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Raccolta di poesie di Serenella Menichetti
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Il mio pensiero è un albatro

IL MIO PENSIERO E' UN ALBATRO

 

Infrango una ad una ogni barriera

per volare in luoghi di stupore

getto il fardello che corpo e mente annienta

per conoscere dimensioni sconosciute

M'incammino in sentieri senza limiti

costeggiando lunghi corsi d'acqua

Attraverso caverne e luoghi oscuri

Il buio affrontato si fa luce

Nell' incontro con ortiche e rovi

attendo lo sbocciare di parole

per vestire di seta i miei vissuti

Ho conosciuto gente di ogni dove

che ogni giorno regala i suoi sorrisi

pietre multicolori a infilare collane d'empatia

Magiche connessioni mi attraversano

per guidarmi dai sogni alla realtà

 

Il mio pensiero è un albatro

*

Passi

PASSI
E questi passi
sparsi su strade di cemento
e arcipelaghi di poesia
appigli di luce
residui di mondi sognati
pezzi di stelle cadenti
colti al volo
fra un buco e l'altro
di ore buie
fiori gialli di cactus
sbocciati tra spine
il suono della voce
che chiama il tuo nome
si fa sempre più esiguo
si allontana dalla tua postazione
la tua mano è campagna abbandonata
irraggiungibile per la foglia secca
il verde colore della genesi
nel nido d'inverno
al sogno di paesi caldi
la rondine stanca soggiorna
sa che il gelo sarà la sua lama nel cuore
E tu
che consapevole della tua finitudine
ancora ti cerchi nel ventre delle parole
tu
che partorisci frasi illusorie
cosa vuoi?

*

Alla deriva

La cattedrale del silenzio

è franata sul giardino fiorito

Sul volto dell’albero di pesco

e  sulla cinciallegra dal petto giallo.

La grandine/ la turbolenza del vento.

 

Il silenzio. La nebbia. Il gelo.

Petali  sgualciti nel fango.

Investiti da scarpe giganti.

E  corvi gracchiare sui cadaveri.

 

Il necrologio dell’anima

 al ramo di un rovo appeso.

Sillabe di un nome

sciolte in rivoli di sangue.

Un lutto colorato di rosso.

da una cecità assurda.

 

E quel violino ammutolito, in frantumi

 insieme alle bacchette del direttore d’orchestra.

Il caos per far tacere le coscienze.

 

Senza cognizione alla deriva.

*

La voce

 
LA VOCE.
 
Una dietro l’altra, giungono le voci mute.
Si rincorrono sui binari della memoria.
C’è silenzio sul treno che conduce all’infinito.
E’ qui che spuntano gli embrioni.
 
Una mano sottrae dalla bocca e sparge.
Un viaggio nei meandri del visibile.
Attraverso il lungo ponte del silenzio
segni si avviano verso la valle del sonoro.
La voce partorisce emozioni.
 
SERENELLA MENICHETTI.

*

La notte

LA NOTTE

Andiamo laggiù, dove dita di pietra, si aggrappano

al manto della notte.

L’oscurità reca sulle grandi spalle una gerla di sogni.

In un intrico di rami, vaghiamo, alla ricerca del mistero.

L’orecchio interiore accede a sconosciute sinfonie.

La voce notturna del mare reca visioni celesti.

L’occhio, al buio avvezzo, tesse immagini nuove.

Nel silenzio delle stelle: il mondo della ragione annega.

Pulsioni ed emozioni accendono le tenebre.

La metamorfosi, delle cose quotidiane,

in parole  d’argento, è miracolo di luna.

Il linguaggio della notte, di simboli, ingravida la mente.

Sull’orlo del sogno avvinghiati: Eros e Thanatos

germinano poesia.

*

L’ Ancora

 

L' ANCORA

 

Adesso che la nebbia si è squarciata.
E il silenzio è amico.
Il vuoto è pausa di nuova musica. ...
Lo spartito dell'intera giornata
ha poche note.
In pausa, la nostra reperibilità
è incontro.

 

La tessitura si è allentata.
Adesso che l’occhio fa distinzione
tra ordito e trama.
Attraversare con fili nuovi
gli interstizi resta l’opportunità
dell’àncora

S.M.

*

Pesci Rossi

PESCI ROSSI.

Sopra il mobiletto dell'anticamera....
Scaraventati in una boccia di vetro
Pesci rossi ,comprati al mercato del giovedì.

L’invisibile in agguato
ha bloccato gli spostamenti
dei padroni dell’universo.

Continuiamo a girare in questo microcosmo.
Il pensiero abita ogni lembo della nostra pelle.
Naviga il mare in tempesta delle vene.
Le domande hanno rotto gli ormeggi.
Orfane di riposte
alla deriva
vagano.

S.M.

*

Una brocca di tempo colma

UNA BROCCA DI TEMPO COLMA

Del tempo facevamo briciole.
Dividevamo gli attimi in mille gocce.
Ogni goccia una corsa affannata.
Correvamo a prelevarne un sorso dal bicchiere
che ci consentisse la partenza.
E già pensavamo alla prossima goccia.
E già pensavamo alla prossima partenza.
Ogni sorso una strada da percorrere.

Correvamo nei viali della vita come forsennati.
Ciechi agli alberi e ai fiori, e al cielo sopra noi.
Andare e tornare e ancora partire.
L'azione prevaleva sulla meta.
La giostra non si fermava mai.
Il bicchiere prosciugato ci inquietava.
Lo riempivamo alla fonte del tempo
per consumarne il liquido in un andirivieni convulso.

 

Adesso i cavalli della giostra riposano.
E noi ci guardiamo intorno lentamente.
Mentre il tempo trabocca dalla nostra brocca.
Il riposo delle gambe ci fa cambiare punto di vista.
Gli occhi hanno sputato le bende e affondano
in un mondo circoscritto: ecco il giallo dei narcisi
nell'aiuola a destra, del prato, incontrarsi con la retina.
Ed un merlo nero, dal filo della luce, tuffarsi dentro
l'albero della magnolia, dove un nido pieno l'aspetta.

 

Di fianco al viale di pietra, un cerchio vuoto e secco
ricorda, la grande palma, divorata dal punteruolo rosso.
E subito il pensiero va agli olivi dietro casa. Ce la faranno
a sconfiggere il morbo che da tempo li mina?
Il fastidioso ronzio delle api, resta al cuore, musica lontana.
Chissà se le notti estive, saranno illuminate dalle lucciole.

E noi,
noi che solo ora ci accorgiamo di avere tirato
l'elastico più del dovuto.
Noi, gli invincibili
Noi
adesso, stiamo morendo.

*

Sulla soglia:l’attesa

SULLA SOGLIA: L’ATTESA

Un lungo corridoio,
davanti innumerevoli porte.
Giulie cammina lentamente....
La lunga eburnea mano fa
scivolare la maniglia in basso.

