chiudi | stampa

Raccolta di poesie di Franca Figliolini
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Hanami

Non avremmo mai passeggiato insieme
sotto la cascata rosa
né mai lo faremo, ma di questo
non parliamo: parliamo della bellezza
che fiorisce intrepida e solenne
facendo tesoro dell’ingiuria dell’inverno.
i rami neri si piegano sotto il peso
dei fiori gloriosi. Una pioggia di petali
avvolge le nostre ombre.

(A Matteo)

*

Zitto e Nuota

mio padre raccontava una freddura sui migranti italiani
che suonava pressappoco così:

 

-Papà, ma io non ci voglio andare in America!

 

- Zitto e nuota!

 

Ora aggiungete al dolore della partenza,

dell’addio ai propri cari, alla madre, ai figli

o alle loro tombe, aggiungete a questo il viaggio,

il furore della natura o degli aguzzini

o entrambi, per quel che risulta, uniti

nel consueto oltraggio a chi di speranza vive.

Ché la speranza, si sa, è materia mortale

più della chimica dei sicari russi. Di per sé

conduce a sfidare gli dei dell’infingardaggine

e dell’ignavia, che da millenni regnano

nei cuori umani. E l’uno accusa l’altro

ma tutti voltano le spalle a chi vuole provare

la famosa libertà di cui si parla tanto

ma che ovunque sembra uguale: al ricco,

quel che vuole; al povero, affogare.

 

*

L’ora di oro rosa

a volte, nell'ora di oro rosa,
ora preziosa dell'amore e della polvere stellare
di cui tutto è permeato,
persino l'assente o l'immaginato,
dimentico la ferocia dei viventi
e la mia propria.
E mentre m'incanto al pensiero dell'indaco che presto ricoprirà
le cose, nascondendole allo sguardo,
penso che sì,
di questo siamo fatti e questo è ciò che conta,
in fine.

*

Moire

Cloto fila, Lachesi stabilisce la lunghezza
e Atropo taglia: così la vita. Solo noi
non sappiamo, ogni volta impreparati,
che sia l’anziana parente dai lunghi anni
o l’amico coetaneo che d’improvviso
scompare nell’altra faccia del mondo,
la non vista, la non saputa, la silente.
Sicché si accumulano le assenze,
si perdono le voci, i sorrisi, gli sguardi:
ben vengano i sogni in cui li ritrovo,
le epifanie improvvise, i teneri ricordi
in cui la mano si piega a disegnarne i volti.
 

*

Figlia

Figlia mia che non esisti
e che sei tutte le figlie,
corri sulle tue gambe
per le strade del mondo;
lascia che ti venga incontro
tutto l’orrore e lo splendore
e che gli occhi bevano
la meraviglia come luce,
perché la vita
si spegne nel buio.

*

Notte fonda

Fonda: così si dice della notte

che non trova il suo giorno

e si perde in cunicoli contorti

e circonvoluti convolvoli

di finti ricordi e ipotetici presenti.

Così si vaga, anime perse,

senza direzione né rotta,

fino alle prime luci dell’alba

quando ritroviamo il respiro

e la strada del corpo.

 

 

*

Cuneo

Se appena non fosse così grigio, questo grigio,
proprio oggi, se ci fosse un qualche slargo di luce
in cui riparare lo sguardo, allora il ricordo
 
non sarebbe questo cuneo infilato nel petto
che impedisce il respiro; sarei capace
di ritrovare i sorrisi, gli scherzi, la gioia
 
persino. Ma adesso prevale solo l'assenza
e la nuda ferocia dell'aver avuto
 
e aver perso, come se fosse normale, come
se fosse scontato che la vita sia questo.
 
(8 febbraio 2017, in occasione del comune compleanno di mio padre ENZO e mia madre CESARINA che, con mio fratello PAOLO, mi mancano indicibilmente)

*

A Matteo

al di là degli anni
ritrovo il tuo sorriso
come una ferita
giovane compagno perso
chissà dove,
ma non è che non accetti
è che non capisco
e tento di risolverti
come un’equazione,
m’arrampico sugli specchi
della ragionevolezza.
dovrei inventare
una nuova matematica
o lasciarti andare
dove hai voluto
nell’incommensurabile vuoto
freddo d’affetti e di sorrisi,
tu che eri amato e che amavi,
dalle mani e dagli occhi generosi
e dall’ineffabile sorte.

*

Due Haiku per Matteo

Questo azzurro
vibra di ricordi. Tu
assurdamente
 
manchi, respiro
dell’anima silente
fattosi ghiaccio.
❤️
 
 
Ciao Matteo. Boh, dovrebbero essere due haiku in onor tuo, che amavi la cultura giapponese, ma non ci scommetterei...

*

Ghiaccio

la lamina delle verità indimostrate

su cui incoscienti camminiamo

si riempie di crepe passo passo;

la sua sottile superficie scricchiola

sotto il peso dell’essenza delle cose

e dell’assenza di senso, sinché

una luce non la colpisce con l’angolo

appropriato, trasformando tutto

in quisquilie iridescenti e liquide.

*

Ancora dell’alba

Tra i palazzi piombigni
e ancora chiusi alla notte
l’alba ha la leggerezza del rosa,
si posa piano sui vetri
in riflessi leggeri,
risveglia l’asfalto
in un nastro di luce,
trascolora piano,
con grazia gentile,
verso la violenza del giorno.
Di tutti, è l’inganno
che più amo.

*

La conta (giorno della memoria)

È il giorno della memoria e, oddio, la memoria
la stiamo perdendo,
tra chi imbratta con svastiche, oddio con svastiche,
memoriali di Auschwitz,
e chi uccide palestinesi per la colpa di esser nati,
la memoria la stiamo perdendo:
goccia dopo goccia, bomba dopo bomba,
ferita dopo ferita,
non è più che un gioco la conta delle vittime
: a che ne ha di più, oddio
chi ne ha di più.
I morti si contano, si pesano o pesano?
Che differenza c’è tra i morti innocenti
ammazzati dai tagliagole
e quelli ammazzati dalle bombe e dalla fame
anch’essi, oddio, per la sola colpa d’esser nati?
Che differenza c’è, chiedo ai vostri Dei sanguisughe
che continuano a esigere le loro libbre di carne?
Mi rintano tra i libri e cerco la speranza
in chi la trovava in una buccia di patata,
nel sentir pronunciare il suo nome,
in una feritoia di luce che tagliava il buio
del vagone.

*

Scatola cinese

Stanotte ti ho sognato e

nel sogno ti sognavo.

In questo gioco di rimandi

abbiamo rinnovato promesse

e dichiarazioni d’amore,

mentre i nostri volti

si disegnavano chiari,

trasfusi dalla luce fantastica

che pervadeva il paesaggio

nel paesaggio.

Una scatola cinese

di preziosa porcellana

che si è conservata nel giorno

con dentro una polvere magica

d’impalpabile levità.

*

Notte operosa

A volte scende questa notte operosa
tessitrice di inganni
capace di confondere esiti e cause
in un groviglio inestricabile
di capelli e mani sulla testa
che si intrecciano per contenere
i pensieri
              demoni ridicoli
e cedevoli alla chimica
come se non fossero niente
ovvero non essendo niente

*

Si rovescia il grigio

si rovescia il grigio
dai monti all’orizzonte,
una lava
che toglie respiro allo sguardo,
sbiadisce il rosso dei platani,
si confonde col cupo nastro
di palazzi e d’asfalto:
a suo modo un’armonia,
un concerto di melanconica
compattezza che d’improvviso
lascia spazio a una lontana
ferita di luce,
una lirica, dolente promessa,
quasi una speranza.

*

Cartolina da Praga »
Questo testo è in formato PDF (113 KByte)

*

Nodi

Forse se il groviglio di nodi
tornasse a sciogliersi
in un filo luminoso
di seta iridescente
teso tra cause ed effetti
senza perdersi
tra i come e i perché,
senza impigliarsi tra i chiodi
inflitti nelle mani,
 
tutto sarebbe semplicemente disvelato
nella sua essenziale nudità
di accadimento,
senza rimandi, riverberi, richiami.
 
Pristina sostanza
di verità.

*

Confine

La luce quasi bianca del sole
non ferisce, non accarezza:
resta distante all’orizzonte
pronta a coprirsi della caligine
grigia che l’assedia
nei giorni dell’angoscia indefinita
della perdita infinita
dell’abisso
              [laddove attendemmo
la buona novella.
 
Eppure le persone di buona volontà
sono qui,
sono qui gli ultimi, i reietti, i bambini
gli umili,
i piegati dalla storia personale e universale;
sono qui gli innocenti, i pentiti,
 
il sale della terra è qui
 
noi tutti siamo qui
nella perfetta solitudine
dell’abbandono.
 

 

*

ragion d’essere

È arrivata la luce ottobrina che accarezza e non morde
gli spigoli dei palazzi,
trasformandoli in vaghi accidenti nell’azzurro
sfumando l’orizzonte di colline
fin dove arriva lo sguardo e ti ritrova,
mio amore che custodisco inesausta
ragion d’essere.

*

Oh, yeah

Di fronte al dolore del mondo - oh, yeah

ho sempre l’impressione di essermela cavata

con *così poco*, di fronte al dolore

di mio fratello, di mio padre, di mia madre,

me la sono cavata con così poco - oh, yeah.

Certo, c’è sempre tempo, il tempo più lungo,

dicono. Ma io, io m’inabisso, ho la pelle

spessa come cuoio, le fiocine rimbalzano.

L’urlo dello sfiato è il mio canto - oh, yeah.

*

Bisturi di diamante

 
Ti pensavo oggi, insieme alle grate azzurre dei burka
tornati a coprire gli sguardi delle donne di Herat
e ai sogni delle bambine afghane abbandonate,
quando e per quante volte ripetesti come la guerra
non sarebbe stata mai una vittoria. Sicché il tuo sguardo
e forse il tuo cuore infranto, dal ripetersi quasi coatto
della violenza che ripaga con la morte. Ma tu,
nelle grandi mani nodose, avevi la forza della vita e
nelle parole la semplicità della verità, quella che taglia
come un bisturi di diamante. Così facile da ignorare,
nel suo suono angelico: «non è per noi esseri umani.
Noi non siamo fatti così, siamo fatti per uccidere,»
rispondono

*

2 giugno

 
E sia che sono italiana per caso,
internazionalista nel cuore,
propugnatrice della libera circolazione degli umani,
delle idee e sì, anche delle merci,
però l’amo, questa sfrontata Repubblica
che affronta il Mediterraneo,
“terra di infanti, affamati, corrotti”(*)
sempre in bilico sull’orlo del baratro
che gli uni alacremente scavano
e gli altri affannosamente riempiono;
ne amo la storia e l’immeritata bellezza
che ovunque ti sorprende o ti lacera,
laddove è calpestata dall’ignominia del presente.
 
(*) Alla mia nazione, di P.P. Pasolini

*

I giorni della lucertola

non amo più la vampa dell’estate
la sfacciata sicumera con cui avanza
costringendo a rintanarsi
negli angoli bui
nelle ombre ritagliate dai palazzi
 
i giorni della lucertola sono lontani
 
 

*

Eppure non ti cerco

Davvero non ci sei?

Lo chiedo perché a volte

mi sembra di scorgerti

nel passo di qualcuno

o nella schiena di un altro

ma mai tutto intero,

mai quello che eri:

ogni volta vengo sconfitta

dalla realtà dell’assenza.

Eppure non ti cerco,

fratello mio. Ma sei come

un rumore bianco,

un sottofondo indistinto

che ogni tanto produce sovracuti

come lame,

che incidono la carne

fino in fondo,

fin dove il ricordo si annida.

