un agnello bela nel sogno

e da ospite sembra invocare soccorso.

Svegliati e corri. Corri a perdifiato

a carpire un indizio,

una rada notizia

sulla pista svanita

sulla porta che nessuna forza apre

sulla porta che non si può lasciare.    

*

La notte

 

 

 

Nel navigare la notte

mi ancoro alla zattera del letto

una zattera senza remo

senza albero né vela

che corre avanti e indietro

secondo l’umore del vento.

Naufrago spesso senza chiasso

e non so in quale lido arrivo

se tra fiera e mala gente o

se tra gente che accoglie e veste.

Capito sovente tra chi mi saggia

il collo con dolcezza

prima di passarlo alla motosega.

 

*

Scrivimi

 

 

 

 

E allora scrivimi

prima che la notte sigilli

le arcane sue porte.

 

E allora scrivimi veloce

prima del tamburo del tempo

prima che il cuore si dia per sgomento.

 

*

Notte di giugno

Questa luna, che nella notte                                                                                    

custodisce l’insonne,                                                                        

quest’impennata inattesa                                                                 

del vento che travolge                                                                     

e s’addentra in un altrove,                                                               

somiglia a te che non conosco.                                                        

Somiglia alla poesia che stesa                                                          

come lattea tela al sole                                                                     

riscopro in ogni dove.                                                                      

Somiglia all’acqua sorgiva                                                               

nella landa implacata,                                                                        

alla luce nel buio, balenante                                                             

lontana, d’una baia, d’un fanale.                                                     

 

 

*

All’oasi di Ca’ Roman

 

 

Qui la foglia con il ramo ragiona.                                                                   

Il fraticello al vento si racconta.                                                            

Ammicca il papavero all’acacia,                                                   

corteggiando la sua dote di miele.                                               

 

Senza chiavistello è la stanza                                                                                   

da letto della primavera.                                                                        

Senza deferenza, qualcuno,                                                                   

quanto basta alla brama astuto,                                                             

il cavallo di Troia vi conduce.                                             

 

Sulla bocca del porto - alla brezza                                                        

bruna bandiera - sta la filibusta                                                   

che l’oasi per antipasto trangugia                                       

in attesa del pranzo di gala.                                                

 

Oh, non abbandonate gli appelli                                                                    

selvosi della primavera!                                                                                   

Non portate in aprile le stanche                                                            

membra sulla chiara rena dei lidi.                                                         

In aprile, come pii pellegrini,                                                                          

portate la vostra verde promessa                                                                   

presso il tempio dalle flessuose                                                                      

colonne coronate di nidi.   

 

 

*

I nomi dei genitori

 

 

Sottotono - i vostri nomi - sottacqua

nelle faglie interne dell’oceano

nelle dense foreste sempreverdi

nei pendii dolci del primo alfabeto

i vostri nomi sazi

di parabole contadine

limpidi dei pleniluni d’appennino

i vostri nomi scritti

ai crocicchi dei colli benedetti

i vostri nomi negli stornelli

alleluia e liberazione

i vostri nomi di neve tiepida e solleone

in cerca di riparo a sud, a nord

ogni giorno senza ancoraggio

i vostri nomi di creta e timidezza

serene sillabe senza lagnanza

i vostri nomi di fili fitti ed echi

sforzi scivoloni sobbalzi

i vostri nomi nel biondo regno del grano,

ricchi di mèssi mietute per altri

i vostri nomi nei pascoli

teneri di pecore e agnelli

i vostri nomi agri di genti al bando

nomi e onore radiati dalla linea

scura della dimenticanza.  

 

Inosservata la vostra caduta.

 

Sul confine infinito di un campo

di là dai mondi mi aspetterete

nei rami musicanti delle querce

dentro il chiaroscuro degli ontani

menestrelli vestiti di mottetti d’acqua

sul pentagramma dei vostri nomi.      

*

Lettera a Calipso

 

 

Scrivo a te, maestra e testimone                                                            

dell’arte del congedo                                                                               

- lieta dignità a filo del dolore -                                                   

sorte e solitudine intessendo.                                                                

 

Scrivo a te che stai sola                                                                          

nel segreto grembo delle cose                                                               

nel cuore remoto della rosa                                                                                                       

che nel lampo dispare.                                                                                                                                                  

 

Lungi dall’isola tua,                                                                                             

lungi dai prati di sedani e viole,                                                         

nell’aspro certame che m’inghiotte,                                                                  

 

il libero pensiero nel concerto,                                                                                                  

la stella della compassione                                                                                                       

e del centro, tenace, cerco.          

