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Raccolta di poesie di Filippo Di Lella
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Le grandi storie d’amore

Ogni storia romantica
è una casa che ci piove dentro,
un colabrodo di pianti e rimpianti,
con le sue grida e i suoi fiori,
i suoi caffè al gusto di ti amo non detti
-o rimasticati-
e ci si bacia sempre
nei lenzuoli della notte,
tra vicoli e lampioni,
sullo sgocciolare del cuore,
come riflessi in un copione
di nuvole di cristallo
e tramonti di nulla,
in pacifica danza coi gas di scarico.

E bruciamo la vita
in denaro contante,
col prossimo treno da perdere
e una cartolina d'amore tra le dita,
leggiadri sulla superficie dell'abisso.

*

Mestizia

Mi sono svegliato stamattina e ottobre gocciolava dal soffitto.
Era di nuvole maestose e piogge itteriche, era di un sole stanco che colava giù dai pioppi.
Era un parco vuoto, d'acqua tra le foglie, era di una panchina abbandonata.
E c'era uno stendino che giaceva nella sua solitudine, sdraiato.

Poi ho fatto il caffè, ed era un caffè da ottobre, caldo, forte.
Era tutto più lento, e forse pesava di più.
Forse denunciava aromi da decompressione, o smarrimenti; non saprei.
Mi sarei voluto dissolvere con leggerezza di sakura al vento.

La mia umanità mi ha poi chiamato e non ho saputo dire niente.
Era nostalgica e fiammante, era rosolio e gin. Ma non era che una brezza.
Tra i vetri sporchi ho visto il viso della morte ed era il mio, e aveva mille volti.
E tra mille pendolari, ognuno aveva il viso della morte -e ognuno era il mio.

*

Fiori di sangue

Ricomincia, dunque,
Danza delle stagioni!

Afferra con dita di ghiaccio,
Stringi il nostro cuore,
Facci grondare pioggia e candore
Da un sempre più tiepido cielo.


Caro anno,
Sei di nuovo in ritardo al tuo funerale.
Cicla e ricicla
Il fiorire dei ciclamini di sangue.


Appassisci nuovi inverni,
Ondeggia assieme al mare.


Ricomincia da lì,
Dove avevi lasciato,
Riparti a folle corsa
Nella rivoluzione del mondo
-affrettati!

*

Pastorale natalizia

Liberaci Signore
Dall'idea del paradiso,
Della purezza,
Del peccato.

Liberaci Signore
Dal dubbio,
Quello che si sa è incertezza
E autobomba.

Liberaci Signore
Da Dio,
Dal Nemico,
Dal premio Nobel.

Dalla ragione e dal contrario di tutto,
Dalle vecchie coperte, dalle pulci,
Dalla tv a cinquemila canali.

Liberaci oh Signore
Dai ricchi, ti prego,
Dai banchieri,
Dagli aguzzi denti del potere.

Liberaci Signore,
Affrancaci dal peso della vita,
Dal contrapporsi di odio e felicità,
Da tutte queste rose, da tutte queste lune.

Oh Signore mio,
Insegna la civiltà a suon di bombe,
Fai sentire il tuo rancore,
Distruggi tutti i profeti e i giusti e gli altri.

Lasciaci, Signore,
Come bimbi stupiti davanti al mondo nuovo
Senza più templi, né ministri,
Lasciaci ridere ancora un po'
Dei riflettori accesi
Sui posti vuoti
Di questo immenso teatro,
Di lucette intermittenti e neve scolorita,
Dei cuori candeggiati.

Assediati dal freddo, Signore,
Assiderati da banalità,
Persi.

Persi nel mediocre, nell'osceno,
Vaganti in nuvole di Hemingway,
Labbra di Esenin,
Persi e soffocati da un mare di fogliame
Sotto il rumore
D'una Venere che piove giù dal cielo,
Una Callisto trafitta,
Il cigolare d'un tram.

Dacci oggi il nostro rancore quotidiano
Vendica tutti i peccati
Come noi schiacciamo i nostri debitori,
E non ci indurre in tirannia
Ma appendili a testa sotto,
Liberaci dal male,
Dacci oggi nuova fame, ancora voglie,
Mille e mille sudori freddi,
Così in cielo
Così in piazza.

Liberaci dai verecondi,
Dai paraculi,
Salvaci Signore
Da chi disserta a piene mani di famiglia tradizionale
E affonda i piedi nel fango di una statale,
Da chi si lava solo a messa ed è tutto a posto,
Da chi si salva e si è salvato,
Dai Pilato,
Dai Cesari Augusti,
Redimici da noi stessi, tu
Creatore
Ché hai fatto anche il male
-e diranno ha fatto anche cose b...-.


Così in cielo
Così in piazza.

Così...
La terra.

Così...
Il Natale.

*

Poco ci manca

Si veste di nuova dignità
Reclama ancora amore:
Che atto brutale,
In sé,
La bellezza.

Crudele
Vuota
Meraviglia
Che muore con il rosso d'autunno
E risorge daccapo
Con il rinverdire d'estate:
Metafora d'un Cristo necessario
A preservare statu quo nunc.

Rosso, dicevamo.
E fermo come la terra da cui nasce
E tira sangue.
Rosso per annegare un po'.

Verde, si alludeva.
Negli occhi di mia madre
E nei suoi stanchi
Stanchi sospiri di vedova.

Nei suoi
Si vedrà...

Quanto disgusto, il sottotesto.
Languida si scrive la parola
Grondante fluido sessuale,
E invece...

Reclama ancora dignità,
La vita,
Novembre!
-Novembre...

E ancora e ancora
E scorderò il tuo nome
E nuova
Terribile
Bellezza in questa valle di lacrime.

Se non è questo
Il peggiore dei mondi
-fiorirà.

*

E i pinguini non vi guardano nemmeno.

Due belle ragazze nel metrò
Tagliano baci e carezze con sorrisi di ghiaccio
Come cesoie dai loro sguardi prigionieri
Genuflessi alla logica del rimmel,
I tacchi dodici centimetri di mondo,
Le gonne dieci centimetri di nulla palpabile.

Eppure
Due belle ragazze nel metrò fissano
Uno stallone latino che suda
Brillantina,
Pezzi di vetro sparsi,
Fondi di bottiglie,
Occhiaie e sensi di colpa,
Così bello nei suoi denti come nei suoi desideri
Rinchiusi in camicia di marca e profumo.

Eppure
Tre così belle persone del metrò guardano esterrefatte
Un tizio col vinaccio che canta canzonacce e maledice il messia,
Scalzo,
Zingaro e con una rosa al posto del cuore, bello di vita,
Virus del quotidiano niente accerchiato dagli accessori,
Dal pane,
Dall'incubo di padri e madri minati nel loro essere servili,
Abituati alla costante delusione del possesso.

Eppure,
Spensierati e beati traditori silenti del loro culto,
Schiere di bellissimi ragazzi
Continuano a perdersi in dedali d'apparenza,
Scomunicati sconsacratori di doni disperati,
Magnifici ammassi di vuoto e abbondanza sulle copertine che scandiscono i loro brevi,
Brevi tempi riflessi di maturità posticipate o mai poste in essere.

Ecco i nuovi tempi:
Belli, sconci e di virtù negata dall'abiezione;
Così vi premiano, padre e madre, per il vostro lassismo,
Né onore né riguardo, i tempi che intercorreste sordi a ogni richiamo dell'animo.

Scrivete dunque poesie
E i pinguini non vi guardano nemmeno.

*

Errata traiettoria

Muoversi -sempre muoversi-
in punta di piedi dall'angolo del cuore
se, come la tosse scuote i petti,
ospite della felicità altrui,
il singhiozzo commosso
muove musica nuova
spietata e trafitta
dall'eleganza di un sorriso;
scriversi dentro non timeo adversa
per compianta umanità
all'ombra dei pianti,
crocefissi e beati ai piedi del Calvario.

*

Libero mercato

Mostrami la convenienza
oppure portami
una capra.