 

Con passi titubanti s'inoltra
da una stanza all’altra.
In ogni stanza, un'epoca differente
alita il suo essere.
-Questo non è il mio tempo-grida!
intanto che con mano tremante
apre la successiva.

 

Il timore di non ritrovarsi corre
sul pavimento, fino a sorpassarla.
Giulie lo supera,
apre ancora una porta
alla spasmodica ricerca.

 

Gli sbalzi temporali le causano
un fastidioso mal di testa
Incredula, vaga per l'intera notte
da un'epoca all’altra.

 

All’apertura di una nuova porta:
rami di alberi secchi graffiano
lo schermo grigio, del cielo.
Minuscoli uccelli bianchi
cadono all’interno della bocca spalancata
di un enorme cane nero.

 

Un grande portone sbarrato
arresta il suo percorso.
Si siede
appoggiando sulla soglia
accanto a lei, l’attesa.

S.M.

*

La casa sulla montagna

LA CASA SULLA MONTAGNA

Con tre rumori gracchianti, la chiave desta il silenzio
comodamente sdraiato sul pavimento.

Un lungo bruco trascina nella sua filiforme lunghezza.
Gli occhi del silenzio, come spilli bucano il corpo.

L’ombra di una larga stanza mi viene incontro.
Le righe orizzontali del parquet, accolgono i miei passi.

Bisogna arrivare alla porta finestra che dà sul terrazzo ed aprirla,
affinché i sensi trovino la stanza del ricordo.

La luce, senza bussare, entra. Sono gli occhi a riconoscere
per primi, il divano azzurro, il tavolo chiaro, gli altri mobili.

Stapperemo una bottiglia di Don Perignon per brindare alla lentezza.
Fuori il grande faggio promette refrigerio.

 

*

Un oggetto

UN OGGETTO

 

Sta sul comodino, sopra il centrino, tra diverse riviste di moda.
Sulla destra i grani del rosario di nonna Andreina.

 

Un oggetto smarrito, un minuscolo ” io”
completamente schiacciato dalla carta stampata.

 

Adiacente alla parete, la poltrona gialla, sommersa
da innumerevoli stracci, indossati una sola volta.

 

Una maglietta grigia. I jeans bucati.
Il piccolo reggiseno a pois neri.

 

Un lembo di pizzo, appartenente al resto degli sleep crema,
fuoriesce dal fondo della gamba dei jeans.

 

Tra lenzuola sgualcite, lei. Gli occhi puntati in alto.
L’ adolescenza che sale sul soffitto, per ricadere sul corpo filiforme.

.

*

Lentezza

LENTEZZA

 

E la lentezza plana con ali di colomba sull’ inquietudine.
Si distendono le punte. Elettrocardiogramma quasi piatto.

 

Uno dopo l’altro, si costruiscono ponti nuovi.
L’ occhio in turbinio di bellezza viaggia a ritmo lento.

 

Cala il vento di tempesta. L’ altezza delle onde scema.
Con tacita lentezza un dondolio di merletti si trastulla.

 

Il lago di montagna, cuore calmo. Osserva il mondo
da un’ altra prospettiva.

 

 

 

*

La casa con la crepa

LA CASA CON LA CREPA

 

In fila, nell’immobilità, gli alberi mi osservano.
Non un canto d’uccello, a bucare la lastra del silenzio.

 

La grande crepa deturpa la facciata della casa.
Accasciata sul tetto, la vegetazione dorme.

 

Il giardino galleggia nel mare del passato.
All’interno della casa: sulle mura scivolano parole non dette.

 

Intrappolati tra enormi fili di ragnatele, i pensieri di ieri
inutilmente si dibattono per uscire.

 

– E’ terminato il vostro tempo – urla il vecchio ragno.

 

Non uno straccio di presente, se non la mia curiosità
che oltrepassa le spesse mura di pietra, alla ricerca di tracce.

 

L’occhio della fantasia indossa spesse lenti.
Da ogni spazio, preleva scampoli di vita.

 

La costruzione della storia è il completamento del puzzle.
A terra, foglie secche scricchiolano.

 

Ricordi si sgretolano sotto i miei passi, come giorni trascorsi.

*

La poiana

E ancora la poiana catturò la preda.
Nessuno avrebbe pensato né creduto.
Appollaiata sul posatoio
Piume morbide e chiare
L’occhio fisso.
Ancora attendeva di ghermire
con volo fulmineo e silenzioso.
Proprio, così,
come fa la morte.

Serenella Menichetti

*

Cambiamenti

Cambiamenti

Mi sono alzata dal letto, ho aperto lo sportello
del calendario, ho indossato il Venerdì.
Questo tempo non mi sta più bene
lo sento troppo stretto
lo sento troppo corto.
Chissà che per distrazione abbia indossato
quello di un altro.

 

La settimana mi arriva appena sotto il seno.
Proprio come una maglia di pura lana
lavata senza ammorbidente.

Tutto è così ridotto oggi.

Ho la certezza che questo mio tempo
si sia irrimediabilmente infeltrito.

 

Mi posto davanti allo specchio
osservo la rete di rughe, che sul viso affiora
e i capelli bianchi che si ostinano a far capolino
nonostante passi la tinta ogni mese.

 

Ma il pensiero che domani
potrà essere ancora Venerdì.
Ecco, quello, proprio quello
mi disturba assai di più.

Serenella Menichetti

*

Assenze

ASSENZE

Ci sono giorni in cui gli spazi vuoti
Ferocemente gridano le assenze.
Ed altri in cui le incongrue assenze
Simili a lance forano le vene.
...
Seguono giorni duri di rimpianto
Ricordi che riscaldano e poi gelano.
Sono momenti che non puoi rivivere.
E stanno appisolati dentro all’animo.

Son foglie gialle dall’albero cadute.
Humus dove s’impianta la tua vita.
Attimi già vissuti che ti seguono.
Legati a cari volti che rimangono.

Sono marchio indelebile che segna.
E scorre nel tuo sangue con la linfa.
Amate assenze. Vuoti che ti scavano.
Il dolore zampilla e poi t’inonda.

E tu lo porti come una reliquia.

Serenella Menichetti

*

Cittadino del mondo

CITTADINO DEL MONDO

 

–Sono Paul cittadino del mondo-

Fu allora che cominciai ad amarti.

-Andiamo il mondo ci aspetta!-

L’amore aumentò come pane con lievito madre.

 

Ti seguii al mare.

Spiaggia dorata, mare blu cobalto, il tuo sorriso.

Una puntura di tracina mi trafisse l’anima

appena notai il tuo disappunto per i vu cumprà.

La delusione mi strinse il petto in una morsa

quando notai che in città ignoravi i mendicanti.

 

Suggerii di andare in Rwanda, ma storcesti la bocca.