 

*

Aprile

 

 

Aprile, la tua luce azzurra                                                                       

gratuita travolge i tetti,                                                                              

rompe le ombre. Ride il giorno                                                   

con serrata, tronante, allegria.                                                    

Evado dalla cornice del cuore,                                                   

febbrile asserragliata fortezza.                                                   

 

*

Lettera al tempo

 

 

Da bambina origliavo il tuo transito                                 

di serafino in volo dal mattino                                            

alla sera. Nell’onda il tuo balletto                                     

correva senza pensiero, né contesa.                                 

Io, te e la lepre nel campo. Io, te e l’assiolo                              

sul gelso. Io, te e la rana nel fosso.                                  

Che compagno devoto. Che quieta                                     

corrispondenza. Che mondo possibile.                                       

Che stellata frontiera.   

                                                                                         

Di colpo, in un torto mattino, nudo                                   

hai issato il tuo grugno di gattomammone.                        

Con il villaggio migrante, diviso,                                 

- case e campagne allampanate -                                      

ti sei fatto tutt’uno. Spezzato hai                                   

 il ramo dell’intervallo assopito.                                

Spezzato le ossa, la vita già poca                                     

di molti. A me una perfetta misura                                          

di sapere inquinato e di piaga.                                          

                               

Ora che del tutto sei compiuto in me,                                                      

o mio tempo, ora nella fosca natura                                                  

di un dedalo infinito, invano chiedo                                   

ove si volge l’esistenza                                                     

neve scagliata a singhiozzo nel vento.    

 

(2008)

 

 

      

 

                                                             

*

Primavera

 

 

Portatemi nel paese verde 

del fiore d’aprile. Lì riposar

mi conviene nei campi

pettinati  d’erba fresca:

intrepida treccia.

 

*

La scommessa

Non sapevo - ed è un incanto                                            

scoprirlo ora - d’essere nata                                               

con il talento dell’azzardo.                                                 

Scommetto sulle donne puntando                                               

banconote di grosso taglio.                                                

Notte e giorno ripropongo                                                 

la posta al tavolo da gioco,                                                 

bruciando cifre da capogiro                                                                            

con la freddezza d’un giocatore                                         

incallito. Ed io che immaginavo                                         

d’essere solo un mite agnello                                                       

attento al prato in fiore e al fieno                                       

senza pensiero di guadagno.                                               

Nel mattino di maggio, sul tetto                                         

del cielo di rondini intero,                                                  

dall’intenso fervore                                                             

una sosta mi consento.                                                       

Rigiro, insaporisco, sul fuoco                                             

dispongo parole, sorelle                                                                                  

dello stupore, pescate nel golfo                                          

ignoto e amaro del mar morto.                                           

Tra Scilla e Cariddi navigando                                           

a vista, schivando il tifone,                                                 

sono le donne zelanti e deste,                                            

muse e vestali, ora, di se stesse.                                          

 

*

Haiku

Fior di parola,

ignoro l’indirizzo

porta nel vento.

          *

Sei coronata                                                                                    

di allocchi, chiù, civette,

sorella notte.

 

          *

Sorella vita,

a te male mi arrendo.

Amor scosceso.  

 

            *

Stella stellina,

a esistere stanotte,

quanto ti costa?

 

*

Ninnananna della vita antica in laguna

 

 

Se ti consola, se ti contenta,                                    

mia gallinella d’acqua,                                      

un racconto ti canto,                                         

corto come il campanile                                            

della chiesa dei Rossi,                                              

alto più della torre di Sant’Andrea,                           

quanto la valle Millecampi vasto.                     

                  

Vola gabbiano, vola grigio airone                   

in questa impresa di parco colore,                           

un’impresa in bianco e nero,                                    

eroso da tempo l’arcobaleno.                                  

 

Era la terra in quell’evo                           

remoto solo un abbaglio.                                          

A perdita d’occhio, senza confini,                   

paludi, ampi prati d’acqua, fiumi:                                                 

campi azzurri  (d’inverno cenerini)                  

arati  dalle apprensive vele                              

nostre e dai nostri batticuori.                                    

