I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Le grandi storie d’amore
Ogni storia romantica è una casa che ci piove dentro, un colabrodo di pianti e rimpianti, con le sue grida e i suoi fiori, i suoi caffè al gusto di ti amo non detti -o rimasticati- e ci si bacia sempre nei lenzuoli della notte, tra vicoli e lampioni, sullo sgocciolare del cuore, come riflessi in un copione di nuvole di cristallo e tramonti di nulla, in pacifica danza coi gas di scarico.
E bruciamo la vita in denaro contante, col prossimo treno da perdere e una cartolina d'amore tra le dita, leggiadri sulla superficie dell'abisso.
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Mestizia
Mi sono svegliato stamattina e ottobre gocciolava dal soffitto. Era di nuvole maestose e piogge itteriche, era di un sole stanco che colava giù dai pioppi. Era un parco vuoto, d'acqua tra le foglie, era di una panchina abbandonata. E c'era uno stendino che giaceva nella sua solitudine, sdraiato.
Poi ho fatto il caffè, ed era un caffè da ottobre, caldo, forte. Era tutto più lento, e forse pesava di più. Forse denunciava aromi da decompressione, o smarrimenti; non saprei. Mi sarei voluto dissolvere con leggerezza di sakura al vento.
La mia umanità mi ha poi chiamato e non ho saputo dire niente. Era nostalgica e fiammante, era rosolio e gin. Ma non era che una brezza. Tra i vetri sporchi ho visto il viso della morte ed era il mio, e aveva mille volti. E tra mille pendolari, ognuno aveva il viso della morte -e ognuno era il mio.
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Fiori di sangue
Ricomincia, dunque, Danza delle stagioni!
Afferra con dita di ghiaccio, Stringi il nostro cuore, Facci grondare pioggia e candore Da un sempre più tiepido cielo.
Caro anno, Sei di nuovo in ritardo al tuo funerale. Cicla e ricicla Il fiorire dei ciclamini di sangue.
Appassisci nuovi inverni, Ondeggia assieme al mare.
Ricomincia da lì, Dove avevi lasciato, Riparti a folle corsa Nella rivoluzione del mondo -affrettati!
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Pastorale natalizia
Liberaci Signore Dall'idea del paradiso, Della purezza, Del peccato.
Liberaci Signore Dal dubbio, Quello che si sa è incertezza E autobomba.
Liberaci Signore Da Dio, Dal Nemico, Dal premio Nobel.
Dalla ragione e dal contrario di tutto, Dalle vecchie coperte, dalle pulci, Dalla tv a cinquemila canali.
Liberaci oh Signore Dai ricchi, ti prego, Dai banchieri, Dagli aguzzi denti del potere.
Liberaci Signore, Affrancaci dal peso della vita, Dal contrapporsi di odio e felicità, Da tutte queste rose, da tutte queste lune.
Oh Signore mio, Insegna la civiltà a suon di bombe, Fai sentire il tuo rancore, Distruggi tutti i profeti e i giusti e gli altri.
Lasciaci, Signore, Come bimbi stupiti davanti al mondo nuovo Senza più templi, né ministri, Lasciaci ridere ancora un po' Dei riflettori accesi Sui posti vuoti Di questo immenso teatro, Di lucette intermittenti e neve scolorita, Dei cuori candeggiati.
Assediati dal freddo, Signore, Assiderati da banalità, Persi.
Persi nel mediocre, nell'osceno, Vaganti in nuvole di Hemingway, Labbra di Esenin, Persi e soffocati da un mare di fogliame Sotto il rumore D'una Venere che piove giù dal cielo, Una Callisto trafitta, Il cigolare d'un tram.
Dacci oggi il nostro rancore quotidiano Vendica tutti i peccati Come noi schiacciamo i nostri debitori, E non ci indurre in tirannia Ma appendili a testa sotto, Liberaci dal male, Dacci oggi nuova fame, ancora voglie, Mille e mille sudori freddi, Così in cielo Così in piazza.
Liberaci dai verecondi, Dai paraculi, Salvaci Signore Da chi disserta a piene mani di famiglia tradizionale E affonda i piedi nel fango di una statale, Da chi si lava solo a messa ed è tutto a posto, Da chi si salva e si è salvato, Dai Pilato, Dai Cesari Augusti, Redimici da noi stessi, tu Creatore Ché hai fatto anche il male -e diranno ha fatto anche cose b...-.
Così in cielo Così in piazza.
Così... La terra.
Così... Il Natale.
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Poco ci manca
Si veste di nuova dignità Reclama ancora amore: Che atto brutale, In sé, La bellezza.
Crudele Vuota Meraviglia Che muore con il rosso d'autunno E risorge daccapo Con il rinverdire d'estate: Metafora d'un Cristo necessario A preservare statu quo nunc.
Rosso, dicevamo. E fermo come la terra da cui nasce E tira sangue. Rosso per annegare un po'.
Verde, si alludeva. Negli occhi di mia madre E nei suoi stanchi Stanchi sospiri di vedova.
Nei suoi Si vedrà...
Quanto disgusto, il sottotesto. Languida si scrive la parola Grondante fluido sessuale, E invece...
Reclama ancora dignità, La vita, Novembre! -Novembre...
E ancora e ancora E scorderò il tuo nome E nuova Terribile Bellezza in questa valle di lacrime.
Se non è questo Il peggiore dei mondi -fiorirà.
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E i pinguini non vi guardano nemmeno.
Due belle ragazze nel metrò Tagliano baci e carezze con sorrisi di ghiaccio Come cesoie dai loro sguardi prigionieri Genuflessi alla logica del rimmel, I tacchi dodici centimetri di mondo, Le gonne dieci centimetri di nulla palpabile.
Eppure Due belle ragazze nel metrò fissano Uno stallone latino che suda Brillantina, Pezzi di vetro sparsi, Fondi di bottiglie, Occhiaie e sensi di colpa, Così bello nei suoi denti come nei suoi desideri Rinchiusi in camicia di marca e profumo.
Eppure Tre così belle persone del metrò guardano esterrefatte Un tizio col vinaccio che canta canzonacce e maledice il messia, Scalzo, Zingaro e con una rosa al posto del cuore, bello di vita, Virus del quotidiano niente accerchiato dagli accessori, Dal pane, Dall'incubo di padri e madri minati nel loro essere servili, Abituati alla costante delusione del possesso.
Eppure, Spensierati e beati traditori silenti del loro culto, Schiere di bellissimi ragazzi Continuano a perdersi in dedali d'apparenza, Scomunicati sconsacratori di doni disperati, Magnifici ammassi di vuoto e abbondanza sulle copertine che scandiscono i loro brevi, Brevi tempi riflessi di maturità posticipate o mai poste in essere.
Ecco i nuovi tempi: Belli, sconci e di virtù negata dall'abiezione; Così vi premiano, padre e madre, per il vostro lassismo, Né onore né riguardo, i tempi che intercorreste sordi a ogni richiamo dell'animo.
Scrivete dunque poesie E i pinguini non vi guardano nemmeno.
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Errata traiettoria
Muoversi -sempre muoversi- in punta di piedi dall'angolo del cuore se, come la tosse scuote i petti, ospite della felicità altrui, il singhiozzo commosso muove musica nuova spietata e trafitta dall'eleganza di un sorriso; scriversi dentro non timeo adversa per compianta umanità all'ombra dei pianti, crocefissi e beati ai piedi del Calvario.
