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Raccolta di poesie di Mariolina La Monica
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Al davanzale del vento

Al Davanzale del Vento


Stanotte, come sempre, cerco stelle.
Laggiù la mia costellazione ammicca e splende
pare abbia occhi attratti da un’immagine
muta, inamovibile, da statua diafana
– mentre il momento è un lampo che giunge e sfugge via
smarrito in perigliosi percorsi d’illimitato, persistente divenire –.

Bruma si leva attorno
screzianti sonorità
turbate ombre
mentre oasi d’acque lunari di cui ognuno ha sete
trainano rimpianti solitari.

E nel viluppo di spinosi germogli
mi domando cosa ci muta i giorni
cosa ci ha fatti quel che siamo adesso
e dove stiamo andando
mirati, come razzi che non conoscono pausa che li fermi
o foce a cui fare ritorno.

E in una somma d’istanti a pensare e a ripensare
a vangare e a rivangare ancora
come un fiore screziato, si spiuma il sogno
di una tranquillità sudata al vento caldo dell’esistere.
Già
al vento che roteggia
e sibila all’orecchio parole antiche
come un’onda che sorge e si ritrae
che risorge e si ritrae!
E – mentre sul treno del vocio vaga un pianto pietrificato –
lo spirito silente di quello che sei stata
ti scrive l’ultima poesia.

“Chissà se ti conobbi mai
se mai abbiamo parlato o siamo state
con gli occhi fissi a rimirare un sogno, nel sogno
errato di noi stesse?
Noi
che mai ci siamo flesse all’evidenza del male
e, per meglio apprezzarci
mai abbiamo rinunziato allo specchio alato
senza, però, riuscire a leggerci dentro pienamente:

(ad ogni passo in avanti sull’erba troppo verde
troppo verde!
fiorivano fiati di gelate e brume dense).

Ciò nonostante
chissà se ti conobbi sino in fondo
per intero!
se quel vivere attivo che tu ami
contraddice il tuo rimestare
attimo su attimo, minuto su minuto
e la tua impassibile quiete nel proporre la te stessa troppo vera
e poi la storia
la tua storia di cocci sparsi al vento
e lo stesso vento che t’investe, che c’investe,
dove lo metti tutto questo perché io possa dirti “Ti conosco?!”.
In quale posto li collochi o ti collochi?

È forse così il nostro divenire?
Turbati e impotenti a portare dietro un peso
quello
che ci fa apparire
un peregrinante mistero in eterno trasloco da noi stessi.
Per poi giungere al delta dei giorni
e da lì, volesse il cielo, alle sorgenti di velluto
che, infine, ci svelino chi siamo veramente!
E donare, così, tutto di noi all’universo incontaminato e puro
donare, per sporcarlo, come questa terra?
Terra
nella sua magnificenza, maltrattata
contaminata
nel danno, sdrammatizzata!
Terra
stanca di noi e della nostra ottusità
remota... eppur presente!”.


Ma la notte va
raggiante tra i vicoli del borgo
con l’occhio perso in una luna angelica splendente
abbandona ogni dire una bambina.
Ed ella va, lentamente sulle ali
pregustando cadenze di voci nel volo
sciacquii d’azzurro
note d’acqua lungo gli argini mai scalfiti.

Istanti bianchi, questi
che parlano, senza bisogno alcuno di parole
che portano verso la sponda Altra.
Sì, Altra
poiché fa presto a divenire rifiuto
ciò che ieri era tesoro… di carta
solo di carta
che scolora
e
si dissolve… alla vista tuttavia!

Alla nostra poca vista
che non lascia possibilità d’ormeggio, là
dove migrano i palpiti visionari
di quel grande manto di luce.

Di
sola
luce!

*

Il figlio dell’aquila

Il Figlio dell'Aquila

 

 1

 

 Qualcuno un giorno ci rubò la via Lattea

portò lontano dalla terra ogni piccola stella

e rinchiuse mille ali nel petto d’ognuno

-come sogni iridescenti, senza meta fissa nel tempo-

da allora danzano

diavoli ed angeli

vaganti tra le dune e il brulichio dell'acque.

