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Per sempre
La notte ha una collana di opali per me, pallidi come tutte le lune del mondo. Il mio corpo non si addormenterà più nudo. Mi veglieranno gli angeli neri della terra sommessamente in pianto. Non sono nata con un cuore di ferro per concepire l’impossibile. Che cosa sostiene il desiderio se non l’abisso dell’ignoranza, il punto nascosto dell’immagine? La rosa dopo un solo giorno muore. Notte, abbandonami qui per sempre ché nessuno possa più deflorarmi. Il paesaggio del sogno mi pensa mentre lo attraverso e fanno le pietre immote ombre senza scopo. A me bastano l’arazzo nero del cielo e quell’unica stella lontana. Oh, la presenza tumultuosa di Dio!
Id: 43254 Data: 20/06/2017 19:00:23
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Mezza bambina
La domenica era un rito il bagno nella pila grande di legno, la stessa del bucato, lo stesso sapone di marsiglia. Lei mi lavava con ferocia come volesse sgusciarmi dal mio breve passato: solo un nudo gheriglio senza pellicola e mallo. E se dicevo: la mamma di prima m’immergeva nell’acqua del fiume: era così bianca, così bella, lei mi sfregava con più ardore come un vestito da smacchiare, ripetendo: è stato solo un sogno, un sogno vano, o figlia. E quando l’acqua sembrava uno stagno lattiginoso di scaglie di sapone, io dicevo: guarda, mamma, sono la tua mezza bambina. E lei, allora, recitava Dante: dalla cintola in sú tutto ʿl vedrai con un sorriso dolente che galleggiava tra i fumi del vapore.
Id: 41417 Data: 06/02/2017 23:08:45
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Metamorfosi dei morti
Noi non ci giacciamo, né riposiamo in pace come lassù, nel mondo bello della luce, la gente così stupidamente dice. Noi ci sconfiniamo e ci camminiamo gravidi di silenzi e sogni oscuri. Siamo come bestie o come bambini che giocano allegramente a nascondino qui, tra i lombrichi rosa, sottoterra. Nel buio fitto fitto che ci invade e serra seminiamo umori, il vuoto della bocca, le mani, il vestimento della pelle e gli occhi come bulbi fertili e molli sperando che scoppino in alto le corolle di tanti giovanissimi fiori, quando verrà la primavera. Ah l’aria che li corteggia ed il profumo sparso goccia a goccia: sì, li ricordiamo in qualche punto di noi, in qualche incorruttibile presente. Dal nero, dalle trame delle radici, dai minerali, dalle pietre, dalle fauci del tempo sotterrato partoriamo esistenze parallele nei vuoti dell’ assenza con un’ ancestrale devozione alla macina perfetta della trasformazione, fino a restare col bianco essenziale delle ossa. Però, non siamo stanchi. No. Non siamo stanchi. Il bello della morte è essere vissuti. E noi non siamo più remoti di quelle stelle che rilucono ancora dopo essersi disintegrate in chissà quale remotissima era.
Id: 40085 Data: 02/11/2016 19:12:00
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La rosa sulle macerie
Dopo, il mattino cominciò a vagare Intorno alla bellezza di una sola rosa alta sullo sfarinamento delle facciate e dei balconi sempre coniugati all’aria. L’inspiegabile mistero della persistenza del colore e del suo bellissimo aroma piovve sul convulso dolore degli occhi che guardavano il mistero del finire: il bagliore rossiccio della polvere là dove c’era il ricordo di tanti gesti buoni e di un nugolo di rondini volate via dal melograno verso il settentrione. Sul davanzale di quella finestra due bambine cantavano così allegramente, ieri, nella luce del sole che illumina adesso i profili irregolari dei muri come la loro scrittura infantile. Tutto si è spalancato alle parole “mai più”, ai fiumi che nella notte sono bende d’argento sulla fronte dei morti così fermi e silenti, sulla loro materia stanca che più non vacillerà di desideri. Io non posso, non posso altro che farmi conca che accoglie la breve fiamma delle vostre vite, lingua che mette in fila i vostri nomi come grani di un rosario d’amore. Posso restarvi accanto questa notte come una mandorla sgusciata, come un destino ineluttabile, un intimo sentimento primordiale. Quella rosa così rossa che cresce senza acqua, senza giardino, senza cura, ci ricorda che nessuno è al sicuro, che su tutto e su tutti sempre si stende lo struggimento di una bellezza solitaria, un bagliore di luce che si perde.
Id: 39151 Data: 28/08/2016 09:46:41
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E al mattino, di nuovo
Io voglio narrarti la bellezza vagabonda dei cieli quando si apre a raggiera il suono delle campane al mattino e la vita è come un contagio di calore, una festa di ali. Quando il sole fa di un pezzetto di metallo nascosto fra i fili dell’erba un coagulo abbagliante di luce. E gli angeli vengono a sostenere insieme le nuvole e i verzellini, e sono così chiari con le braccia umide di mare e un ricordo di Dio che beve nella musica scrosciante di un torrente che non si arresta mai. Oh, biancore dell’aria che si fa inizio verginale del giorno e illumina gli angoli delle case e di nuovo si alza un mormorio di vite denudate dai sogni, un ritmo d’immaginazioni che sorregge i piccoli gesti quotidiani. Il mio primo raggio di sole predilige sempre l’acquaio e poi allarga le mani su tutto il luogo che vede il mio risveglio di fronte ad un bicchiere colmo di latte. Mi sta tutt’intorno la vita come un corpo chiarissimo che cerca le mie mani per appoggiarsi e farsi un poco d’ombra. Mi pulsa un richiamo nelle tempie, una felicità semplicissima ed assurda che mi fa dire: Sono viva, viva. Sono tornata come una barca carica di pesci d’argento che approda da un’infinita nostalgia dell’acqua marina con la sua danza di morte. Però adesso devo dire sì perché nulla si disperda fra me e tutto ciò che ha un respiro: le foglie dei tigli, i fiori, i piccoli animali, la terra. E dunque: guardami dalla nicchia del cuore, sorprendimi con il ronzare delle api intorno alle gemme, baciami con le labbra di un bimbo che sanno di annunciazioni, deponimi sulla lingua i chicchi della prossima semina. O Luce, dissolvi tutte le morti brevi che mi abbracciarono ogni notte, nel sonno.