Preferisti  Sharm El Sheik e le Maldive.

Nel viaggio a Londra, cercasti un ristorante italiano.

Altri lidi non ti attiravano.

 

-Eppure il mondo è vasto e vario- pronunciai.

 Al tuo silenzio, ti spiattellai quanto fosse illecito

appellarti “cittadino del mondo.”

 Mi guardasti stranito.

Ne eri talmente convinto.

 

Un individuo che ignora la fratellanza,

che rifiuta volti nuovi e voci diverse, dalle proprie.

Un abitudinario, individualista, intollerante.

Può essere solo cittadino, del suo ego.

 

Fu così che il mio amore per te sgonfiò.

Come palloncino bucato, cadde a terra.

Senza fermarmi, lo calpestai.

E  proseguii il mio viaggio.

*

Viaggio sotto le lenzuola

 

Ci fu un anno particolare
Dove trascorremmo le nostre vacanze in ospedale.
Prima iniziasti tu, con il cuore. ...
Un cuore malmesso
dissero quelli in cappa bianca.

 

Ed io che ho sempre tenuto al tuo cuore
Rimasi di sasso.
Il cuore del mio tesoro, che immaginavo
traboccante di amore per me,
ammalato?
E l’amore? Si è pure lui contagiato?

 

Il viaggio che sognavamo fare in quel periodo
si sdraiò sul tuo letto e lì rimase.
Aspettai che al tuo cuore sostituissero
qualche pezzo.

 

-Mi raccomando, quando trovate la scatola
dell’amore, lasciatela.-
-Certo signora rispose il primario-
Mi sentivo in buone mani.

 

Tornasti a casa dopo un po’ di tempo.
Pezzi nuovi di zecca. La scatola dell’amore intatta.
Una miriade di scatole di pillole da prendere
prima e dopo i pasti.

 

Compreremo un beauty capiente per le medicine
da trasportare nel nostro viaggio, dicesti sorridendo.
Certo, risposi ne ho visto uno rosa sciokking.
Prima di partire farò pure io, un salto in ospedale
per la solita ecografia.

 

Forse saremmo partiti per quel viaggio,
se quel carcinoma di merda non avesse
nidificato nel mio rene destro.
E l'idea del viaggio si fosse così abbattuta
al punto da rimanere a letto senza più alzarsi.

 

Serenella Menichetti.

*

Celine

Celine

Celine si cercò nello specchio
affisso all’albero della selva.
Rimase per ore a guardare un’immagine
che non le corrispondeva.
Frammenti di buio e luce si rincorrevano
senza posa.

 

A tratti scorgeva un volto privo di lineamenti
che si nascondeva nella tenebra.
Con le dita
si cercò la bocca.
Cercò gli occhi.
Vuoto assurdo.

 

Non riusciva a percepire il suo corpo.
Eppure la mente era attiva.
Solo l’angoscia alitava nel vuoto
delle sue membra.

 

Nello specchio scoprì il suo colore di tenebra.
Vide il suo sguardo di fuoco.
Il suo sorriso beffardo appariva e scompariva.
Eppure non aveva occhi.

 

Fu allora che arretrò.
Eppure non aveva gambe.
Quanto odiava quello specchio inatteso.
Avrebbe voluto romperlo.

 

Si avvicinò a lui e pur nell’assenza
degli occhi guardò.
Buio totale finché:
una grande aquila bianca squarciò la tenebra.
Avrebbe voluto toccare il suo manto.
Accarezzare il suo capo.

 

In un attimo si sentì trasportare in alto.
E sì scoprì due grandi ali bianche.

Serenella Menichetti

*

Ti raggiungerò tema autismo

 

Trascinata da un vortice di vento, sbatto sulla parete del silenzio.
Sguardi come stagni vuoti, oltrepassano il cielo.
Sciolgono le nuvole. Una doccia fredda mi fa rabbrividire....
La tua lontananza ha un percorso misterioso.
Il labirinto fa arretrare i passi.

 

Troppo spesso rimango avviluppata nei i tentacoli del tuo silenzio.
La tua distanza è fatta di catene montuose e deserti interminabili.

Calzerò stivali chiodati per travalicare le tue montagne.
Mi caricherò le spalle d'otri d’acqua per superare deserti
e raggiungere i confini della barca incagliata nel ghiaccio.
E della grossa conchiglia in cui sei costretto.

 

Ogni giorno catturerò con i miei, i tuoi sguardi.
Con il mio, il tuo sorriso.
E ti giuro che ucciderò con le mie mani,
ogni molecola della distanza che ci separa.

Serenella Menichetti

*

Non sono più tornata

Non sono più tornata

Spine. Vetri appuntiti. Chiodi.
Camminano sul diaframma dell’anima senza ritegno.
Te lo ricordi il petalo della prima rosa bianca,
sbocciata al quinto piano, poi strappata dal vento?
Spine. Vetri appuntiti. Chiodi. Continuano a correre ...
come fossero sull’asfalto di quella strada di periferia.

Volano alto i petali, candide gioiose farfalle.
Le guardi incantata sfiorare il cielo.
-Chissà se qualcuna si poserà sulla punta del campanile-
Ti chiedi. Poi ti ricordi della minestra di verdura
che bolle follemente sul gas che avresti dovuto abbassare.
Indifferente alla pianta, spoglia di loro. Ammiri il volo
ancora per un attimo.

“Cuocere lentamente”eppure la ricetta te l’aveva gridato.
Con la mano lentamente ruoti l’interruttore fino al minimo.
Il brodo si placa. le verdure fermano il loro ballo demoniaco.
-No, non è stata lieve la tua vita-

Affacciata alla terrazza conquistata, per la prima volta gusti
il sapore della leggerezza: zucchero filato.
Osservo le tue ali spuntare, i tuoi occhi risplendere.
Ascolto la risata dei tuoi sogni che giocano a nascondino.

Ancora spine. Vetri appuntiti. Chiodi.
Li trovi ovunque. Passeggiano tranquillamente, indisturbati.
Non si può fare niente sono peggio delle zanzare.
Pungono la vita, feriscono i piedi dell’anima. Stracciano i sogni.

Non sono più tornata al quinto piano. Non ce l’ho fatta.
Mi avrebbero disturbato tutti quei brandelli di sogni
sparsi ovunque. Attaccati alla ringhiera.
Nascosti tra i cuscini dei divani.
Penzoloni , sui lampadari polverosi.
Preferisco starmene nella mia stanza e ricordarti
con il mare negli occhi.

Serenella Menichetti

*

Dono

 

Qua la morte impugna la falce ogni giorno.
E qualsiasi energia vitale annienta.
Piccolo mio, lascia questa desolazione di giorni. ...
E questa terra troppo asciutta.

Raggiungi terre morbide dove il sole
è clemente e la vita germoglia.