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Libero mercato
Mostrami la convenienza oppure portami una capra.
Leggi bene l'annuncio, noi ti regaliamo l'unto.
Sul bavero una spilla, sulla spilla lo stemma, sullo stemma la parola.
Acclamate i nuovi giudici!
Festa sui tempi-campi dei giorni-raccolto, messi-strage non curano un orbo.
Petardi e orologi, santi e prosciutti.
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Con tutta la mia inutilità
Io turista della parola tanto scritta quanto cantata, infante acerbo con sbagli adulti e duttili incubi da smantellare; io, rigo storto nell’opera, numeratore di un me stesso frazionato e ingordo che non alza lo sguardo, accidioso, invidioso, tribuno di un Cesare inesistente, io, sovrano di un impero di niente, così inutile e immenso; puoi averlo tu, lo vuoi? Io… Io con questo passo adulto che cede il passo ad un passo bimbo, a quand’era spoglia la carne e in quei prati sconosciuti e fieri incontravo gatti, lepri e volpi; nel lento volteggiare del falchetto si rivelava il profumo delle corse a venire e di tutti i fiati come orchestre nel vento, nelle strade vedevi ragazzi servi, la lana di calzoni appesi, grembiuli sporchi, eppure su quei volti vedevi talvolta la gioia umile di chi lecca i piatti del padrone per pulirli, eppure in quelle strade il calore esule di un cero oppure giochi rubati al mondo ‘’grande’’ di baci e promesse e di quei campi percepivi la distesa solida e infinita della loro solitudine fredda, talvolta neve, talvolta sole e nubi e il suo profumo intatto di cui, oramai lontano, il bimbo cerca di rievocare la sua immagine composta nella compiutezza dell’assieme; e poi… Poi il profumo delle patrie mani, d’olio e vernici, di pietra e polvere e il profumo sudato di madre, di pelli amiche, del freddo, delle pietre che rompono lucchetti, il profumo del profumo delle parole che vagavano dalle pagine di un Calvino, di un Buzzati, di Omero, di Ungaretti e avrebbe voluto urlare, senza voce, muto bimbo con passo adulto, mentre cedeva il passo al passaggio del tempo ladro, traballante tavolino di un’osteria chiusa da molto nei suoi ieri. Prendi tu, non è nulla, cara, ecco: prendi, prendi, prendi tu, prendi questo nulla immenso e inutile, piccolo, stupido bagaglio perso ad una stazione lontana dove avrei voglia di calciare via i treni, la luna, il biglietto, tutti gli zoticoni che si animano a vedermi steso e i loro ''Poveretto…'', calcerei via le etichette, ma che va?
Ubriachi a Parigi, a Mosca o a Helsinki, noi… Annichiliti dai tram sbrilluccicanti di neon, io e loro, fossimo ( almeno ) vento, voleremmo nel profumo di quelle vite distese nei campi vuoti dove riecheggia il sapore del niente, su quelle strade feroci, pagando il biglietto di quel tram con l’essere follemente buoni e ciechi nella selvaggia sconfitta dell’essere uomo.
Io… Te lo dono, prendi cara, non è nulla, questo niente, non è niente, non è niente, è solo un profumo, è solo lo spazio tra noi, aria e passi che vanno via.
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Sognando gli aquiloni
Fossi (almeno) vento, volerei.
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Refugium Peccatorum
Come minzione di luna, questi raggi azzurri, pergamene d'argento nella notte sovrana; dea morta dal sangue blu, t'adora un popolo di servitori avvezzo al possesso, alla schiavitù morale del bene, del bello, guai, guai a sentire nella nostalgia le cose non dette, sussurrate appena, guai, guai a non rispecchiarsi nei tuoi raggi, dea, o a quelli petulanti e maldestri della rosa, gua-a-ai! Nascosto nell'apice dell'aurora c'è il segreto semplice, inetto, del vostro culto: la morte e la rinascita. Generazione maledetta e baciata dagli dèi, forte delle catene altrui di cui essa pure sottomessa si rallegra nel suo odio materno partorendo, vigliacca e schiava, dinastie sottomesse e utili al possesso, all'ingenuità della sopravvivenza, fiera di sovrintendere al proprio grigiore ancestrale.
È così che corre la vita, sotto al gelsomino, nella dolcezza del ciliegio, scorre l'odore del fiume nella sua spuma sulle rocce cantando una canzone lontana ed è l'effetto di quel fiume che riempie d'animi dilaniati il cuore delle madri.
Nella città poco più d'un ruscello deviato si interra nella fiumana dei passi, si perde macellato dallo stesso scorrere che lo imita in maiuscolo e invita il mio paese a stringersi nei tacchi, ad alzare il braccio, a correre imbottigliato da un quartiere all'altro, al rione, ai campanili, alle case, alle ditte, ai cimiteri dimenticati ché tutto accumuna il possesso foriero d'un messaggio: abbiate cura d'esser grigi fino all'ultimo lotto scavato, voi, figli d'un dio morto commiserati dal padre per la mistificazione dei suoi doni, e voi, adoratori della luna che accumulate luce riflessa da un sasso, siate grigi! Calpestate!
Non fiele, no, non scorre amaro tra queste dita che pure folli ebbi da una sorte folle, né luppolo, né china, né nel fegato bagnai le labbra, amaro come il disappunto, no, non fu nemmeno carità, ché l'unico giudizio che ci resta è la purezza ed è ben misera cosa; fu forse il compianto, la compassione di me stesso, piuttosto, e del riflesso vostro che vedo in me, sono buono e mite e ho più parvenza di piccione che di sparviero, io, che dei doni feci vergogna, dei miei peccati feci mostri enormi sino a sfiorare l'astro che riflette senza tuttavia mai toccarlo, chiusi me alle stesse catene del possesso anche se mai con cupidigia orgogliosa ma il vostro riflesso delle catene in me divorò con forza di titano il colore spento che portavo con tenere, ingenue braccia di bambino e la dolcezza dei gelsi sparsa nell'odore sanguigno sulle morbide dita dell'allora, dei fui e dell'inganno fu la mia malinconia.
Nel paese, un'opera bigotta e fascista, rea di lesa maestà, di vilipendio alla compassione e innumerevoli atti brutali verso l'idea, la Parola che grida più forte Italia mia figlia di catene, di madri sconclusionate, sciagurate Italia che fingi di non odiare, ah, potessi tu sprofondare nella terra che avveleni, t'inghiottisse il mare, razza baciata e maledetta dagli dèi!
Eppure, nei tuoi mandorli v'è l'occhio di quel Dio che così tanto negasti nelle tue opere diventando banchiere, amaro conservatore come cianuro e negl'occhi la dolcezza amara e nel ventre il veleno. T'amai con tutto l'odio che possedevo e che mi crebbe dentro da che dal grembo fui staccato nei giorni primaverili d'una tenera madre con la sola capacità d'amare e che d'amore fece l'unico suo peccato grande come il cielo: nella miseria, sulla miseria, nella croce del suo vivere e soffrire amò.