Id: 39140 Data: 26/08/2016 15:37:43
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Nostalgie
Quel giorno cantò la voce di Dicembre. La data fu segnata con la matita rossa: usciremo a comprare piante di giacinti. Ma la sera strappò dai suoi occhi scuri coltelli, ed il centro della stanza girò su se stessa, poi si riempì del lutto infinito della notte. Stava con i pugni serrati sospesi sulla paura del mio petto dal quale cadevano le stelle mentre dormivano i passeri col capo reclinato. Corpi senza materia noi due, ombre verticali alla finestra, mentre mi distraeva il vento picchiando sui vetri gli orli delle foglie, convocando a sé briciole d’amore. Finché dopo l’una restò il silenzio, la porta aperta sui campi. Andò via con una valigia di cuoio marrone , e tutto divenne più grande, più denso, troppo arduo da capire. Le fenditure, le crepe sui muri ferivano la casa e il sentimento cadde in una ragnatela come un insetto minuto. Ora il mio cuore è un muscolo leggero, una cuna, una zolla dove s’inarca una rosa sullo stelo, spinosa-memoria. Io siedo a volte sulla soglia e osservo le distanze del cielo. Ma quando, sorta la bianca luna, poggiate le mani sul davanzale, non vedo sul sentiero la sua ombra accanto alla mia più breve, il ricordo mi strappa l’anima a pezzetti. Mi brucia le radici . E non c’è stata più la guarigione.
Id: 37598 Data: 03/05/2016 00:21:58
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Certe idee di Dio
Me lo hanno somministrato in pillole di saggezza banale: mi hanno detto che è onnipotente immenso e onnipresente e però lo chiudevano a chiave dentro un angusto ciborio come per paura che Dio fuggisse via come un ergastolano. Ma io no, non ci ho mai creduto. Giravo attorno a me stessa con le braccia aperte e lo toccavo nell’aria e gli baciavo i piedi di vento che passeggiavano nel mondo. Gli parlavo della gioia d’essere viva e lo sentivo gorgheggiare tra gli alberi. Io, io dicevo, anzi noi, noi, e tutto tutto questo che non finisce mai. Cadevo sotto l’ombra del nocciolo: la sua ombra mi copriva piano. Qualche volta mi addormentavo e lo sognavo ed era un sogno bello di quelli che ti svegli e ridi a tutto ciò che vedi.
Id: 37359 Data: 16/04/2016 16:09:57
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Amore senza amore
Poi lui non volle più mangiare il mio corpo buono e fragrante come pane fresco e lo lasciò sul vassoio bianco del letto a svaporare con il respiro dei rami e la luce della luna che mi avvolgeva nella sua carta stagnola per fare di me la Sirena che canta nel mare rovesciato del cielo. E nemmeno lo volle a primavera quando il sesso profuma come un mazzetto di biancospini dai minuscoli stami troppo rossi. Girato verso il muro mi offriva la schiena con le sue costellazioni d’efelidi color del vino come il mare d’Omero o il cielo arrossato di nuvole purpuree o le rose covate dalla notte. Ma ogni tanto sognavo che tutta la nostra stanza fosse il mare aperto e che noi, dormendo, eravamo caduti nel cuore dell’acqua in pieno analfabetico silenzio dove leggeri e senza riposo come le alghe andavamo e venivamo dall’uno all’altro corpo con orgasmi lenti come passi di danza.
Id: 35873 Data: 19/01/2016 20:09:08
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Le trombe degli angeli
A volte ritorna, la piccina, con gli occhi luminosi Come di chi ha pianto o smania per la febbre Mostrandomi una tromba d’angelo più grande Della sua mano ma meno bianca, dicendo “Senti come sa di vaniglia”, con la certezza Che basta il suo profumo ad aprire le porte del paradiso, “Ma solo se restando ad occhi chiusi lo lasci Entrare là dove l’estasi comincia”. Lo so che lei è come se fosse morta Lasciandomi erede di tutti i suoi ricordi, Però ogni volta mi meraviglia la bellezza del fiore E mi commuove l’orlo sinuoso della corolla come Spuma che ricama il profilo dell’onda. E tuttavia c’è una cosa che non le ho detto mai Per non guastare la sua festa infantile: Oh, la bella pianta, la datura suaveolens, Che lei tanto ama, come le altre della sua specie, Come tutte le cose inebrianti, serba in sé un veleno potente.
Id: 29726 Data: 08/01/2015 16:32:03
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Il piccolo poema della fine
Basta scuotere la testa e fare scivolare le nubi Lontano, mentre la barca si allontana con le sue vele nere Portando verso la distanza sempre più intoccabile dell’orizzonte La sua navigazione senza approdi. Resto nuda sulla mia tavoletta d’argilla Cosparsa di sinuose investigazioni Dopo essermi tolta la benda dagli occhi, La cintura irta di chiodi ai fianchi, la corona di spine dal capo. * O Dio - grido - dell’Olimpo, o Dio morto sugli assi del dolore Assorta serenità del Buddha senza immagini, oh carità della vita! Vengono sempre gli dèi se invocati talvolta sotto forma di animali miti, Che annusano con i musi umidi e pietosi i pochi centimetri Tra la gola ed il coltello. Oh Isacco, Isacco, timore e tremore! Vengono con la parola di un angelo onirico come testimone di verginità. * Una volta - ricordo - Lui, il ragazzo dell’amore mistico, Guidava un tram rosso fiammante ed io ero una ragazza Sfatta di pioggia e di gocce di lacrime. Lui mi chiese dove stai andando? Portami - gli dissi - in quel giardino dove crescono more giganti. E ci andammo davvero. E là non pioveva. Vengono sempre gli dèi sciolti nell’aria, Nel sole, cadendo tra le dita, soffiando gioie con i venti D’Oriente ed Occidente. * Oggi, invece, Lui ha preso l’aspetto di un piccolo zingaro Con i piedi nudi e una camicina di tela bianca, le rotule rotonde come due pesche ed i capelli ricci Ubbidienti alla bellezza dell’oro. Tiene la testa Teneramente inclinata come le fanciulle del Botticelli Ed ha un cavallino tutto bardato di rose chiare Come la pelle di una neonata sotto cui scorrono I dolci fiumi azzurri della sorgente della vita. * Sali - mi dice - seminando chicchi sul dorso delle mani Come in piccoli appezzamenti da coltivare con il sole E la luna e la fame e la sete e soprattutto con un azzurro senza fine. Mi porta silenzioso: il cavallino è di cristallo, le redini di seta, Finché il silenzio mi scoppia nel cuore come la più alta felicità. * O madre - canta finalmente il cuore - nella tua lingua sconosciuta, Nella tua scomparsa gentile è il segreto: amore della memoria, Ti ascolto mentre parli con la voce luccicante della pioggia E mi aspergi nel battesimo, mio girasole sempre volto alla luce.