Leggi bene l'annuncio,
noi ti regaliamo
l'unto.

Sul bavero una spilla,
sulla spilla lo stemma,
sullo stemma la parola.

Acclamate i nuovi giudici!

Festa sui tempi-campi
dei giorni-raccolto,
messi-strage non curano
un orbo.

Petardi e orologi,
santi e prosciutti.

*

Con tutta la mia inutilità

Io
turista della parola
tanto scritta
quanto cantata,
infante acerbo
con sbagli adulti e
duttili incubi da smantellare;
io,
rigo storto nell’opera,
numeratore di un me stesso
frazionato e ingordo
che non alza lo sguardo,
accidioso,
invidioso,
tribuno di un Cesare inesistente,
io,
sovrano di un impero di niente,
così inutile
e immenso;
puoi averlo tu, lo vuoi?
Io… Io
con questo passo adulto che cede il passo
ad un passo bimbo, a quand’era spoglia la carne
e in quei prati sconosciuti e fieri
incontravo gatti, lepri e volpi;
nel lento volteggiare del falchetto
si rivelava il profumo delle corse a venire
e di tutti i fiati come orchestre nel vento,
nelle strade vedevi ragazzi servi,
la lana di calzoni appesi, grembiuli sporchi,
eppure
su quei volti vedevi talvolta la gioia umile
di chi lecca i piatti del padrone per pulirli,
eppure
in quelle strade il calore esule di un cero
oppure giochi rubati al mondo ‘’grande’’ di baci e promesse
e di quei campi percepivi la distesa solida e infinita
della loro solitudine fredda,
talvolta neve,
talvolta sole e nubi
e il suo profumo intatto di cui,
oramai lontano,
il bimbo cerca di rievocare la sua immagine
composta nella compiutezza dell’assieme;
e poi…
Poi il profumo delle patrie mani,
d’olio e vernici, di pietra e polvere
e il profumo sudato di madre,
di pelli amiche,
del freddo,
delle pietre che rompono lucchetti,
il profumo del profumo delle parole che vagavano dalle pagine di un Calvino,
di un Buzzati, di Omero, di Ungaretti
e avrebbe voluto urlare,
senza voce,
muto bimbo con passo adulto,
mentre cedeva il passo al passaggio del tempo ladro,
traballante tavolino di un’osteria chiusa da molto
nei suoi ieri.
Prendi tu,
non è nulla, cara, ecco: prendi,
prendi, prendi tu,
prendi questo nulla immenso e inutile,
piccolo, stupido bagaglio perso ad una stazione
lontana dove avrei voglia di calciare via i treni,
la luna,
il biglietto,
tutti gli zoticoni che si animano
a vedermi steso e i loro ''Poveretto…'',
calcerei via le etichette,
ma che va?

Ubriachi a Parigi,
a Mosca o a Helsinki,
noi…
Annichiliti dai tram
sbrilluccicanti di neon,
io e loro,
fossimo ( almeno ) vento, voleremmo
nel profumo di quelle vite distese nei campi vuoti
dove riecheggia il sapore del niente,
su quelle strade feroci,
pagando il biglietto di quel tram
con l’essere follemente buoni e ciechi
nella selvaggia sconfitta dell’essere uomo.

Io… Te lo dono,
prendi cara,
non è nulla, questo niente,
non è niente, non è niente,
è solo un profumo,
è solo lo spazio tra noi,
aria e passi che vanno via.

*

Sognando gli aquiloni

Fossi (almeno) vento,
volerei.

*

Refugium Peccatorum

Come minzione di luna,
questi raggi azzurri,
pergamene d'argento
nella notte sovrana;
dea morta dal sangue blu,
t'adora un popolo di servitori
avvezzo al possesso,
alla schiavitù morale del bene,
del bello,
guai,
guai a sentire nella nostalgia
le cose non dette, sussurrate appena, guai,
guai a non rispecchiarsi nei tuoi raggi, dea,
o a quelli petulanti e maldestri
della rosa,
gua-a-ai!
Nascosto nell'apice dell'aurora
c'è il segreto semplice,
inetto, del vostro culto:
la morte e la rinascita.
Generazione maledetta
e baciata dagli dèi,
forte delle catene altrui di cui
essa pure sottomessa
si rallegra nel suo odio materno
partorendo, vigliacca e schiava,
dinastie sottomesse e utili
al possesso,
all'ingenuità della sopravvivenza,
fiera di sovrintendere al proprio grigiore ancestrale.

È così che corre la vita,
sotto al gelsomino,
nella dolcezza del ciliegio,
scorre l'odore del fiume
nella sua spuma sulle rocce
cantando una canzone lontana
ed è l'effetto di quel fiume
che riempie d'animi dilaniati
il cuore delle madri.

Nella città
poco più d'un ruscello deviato
si interra nella fiumana dei passi,
si perde macellato dallo stesso scorrere che lo imita in maiuscolo
e invita il mio paese
a stringersi nei tacchi,
ad alzare il braccio,
a correre imbottigliato da un quartiere all'altro,
al rione, ai campanili,
alle case, alle ditte,
ai cimiteri dimenticati
ché tutto accumuna il possesso
foriero d'un messaggio:
abbiate cura d'esser grigi
fino all'ultimo lotto scavato, voi,
figli d'un dio morto
commiserati dal padre
per la mistificazione dei suoi doni,
e voi, adoratori della luna
che accumulate luce riflessa da un sasso,
siate grigi!
Calpestate!

Non fiele, no,
non scorre amaro tra queste dita
che pure folli ebbi da una sorte
folle,
né luppolo, né china,
né nel fegato bagnai le labbra,
amaro come il disappunto,
no,
non fu nemmeno carità,
ché l'unico giudizio che ci resta
è la purezza
ed è ben misera cosa;
fu forse il compianto,
la compassione di me stesso,
piuttosto,
e del riflesso vostro che vedo in me,
sono buono
e mite
e ho più parvenza di piccione
che di sparviero,
io,
che dei doni feci vergogna,
dei miei peccati feci mostri
enormi
sino a sfiorare l'astro che riflette
senza tuttavia mai toccarlo,
chiusi me alle stesse catene
del possesso anche se mai con cupidigia orgogliosa
ma
il vostro riflesso delle catene in me
divorò con forza di titano
il colore spento che portavo
con tenere, ingenue braccia
di bambino
e la dolcezza dei gelsi
sparsa nell'odore sanguigno
sulle morbide dita dell'allora,
dei fui
e dell'inganno fu la mia malinconia.

Nel paese,
un'opera bigotta e fascista,
rea di lesa maestà,
di vilipendio alla compassione
e innumerevoli atti brutali
verso l'idea,
la Parola che grida più forte
Italia mia figlia di catene,
di madri sconclusionate, sciagurate
Italia che fingi di non odiare,
ah,
potessi tu sprofondare nella terra che avveleni,
t'inghiottisse il mare,
razza baciata e maledetta dagli dèi!

Eppure,
nei tuoi mandorli
v'è l'occhio di quel Dio
che così tanto negasti nelle tue opere
diventando banchiere,
amaro conservatore
come cianuro
e negl'occhi la dolcezza amara
e nel ventre il veleno.
T'amai con tutto l'odio che possedevo e che mi crebbe dentro
da che dal grembo fui staccato
nei giorni primaverili
d'una tenera madre
con la sola capacità d'amare
e che d'amore fece l'unico suo peccato grande come il cielo:
nella miseria,
sulla miseria,
nella croce del suo vivere e soffrire
amò.