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Bevendo sotto al temporale
Riccioli d'oro sfoggia un gran bel culo oggi, con quella mise, poi... Mi fa impazzire! Piove, la coltre d'acqua nasconde, disvelando ai lampi, il fondo della via, il forte vento crea onde sull'asfalto, parallelo alle vite umane. Oggi la verità sta sullo sfondo della foto, Riccioli d'oro sorride soddisfatta, sfoggia un gran bel culo.. Con quella mise mi fa impazzire! Il boyfriend, lampadato, sembra la suola ustionata della parodia d'uno stivale, dalla giacca in tweed spuntano i peli del petto e olezzo di muschio bianco: vien da vomitare. Palpitano muscoli come ruspe, batte il sangue nelle tempie, piove, corro, la coltre d'acqua bagna, rischiarando nel crepitio del tuono, il fondo della via, nuvolette di goccioline s'alzano nel vento, il mio cuore è già nella tempesta, sulla riva s'agita il battello senza far rumore implora sferzato dall'onda del pensiero; Riccioli d'oro annega, annega il suo respiro, annega un gran bel culo, annega il suo boyfriend, annega anche il vomito d'un sogno. Sferza la tempesta il mio cuore e annego dentro ad esso, piove, piove senza più far rumore e si rischiara tra fulmini e saette il fondo dimenticato del bicchiere.
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Al vento
Ti immagino lì davanti al tuo schermo scrivi il tuo pezzo col corpo grigio, intonso, coperto d'odio anch'esso intonso, puro d'una purezza strappata ad un omicidio ideale, sul tuo volto illuminato dal freddo siede un ghigno, da esso uno sputo che affonda l'ossa nella superbia adirata del potente, mi chiedo quale mano mosse la tua a ciò? Ti vedo là seduta, ti vedo rotta ad ogni compromesso, pronta a sconsacrare tutto ciò che predichi così piena di soddisfazione che rieccheggia nei cuori pavidi del tuo seguito. Del bello ho capito che è spietato, crudele e senza equilibrio, una dea pallida, la Bellezza, d'efferato effetto e nasconde insinuato nel rifiuto morale un cuore di serpi, un cumulo di veleno come un velo che distrae dalla verità. E tu, Dea, autocelebri la tua retorica stanca, ecco che il biancore da candido inizia a scurire e ciò che immagini puro non è puro e affonda le mani nel fango primordiale e nel contempo ciò che era nero d'inchiostro nero da nero inizia a schiarire e diviene chiaro e puro e fanciullesca limpidezza d'un fiume, prorompente si slancia dalle Alpi, inimmaginato abbatte argini e rive intere città e castelli e qualcuno cerca di ricostruirle, grida -Tragedia!- ma forse quei palazzi erano abusi presi in prestito ad un paradiso che non ci appartiene. Ti immagino lì a riflettere, sulla lingua un'altra sottigliezza come crescesti allora generata da lupi così abile e rotta a rivederli ovunque ché lo specchio interiore inganna spesso ma non mente mai. Mi chiedo, quale lupo non riconosce un suo simile? Non nacqui lupo ma lo divenni e dal torbido vedo zanne, canini infilzati nelle carni e in queste misere, scarne e disadorne membra sconquassate dal tremito dell'evento di nascere uomo, riconosco, rivedo me in te. Immagino il tuo livore, la rabbia sorda che attanaglia e il tuo allenato senso del calpestare; può davvero essere bello? Uno scudo con testa di Medusa, sacro, puro, meraviglioso ma volgiamo la testa altrove ad un celeste Canova. Nel paradiso della carne s'annida fosca cancrena, gronda aroma sensuale e io non sono che una casualità: un giorno -da grande- qualcuno capirà ma quel giorno non verrà, al vento riporti la rivalsa del mondo puro nell'odio sconfinato della sconfitta vitalizia. E all'improvviso non ti vedo più.
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ad Anjia P. Ettorova, con tutta la mia banalità
Quand'è mezzanotte mi piace star fuori, sentire il rumore, lo sferragliare dei treni, la sirena della stazione, mi piace immaginare la polvere di carbone, quasi la vedo posarsi; mi piace star fuori ma, oggi, sei tu a tenermi fuori, ti rinchiudi, nei tuoi silenzi il rombo del treno è rimorso, la sirena rimpianto, la polvere nel cuore e tutto piange rabbia, sconforto, sconfitta, delusione.
I passanti ridono nei colbacchi.
L'aria fresca porta pioggia, sarà la solita, stupida, tempesta. Nel vento aleggia un aquilone, forse una lanterna, non saprei, è in alto e la guardo, mi perdo un brivido d'universo sulla mia pelle d'oca, sono fuori dai tuoi pensieri, non ho più la chiave e tu non apri, sto fuori vestito come ad agosto ma s'è fatto ottobre e nessuno m'ha avvisato e tu non apri, resto fuori è gelido il sapore del disappunto, piove collera, silenzio, quale antenato di ghiaccio ti generò?
Non avevo mai pensato che da un fiore nascesse il temporale Non avevo mai pensato, affatto ma, ora che son fuori, non sento che i miei dèmoni gridare la loro voce è il tuono, il loro graffio strage e mi tocca, stupido, affrontarli in calzoncini e i passanti ridono nei colbacchi.
Potessi riportare non oro, né argento ma foschie d'amore, maciullerei i cappotti, i cappelli, le risate con la forza di un brivido ché il tuo nome procura, con quella stessa forza apri, ti prego, quella porta, il cielo nero mi ricorda che son solo, apri, apri, non ti muovo pietà?
Come spighe al vento resto e i passanti, loro, tremano nei colbacchi.
Apri, apri, Anjia, apri, ti prego, Anjia, ché l'inverno mi divora, Anjia, ti immagino lì abbracciata ai raggi della stufa, tiepida, col tuo maglione, Anjia illuminata di calore, Anjia fuoco che riscalda, Anjia che consuma, che confonde, che ripara, Anjia chiusa; marcirò nel sottoscala, nel portone, ovunque, ma i passanti, loro, ridono di me ora che nevica, ora che non scende grazia dal cielo ma solo ghiaccio e l'ultimo treno è già partito, magari l'avessi preso! Ma che dico, Anjia, perché devi essere così feroce, così deliziosa, ché mi mandi in bestia, ché mi fai volare, Anjia?! Le stelle mi rubano il cielo e il nero che mi proponi e vorrei menare calci alla luna e tu non parleresti e lame diamantine dai tuoi occhi e calcerei Dio, l'anima, la morte con un fischio a sei code, uccidendo i passanti nei colbacchi per avere solo un piccolo spiraglio!
Siete altrove, Anjia? Forse al teatro Nouveau, tra applausi di marionette? Al cafè, confondete belletti e smalti col ghiacciaio del vostro petto? Dove siete, Anjia? Al cirque? A smarrire il vostro sorriso tra la folla? Voi non rispondete e a me resta il mio niente che ho sempre avuto, mio, niente, nient'altro che uno sputo scaraventato qui, sulla Soperga, a morir di niente ché di poco pur si vive.
Nel fragore della fragilità mostruosa, la disperazione, compagna pure dei passanti, esplode in coriandoli di silenzio come bomba nella valvola mitrale sullo sfondo del gelido inverno.
Aprimi, Anjia, sia pur per un istante, ritroveremo parole nuove.
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Sulla dinastia dei lupi (lettera dal mio tempo)
Mi chiedo, in silenzio, quale squalo vi educò? A cacciare pesci piccoli, che piccoli, poi... Arroganti, come voi ma più deboli.
Quale lupo, vi crescette? A caccia, costante, sfrenata, nel grembo dei vostri simili, con essi, in essi, per essi, ché condannate con duri morsi, feroci, nel viso un costante ringhio.