Id: 29097 Data: 01/12/2014 20:38:30
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Per Gianmario Lucini
Tempo lasciato fra libri accatastati, foto ed agende, appuntamenti mancati, luoghi svuotati. Ora sei stato spossessato delle tue donne, degli aromi delle loro bocche e dei fianchi caldi come il giallo oro degli alberi. Sei caduto sulle mattonelle con un tonfo , come una cosa che si rompe improvvisamente o che brucia come se fosse passata una materia incandescente Avevi già una distanza marmorea, il colore dell’erba sotto il plenilunio, la bocca abitata dalla notte e sotto la lingua filamenti di commozione, come se ti piacessero i dolori, e quelle cose che sanno di morte e di metallo duro. Se , adesso, potessi guardare fuori, ti chiederesti perché ci sono tanti stormi nel cielo, e perché tutte le cose che si alzano in volo sono così struggenti. Ma ormai non hai che gli eventi muti dei morti: il tuo petto è diventato una nave che con la prua apre i flutti del cielo, mentre gli occhi buoni degli angeli si colmano, e i battiti delle ali compiono la migrazione verso l’irreale, navigando tra le stelle come il carro dell’Orsa maggiore. Ricordi solo qualcosa, per esempio la beatitudine dei rami fioriti sotto i piedi per quella tardiva primavera che era ancora ottobre e penzola nell’aria il tuo sorriso: oh, nessun male ormai, nessuna pena. Sono tutte cose leggere le tue cose di qui, Fanno musica, hanno i colori dei bambini. Parli con la luce con la stessa adorazione dei fiori che escono dai semi , bucano la terra e si alzano perché il loro compito è benedire l’aria. E poi ti volti appena con un gesto tutto bellezza, Saluti noi che qui siamo rimasti, e sei già così distratto, come chi più nient’altro vuole o chi sorride nel sogno.
Id: 28342 Data: 30/10/2014 15:59:59
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Preghiera per essere libera
Oh Dio, liberami dalle tue gabbie, dalla tua ira e dal tuo giudizio. Strappami dalle mani righe, squadre e compassi perché non pensi più a tracciare, prendere misure, assediare. Lasciami pure vacillare a un centimetro dalla tua bocca, sorda e cieca, annoiata perfino di te. Io ti sono viva sorella nella carne, la materia santa che ti rivestì che ti profumò le mani, che sulla soglia del cuore traboccò di sangue. Dio, ti ricordi quando ballavamo sotto gli alberi mentre addosso ci cadevano le stelle? Quando camminavamo baciandoci per rinascere sempre? Liberami, liberami dagli animali sconsacrati da quelli che arrossiscono per falsa vergogna. Mio Dio, che sogno faccio sempre: le montagne sciacquate, le nottate imbiancate da una grande luna. C’è una fanciulla dentro la fontana che zampilla latte dalla bocca. E tu sei seduto sul bordo e Io so, lo sai, che dopo ti sposerò.
22 Luglio 2014
Id: 26638 Data: 24/07/2014 09:52:58
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La scrittura invecchia
Si comincia come per magia pensando sia facile trovare la via della leggerezza nei suoni delle parole, ordinate in versi per misure e colore. Sembra di starsene a mezz’aria come un uccello che lascia lontano la sua ombra e cantando beve tutto il cielo. Ma ora che non mi è rimasto quasi niente e sono caduti la luna le stelle i firmamenti e più non sono le cose dei miracoli viventi, vengono fuori dal petto solo domande stanche e fanno male il vuoto delle persone morte o abbandonate, gli strappi al cuore nella nebbia della memoria, Come sono pesanti le parole Come sanno di oggetti consumati O di spine che trafiggono la gola. Le rose sono sfiorite. L’umido autunno fa marcire le foglie, stende nuvole sui pensieri che volevano salire fino a Dio ed invece tornano nella mano che scrive e lentamente respira sfogliando ad uno ad uno i fogli bianchi.
Id: 26153 Data: 17/06/2014 01:18:42
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La mia gatta
La mia gatta non gradisce questo nuovo appartamento. Lo capisco dal suo sguardo offeso e sprezzante. Infatti, per seguirmi, ha rinunciato a tutti i suoi possedimenti Un frutteto di centinaia di ettari, un prato Dove aveva tutti i suoi giocattoli: lucertole, topolini, Gracili passeri caduti dai nidi, farfalle; E non può più decifrare con le lunelle attente Le ombre della notte ed i suoi linguaggi. Gironzolando per le stanze ha provato tutte le poltrone E infine ha eletto una ciotola di terra sul balcone Dalle cui sbarre osserva sconcertata certi animali di latta Luccicante che strepitano e gettano nell’aria neri vapori. Ma soprattutto temo che abbia cambiato opinione Sul mio stato mentale: chi mai lascerebbe l’Eden Per l’Inferno? - si chiede, ma guarda tu che razza di padrona E nel farmi le fusa mescola l’amore col rancore.
Id: 25219 Data: 08/04/2014 15:58:01
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Dopo tanto silenzio
Nonostante l’incuria e la solitudine,
L’albero del mandarino non ha dimenticato di accendere
La sua cupola verde di fiammelle.
I rami dei fichi hanno già piccoli frutti destinati
Alla luce estiva ed alla festa degli uccelli golosi.
Strano che anche il futuro sia per noi un ricordo.
Già le rose canine anneriscono il sentiero
Con macchie rotonde e vacillanti.
Già alle dieci del giorno i frammenti di noi stessi
Si sono sparpagliati sulla tappezzeria di un vecchio divano.
Ascolta Mozart, concerto n. 23, ovvero le parole non dette
Che però stavano tutte dentro il petto
E aspettavano una primavera ideale per sbocciare.
Solo che mi hai lasciata al buio,
Solo che mi hai staccato la lingua con un morso.
Solo che il passato pesa come una pietra
Con la sua durezza silenziosa.
E tu conosci Vinteuil? Piaceva tanto a Proust
La ricerca del tempo perduto, quello che
Immaginiamo stipato tra queste mura.
Quando le finestre contro la siepe verde
Facevano da specchio
Al movimento dei corpi
Nella luce intima della casa.
Quando starsene seduti sui gradini
Era il piacere di sentirsi semplicemente vivi
Come lucertole immobili nel sole.
Così ti ricordi di tutto, ancora?
Adesso con le spalle contro il muro
Sappiamo quanto è duro
Guardarsi con quello sguardo obliquo
In cui il presente entra pensieroso nel tempo del tempo.
C’è ancora quella pianta che ha gli stessi anni del nostro amore
C’era tanto vento che ci stormiva già sulla testa,
E la notte la guardammo come una figlia in difficoltà.
Così pensiamo. Così asciughiamo i cuori umidi.
Che vuoi, le cose andate non sempre cadono via.