*

Bevendo sotto al temporale

Riccioli d'oro sfoggia
un gran bel culo
oggi,
con quella mise, poi...
Mi fa impazzire!
Piove,
la coltre d'acqua nasconde,
disvelando ai lampi,
il fondo della via,
il forte vento crea onde sull'asfalto,
parallelo alle vite umane.
Oggi la verità
sta sullo sfondo della foto,
Riccioli d'oro sorride
soddisfatta,
sfoggia un gran bel culo..
Con quella mise mi fa impazzire!
Il boyfriend,
lampadato,
sembra la suola ustionata della parodia d'uno stivale,
dalla giacca in tweed spuntano i peli del petto e olezzo di muschio bianco: vien da vomitare.
Palpitano muscoli come ruspe,
batte il sangue nelle tempie,
piove,
corro,
la coltre d'acqua bagna,
rischiarando nel crepitio del tuono,
il fondo della via,
nuvolette di goccioline s'alzano
nel vento,
il mio cuore è già nella tempesta,
sulla riva s'agita il battello
senza far rumore implora
sferzato dall'onda del pensiero;
Riccioli d'oro annega,
annega il suo respiro,
annega un gran bel culo,
annega il suo boyfriend,
annega anche il vomito d'un sogno.
Sferza la tempesta il mio cuore
e annego dentro ad esso,
piove, piove
senza più far rumore
e si rischiara
tra fulmini e saette
il fondo dimenticato del bicchiere.

*

Al vento

Ti immagino lì
davanti al tuo schermo
scrivi il tuo pezzo col corpo grigio,
intonso,
coperto d'odio anch'esso intonso,
puro d'una purezza strappata
ad un omicidio ideale,
sul tuo volto illuminato dal freddo
siede un ghigno, da esso uno sputo
che affonda l'ossa nella superbia adirata del potente,
mi chiedo quale mano mosse la tua a ciò?
Ti vedo là seduta,
ti vedo rotta ad ogni compromesso,
pronta a sconsacrare tutto
ciò che predichi
così piena di soddisfazione
che rieccheggia nei cuori pavidi
del tuo seguito.
Del bello ho capito che è spietato,
crudele e senza equilibrio,
una dea pallida,
la Bellezza,
d'efferato effetto e nasconde
insinuato nel rifiuto morale
un cuore di serpi,
un cumulo di veleno come un velo
che distrae dalla verità.
E tu, Dea,
autocelebri la tua retorica stanca,
ecco che il biancore da candido
inizia a scurire e ciò che immagini puro
non è puro
e affonda le mani nel fango primordiale
e nel contempo ciò che era nero
d'inchiostro nero
da nero inizia a schiarire e diviene chiaro
e puro
e fanciullesca limpidezza d'un fiume, prorompente si slancia dalle Alpi,
inimmaginato abbatte argini e rive
intere città e castelli
e qualcuno cerca di ricostruirle,
grida -Tragedia!-
ma forse quei palazzi erano abusi
presi in prestito ad un paradiso che non ci appartiene.
Ti immagino lì a riflettere,
sulla lingua un'altra sottigliezza
come crescesti allora
generata da lupi
così abile e rotta a rivederli ovunque
ché lo specchio interiore inganna
spesso
ma non mente
mai.
Mi chiedo,
quale lupo non riconosce un suo simile?
Non nacqui lupo ma lo divenni
e dal torbido
vedo zanne, canini infilzati nelle carni
e in queste misere, scarne
e disadorne membra
sconquassate dal tremito
dell'evento di nascere uomo,
riconosco,
rivedo me in te.
Immagino il tuo livore,
la rabbia sorda che attanaglia
e il tuo allenato senso del calpestare;
può davvero essere bello?
Uno scudo con testa di Medusa,
sacro, puro,
meraviglioso
ma volgiamo la testa altrove
ad un celeste Canova.
Nel paradiso della carne
s'annida fosca cancrena,
gronda aroma sensuale
e io non sono che una casualità:
un giorno -da grande-
qualcuno capirà
ma quel giorno non verrà,
al vento riporti la rivalsa del mondo puro
nell'odio sconfinato della sconfitta
vitalizia.
E all'improvviso
non ti vedo più.

*

ad Anjia P. Ettorova, con tutta la mia banalità

Quand'è mezzanotte
mi piace star fuori,
sentire il rumore,
lo sferragliare dei treni,
la sirena della stazione,
mi piace
immaginare la polvere di carbone,
quasi la vedo posarsi;
mi piace star fuori ma,
oggi,
sei tu a tenermi fuori,
ti rinchiudi,
nei tuoi silenzi
il rombo del treno è rimorso,
la sirena rimpianto,
la polvere nel cuore
e tutto piange rabbia,
sconforto,
sconfitta, delusione.

I passanti ridono nei colbacchi.

L'aria fresca porta pioggia,
sarà la solita, stupida,
tempesta.
Nel vento aleggia un aquilone,
forse una lanterna,
non saprei,
è in alto e la guardo,
mi perdo
un brivido d'universo
sulla mia pelle d'oca,
sono fuori dai tuoi pensieri,
non ho più la chiave
e tu non apri,
sto fuori vestito come ad agosto
ma s'è fatto ottobre
e nessuno m'ha avvisato
e tu non apri,
resto fuori
è gelido il sapore del disappunto,
piove collera, silenzio,
quale antenato di ghiaccio ti generò?

Non avevo mai pensato
che da un fiore nascesse il temporale
Non avevo mai pensato,
affatto ma,
ora che son fuori,
non sento che i miei dèmoni gridare
la loro voce è il tuono,
il loro graffio strage e mi tocca,
stupido,
affrontarli in calzoncini
e i passanti ridono nei colbacchi.

Potessi riportare non oro,
né argento
ma foschie d'amore,
maciullerei i cappotti,
i cappelli, le risate
con la forza di un brivido
ché il tuo nome procura,
con quella stessa forza apri,
ti prego,
quella porta,
il cielo nero mi ricorda che son solo,
apri, apri,
non ti muovo pietà?

Come spighe al vento resto
e i passanti, loro,
tremano nei colbacchi.

Apri,
apri, Anjia,
apri, ti prego,
Anjia, ché l'inverno mi divora,
Anjia, ti immagino lì
abbracciata ai raggi della stufa,
tiepida, col tuo maglione,
Anjia illuminata di calore,
Anjia fuoco che riscalda,
Anjia che consuma,
che confonde,
che ripara,
Anjia chiusa;
marcirò nel sottoscala,
nel portone,
ovunque,
ma i passanti, loro,
ridono di me
ora che nevica,
ora che non scende grazia dal cielo
ma solo ghiaccio
e l'ultimo treno è già partito,
magari l'avessi preso!
Ma che dico,
Anjia,
perché devi essere così feroce,
così deliziosa,
ché mi mandi in bestia,
ché mi fai volare,
Anjia?!
Le stelle mi rubano il cielo
e il nero che mi proponi
e vorrei menare calci alla luna
e tu non parleresti
e lame diamantine dai tuoi occhi
e calcerei Dio,
l'anima,
la morte
con un fischio a sei code,
uccidendo i passanti
nei colbacchi
per avere solo
un piccolo spiraglio!

Siete altrove,
Anjia?
Forse al teatro Nouveau,
tra applausi di marionette?
Al cafè,
confondete belletti e smalti
col ghiacciaio del vostro petto?
Dove siete, Anjia?
Al cirque?
A smarrire il vostro sorriso
tra la folla?
Voi non rispondete e a me resta
il mio niente che ho sempre avuto,
mio,
niente,
nient'altro che uno sputo
scaraventato qui,
sulla Soperga,
a morir di niente
ché di poco pur si vive.

Nel fragore della fragilità mostruosa,
la disperazione,
compagna pure dei passanti,
esplode in coriandoli di silenzio
come bomba nella valvola mitrale
sullo sfondo del gelido inverno.

Aprimi, Anjia,
sia pur per un istante,
ritroveremo parole nuove.

*

Sulla dinastia dei lupi (lettera dal mio tempo)

Mi chiedo, in silenzio,
quale squalo
vi educò?
A cacciare pesci piccoli,
che piccoli, poi...
Arroganti,
come voi ma
più deboli.

Quale lupo,
vi crescette?
A caccia, costante,
sfrenata,
nel grembo dei vostri simili,
con essi, in essi,
per essi,
ché condannate con duri morsi,
feroci,
nel viso un costante ringhio.