 

 

 

2

 

 

 

Disse il figlio dell'aquila

“L’autunno impazza

bastarda l'aria, tenera come notte di luna.

Ho chiuso la mia porta verso il chiaro stasera

non più aliti di vento giù dal mare

non più!

Ti uccido aria

non tornare.

Ho voglia di chiuso

della mia anima nera

ho voglia di bestia stanca e di giaciglio."

 

 

 

3

 

 

 

E lui impreparato al fosso

e lui tra il pianto i semi ha trascinati.

Vuota bisaccia porge alla sua luna

freddo alla terra nel suo pianto amaro.

Lui

terra di fibre e corde macerate,

un pugno chiuso che si secca al sole

che pesa il cesto di suolo impantanato.

Lui prigioniero che vive dei suoi echi

che impenitente

sfugge ad ogni senno

credendo in ali d’uccello paradiso.

Lui che c’è ancora intero per metà

spugna corrosa da quest’eterno mare.

Lui

l’illusione,

un involucro di stampelle ad ogni guado

stese su ieri, sull’oggi, sul futuro.

Lui canovaccio dalle mille fogge

che sbatacchiando al vento sino in fondo

picchia da dentro l’illimitato amore:

quell’infinito

ch’egli non trova qui

che non si trova.

“NON PIÙ DI TANTO

NON PIÙ!”.

 

Lontano

- nel paese dei re -

chissà chi gioca sempre con le stelle?

 

 

 

4

 

 

 

“Costretto tra la roccia come giaccio

v’è un tempo amputato che ritrovo

e a quando quella parvenza di vittoria?

Anche sbrinata

disciolta

avviluppata nelle sue gramaglie.

Da fuori il vento sibilante estende

estende ancora vuoto.

E sull’irto percorso un carro stride

si spezzano armonie

cembali piangono

evoca l’antro un cumulo di ali

e il tempo più non conta

 

eppure canta!”

 

 

 5

 

 

 Ed il nido scompare,

tutto scompare,

scompare l'impronta di chi l'ha costruito

e la frasca si perde:

solo un solco dove poggiava resta.

il figlio dell'aquila attende

stupido attende senza saper più cosa.

Non portate l'infinito sulle sue dure labbra

non portate albe e scie mutevoli del giorno

quando questo giace disperato in un angolo

e poi a sera svanisce

come un inutile fiore

che giacque inutilmente per morire.

 

Domani è morte

domani per chi vive son tamburi.

 

 

 

6

 

 

 

"Sempre gli stessi uomo

sempre uguali i gesti e le parole:

al muro.

Al muro bende sugli occhi

e fucili spianati là sulla pianura.

Dimmi

chi regge le chiavi delle prigioni?

Forse il despota diavoletto

che inonda di duro queste rocce

o forse la voce del crepuscolo che salta e balla?..

                                 .. e trascina

                                    e trascina polvere e foglie".

 

 

 

7

 

 

 

Sulle verdi vallate

e campi, e strade, e casucce strette per paura

s’accendono di festevoli falò alla vendemmia.

Boccali colmi di risate

e danze su danze si trascinano al buio -

labbra color porpora trascinano il sorriso.

Domani

stanche ristagneranno in lui

parole, canti, scherzi, risa,

domani

solo inseguirà fiele e carezze.

Solo.

 

E  ogni morte s’estende.

 

 

 

8

 

 

 

“Non tornate colori soffusi

e immagini nuvola in sorriso.

Non aprite le valli

e quando v’inoltrate nella notte

spegnete il moccolo.

Sul colle

lasciate che il mosto riposi la sua notte

e libero ogni aroma d'annegare nel fondo”.

 

 

 

9

 

 

 

Raffinato apotema o solo un capriccio

quel vivere che trascina i gesti già compiuti

e i sogni immaginati sulla strada?

Il fatto

il dato

il posseduto

quegli intravisti voli d’acque chiare

quel desiderato mai colto.

O forse solo un battito che vibra?

Pieno

ritmico

sfibrante

simile per pensiero

eppure frastagliato e diverso

unico per ogni stagione della vita.

Da dove vieni o vita

e dove va poi trascinando quel fiume?