Girano nella testa trascinate dalla nostalgia.
Non dimenticare di riascoltare
Il concerto numero 23 di Mozart.
Specialmente l’andante.
Id: 22050 Data: 01/09/2013 00:00:07
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Acque fontali
Per questa vocazione difficile e leggera Mi sono incarnata nella vita Ma ebbi per poco le mie cose più care. Però, quando i muri si sono sgretolati, Mi sono rimaste eredità verbali. I miei doni furono solitudini lunghissime Attraversate da canti fertili come venti pieni di semi. E quando anche i nomi si frantumarono, Ho raccolto i dettagli più minuti Incollandoli con la saliva delle parole poetiche, Affinché conoscessi la grazia dei relitti Che galleggiano nelle strade turchesi delle vene. Ma ora sono in cerca dell’acqua fontale Che mi benedica colando nell’orecchio Il comando iniziale: che la vita sia E che tutto si desti e mi attraversi E riluca con lo stesso impeto Di una spada affondata nel petto. Sgorga di nuovo – dirò – dalla gioia, Mettimi in ascolto del mio mare interiore. E tu, Palinuro, che cadesti vinto dal sonno Nel grembo blu delle acque, torna a raccontare: Tutto ciò che affonda, se si sa aspettare, Risale alla metamorfosi del sole.
Id: 20678 Data: 25/05/2013 20:00:29
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Comincia un giorno
Si alza ogni mattina alle sei, e già ha odore di caffelatte
E di uova fritte in tegamino
Se ne sta a fumare tra i capelli sontuosi e spettinati
Che cadono come fiotti
Neri verso il centro del petto, i cerchi del fumo
Attorno alla bocca come gli anelli di Saturno nel cielo.
E’ giovane, la pelle levigata di ciottolo fluviale, spesso canta.
Vagano da una gronda all’altro le rondini come suorine dentro un chiostro
Che garriscono preghiere tra le colonnine tortili come serpenti tentatori.
E poi ci pensano i bambini a dissipare il colore del sonno
Con grida cristalline e pianti purché qualcuno li consoli,
Con una parola cara, un toccare d’amore.
Emerge anche l’albero dal vaso di terracotta
Mostrando i rametti fioriti
E quel suo fare inconsistente che comincia a crescere
Ed alzarsi ineluttabilmente verso l’alto senza sapere
Perché e come affrontarlo.
I fiori sono odorosi, bianchi, ma appena li porta via il vento,
E’ come non fossero mai esistiti,
Poiché tanto piccolo è il loro peso da innamorare il nulla.
La signora del quarto piano scuote le coperte
Con quei tonfi gravi che fanno nell’aria le stoffe damascate
E le lascia a ciondolare dalla ringhiera
Ancora odorose di notte e dell’intimo dei corpi
Come sipari sulla scena oblunga del cortile:
Un motore incatenato al palo di ferro rugginoso,
Il bianco squallore del cemento,
I colombi che fanno flap ansiosamente con l’ali,
Una vasca piena d’acqua piovana che per me prepara
Un’interruzione di questo tempo, qui.
C’erano i pesci rossi, l’amica d’infanzia bionda e bianca come la luce,
Che rideva dentro lo specchio dell’acqua,
Tra ciuffi tremanti di capelvenere,
Mentre con le mani sperimentava la fuga dei corpi scintillanti,
L’inabissarsi del desiderio, il frantumarsi di un volto tenero.
Maggio 2013
Id: 20423 Data: 13/05/2013 01:06:13
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Natale 2012
Vieni, piccolo Dio, nella mia casa.
Ti scalderò con il mio vecchio plaid bucato
Da cicche di sigarette e con il fiato
Dell’anima mia, asina impaziente e lenta come un bue.
La stalla è nel mio cuore dove il profumo del fieno
Si mescola al puzzo del letame.
Eppure io lo so che ti lascerai cullare
Dalle parole della ninna nanna che già cantai
Al figlio appena nato. Che ti potrò baciare
Le gote, la fronte e le manine sante.
Vieni nella mia casa, o Dio bambino,
E falla risuonare dei tuoi vagiti:
Fa’ che per una volta sola
Sia io a dare a te consolazione.
Id: 18315 Data: 27/12/2012 13:05:38
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Tosatori e macellai
(ad Alejandra Pizarnik. A tutte le donne)
Alejandra, com’è stato duro riconoscerci e salvarci.
Con noi ragazze sono stati tutti tosatori e macellai.
Le nostre madri giunsero con forbicine d’acciaio
E ci raschiarono un poco la lingua canterina.
Ma noi la medicammo con qualche goccia di miele.
A primavera piombarono i padri sulle nostre terre
-Barbari e gelosi-, e con vanghe, rastrelli e cesoie,
Recisero i fiori, potarono i rami, estirparono i tuberi buoni.
Ci rifugiammo di corsa nella nostra cantina e là
Bevemmo coppe di vino viola e ci sentimmo immortali.
E le vecchie, tritando il tempo in vecchi mortai,
Ci dissero che la vita somiglia ad un pavido
Coniglio nascosto dentro il cilindro di un Mago.
Ma noi urlammo forte per non sentirle e farci coraggio.
Quando addosso ci crebbero le dolci primizie,
Le presero i ragazzi sotto angusti soffitti.
Tuttavia, di nascosto, in notti senza luna,
Scrivemmo sulla porta i versi di un antico rito.
Pensavano tutti di averci smussate, addolcite,
Appiattite, come ciottoli muti nel farsi della vita.
E invece, che fiamme, che canti covavano
Nei nostri nidi celesti. Quanti no, quanti viaggi diversi!
Ed ora, Alejandra, dobbiamo parlare.
Siamo donne d’amore, Sirene che sanno
Cosa nascondono le viscere verdi del mare.