Apertamente, gelido, mi chiedo quale bestia insaziabile rese sciacallo la vostra anima tanto e fate a pezzi l'altre, senza rispetto, amore, educati a sbranare, calpestare come cavalli al trotto, folle corsa al fine verso versi di tomba: qui giacette lo spirito Umano.
Quale genitore senza riguardo, servo v'insegnò a servire, in ginocchio e pronunciar bestemmie, accontentandosi d'elemosina, dello sporco sui piatti da lavare, a fingere di non essere sé, in continua lotta col perdere.
Quale coniglio con orecchie basse dai secoli dei secoli, v'abituò a scappare dal peso, dal soffrire per l'evento d'esser uomini?
Quale gorgone vi fece così duri? Quale chimera vi diede una faccia e tante facce? Chi vi fece così, gonfi d'odio, ottusi e, per di più, superbi?
Quale Pluto vi generò? A prendersela con chi ha meno, leccando chi ha di più.
Quale padre, quale madre non sprofonda nel vedervi così? Solo avi come voi, vigliacchi, servi, odiatori.
Ecco, dunque, la vostra stirpe: nei secoli v'annidò bestie e come bestia veniste, come serpe ricolma di tòsco, utili imbelli, utili al sistema.
Nel rosso pudico di novembre si incammina la sera su sentieri antichi, distanti dalla giovinezza di luglio, così simili, entrambi, a quei ragazzi un po' giovani, un po' vecchi e, malgrado posseggano solo vecchie parole stanche, riciclate, non vogliono accettare, né conoscere o capire se non sopraffazione, cuori di scaltrezza recalcitrante ché non sanno che menzogna, impotenti dinnanzi ai moti dell'animo, tuttavia, sfoggiando abiti, il sudore altrui li rese belli, mostrando smartphone, scarpe lucide, lucidi sguardi di cupidigia fuor di gioia o furore rubati al mondo dei grandi o simili e lontani ai modelli di tv, così come il tramonto imita l'alba nell'unica regola del rosso. In questo panorama, ultimo, un tir svanisce all'angolo tra l'ultima ditta e il nulla e penso alle gesta di coraggio lepresco dei miei avi come nello spegnersi del giorno, a Pioltello, si tengano, labili come raggi di sole, aleatori barlumi di speranza ferina, la normalità di una casa, del salario, ottenuti pensando a sé, senza rispetto né pietà, calpestando, mordendo, strappando via brani di vita al giorno per scoprire, poi, che quel dolore non finisce nel calore d'una notte; non peccatore, no, né uomo, assumo la mia colpa, con vergogna chino il capo ma, il pianto non serve né gli avanzi che, generoso, distribuisco e penso, ancora, al candore innocente, veritiero, del cuore delle madri le cui mani stanche, arse, unte, han creato sguardi lacerati e vibra odore di strage nel perdersi, unica mia dote, tra gli sguardi eterni d'un settembre in permuta continua: è pure mia la colpa! Costruite mondi a debito nel deficit orgoglioso del fallire strade comuni, uguali ai vostri uguali, persino peggio dei predecessori, nel terrore costante, rigoglioso e magnifico, del diverso, dell'abbandono, della povertà.
Nella sabbia d'un quartiere popolare, il cornicione cade giù, sventola un lenzuolo e una pecora cade dal nono piano; si sente odore d'aglio, spezie d'Oriente, canta il Muezzin.. È forse questo che non volete? Il rimpianto per le nonne nei campi, della chiesa la domenica, quanto si stava meglio... Già, fosse stata epoca facile, non bigotta e fascista, ognuno al suo paese grondando frasi di dialetto, morire di febbre a sei anni.
Ricordo quando la carne, spoglia ancora di peli, era carne senza amore ma carne d'affetto, di gloria, osservavo le vacche sognando, avrei fatto il pastore, avrei fatto l'amore con la vita benché educato a sogni solitari, volgari, da pastori. Eppure sgorgano sorrisi ebeti da quei giovani: respirano l'inverno senza conoscer neve, né sole o grano e rombano al suono di autoradio con soli quattro quarti e troppi decibel senza passione, né controllo, solo risultati da comprare, educati a non volere, colmi di stupidi desideri materiali.
Non è questo un mondo triste? La parodia dei giorni, il non rispetto della diffidenza, il sospetto, lo scappare dal senso vero della ricerca, del ricercare il proprio senso, del fuggire dal mondo vero negando, blasfemi e senza razza, se non di bestia, i richiami d'un mondo colmo d'amore, di tristezza, di meraviglia, di unicità non è questo l'orrore? Cosa resterà se ci rubano l'avvenire e pure i sogni? Quale notte, infine, vi rese così bui nell'animo, così... ciechi?
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Rivoli dacqua per fiumi di sabbia
La bellezza è un cane che piscia controvento.
La bellezza è un amplesso nel sottoscala.
La bellezza è che 'stasera non piove.
La bellezza è finta democrazia populista.
La bellezza... Fottute parole al vento che riporta tristezza.
Corri a perdifiato, grida, grida, urla ché la luna, gl'astri, il deserto sappian la sofferenza, la fatica, lo stress, il malessere.
E poi taci. Taci mentre già fischian l'orecchie, da lontano s'ode già il falò, lo sfregio meschino d'un vivere che non sa di vita.
Non è natura il mondo degl'uomini, la bellezza è parola vuota, un niente che vuol esser tutto, insignificante per il cosmo.
Trova bellezza in un barbone che stupra una ragazzina, cerca bellezza in un ladro ucciso perché cercava pane, scopri l'interiorità mentre ti rapinano.
La polvere ha un peso, la bellezza ha solo un contrasto ed è tutto un malinteso quando... Scende sera la fiamma più piccola nel mondo più buio è la più grande luce; brilla Un fiammifero può bruciar la notte.
Rivoli d'acqua per fiumi di sabbia.
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Mattina destate
Zagare, caffè, il fornaio... Voglia di partire.
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Le donne innamorate
Le donne che s'innamorano hanno un cielo blu negl'occhi un sole nel cuore, sognano rose, si spogliano del presente fanno l'amore col domani, con l'idea che le travolge; stese sul fiume delle lacrime di ieri si perdono e nei sentieri del magari ricuciono speranza e cuori rotti, scongelano pezzetti d'anima col fuoco d'una passione nuova.
Bruciano i palazzi della sconfitta, sulle macerie sboccia il sogno.
Poi il destino, poi i chissà, e le donne innamorate, innocenti, sapranno un come e sapranno il quanto, sanno il pianto, sanno l'estasi, conoscono i sorrisi, ricordano voci di dolcezza, giardini di fiori nuovi e un quando che dà speranza sui vetri sparsi dove non ci si taglia.
Canteranno ancora guarderanno più lontano fino al velo sull'altare del divenir famiglia, mano nella mano troveranno un'altra mano e diranno vieni via con me al limite all'infinito o piangeranno vedove luce di stelle morte anni fa su vanghe sporche per seppellirsi a fondo.
E Sirio e Marte e Venere son sempre là, a risplendere negl'occhi delle donne innamorate.
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Di amanti nel vento
I ragazzi si baciano in auto parcheggiate nella notte, s'amano su sedili al sapor di nuvola, balla la pioggia un tip-tap sui vetri dei loro vent'anni, stelle d'un rosso Caravaggio spandono luce pietosa fino all'alba che brucia come un neon nel buio d'amori rubati, il passo furtivo d'un gatto regala ricordi che aleggiano nel tempo col profumo di un sorriso.