 

Ma scorre il fiume tra la traccia del greto

ed il giorno non libera la notte

e la nottata non si scinde dal giorno

fusi e compatti baciano l'ombre.

Vagano soavi l’aure e l’acque

scuotono miriadi di forme l’erbe e i muschi

e avvilimenti poggiano le falene

dal moto oscuro che appare discordanza.

 

 

 

 

10

 

 

 

"Vai corrente di cielo

veloce dai fiato alle mie ali

trascina il petto

inoltra il mio becco nel vento

illumina il mio occhio.

Luce

voglio luce sull'ombra

spaccare ogni mia nube

ascendere sino a sfiorar lontano.

Un po’ più in alto

un po' più in alto ancora

e libero in picchiata affondare nell’azzurro.

D'azzurro affogare questa tenebra.

Solo

esser solo sul tetto

farsi grande

da oggi espandersi ed abbracciare il mondo.

Oggi che il petto è scarlatto di sangue

oggi che il petto è un rubino prezioso."

 

 

 

11

 

 

 

Ora zingaro ha il petto

e l’alito sospeso gli ristagna

gli vaga dentro

insegue ogni suo volo

come fornace d’alchimista antico

un po’ per volta trasmuta ogni sentire.

Disciolto d’oro d’amore e di veleno

l’occhio rapace adesso osserva mesto

quanto -là intorno ed oltre le montagne-

v’è  di più vacuo che prende in illusioni 

e intensamente fa pullular le piane.

 

Ma sul monte il figlio dell'aquila

come sempre rapisce

sul monte il figlio dell'aquila

è già un mostro divino.

Riecheggiano chiare le strilla del suo grido

e solleva spighe

e prati

e cime innalza al soffio.

Racchiudendo l'alba lucida negli occhi 

vola.

Solo tesse fili nella trama dei cieli

scia tra lo scuro e le sete d'azzurro

e tentando

sempre tentando, naviga tra i respiri.

 

 

 12

 

 

 

“Ma sorridere morendo e andare

-andare contro il petto dilaniato-

è niente sensa colpa.

Il peggio è maledirsi

cibarsi dei venti e del frascume

che adesso solo bruma hanno per volto.

La bruma

-la lacrima non pianta

alla grotta pipistrello aggrappata-

la bruma affonda un dente nel mio cuore”.

 

 

 

13

 

 

 

Non portate l’infinito sul suo duro becco

non portare albe e scie mutevoli del giorno

quando il tempo attende disperato in un angolo

e poi

con lo scuro svanisce incolmabile sempre.

Domani è morte

domani per chi veglia son tamburi.

 

 

 

14

 

 

 

“Non si può vivere dell’ali e dell’ebbrezze

non si può vivere senza una saggezza!

Costruiamo la saggezza

come muraglia ed argine ai funamboli

come cancello a ogni brace sinistra

e creiamo favole e tele

per star nel guscio e non morire.

Fantasmi

stupidi fantasmi!”

 

 

 

 

15

 

 

 

Nell'anima che parte egli ora porta

respiro dolce e soffio di bufere

profuma credo e vita

profuma prati e steppe

e cerca l’aria

come sirena fa

col suo canto ammaliante di rugiada.

E picchia a scoprire terre

picchia su ali grandi

scivola

irrompe

resta alta con lui.

 

 

 

16

 

 

 

"Ora che fuggo

e chiamo il dolore gioia e ogni gioia il bagliore

chiara contemplazione

mio fiore

punto predestinato già al mattino

dove t' ho scordato?

Lascia che io allarghi l’occhio a ogni momento

è la finestra

da cui intenso mi può inondar l’immenso

è la finestra squartata del mio cielo”.

 

 

 

 

17

 

 

 

E il suo giorno origlia il vento

e bacia un fiore che tende all'infinito

e il passo suo calca le sue ombre.

Lui vive

laddove il suo orizzonte si fa e si decompone:

scomparso è il giusto attracco nei suoi occhi

scomparso!

 

Ridategli il suo occhio sereno ed il suo nido

e l'acqua chiara della fonte antica

che lui la porti nella patria dei semi e delle zolle.

Ridategli il silenzio limpido

il respiro paziente

e la carezza tenera del giorno

che s'inoltra e s'abbandona nel sonno.