Id: 17837 Data: 27/11/2012 23:18:03
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Fuoco e neve
Hanno i cuori cuciti insieme dalla stessa paura I corvi neri che si alzano a stormo Per un secco e lontano rumore. E poi Ricadono sparsi come sassi tra le foglie. La luce bianca chiude il paesaggio In un foglio di carta opalina Accostando i grappoli di suoni La danza del vento in imprevedibili traiettorie E le calendule già sbocciate nel gelo Sopra la carcassa del cane con gli occhi Otturati dal fango, che guardano pacificamente Dentro la sua stessa decomposizione E dicono come la bellezza sia l’unica testimone Che si rialza sempre dalla vita torturata dalla morte. Dalla pietra muschiosa, dall’agave carnosa Dall’erba foltissima la bellezza si avventura nello spazio Rispecchiandovi i segni minimi di un mistero vastissimo Parallelo al visibile. D’improvviso la visita impetuosa dell’acqua Zittisce il turbinare dei merli, ricama umidi alfabeti nel vento Circumnaviga gli oggetti lasciati all’aperto: Zappe rastrelli sacchi di cemento una panca rugginosa. Si piega in ginocchio come una bambina Sui cespi fioriti del mirto, in giardino. E il cammino profuma i suoi piedi: il destro della nota dolciastra della terra inzuppata il sinistro dell’aroma del finocchio selvatico. Con la sua bocca bianca e buona Il giorno invernale m’insegna Che la lentezza deve misurare i pensieri Che non occorre stare in affanno Quando il tempo mi chiede Di sedermi accanto senza parole Fissando il fuoco che arde ed incanta Con le sue lingue barcollanti impigliate nei rami Che fischiano l’anima giovane del tenero midollo. Non c’è cosa che duri per molto nell’inferno La corteccia che brucia e s’annera Staccando piccole squame Fa un dolce profumo di resina; la curva di un ramo imbiancato sotto la neve fu la sua più bella architettura il suo ultimo boschivo ricordo Ricorda, oh ricorda! Non c’è cosa che duri per molto nell’inferno.
Id: 14731 Data: 18/05/2012 00:36:44
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Dopo aver letto un articolo sul massacro di My Lai
Che cosa facevamo noi ragazzi della contestazione innamorati dei nostri mostri sacri e delle canzoni di Joan Baez il 16 marzo del 1968, mentre a My Lai , durante la guerra vietnamita, (ascoltavamo, intanto, senza conoscere davvero la bestialità umana “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”) La sacralità dei tre regni della vita veniva violata: uccisi gli animali, bruciate le piante, gli uomini massacrati ed alcuni gettati nell’acqua di un canale dove si ripiegarono nudi tingendola di sangue nudo dopo una pioggia dura di proiettili. Quale manifesto scrivevamo, bevendo coca cola, contro i potenti Mentre un bimbo di pochi mesi guizzava fuori dall’acqua come un pesciolino d’argento, tutto lacrime e scaglie di terrore , e Calley, il tenente, gli sparava alla testa solo per esercitare la mira? E che cosa speravamo noi, fumando qualche canna e baciandoci Mentre lo stesso giorno dopo mezz’ora altri soldati nordamericani sterminavano i sopravvissuti: una bambina accoltellata alla schiena cadde nel caldo della camiciola di tela, ed una ragazza dopo la violenza fu finita, mentre urlava il suo terrore a Dio, dalla canna di un M16 infilata nella vagina (così andò a pezzi la sua dolce stanza fertile che cullava le prime settimane del suo primo bambino), e le ossa delle anche schizzarono in piccole schegge e dalla bocca fiorirono mille papaveri sanguigni che adornarono le tuniche bianche degli angeli e dei santi in paradiso. Ma noi ragazzi della contestazione dell’anno 1968 non trovammo mai il nome della tragica sposa vietnamita leggendo i libri di Marx di Mao e di Marcuse o nei sonetti dei poeti maledetti francesi che ci rendevano più forti e sfrontati. Perfino Cristo non soffrì così tanto. Perfino lui si dimenticò di Calley. Ma Calley disse dopo che non aveva fatto nulla di male e che per quanto lo riguardava avrebbe messo “tutte quelle scimmie gialle su barchette e spedite in mare dove volentieri le avrebbe affondate”. E Calley scontò solo tre anni e mezzo di arresti domiciliari (Infine aveva fatto il suo dovere di soldato, che non può permettersi In guerra d’essere anche un uomo, e che deve solo ubbidire e sterminare) e visse a lungo, ma sempre senza rimorso, fiero di se stesso, e della morte di così tanti civili che per contarli e ricordarli, uno al giorno, un minuto di silenzio, ci vorrebbe un tempo [ più lungo di un anno. Dov’è adesso Calley? Chi fra i tanti morti è riuscito a dire: io ti perdono?
Id: 13743 Data: 24/03/2012 22:13:54
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La fabbrica degli angeli
Poiché, a quanto sembra, la fabbrica degli angeli non chiude mai i battenti, C’è un continuo bisogno di materia prima: pelle morbida, occhi trasparenti Come un pietra di carbonio puro, tendini freschi e molecole innocenti di bambini. L’angelo scuro li raccoglie come mazzi di fiori da ogni dove: Da un bus che si schianta contro un muro, da una scuola sperduta in un villaggio Che si accartoccia tremando come foglia, da una barca che naufraga in mare aperto E diventa una bara di salsedine e soli agonizzanti; Li battezza di nuovo con nomi che sanno d’aria e d’acqua sorgente E li dota di un paio d’ali attaccate alle scapole per scendere ogni tanto Sulla terra e lasciare una piuma sui pavimenti delle case e qualche petalo di giglio. Quelli che restano li vedono risalire di slancio sollevando i piedini luminosi E lasciare una scia di polvere d’argento come le lacrime di San Lorenzo Che non danno il tempo di dire lo stupore e sono già svanite. Però mi chiedo: perché aggiungere perfezione a ciò che è già perfetto?
Id: 13634 Data: 19/03/2012 19:34:47
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Fuga
(a Maria Musik)
Ho fatto le valigie e ho chiuso dentro il mondo: Parto per un viaggio nelle profondità, Metà aria, metà acqua, sparsa in frammenti Sopra nel cielo o nei fondali neri del mare. Per dimenticare il peso, un paio d’ali O una larga pinna dorsale: Le labbra come due valve d’ostrica a serrare La perla coltivata d’emozioni, che più nessuno vuole, Le piume per fluttuare seguendo le correnti d’aria Dove le parole scorrono con il vento Tra le foglie, scuotono i rami, scoperchiano le case: Linguaggio di fischi e schianti, forse di pianto, Che nessuno ha più il coraggio di parlare.
Id: 13505 Data: 14/03/2012 01:00:22
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Non è mai troppo lo spreco
Andare incontro al mondo con passione, Offrire il corpo alle ore voraci E dire sempre amore Agli uomini che lottano, che amano, che muoiono Fino a ridurre l’anima a brandelli, È il mio modo di dare sogno e spessore All’incessante ardore e spreco della vita. È andato il giorno col suo fiato di luce. È venuta la notte con le sue stelle mute. Tra l’uno e l’altra è passato il vento, Mutando lo scenario delle nuvole in fuga, Aria violenta che tacque all’improvviso Lasciando una quiete piena di ferite.