*

la danza delle braci

oggi il sole è una carezza audace

una tentazione irresistita

a lasciarsi andare

al rosso dietro le palpebre

dove vive il ricordo

della fiamma che generò

l’ipnotica danza delle braci.

*

Mercoledì delle ceneri

Mercoledì delle Ceneri

a questa finestra si è ristretto il mio orizzonte
a questa finestra
di tutto il mondo fuori

così guardo le colline lontane
e le altre finestre accendersi e spegnersi
come in uno strano gioco di richiami
e sotto macchinine e radi pupazzetti
intabarrati coperti
soli

tutto si perde tutto si perde amore
e invocarti non basta
ad ancorare il desiderio di vivere
alla vuota ecolalia dei giorni

noi fummo vento e sogno
e adesso siamo cenere
grigia impalpabile materia
che non ricorda più d’essere stata



*

Orfani

In quali giorni non mi manchiate è difficile dirlo:

talvolta è come il fruscio di un disco,

una puntina che si trascina sul vinile a fine corsa,

la notte prima di addormentarsi,

e pensi che sarebbe potuto andare avanti

che c’è una canzone che manca.

Altre, una domanda inespressa,

che inciampa sulle labbra

perché non troverebbe risposta:

nessuno più sa, a nessuno più importa

chi era quella persona nella fotografia,

a quanti anni ti è successa quella cosa.

O ancora, quelle bisillabiche invocazioni

quando ci si sente sperduti e soli

e privi di ogni certezza:

cioè sempre, orfani come siamo in ogni senso.

 

(domani 8 febbraio sarebbe stato il compleanno comune di mio padre Enzo, morto nel 1987, e di mia madre Cesarina, che lo ha seguito dieci anni dopo)

*

Angolo vivo

L’angolo vivo del palazzo

ferisce l’azzurro

tagliando la prospettiva verso l’orizzonte:

tutto si ripiega e ricade

nella stanza.

 

Chiudo gli occhi per vedere ancora qualcosa

dello splendore del mondo.

*

Cara me

Ci sono albe in cui un rasoio di luce
si riflette sulle cime dei platani rossi,
e questi sui palazzi, trasmutando tutto
in un gioiello prezioso,
il solito scenario incantato
in cui mi perdo.
Oh, cara me, la bellezza non salva
ma impreziosisce ogni cosa.
 
 

*

L’ottobre che non colsi

per Adele C.
 
A volte capita che il sole già basso
sull’orizzonte m’inondi di dolcezze inaspettate
vaghi ricordi rosa e oro tendenti al rosso
che scacciano il cupo grigiore dominante
di queste giornate, scandite dai numeri
s p a v e n t o s i e quasi mai capiti,
vomitati da esseri ectoplasmatici
impegnati ad interpretare sé stessi.
Ma non direi questo, ora: direi
di quanta bellezza c’è nel semplice riverberare
della luce sul pavimento, il suo scomporsi
in miliardi di lapilli, piccoli fuochi fatui
che convergono verso i miei occhi nocciola,
come se un incantesimo li attraesse.
Di questo voglio parlare, e lasciarmi andare,
Adele cara, salutare così l’ottobre maestoso
che non colsi. Di tutti il più amato, si sa,
quello che aveva il profumo più intenso.
 
"Non amo che le rose
che non colsi" Guido Gozzano

*

Lustro

Fratello mio, ancora non dà lustro questo tempo passato,

non si cancella la crudele efferatezza dell’addio

e affiora nelle notti come un buco che mi inghiotta

là dove il dolore non ti dava requie. E che nemmeno io la trovi

nonostante il solerte aiuto della chimica

e senta il bisogno di ridirlo, a significare l’insensatezza

della pena inflitta ai viventi per la colpa d’esser nati,

stupisce quasi quanto l’intatta gioia di vivere che a volte

mi coglie, quando la natura sciorina la sua semplice bellezza

o gli affetti aprono lo sguardo e il sorriso.

Perché sì, la vita continua. Per inerzia più che per volontà,

direi, eppure trova ancora la sua ragion d’essere.

E allora così sia, Paolo caro: questo è quanto, qui sulla terra.

 

In memoria di mio fratello Paolo, nato il 29 aprile 1956; morto il 27 agosto 2015.

*

Gran Sasso

All’immensità misurata dallo scampanio incessante,
dal mescolarsi delle macchie di colore,
fiori come sangue o come oro
o piccole ametiste fragili appoggiate sul terreno sassoso
che sembra respingere tutto, ma tutto accoglie;
all’abbraccio lento della sua corona di montagne;
a tutto questo che incrocia
le mie radici terremotate, strappate
e ricostruite abusivamente,
in periferie pasoliniane brulicanti vita umana
e piena di speranza
- materia volatile e distrutta dalla kryptonite dell’esistenza -
a tutto questo appartengo
in qualche modo profondo. Ogni volta che torno
ne sento la lancinante bellezza,
l’assurda mancanza, come fosse una piccola patria,
un argine scabro alla mia estraneità.
 
 
 
 
 

*

Spine presunte

È l’ora della luce che ferisce,

calcinando di bianco la terra

secca, ridotta a polvere volatile,

quasi come cenere di fuochi

disumani. Tutto tace intorno

e così io, in questo roveto ardente

di spine presunte. 

 

 

*

Teologia

Tu sei ciò che è: il silenzio
che mi assorda e invade.
E se chiedo dove sei, sia come sia
non sei nulla, in nessun posto
e non sai niente
della panica consapevolezza
delle assenze, cunei ribattuti nel cuore
dal martello dei giorni.

 
 (14 giugno 2017)
 

*

Parlando del maggio

Di quando in quando il bel maggio

mi manda la sua profumata essenza di grazia e luce

mi partorisce dall’inverno

uterino

che non ho mai amato e men che meno quest’anno

coi suoi ululati di lupi e paure dietro le finestre chiuse

saracinesche sulle anime spaventate

che ora negano persino di essere esistite in quelle ore

e di aver visto i morti coi loro occhi -

le lunghe file di camion o di bare interrate

in isole lontane;

negano tutto, negano sempre

pur di sopravvivere a sé stesse

alla propria personale angoscia.

angoscia epocale, siderale, paura dei lupi

pronti a balzare se il fuoco si spegne.

quando

il fuoco si spegne.

 

Ma dicevo del maggio, il bel maggio odoroso

che mi regala le sue corolle

d’infiniti colori, piccole meraviglie portatili,

frulli d’ali, chioccolii di bellezza e ogni sfumatura

di verde, fino al corso dell’Aniene

che, mi spiace, nonostante l’aneddotica corrente,

non è tornato azzurro neanche ora.

 

Di quel maggio in cui sono nata io,

ma avrebbe potuto essere dicembre e avrebbe potuto essere altrove.

 

 

 

 

*

Parlando del maggio

Di quando in quando il bel maggio

mi manda la sua profumata essenza di grazia e luce

mi partorisce dall’inverno

uterino

che non ho mai amato e men che meno quest’anno

coi suoi ululati di lupi e paure dietro le finestre chiuse

saracinesche sulle anime spaventate

che ora negano persino di essere esistite in quelle ore

e di aver visto i morti coi loro occhi -

le lunghe file di camion o di bare interrate

in isole lontane;

negano tutto, negano sempre

pur di sopravvivere a sé stesse

alla propria personale angoscia.

angoscia epocale, siderale, paura dei lupi

pronti a balzare se il fuoco si spegne.

quando

il fuoco si spegne.

 

Ma dicevo del maggio, il bel maggio odoroso

che mi regala le sue corolle

d’infiniti colori, piccole meraviglie portatili,

frulli d’ali, chioccolii di bellezza e ogni sfumatura

di verde, fino al corso dell’Aniene

che, mi spiace, nonostante l’aneddotica corrente,

non è tornato azzurro neanche ora.

 

Di quel maggio in cui sono nata io,

ma avrebbe potuto essere dicembre e avrebbe potuto essere altrove.

 

 

 

 

*

Lettera a Paolo nel/dal regno dei morti

In realtà ti sarebbe piaciuto
questo silenzio coatto,
questo vuoto siderale iniettato nelle vite di tutti,
anche di quelli che hanno sempre finto
che avessero un senso.
Poi sì, avresti ringhiato il tuo dissenso d’ufficio
per qualsiasi cosa,
con quella tv sempre accesa
su questa distopia mondiale
e avremmo discusso per ore
a quale Urania di papà somigliasse di più.
Per il resto, come sempre ad aprile,
siamo sommersi dai fiori e qui a casa mia
il rigoglio dei platani ormai copre la strada.
Tutto rinasce, tutto ribolle di vita
in questo scenario funereo,
e a dire il vero, fratello mio,
niente potrebbe somigliarti di più.
 
(*) oggi è – era – sarebbe stato – il giorno del compleanno di mio fratello Paolo, nato il 29 aprile 1956 e morto il 27 agosto 2015.

*

Alfa-privativa

Me ne sto amorfa, atemporale, afona

alfa-privativa di tutto ciò che può essere privato

in questo tempo assente,

una parentesi che è un abisso

di dolore o noia o entrambe

e sarà o è già disconosciuta nel chiacchiericcio

insulso.

I «ma potevamo, ma si sarebbe, ma avrebbero dovuto»

dei soloni a posteriori fioccheranno come sempre

e anche i «l’avevo detto io» di quelli

che non hanno mai parlato

oppure avevano detto l’esatto opposto,

tanto la memoria costa troppo

o non ce l’hanno.

Il massacro dei dati di chi non sa

le tabelline e se ne vanta

- «il rosso vince sull’esperto» da slogan maoista

qui è pratica di vita quotidiana –

la vita affidata a legulei, azzeccagarbugli rintronati

dal suono delle loro stesse parole,

assurde commissioni ridondanti di non scelte,

tutto per dire: non è successo niente, in fondo.

La vita continua. Poveri morti scemi, che siete morti

così.

*

Sempre risorge

nel surreale silenzio di queste mattine

mentre aspetto il sole che colori di rosa

- e scaldi quel tanto ch’è possibile scaldare

senza l’incontro, coi sorrisi coperti, le distanze

mantenute, normate per legge,

penso al paradosso di questa vita ricondotta

all’osso, coatta, eppure piena

e mi chiedo dove mettessi tutte le cose

che ora mi mancano; essendosi affollato

il mondo delle astratte assenze

in cui spesso mi perdo

perché lì sempre risorge

ciò che amo, ho amato, amerò.

 

 

Buona Pasqua a tutti!

 

*

Così trascorro

Il confronto impossibile col mio cuore di marmo

con la polvere solidificata sulle coste di libri letti e dimenticati

con le mani poco propense alle virtù casalinghe,

 

tutto congiura perché sia il divano la scelta perfetta

in questa semi-quarantena, lo sguardo fisso oltre la tv

in uno spazio dimesso, un angolo di nulla

 

che conforta la mia voglia di non essere, non vivere

questa distopia che non mi appartiene,  

che tra tutte le catastrofi immaginate e coltivate

nel pur ricco catalogo dei miei incubi, mai avevo contemplato;

 

Così trascorro i pomeriggi sempre più lunghi,

sempre più pieni di luce, in attesa che le vicinanze

riprendano il posto delle assenze,

 

e ritornino le fragranze amate dell’erba tagliata,

della ginestra che mi stordisce gialla sui cammini bianchi,

dei glicini che piovono sulla salita per il Pincio,

 

o del mare, quando si sbriciola ai miei piedi

in un’iridata carezza oppure m’inonda di luce perfetta

se mi tuffo al tramonto nella striscia che lo divide

e rincorro il sole, nuotando verso l’orizzonte.