 

Che l’ebano dei tuoi capelli possa
divenire scrigno per la mia ultima carezza .

I miei occhi sono secchi come questa terra.
Ci saranno giorni che la tua assenza
appoggerà sul mio cuore tizzoni ardenti.
E notti in cui le palpebre non si congiungeranno.

 

Pregherò Allah che nel viaggio tenga la tua piccola
mano fra la sua. Lo pregherò perché
ti faccia approdare in un porto di luce.

Verranno giorni che la tua felicità
sarà balsamo per le mie ferite
E notti che sognerò Sirio nel tuo sguardo.

 

-Un pezzo del mio corpo, con dolore ho reciso.
A voi dell’occidente, dalla vita lieve, dono!
In cambio chiedo per lui accoglienza mite.
Ed un varco alla libertà del sogno.-

 

Serenella Menichetti

*

Profumo di rose

 

Capita di salire insieme, la spirale della memoria,
scala a chiocciola dei nostri ieri, che introduce
gradualmente nella stanza scaduta....
La sabbia fuoruscita da clessidre rotte
tappezza il pavimento.
I nostri piedi nudi, restano feriti fino
a sanguinare.
Passi d’infante misti a passi di gambero
impediscono il volo.

 

Noi, uccellini ruzzolati dal nido 
osserviamo penzolare
i giorni accaduti,
per vederli, poi, piombare a terra,
uno ad uno,
come petali secchi.
Un fresco profumo di rose ci rimane
attaccato alla pelle.

 

Accantonati nell’angolo più buio:
chilometri di passi di danza sbagliati,
ci vengono incontro.
L’ isola trasparente dei sogni svaniti ci rincorre.

 

Nella serena consapevolezza
di ciò che è stato.
Nell'attesa di ciò che sarà
restiamo a guardare.

S.M.

*

Ha chioma rossa

HA CHIOMA ROSSA

 

Ha chioma rossa il giorno fanciullo.
Abbracciati al silenzio cogliamo petali di memoria
Al centro della piazza un cerchio nero di merli.

 

Le antiche pietre nella conservazione
di fossili sonori, nutrono la silente
materia di fresche voci.

 

Godiamo dell’alba e del silenzio.
I sensi appisolati al crescere del giorno.
L’ambulanza corre nella sua perseveranza.
I merli spariscono tra le foglie della magnolia.

 

Il sole sale e il giorno e si fa giallo.
La gomma dei pneumatici consuma l’asfalto.
I nostri corpi corrosi tra la ruggine di ricordi.

 

*

Cose vive

COSE VIVE

 
Nella casa colonica, in cucina,
troneggia l’ombra del grande focolare.  
Intanto che il catino lamenta un vuoto incolmabile
l’acquaio gorgoglia, disturbando il rame delle brocche.
 
La madia sognando la fragranza del pane
trabocca briciole di ricordi.
Più in là, pignatta e paiolo, conversano amabilmente.
E’ un parlottare fitto, di farine gialle come il sole
e di calda polenta.
 
Dalle finestre aperte un vento di tramontana,
scuote i rami ai ganci appesi.
Traballanti piatti di ceramica, incuriositi,
fanno capolino dalla piattèa.
 
Sedie impagliate senza corpi seduti,
si stringono attorno al grande tavolo di castagno,
orfano, della tovaglia a quadri.
 
Da quando  i contadini hanno abbandonato
terra e dimora: le note stonate dei tarli
 rosicchiano ininterrottamente i minuti.
 
La grande casa ha orecchie d’elefante.
Tra le spesse mura, le cose, narrano:
fantastiche storie che sciolgono solitudini.
 
Sul pavimento di mattoni rosso
passeggiano calde ombre di ricordi.

*

Un tavolo

 

Da poco nel soggiorno c’è un secondo tavolo
di truciolato bianco
che male si addice ai mobili di rovere.

...

Un tavolo accogliente in tutta la sua lunghezza.
Al centro di esso si adagia un computer nero
che il lungo quadrupede sorregge con materna dolcezza.

 

Sul lato destro, si staglia il silenzio dei fogli bianchi
che si alterna al cicaleccio dei volumi comodamente
sdraiati sul lato sinistro. La curiosità del tavolo è singolare.

 

Quando le dita battono sulla tastiera
la concentrazione si spalma sul piano.
Ogni cosa tace. Si percepisce l’attenzione
del tavolo, che cattura ogni parola che guizza fuori
e a volte ci strizza l’ occhio.

Serenella Menichetti

*

Paesaggio Cosmico

PAESAGGIO COSMICO. Dall'osservazione di un quadro.

 

Tra stuoli di molecole
e roteare d’atomi
Vibra il cosmo....
Una cascata d’anime
Freme.
Brilla.
Cambia rotta.

 

In questo teatro di galassie
Dove campi quantici e spazio interstellare
fluttuano
Particelle onde quark
archetipi della forma
intrecciano danze.

 

La pupilla si delizia,
nel blu profondo s’immerge.
Una danza atomica
dalle pulsazioni cromatiche
sulla scena dilaga
Colore è cadenza di luce.

 

Si turba e palpita l’anima
allorché nella veste scarlatta
L’etoile Antares si mostra.

 

E’ silenzio d’organza.
Contemplazione.
Finché.
Sciame di fotoni
esplode.

Serenella Menichetti

*

Uscita/Rientro



Si è lasciata sul letto.
Gambe penzoloni e braccia a croce.
Sta così a guardare il soffitto.
Ha chiuso la camera da letto per non disturbarsi.
...
Ha indossato il cappotto rosso ed il cappello.
All'attaccapanni di Magritte
è rimasto solo l'ombrello nero.
Fuori il sole è troppo giallo.

Passi svogliati tra gli alberi del viale
che conducono alla grande casa.
Ti trovo bene le ha detto Eleanor.
Guillerme le ha strizzato l’occhio.

Si è fermata ad accarezzare il gatto persiano
acciambellato sul cuscino
Non l’avesse mai fatto!
Le ha graffiato la mano e le ha soffiato in viso.

Sorrisi di rossetti sbavati lasciati
sui bordi delle tazzine di porcellana.
Ha stretto mani sorseggiato thè

Ha pure gorgheggiato una serie di risatine
alle battute stantie che zampillavano
dalle boccucce di rosa.

Fatto quanto bastava
dopo i saluti si è difilata.
Ha appeso le maschere accanto
all'ombrello.
Appoggiato le scarpe nella scarpiera.

E oplà !
Con un balzo è rientrata
nel suo corpo.

Serenella Menichetti

*

Viaggio



Al congiungersi delle palpebre
Si apre il sipario
Sul palcoscenico del buio:...
Una moltitudine di appezzamenti quasi vuoti.
Cammina con il flusso del fiume.