 

Dormi, tuffetto. Se ti consoli,                                    

se ti contenti, in corteo                                              

affluiranno al tuo sogno                                             

il segantino, lo squerariolo,                             

il calafao e il puto de squero*1.                                   

Un sonno lucente dormi                                            

tra il pisciacane e l’erba stagna                                

sopra la sabbia, tra le canne il vento,                                          

dentro una storia con molti specchi                         

di sperdimento e di baldanza                                   

benedetta tutta d’acqua salsa.                                  

 

Dormi, martin pescatore, anima mia,                       

in quelle scordate contrade.                            

Dormi e ricorda con madresia.*2                                 

Senza sospetto dormi.                                              

Degli avi ascolta i passi                                            

dall’eco smorzato. Domani                              

nessun nesso starà a questo narrare.                     

Per te domani neanche                                                      

un’umile grammatica di mare.      

 

*1 Operai di un piccolo cantiere navale.

*2  amore materno

(2009)

 

*

Cercando parole

 

 

Smonto rimonto spezzo riannodo

lettere sparse di pane e  di pena

parole di piombo. Mescolo un poco

sapore di sale salsa di tuono.

Saggio parole fresche di giornale,

e povere parole fatte in casa            

fresche di parlato o in strada nate.

Preparo un minestrone di parole 

in  eruzione. Preparo uno stufato

di parole d’uragano. Malasorte

coltivo? O aro campo di grano ?  

        

 A dir degli innocenti la strage

- come animali al macello mandati -

nei deserti, nelle sventrate città

la parola é farfalla di freddo,

é respiro di primavera arreso

al valzer virulento dei potenti

dannato ad esportare la libertà               

sulle ali  delle fortezze volanti.                                                                                             

 

(2004)

 

*

Fiore di rovo fiore d’ortica

Fiore di rovo fiore d’ortica                                       

fiore di malva in petali di poesia                               

attingo camminando                                                                    

lungo le frontiere del mondo                                              

e in casa mia che forte                                               

odore hanno di periferia.                                                    

Fiori malandati annoto o pungenti                                                       

fiori in vena di malinconia                                        

poveri incolti invisi                                                    

fiori affamati fiori radiati                                                                                

dagli steccati dei giardini                                                     

di città. Creature di carestia                                       

che di prescia buscano il foglio di via.

                           

Giro la periferia                                                         

dove la ginestra e il lillà

la margherita e la madreselva                                             

vivacchiano a occhi bassi

e da irregolari scuotono il capo                                 

in segno di dissenso

e d’infervorata umanità.       

Ma un isolato papavero

in un prato arruffato

canta in mezzo all’erba miseria                                 

fiera dissonante disubbidienza.

*

Neve in riva Vena

Uno sciamano della neve

con la  nera matita della notte

schizza un incantamento.

 

Leggo bragozzo abbozzato,

ponte pericolante

per un accento fuorilegge,                

canale con un apostrofo

a pelo d’acqua nel centro,

remo in arresto tra virgolette,

lampione sfregiato e vacillante

per un ghirigoro d’inchiostro.

Leggo me stessa scritta con un seme

di stupore e un quesito insolente:

ma  tu stai sempre appresso al niente?

 

 

*

Mi scrive il tempo

                                        

 

Progenitore e discendente                                       

di me stesso, termine fisso                                      

e albero maestro, mi avvolgo                                            

nel baleno che non si siede                            

e si ripete. L’arcano sono                                                                     

che l’intelletto umano d’intendere                             

non cede. Sorrido allo scroscio                                         

di miti e mausolei eretti                                             

sulle vette del sapere                                      

meteore nel ramingo cocchio                                            

della scienza e senza attrito                                     

sul congegno del mio potere.                                            

In caratteri di granito                                                  

e a franche sillabe di brace                                      

fabbrico l’imperativo presente                                           

nell’ampolla delle piccole cose                                         

largo quanto un solo respiro                                              

o il canto di un mattino.                                                       

                                              

Ti nomino pastora                                                               

del gregge a dondolo delle ore.                                        

Ciò che in sorte ti ho dato,                                        

hai tessuto e smarrito,                                               

oggi in barocchi ghirigori                                           

giace e si legge sul tuo viso.        

 

(2008)

 

*

Lettera ai Magi

 

 

 

Vi aspetto. Vi aspetto proprio qui             

a casa mia, della culla stellata                     

nei cieli d’oriente beati sapienti.                