*

Ho le mani vuote, in questi giorni

Ho le mani vuote, in questi giorni. Quelle,
abituate a stringere, accarezzare: proprio quelle, dico.
Ma gli occhi, loro, non si danno per vinti
e cercano gli sguardi altrui, il contatto infinito.
E il sorriso anche, cerca di spianare le rughe corrucciate
sui volti. È difficile: dalle strade sono spariti
i bambini, i giochi e anche i cani pare abbiano compreso
che qualcosa sta accadendo,
annusano veloci per poi tornare a casa.
Tutto avviene in tempi rarefatti
dilatati dall'attesa di un ritorno a una normalità
mai esistita. Le lunghe code snocciolate
davanti ai supermercati, alle farmacie, sono fatte di anime silenziose
preoccupate di aver perso il lavoro,
la sussistenza, le fondamenta stesse della vita.
Negli ospedali c'è chi combatte strenue battaglie per la sopravvivenza
e noi li osserviamo attoniti, storditi.
Sebbene tutto sia già successo, tutto è terribilmente nuovo.
Eppure, amici, amori, amanti, amati, miei compagni di vita
che siete tutti, sappiamo che la vita è più forte
e tornerà a prevalere. La lacca colorata del cielo
continuerà ad incantarci
e unirci o dividerci, come ha sempre fatto.
Non saremo più buoni né più cattivi:
i soliti esseri umani, polvere di stelle e di fango.

*

Musica astrale

Il rosso del tramonto che cede all’indaco

sempre mi racconta dell’amore

e del nostro, prezioso,

fra i tanti di cui vibra l’universo:

la musica astrale che crea la materia.

 

 

*

Supernova

                                                                  a Maria Sole

 

Quando Betelgeuse esploderà in una supernova
potremo vederla brillare nel cielo
come una fuggevole, splendente nuova luna.
Sarà uno spettacolo incredibile, assicurano gli astrofisici in fermento
anche se non sanno se davvero ci sarà, lo spettacolo, e quando:
se durante il ciclo della loro vita
o fra seicento anni, quando anche gli allievi
dei loro allievi dei loro allievi dei loro allievi
saranno già polvere stellare.
Ma gli astrofisici sono gente incredibile, ancor più
dell’esplosione di Betelgeuse,
con gli occhi sempre rivolti alle stelle.
Come i matematici, i musicisti, i poeti e tutta la genia dei nullafacenti
sono così vicini alla purezza degli intenti
che mi commuovono nel loro aspettare,
aspettare sempre che qualcosa accada e segni le loro vite.
Dare il nome a una stella, una galassia, un fenomeno strano,
partire su una navetta spaziale, guardarci dall’alto,
salutarci da lontano.

 

*

I miei auguri per il 2020

Da dietro le tende filtra, insieme ai raggi del sole

un frullio d’anime gentili,
piccoli uccelli sfuggiti all’ala nera delle cornacchie
che dominano i cieli di Roma.

Sto immobile, timorosa di spaventarli e farli fuggire
e li prendo per un segno di speranza,
un omen inaspettato per questa fine di un decennio
doloroso, in cui quanto mai avrebbe potuto

ferire ha ferito, fuori e dentro, fuori e dentro,
con feroce precisione da serial killer.
D’altronde voi direte, quando mai manca la ferocia,
quando mai tace il digrignar di denti?

E questo anche è vero, amici miei lontani
che non ci siete mai, amici miei inesistenti, amici miei
sognati, questo anche è vero. Ma capita a volte,
a volte, dico, che il rumore si taccia.

Che da qualche profonda cavità del cuore
s’innalzi un canto, un canto melodioso, melodioso, sì,
per celebrare queste piccole rinascite
che ogni tanto arrivano in dono

dalla Natura che c’è Madre, a noi orfani,
e senza parere ogni volta dice: «ce la farai, ce la faremo
sopravvivrai, sopravvivremo:
la morte, la ferocia, è un sottoprodotto.

Occorre essere necessariamente solari.»

*

Fresco e luminoso è il giorno

Fresco e luminoso è il giorno,
di quegli azzurri che ti aprono il cuore
con gli alberi ormai quasi nudi
che lo disegnano come filigrane
e le poche nuvole
che quasi si perdono all’orizzonte;
l’asfalto brilla di questa luce fredda
e tutto acquista una consistenza di pietra preziosa.
La grazia perduta ritorna allo sguardo
che si apre, si spalanca
insieme alle mani
per accogliere il sole.

*

La rossa verticalità dei platani

Con l’inconsapevolezza
della caducità
la rossa verticalità dei platani
sfida il ferreo grigiore del cielo,
freme d’amore al vento
che la scuote,
si piega e rimbalza
lasciando una carezza contro la mia finestra,
il flebile segno di una driade sperduta.

*

Il Pianista

Il Pianista

 

Una tragedia l’ha attraversato

come una faglia,

l’ha squarciato trasformando

tutto in rumor bianco,
in rombo cieco.

 

Ma volte l’assenza illumina

piuttosto che nascondere,

e ora il tocco vibra

di dolore e di bellezza,

 

una carezza ineludibile

per chi conosca

l’ineffabile ossessione dell’abisso.

 

(dopo un concerto di Ivo Pogorelich)

*

La danza

Basta un riflesso improvviso

per ricordare l’azzurro che è in te,

il cielo che nascondono le pietre

che t’hanno cresciuta,

segnata d’amore per la bellezza.

E mentre tutto sembrava congiurare
verso la dimenticanza,

il lento scivolare nell’irrilevante,

d’improvviso la meraviglia ritorna:

come un frastuono di sensazioni

che ti accendono lo sguardo.

La gonna è di nuovo una corolla

e il passo una danza al ritmo delle sillabe,

che cadono tintinnando

sul lucido dell’asfalto.

 

 

*

Invettiva del giorno dei morti

In questi giorni il tuo urlo muto, fratello mio,

sangue mio, trova la sua transustanziazione -

e scusate se parlo difficile, ma ho avuto la

- sfortuna -

di imparare delle parole,

l'ho avuta sì

e questo mi costerà di essere spedita al riciclaggio

dei rifiuti solidi dei maiali,

come al tempo della rivoluzione culturale maoista,

in una qualche sorta di ridicolo rovesciamento

della storia. Perché sono un'intellettuale, sì,

buonista, sì, radical e pure un po' chic,

- hanno scordato di darmi il rolex, ma tant'è,

l'ignominia mi tocca lo stesso.

Mi tocca lo stesso veder insultate persone degne e miti

che si battono perché non si perda la memoria

dell'abisso nazista, mentre altre sfilano

sotto la croce uncinata a viso aperto, come se nulla fosse,

mangiano in tavole imbandite con menù che inneggiano all'infame

assassino che ha trascinato l'Italia nella polvere e nell'ignominia

della guerra, sorridono persino. Nel centenario di Primo Levi,

nell'anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini

questo è quello che mi tocca, Paolo mio.

Mi tocca vedere l'irrilevanza della sinistra ripiegata sul suo ombelico

mentre scompare l'umanità,

l'umanesimo e la ricerca di quel minimo di equità

che non ci faccia vergognare

di alzare gli occhi sull'altro.

Mi tocca vedere che paghiamo i lager libici, vendiamo le armi

agli assassini siriani, affamiamo i bambini yemeniti,

assistiamo inermi al ritorno delle paradittature latino americane

e che altro ti devo dire, Paolo mio?

Tutto si tiene, fratello caro,

tutto si tiene. Cosa potevi gridare tu,

più di tutto quello che davanti ai nostri occhi

già allora  era andato distrutto, s'era trasformato in niente?

Cos'altro potevi gridare, se non il nulla?

 

 

*

Roma mia

Alla fine del mio sguardo inizia la città,
sempre lei, con gli angoli duri dei palazzi
addolciti a volte da qualche pianta in fiore
messa lì dalla mano pietosa di una donna
come sulla tomba della bellezza.
Eppure da sopra gli spigoli all'alba sale
un'epopea di rosa. Poi nell'azzurro s'intravede
un lontano affacciarsi di montagne dolci
che, dopo un qualche tramonto
di lancinanti rossi, la notte brulicano di luci
come cespugli abitati dalle lucciole.
Va detto inoltre che il mio balcone domina
le cime di platani abissali.
Gli alberi nascondono la strada e fremono
ad ogni refolo, pronti a cedere
all'oro dell'autunno. Di questo, si deve tener conto
così come del suono delle voci
che m'è familiare sin da bambina.
Qui non siamo nella città gloriosa, ma anche questo
ha un senso, un suo perché da qualche parte,
nascosto persino a se stesso, vilipeso. Di tutto
bisogno tener conto, quando si parla d'amore.

 

*

Such a brightness

Luce come balsamo
sulle fronti chine,
sulle ferite aperte dal dolore: eppure
ci credo ancora e ancora,
ostinata mente.

 
 
 
 
 
 

*

Non-mafia Capitale

Qui conosco appena la forza devastante

della natura, ma so bene quella del cemento

e della pietra,

dell'asfalto che crepa i sentimenti

fino a inghiottirli in voragini improvvise,

tanto più inattese in questa falsa

illusione di sicurezza, di sorti progressive

in cui ci ha cullato questa città a strati

costruita sulle rovine della storia.

Ecco, magari questo è il tempo

della ennesima rovina e non lo sappiamo,

convinti sempre che a noi spetti il rinascimento.

 

 

*

Esatta verificatrice

Alba mia alba rosa disegnatrice di cose,

esatta verificatrice

di ciò che continua: stamattina

hai perso la precisione delle dita

in una bruma rosa che ha confuso tutto.

Così l'attesa si è trasfigurata in speranza,

sua evanescente sorella,

ma tanto più bella,

tanto più cara allo sguardo.

 

*

Il viaggio di Xwert

Sulla piccola Terra che mi trovo a calcare
c'è una poderosa collezione di meraviglie e orrori
che qualsiasi visitatore extragalattico
- come io a volte vagheggio di essere
per segnare la distanza dal fragore della morte
inflitta - ne sarebbe frastornato. Una sindrome
di Stendhal globale e vorticosa tra bellezze
dell'arte e della Natura e un precipitare nell'abisso
del dolore da noi stessi provocato a uomini, animali, vegetali
e persino al sostegno stesso dei nostri piedi,
che il nostro Xwert direbbe, «oh cara, non so
se consigliarti il viaggio, ci vuole uno stomaco
- o quel che hanno gli alieni - forte, sai. E poi,
per quando arriverai, chissà se ci saranno ancora.»
Intanto io, aliena o no, cerco di godermi
il bel sole settembrino, il gioco della luce sugli alberi
e penso che tuttavia, tuttavia, c'è qualcosa che mi lega
a questa palla di sterco dal cuore di fuoco:
in mezzo al dolore delle genti, gli sguardi appassionati,
l'amore, le risate, la gioia persino, come un dono,
come una promessa.

 

*

Un’illuminazione

Oggi è così chiara la luce
che sembra quasi una ragione di vita,
una spiegazione in sé.

 

 

*

Il tunnel d’oro

Lei attraversa l'alba

con lo sguardo ferito dalla luce radente

che confonde tutta la cupola verde degli alberi

in un indefinito tunnel d'oro,

come se camminasse verso la gloria.