Id: 13177 Data: 29/02/2012 18:16:55
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La scrittura come dovere
Sto dalla parte di chi vorrebbe ancora seminare Nelle vite raschiate dalle lame arrugginite di riti e cerimonie Il polline biondo, la neve scintillante e quella vertigine stellare Che compongono remote nebulose di umana nostalgia. Ma la storia è stata abbracciata da un tempo desolato E l’antica sapienza mostra i tatuaggi lividi del tradimento È morta l’allegria degli dei e la lingua non santifica più i nomi. Si svela crudelmente la materia inerte delle cose Dov’è il sorriso del mito che abitava perfino l’erba del fossato? Ora è dovere, non più destino, mettere la poesia sulla bocca Dei traghettanti per salvare i cuori dall’oscuramento
Id: 12612 Data: 08/02/2012 00:31:47
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Prima di leggere
Prima di leggere mia madre m’insegnò le filastrocche Della sua memoria infantile Che mettevano insieme parrucca e imbacucca nelle rime E qualche volta, se stentavo a dormire, A bassa voce le ripetevo a me sola , Addossata alla spalliera del letto, la finestra spalancata Sulle pietre annerite del muro dell’orto, Quando di notte cantava l’usignolo Ed io cercavo di capire la sua idea del buio Come un colore attraversato dalla musica: Un punto di vista assolutamente fantasioso, Una smania di grazia sulla desolazione. Era così incantevole che di lui ci fosse solo la voce: Nota dopo nota contro l’angoscia del non vedere più nulla. Il giorno dopo si appoggiava al ramo dell’albicocco E tra le fronde il piumaggio rosso del suo petto era la certezza Che ogni notte il vuoto della morte era traghettato Verso la vita dai versi di una veglia musicale
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[ Traduzione in tedesco a cura di Stefanie Golisch ]
Bevor ich lesen konnte
Bevor ich lesen konnte, lehrte mich meine Mutter die Kinderreime, An die sie sich aus ihrer eigenen Kindheit erinnerte. Da reimte sich Pferd auf Schwert Und manchmal beim Einschlafen sprach ich sie bei geöffnetem Fenster, Ans Gitter des Bettes gedrückt, leise vor mich hin. Auf den schwärzlichen Steinen der Gartenmauer, Wenn nachts die Nachtigall sang Und ich versuchte, die Idee der Dunkelheit zu begreifen Als eine Farbe, die von Musik durchquert wird: Ein absolut phantastischer Gesichtspunkt Ein Anhauch von Gnade über der Trostlosigkeit Zauber der reinen Stimme: Note um Note gegen die Angst, nichts mehr zu sehen. Am nächsten Tag setzte er sich auf einen Zweig des Aprikosenbaums Und unterm Laub war seine rote Brust die Gewissheit Dass nächtens die Leere des Todes von Versen bewacht wurde und von Musik
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[ Traduzione in spagnolo a cura della poetessa cubana Juana Rosa Pita ]
Antes de leer
Antes de leer mi madre me enseñó las cantinelas De su memoria infantil Que juntaba peluca y acurruca en las rimas Y a veces si tenía el sueño difícil, En voz baja para mí sola las repetía, Pegada a la cabecera de la cama, la ventana de par en par Sobre las piedras ennegrecidas de la pared del huerto, Cuando de noche cantaba el ruiseñor Y yo trataba de entender su idea de lo oscuro Como un color atravesado por la música: Un punto de vista absolutamente fantasioso, Una manía de gracia en la desolación. Era tan encantador que de él solo fuese la voz: Nota tras nota contra la angustia de no ver más nada. Al día siguiente se apoyaba a la rama del albaricoque Y entre las frondas el plumaje rojo de su pecho era la certeza De que cada noche el vacío de la muerte era transportado hacia la vida en alas de una velada musical.
Id: 12269 Data: 23/01/2012 19:03:03
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Un quadro e l inverno
Come un sortilegio di antiche voci, quanti lontani inverni, Le colature della pioggia sopra l’intonaco Ed il lenzuolo attorcigliato dal vento sul filo di metallo Una conca bianca che raccoglie le ombre dei corvi Che passano nel cielo di cenere come un nero alfabeto. Oscillano le colline, le case, gli ulivi scintillanti Tutte le altre cose mai ferme tra le lacrime, Ed il cuore ha una ferita così rossa da eguagliare La bacca pendula come un ciondolo corallo dal ramo. L’autunno come un amante spoglia gli alberi Per mettere in evidenza i gioielli sulla nudità della terra. Guarda la donna senza vesti con solo un filo d’oro Attorno al collo simile ad un sentiero spalato dalla neve Dove batte il sole, le cosce tonde, i seni paralleli E i minuscoli petali di pesco al sommo con una dolce gemma, Come fossero già gli ultimi giorni di febbraio in questa valle. Ma come si fa, adesso, a sconfiggere la muffa dei muri Ed il veleno mortifero del sonno? Bottiglie e ventagli alla rinfusa – Questo è il ricordo – stavano a giacere sul tavolo dove poggiavo il gomito, Quando un fascio di luce biblico fuggì da un cumulo di nuvole di piombo E divise esattamente come una lama i pochi metri quadri della stanza. Tra terra e cielo sta il nome del borgo nella carta topografica appesa al muro, La sua minuscola geografia di arance di rame dondolanti, e adesso, Sebbene le prime calendule e i primi steli agrodolci tra i denti come nell’età infantile, Che mura scalcinate prossime al crollo, tra radici e nodi di canne E che cancelli arrugginiti. Ci torno da fidanzata e sposa del mio passato, Con quei ricordi di me, bestiola così scalmanata e tenera in amore. 12 gennaio 2012
Id: 12074 Data: 14/01/2012 15:22:42
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Un carillon di suoni
Adesso abito uno spazio incenerito Dove ogni cosa è quel che era prima di esistere. Dove si può dire “fonte”, prima che la sua goccia iniziale Le dia il nome che la inchioda all’acqua. Là io, non questa me, navigo Come il primo uccello dell’Eden stupito dell’aria E del mistero delle sue ali. Ho sempre con me un giocattolo dorato Che è stato il primo dono di Dio: Un carillon di suoni che giorno e notte Mi distrae da domandargli Com’è che è cominciato tutto questo dolore.
Id: 10796 Data: 31/10/2011 15:30:34
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La fidanzata
Giaci sotto il temporale tra l’erba Scintillante umida e fresca Con i piedi immobili quasi azzurri I capelli impastati di terra e di verbasco. Il viso mi si è infiammato Vedendo come sei morto. Dicono fra monotoni lamenti “Sembra che dorma” le altre Che non ti hanno dato baci. A me anche la pioggia brucia come fiamma Ora che il tuo respiro è nulla. Balbetto nel dirti l’ultima volta: a Dio! Per te domani mi vestirò d’abiti bianchi. Ho troppo lutto per mostrarlo. Ma ora Lasciamogli il silenzio. E che vada solo Poiché era coraggioso e detestava il pianto.