Non possiamo scendere dal treno
La nostra fermata non è contemplata.
E noi non ci siamo.

Ci riconosciamo nei frammenti di cielo
di un paesaggio inesistente.
Frughiamo nelle tasche per palpare certezze
La località scritta sul biglietto è sconosciuta.
Eppure è la nostra.

Caroline scartabella il vocabolario
Alla ricerca del senso
Lo richiude per osservare dal finestrino i campi vuoti.
La borsetta fucsia cade a terra.

Un rossetto rotola fino al pettine di tartaruga.
Si ferma.
Lo specchietto in mille pezzi rimane attaccato alla cornice.
Il treno continua la corsa.
Non ci sono fermate dove scendere
né altre case da abitare.

Serenella Menichetti
 
 
 

*

Verso i canali dell’alba

 

In attesa di notizie ci spostiamo faticosamente da un’ora all’altra.
Ieri ho saltato le ore come gli ostacoli di una staffetta.
Tra un ostacolo e l’altro ho investito gli attimi.
 
Attraversiamo fiumi ed autostrade senza poter tornare indietro.
Solo i ponti della mente ci permettono il ritorno.
Ci fermiamo davanti ad un cioccolato con panna.
Un orologio sulla parete vicino alla pubblicità della Coca Cola
ci aggiorna costantemente sulla corsa.
 
Le parole del libro di Tomas ci spingono dentro al tramonto.
Mentre i nostri sogni sotto le coperte centellinano secondi
sul comodino“La lugubre gondola” si avvia verso i canali dell’alba.
 
La tovaglia della nostra colazione è piena degli attimi
della torta che ti ho preparato. Non sprechiamoli.
Il pettirosso del mattino sarà felice di beccarli.
 
Serenella Menichetti

*

Ci sono palazzi

CI SONO PALAZZI 

Ci sono palazzi che di notte vengono a catturarci.
Tentiamo di salire al piano, dove nessuno ci aspetta.
L’ascensore si mostra privo di basi.
Nell’anima della vecchia radio ha fatto il nido la solitudine.

 

Sul terrazzo, la gabbia spalancata dei pappagalli. 
Nella camera i fiori appassiti della poltrona.
In fila sul comò, volti di ogni epoca, sgomitolano la storia. 
C’è una gatta cieca, su una sedia impagliata
davanti ad un frigorifero sbrinato.

 

Di giorno il palazzo resta immobile.
Tutto sembra regolare.
Ad altri piani, i suoni tagliano la gola al silenzio.
Fuori le farfalle volano i colori dell’aurora.
Al quarto piano il tarlo dell’assenza non si stanca di rosicchiare.
Un pezzo dei nostri cuori è diventato polvere.

 

Serenella Menichetti.


*

L’anima

 

Restava ben poco del salottino giapponese
Solo occhi che già l’avevano accarezzato
potevano notare la fine dell’ala del pavone...
che un tempo, dominava la scena,sulla parete centrale.
Di lui non rimaneva altro. Eppure non era morto.
Blanche lo sapeva bene.

 

A volte Blanche vedeva passare, la gheisha.
Certo era un’ombra, ma Blanche la riconosceva
dalla fragranza di cedro e muschio che si sprigionava
nella stanza. Il suo passaggio era.

-Lo so che ci sei- le diceva mentalmente.

 

Purtroppo non è rimasto niente del salottino
disse la guida ai turisti, che si affacciavano sulla stanza vuota
poi se ne andavano in altre direzioni.

Blanche non era d’accordo. Lei sapeva bene che non era vero.
Avrebbe voluto che i turisti entrassero nella stanza,
magari uno per volta. Era sicura che avrebbero compreso
che il salottino non era vuoto come l’occhio percepiva.

 

Non poteva farlo. No, che non avesse tentato. Anzi…
Certo dopo che le avevano dato più volte della pazza
aveva dovuto rinunciare. -Non sanno ciò si perdono-
si diceva spesso. Allora si consolava.


Serenella Menichetti

*

Virginia

· 3 h

Il caseggiato grigio gronda indifferenza.
La scorgi nella nudità dei vetri delle finestre.
Nel pergolato d’uva fragola e sulla panchina. ...
Il buio si posa sui muri corrosi e scivola nel prato incolto.
Per non ascoltare le sirene Virginia si è tappata le orecchie.
Troppo breve l’amore. Le lenzuola ad una sola piazza.
I cocci delle tazzine riparate con l’attak.
Il vaso di cristallo vuoto. Volano basso le penne dell’oca sgozzata.

 

Il sipario si è chiuso. Per terra, il suo abito da Pierrot calpestato.
Un traffico maledetto le impedisce di arrivare in tempo.
Non ce la farà a dare aria alle stanze.
Né a togliere quella stramaledetta muffa.
Rimane sul marciapiede a guardare tutte quelle ruote muoversi.
Tutti quei clacson.
Il cancello cigola. La ruggine entra nelle ossa e nei tendini.

 

Il cappello bianco con la piuma blu sull'erba.
I guanti di pizzo bianchi impigliati nei rami spinosi
di rose appassite.
La puntina del grammofono, produce un suono discorde.

 

La bellezza spesso non vuole farsi riconoscere,
si nasconde tra i rovi, a volte si mimetizza nel fango.
Nel giardino il vuoto e il silenzio giocano a nascondino.
A volte l’uno entra nell’altro. La loro è una danza quieta, a volte macabra.
Si prendono a braccetto e salgono le scale.

 

Oggi Virginia ha spento tutte le luci. Le gocce di cristallo sono opache.L’assenza abita ogni pertugio.
Eppure l’urlo dei ricordi spegne ogni molecola di silenzio.
Lei non può sedersi, tutte le sedie della casa sono occupate da ombre piene di vuoto.

S.M.

 

*

Il divano a righe

IL DIVANO A RIGHE

Sono stati i parenti a trovarla.
Adesso è Il divano a righe
a trattenere il corpo.

...

Sono trascorsi ben sei giorni
da quando il tempo l’ha espulsa
dalla sua corsa.
Se fosse uscita sarebbe accaduto
al parco.
Sulla sua panchina, quella a destra
della magnolia.
Vicino a lei la busta di latte scremato
comprata al bar dell’Ortensia.
Sarebbe forse potuto accadere,
anche sul prato.
Poco più in là dalla mano sinistra
un rivolo di latte scorrerebbe
nel verde, fino a convogliarsi
in una piccola pozza candida.
Quelli dal passo veloce
non se ne sarebbero accorti.
Emilia invece avrebbe sicuramente
chiamato un’ambulanza.

-Al telefono non rispondeva- giustifica la figlia,
-davo per scontato fosse al parco.-
Nemmeno l’Ortensia, con la testa sempre
fra tazze, tazzine Cappuccini e caffè
non né aveva notato l’assenza.