Eppure sa che è la solita strada

densa di miasmi e cartacce e sporcizia,

la solita di ogni giorno,

trasfigurata dall'accidente di essere lì

in quell'esatto momento,

quell'ora esatta, non scelta, ma che le è accaduto

di trovare come se avesse voluto dirle: non è sempre

in quell'altro modo, la vita può essere così,

tu puoi essere così,

una che cammina su un tappeto di gemme,

in un tunnel d'oro, come una principessa delle favole

in un giardino incantato del cazzo,

anche oggi, anche qui. Lascia che il tuo sguardo

ritrovi la luce della meraviglia,

lascia che si spalanchi all'iridiscenza.

Tutto è riflesso, specchio, illusione.

Anche il dolore.

 

 

*

La misura del tempo

È così breve confuso e stonato, caro Sam,
perché non c'è nulla di intelligente da dire su un massacro.

Kurt Vonnegut - Mattatoio 5

 

 

A chi continua a chiedermi, ma ancora?

Ancora la ferita ti inghiotte e non si chiude?

Ecco, ai tanti voi vorrei rispondere che così come

quando amo, amo per sempre,

quando soffro,

soffro per sempre. Sono le due facce della stessa storia

e non c'è l'una senza l'altra.

Non si può avere l'amore senza il dolore

e così, all'inizio della vita, quando mi fu chiesto di decidere,

- non ci credete vero? eppure lo ricordo -

io dissi: «li voglio entrambi.»

Mi chiesero se sapevo  cosa significasse e io risposi no,

che non sapevo niente. D'altronde all'epoca

ero poco più che un essere monocellulare,

ma forse, dico forse, avevo già la consapevolezza

che l'amore fosse l'unica misura del tempo,

l'unica che conta, intendo.

 

(A mio fratello Paolo, sempre)

 

*

La lumaca

«Sono triste come una bava di lumaca,» dice

ed io effettivamente colgo

la tristezza

di quella materia

translucida e molliccia,

così carica di insensatezza

nel discorso che stavamo facendo

che divento triste anch'io

e ce ne stiamo lì sedute, una di fronte all'altra

a rubarci il fiato, entrambe ingobbite dal gravame,

speculari, tanto che mi confondo e non so chi sia lei,

chi sia io, chi abbia detto cosa

e soprattutto, soprattutto,

dove mai sia andata la lumaca.

*

Pedicello

Considerate questo, che io non amo la vita,
la considero peggio di un pedicello sul culo,
una tortura non scelta e immeritata
che semina dolore e morte a ripetizione. 
Quello che amo,
sì, quello che amo nonostante tutto,
oltre ad alcune magnifiche ostentazioni della natura
o della genialità delle umane genti,
sono gli esseri viventi. Intendo ciascun essere preso singolarmente.
Non il popolo, non la gente, non gli animali, ma proprio te
che tu sia predatore o predato, 
sorridente o corrucciato, vittima e persino
carnefice: 
insomma te, così come sei. Ora capita ci siano alcuni
che di questo non sanno che farsene,
che non riconoscono l'amore nemmeno col binocolo,
oppure vorrebbero che amassi solo loro.
Così io mi rassegno a continuare ad amarli, ma da lontano,
a distanza di sicurezza, per così dire,
e dal semi-deserto in cui mi ritrovo non posso
che continuare a dire che l'amore è l'unica salvezza.
È tutto ciò che basta, è tutto ciò che resta.

 

(21 luglio 2017)

*

La forza unica

È così breve la notte amore mio, un pugno d'ore
rispetto al vasto deserto del giorno,
implacabile di tempo e di realtà.

In quelle ci stacchiamo da terra come nei quadri di Chagall
voliamo sulle ultronee miserie inflitte all'essere umani
e mortali,

in questa estate rovente e putrida di rifiuti 
e di pensieri. Così noi, trasumanati dalla forza unica
dell'amore vivo,

nutrito dagli sguardi, affrontiamo i cieli, 
in questo laico riparo 
di integrità e misericordia.

 

*

Fili

io quando penso alle persone penso alle mani
trasformate in lunghi fili sottili,
mani di ragno che li imbozzolano
in una trama di luce
che si espande e illumina
anche gli altri, diventa fonte di gioia o pania,
né i fili si spezzano per la lontananza o il tempo
e quelli dell'uno si intrecciano a quelli dell'altro e
quando vibrano al vento vi dondolano piccoli angeli
incorporei, inesistenti direi, a volte così belli da far male.
Io vedo questo, questo tessuto mirabile, capisci?
E non importa se le persone muoiono
o tradiscono o se ne vanno altrove, non importa niente:
il legame è creato e resta, il filo esiste, si fa sottile, così sottile
io non so dirti quanto, ma esiste e resiste.
Questa tela, questo disegno astratto, ci tiene al mondo,
senza di esso non saremmo nulla,
la gravità non ci tratterrebbe al suolo:
scompariremmo nel vuoto siderale, inghiottiti nel buio,
poveri piccoli ossimori condannati all'inesistenza.

 

 

*

Distopia

Che distopia stiamo vivendo, mi chiedo, Maria Grazia, 
senza soverchia convinzione
per poi rinchiudermi nel silenzio strutturato 
che ho costruito intorno alle delusioni reiterate, 
alle nostalgie trasformate in piaghe da decubito.

Ora guardo serie su Netflix e, per lenire la coscienza,
preparo da mangiare per «i miei ragazzi», 
come arditamente li chiamo,
quegli occhi sperduti che incontro una volta a settimana, 
non di più che mi farebbe male,
e ho già avuto un infarto e svariate amputazioni d'amore
per dirla con le parole di un mio amico.

Rinchiusa, rinchiusa in queste righe spezzate
e solitarie, la me che cercava la condivisione della bellezza,
l'espansione della conoscenza, la partenogenesi della gioia.

Non riconosco più nulla, se non la crudeltà
degli esseri umani e tra questi, la mia propria.

 

 

(NdA) "Amputazione d'amore" è il titolo di un racconto di Fulvio Musso; Maria Grazia è Maria Grazia Calandrone

*

Come può la stessa luce

                                             a Ferdinando, con amore

 

come può la stessa luce che ci illumina e perfonde

la stessa, dico, come può, tagliare a carne viva,

scarnificare questi poveri esseri che siamo, tutti,

chi più chi meno, e tanti più, afflitti da ultronee

cattiverie comprate un tanto al chilo al mercato

delle efferatezze? di tutte quella che più patisco

è lo sfogliarsi delle assenze, la rosa che perde

il suo odore, lascia una vaga scia, un ricordo

che a volte è lama a volte abisso. Di tutte,

questa: l'elenco dei nomi che si srotola,

lungo la già irriducibile traiettoria della vita.

 

 

 

*

Ora di oro rosa

a volte, nell'ora di oro rosa 
ora preziosa dell'amore e della polvere stellare 
di cui tutto è permeato, 
persino l'assente o l'immaginato

dimentico la ferocia dei viventi
e la mia propria

E mentre m'incanto al pensiero dell'indaco che presto ricoprirà 
le cose, nascondendole allo sguardo, 
penso che sì,
di questo siamo fatti e questo è ciò che conta, 
in fine.

*

Pini

La gloriosa risalita dei pini che tanto amo,
ho appreso,
ha radici superficiali e crudeli
che frantumano il manto stradale
e provocano il loro proprio rovinare
dopo un tempo relativamente breve.
Non so se prenderla come l’ennesima metafora
della mia via vita, pregnante solo per me, 
o lasciare che sia quel che è:
una scusa per l’abbandono e l’incuria
che tutto devasta.

 

 

*

Lacca imperiale

A volte resto seduta, immobile,

inchiodata alla sedia dalla luce che scava nella stanza

cunicoli di speranze mal riposte:

che a tutto ci sia rimedio, o addirittura

che a tutto sia già stato rimediato,

 

con la consapevolezza dell'imperfezione,

dell'incompiutezza, del dolore persino,

messe a tacere da questo inconsulto brillio,

da questa pioggia felice

 

che fra poco si tramuterà in una cascata di oro rosso,

una lacca imperiale per questo squallore metropolitano

che non si merita niente,

eppure ogni giorno ha il suo premio.

 

*

Leggendo N. Nobili

Amore mio dell’amore
lucida febbre che mi consumi
di parole parallele lunghe lunghe catene
che mi imprigionano e conducono
all’infinito presente esserci
Catene di metallo prezioso o ruvido ferro
che taglia le carni:
dire tutto questo è dire che non sono
non sono niente se non ciò che giace

su questi pseudo fogli che hanno perso

addirittura la consistenza della carta
si sono fatti schermo traslucido, sorella mia sconosciuta
che ci ha unito il caso. Anni dopo la tua morte
anni dopo la mia vita. Ad averti saputo
ancora di più avrei amato l’ardore febbrile
che mi ha consumato e bruciato di paura
per non essere stata altro che un altrove.

 

"Non è furba, non è disincantata, non è ricca. Cammina nel mondo con l’anima aperta. Questo il danno. Ma è una scelta: Nella si fa ferire senza volersi difendere perché, se imparasse a difendersi, rischierebbe di perdere in sensibilità, ovvero: in poesia. E la poesia è quel che conta. Così, continua a vivere sanguinando e ridendo, del sangue e delle cose buffe e belle del mondo e della vita." (da "Ho camminato nel mondo con l'anima aperta" di Nella Nobili, Maria Grazia Calandrone)

*

Ho fatto finta, insomma

oggi è giorno grigio: limatura
di ferro sparsa nel cielo
intossica e ottunde i canali cerebrali: ammesso
e non concesso che qualcosa di simile esista, esiste
nella mia testa
rotonda, che rotola per le strade umide
si ammacca perde
la sua intatta essenza d'amore
fatta. Ieri bruciava di rosso oggi boccheggia
nell'umidore borghese, nel domenicale
rito selvaggio.
Senza pausa si passa dall'una all'altra
senza pausa ma molta paura
per il baratro che divide, la faglia che attraversa
i lobi. Da una parta o dall'altra, intima.
Da una parta o dall'altra.

Io non so vivere, ecco: questo è.
Io-non-so-vivere, così non l'ho mai fatto.
I just pretended to. Ho fatto finta, insomma,
sempre.

*

Né chiedi

C’è un’ora precisa di un preciso giorno dell’anno
In cui il sole, travalicando i palazzi,

entra nella fissità della stanza
e mi acceca. Tutto si trasforma in rossa luce,
fuoco ardente nei miei occhi che annuncia
giorni lunghi e tiepidi ancora di là da venire
Tu siedi dalla parte opposta, dai le spalle a questo miracolo
e non sai perché il mio sguardo si accenda.
Né chiedi.

 

*

Nucleo di fuoco

Essere sprofondati nella limacciosa
consuetudine delle cose,
dove tutto è ciò che è
non evoca, non canta, non risuona

e se non questo lo scompiglio, 
la fame di vento, la trafittura.

Essere chiamati a scegliere
è già essere chiamati: 
di niente ho paura
più che di questo,

di essere attirata
nel centro della terra
e scoprirne il nucleo di fuoco
l'immaterialità rovente.

*

Ignara me

della pioggia che frusta i vetri

si è già detto molto e non sempre a proposito

si dicono le cose giuste. Così ne taccio

e la guardo in silenzio, per quanto il rollio

dei rami e il fischio del vento

richiederebbe almeno un grido di aiuto:

mi ritrovo persa nel bosco dei miei anni infantili

e ho paura come allora

 

-ho avuto paura, dunque? non ricordo

ma le parole me lo raccontano,

come spesso fanno, ignara me.

 

 

*

Precipitato

«C’è questa banalità nel dolore,
un contraltare quasi ridicolo, non fosse
il risucchio della mota marrone che crea
e dove tutto si perde.»