Id: 10607 Data: 22/10/2011 16:18:00
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Mio figlio alla finestra
La luce estiva come una colata d’oro sul giardino E il cielo chiaro, arcano come una fronte pensosa Ripiegata sulla mano; l’albero di susino, folgorato dai raggi, Giovane e biondo come un cherubino, è un fruscio di osanna. Ma ecco che appari tu alla finestra: i capelli di fuso rame, Le gote accese dal sonno accaldato tra le lenzuola, La pelle scintillante di sudore, la bocca col mio nome. Sorridendo alla tua immagine umida di bagliori, Ti grido da lontano: Adesso vengo, Giulio, sì, vengo… Intanto che penso: Quanto ti amo, viso bello di sole, Figlio della mia gioia, estate abbacinata del mio cuore
Id: 9864 Data: 01/09/2011 21:30:48
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Ai dolenti dei nostri giorni
Voi che il dolore e la storia crudelmente perseguita, Uomini spogli, donne dissanguate, stendetevi sul mio corpo Come su un prato fresco di erba e di papaveri labili e gaudiosi E ridendo, rasserenatevi del mio amore fertile, moltiplicatelo. E voi bambini spauriti, angeli delicati che l’orrore ha devastato, Rannicchiatevi nei ventricoli del mio cuore di poeta, implumatelo Di leggerissimi pensieri, e giocate a chi lo mangia più in fretta, E poi piantatelo ancora come un seme perché vi dia sempre frutti E fiori e ombre da spargere sul capo come carezze, e notti scintillanti, Cieli velati d’aurore rosarancio. O volti germogliati, o vene azzurrine come fiumi, O fiori nascenti, voi tutti amati e ridenti, quando il male si sarà raggrumato E sarà sceso nel fondo, e Dio, come una morbida femmina di tordo, Vi coverà nella coppa del suo nido intrecciato di silenzi e di perdono. Quando il mondo perderà la vergogna, quando ovunque sarà luce fonda.
Id: 9675 Data: 16/08/2011 20:04:11
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Come un fiore autunnale
Non smetterà mai l’insonnia della vita di migrarmi addosso Con le sue stelle rosse, i fondali azzurri di un fiume, Mentre le morti più minute già secche acuminate Mi pungono gli occhi, altre più morbide e infanti - Piume, corolle, germogli - si stringono presso il pube o le ascelle In allegro disordine, esperienze mistiche del tatto, Teatro furioso e cangiante sulla superficie della pelle. Intanto che gli altri bellissimi parti del tempo, tra lutti e sassi, Mi levigano a tutto tondo amorosamente, Premono e mi disfogliano come un fiore autunnale Finché resta di me la forma essenziale quasi svuotata di nervi e ossa, Qualcosa di prossimo a un guscio sottilissimo e asciutto, A una lamina madreperlacea o a un animale d’ombra Che trascorre nel bianco lucentissimo dell’occhio lunare, Dove come in un ostensorio il mio corpo è Una porziuncola di sacra bianchezza, e la mano Una dolce reliquia che stringe ancora semi per la futura primavera. Immersa in questo lavacro, m’illumina un sorriso aperto Come quello di un angelo, che sa come s’innesta L’infinito riposo dell’inverno nel bulbo del narciso.
Id: 9302 Data: 17/07/2011 23:41:40
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Grano verde
Dopo avere accumulato nella notte immagini felici E voli dell’anima ridente nel groviglio del caso, Svegliatami con lo splendore nuovo dell’aurora, Vedendo ancora il suo corpo inclinato verso il mio tepore, Lo riconobbi come stordita, tanto mi sembrò Superfluo averlo ricevuto tra le mie braccia al buio Senza alcun suono se non un gemito lungo d’animale. Sì lo ricordavo: come un frammento caduto Sulla metafora bianca della mia carne che chiamava amore, Ad essa ricongiunto come all’origine stessa della sete, Le gemme pulite dei suoi occhi che mi precipitavano Nel ricordo di una valle verdissima di grano. Il ticchettio dell’orologio spostava il tempo verso il tempo a venire Mentre, a torso nudo, sul letto disfatto, silenziosa Osservavo gli oggetti sparsi per terra con furia, Come dopo un assalto nemico o un impeto fortissimo di vento. I miei anni notturni volteggiavano nella testa Come un drappello di rondini in cerca di un luogo più caldo, Più certo di un respiro di ragazzo ancora dormiente. Avrei avuto ragione se gli avessi detto subito addio, Se fossi andata via per sempre. Ma si svegliò che pareva Un tenero angelo bianco, un destino di grazia, Una ridente delizia. Come esultavano fuori le creature viventi, Come scintillava l’azzurro limpidissimo del cielo! Gli morsicai la bocca che sapeva di mandorla E l’accostai al seno perché bevesse di nuovo il latte della felicità. Oh, i nostri occhi nuotarono ubriachi vedendoci senza vederci e Ancora più caldi furono i baci, ancora più verde il grano di ieri.
Id: 6657 Data: 11/01/2011 19:45:01
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La limpidissima sostanza
Come stendardi sonori - tra fiammate ed arazzi d’oro- Gli uccelli leggeri straripano la gioia avvolgendo la vela Del giorno al sommo e ai piedi del cielo nel vento Che raccoglie le emozioni sparse nell’aria E le litanie degli animali terrestri, i silenzi dei pesci Nella concavità delle tane, delle rocce e dei mari. A sud ovest navigano nuvole di corallo, Si alzano i duetti delle colline con il sole al tramonto, Un cane randagio fiuta le erbe frammiste a fiori minuti. Sopra le nostre teste biancheggia Venere lucente - Nelle ombre le chiavi per aprire il mese di aprile Da ramo a ramo- le foglie nell’acqua come sorrisi Tremanti e poi il fresco delle tue labbra, La sera sulle nostre braccia tra chioma e chioma, Le parole divorate dallo spazio delle prime tenebre Che è un intorno senza pavimento e senza porte. E il silenzio della luna spuntata sottile Come un curvo ramoscello di nocciolo, Il profumo resinoso di una bacca caduta Sono la felicità di non vedere e immaginare Dio e la poesia in bisbigli sacri d’amore: Alberi sciolti che stormiscono nel buio, Stelle pigolanti, e scie odorose di menta Tra i passi nel giardino dove si allungano Le nostre ombre toccando la corteccia del noce Dove io posso vedere la tua voce Posso toccare come un prodigio di primavera Il germoglio di gioia celato dal tuo petto Che si alza per venirmi incontro, Per donarmi la limpidissima sostanza Di un sentimento che somiglia all’acqua zampillante Della fontana, mentre chiacchiera Con la passione senza tregua del mondo.