Vi prego, venite, vi aspetto                          

giovedì. Non potete sbagliare.                    

In un occidente senza chiavi                      

per decifrare eventi, in una città,              

antica sposa d’antico mare,                       

sta la mia grotta vinta dai venti.                 

Sopra non c’é alcuna stella.                        

Come una belva vi rugghia la bora.             

Candele vi accendo numerose                    

più dei giorni. Alberi cresco e rose             

e leggende e rare stelle di mare.                       

Maree e pleniluni coltivo                            

e fiori di lontananza pungenti.                      

Sull’entrata ho steso parole                          

e promesse e da ogni angolo arruffato        

mi guarda il mondo. Non manca alcun volto:     

chi ancora mi è compagno e amico,                         

chi ha in petto note d’amore,                                    

chi non ce la fa e non si difende,                               

chi, muto, vorrebbe parlare,                                        

chi se n’è andato e non fa ritorno,                           

chi lotta la vita, chi dolente                                      

una vita agra ha lasciato.                                           

La notte dormo un po’ e poi veglio.                          

Se un ospite arriva inatteso, penso,                           

dove va se trova il ciocco spento.                            

Vi prego, venite. Di non molto                                 

ho bisogno. Mi basterebbe                                          

incrociare il vostro sguardo in sogno.                               

 

( gennaio 2005)

 

*

Natale

 

 

 

Andremo ad abbracciare

gli sventurati come cenci

scaraventati in prigione in mare

o nei letamai a viver da ratti.

 

Andremo ad abbracciare

corpi franti con chiodi rugginosi

conficcati sui volti

il giusto fratello del vero

 

il vero sporcato di sputo

nel pantano ottuso e bugiardo.

Andremo con mani risolute

 

a rimetterli al posto d’onore

noi che le comete scrutiamo

noi che nel presepe abitiamo.

 

(2009)

 

 

*

Dialogo con la nebbia

 

 

Nebbia ditaveloci, al tetto 

ti attacchi. La strada ti fumi.    

A fiotti furiosi spegni le case.    

Fiori di bruma stagli sui volti  

che presto rapisci e consumi.     

Dov’è la terra dimmi. Dimmi           

la distanza del cielo. Parla a me       

in questa vacuità che suona.            

 

Mio signore è l’inverno e nel gelo       

del  tempo semino. Io non sboccio.           

Non porto un abito certo. Io sono il velo.          

Inceppo la corsa.  La danza sospendo.          

Della via serbo l’insondato segreto.                 

Son qui a implorare un occhio diverso.              

Nella sosta che sono, che prometto,                  

di domanda in domanda colmo il tempo.            

 

 (2005)

 

*

Cimitero a Pellestrina

 

 

 

 

Com’è scarso, com’è magro

questo cimitero stirato di fianco 

al mare ubriaco e al manto

risuonante della laguna.

 

Stiamo stretti l’uno all’altro,

(in mezzo il ricciolo del ricordo)

terra nostra così angusta,

così sospeso natio davanzale.

 

Sull’entrata scrivete: Pescano ora

conchiglie di pace le reti placate

delle antiche genti di mare.

 

Nell’alta marea del tempo

siamo noi - non dimenticate –

le fondamenta delle vostre case. 

 

 

(10/10/2010)

 

*

Un gatto chioggiotto artista di strada

 

Da vero bohémien, un gatto chioggiotto,

fuggendo il cerchio del miagolamento,

in nero la notte suona il clarinetto

gonfiando a dismisura le note

di gola e di petto.

Sul far del tramonto

distribuisce un foglietto

in gergo gattesco:

“Appuntamento sul ponte di Vigo

in punto a mezzanotte.

Portate un quarto di luna

e una stella cadente.

Portate pure un bicchiere di vino

con zucchero di ponentino”.

 

 

(10/07/2009)

*

Ad un’amica scomparsa

 

 

Vengo qui in questa terra

dell’acqua e del vento gemella,

gremito il grembo aggraziato

d’alberi e fiori. E’ una cuna

di sementi e germogli il luogo

a cui sei tornata. Di trasvolata,

di disappartenenza sa questa terra.

Sa di scarna stagione e raro canto.

In cerca del tuo nome fin qui oso,

i giorni delle radici, dell’audace

pensiero il cimento, il celato

timore dell’aurora a ricordare.