La donna sta ferma, immobile, piantata
nella strada e pensa questo, se pensa,
se non lascia solo che la inghiotta
il freddo della notte, il vuoto cosmico

della solitudine strutturale che la ingabbia
come un reticolo, un precipitato salino
della sua inettitudine a vivere. Sì, proprio lei,
la donna che sorride ad ogni stormir di fronde.

 

*

Con la dovuta fatica

Vedi, la cecità del grigio
che mi circonda prelude
alla gioia effimera del tramonto
che esploderà in quella bocca vuota
che rischiara l'orizzonte. E se pure sarà 
subito inghiottita dalla notte, mi lascerà
il segno indelebile della bellezza:
ciò di cui io vivo e che respiro
ogni giorno, con la dovuta fatica.

 

 

*

Economia circolare

ora se io penso a cosa vuol dire rifiutare
e vedo i rifiuti accatastarsi sotto casa,

accatastarsi e diventare ideali dell'io
e là dove regnava il sogno illuminista,

l'illusione del progresso, formarsi una discarica
modello favela, con tanto di bambini

che vi frugano a raccogliere i lacerti del benessere,
anch'essi giustamente desiderosi di contribuire prima

o poi all'accumulo infame, ignobile, che galleggia
nelle pozzanghere, si trasforma in veleno bruciando

e nutre grassi uccelli neri, gracchianti, ecco
se io penso a questo e penso agli esseri umani

rifiutati, respinti ai margini dell'esistenza,
cacciati senza respiro senza riparo senza misericordia,

trovo che tutto si tenga, che la cattiveria umana
si ritorca contro tutti sotto forma di bruttezza

e puzza e orrore, che ci inseguiranno sino al più recondito
riparo che penseremo mai di aver trovato.

 

 

*

Little poor thing

 

Le metro sfrecciano si intrecciano
ed io ho perso la strada, la direzione,
il senso che non è mai esistito.
Eppure Londra è un sogno
per tanti, così meravigliosamente diversa
che tutto passa inosservato,
anche lo squarcio evidente,
la ferita purulenta dell’abbandono.
Tutto, dicevo, tutto passa inosservato.

Sicché è inutile che chieda,
studierò i tabelloni, muti
come totem, indecifrabili geroglifici
per i miei occhi miopi.
Andrò dove andrò e
sarà comunque una scoperta,
un attimo di meraviglia
prima della consapevolezza
di essere ancora
sperduta,
povera piccola cosa.

*

Tigri

Amore mio, amore mio,

hai imparato a distinguere 

la gemma della luce 

nel grigio uniforme del cielo? 

Mi pare sia questo il compito 

che ci è dato

per oggi e per sempre: difficile,

come calcolare la distanza tra noi due

variabile in funzione del tempo

e delle metriche con cui si scandiscono

i legami. Sillabe accondiscendenti 

a ritmi mutevoli, flessibili sillabe

per tigri addomesticate. 

 

*

metafisica

Ah questo cielo di pietra azzurra,

questi oggetti dalla sostanza metafisica

eppure soggetti alle stesse regole

che reggono l’universo,

almeno finché questo non deciderà

di collassare a un punto,

così fiero della sua risolutezza

che noi mai avremmo potuto prevedere.

Ma ora, precipitati nel limbo della non esistenza,

dell’ipotesi indimostrata, 

finalmente giaceremo davvero simili a dio

 

*

Non ancora

Abbiamo questa idea inesorabile del cuore che si spacca,
ancora e ancora, inesorabile e falsa,
come quella che il sole abbia curvato l'orizzonte
col suo peso, il suo gravame di luce.

Tutto converge a un punto, ma non ancora,
non ancora. Avremo altro tempo per intrecciare
le mani, per accarezzarci e sentire i ricami della pelle
sotto la punta delle dita.

Fragili frattali che raccontano una storia come tante,
eppure unica nel suo dipanarsi,

così bella, così lucente, che i bardi piangeranno
per non averla potuta raccontare.

 

 

*

accendo un lume

Accendo un lume per ogni viso che ricordo
per ogni sguardo, per ogni gesto della mani

accendo un lume. Per la crescente coorte di chi
mi ha lasciato un segno, una parola, un vezzo

ed è ora così assurdamente lontano e silente,
per loro accendo un lume. E cento lumi accendo

per i dimenticati, sulle cui tombe si annodano
i rovi, crescono erbacce dalle radici forti

e dai fiori azzurri, pieni di bellezza.

 

*

Luce di settembre

 Aria lucente e nitida, nascosta d'inverno

e lunghe notti buie,
profumata d'erba e barbagli di rugiada:

t'aspettavo e sei arrivata,
languida femmina felina.
Come un'amante lontana,


che torna sempre.
E mi ama ancora

 

 

*

Resta così tanto

Ho parlato di tutto ma resta così tanto da dire
che il cuore trabocca di parole,

accatastate in mucchi disordinati, dissonanti
e grevi oppure vibranti come libellule

ignare di sé: povere creature macilente
che non sanno di avere le ali.

Cosa ne sarà di loro, di queste figlie neglette
dalla loro stessa madre, che non troveranno

spazio mai se non talvolta affiorando alle labbra,
di notte, quando nessuno le sente?

 

*

Piazzale Maslax

Piazzale Maslax

Io ho cercato a lungo, a lungo. Nei giorni
estenuati dall'affanno di vivere, ho cercato 
a lungo un cenno, una risposta. Io ho cercato
a lungo; e adesso, in questa giungla urbana
di proporzioni metafisiche, dove tutto sembrava
congiurare perché finalmente gettassi la spugna,
e potessi dire: «io ho cercato a lungo,
ora voglio riposare,» ecco che incontro
occhi abbacinanti nella loro eloquenza,
sguardi lontani, che non avevo visto mai,
eppure come i miei. E in questo luglio
infuocato dalla violenza del sole 
e degli esseri umani, nel reiterato gesto
ancestrale dell'accoglienza, improvvisa
emerge la parvenza di un senso.

 

Solo l'amore è patria, solo l'amore risponde. 
E l'aiuola costruita nella bruttura è gioia
pura, entusiasmo di vita. Ciò che avevo perso,
ciò che avevo scordato e qui ritrovo:
                                                  [a piene mani.

 

 

 

*

Vivere degni

Ci sono delle notti così, in cui il giorno
appare un'ipotesi non dimostrata.
Incontrollate increspature nel flusso 
del tempo, in cui tutto avviene

contemporaneamente, e sono tutti qui,
tutti ad affollare la confusione dei sogni;
i miei amati, vivi e passati, con gli sconosciuti 
ultimi che soffrono l'indegnità della morte

per abbandono. Ma anche chi è salvato
ed è piccolo e sorride ed ancor più pesa
sul cuore. Notti così, di umanità piena

in cui la responsabilità di vivere degni
diventa un onere insopportabile e sogni
che tutto finisca, si stemperi in un canto.

 

*

Storia Patria

Aveva il volto cieco della storia, mia nonna, quando mi raccontava di guerre, stenti, lutti. Il pomeriggio, le leggevo il Libro Cuore: e piangeva, piangeva. Il Risorgimento era la storia dei suoi genitori, dei suoi nonni, la commuoveva la retorica di quel periodo. «Anch'io ho conosciuto un garibaldino», mi diceva. «Portava sempre la camicia rossa», ed io quella camicia me la immaginavo sempre lacera, sporca, aperta sul petto offerto al perfido invasor. Mi chiedeva di cantarle le canzoni che mi insegnavano a scuola. «Il Piave mormorava...», e lei piangeva e mi raccontava del suo primo marito, Renato, morto proprio lì, sul Piave. Nemmeno quel che si chiama l'onore di una pallottola: l'aveva stroncato il tifo.

Era lei la storia, per me, la Storia Patria, come si diceva allora. Sui sussidiari, l'astrazione delle date, delle battaglie. Sul suo viso, le rughe, i segni, le lacrime.

Cos'era poi per lei l'Italia? Non si era mai mossa dalla provincia di Roma, mai. Stava per farlo, stava per andare in America a raggiungere Renato, ma poi lui era dovuto tornare, coscritto, convinto con l'inganno. Gli avevano detto se che se non si fosse presentato alla leva, non avrebbero fatto partire mia nonna e la figlia che aveva lasciato là, in patria. Così, era rientrato. Il tempo di mettere di nuovo incinta sua moglie ed era partito per il fronte, per non tornare più. L'ultima guerra risorgimentale, la prima mondiale. La Grande Guerra.

«La patria è un inganno, una cosa per ricchi», mi diceva. «Per i poveri, la terra è terra, ovunque sia, basta che dia il pane». E stringeva le mani a pugno, come per trattenerla, quella terra, qualunque fosse.

 

Io non ho patria ma ho radici

larghe e profonde

 

Traggono linfa

dalle strade della mia città

lungo le linee delle generazioni

dai volti e dagli sguardi di chi amo

 

dalla millenaria esperienza del dolore

terra nera fertilissima

 

 

*

Il Cantico di Sam

Sam mi ha detto, ringrazio Dio ogni giorno

per essere vivo. Sono grato a Lui ogni giorno,

ha ribadito, per ciò che ho avuto: le milizie
non mi hanno preso, sono sopravvissuto 

al viaggio nel deserto. Le torture dei libici

mi hanno piegato, allora volevo morire, ma poi

ho pensato a mia madre, ai fratelli e alle sorelle

che mi avevano mandato sin lì, ho pensato a loro

e ho pensato a Lui, e mi sono detto che dovevo

vivere e sono stato grato di non essere morto.

Sono stato felice quando la barca è partita,

non avevo paura di morire, solo il desiderio

di arrivare, mi ha spiegato Sam. La notte era

difficile, ma io pregavo e pregavo, e il giorno

spuntava sempre e io ero vivo, contavo le albe

che mancavano all'arrivo, che Lui sia ringraziato.

Poi ci hanno buttato in acqua, c'era una specie

di enorme ciambella e ci siamo appesi lì, ed io

ho pregato e pregato e un'altra nave è arrivata,

la Marina Italiana, grazie a Dio, così ce l'ho fatta.

Ce l'ho fatta, grazie a Dio, mi ha detto Sam, che vive

d'elemosina. Il racket l'ha messo a pietire centesimi

al supermercato sotto casa mia e lui ringrazia Dio

ogni giorno. Certo, gli manca la famiglia ma

- mi ha spiegato - al villaggio la vita era tremenda.

C'era luce elettrica solo un'ora al giorno e nel buio

accadeva di tutto. Le milizie rapivano e violentavano

e uccidevano e loro avevano sempre paura.

Ora sono potuti andare in città, a Niamey, grazie a Dio,

vivono in una baracca ma c'è tutto, hanno anche

il cellulare, così posso vederli, che Dio sia ringraziato.

Il Dio di Sam è incidentalmente lo stesso

che qui regna indisturbato da secoli e che pregano

anche quelli che l'avrebbero voluto intrappolato,

lui e la sua famiglia di poveracci neri, intrappolati,

grazie a Dio, poveri per sempre, rapiti, violentati

e ammazzati a casa loro, che Dio sia ringraziato.

Proprio lo stesso Dio che assiste sordo e muto

nei secoli dei secoli, come tutti gli altri Dei parenti,

alla rapina e all'omicidio di un continente intero.

Ma Sam ringrazia Dio e sorride, quell'uomo gentile

e pieno di grazia e io gli credo, penso che sia vero:

che la sua Fede abbia smosso la montagna dell'odio

e dell'indifferenza e l'abbia portato qui dove

è felice, "compared to the place I am from, yes,

I'm happier here, thanks God"*.