Id: 6600 Data: 07/01/2011 15:40:47
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Quando andavamo al fiume
Sì, c’era, dopo i cespugli fitti,
Ma prima il canto e un fruscio in movimento
E il vento ora assente ora veloce e finalmente
Come la visione di un altrove veniva il fiume
Correndo verso il mare lontano e dilagante
Nell’ansia e nel cadere verticale da una balza muschiosa.
Per ore contemplandolo tra ardori d’erba alta
Aggrovigliata e i gigli selvatici esplosi
Da tuberi infossati nella terra intenerita d’acqua
Fra radici e sassi levigati. Di fronte alla sua forza
In sovrabbondanza di grazia stavo muta,
Accoccolata come un dolce animale,
Con le mani sporche e la menta selvatica tra i denti,
Lei nel pensare assorta al fiume che trascinava il passato
E il luogo lontano poi che dopo cantava una canzone
Nella sua lingua natale di suoni misteriosi
Come quelli attraverso i rami e le foglie dei boschi.
Andiamo dove, andiamo dove? - cantavano, era già sera -
Gli uccelli notturni e il fiume diventava un drago con tanti
Occhi aperti e dardeggianti. Lei mi custodiva la mano
Come una colombella nella gabbia per paura che mi perdessi,
Che affondassero i piedi. Scoppiavano in ogni albero alto,
Solenne, inni rituali, cerimonie nascoste e le ombre
Scrivevano geroglifici sacri sull’aspro delle cortecce.
Le caviglie graffiate, le foglie infilate fra i capelli,
Le tasche come culle di corolle già esangui,
Foglie aromatiche e il giorno morto tra i ricordi.
Le nostre braccia allargavano il mistero e passo dopo passo
Sul sentiero conquistavamo ancora il ritorno alle cose:
Una brocca di argilla bianca con l’acqua della fonte,
Il pane caldo lievitato nel forno di pietra e tre pere mature
Posate sul tavolo di legno grezzo, prima del sonno.
Id: 5267 Data: 11/09/2010 21:38:55
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La memoria
Oh sì, che bella cosa la memoria Che fa muovere il tempo avanti e indietro: Avevo un abitino a rombi rossi, E avrei voluto, ma mi mancò l’ardore. E poi di quell’altro giorno mi ricordo Che il cielo era sbiancato d’abbandoni E le lacrime calde: mio Dio, quanti dolori! Meglio tornare qui, al tempo della bocca E al corpo che da sé si è già distratto. Una carezza che quasi non ti tocca, Un bacio come un soffio sulla fronte. E’ il tempo, il tempo che non sai Se passa per farti male o per dire Quello che un tempo non ebbe parole, Ma l’emozione tutta viva, la stretta Forte al petto, il sentimento. Adesso La vita parla d’altro: è un po’ vecchia, Ha gli occhi stanchi, l’artrosi alle ginocchia, E la sera chiude il grembo e la porta.
Id: 4791 Data: 16/07/2010 02:15:10
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Dietro la porta socchiusa
Sentivo al di là della porta socchiusa
Cantare gli usignoli e chiacchierare l’acqua
Con la luce. Ma non andai. Mi dissero di qua
Che il demonio sceglie bisbigli e sussurri
Per sedurre. Così, non lasciandomi tentare,
Ho perduto la gioia profonda che alla cima conduce.
La saggezza indossata era una veste grigia
Che stringe il cuore e la mente illimitata.
Oh, se potessi, ora, avere le gote vellutate,
Se il tocco della mia mano fosse più delicato
Di un fiore di mandorlo bianco a primavera,
Arruffata, a piedi scalzi, piena di notte, la bocca
Avida d’amore, andrei là e non avrei paura.
La vita e la morte sono due care amiche:
Nessuna delle due si giudica. Ora guardo
Nelle molte gocce che pendono dai rami
Come specchi i miei molti volti antichi.
Se le scrollo, resta l’ultimo e mi vergogno.
Oh, Amore, passando, abbi pietà di me,
Ammira solo la mia infinita nostalgia,
Chinati un poco sul mio corpo, sussurrami
Nell’orecchio quella parola che tutti
Mi hanno detto, ma dietro la porta socchiusa.
Id: 4040 Data: 18/04/2010 18:13:53
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Le stelle cadenti (per Saffo)
Che mondo di brusii nascosti sentivamo
Quando nella notte dell’agosto che cadono le stelle
Ci dicevamo che erano le anime ardenti degli dei celesti
A chiamarci per nome. Io ti chiedevo: Ma tu lo senti cosa dicono?
Vogliono i nostri passi di fuoco per incenerire lo sporco
Che è del mondo, il suo perseguitarci col dolore del nulla
I fiori notturni allora aprivano le corolle, si alzavano
Dalle zolle, ci inviavano i loro odori come messaggeri
Della consolazione e noi li sentivamo col respiro,
Recitando a voce alta, fino a sfinire il cielo, i versi scritti
Da Alceo per la bella Saffo. Scendeva allora uno sciame di stelle,
Solcando per qualche istante il cielo. Oh, erano le viole
Del tuo crine, dolce ridente Saffo, più d’ogni altra ardente
A cadere come ametiste sul palmo delle nostre mani.
Id: 3594 Data: 12/02/2010 23:18:39
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Io ed Alejandra
Io ed Alejandra
Perché non abbiamo vissuto insieme Alejandra La nostra infanzia disperata che aveva balocchi Di dolore? Avremmo unito le mani del destino Sopra di noi, scambiandoci i nostri doni Di tristezza e i canti degli usignoli, nel buio, Quando non dormivamo, perché le notti erano profonde E belle senza la voce ossessionante del mondo Quando è sveglio. Alejandra, mia cara, abbiamo cominciato Allora a intrattenerci con la morte, lo stupore in gola, Un roveto di more nere nel petto. Quante volte ce ne stavamo A giacere supine sulle piastrelle fredde di marmo del balcone A contare le stelle lontanissime e poi pregavamo che Ci cadessero addosso come gocce di lacrime luminose: Oh – dicevamo - che preziosi ricami le luci, i corni oscillanti Della luna , e quante, dolci ombre! E chiamavamo una folla Di parole, che avevano la musica dei vetri che si spezzano: Ci risuonavano nell’orecchio le loro incrinature, E finalmente cullate, l’oro in bocca, le farfalle notturne Sugli occhi, ci addormentavamo sognando di essere là, Prima del mondo, prima della menzogna che lo ha generato
Id: 3398 Data: 27/01/2010 23:45:01
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