 

Oggi  San Michele ha un’aria

stranita recluso da un nembo troppo

vicino: tuttavia a te parlerebbe,

come t’han parlato discrete

le arcaiche piante selvatiche,

e l’albero solo e smagrito

lungo la strada, ma a oriente posto

nell’albore del primo mattino.

 

Il tempo eterno ora abito pensosa.

Più non vi sento. Ora qui sono

dove segni segreti grondano,

dove si schiude nube da nube,

dove divampa un nero di luce.

Se é un cielo che nasce ignoro.

Leale come fronda  d’autunno,

mentre con calma cado lontano,

della rosa che fui vi consegno

l’aroma insieme a un caldo congedo.

 

 

(S. Michele è l'isola veneziana ove si trova il cimitero) Testo del 2005.

*

Stelle

 

 

Scendano esatte le stelle

ognuna un incendio al cuore.

Salga più in alto

più in alto la luna

ove ogni offesa

ha dolce sua guarigione.

 

*

Madre

 

 

 

Ti scrivono, madre, bruni cipressi

vigne a lampi d’amaranto,

castagni in scoppi di zafferano,

cieli opalini a lutto d’uccelli,

il saltarello al suon dell’organetto

nelle notti sacre ai lupi, alle nevi.

 

Sulle elitre delle coccinelle

minimi miraggi latenti.

 

Ti scrivono dalla tua casa accesa

sopra la signoria dei tempi

le profetesse delle veglie

tra morti idiomi e incantamenti

molto taciuti e molto amati

serrati da siepaglie di segreti.

 

Sulle elitre delle coccinelle

parole discordanti.

 

Ti scrivono magre feste imperfette,

mela cotogna, vinsanto, polenta,

il dolce zibaldone d’autunno;

solo l’autunno che conosci,

l’autunno in gola e nelle mani,

l’Avvento imbastitore di promesse.

 

Sulle elitre delle coccinelle

disfatte in un amen tutte le albe attese. 

 

(2010)

 

 

*

A mio padre

 

 

Un fiero inverno vibrare odo                                                       

alla finestra che una tramontana                                                          

d’inchiostro traversa e strapazza.                                                          

Sul focolare un legno aspro fiotta:                                                        

inferno fitto di fumo vano                                                                        

nella nuda misera stanza.                                                                      

Nera, la vacca, è  morta.                                                              

Così dicesti, babbo. Altro non venne.                                                   

Parlò fisso al fuoco il tuo pianto                                                            

per me muto sonante allarme.                                                               

 

Uomo di ricca parola sei stato,                                                   

babbo. Da uomo alla terra devoto,                                                        

- genti e paesi, storia e natura -                                                  

che cosa non hai raccontato?                                                                           

Come acqua di pozzo perenne,                                                 

come pioggia del cielo matura,                                                              

in forma di fiume alla foce,                                                                                     

da te maestà di voce fluiva.                                                                    

Dal giorno in cui più non sei,                                                     

nella grande notte - silenzio e suono -                                                 

arpeggia come di rosa per me                                                    

la tua parabola di fuoco.                                                                         

Consegno al tuo ascolto clemente                                            

l’urlo dell’uragano: idioma amaro,                                             

al centro sovente avvelenato.                                                    

 

*

Dal cavaliere d’Italia ricevo e trasmetto

 

 

Là dove l’asfalto ara l’acqua

e nei prati aspri di sale

ride a squarciagola il volto viola

del limonio serotino,

là dove gli occhi scalano

gli stupiti campanili di Chioggia

stesi sul filo dell’orizzonte,

là, in via del paradiso,

nel ritiro della barena vivo.

Sono il cavaliere d’Italia

e la gioia è il mio mestiere.

Amo queste acque stagne in altalena

stanze verdeazzurre spesse di sale

parenti strette della quiete

e prossime all’atto di fede.

 

Chi di voi vuol vivere con me

che disconosco i rami

del vostro storto albero del potere?

 

(2009)

 

*

Anima

 

 

Fammi un’anima appuntita

anima d’una matita

che pur stridendo scriva.

 

Fammi un’anima tonda

anima d’una vagabonda

nastro di madreselva sulla porta.

 

Fammi un’anima d’altopiano

anima del grano appena nato

sorella dell'allodola in canto.