 

 

 

*) "rispetto al posto da cui vengo, sì, sono più felice qui, grazie a Dio"

**) questi versi nascono miscelando racconti di persone fuggite dal Niger, che è tra gli ultimi 10 stati nel mondo per PIL pro capite. Sono migranti economici, come si dice adesso, per lo più clandestini. Uno di loro si chiama effettivamente Sam e "lavora" al supermercato sotto casa mia, ma lui ormai  è regolare e questa è solo in parte la sua storia.

 

 

 

 

 

*

Saliranno dal fondo del mare »
Questo testo è in formato PDF (1353 KByte)

*

A volte, il tempo

 

“io so cos'è il tempo , ma quando
me lo chiedono non so spiegarlo “.

Sant'Agostino - "Confessioni"

 

A volte il tempo ha questi guizzi
che lo fermano o lo rovesciano,
inattesi ancorché inevitabili.
Sono come tutto ciò che è sublime:
complessi ma intrinsecamente rivelati.
Una volta che avvengano
chiunque dirà che non potevano
non accadere, non potevano
che essere così, nondimeno nessuno
li aspettasse o volesse. Ciechi
ribaltamenti che ci aprono gli occhi.

 

 

*

Om del mare

I piedi affondano nella sabbia
risucchiati verso il centro della terra

 

l’acqua mi sfiora mi sfiora mi sfiora
e canta, ripete il suo om, la sua sillaba sacra
e materica: tutto torna, tutto torna
ma ciò che appare uguale è sempre diverso

 

L’azzurro mi penetra dentro, la luce esplode, 
disegna lame incandescenti
sulla vasta distesa, immobile e fremente.

 

Tutto torna, tutto torna. Persino voi,
miei astratti assenti,
siete in un qualche indicibile accanto.

*

La vita, vita

 
Di fronte al riproporsi delle consuete 'esistenzialità',
delle perfette gabbie d'oblio e coazione a ripetere
in cui siamo rinchiusi; della continua smemoratezza

dell'essere fratelli e umani tutti, vincolati al mistero
della morte che insieme ci accomuna, io scommetto
ancora e sempre su tutto ciò che rende la vita, vita.

Io scommetto sugli sguardi, sulle dita che si toccano,
sui corpi che si stringono ricordando a se stessi
la capacità di trascendenza dell'amore;

io scommetto sui colori, sull'intensità dei gialli
e degli azzurri, sull'intatta sonorità del vento
che imperla il mare di scintille, sprazzi di luce

                                                                  divina.

 

(Buona Pasqua 2018 a tutti!)

 

 

*

Violoncello solo

Quale che sia la frequenza,
l'esattezza della nota colpisce
direttamente.
 
La costruzione della musica, direi, è come quella dei cristalli:
ovvero l'assoluta perfezione geometrica
intorno al filo contorto della vita.
 
E dove si infili la bellezza in tutto questo,
amore mio, dove sia ciò che mi lascia senza fiato
in attesa che la pausa finisca
e l'archetto riprenda il suo moto
 
ecco, io questo non lo so. So solo che il grigio
ancora una volta sembra aprirsi a varchi d'indaco,
che vibrano intorno ai 610 THz.
 
 

*

Urban Beauty

La nera ferita degli alberi contro il cielo azzurro
è la cifra dell'inverno, della tramontana
che spazza il fumo umido dall'orizzonte

chiarendo confini e prospettive. Qui dove sono, però, 
tutto è racchiuso nella cornice dei palazzi,
le ringhiere delimitano ipotetiche prigioni:

la via di fuga è prospettica, verso l'orizzonte rosso
del tramonto. Annega nei colori e nel tremore delle luci 
la cadenzata scansione del cemento.

*

La penale sarà una libbra esatta

Di tutto ho parlato, tranne di questo:
che del mio corpo ho fatto scempio e della mia mente
- tempio.
Così, con una rima azzoppata
adesso confesso; perché intanto l'uno
ha esatto il prezzo
del privilegio dell'altra
e ha detto: «basta, basta, basta.»

 

Aveva una voce che non conoscevo: non fonda e
arrochita dal fumo, ma così addolorata e acuta
da spaccare i vetri e lacerare la pelle,

 

spezzata - come di chi non parli da secoli.

 

Ora, dialoghiamo spesso, ma non è facile capirsi.
Tant'è: verrà il momento in cui saremo uno.
Ecco, questa è l'unica certezza.

 

E  chi non capisce l'ironia della cosa
non sa nulla della vita, o della morte

 

- che è lo stesso.

 

 

 

 

*

Sorrisi

Sì, è vero, siamo stati impastati di dolore,
ma quello che io rammento più spesso
sono i vostri sorrisi: sarà che erano così belli,

così nostri, mai più rivisti se non nelle foto
e a volte all'improvviso nello specchio, ora
quello dell'una ora quelli degli altri,

come se a turno decideste di possedermi
per tornare ancora. Io allora cerco il mio
e vi rispondo, padre e fratello miei, madre mia:

lo faccio in fretta, prima che nuovamente
possiate precipitare nell'oblio della polvere
che tutte le cose confonde, tutti i ricordi.

 

 

*

Così sei sempre tu

Lo sguardo intrappolato nella fuga orizzontale dei tetti 
diventa capace di improvvisi scarti, deviazioni non ordinarie
dalla norma rettilinea. Contraddicendo innumerevoli
leggi della fisica ed anche qualche imperativo morale,
- stellato o meno - balza all'improvviso oltre le colline,
attraversa la linea arancione gravata dall'indaco delle nubi
che segnala con grazia ineffabile la curvatura della terra,
attraversa montagne, pianure, fiumi, autostrade e,
incurante del pericolo e dei limiti di velocità imposti
persino alla luce, infine plana, ricostruendo il tuo volto,
l'immagine del quale mi sorride: così sei sempre tu, 
quel luminoso riflesso di una possibile me stessa.

*

Abbecedario »
Questo testo è in formato PDF (298 KByte)

*

A parte

Le strade hanno sempre curve
da cui non si vede niente,
se non un precipizio scabroso.

In genere, mi volto dall'altra parte,
ma a volte cerco la vertigine
anche se penso che librarmi nel nulla

non sarebbe poi molto diverso
dal vivere,

                    [a parte quel compenetrare
l'azzurrità del cielo, esserne parte
attiva, non più solo spettatore cieco.

 

 

*

Figlio mio del deserto

 

Figlio mio del deserto, figlio
di sabbia liscia come seta,
figlio inesistente dei miei lombi
risonanti, solo questo ho imparato:
che per tutto l'amore non dato
si soffre, come per quello perduto.

 

 

*

Il tempo imperfetto

Ciascuno scrive e Nessuno gli risponde,

Io scrivo e Tu non rispondi

:

le parole rimbalzano a terra, rimbalzano

come biglie impazzite.

 

                              È un gioco terribile,

terribile; crudele come la vita nella giungla, anzi,

peggio. Almeno sapere che si è lì,

preda e predatore in infinite fughe e attacchi.

Mai un momento di tregua, mai un sonno

profondo, i muscoli sempre pronti a scattare.

 

Tutto è buio e rumori indecifrabili.

 

Soprattutto, qui l'amore non esiste,

non è mai esistito, è una fuga concettuale,

una illusione per giustificazioni a posteriori:

«l'ho fatto perché ti amavo»

«però lui l'amava tanto»

«per lei la cosa più importante era l'amore»

 

Da notare, più che ipotetici lettori, il tempo imperfetto:

non a caso si chiama così.

"Non dà informazioni né circa l’inizio

né circa la fine dell’evento", "bensì sul suo perdurare"

e sulla "possibilità implicita che l’azione prosegua",

recita la Treccani. Io non avrei saputo

dirlo meglio.

 

 

 

 

 

*

«Das Unbehagen in der Kultur»*

Tutto è così vuoto adesso
che anch'io trovo il mio spazio.
Per questo amo le ore prima dell'alba,

la vuotità che piano piano si riempie
dei contorni delle cose
e poi delle cose stesse,

lasciando intatti i miei confini,

di giorno sfumati dall'incertezza
su dove sia il limite tra la sillaba
e la cosa, tra il rimando e la cosa.

Prima dell'avvento del rosa
io sono, priva del disagio di esistere,
leggera come un grave nell'attimo

tra la cima della torre e il selciato.

 

 

(*) «Il disagio della civiltà»

*

Dall’ennesime epistola all’assente

Fai presto, amico mio, presto, perché 
il tempo scorre come un fiume
che non veda l'ora di aggiungere sale
alla sua natura dolce. Io m'aggrappo

laddove posso, resisto. Ma la notte, ancora,
sogno di lasciarmi andare come un'Ofelia
preraffaellita, lasciarmi andare morbidamente
tra i fiori insistenti sull'acqua torbida.


Lì tutto ha una senso, sai? Persino l'ortica
trova una suo ruolo, segno del dolore
che tutto pervade, compresa la bellezza.


Così ti aspetto, amico caro, qui dove so
che non verrai. Ti aspetto inutilmente,
ma tant'è. Questo, ora non ridere, è tutto.

 

*

Prendere atto

«La mattina faccio quelle poche cose

e poi il pomeriggio sono stanca, così

lo passo seduta a guardare le nuvole

come si muovono o come si assentano

lasciando il cielo alla sua fissità azzurra.

Talvolta si aggrumano in una pioggia rabbiosa

e tutti si chiedono se sia mai stato così

o se non sia un segno, di cosa poi

è difficile dirlo, da quando la scienza

è un'interpretazione tra le tante:

inutile come tutte, a volte dannosa.

Non che io sia d'accordo, ne prendo atto.

Io sono quella che prende atto,»

dice la donna, ripiegando in grembo

le mani che avevano accompagnato

il discorso. Ha belle mani sottili,

come quelle di mia madre e forse

anche questo è un segno, non so di cosa,

ma ne prendo atto.

 

*

Arancione

Di tutti i colori, prediligo il morbido
arancione che s'addensa nelle sere di settembre,
lunghe sere dolci d'attesa, quando tutto
sembra convergere ad un qualche senso.

Un punto di accumulazione della vita,
quasi, se le metafore reggessero
ad un'analisi attenta, dato che in fondo
c'è sempre la notte e il brivido delle stelle.

In fondo in fondo, sì, quasi fosse
cartapesta, quasi fosse finto, un nulla
che non cambia la sceneggiatura;

così mi pare in questo crepuscolo,
così mi pare oggi. Domani avremo altri colori
ma adesso è questo e questo sono io.

*

Di tutto il buio

Di tutto il buio che mi circonda, questo
è il buio più profondo, il dolore assoluto
ma non assolto dal ricordo: nulla lenisce

la forza assurda della morte perseguita

con cieca consapevolezza, l'ossimoro
del terrore e del desiderio di vivere

fino in fondo la propria distruzione.

Mi resta il sorriso che dapprima esita
ai lati della bocca e poi si apre, lo sguardo
acuto, mai domato dalla sofferenza, finché

le palpebre non hanno ceduto alla chimica
della misericordia. E se avessimo saputo 
tutto questo silenzio che ci separa, 
avremmo poi detto qualcosa di diverso?

(A Paolo)

*

Albeggiando

da qui lo sguardo sul mondo 
ha una sua tenutità, un'intatta leggerezza
vibratile che accarezza le cose
e le rende dolci, buone persino.
il gracchiare delle cornacchie, i pigolii degli uccelli
appena nati, ancora nascondono il loro essere
predatori e prede. così quel loro nero volteggiare
nella vastità azzurra, limpida di bellezza,
appare innocente come un gioco,
un ricamo frattale tra i palazzi e le strade
dove ancora tutto tace.