Apertamente,
gelido,
mi chiedo
quale bestia insaziabile
rese sciacallo la vostra anima tanto
e fate a pezzi l'altre,
senza rispetto,
amore,
educati a sbranare,
calpestare come cavalli al trotto,
folle corsa al fine verso
versi di tomba:
qui giacette lo spirito Umano.

Quale genitore
senza riguardo,
servo v'insegnò a servire,
in ginocchio
e pronunciar bestemmie,
accontentandosi d'elemosina,
dello sporco sui piatti da lavare,
a fingere di non essere sé,
in continua lotta col perdere.

Quale coniglio
con orecchie basse
dai secoli dei secoli,
v'abituò a scappare dal peso,
dal soffrire per l'evento
d'esser uomini?

Quale gorgone
vi fece così duri?
Quale chimera
vi diede una faccia e tante facce?
Chi vi fece così,
gonfi d'odio,
ottusi e, per di più,
superbi?

Quale Pluto vi generò?
A prendersela con chi ha meno,
leccando chi ha di più.

Quale padre,
quale madre non sprofonda
nel vedervi così?
Solo avi come voi,
vigliacchi,
servi,
odiatori.

Ecco, dunque,
la vostra stirpe:
nei secoli v'annidò bestie
e come bestia veniste,
come serpe ricolma di tòsco,
utili imbelli,
utili al sistema.

Nel rosso pudico di novembre
si incammina la sera
su sentieri antichi,
distanti dalla giovinezza di luglio,
così simili,
entrambi,
a quei ragazzi un po' giovani,
un po' vecchi e,
malgrado posseggano solo vecchie
parole stanche,
riciclate,
non vogliono accettare,
né conoscere o capire
se non sopraffazione,
cuori di scaltrezza recalcitrante
ché non sanno che menzogna,
impotenti
dinnanzi ai moti dell'animo,
tuttavia,
sfoggiando abiti,
il sudore altrui li rese belli,
mostrando smartphone,
scarpe lucide,
lucidi sguardi di cupidigia
fuor di gioia o furore
rubati al mondo dei grandi o
simili e lontani
ai modelli di tv,
così come il tramonto imita l'alba
nell'unica regola del rosso.
In questo panorama, ultimo,
un tir svanisce all'angolo
tra l'ultima ditta e il nulla
e penso alle gesta di coraggio lepresco dei miei avi
come nello spegnersi del giorno,
a Pioltello,
si tengano, labili
come raggi di sole,
aleatori barlumi di speranza ferina,
la normalità di una casa,
del salario,
ottenuti pensando a sé,
senza rispetto né pietà,
calpestando, mordendo,
strappando via brani di vita
al giorno
per scoprire,
poi,
che quel dolore non finisce
nel calore d'una notte;
non peccatore, no,
né uomo,
assumo la mia colpa,
con vergogna chino il capo ma,
il pianto non serve né gli avanzi che,
generoso,
distribuisco e penso,
ancora,
al candore innocente,
veritiero,
del cuore delle madri
le cui mani stanche,
arse, unte,
han creato sguardi lacerati
e vibra odore di strage
nel perdersi,
unica mia dote,
tra gli sguardi eterni
d'un settembre
in permuta continua:
è pure mia la colpa!
Costruite mondi a debito
nel deficit orgoglioso del fallire
strade comuni,
uguali ai vostri uguali,
persino peggio dei predecessori,
nel terrore costante,
rigoglioso e magnifico,
del diverso,
dell'abbandono,
della povertà.

Nella sabbia d'un quartiere popolare,
il cornicione cade giù,
sventola un lenzuolo
e una pecora cade dal nono piano;
si sente odore d'aglio,
spezie d'Oriente,
canta il Muezzin..
È forse questo che non volete?
Il rimpianto per le nonne nei campi,
della chiesa la domenica,
quanto si stava meglio...
Già,
fosse stata epoca facile,
non bigotta e fascista,
ognuno al suo paese
grondando frasi di dialetto,
morire di febbre a sei anni.

Ricordo quando la carne,
spoglia ancora di peli,
era carne senza amore
ma carne d'affetto,
di gloria,
osservavo le vacche sognando,
avrei fatto il pastore,
avrei fatto l'amore con la vita benché
educato a sogni solitari,
volgari,
da pastori.
Eppure sgorgano sorrisi ebeti
da quei giovani:
respirano l'inverno senza conoscer neve, né sole
o grano
e rombano al suono di autoradio
con soli quattro quarti
e troppi decibel senza passione,
né controllo,
solo risultati da comprare,
educati a non volere,
colmi di stupidi desideri materiali.

Non è questo un mondo triste?
La parodia dei giorni,
il non rispetto della diffidenza,
il sospetto,
lo scappare dal senso vero della ricerca,
del ricercare il proprio senso,
del fuggire dal mondo vero negando,
blasfemi e senza razza,
se non di bestia,
i richiami d'un mondo colmo d'amore, di tristezza,
di meraviglia, di unicità
non è questo l'orrore?
Cosa resterà se ci rubano l'avvenire
e pure i sogni?
Quale notte,
infine,
vi rese così bui nell'animo,
così... ciechi?

*

Rivoli d’acqua per fiumi di sabbia

La bellezza
è un cane che piscia controvento.

La bellezza
è un amplesso nel sottoscala.

La bellezza
è che 'stasera non piove.

La bellezza
è finta democrazia populista.

La bellezza...
Fottute parole al vento che riporta tristezza.

Corri a perdifiato,
grida, grida,
urla
ché la luna, gl'astri,
il deserto
sappian la sofferenza,
la fatica,
lo stress,
il malessere.

E poi taci.
Taci mentre già fischian l'orecchie,
da lontano s'ode già il falò,
lo sfregio meschino d'un vivere
che non sa di vita.

Non è natura il mondo degl'uomini,
la bellezza è parola vuota,
un niente che vuol esser tutto,
insignificante per il cosmo.

Trova bellezza in un barbone che stupra una ragazzina,
cerca bellezza in un ladro ucciso perché cercava pane,
scopri l'interiorità mentre ti rapinano.

La polvere ha un peso,
la bellezza ha solo un contrasto
ed è tutto un malinteso quando...
Scende sera
la fiamma più piccola
nel mondo più buio
è la più grande luce;
brilla
Un fiammifero può bruciar la notte.

Rivoli d'acqua per fiumi di sabbia.

*

Mattina d’estate

Zagare,
caffè,
il fornaio...
Voglia di partire.

*

Le donne innamorate

Le donne che s'innamorano
hanno un cielo blu negl'occhi
un sole nel cuore,
sognano rose,
si spogliano del presente
fanno l'amore col domani,
con l'idea che le travolge;
stese sul fiume delle lacrime di ieri
si perdono
e nei sentieri del magari
ricuciono speranza e cuori rotti,
scongelano pezzetti d'anima
col fuoco d'una passione nuova.

Bruciano i palazzi della sconfitta,
sulle macerie sboccia il sogno.

Poi il destino,
poi i chissà,
e le donne innamorate,
innocenti,
sapranno un come
e sapranno il quanto,
sanno il pianto,
sanno l'estasi,
conoscono i sorrisi,
ricordano voci di dolcezza,
giardini di fiori nuovi
e un quando che dà speranza
sui vetri sparsi
dove non ci si taglia.

Canteranno ancora
guarderanno più lontano
fino al velo
sull'altare del divenir famiglia,
mano nella mano
troveranno un'altra mano
e diranno vieni via con me
al limite all'infinito
o piangeranno
vedove
luce di stelle morte anni fa
su vanghe sporche
per seppellirsi a fondo.

E Sirio
e Marte
e Venere
son sempre là,
a risplendere negl'occhi
delle donne innamorate.

*

Di amanti nel vento

I ragazzi si baciano in auto parcheggiate nella notte,
s'amano su sedili al sapor di nuvola,
balla la pioggia un tip-tap
sui vetri dei loro vent'anni,
stelle d'un rosso Caravaggio spandono luce pietosa fino all'alba che brucia come un neon
nel buio d'amori rubati,
il passo furtivo d'un gatto regala ricordi che aleggiano nel tempo
col profumo di un sorriso.