Ridategli a navigare luce

nella casa dell'oggi e del domani.

Ridategli!

 

 

18

 

 

 

“Ogni mattina a dare senso alla vita

ogn'aquila vaga la valle

setaccia la regione.

Come me

proprio come me

prima

quand'era il sole.

 

Ma oggi non caccerò

oggi perlustro cime..

..e la scure s'innalza”.

 

 

 

19

 

 

Ma ha venti sulle voci d’altre ali

laddove la compattezza è breccia

è lo smalto

è dritta via.

Perché vagare ancora? Gli risuona

perché affondare su terre ripiegate?

Andare laddove il ghiaccio è il cristallino

negare l’evidenze d’ogni attrito

negar persino il finir delle stagioni

portarsi laddove tutto resta 

crescersi mani pronte ad abbracciarti

ridicoli piumaggi da buffone

che ha bisacce di lune ed illusioni

e là

-come un logoro straccio alle divine corti-

ridere, volare, saltare 

anche se nella mente

ristagna ancora intenso

l’antico odore di lavagna

il profumo di un glicine

 

e la notte.

 

 

 

 

 

20

 

 

 

 

"Vagante gelo

brivido denso che incateni i fiumi

tu non conosci

tu leggi solo la traccia d'una mano.

È quello il solco, è quello il tuo confine.

Il dolore

il dolore e la gioia

han l'occhio tuo a barriera

che prima di vedere ti confonde.

Scivola il vuoto

scivola l’immaginario

scivola.

 

Ma cosa importa un'ala

ognuno si libra nel suo cielo

ognuno ha le sue pene

e tutto gira ancora

e girerà quel raggio

risalendo la china

arresterà i tamburi di morte.

Vivremo

vivremo degli sfarfallii dell’albe e dei tramonti

vivremo di miriadi di luci ad adornar l'acque

di boschi verdi e di fonti maestre.

Domani

stelle e immenso per noi da questo viaggio".

 

 

 

21

 

 

 

Ma anche tra il gelo

si rincorrono gli astri

e solcano dirupi e piane, disperazioni e gaudi 

che bramano la parvenza d’una culla.

Nulla si ferma perché tu non sei

nulla si ferma per ritrovare un giorno

quando a ogni giorno

sudate cresci spighe. 

Con l’occhio colmo

-stretto in troppo affanno-

bramando pace

scioglie in alti effluvi

quel suo andante stracciato che ridesta

le ortiche

i gorghi

l’ondulanti brine

caldi tutti i risucchi del sublime.

E si fa gemma di canti e di barlumi

ne fa il suo fiume

ne cresce mille vele

lampare a raggio e sete su quell’acque.

 

 

 

22

 

 

 

 

L'aria è assassina

ma l’urlo della valle

mi porta essenze di primavera a sera

quando ogni alito si fa rosa sul fiato

e argenteo è il cielo

tanto esteso il chiarore

che mille tenerezze avvolge agli occhi.

Ora gli parlo al cielo delle sere

modula i suoni

raffina lo sgomento

traccia i contorni

di tutto il pianto che s’avvizzisce al chiuso

dei mille volti costretti in un sorriso.

Ora lo guardo il cielo delle nubi.

Ora non parlo

lascio parlar la notte.

Ora percorro le inesplorate piste

di quel pensare martellante e puro

di quel sentirmi in un dischiuso enigma.

 

E asciutto l’occhio

pozza stagnante il volto

come da ceneri verticalizzo semi”.

 

 

 

 23

 

 

 

Ed ora è il Dio d’immenso che lo spinge.

Tende lucente quell'arco della luna

e come arciere di morti e di rinascite

sulla lira del sogno, sul fondale più vero

gli arma di chiaro

la porta d’oro della nuova aurora.

Ora in picchiata

intensa ha la distesa

ed al suo interno un mutamento ispessisce.

 

 

 

24

 

 

 

"Palpita notte

fatti grande

lascia che le stelle siano occhi stesi lì

ad estendermi il cuore.

Togli il chiavistello notte

ed aprimi al soffio della grande aquila

che m'avvolga nella sua tenera piuma.