Persi in sentieri d'innocenza si baciano i ragazzi nel mondo che è una favola e sudore e finestrini appannati di condensa nell'attesa d'un vibrare dell'anima.
Il soffio del passato tornerà un giorno con ali che battono nei cuori e rosa che pungula nel ventre e i ragazzi si baceranno ancora davanti a dei vecchietti; sarà tempo di ricominciare a splendere in lacrime felici, nello spegnersi degli anni una voce sottile, imperiosa, timida dirà: Amatevi! E dal cielo sarà... di nuovo luce.
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Mia moglie
Lei che è le rose e la Turchia, lei che è cioccolata e malinconia, lei, sempre lei, solo lei.
È che sei schiavo e non lo sei, è che è tempo di giocare e che tempo ancora c'è.
La canterei, la terrei, la baciarei, mi farei schiacciare!
Lei che c'è ancora tempo, che mi caccia le bestemmie, lei, sempre lei, solo lei.
Lacrime e miele, il Nulla, la Poesia e anche oggi sà di te.
Lei che è le rose e la Turchia, il mio orizzonte, amor e malinconia.
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Come da bambini
Occhi vuoti da strada, polvere sui piedi, chi vuol essere un pirata?
C'hai il culo al freddo, scarpe rotte e calzini fradici; dove sono i giorni felici?
C'hanno rubato il tempo, il cielo e gli astri eran già finiti; han fatto palazzi a-a-alti.
Così sia, tiranno ventricolare, hanno fatto il vuoto, la chiamano umanità; hanno appeso manifesti, dovevan penzolare loro e tu, atrii e vene blu, l'hai lasciato essere.
Ti ricordi quella birra al parco? C'era il sole, un battito di vento e piccoli capezzoli rosa... Era anni fa! Ma lo sputo che ti parlava allora, catrame nero scivolato giù dal mento, tossisce ancora e ancora non riposa.
Scaraventato con occhi vuoti da strada, cerchi nella testa un'ellittica di fuoco e tieni il culo al freddo.
Vuoi essere un pirata?
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Ode al barbone scemo
Sta lì, cincischiando pronomi mentre la ruggine si fa sera. La sera della vita piove, scialacqua aggettivi, nuota nell'aria, eguaglia rondini e, nelle sue code belle, viaggia silente; sta lì, gambe incrociate, pioggia di colori nel grembo, cielo di biscotti, soffio di carta velina.
Gravida di profumi, incombe la boscaglia e proiettili di cedro. Vedremo cosa c'è di là, oltre la rivoluzione di Nettuno, dopo i cerchi infiniti della notte, tra l'odor di viole, in pascoli verdi senza confini.
È un paesaggio d'alta marea, è solo nuvole nel cuore; sta lì, il Nulla lo percuote, è pioggia di colori tra la pioggia stessa, nel rosso della ruggine che, silenzioso, si fa sera: unico, lento, bramoso Addio.
*
Banchetto dossa
Lucciole di latta, specchi d'alluminio, dal luminìo della vetrina messaggeri di prosperità: vendiamo armi ai bimbi!
Viva il PIL!
Lucertole su muri caldi, mine anti-uomo, ci stupreranno il cuore messaggeri d'umanità: uccidiamoli a casa loro!
Viva la Nazione!
La banda suona in piazza, danzeremo sulla strage.
*
Smettere il cuore
In una sera ho imparato il mio nome, sperperato, spergiurato e sconfitto l'animo.
In quale... Mondo dovrei...esistere?
Se fumassi furia, le mie dita sarebbero tuoni di ferro, strazierei con l'acciaio l'ebano freddo della notte fino a stracciare la luce delle stelle, il loro caldo eterno brucerebbe... I loro raggi!
Chi sei tu, o pianeta, astro, luna, chi sei per impedirmi d'urlare?! Piegherò la gravità in buchi neri, neri, neri d'odio e caliggine di rabbia, infiammerò il serpente piumato all'orizzonte degli eventi!
Se il mio cuore ordisse tele di versi, spiccioli di valor prosaico albe rosse dopo tramonti efferati, mostrei occhi di strage, vermigli; chi sei tu per dissetarti da questa fonte?!
La mia fronte caverebbe lacrime di sale a tutti i fiumi della terra! Spegnerei con acqua di sudore le scie dorate delle comete all'angolo della galassia, la Russia, l'Afghanistan, la sera eterna dell'equatore.
Ma l'istinto ferino agonizza, bestia goffa che bestemmia... La mezzanotte, il cielo, Dio...non resta che passato, in quale... Mondo dovrei...esistere, inutile, silenzioso?
*
Non me laspettavo
Quell'alto richiamo d'una forza maggiore, quell'attrazione sfrenata, giusta o ingiusta che sia, ma giusta debba esser che sia volente o contraria per esser sé, se resta sé e sempre è stata inconsapevole o no o se, mentre vive, maggior richiamo non la colga in fallo e sempre giusta per sua virtù rimanga; vampa che dilaga e impone e frana e che poi tutto appiana nel suo maremoto, la schiuma non la piega e l'oceano affoga, se riesce d'appicarla, il ghiacco la proclama sua regia, giusta e cara forma: la ragione che creò la bomba h. Ah-ah!
*
Questa non è unode
Nuvole di garza, l'orizzonte ingoia se stesso, i gatti verdi scivolano, carcasse colorate e contorte, i mattoni brillano di blu, gl'ammassi di lamiere fulminano i passanti nelle loro barbe.
Tra gl'ostacoli di primavera, come in una corsa dell'anno, preventiva un'altra stanza buia, un ricamo di solitudine.
La chiamano fame, è meglio d'una sola nocciola, d'una castagna fiorita o, forse, d'una solitaria cipolla.
La notte fasce brune ricopre, urlando, il nome di Borea; ricordi, tu, Apollo abbandonato, com'era bello respirare liberi? Ma tu non ricordi, non hai mai saputo, no, non una botte di coltelli, un'otre d'ossigeno celeste, non un pianto silenzioso.
Anche il cielo lo saprà, frattanto, sarà meglio lo scoprano gl'uomini, ché Prometeo è incatenato.
La chiamano fame, è meglio che morire soli. E un coglione non legge il titolo, la chiama ode, è solo farina marcia.
La battaglia tra i mattoni e le lamiere: si perde tutto nello scoppio, nuvole di garza e orizzonti che ingoiano sé stessi.
Una moto scoreggia gas di scarico, se ne và; non resta che aspettare, il tuo tempo è finito, vecchio, entri il Nuovo urlando, si faccia la fanfara, si rovescino le botti, ché i coltelli siano araldi! E i gatti...colino altrove, sulle vestigia dei violini.
*
Un inutile poemetto
Nel buio la notte sussurra parole d'amianto sul manto nero dei raggi stellari, i manoscritti d'una luna di latte sono persi in un mare che soffia sette venti, nove onde e venti grida alla terra, -sono il Mare!-, urla, nella furia batte e sbatte, si dimena mai stanco, furioso e schiuma e lampo e rombo accecante, Lei, quel dono di Biade, si ritira, poi riemerge, l'amore per quello stupro è profano, selvaggio, non c'è ritegno e la lotta si fa graffi e insulti e stride pure lei gemendo.
Si fa il giorno e la passione dei due amanti si placa, il sole, marito di quell'Antica, vendica le grida bruciando lei e inaridendo lui; frattanto, gli scogli, si consumano, unici testimoni del fedifragio.