 

Sono stati i parenti a trovarla.
Adesso è Il divano a righe
a trattenere il corpo.

 

Il macellaio è convinto
che avrebbe potuto salvarsi.
La parrucchiera denuncia la solitudine.
Il postino dà la colpa all’indifferenza.
La figlia con loro, è invece assai
clemente.
Lei sembra avere le idee chiare
sul colpevole.
Telefona alle pompe funebri .
Dopo, fra una lacrima e l’altra
accusa il destino.

Serenella Menichetti.

*

Noi collezionisti di niente

 

Aveva pavimenti di mattone consumato, la nostra casa.
Una poltiglia di rosso, sudore e cera, colmava buchi e... avallamenti.
-Vedi come brillano?- Mi mostravi asciugandoti la fronte-
Nei tuoi occhi pervinca risplendevano stelle.
Un acquaio di pietra grigia.
La madia di legno scuro.
Il grande desco di marmo.
Il forno invaso da aromi
Una nonna con la testa interamente coperta da una pezzola scura,
quieta spalmava panna di latte su pane fresco.
Un magico gatto tigrato, di giorno, acciambellato
su una sedia impagliata attendeva il tramonto,
per aprire con la grossa zampa il chiavistello,
raggiungere la notte e divorare il buio con il giallo
degli occhi. La morte di nonna l’aveva fatto sparire.
Sono certa che conoscesse la strada per il Paradiso.
Ognuno prende la propria strada.
Ancora si illuminano i tuoi occhi guardando
l’immagine di carta che mi rimpiazza.
Ti sei sempre accontentata di poco, mamma.
La felicità la trovavi in quella piccola
area della tua anima coltivata a fiori di campo.
Noi che amiamo il collezionismo
cerchiamo in altri luoghi, con altri mezzi.
Lasciamo che l’erba cresca alta e i rovi
soffochino il terreno dell’essenza.
Anche gli specchi di ogni foggia e misura
sono innumerevoli.
E se rifletto la mia immagine, io non ti trovo.

 

Serenella Menichetti

*

La piazza

 

Sta lì, immobile.
Non vicino alla circonferenza.
Proprio nel centro....
Si guarda intorno, senza vedere.
Canticchia tra sé e sé il ritornello di una canzone
d'epoca indefinita.
Nessun movimento.
Solo le pupille ogni tanto si muovono.
Il signore con il cane le gira attorno senza accorgersi
della sua presenza.
La signora con la veletta e le guance incipriate a passi lenti lo segue.
Emilie con la sua borsa colma di frutta fresca, in maggioranza
pesche nettarine, acquistata alla bancarella di Mary, la sfiora.
Carolina si ferma a guardare i conigli nani.
L’orologio del campanile segna le dodici e quaranta.
Niente zucchero filato dice Patty a Jennyfer.
Vociare di bambine con la collana di nocciole al collo.
Lei, sempre lì, immobile.
Elsa legge un messaggio sul cellulare e sorride.
Il campanile non ha orologio.

Serenella Menichetti.

*

Avrei voluto un caleidoscopio

 

La succulenta ha partorito straordinari fiori.
Ci conoscemmo al mare.
-Per favore ha un cerino?- Mi dicesti.

Ti accesi una sigaretta....
Frammenti di cielo, di sole, di mare, si staccavano e si univano.
Stamani ho trovato per terra, mozziconi neri, di fiori spenti.
Le donne avevano il compito di tenere il fuoco acceso.
A volte gli elementi si esauriscono.
-Vedrai per il tuo compleanno troverai una sorpresa!-

Disse papà.
Vivere nell’attesa, non è il massimo.
Per strada e nelle piazze si possono fare incontri deludenti.
Ersilia ha pelle di tartaruga. Nei buchi laterali del volto,
intermittenti lucine scure, si accendono e si spengono.
Ha mani piccole e vuote che hanno cessato di aspettare.

Serenella Menichetti.

*

Il ragazzo che ascoltava i Coldplay

 

“Mi vedo sgretolare e cadere di faccia”...
“Vedo tutto scomparire senza lasciare traccia”
La tua musica ha parole distanti.
Mille miglia lontane da chi il senso ha trovato
percorrendo una strada di valori asfaltata.

 

Ma si fanno vicine se dal Giuda di turno
per pochi denari tu vieni venduto.
Diventando lo schiavo di un regime spietato.

 

E si fa boomerang, la tua mano tesa
verso chi tra i flutti dell’oppressione annega.
Fino a colpirti: una, mille volte, fino a morte.

 

Troppi volevano vestirti di una storia non tua
di un tessuto di sesso di un tessuto di droga
Poi la lampo bloccare per chiudere in fretta.

 

E c’era chi eclissava la coscienza
e rimaneva muto per proprio tornaconto.
Ma chi t'amava veli tolse ai finti ciechi
e sbranò brandelli di palpebre.

 

Per restituirti l’abito di sempre:
quello chiaro, come un cielo senza nubi.

Serenella Menichetti

 
 
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*

Liberazione

 

 

Nell’attesa che l’angoscia si sciolga
indossi maschere da pagliaccio.
I larghi sorrisi non celano l’affanno
del respiro.

Al lume della luna, il fantasma, il sogno
spegne.
Si accende pure al grigiore dell’anima
lo sguardo, quando su me posa.

Non c’ero quando hai gettato i sorrisi.
Del tuo volto oggi che la falce: di sofferenza
lunga catena ha spezzato, mostri distesi lineamenti.
Ed io ti ritrovo
così vero, così libero, così bello.

Serenella

 

*

Tempo interno

 

 

Il maestrale sbatte
sullo scoglio dell'anima:
pezzi di tempo accaduto,
lembi strappati a tempi scaduti.
Volti color seppia dai lineamenti liquefatti. 
Lacerate icone, intrise di liquido obsoleto.
La loro retorica è colla che congiunge
all'esterno accadere. 
Odori e sapori a volte provocano la scintilla 
che rivela.
Due tempi, scorrono su binari di luce e buio.
Intanto che uno perde forma 
e all'essenza si somma
 il viaggio scivola verso quel nulla
senza frontiere. 
L’immagine va oltre sé stessa e la memoria
nell'ignoto s’annega.

Serenella Menichetti

*

Forse sono un gatto grigio

 

Non so se sotto questa nebbia grigia ci sia
un paesaggio, oppure no.
Piccole ombre grigie camminano carponi....
Assenza di umane voci.

 

Un flebile lugubre miagolio.
Processione di gatti lentamente sfila.
Sono forse più di cento o di mille.
Troppa spessa la nebbia per contare.

 

In un tempo senza quantità.
In luogo senza identità.
Guardo Immobile l’ultimo gatto passare.
Forse anch'io, sono uno di quei gatti grigi,
uscito dalla processione.
Non ricordo quando.