 

 

(2012)

*

Vecchia casa

 

Se questa casa ha muri di silenzio,

se il silenzio ha murato ogni finestra

tornerò alla mia casa antica, mi dico,

per abitarla contro ogni evidenza.  

 

Tornerò sul colle dei morti obliati.                         

Tornerò sul verde viottolo            

da decenni dismesso.                    

Tornerò nella scura cucina           

sul piancito sconnesso             

presso il  povero focolare spento. 

 

Sono ancora tutti lì                         

i volti di un tempo lontano,            

i volti dolceamari                         

che mi hanno accompagnato.     

Io li conosco. Non sono              

del secolo da poco trascorso.      

Sono figli del medioevo             

sommessamente calato               

all’alba del postmoderno.           

 

Da quando non ci siamo,         

che sorte è toccata alla vigna   

laggiù in fondo alla  valle?                

E la macchia chi più l’ha tagliata?   

E i meli e i ciliegi negli orti         

sono stati forse innestati?          

E dove sono le querce,  le forti  

 splendide querce, che più non vediamo

 lungo i fossi e nei campi di grano?      

E i pascoli alti sulla collina                  

per sempre hanno perso pecore e vacche?

Tutto i signori del mondo han disfatto?     

E di noi,  gente antica                              

nata e morta in questa terra diletta         

per nostra fatica fiorita, 

di noi, dicci, che cosa è rimasto?

                      

Anch'io in verità me lo chiedo

e per un istante mi inquieto.

Ma dalla finestra la collina

si sporge e io di sottecchi sorrido

come a una paesana rediviva.

Passato per ora è il progresso

ingannevole innamorato.

Il matrimonio promesso

per grazia non si è celebrato.         

Quietato si è l’uragano.                  

E questa terra è paziente.     

E' di certo una terra dura,                   

non doma. Sa attendere                

la prossima veniente fioritura.            

*

Geografia

 

 

Geografia è quella mappa                                                                               

che scorro nottetempo                                                                          

nel gorgo dei fiumi, sulla gobba                                                   

dei monti a inchiodare nomi,      

                                                                                               

occhi a riparare nei volti.                                                                                

Geografia è quella mappa                                                                               

dalle perenni processioni                                                                                

a mo’di nembi scarmigliati    

                                                                                             

che s’inchinano a ogni tempo                                                                                

e a tutti i punti cardinali.                                                                              

Al vento m’involo e invano imploro.     

                                                                           

Vagabonda della geografia,                                                                             

tracce d’amore nei semi di sabbia                                                

seguo, prima che il ghibli le spazzi via.  

        

 

 

*

Al giorno del compleanno

 

In campo Santa Margherita,                                                                            

gentile e sicura, sulla soglia                                                 

di settembre, si scioglie la vita.                                           

 

Ad accordare sono venuta                                                  

un sordo violino, un’arpa pentita                                                                   

all’urto generoso                                                        

del vetusto e dello sconosciuto.                                         

 

Sugli scalini dell’istante                                                       

assaporo l’indiviso minuto                                                 

nell’aria colma di campane,                                                

d’interezza di gesti raggiante.                                              

 

Scrivo segni sull’acqua del canale.                                      

Li scrivo già perduti. Sillabe                                               

disfatte. Saette della mente.                                                

 

Venezia, mia sete diletta,                                                    

Venezia, mia dimora, mio esilio,                                        

scorre in fretta, scorre via                                                            

la sincera clessidra.                                                                       

                                     

Per testamento ti lascio, Venezia,                                      

l’inerzia dell’essere,                                                             

tutti i nomi dell’acqua,                                               

la ragnatela della mia ignoranza,                                                           

tutta l’arte di sciogliere me                                        

nell’irrisolto compito incognito.                                         

 

*

Canzone carezzevole a fil di voce

 

 

Chioggia

bastimento di vele e tese brame

nel mar delle arie lontane,                                                           

nel libero reame delle acque.                                                               

 

Chioggia

tartane, bragozzi, ostregheri,                                             

bragagne, burchielli,  paranze

e, sulle alberature, pennelli.                            