Persi in sentieri d'innocenza
si baciano i ragazzi
nel mondo che è una favola
e sudore
e finestrini appannati di condensa
nell'attesa d'un vibrare dell'anima.

Il soffio del passato
tornerà un giorno
con ali che battono nei cuori
e rosa che pungula nel ventre
e i ragazzi si baceranno ancora davanti a dei vecchietti;
sarà tempo di ricominciare a splendere in lacrime felici,
nello spegnersi degli anni una voce sottile, imperiosa,
timida dirà:
Amatevi!
E dal cielo sarà... di nuovo luce.

*

Mia moglie

Lei che è le rose e la Turchia,
lei che è cioccolata e malinconia,
lei, sempre lei, solo lei.

È che sei schiavo e non lo sei,
è che è tempo di giocare
e che tempo ancora c'è.

La canterei, la terrei,
la baciarei,
mi farei schiacciare!

Lei che c'è ancora tempo,
che mi caccia le bestemmie,
lei, sempre lei, solo lei.

Lacrime e miele,
il Nulla, la Poesia
e anche oggi sà di te.

Lei che è le rose e la Turchia,
il mio orizzonte,
amor e malinconia.

*

Come da bambini

Occhi vuoti da strada,
polvere sui piedi,
chi vuol essere un pirata?

C'hai il culo al freddo,
scarpe rotte
e calzini fradici;
dove sono i giorni felici?

C'hanno rubato il tempo,
il cielo
e gli astri eran già finiti;
han fatto palazzi a-a-alti.

Così sia,
tiranno ventricolare,
hanno fatto il vuoto,
la chiamano umanità;
hanno appeso manifesti,
dovevan penzolare loro
e tu,
atrii e vene blu,
l'hai lasciato essere.

Ti ricordi quella birra al parco?
C'era il sole,
un battito di vento
e piccoli capezzoli rosa...
Era anni fa!
Ma lo sputo che ti parlava allora,
catrame nero scivolato giù
dal mento,
tossisce ancora
e ancora non riposa.

Scaraventato
con occhi vuoti da strada,
cerchi nella testa
un'ellittica di fuoco
e tieni il culo al freddo.

Vuoi essere un pirata?

*

Ode al barbone scemo

Sta lì,
cincischiando pronomi
mentre la ruggine si fa sera.
La sera della vita piove,
scialacqua aggettivi,
nuota nell'aria,
eguaglia rondini e,
nelle sue code belle,
viaggia silente;
sta lì,
gambe incrociate,
pioggia di colori nel grembo,
cielo di biscotti,
soffio di carta velina.

Gravida di profumi,
incombe la boscaglia
e proiettili di cedro.
Vedremo cosa c'è di là,
oltre la rivoluzione di Nettuno,
dopo i cerchi infiniti della notte,
tra l'odor di viole,
in pascoli verdi senza confini.

È un paesaggio d'alta marea,
è solo nuvole nel cuore;
sta lì,
il Nulla lo percuote,
è pioggia di colori
tra la pioggia stessa,
nel rosso della ruggine che,
silenzioso,
si fa sera:
unico,
lento,
bramoso Addio.

*

Banchetto d’ossa

Lucciole di latta,
specchi d'alluminio,
dal luminìo della vetrina
messaggeri di prosperità:
vendiamo armi ai bimbi!

Viva il PIL!

Lucertole su muri caldi,
mine anti-uomo,
ci stupreranno il cuore
messaggeri d'umanità:
uccidiamoli a casa loro!

Viva la Nazione!

La banda suona in piazza,
danzeremo sulla strage.

*

Smettere il cuore

In una sera
ho imparato il mio nome,
sperperato,
spergiurato
e sconfitto l'animo.

In quale...
Mondo dovrei...esistere?

Se fumassi furia,
le mie dita sarebbero tuoni di ferro,
strazierei con l'acciaio
l'ebano freddo della notte
fino a stracciare la luce delle stelle,
il loro caldo eterno
brucerebbe...
I loro raggi!

Chi sei tu, o pianeta,
astro, luna,
chi sei per impedirmi d'urlare?!
Piegherò la gravità in buchi neri,
neri,
neri d'odio e caliggine di rabbia,
infiammerò il serpente piumato
all'orizzonte degli eventi!

Se il mio cuore
ordisse tele di versi,
spiccioli di valor prosaico
albe rosse dopo tramonti efferati,
mostrei occhi di strage,
vermigli;
chi sei tu per dissetarti
da questa fonte?!

La mia fronte
caverebbe lacrime di sale
a tutti i fiumi della terra!
Spegnerei con acqua di sudore
le scie dorate delle comete
all'angolo della galassia,
la Russia,
l'Afghanistan,
la sera eterna dell'equatore.

Ma l'istinto ferino agonizza,
bestia goffa che bestemmia...
La mezzanotte, il cielo,
Dio...non resta che passato,
in quale...
Mondo dovrei...esistere,
inutile,
silenzioso?

*

Non me l’aspettavo

Quell'alto richiamo d'una forza maggiore, quell'attrazione sfrenata, giusta o ingiusta che sia, ma giusta debba esser che sia volente o contraria per esser sé, se resta sé e sempre è stata inconsapevole o no o se, mentre vive, maggior richiamo non la colga in fallo e sempre giusta per sua virtù rimanga; vampa che dilaga e impone e frana e che poi tutto appiana nel suo maremoto, la schiuma non la piega e l'oceano affoga, se riesce d'appicarla, il ghiacco la proclama sua regia, giusta e cara forma:
la ragione che creò la bomba h.
Ah-ah!

*

Questa non è un’ode

Nuvole di garza,
l'orizzonte ingoia se stesso,
i gatti verdi scivolano,
carcasse colorate e contorte,
i mattoni brillano di blu,
gl'ammassi di lamiere fulminano
i passanti nelle loro barbe.

Tra gl'ostacoli di primavera,
come in una corsa dell'anno,
preventiva un'altra stanza buia,
un ricamo di solitudine.

La chiamano fame,
è meglio d'una sola nocciola,
d'una castagna fiorita
o, forse, d'una solitaria cipolla.

La notte fasce brune ricopre,
urlando,
il nome di Borea;
ricordi, tu, Apollo abbandonato,
com'era bello respirare liberi?
Ma tu non ricordi,
non hai mai saputo, no,
non una botte di coltelli,
un'otre d'ossigeno celeste,
non un pianto silenzioso.

Anche il cielo lo saprà,
frattanto,
sarà meglio lo scoprano gl'uomini,
ché Prometeo è incatenato.

La chiamano fame,
è meglio che morire soli.
E un coglione non legge il titolo,
la chiama ode,
è solo farina marcia.

La battaglia tra i mattoni e le lamiere:
si perde tutto nello scoppio,
nuvole di garza
e orizzonti che ingoiano sé stessi.

Una moto scoreggia gas di scarico,
se ne và;
non resta che aspettare,
il tuo tempo è finito, vecchio,
entri il Nuovo urlando,
si faccia la fanfara,
si rovescino le botti,
ché i coltelli siano araldi!
E i gatti...colino altrove,
sulle vestigia dei violini.

*

Un inutile poemetto

Nel buio
la notte sussurra
parole d'amianto
sul manto nero dei raggi stellari,
i manoscritti d'una
luna di latte
sono persi in un mare
che soffia sette venti,
nove onde
e venti grida alla terra,
-sono il Mare!-, urla,
nella furia batte e sbatte,
si dimena mai stanco,
furioso e schiuma
e lampo
e rombo accecante,
Lei,
quel dono di Biade,
si ritira,
poi riemerge,
l'amore per quello stupro è profano,
selvaggio,
non c'è ritegno
e la lotta si fa graffi
e insulti
e stride pure lei gemendo.