 

Assenza di rumori.
Assenza di gatti.
Tutti inghiottiti da un buco nero.
Una solitudine senza colore né spessore
mi fa compagnia.

 

Guardo senza vedere
Ascolto senza sentire
senza emozioni:
la sinfonia del nulla.

Serenella Menichetti

*

Madre altra

 

MADRE ALTRA...

Nello sfiatare di memorie si dilatano gli orologi.
Lentamente le lancette s’incamminano
in circolare andirivieni di apri e chiudi.
Nell’onirico e reale divenire:
La storia si ripete- si ripete la storia.

 

Sottile il filo che vita e morte lega.
Lo sa bene l’albero di melograno
da stille di sangue di Dioniso sbocciato.
L’Attrazione degli opposti desta
l’energia distruttiva della tigre.

 

Intricati fili di potere, con mani grondanti
sangue tessono: maledette trame
In disfatti nidi, rondini madri tremano.
Stringono sotto l’ala rondinini.

 

Una Madre partorisce su un barcone.
Delle madri la Madre accarezza
del figlio morente il volto.
Un’altra straziata piange del suo la morte!
In guerra dilaniato, da una madre altra.

Serenella.

*

Prodotto d’epoca

 

Prodotto d'epoca.

Metamorfosi di nulla.
In dedalo di comode strade eclissato.
Evi ta re ne ga ti vi tà
Du ri mon di evi ta re.
Insoddisfazione t’inonda dolente dannandoti.
In penuria di movimento d’arto
né raccogli luce al firmamento.
Né senza scontro, battaglie superare.

 

Succhiare nettare.
Caparbiamente aggrappato al lato
edulcorato della vita.
Accovacciato in grembo a prostrati
ignari genitori.
Né folgore ti scuote dell’opposti.
Né incorporeo colore.

 

Mollemente adagiato su cuscini di seta e fallimento:
ti crogioli in brodo tiepido di niente.
Ingenuo attendi indolente spighe fantasma
da seme di grano, in campo di miraggi, seminato

 

In assenza di totale colpa.
A colpa d’epoca, colpevole:
da capo impantanato in putrefatto pantano.

Serenella Menichetti.

 

 

*

Volle amare quel giorno

 

 

Vestita di giallo.
Volle amare quel giorno.
Volle amare nonostante le alghe ghermissero i piedi.
Nel ghetto degli incoscienti ingabbiata.
Cercava pane e gherigli, stretta in ghette d'abbagli.
Trovò streghe e incantesimi.
Ghepardi balordi giocano a dadi in un prato bugiardo
Volute di nebbia: mostri arcaici celano.
Sotto sabbia, assenza d’aria uccide neuroni.

 

Volle amare, senza ritorno, in un giallo giorno di giugno.

 

Un gatto bianco, dagli occhi di vetro,
ucciso da auto impazzita.
Migliaia d’uomini ancora tra i flutti periti.
La moltitudine di attentati che replica il gene.
La morte roboante che dal cielo diluvia.
Intenzione di sordi decessi, nell’aria svolazza.
In un prato, arsa viva, donna di giallo vestita.
Dal vento investita, in alto vola una cenere nera.

 

Volle amare, senza ritorno, in un giallo giorno di giugno.

 

A terra, tra spighe di grano
osservano il cielo:
papaveri rossi .
commossi.

Serenella Menichetti.

*

Dedicata

 

 

A scolpire nome plurale
duali suoni....
ANNA!

 

Anna: donna d'acciaio da fuoco forgiata.
Aquila dalle ampie ali che in alto vola.
Cavalla a briglia sciolta che contro vento trotta.
Leonessa madre che allontana e sbrana.

 

Anna: donna di sole e ghiaccio.
Popolana e regina, amica e amante.
Fata e strega, santa e baccante!

Anna che sussurra e grida.
Anna che resta, Anna che fugge.
Anna che ama ed odia.
Anna che si dispera.
Anna la lottatrice.
Anna la chimera.

 

Anna la fenice!
Anna che muore, che risorge e ancora muore.
Anna che rinasce a nuova vita.
Sempre più forte!
Anna demiurgo
Donna che la morte sfida.
Il suo motto:
"Post fata resurgo"

 

Anna:
Oggi più che mai viva!
Nannaré- Tivedo,
ti sento, ti tocco!

 

Sei qui:
appresso a me!

 

Serenella Menichetti.

*

La regina è nuda

LA REGINA E' NUDA.

Niente gabbiani né tramonti adamantini
nel plumbeo cielo.
Sospesi sopra un mare di pece:...
spelacchiati corvi neri.
Dal ventre sterile della terra
s’alzano flebili lamenti.
Tutto ammorbato e infetto intorno.
Tronchi d’ulivo cupi e anchilosati, piegati
su se stessi come vecchi artritici.
Con il gelo nel cuore:
ascolti i rantoli delle stremate palme.

 

Mentre coaguli d’angoscia ti ostruiscono le vene
Il lugubre rintocco della campana del silenzio
batte i suoi colpi.
-La morte si è infiltrata ovunque- mi racconti.
-La senti, è lei che ulula.
Adesso la fa da padrona –

-

-Vecchio, tu stai delirando-rispondo
-Non voglio ascoltare le tue fandonie-
Concludo.
Mi copro le orecchie con le mani e fuggo.
Mi fermo, quando la tua sagoma rimane
ai miei occhi, solo un minuscolo bruscolo nero
che non c’è verso di scacciare.

 

Vado alla ricerca di farfalle,
e gabbiani.
Niente, non riesco a trovare più niente
di ciò che c’era prima.
I lunghi tentacoli della piovra che avviluppano
la vita, cercano di spegnere il mio canto.
La campana del silenzio continua a muovere
il suo batacchio con sordi rintocchi di morte.

 

Sfinita, delusa mi addormento.

Un risveglio senza gabbiani,
un foglio accartocciato.
Una poesia
scabra.
Né trucchi
né orpelli.

 

La regina è nuda.

Serenella.

*

Anche l’albero sa dell’attesa

 

Al cadere delle foglie
tra scricchiolanti grida
un grumo di melanconia 
attacca il tronco.

 

Tra l'indifferenza del vento.
Con sforzo di radici s' aggrappa
alla terra.
Sotto una spessa scorza 
nasconde un vuoto di solitudine.

 

Esso ha consapevolezza 
dell'incontro con il ponte di gelo.
Passaggio obbligato.

 

Conosce il segreto dell'attesa.
Sa che tutti i punti della circonferenza
sono la sua dimora.

 

Di lei si nutre:
per raggiungere il fiore di pesco.

Serenella Menichetti

*

Il mio nome è Valeria

IL MIO NOME E' VALERIA “ Quaderno Proibito di Alba De Céspedes”

Fugace nome.
Vulnerabile.
Leggero....
Velo senza mollette al filo steso.
Caduca corolla di soffione
al vento esposta.