                                                                                             

Chioggia

pescaori, canevini e sabbionanti                                       

consacarieghe e calegheri                                       

spassacamin e pipari,                                      

cavallanti, marangoni e ortolani:                               

a voi tutti una cetra celeste                                       

e un lembo di terra nel brolo                                              

alberato della memoria  sia.                                      

 

Chioggia

orazioni e dipinti devoti,                                                      

burrasche, naufragi e morti in mare,                                           

madonne savie e cristi in croce,                                        

santi e anime purganti.                                                        

A voi sia ordito un velo di nostalgia                                   

di lettere primaverili in fiore                                       

dal sapore di malia.                                                   

                                     

Chioggia

di frittura mista e polenta,                                          

di brodetto di pesce                                                  

nel pozzo del dialetto senza fondo:                                   

parola sul carbone ardente.                                      

 

Chioggia

specchiera di acque in albe e tramonti                                                          

serviti a forestieri di passo:                                       

ansiosi storni in volo.                                                 

 

Chioggia

di rammendatrici di reti e vele,

di venderigole, di merlettaie,

di conversari sui poggioli,                                         

sui bianchi davanzali.                                                 

 

Chioggia

di nudi pescatori un tempo,                                      

ora alacri aratori

del ventre dei fondali.                                                

                                     

Chioggia

estro ed esaltazione                                                  

nella tela a pastello                                                    

di Rosalba Carriera                                                   

artista dal segno che svela.                                               

                                     

Chioggia

pittura delle brume:                                                   

risucchi e spossate pennellate,                                         

rossi camini e pietre sbriciolate.

                                     

Chioggia

alla maniera d’una volta.                                  

Chioggia  non si rispecchia                                              

nella trama di una vela vecchia.                                

 

Chioggia

laguna, fondamenta, canale.                                              

Isola che non si sorregge.                                        

Non abbraccia. Non apre.                                         

Isola che a braccia conserte                                              

e a bassa voce si compiange.  

 

 

(La scelta di usare  nel testo molti termini dialettali - denominazione di vari tipi di imbarcazioni non più in uso, denominazioni di mestieri oggi scomparsi - è un omaggio alla storia di questa antica città la cui lingua - pur nell'inevitabile mutamento - è ancora per molti versi la lingua di Goldoni.)

*

In questa casa di vinco e di paglia

In questa casa di vinco e di paglia                                               

- addio, arsura, distesa assonanza -                                             

in questa casa castello di carta                                                     

- bonaccia rara, fiumana, mareggiata -                                             

in questa casa di gramigna e erba spagna                                             

- tombolo, scoglio, pozza, capezzagna -                                                

in questa casa di fango e frasca                                          

- brivido, bora, maestrale -                                                 

in questa casa asilo di sabbia                                                       

a strapiombo sul mare                                                                  

ammattonato anni sessanta                                                          

pignatte piatti bicchieri posate                                                     

spaiati  forestieri,                                                                          

si pranza? Si cena anche?     

                                              

Qui ogni giorno ha il suo baco,                                                   

la sua girandola, il cervo volante.                                       

Qui si schiude la spiga e il seme                                         

si sgrana in parola che oscilla, balza,                                           

fa festa, folleggia, fa eco al silenzio,                                            

s’acquieta, volteggia e s’infratta,                                                                

si rannicchia da gatta sulla riga,                                                                                

s’annoia, si stira, sbadiglia,                                                 

azzittisce una zeta, si finge una esse,                                  

si azzuffa con una emme zelante,                                                

corteggia una elle, acerba scheggia di verde,                                                               

accresce l’alfabeto, sottrae il senno.                                                                            

Squadro il rompicapo e non mi raccapezzo.                                    

 

Impasto allora cuori chiari                                                  

di parola in latte e uova,                                                               

un’intima sintassi in insalata,                                                       

un’asciutta fetta di crusca                                                   

senza lievito d’articolo, di verbo,                                       

un liscio guscio di tartaruga,                                               

un rebus di sillabe senza paura.                                                   

Aggiungo una goccia di guazza,                                          

un grano di giubilo croccante,                                                     

un peperoncino di batticuore:                                                      

oggi e per sempre aroma di manna,                                             

canto a voce spiegata                                                          

aereo altare d’amore                                                           

a chi si nasconde, a chi manca.         

*

4 Haiku

 

Nube da nube.

E’ un cielo che nasce?

Nero di luce.

 *                                                                                                                                      

Notte, sorella

del Sempre, stelle in versi

a ognuno tendi. 

*

Si stacca un bacio

dal braciere dell’alba.

Atteso ardore.

*

Pregno di sale,

- ampio delta di senso -

il mattino arde.