Si fa il giorno
e la passione dei due amanti si placa,
il sole,
marito di quell'Antica,
vendica le grida bruciando lei
e inaridendo lui;
frattanto, gli scogli,
si consumano,
unici testimoni del fedifragio.

A tutti, indubbiamente,
sembrava esagerato,
vociare di sabbia,
musica per nottòle,
strepitìo dei marosi
e colori di maree
ma nessuno vi badò
e nel mio quartiere,
il barista sconcio,
continuò ad annacquare i suoi veleni.

Le mosche ballarono ancora un lento
sul blues della rena incandescente,
la morale,
se v'abbisogna,
è celata tra le righe d'un tempo stanco,
gli stercorari brancolano,
da lontano s'ode il cigolìo
d'un cancello
unico lamento
figlio d'un tombino annegato.

C'è odore di mimose,
oggi...
Oggi c'è un batter d'ali
e un mondo scivoloso,
oggi si perde sulle corsie dei tram.

*

Sembrerebbe

È un'epochetta dappoco,
non nascono angeli
nell'inferno
né fiori sui tombini;
muoio un po' ogni volta,
maledetti grammar nazi,
un congiuntivo,
un condizionale,
un gerundio...
Petali d'un fiore
che comunque profuma.
È un'epochetta dappoco,
s'approssima,
si sovrastima,
si ridimensiona e il ridicolo...

Sarà il giorno in cui muoio,
saltimbanchi,
fiera e frittelle,
sarà whisky, birra, miele,
sarà che, comunque sia,
i fiori profumeranno
e i ragazzi faranno l'amore,
le nonne la pasta,
le virgole le pause
e il vento il suo vociare;
nel mare musicale,
i pesci piangeranno,
se si muore un po' per vivere
bere troppo è annegare
e sarà il giorno dell'annegamento:
meglio d'Agamennone.

Non vengono angeli dall'inferno,
un'estate fa ballavi musica dappoco,
il caldo era isterico,
il vino fresco e l'ormone...
Puzzavi di sogni,
grondavi aroma sensuale,
rimbalzavi tra le note,
gl'accenti...
poi l'inverno ti sorprese...
...piangere,
ci credi al blues?
E al reggae?
Credi alle scale che suonammo?

I ragazzi accarezzano
gin e tonica,
le vecchie pietre non parlano più.
Qualcuno ha rubato il vestito blu
d'un tizio,
veniva da Marte,
altri hanno venduto facce,
libri, foto, dita e fuoco
d'annate anime dannate
e note poco note nei giochi di parole.
La rima li seppellì tutti,
la loro famigerata Bellezza,
che poi, cazzo sarebbe?!,
li sbranò con godimento
degl'ultimi.

Nessuno guardava al povero,
il barbone non è abbastanza...
...Bello,
così, Bellona,
Bella,
Bellezza,
cacciò i denti in carni amare,
il pazzo fu vendicato,
la troia retribuita,
il popolo ri-volgarizzato.
I trivii riscrevettero la storia.

È un'epochetta dappoco,
basta inneggiare all'ora dorata,
ai canyon, all'amor cortese;
vedo solo gente,
vedo scopate furtive nei sotterranei,
plastica negl'oceani,
plastica nell'eco,
plastica nei cuori,
gente che il perdono...
...ha abbandonato.
Pensi che la musica salverà la tua indole da coglione?
E la poesia?

Non vengono angeli dall'inferno,
preferiscono restare al caldo,
se questo è il paradiso.
È un epoca di morte,
sarà che un giorno i fiori canteranno,
tornerà dall'inferno,
la luce sconfitta,
sarà l'amenità,
e le bottiglie saranno ancora...
Svuotate.

Fine.

*

Lo zingaro scalzo.

Lo zingaro balla,
poi smette,
si siede.

La bionda bacia il vecchio,
lo zingaro di fronte sventola
una birra doppio malto.

È un amore da discount
e la mattina è fatta di nuvole
di caffè.

Nessuno più si scusa
d'esser sé,
né il rimorso, né il rimpianto.

È tutto un -Io!-
È tutto un se...
Vuoti specchi rotti,
malinconia.

La bionda bacia il vecchio,
poi sparisce nel miraggio,
lo zingaro rutta e se ne va.

Gli addii si susseguono,
le ruote nei loro binari sussultano
e io ho visto un vecchio piangere;
solo lo zingaro ride
e riprende a ballare, per la via.

Nella foschia resta un rutto
e una doppio malto,
vuota.

Gira così.

*

Una sera come tante

La facciata di fronte
è uno straccio rosso
bagnato di gerani
sul fiume blu della sera,
il campanile eretto sullo sfondo
buca il cielo rintoccando ore cieche
mentre i capelli della notte
s'adagiano piano,
distesi,
ondulati e fragranti
sul mondo degli uomini;
d'ogn'avventura è pregna l'ora
e di calici
e di tazze fumanti
e ora il riso,
ora il pianto,
illuminano volti e culi.

Solo le scimmie,
dai loro banani,
dormono già da un pezzo.

*

Città d’autunno

Sulle grate della stazione
fiorirono i barboni,
le coperte e il vino mentre,
sul filo profumato e azzurro
d'una caldarrosta
si perdevano le sciarpe dei passanti.

Nell'aroma d'un caffè,
poi,
si discuteva del più e del meno,
sulla banchina
i treni-soldato stavano ritti,
schierati,
per affrontare qualsiasi luogo
e, intanto,
il tempo fendeva l'ali di mille addii
lungo le lame dei binari.

Il buio delle quattro s'inghiotti' tutti,
nei lampioni opachi e foglie gialle
la buonanotte di Milano
si cullava degl'osti stanchi,
degl'ubriaconi,
delle troie
e di mille e mille malinconici...
Arrivederci.

*

Tu, mia Africa.

S'ogni atomo,
sfregando nell'aria,
sognasse, se,
distratto,
ogni elettrone
s'arrischiasse a divenir concreto,
e se,
spigole sibilanti
saltassero s'ogni onda,
allora s'adagerebbe,
spesso e mancino,
un canto delle tue care
dita.

Sembra ch'ogn'ora s'adagi
nelle tue palme.

*

Sotto al sole

Profuma di sole
Lei
Appare pian piano dal guscio
I suoi vestiti crollano
Mostrando strage di rose
Tra i seni
Sentori di fiori
Sulle mani
Zuppe d'anima sulle cosce
Sue
Le apparenze
Le forme colorite
Il mondo.

S'inchina il mare al suo apparire
S'accende il tramonto
Nel suo ridere
Cieli e cieli
E castelli.

L'estate è un mango maturo
Succoso e colorato
Nel suo pugno chiuso.
Tutto sgocciola.

*

Te la caverai, vecchio

Saranno tutti
I migliori angeli della nostra natura
Guideranno la realtà

Sarà il fuoco
Ad essere reale
E l'inferno brucerà di noi.

In cinque minuti
Atterreranno l'oro, le docce,
Gli spruzzi e perderemo sangue.

Tutto scivolera' via...
Due dita nel cuore
La follia...

Tutti muoiono...
Scivola via...

*

Bevendo a mezzogiorno

Ne accendo un'altra
Bestemmiando,
Il fumo scivola sull'aria umida,
Appiccicosa,
Appiccicoso come il tavolino,
Liscio come un boccale vuoto.

Questo tavolino,
Questo mondo...
Tutto sembra un angolo di deserto
E...illusione.

Sudo.

Chioma-di-fiamma fischia
La voce non taglierebbe l'aria,
Il cane s'arresta e torna,
Scodinzola;
Sono quel cane
Va ben tutto e zitto,
Torna indietro.

Zitto.

Sudo.

Tacere è silenzio aureo,
Parlare è rumore cristallino,
Scrivere è defecare:
La merda e il cristallo non piacciono
L'uno all'altra,
Una è utile
L'altro no.

Il fumo scivola via ostinato,
Le rotaie sono sempre là
Mi ci affetterei soffrendo
Ma io, forse,
Sono il treno o, forse,
Il cartello benvenuti nel deserto.