Notte nera

dura

audace.

Notte

trina d’amore, nel consunto manto

steso al confine estremo di noi stessi”.

 

 

 

25

 

 

 

 

E lievi danzano i cirri, come i fiori

baciano il cielo

scivolano il tempo

ed il suo azzurro splende sui silenzi

sui passi stanchi mai è stato ucciso.

Riacceso il senno dal morso del Più Grande

appicca frasche e occhi puri alle stelle

crescendo in acque

di tramite immenso ed infinito.

 

E vedi

pian piano un battito

scintilla un po’ più oltre.

Per te è un battito

per lui è una fatica

ed è così per ogni vita.

 

 

 

26

 

 

 

“Ed ho veduto tanto

e tanto

più che tanto mi riportano gli occhi.

Nel sorriso e nel pianto

quanto colore e suono

quanto dono!

E tutto è stato dono

le altre piume, le corde, il lungo occhio

son stati beni a perdere.

A che serve la voce se ti graffia

se non ti reca un'erba da donare?

A che ti serve?

E sempre si posa il fieno

e si flette nel vento

come l'onda, nel bacio e nella furia

riposa ovunque bagna.

 

Così riposerò

come la brina, il vento?”.

 

 

 

27

 

 

 

Sui segni suoi ogni tanto qualcuno si china

raccoglie piume morte come un fiore

poi lento le poggia in un paniere.

Ogni tanto qualcuno

si ferma alla valle del canto

dove dolori, gioie, gesti, voli

son solo nuovi palpiti a stillare il silenzio.

per chi sa stare al sole

forse sono i fruscii che parlano

i fruscii che insegnano

che incidono sul passo e crescono figli

che sulle loro voci creano dune.

 

Pulsano svolte

fremono conquiste 

arie infinite alzano tra nubi.

 

 

 

28

 

 

 

“Se fosse dato a tutti poggiar le ceste vuote al sole

se crescessimo al sole

se nutrissimo il sole!”

 

 

 

29

 

 

 

Qualcuno un giorno ci rubò la via Lattea

portò lontano dalla terra ogni piccola stella

e rinchiuse mille ali nel petto d’ognuno

però

non mise briglie alle piene dei fiumi

e caricò i venti ad inseguirle.

Da allora -ad infrangere i limiti-

tra quel sentore ogni tanto qualcuno si libra

raccoglie strie di vite come semi

e mestamente ne fascia i fiordalisi.

Ogni tanto qualcuno

-da coltri opache legate a doppio filo-

s’accende aurore e sogna corde d’arpe.

Ali d’uccello stringe ad ogni vento.

 

 

 

Qualcuno un giorno ci rubò…

ogni tanto qualcuno, ogni tanto qualcuno, ogni tanto qualcuno

 

ogni tanto

un fratello che ci sia.

 

 

 

*

Tartana

Tartana

 

Ho visto

anime levarsi

e cercare aure immortali tra il fondale del vivere

e poi le ho viste infrangersi cadere farsi prede!

Ho visto

anelli di luce

andare per cieli di paglia

e sparire.

– E mentre l’urgenza necessaria

è pace vera

svuotata da pensieri indotti da chiodi entrati in te

come segugi senza sbocco, senza foce –

dermatosi dell’anima

sempre m’attardo su parentesi di vita

in dimensioni altre di luce e suoni

sapori e odori

immagini e umori

e – sempr’eterno mistero –

di continuo emergere dall’anima un’idea che resta

come fiaccola accesa

ristagna scalda scioglie lacci.

È richiamo celeste, ed è solaio

è sole chiuso al petto

che nell’attimo in cui squarcia le mie nubi

esplode in Amore adulto

per gli altri, per tutti!

 

                        E senti

ridente e mesta

in luce ed aria

una Voce verace e nuda

che ti guida in ogni dove

e

non sai dove!

 

Ma tu

tartana che vaghi tra l’azzurro

e spremi i venti e le correnti per resistere -

hai braccia troppo corte

per abbracciare questo mondo che si spiuma

che – si – spiuma!

 

 

                                               Domani, come sempre, il notiziario

                                                           farà odore di morte

                                                           normale, conosciuta!

*

Tartana

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