*

Il soffio

            Di tutto il tempo, proprio questo sembra essere

il tempo del grande respiro: quando la balena

affiora e soffia l'enormità del suo essere

metà umana e metà pesce. Altro che magnifiche

sirene sinuose: è in lei che si ritrova l'ambiguità

del senso.

 

            Il getto è così forte che solleverebbe un mondo,

se ci fosse un mondo intorno e non  solo mare,

un deserto liquido di solitudine e irrequietezza d'onde

che si scansa per farle posto in ossequio al regime archimedeo.

Non c'è nessuno a chiederle come viva, o dove cerchi

l'amore.

 

            Chi l'ha osservata, ha distolto lo sguardo, e

chi l'ha cercata, lo ha fatto per ucciderla. Di questo,

siatene consapevoli voi, perché lei, lei non è consapevole

di nulla.

 

            Il suo cervello, per quanto enorme, non è che un piccolo

grumo nel corpo gigantesco: una ciste, un pedicello.

Lei sa solo  che a un certo punto occorre respirare e poi,

inabissarsi ancora.

 

 

*

rispondo di tutto

rispondo di tutto, di ogni parola scritta,
di ciò che so dell'amore e di ciò che ne credo

ma non di quello che accadde nella baia
accecante di bellezza. là, dove risuona

la lingua insonne delle onde, la musica
ossessiva degli scogli: di quello non so e

non chiedo. lascio che il buio mi conduca
nella dolce culla dell'acqua, sostegno

inopinato al mio corpo pesante, così
pesante che un giorno bucò la terra.

 

 

*

Solitudine artica »
Questo testo è in formato PDF (37 KByte)

*

Scenari di crisi »
Questo testo è in formato PDF (1248 KByte)

*

se ancora

 

Se ancora mi confronto col mareaperto,
se ancora brucio gli occhi nel riverbero azzurro
e feroce di bellezza, non mi compiangere:
della vita ho sempre voluto questo. La sferza
cieca e indistinta del vento, la coazione a ripetere
della risacca, la fuga prospettica dell'orizzonte.
Il caleidoscopio impazzito dei riflessi è panacea
per la noiosa insensatezza dei giorni e la muta
attesa della notte. Prendo tra le mani la sabbia
e lascio che filtri tra le dita: di tutto, non rimarrà
che questo gesto, e tu che lo racconti.

 

 

*

Non c’è nulla che ecceda

Non c'è nulla che ecceda il chiarore dell'alba
nel ricordarmi che di nuovo sono impegnata a vivere.

L'algida linea stamattina era un incongruo
incavo arancione nell'indaco perfetto della notte
così improbabile che fatico a raccontartelo,

mio lontano, mio assente, mio amato baratro
nel cuore. Ogni volta l'attendo col cuore in gola, perché
non so cosa mi riporterà di te, se le risate

bambine o il dolore assurdo della perdita. Sia
quel che sia, a volte penso, purché tu non scompaia
oltre i tetti, oltre la curva dell'orizzonte

che tutto inghiotte. Il suono del tuo nome, la forma
del tuo visoo il senso stesso, se mai ce ne sia stato.

 

 

*

Poetica dell’infartuata

 

che sia l'amore l'unica realtà
in questo mondo di niente reiterati
lo dico da sempre. ma sembra che 
l'intensità provochi placche alle coronarie 
e questo a sua volta necrosi 
di cellule cardiache

- comunemente dette infarti del miocardio

sicché, vedete, l'unica realtà porta alla morte
ma anche questo, sì, già lo sapevamo,
tant'è che tutti fuggono alla sola parola,
“amore”, o la svuotano al punto 
che non fa più male.

*

Ovvero la cecità

Ovvero la cecità colpisce tutti
colpisce sempre:

come la concupiscenza 
della freccia di un cupido
qualsiasi, le ali corte sulla pancia
rotonda, ecco, come quella

colpisce a caso. Tu ti trovavi a passare lì,
dirai, dirai che pioveva, che non avevi riparo,
per questo correvi e non hai visto:

non hai visto mai. Così io e così un altro.
Tutte queste pupille cieche! Non vedemmo,

no, non sapemmo. La morte intanto affonda 
le mani e ne prende a mazzi, dei non visti, 
dei non saputi.

 
 

*

essere-mare

essere-mare, inquieta creatura 
disegnata dalla luce
in languidi turchesi e cupescente 
piombo.
distesa sino all'inevitata separazione
dal cielo: cesura d'azzurro,
ferita esistenziale mai risolta.

 

 

*

Val d’Orcia

lascio alle spalle la fragranza gialla
della ginestra, le lunghe file severe
dei cipressi, come frecce protese
al compimento azzurro del cielo,
il disegno dei solchi che ritma le colline
con la perfezione delle spighe,
la grazia imponente delle querce
e l'umile argento degli ulivi, i casali
che si stagliano nitidi tra i verdi, l'erba
che si nasconde nella macchia,
la sapienza unica delle pietre. lascio
alle spalle tutto ciò che mi commuove
per il non appartenermi, figlia del caos
folgorante di bellezza, del fratricidio
e della guerra.

 

                                           Pienza, 27-31 maggio 2016

*

corpo

 

 

tutto è distante a volte, come aggrumato

in un qualche altrove da dove incombe

muto, riverberando. qui ed ora resta solo

l'ingombrante immanenza del corpo

che reclama la sua parte di bottino.

 

 

 

*

Talking to a dog in Florence

«Vedi, non è che non mi interessino gli odori
della strada: è che c'è altro che mi distrae e guida
su, su per i palazzi, le piazze, le fontane
come memorie di bellezza, moniti di ciò che può essere
quando è,» dice la donna col buffo cappello
al suo cane rosso, un bastardino con gli occhi vivaci
che se potesse piscerebbe sul David, nel loggiato,
persino sulla torre di Giotto o su ciascuno degli otto angoli
del Battistero. Ovunque, insomma:
ovunque si nasconda il mistero della perfezione.
 «Tu sai cose che io non so, ma anch'io, sai, anch'io
ho i miei segreti,» aggiunge lei strattonando la povera bestia
che la guarda con occhi rotondi, non desiderando altro
che un bell'albero, un fazzoletto di verde, anche minuscolo,
anche terroso, purché sia. Ma quella, pensa lui, non capisce
proprio niente. Ha anche lei gli occhi rotondi, e sospira
«che meraviglia!» ad ogni pie' sospinto. Intanto, cala la sera.
È tempo di tornare a casa, per la donna e per il cane.
«Le piscerò in salotto,» si dice lui, che non parla,
ma impara presto. 

 

 

*

Assedio

così saremmo assediati, ma chi assedia

chi? Chi sta dietro i muri, i fili spinati, i passi affaticati

dal fango,

nel mare così bello, così cieco

che li inghiotte?

Chi assedia la mia casa se non il silenzio

che accoglie queste immagini di dolore

i corpi gelidi e quelli scossi dal pianto

i bambini, i vecchi ammassati come

assurde cose nel pantano di Idomeni, in fila sul molo di Lampedusa,

che premono contro il ferro dei confini?

Terra chiusa, terra maledetta.

«Non possiamo farci carico di tutto il dolore del mondo,»

gridano i sepolcri imbiancati

uccidendo l'umanità tutta. Di questo anche non si parla:

di cosa ha fatto di noi il silenzio.

di cosa siamo diventati, o cosa siamo sempre stati,

perché nulla, mai nulla cambia.

             [Latte nero dell’alba ti beviamo la notte

             ti beviamo al mattino e a mezzogiorno ti beviamo la sera

             beviamo e beviamo] (*)

 

(*) Paul Celan, Todesfuge

 

 

*

cascata

è come una cascata, un improvviso
scintillante precipizio che tutto trascina
sciabordando e gorgogliando assorda
frantuma la luce in mille sprazzi furenti:
così tutto travolge tutto, e dove sia io,
questo non è dato sapere, finché
la testa non riemerga ansimando

 

                              in cerca d'aria.

 

 

*

quel che resta di lei

«Cosicché ho vissuto l'amore come fosse
                                                            aria,
il respiro profondo della terra: di questo
ringrazio i giorni, di questo ringrazio.
Per il resto, prendo tempo per decidere.
Vedremo, quando la clessidra sarà
rovesciata qualcuno conterà i punti,
ma io, non sarò lì per saperlo,» mi dice
la donna dai capelli violetti, il vestito
di raso lilla a fiori bianchi che la fascia
stretta, come a tenere insieme
quel che resta di lei. Parliamo in un tramonto
di assurda bellezza, il sole ingigantito
dalla caduta. «Mi mancherà tutto questo?»
chiede, incrociando lo sguardo col rosso rollio
delle nuvole. Ha una mano in grembo,
l'altra disegna lievi percorsi nell'aria,
piccole perturbazioni innocue. Lentamente
l'incendio si coagula nell'indaco della notte.
Nella quiete che segue, sediamo in silenzio,
vicine.

 

 

*

la retta del tempo

di tutto il tempo che ho avuto e

di quello che avrò

c'è un istante indimenticabile, unico, trafiggente

come una spada: questo.

dove non succede niente, ma

la coppa piena di arance spicca contro

il grigio ferreo del cielo, oppure

sugli orecchini rimbalza una luce diversa

che crea giochi sul muro,

piccoli arcobaleni oscillanti con la mia testa.

questo è l'istante in cui scelgo di vivere,

di costruire, punto dopo punto, la retta del tempo.

 

non c'è niente di più ma non c'è

niente di meno:

lo sguardo che costruisce il mondo da osservare

 

 

 

 

 

 

*

di questo, prendo atto

essendo così, che la notte continua ad essere
notte e il giorno, giorno, essendo questo;
che non si precipita in qualche orrido rupestre
ma solo s'inciampa, seppur ripetutamente,
nel dolore e questo lascia scabre tracce,
secchezza delle fauci, rughe annidate
intorno agli occhi stanchi; essendo così
la vita da vivere, prendo atto che oggi ho sorriso
guardando come il sole, il poco sole scampato
alla pioggia, giocava con l'asfalto umido,
disegnando figure da cartone animato, sogni
bambini. ho ricordato la pozzanghera che saltasti
con un balzo delle tue gambe diventate 
improvvisamente troppo lunghe per le mie.
ti corsi dietro, anch'io tentai il salto, e caddi.
ma come ridevamo del cappotto bianco
maculato dal fango, e della corsa, e di nonna
che ci inseguiva intorno al tavolo, fratello mio,
fratello caro. e di questo che voglio ricordare
tenerlo stretto nelle mani a pugno, di questo
vivo, nella distanza siderale che ci separa.
 
 

*

dove sono io?

dove sono io? mi cerco sempre, mi cerco anche tra una riga

e l'altra, non solo nelle parole arrampicate sui versi.

ah, che ardite costruzioni, che mano sapiente, mi dico,

nascondendo la delusione dell'essere ancora una volta

assente, programmaticamente dimenticata: io, io, io

la fulgida stella del non esserci. eppure non mi piego

alla distrazione. ci sarò un giorno, ci sarà un giorno.

questo mi dice la mia testolina bizzarra, così bizzarra

che spesso mi volto a guardarla e non la riconosco.

tutto è simpaticamente ordito in questo mondo

frammentato e minuscolo, il non messaggio, il non

desiderio, la non disillusione. d'altronde, cosa mai

avrà voluto dire, cosa avrò voluto dire? questo, non lo sa

nessuno, né tantomeno io, che se ne sta tranquilla

sulla solita poltrona, in un uggioso pomeriggio invernale.

 

*

Auguri! »
Questo testo è in formato PDF (61 KByte)

*

Ora è il tempo della necessità di vivere

Per l'allegria/è poco attrezzato/il nostro pianeta/Bisogna/strappare/la gioia/ai giorni futuri.