La parola manca
Così i ricordi
Così il controllo...
Dicevo?!

Sudo,
Lei è andata.

Nel mio carcere di nulla compare
Annoiata e stanca
La cameriera,
Il cane è andato,
Nel deserto senza ombre ho incontrato per caso la birra.
L'avevo ordinata io.
L'avevo ordinata?

Il fumo scivola via
Ho scordato il resto,
Illusioni
Miraggi...
Rimango qui
Sabbia sulle dune,
Birra,
Sudore.

Ciao scarpe rotte, come stai?
La vita sorride poco, dico...
Ordinane un'altra, dico,
Ché al deserto non basta
E nessuno vuole abitarlo.

E un pazzo scuote il faccione rosso,
Beve tavernello e se ne va
Inseguendo il fumo.

La strada è sempre stata lì
E così le dune.

*

Parmigiana 2

Tu, di viola vestita,
Scintillante parmigiana
Dal cuore filante
Profumi di primavera,
Dell'estate dei bambini,
L'autunno ti si inchina,
L'inverno ti incorona,
Principessa,
La regina ti prepara
E al mio fianco sorride
E finalmente c'appartieni.

Tu, parmigiana,
Sei un atto d'amore.

*

Verde ortaggio

Aaah broccolo
Vesti fiori verdi
Sulle povere mense,
Dal tuo tronco nascono alberi,
Foreste e,
Unito all'aglio,
Mi fai piangere

*

parmigiana

Dapprima riluce, è il viola del mondo,
tondo profumo selvatico e domato
abbandona la sua verde corona
è la regina dalla polpa presto dorata,
la melanzana e le sue fette;
l'aria s'empie d'aroma fritto,
il fratello suo degno, intanto,
sugoso pomodoro,
scoppietta là vicino,
il basilico s'adorna di tutto il suo mestiere,
la mozzarella, orgoglio del casaro,
appresta il suo show filante e saporito.
Lei, timida e scintillante sovrana,
Lei, dal cuore di diamante sognata da tutti i fiori,
amante del buono,
amica del futuro e della terra,
s'unisce alla sua famiglia
la tinta del tramonto
ha abbandonato la sua corona e così unita
risplende nella gloria.

Noi,
occhio nell'occhio,
al suo comparire vestita a festa,
scambiano sorrisi dolci,
calici sbattuti,
il cuore si colma,
il tempo si placa,
nel nostro amore la luce regale,
felicità
e la certezza che una cosa sola sia meglio.
Tu. Io.

*

un folletto nero forse sobrio

È che tutto incendia e tradisce

E l'uomo nel buio aspetta
tace
e continua a fissare.
Indossa un cappello.
Veste un sorriso da squalo.
Ha disegnato liquori e veleni negli occhi neri
neri

E infilarmi una mano dietro agli occhi
e giù per la gola
strappare per me
da me
le cose che dovrei avere
toccare con mano viva
Cuore
Cervello
Ossa
Budella
Anima
Prendere ciò che è mio macellandomi
vedere flebile luce d'ottuso sogno
al fondo
foglie sanguigne d'autunno
così sanguigne d'esser fiume
a ricoprir la strada

E l'uomo nel buio aspetta
fissa e tace
e veleno
e corrotta seduzione
e prende a mano viva guinzagli
stelle morte
cavezze di cieli avvizziti e freddi
impugna braci che sciolgono nervi
Legamenti
Giunture

Padre
Padre
Padre...

L'uomo nero nel buio aspetta
nella sua bombetta sarcastica
fissa con occhi disegnati e,
appena, una lacrima lo vela di buio
più buio del tosco

Conoscevo allora, infante modesto,
un giovane paggetto
si rotolava tra le cosce
amava patria
Lume
Bucoliche
Gioventù
E della sua età diceva esser morbida
come erba al pascolo o
mobile
vento di terra
quando il mare cala l'ombre sulle dune
nei palloni dimenticati.
E quel paggetto morì di suadente morte
giocando a carte.

E l'uomo nel buio aspetta
adulto
forte
morde con dente da squalo
parla
parla adesso di parola
terribile e giocosa
e carcasse putrefatte ai suoi piedi
trucioli di canto scordati da ruderi di ieri
o macerie di domani.
Parla
Parla adesso
e vorrei nuotare
come l'uomo nel buio nuota
essere la metà almeno
affascinare come esso affascina
e farmi trascinare nel buio,
scricciolo ignobile,
Me,
moderatamente sobrio,
dove colli rotti rimano
col rimanente nulla.

E, ohimè,
la notte m'abbandona
vorrei vomitare il blu sirena
sparire nei sentieri rossi dell'uomo dentro al buio,
una sciarpa al collo a dondolare dai rami
in giorni d'inverno
Lacrime
E cappelli.

*

Se non fosse che realtà

E ti cerco, 

ti cerco in ogni bar,

nelle nuvole sconosciute,

ti cerco nelle facce,

nei discorsi dei passanti,

ti cerco nella notte,

nella fonte sospesa dei pensieri,

ti cerco in un panorama,

nello sfondo, sui primi piano,

ti cerco nei profumi,

nei sussurri e nei volumi assordanti,

e ti cerco,

ti cerco, ti cerco...

 

E la sera scende,

i sorrisi sono solitari,

il cuore salta a tratti.

Ho come l'impressione che...

Vorrei sdraiarmi!

*

peperone mon amour

Il polposo peperone
veniva spogliato della sua pelle ormai bruciata
rivelando un colore allegro
dall'aroma di giardino e buone mani
colorato dal sole
amato dal forno
adorato solstizio di un dio ormai mangiato;
e il basilico suo fratello
fatto a pezzi e gettato a verde pioggia
e l'aglio suo grande amico
anche lui squartato e vinto
cedevano entrambi alla primavera dell'oliva spremuta
mischiandosi con fragore alle carni
del grande imperatore dal profumo proprio
d'un giorno d'amore.

E così ebbe fine la dittatura dolce del più grande degli ortaggi,
senza pianti
senza santi
e il giorno conobbe ancora armonia,
il giorno si coprì di gloria
e regnò, ancora, sempre,
allegria.

*

mari sporchi

Volevo scrivere un racconto,
una storia che parlasse del tutto e del niente,
delle strane idee che ho per la testa,
del vino che vorrei bere,
delle macchine solitarie e raminghe che passano la notte cantando canzoni a squarciagola,
volevo scrivere qualcosa che togliesse il fiato
ma poi mi sono ricordato che:
dietro ad ogni amore™ si nasconde un nome ed un cognome
dietro ad ogni cosa si annida un'idea
e che in realtà non me ne frega niente.
Sopratutto quest'ultima.

E ho l'anima sporca di catrame.

*

c’era un dio solitario seduto al tavolo del bar

E il vento soffia e porta sabbia,
è un vento caldo e senza nome
affonda nei visceri dell'uomo.

Dio guarda con pietà senza amore.

C'è un sub-normale che abbaia ad un caffè,
è grasso da morire
dalla sua fronte colan vermi.

Dio guarda con stupida alterigia.

C'è un autitistico,
ogni tanto sfancula il sub,
ogni tanto mi deride; accarezza le gambe d'una bella donna.

Dio guarda con commiserazione.

Ho un violino in una mano,
nell'altra un ventilatore cinese
e un doccino nuovo nuovo.

Dio.

Qualcuno ha sparso dei libri su un tavolo, sono tanti libri.
Qualcuno li vorrebbe leggere tutti, qualcuno catalogarli e riordinarli,
altri cercano solo ciò che vogliono. Molti libri sono brutti.

Dio sorride degli sbronzi lasciati soli sotto al sole.

Han detto che tutto cambierà,
cercano speranza,
creano veleno.

Dio porta degli occhiali da sole, sorride un po' irritato e se ne va.

Mi toccherà pagare.

*

un altro me in un’altra estate

Nella prima notte d'estate
Trovò l'amore
Una vita fa.