Nel flusso del tempo
numerosi nomi comuni
mi percorrono
Il primo: Bambina
Rosa veste del primo vagito
in virtù della vagina.
Bambina di......

Poi la successione:
Moglie di.....
Mamma di....
Impiegata di.....

Tra le righe, delle bianche pagine di quaderno
Copertina nera come il peccato
In cui segreti mi narro.
Cerco il mio nome.
Quello vero d'individuo.

Da padrona lo indosso
Abbiglio l'anima di lui.
Nel percorso del mio narrare
Da coppa di puro cristallo
degusto la mia unicità
Un sorso per riga.

Finché ebbra
distruggo tutto in un falò.
Onde evitare dell'incomprensione
la cicuta amara.

Serenella

*

Agonia della luna

AGONIA DELLA LUNA.

E' morto il guardiano del faro.
Cento coltellate nel costato.
Sventrato giace sullo scoglio dell'isola che non c'è...
Il vento di levante scompiglia l'anima.
Piange Selene.
Cadono migliaia di gocce di luce.
Solo pietre di ghiaccio.

 

Pirati bevono wisky e brindano al grande buio.
Vascelli fantasma cavalcano onde di morte.
Colature di vernice nera sulla “notte stellata”
"La selva" più non si rischiara.
La perfezione del cerchio è in difetto.
E voi che l'avete stuprato possiate cadere
dentro le viscere della terra.
Ch'essa divenga la vostra fossa comune.

 

Ad Oriente
Fuoco sugli ospedali dei bambini. 
Nei vicoli.
Nei quartieri.
Sulle scuole.
Nei giorni macchiati di odio
Nelle vesti zuppe di sangue della notte.
Impallidisce la tua luce Luna!
Noi
morti viventi sbattiamo da ogni parte.

 

Allorquando
l'innocente giglio ti feconderà
di sperma candido.
Tornerai perla lucente.
Noi
dall'utero della terra
risorgeremo
In un mondo
non ancora accaduto.

Serenella Menichetti.

*

Trasformazione

TRASFORMAZIONE

Una rivoluzione temporale sventra l'orologio cosmico
la terra cambia il suo giro.
Si srotola la spirale del tuo DNA. ...
Energia migra in altra dimensione.
La materia imputridisce
tra le macerie di un mondo marcio.
La tua identità cade nel vortice
di un tempo sospeso.
Chi sei?
Chi sarai?
Energia senza volto che non si materializza
in attesa di abitare corpo nuovo.
Ciò è forse la fine?
Oppure l'inizio?

 

Serenella.

*

Quando scrivo

Quando scrivo.
 
Quando scrivo apro la porta di un sogno.
Entro in punta di piedi, dopo inizio a camminare
speditamente.
“No, non hai capito non è propriamente un sogno
certo, gli assomiglia.
“E' una situazione quasi paranormale”
No, non posso uscire per accendere il gas.
Lavare l'insalata.
Scaldare il sugo.
Anche se quel sugo alle vongole è delizioso.”
“Quando sono nel mio sogno, penso ad altro.
La cucina è talmente lontana.
Si, anche tu sei distante.
Anzi ad essere sincera non ci sei proprio.
Neppure io ci sono.
E non c'è nemmeno la nostra casa.
Addirittura non c'è questo piccolo studio
dove mi ostino a battere lettere, costruire parole,
edificare concetti, innalzare universi.
Partorisco personaggi che non ho mai visto
Vengono alla luce, così: come le nostre figlie.
E devo dargli un nome, un vestito e pure cibo.”
“Ti ricordi quanto era carina la mise del battesimo
di Giulia?
Bisso bianco, smerlato di rosso.”
“Io sono la madre, quella che non compare sulla scena.
Ma ci sono, esisto.
Comunque se hai proprio fame, scongela il sugo
e fatti un piatto di pasta.
Io devo assentarmi.”
Quanto?
Non posso saperlo, non voglio saperlo.
Nel mio sogno, il tempo, non è contemplato.
Solitamente: prima di entrare, appoggio
la zavorra delle ore, fuori dalla stanza.”
 
Serenella.

*

Viaggio altro

VIAGGIO ALTRO.

Il treno scivola sulle rotaie.
Urge raggiungere l'oscura meta che mi abita.
La sento nello stridio delle ossa ...
e nell'intenso pulsare delle vene

 

Avvolta nel lucore lattiginoso d'una luna ammalata
M'inoltro nelle fosche gallerie del mistero
Dove il tempo degli orologi molli si dilata.
La memoria schizza dalle vene indurite coaguli.
La verità dell'istante nuota in una melma viscosa.

 

Volti dai sorrisi mozzati a rami appesi.
Croci annerite e lorde di sangue.
Da corpi violati si alza esplosione di singulti.
In fondo dove il nero s'incupisce:
mucchi d'involucri d'organi sguarniti.

 

Uomini senza tempo danzano
intorno ad un fuoco dove la vittima arde
con sfrigolio di carne bruciata.
Odore animale ammorba il tempo.

In macabro rituale 
uomini scambiano calici di sangue.

 

La corruzione posa auree corone
sui capelli tinteggiati dell'orrore.

Sui rami più alti di una sequoia:
le ossa del collo infrante,
dondola il corpo pallido dell'umanità
impiccato da un boia senza tempo.

 

Collassati: i miei perché si estinguono.
Non Serena.

*

Nulla

La voce rauca esce dall'abisso
in lettere sconnesse.
Troppi i buchi vuoti da colmare.
Le sordide nuvole:
sono così dense e nere.
Non riesco più a vedere gli astri.
Il dolore graffia la gola.
La verità è grumo di sangue
che ottura le vene.
Si è frantumato il mythos.
Sceso a terra tra la polvere.
Calpestato da piedi troppo grandi, geme.
Si dibatte tra le fauci del nulla.

Serenella

*

Incorniciata in un quadro di Magritte

 

L'intonaco danneggiato evidenzia il grigio.
Spegne le luci della ribalta.
La mancanza di colore ti cola addosso. ...
Ti spinge sulla sedia di un cinema di periferia:
Immagini in bianco e nero scorrono.
Volti antichi senza effetti speciali passano.
A tratti una torcia trafigge gli occhi
Il volto di Anna Magnani è maschera d'angoscia.
Che colpisce la bocca dello stomaco.
L'immobilità delle persone sedute
ti fanno sentire intrappolata
in un quadro di Magritte.
-Preferisco Dalì!- Vorresti gridare.
Vorresti muoverti- vorresti uscire.
Con gambe di piombo
rimani in un'immobilità senza confini.
Sospesa.
Lo spazio- il tempo- la vita
si annullano fino a scomparire.
Resti incorniciata.
Appesa ad una parete.
Di una stanza senza finestre.
Serenella Menichetti

*

In giro

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