A tutti, indubbiamente, sembrava esagerato, vociare di sabbia, musica per nottòle, strepitìo dei marosi e colori di maree ma nessuno vi badò e nel mio quartiere, il barista sconcio, continuò ad annacquare i suoi veleni.
Le mosche ballarono ancora un lento sul blues della rena incandescente, la morale, se v'abbisogna, è celata tra le righe d'un tempo stanco, gli stercorari brancolano, da lontano s'ode il cigolìo d'un cancello unico lamento figlio d'un tombino annegato.
C'è odore di mimose, oggi... Oggi c'è un batter d'ali e un mondo scivoloso, oggi si perde sulle corsie dei tram.
*
Sembrerebbe
È un'epochetta dappoco, non nascono angeli nell'inferno né fiori sui tombini; muoio un po' ogni volta, maledetti grammar nazi, un congiuntivo, un condizionale, un gerundio... Petali d'un fiore che comunque profuma. È un'epochetta dappoco, s'approssima, si sovrastima, si ridimensiona e il ridicolo...
Sarà il giorno in cui muoio, saltimbanchi, fiera e frittelle, sarà whisky, birra, miele, sarà che, comunque sia, i fiori profumeranno e i ragazzi faranno l'amore, le nonne la pasta, le virgole le pause e il vento il suo vociare; nel mare musicale, i pesci piangeranno, se si muore un po' per vivere bere troppo è annegare e sarà il giorno dell'annegamento: meglio d'Agamennone.
Non vengono angeli dall'inferno, un'estate fa ballavi musica dappoco, il caldo era isterico, il vino fresco e l'ormone... Puzzavi di sogni, grondavi aroma sensuale, rimbalzavi tra le note, gl'accenti... poi l'inverno ti sorprese... ...piangere, ci credi al blues? E al reggae? Credi alle scale che suonammo?
I ragazzi accarezzano gin e tonica, le vecchie pietre non parlano più. Qualcuno ha rubato il vestito blu d'un tizio, veniva da Marte, altri hanno venduto facce, libri, foto, dita e fuoco d'annate anime dannate e note poco note nei giochi di parole. La rima li seppellì tutti, la loro famigerata Bellezza, che poi, cazzo sarebbe?!, li sbranò con godimento degl'ultimi.
Nessuno guardava al povero, il barbone non è abbastanza... ...Bello, così, Bellona, Bella, Bellezza, cacciò i denti in carni amare, il pazzo fu vendicato, la troia retribuita, il popolo ri-volgarizzato. I trivii riscrevettero la storia.
È un'epochetta dappoco, basta inneggiare all'ora dorata, ai canyon, all'amor cortese; vedo solo gente, vedo scopate furtive nei sotterranei, plastica negl'oceani, plastica nell'eco, plastica nei cuori, gente che il perdono... ...ha abbandonato. Pensi che la musica salverà la tua indole da coglione? E la poesia?
Non vengono angeli dall'inferno, preferiscono restare al caldo, se questo è il paradiso. È un epoca di morte, sarà che un giorno i fiori canteranno, tornerà dall'inferno, la luce sconfitta, sarà l'amenità, e le bottiglie saranno ancora... Svuotate.
Fine.
*
Lo zingaro scalzo.
Lo zingaro balla, poi smette, si siede.
La bionda bacia il vecchio, lo zingaro di fronte sventola una birra doppio malto.
È un amore da discount e la mattina è fatta di nuvole di caffè.
Nessuno più si scusa d'esser sé, né il rimorso, né il rimpianto.
È tutto un -Io!- È tutto un se... Vuoti specchi rotti, malinconia.
La bionda bacia il vecchio, poi sparisce nel miraggio, lo zingaro rutta e se ne va.
Gli addii si susseguono, le ruote nei loro binari sussultano e io ho visto un vecchio piangere; solo lo zingaro ride e riprende a ballare, per la via.
Nella foschia resta un rutto e una doppio malto, vuota.
Gira così.
*
Una sera come tante
La facciata di fronte è uno straccio rosso bagnato di gerani sul fiume blu della sera, il campanile eretto sullo sfondo buca il cielo rintoccando ore cieche mentre i capelli della notte s'adagiano piano, distesi, ondulati e fragranti sul mondo degli uomini; d'ogn'avventura è pregna l'ora e di calici e di tazze fumanti e ora il riso, ora il pianto, illuminano volti e culi.
Solo le scimmie, dai loro banani, dormono già da un pezzo.
*
Città dautunno
Sulle grate della stazione fiorirono i barboni, le coperte e il vino mentre, sul filo profumato e azzurro d'una caldarrosta si perdevano le sciarpe dei passanti.
Nell'aroma d'un caffè, poi, si discuteva del più e del meno, sulla banchina i treni-soldato stavano ritti, schierati, per affrontare qualsiasi luogo e, intanto, il tempo fendeva l'ali di mille addii lungo le lame dei binari.
Il buio delle quattro s'inghiotti' tutti, nei lampioni opachi e foglie gialle la buonanotte di Milano si cullava degl'osti stanchi, degl'ubriaconi, delle troie e di mille e mille malinconici... Arrivederci.
*
Tu, mia Africa.
S'ogni atomo, sfregando nell'aria, sognasse, se, distratto, ogni elettrone s'arrischiasse a divenir concreto, e se, spigole sibilanti saltassero s'ogni onda, allora s'adagerebbe, spesso e mancino, un canto delle tue care dita.
Sembra ch'ogn'ora s'adagi nelle tue palme.
*
Sotto al sole
Profuma di sole Lei Appare pian piano dal guscio I suoi vestiti crollano Mostrando strage di rose Tra i seni Sentori di fiori Sulle mani Zuppe d'anima sulle cosce Sue Le apparenze Le forme colorite Il mondo.
S'inchina il mare al suo apparire S'accende il tramonto Nel suo ridere Cieli e cieli E castelli.
L'estate è un mango maturo Succoso e colorato Nel suo pugno chiuso. Tutto sgocciola.
*
Te la caverai, vecchio
Saranno tutti I migliori angeli della nostra natura Guideranno la realtà
Sarà il fuoco Ad essere reale E l'inferno brucerà di noi.
In cinque minuti Atterreranno l'oro, le docce, Gli spruzzi e perderemo sangue.
Tutto scivolera' via... Due dita nel cuore La follia...
Tutti muoiono... Scivola via...
*
Bevendo a mezzogiorno
Ne accendo un'altra Bestemmiando, Il fumo scivola sull'aria umida, Appiccicosa, Appiccicoso come il tavolino, Liscio come un boccale vuoto.
Questo tavolino, Questo mondo... Tutto sembra un angolo di deserto E...illusione.
Sudo.
Chioma-di-fiamma fischia La voce non taglierebbe l'aria, Il cane s'arresta e torna, Scodinzola; Sono quel cane Va ben tutto e zitto, Torna indietro.
Zitto.
Sudo.
Tacere è silenzio aureo, Parlare è rumore cristallino, Scrivere è defecare: La merda e il cristallo non piacciono L'uno all'altra, Una è utile L'altro no.
Il fumo scivola via ostinato, Le rotaie sono sempre là Mi ci affetterei soffrendo Ma io, forse, Sono il treno o, forse, Il cartello benvenuti nel deserto.
La parola manca Così i ricordi Così il controllo... Dicevo?!
Sudo, Lei è andata.