Scivolò nel sangue
Giù
Fino al cuore.

Era una vita fa
Era mille canzoni fa
Son passate miriadi di arance.

Lo stiletto era piantato.

Nel proprio letto
Nel proprio letto
Nel proprio letto...

Ora passa il tempo a giocar d'azzardo
Ora passa il tempo fra terremoti e maree
Ora è diviso tra la luna e i sogni.

L'incubo alla fine d'ogni fiaba è lo slittare degli eventi
L'incubo alla fine d'ogni fiaba è il passare del tempo.

Nel primo giorno d'estate
Perse l'amore
Era una vita fa.

E mille lacrime sulle gerbere nelle sabbie di discariche fumanti
Se le portan via il vento tra le dune
E il ronzare sommesso d'un ventilatore stanco.

Era un anno d'una vita fa in cui non piovve
Se non ceneri di angelo.

*

canzoncina per il vento

È un sabato di giugno, estivo, non scolastico.
È un sabato di giugno e un altro funerale ha battuto alla mia porta.

Il clima è soffocante.
È un sabato di giugno e sudo birra nella mia bella camicia stropicciata.
Sono innamorato. Lo sono perché l'amore è un cane ritardato e morde forte al culo.
L'ho coronata d'amore e gloria.

Parola.

Quelle due mie non-amiche passano il tempo a parlare di capelli.
Una mangia un ghiacciolo con volgarità, l'altra s'abbassa il vestito alzatole dal vento.
Dovremmo avere qualcosa di più interessante da dirci.
Tutti dovrebbero avere qualcosa di più interessante da dirsi.

Come si può vivere tra un funerale, un compleanno e un altro funerale?
Ci sono quaranta gradi.
È un sabato di giugno e sudo birra nella mia bella camicia stropicciata.
Ti tolgono la vita...

Ho finito le sigarette.

È un sabato qualunque
E ciò che davvero conta, oggi, è una canzone per il vento mentre tutto passa come un miraggio di sole.

Mi fate accendere?

*

tratti da cancellare

Con una matita
poter scrivere e cantare,
come una matita
poter scrivere e gridare.

E come ghiaccio
e come neve,
poterti congelare
e farti male.

Mio amato odio,
acciocché tu capisca
il mio odio
per il tuo amore.

E nuvole
e gatti neri
per poterti maledire
e case rotte in cui abitare.

E graffi per capire.

E sputi.

Il domani c'ha segnati con marchi bui,
come una matita,
poter scrivere
e morire.

*

la calma d’un po’ di pace

Vedo più poesia in un bel culo che nelle piramidi d'Egitto.

Vedo più magia nei capelli d'una donna, nel suo seno e nei suoi fianchi che in tutte le pietre e rocce smorte o nel volo delle api.

Il tuo volto sembra un Kandinskij di gioia e ghiaccio shakerato con una fetta di limone,
altro che cayenna!

Ci sono più risate in un wisky sour con un goccio di campari che nelle battute della tabaccaia.
C'è odor di pace che vien dai peperoni arrosto,
dai carciofi e dal profumo di frittata.

Vedo molto vino nelle mani degli anziani che il perdono non ricorda
e fame e ignoranza e pestelinza,
c'è più vita nei quartieri disagiati che nei parchi di villette,
ma se giro il mondo coi tuoi occhi
e nei tuoi occhi,
e se m'incendio davanti al tuo sorriso a gambe aperte,
allora tutto può aspettare
domani.

Un milione di cadaveri per un solo bacio.

Oggi va così,
ho la mia birra
e ho perfino voglia d'un gelato.

*

gocce di te a pagamento

Meno male che vien sera,
meno male ci sei 'stasera
che almeno si campa un po',
meno male rinfresca il giorno,
meno male che c'è un ritorno
che almeno si ride un po',
meno male che quando viene sera,
scende sera e con la sera
vieni tu
e un po' di tutto questo amore
batte sul marciapiede
in quattro battiti all'unisono.
Tutto quell'alcool da bere
e una vita sola per vederlo sgommare via
perché questo amore morde al culo
come un cane con la rabbia.
Meno male che vien sera
e con la sera
meno male ci sia speranza.

*

gambero al bacon

Quieto,
il gambero arretrante,
si spogliava della dura corazza
e, fiero,
denudava i suoi visceri croccanti poi,
come vantandosi d'un vezzo,
si sciacquava delicato in acqua fredda
e vestiva il saporito suo vestito rosso della sera:
bianco grasso di maiale scintillante.
Così, fasciato stretto,
si tuffava in un forno caldo
e si offriva a noi,
spettatori inerti ed esperti
di golose bellezze
col profumo proprio d'un'ora allegra.

*

fine turno

La bellezza delle bellezze si nasconde,
sta al fondo di serate troppo lunghe,
le luci sono arancio,
l'ultimo tram s'avvicina e se ne va;
facce stanche,
sguardi marci e denti sparsi,
in quell'ora girano, errando,
cuochi, puttane
e ubriachi a confrontare i loro guai;
qualche volta le tre cose coincidono...
Ogni tanto un avvocato,
uno studentello pieno di paura
un travestito
o uno sbruffone in cerca d'avventure,
certe volte...
Se ne sta lì, celata,
la bellezza che passa e se va
mentre i camerieri smontano
e accendono sigarette al buio,
un biscazziere chiama carte,
girano i dadi sulla sfera che ruota,
i più fortunati sorridono,
per gli altri arriverà il sonno o l'alba,
certo,
dopo il prossimo whisky.

*

numero 110 (libero in un vento...)

Oggi la pace profuma,
sa cielo blu,
alberi imbottigliati dall'aria
e torrenti stagnanti.

In lontananza,
come fosse vicino l'altrove,
si sente rumore di risacca
tra le fronde.

Oggi è un giorno di pace marrone,
lì alla mia sinistra vedo,
con occhio scuro,
una coppia.

C'è chi ha una donna,
campi blu
e qualcos'altro,
io...

Io non sono nulla,
solo pace disperata
e il silenzio,
in silenzio scorro tra le fronde.

*

numero 119

Campi gialli agitati da un vento che trasporta violini come una risacca,
torri viola scosse tra tremori infanti
e ruggini di fuoco su pareti sgocciolanti.

In lontananza tuona la civetta verde dei fantasmi,
l'obice battagliero
e le stelle iniziano ad affacciarsi sul lago-cielo che sfuma nei sogni.

Angurie masticate male da pochi denti storti,
canali irrigatori,
qualcuno si nasconde tra i cespugli.

Rovi,
grano ed acqua:
tu resti l'eco dei miei desideri contorti.

Basterebbe poco.

*

numero 121

Ahhh, l'amore mio canta
perché è poesia.
L'amore mio nuota
perché è l'abisso degli oceani.
Nei campi di fieno fresco,
gialla marea del tramonto,
suonano violini
e tutto è di nuovo meraviglia.

*

ciao, per un po’.

E niente, solito bar,
solite facce,stesso vivere calmo.
Solito paese, stesse idee.
Solita sigaretta.
Calma, ragazzo,
calma.
Bicchiere, birra,psoriasi.
Derapo con la mente
in sentieri assurdi e poco battuti.
Luci di lampioni,
alberi di natale abbandonati per la via.
Sto seduto eppure cammino.
Vedo montagne russe
e il barista che sogna in bianco e nero.
Il banco mi fa compagnia,
marmo accogliente.
Sgommero' via da qui,
cercherò altre case;
cercherò altri io da scavare.
Lui alza lo straccio,
si sta lasciando andare,
lo sento;
si sta arrendendo.
La radio passa una musica decente.
C'è poca luce,
penso a quel prato verde...
Sapete?!
Una volta ho visto morire un riccio.
Bhe...
Una volta ho ucciso un riccio.
Le campane oggi non hanno suonato.
Emitischi,
mezzi bicchieri.
E poi ho pensato ad un lieto fine,
alla salvezza;
ci ho pensato
solo che non c'era,
scusate.
E questo è quanto.