Nel mio carcere di nulla compare Annoiata e stanca La cameriera, Il cane è andato, Nel deserto senza ombre ho incontrato per caso la birra. L'avevo ordinata io. L'avevo ordinata?
Il fumo scivola via Ho scordato il resto, Illusioni Miraggi... Rimango qui Sabbia sulle dune, Birra, Sudore.
Ciao scarpe rotte, come stai? La vita sorride poco, dico... Ordinane un'altra, dico, Ché al deserto non basta E nessuno vuole abitarlo.
E un pazzo scuote il faccione rosso, Beve tavernello e se ne va Inseguendo il fumo.
La strada è sempre stata lì E così le dune.
*
Parmigiana 2
Tu, di viola vestita, Scintillante parmigiana Dal cuore filante Profumi di primavera, Dell'estate dei bambini, L'autunno ti si inchina, L'inverno ti incorona, Principessa, La regina ti prepara E al mio fianco sorride E finalmente c'appartieni.
Tu, parmigiana, Sei un atto d'amore.
*
Verde ortaggio
Aaah broccolo Vesti fiori verdi Sulle povere mense, Dal tuo tronco nascono alberi, Foreste e, Unito all'aglio, Mi fai piangere
*
parmigiana
Dapprima riluce, è il viola del mondo, tondo profumo selvatico e domato abbandona la sua verde corona è la regina dalla polpa presto dorata, la melanzana e le sue fette; l'aria s'empie d'aroma fritto, il fratello suo degno, intanto, sugoso pomodoro, scoppietta là vicino, il basilico s'adorna di tutto il suo mestiere, la mozzarella, orgoglio del casaro, appresta il suo show filante e saporito. Lei, timida e scintillante sovrana, Lei, dal cuore di diamante sognata da tutti i fiori, amante del buono, amica del futuro e della terra, s'unisce alla sua famiglia la tinta del tramonto ha abbandonato la sua corona e così unita risplende nella gloria.
Noi, occhio nell'occhio, al suo comparire vestita a festa, scambiano sorrisi dolci, calici sbattuti, il cuore si colma, il tempo si placa, nel nostro amore la luce regale, felicità e la certezza che una cosa sola sia meglio. Tu. Io.
*
un folletto nero forse sobrio
È che tutto incendia e tradisce
E l'uomo nel buio aspetta tace e continua a fissare. Indossa un cappello. Veste un sorriso da squalo. Ha disegnato liquori e veleni negli occhi neri neri
E infilarmi una mano dietro agli occhi e giù per la gola strappare per me da me le cose che dovrei avere toccare con mano viva Cuore Cervello Ossa Budella Anima Prendere ciò che è mio macellandomi vedere flebile luce d'ottuso sogno al fondo foglie sanguigne d'autunno così sanguigne d'esser fiume a ricoprir la strada
E l'uomo nel buio aspetta fissa e tace e veleno e corrotta seduzione e prende a mano viva guinzagli stelle morte cavezze di cieli avvizziti e freddi impugna braci che sciolgono nervi Legamenti Giunture
Padre Padre Padre...
L'uomo nero nel buio aspetta nella sua bombetta sarcastica fissa con occhi disegnati e, appena, una lacrima lo vela di buio più buio del tosco
Conoscevo allora, infante modesto, un giovane paggetto si rotolava tra le cosce amava patria Lume Bucoliche Gioventù E della sua età diceva esser morbida come erba al pascolo o mobile vento di terra quando il mare cala l'ombre sulle dune nei palloni dimenticati. E quel paggetto morì di suadente morte giocando a carte.
E l'uomo nel buio aspetta adulto forte morde con dente da squalo parla parla adesso di parola terribile e giocosa e carcasse putrefatte ai suoi piedi trucioli di canto scordati da ruderi di ieri o macerie di domani. Parla Parla adesso e vorrei nuotare come l'uomo nel buio nuota essere la metà almeno affascinare come esso affascina e farmi trascinare nel buio, scricciolo ignobile, Me, moderatamente sobrio, dove colli rotti rimano col rimanente nulla.
E, ohimè, la notte m'abbandona vorrei vomitare il blu sirena sparire nei sentieri rossi dell'uomo dentro al buio, una sciarpa al collo a dondolare dai rami in giorni d'inverno Lacrime E cappelli.
*
Se non fosse che realtà
E ti cerco, ti cerco in ogni bar, nelle nuvole sconosciute, ti cerco nelle facce, nei discorsi dei passanti, ti cerco nella notte, nella fonte sospesa dei pensieri, ti cerco in un panorama, nello sfondo, sui primi piano, ti cerco nei profumi, nei sussurri e nei volumi assordanti, e ti cerco, ti cerco, ti cerco... E la sera scende, i sorrisi sono solitari, il cuore salta a tratti. Ho come l'impressione che... Vorrei sdraiarmi!
*
peperone mon amour
Il polposo peperone veniva spogliato della sua pelle ormai bruciata rivelando un colore allegro dall'aroma di giardino e buone mani colorato dal sole amato dal forno adorato solstizio di un dio ormai mangiato; e il basilico suo fratello fatto a pezzi e gettato a verde pioggia e l'aglio suo grande amico anche lui squartato e vinto cedevano entrambi alla primavera dell'oliva spremuta mischiandosi con fragore alle carni del grande imperatore dal profumo proprio d'un giorno d'amore.
E così ebbe fine la dittatura dolce del più grande degli ortaggi, senza pianti senza santi e il giorno conobbe ancora armonia, il giorno si coprì di gloria e regnò, ancora, sempre, allegria.
*
mari sporchi
Volevo scrivere un racconto, una storia che parlasse del tutto e del niente, delle strane idee che ho per la testa, del vino che vorrei bere, delle macchine solitarie e raminghe che passano la notte cantando canzoni a squarciagola, volevo scrivere qualcosa che togliesse il fiato ma poi mi sono ricordato che: dietro ad ogni amore™ si nasconde un nome ed un cognome dietro ad ogni cosa si annida un'idea e che in realtà non me ne frega niente. Sopratutto quest'ultima.
E ho l'anima sporca di catrame.
*
cera un dio solitario seduto al tavolo del bar
E il vento soffia e porta sabbia, è un vento caldo e senza nome affonda nei visceri dell'uomo.
Dio guarda con pietà senza amore.
C'è un sub-normale che abbaia ad un caffè, è grasso da morire dalla sua fronte colan vermi.
Dio guarda con stupida alterigia.
C'è un autitistico, ogni tanto sfancula il sub, ogni tanto mi deride; accarezza le gambe d'una bella donna.
Dio guarda con commiserazione.
Ho un violino in una mano, nell'altra un ventilatore cinese e un doccino nuovo nuovo.
Dio.
Qualcuno ha sparso dei libri su un tavolo, sono tanti libri. Qualcuno li vorrebbe leggere tutti, qualcuno catalogarli e riordinarli, altri cercano solo ciò che vogliono. Molti libri sono brutti.
Dio sorride degli sbronzi lasciati soli sotto al sole.
Han detto che tutto cambierà, cercano speranza, creano veleno.
Dio porta degli occhiali da sole, sorride un po' irritato e se ne va.
Mi toccherà pagare.
*
un altro me in unaltra estate
Nella prima notte d'estate Trovò l'amore Una vita fa.
Scivolò nel sangue Giù Fino al cuore.
Era una vita fa Era mille canzoni fa Son passate miriadi di arance.
Lo stiletto era piantato.
Nel proprio letto Nel proprio letto Nel proprio letto...
Ora passa il tempo a giocar d'azzardo Ora passa il tempo fra terremoti e maree Ora è diviso tra la luna e i sogni.
L'incubo alla fine d'ogni fiaba è lo slittare degli eventi L'incubo alla fine d'ogni fiaba è il passare del tempo.
Nel primo giorno d'estate Perse l'amore Era una vita fa.
E mille lacrime sulle gerbere nelle sabbie di discariche fumanti Se le portan via il vento tra le dune E il ronzare sommesso d'un ventilatore stanco.
Era un anno d'una vita fa in cui non piovve Se non ceneri di angelo.
*
canzoncina per il vento
È un sabato di giugno, estivo, non scolastico. È un sabato di giugno e un altro funerale ha battuto alla mia porta.
Il clima è soffocante. È un sabato di giugno e sudo birra nella mia bella camicia stropicciata. Sono innamorato. Lo sono perché l'amore è un cane ritardato e morde forte al culo. L'ho coronata d'amore e gloria.
Parola.
Quelle due mie non-amiche passano il tempo a parlare di capelli. Una mangia un ghiacciolo con volgarità, l'altra s'abbassa il vestito alzatole dal vento. Dovremmo avere qualcosa di più interessante da dirci. Tutti dovrebbero avere qualcosa di più interessante da dirsi.
Come si può vivere tra un funerale, un compleanno e un altro funerale? Ci sono quaranta gradi. È un sabato di giugno e sudo birra nella mia bella camicia stropicciata. Ti tolgono la vita...
Ho finito le sigarette.
È un sabato qualunque E ciò che davvero conta, oggi, è una canzone per il vento mentre tutto passa come un miraggio di sole.
Mi fate accendere?
*
tratti da cancellare
Con una matita poter scrivere e cantare, come una matita poter scrivere e gridare.
E come ghiaccio e come neve, poterti congelare e farti male.
Mio amato odio, acciocché tu capisca il mio odio per il tuo amore.
E nuvole e gatti neri per poterti maledire e case rotte in cui abitare.
E graffi per capire.
E sputi.
Il domani c'ha segnati con marchi bui, come una matita, poter scrivere e morire.
*
la calma dun po di pace
Vedo più poesia in un bel culo che nelle piramidi d'Egitto.
Vedo più magia nei capelli d'una donna, nel suo seno e nei suoi fianchi che in tutte le pietre e rocce smorte o nel volo delle api.
Il tuo volto sembra un Kandinskij di gioia e ghiaccio shakerato con una fetta di limone, altro che cayenna!
Ci sono più risate in un wisky sour con un goccio di campari che nelle battute della tabaccaia. C'è odor di pace che vien dai peperoni arrosto, dai carciofi e dal profumo di frittata.
Vedo molto vino nelle mani degli anziani che il perdono non ricorda e fame e ignoranza e pestelinza, c'è più vita nei quartieri disagiati che nei parchi di villette, ma se giro il mondo coi tuoi occhi e nei tuoi occhi, e se m'incendio davanti al tuo sorriso a gambe aperte, allora tutto può aspettare domani.
Un milione di cadaveri per un solo bacio.
Oggi va così, ho la mia birra e ho perfino voglia d'un gelato.
*
gocce di te a pagamento
Meno male che vien sera, meno male ci sei 'stasera che almeno si campa un po', meno male rinfresca il giorno, meno male che c'è un ritorno che almeno si ride un po', meno male che quando viene sera, scende sera e con la sera vieni tu e un po' di tutto questo amore batte sul marciapiede in quattro battiti all'unisono. Tutto quell'alcool da bere e una vita sola per vederlo sgommare via perché questo amore morde al culo come un cane con la rabbia. Meno male che vien sera e con la sera meno male ci sia speranza.
*
gambero al bacon
Quieto, il gambero arretrante, si spogliava della dura corazza e, fiero, denudava i suoi visceri croccanti poi, come vantandosi d'un vezzo, si sciacquava delicato in acqua fredda e vestiva il saporito suo vestito rosso della sera: bianco grasso di maiale scintillante. Così, fasciato stretto, si tuffava in un forno caldo e si offriva a noi, spettatori inerti ed esperti di golose bellezze col profumo proprio d'un'ora allegra.
*
fine turno
La bellezza delle bellezze si nasconde, sta al fondo di serate troppo lunghe, le luci sono arancio, l'ultimo tram s'avvicina e se ne va; facce stanche, sguardi marci e denti sparsi, in quell'ora girano, errando, cuochi, puttane e ubriachi a confrontare i loro guai; qualche volta le tre cose coincidono... Ogni tanto un avvocato, uno studentello pieno di paura un travestito o uno sbruffone in cerca d'avventure, certe volte... Se ne sta lì, celata, la bellezza che passa e se va mentre i camerieri smontano e accendono sigarette al buio, un biscazziere chiama carte, girano i dadi sulla sfera che ruota, i più fortunati sorridono, per gli altri arriverà il sonno o l'alba, certo, dopo il prossimo whisky.
*
numero 110 (libero in un vento...)
Oggi la pace profuma, sa cielo blu, alberi imbottigliati dall'aria e torrenti stagnanti.
In lontananza, come fosse vicino l'altrove, si sente rumore di risacca tra le fronde.
Oggi è un giorno di pace marrone, lì alla mia sinistra vedo, con occhio scuro, una coppia.
C'è chi ha una donna, campi blu e qualcos'altro, io...
Io non sono nulla, solo pace disperata e il silenzio, in silenzio scorro tra le fronde.
*
numero 119
Campi gialli agitati da un vento che trasporta violini come una risacca, torri viola scosse tra tremori infanti e ruggini di fuoco su pareti sgocciolanti.
In lontananza tuona la civetta verde dei fantasmi, l'obice battagliero e le stelle iniziano ad affacciarsi sul lago-cielo che sfuma nei sogni.
Angurie masticate male da pochi denti storti, canali irrigatori, qualcuno si nasconde tra i cespugli.
Rovi, grano ed acqua: tu resti l'eco dei miei desideri contorti.
Basterebbe poco.
*
numero 121
Ahhh, l'amore mio canta perché è poesia. L'amore mio nuota perché è l'abisso degli oceani. Nei campi di fieno fresco, gialla marea del tramonto, suonano violini e tutto è di nuovo meraviglia.
*
ciao, per un po.
E niente, solito bar, solite facce,stesso vivere calmo. Solito paese, stesse idee. Solita sigaretta. Calma, ragazzo, calma. Bicchiere, birra,psoriasi. Derapo con la mente in sentieri assurdi e poco battuti. Luci di lampioni, alberi di natale abbandonati per la via. Sto seduto eppure cammino. Vedo montagne russe e il barista che sogna in bianco e nero. Il banco mi fa compagnia, marmo accogliente. Sgommero' via da qui, cercherò altre case; cercherò altri io da scavare. Lui alza lo straccio, si sta lasciando andare, lo sento; si sta arrendendo. La radio passa una musica decente. C'è poca luce, penso a quel prato verde... Sapete?! Una volta ho visto morire un riccio. Bhe... Una volta ho ucciso un riccio. Le campane oggi non hanno suonato. Emitischi, mezzi bicchieri. E poi ho pensato ad un lieto fine, alla salvezza; ci ho pensato solo che non c'era, scusate. E questo è quanto.
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