In questa vita/non è difficile/morire./Vivere/è di gran lunga più difficile.

A Sergej Esenin - di Vladimir Majakovskij

 

 

Ora è il tempo della necessità di vivere,

di vivere sempre. Così, come mia madre, ballerò

sotto le bombe, io che non ho mai ballato,

perché così è, che tutto acquista senso.

 

Io desolata, io perduta, che non riconosco

né conosco. Io che ho paura, nondimeno, continuerò

a vivere. Non per dispetto, non per rappresaglia

ma per necessità. Come l'erba, io continuo

 

a crescere. Che tu non lo sappia, nemico inesistente

eppure mortale, questa è la mia forza.

La vita tracima dalla guerra, la ignora, la calpesta.

Tutto, tutto concorre: il calore di questo novembre

 

sulle pietre della mia città, la forza della luce,

la bellezza della filigrana sottile di tempo e dolore

che ci attraversa e disegna. Tutto concorre.

Di questo, per questo, per sempre.

 

 

 

 

*

Pierpaolo »
Questo testo è in formato PDF (201 KByte)

*

Lutto

lo sai, l'assenza ha caratteristiche di albe

rosa-grigio, cieli incombenti e astratti

che pesano sul capo. chino,

come si conviene al lutto

 

tutto appare uguale, tutto scorre uguale

a parte il vuoto d'aria che mi cammina accanto

: un'improbabilità statistica fattasi realtà.

così, se allungo la mano o muovo un passo

non sento nulla, laddove nulla vuol dire

proprio questo. né dolore né gioia né altro,

solo il risucchio dell'aria,

 

là dove tu eri e non sei più.

 

*

A Paolo

                                                               a Paolo

 

che c'entri tu con tutto questo?

è che tutto accomunano

le radici lunghe del dolore e dell'amore

aggrovigliate, affondate nella terra dura

dove tu non sei

più

             tutto accomunano

e confondono, come questa morbidezza

di settembre non fa presagire l'inverno

che pure arriverà.

 

lo so, là dove non si è il tempo non esiste

ma anche qui fatica

a farsi riconoscere: viviamo sempre,

non moriamo mai

tranne quando, assurdamente, accade.

 

 

*

La birra del Paradiso

sto parlando con mio fratello morto

gli chiedo come sta, e lui risponde bene, anzi meglio

c'è tanta pace e tutto è pieno di luce, dice

io gli rispondo di non dire banalità e lui ammette

che, è vero, tutta quella luce, sempre, gli rompe le palle

e soprattutto la birra, lassù, non sa di niente

io mi incazzo e gli dico che avrei sperato, dopo tutto quello che è successo,

tutto quello, almeno avesse deciso che la birra non gli serve.

infatti non mi serve, dice lui, ma qui la danno gratis,

d'altronde come vuoi che uno sopporti se no

tutta questa luce e questa pace. magari potresti urlare

o strapparti gli occhi, dico io. lui replica che no, lì non si può

e comunque, aggiunge, cosa vuoi che mi succeda,

mica posso rimorire. Che ne sai, gli chiedo, non pensavamo nemmeno

che ci fosse un aldilà da cui avremmo conversato

anzi litigato, addirittura. Già, risponde lui, ma lo vedo

che ride sotto i baffi che non ha. Sa quello che io non so,

che questo è tutto un sogno. O lo è questo o lo è quello

ancora non ho capito bene. D'altronde non so come svegliarmi

sicché davvero, tanto vale che rimanga qui

a parlare con lui di cose stupide e inaudite.

 

 

*

verosimiglianza

è questo folle manto di calore

che satura i pori ed evoca irreversibili conseguenze

gravide di colpa?

così - in queste albe attese nel frusciare

continuo, disattento, del condizionatore -

è la verosimiglianza

l'unica possibilità di lenire le stimmate

di chissà quali peccati

 

facciamo come se tu fossi stato

e anch'io, anch'io. come se fossimo stati

avessimo avuto

e il dolore non fosse mai esistito,

così che, anche quello di oggi, anche quello,

possa cessare di essere

 

facciamo come se la notte, questa notte

tremenda, che avoca a sé ogni speranza, priva di sogni

nelle convulsioni di lenzuola affilate come rasoi,

fosse invece piena di stelle, rotte da calcolare

per vele spiegate

 

per un legno sicuro, solido nella sua bellezza,

che solchi la piatta distesa

dove andare, andare sempre

senza mai cercare un porto.

 

*

Tredicesima »
Questo testo è in formato PDF (29 KByte)

*

non senti?

affermare che tutto sia silenzio è come dire

che nulla è mai esistito, che questa carne

pende vuota dalle ossa, un vestito inutile

e vuoto di senso. non senti, non senti

come tutto canta? la luce piena, il rosso

incubo del tramonto, l'oro traslucido delle nuvole

tutto, tutto canta. tutto è amore e, sì, lo ribadisco,

canta. vale la pena, ne è valsa la pena solo

per questo, sentire questo: il peana degli alberi,

l'inno dell'erba, i ditirambi dell'acqua.

sentire questo, essere questo: canto incantato,

musica di sillabe, aria di parole.

*

e quant’altro concorre

«io non parlo, dice la voce

perché nessuno ascolta,»

così che anche lei cade

nel consueto ossimoro esistenziale.

«dire di tacere è parlare,»

osservo io stessa, che sono famosa

per far risaltare l'ovvio

perso nelle stratificazioni dei significati.

la voce non risponde più, decisa

a dar seguito alla propria affermazione,

a non essere colta in castagna

da maestrine improvvisate.

 

sicché dopo queste non ci saranno

altre righe spezzate, fatte salve

contraddizioni, ironie della sorte,

scompigli della mente

e quant'altro concorre alla nostra solitudine

 

 

*

solstizio

all'alba del giorno più lungo, tersa alba

dalle poche, equivocabili promesse,

lei sta seduta, ferma,

solo le mani come piccoli messaggi inauditi.

guarda l'azzurro

e non trova ragione per spostare lo sguardo,

posarlo sul consueto dolore quotidiano

le assenze trafiggenti, le ineffabili conclusioni.

vorrebbe essere cielo, per una volta

solcata da scie bianche, sbuffi di nuvole,

esseri volanti, pronta ad accogliere

il sole del solstizio

 

 

*

tutto è nudo e feroce

tutto è nudo e feroce

in queste albe forzate dall'angoscia,

albe di mondi alieni colorate di viola, porpora

e giallo.

non riconosco nulla, ovvero conosco tutto

e

tutto mi ferisce. questo essere oggettivati

inchiodati alla propria responsabilità

di esseri transeunti. i baci che non ho dato

le parole che non ho scritto

i figli che non ho fatto

: tutto mi inchioda. aspetto che il sole sorga

lo aspetto col cuore in gola

e le mani aperte, strappate al corpo

 

 

*

vorrei

vorrei qualcosa di leggero, un tocco, un segno

sulla fronte. qualcosa con le caratteristiche

dell'innocenza, che azzeri l'attesa in cambio

del presente, profonda d'azzurro tutto,

tutto ciò che mi circonda. esseri viventi e cose

trascesi nel colore, vividi e sublimi. tutto

così, d'attimo in attimo immortale.

 

 

 

*

la mia idea di perfezione

dello stare nell'acqua ciò che preferisco è

il morto a galla: si sta abbandonati ad una forza

sicura, calcolabile, nota sin da qualche assurda

antichità. nelle orecchie lo sciabordio ritmico

che calma, negli occhi la lama accecante dell'azzurro.

ecco, questa è la mia idea di perfezione,

di indefettibile coscienza di sé. tutto il resto,

compresi voi - miei cari, miei amati - tutto

il resto è in salvo a riva, lontano da questo mio

ondivagare. nessuna meta, nessun movimento proprio:

solo lasciarsi andare, lasciarsi andare all'infinito

della piatta distesa. appartenere, insomma. insomma

 

essere.

 

 

 

 

*

ogni volta che ricado

ecco, c’è un posto dell’anima dove trovano spazio le sillabe.

queste, come pietre miliari, segnano strade sconosciute 

e rare, piccoli percorsi impervi intrisi di dolore e luce.

a volte sprazzi di colore nelle pietraie salgono a ricordare

la vita che comunque continua, comunque s’ingegna,

anche in questi silenzi siderali, a far sentire la sua voce

cristallina. perché in questo posto non vive nessuno.

l’aria è troppo rarefatta e il respiro si mozza e precipita

dall’aspra altitudine del luogo fino al quotidiano sentire.

ogni volta, scoprirlo è una ferita. così, ho il corpo

costellato di cicatrici ancora aperte, per ogni volta, 

ogni volta che ricado. 

 

 

*

tranne che un risveglio

a volte l'alba mi sorprende ad occhi spalancati

come fossero in attesa della rivelazione

delle cose. tutto il silenzio precipita nell'attimo

della luce che si diffonde, tutto, tutto il silenzio.

 

così ritrovo il consueto rumore della vita che sale

alle finestre, disumanata e scabra. eppure

è così privo di consistenza questo memento

che tutto sembra tranne che un risveglio.

 

 

*

Della deriva, dello scarroccio e di altre metafore marine

non ho mai sperimentato l'uso della deriva

per ridurre lo scarroccio dovuto alle correnti

- che, se ci pensi, è un bel paradosso, quasi

un lapsus linguae nel nostro mondo di segni

fatto, se ci pensi, il che non accade, lo è.

 

così vago, lasciata andare ai flussi. non in balia,

ché tutto è calcolabile, solo molle, come una vela

senza vento, per rimanere nella metafora marina.

consapevole solo di una cosa: che laddove non c'è

amore - te l'ho detto, te l'ho spiegato, amore panico

intendo - laddove non c'è amore, dicevo, c'è solo

 

morte. morte metaforica, anche qui, ma buia e nera

e fonda. di questo sapere è fatta la mia vita

una fra tante, un incidente della storia come tutte.

noi che vaghiamo, pretendendo un timone mai esistito,

un senso, una direzione, nella piatta distesa

 

azzurra

 

 

 

*

Ahi, melassa!

è passata l'ora degli auguri? posso di nuovo

alzare la testa, spiumacciare le ali metaforiche e

spalancarle, in vista di improbabili cieli azzurro

terso rosa caldo e rosso ghiaccio?

posso dire, mentendo a me stessa e a te, che non m'importa

del giorno del calendario, che tutti i giorni sono

uguali, scanditi dall'irrefrenabile necessità di vivere

- nonostante? che non perdo mai la voglia d'incontrarti

infilare con lo sguardo le dita fra i tuoi capelli, contarli ad uno

ad uno, verificandone l'esistenza, sentire l'assenza

delle tue labbra sulle mie, iconografiche morbide

labbra, e le mani che non si toccano, mai,

spingendo al limite l'ipotesi del contatto? Così

facendo, ripeto,  i giorni sono tutti uguali, natali,

pasque, capodanni, tutti convergono ad un'assenza.

un principio indimostrabile da cui sono partita

e da allora vago - ahi, me lassa - tra confini e percorsi

indistinti, con le parole inefficiente ancora. 

 

*

risposta non richiesta

«tutto questo silenzio, tutto questo
silenzio,
                    dimmi,
da dove trae la sua permanenza, dove
radica se è duro il suolo
del non essere - niente,
dimmi.»
 
«ho perso la voce, come l'altro che amavo
senza che lo sapesse. nessuno sa niente
dell'amore, affermo, neanch'io d'altronde,
se non come si scrive, lettera per lettera.
amico mio, amico mio, il silenzio è
l'unica cosa vera.  il resto è schermo,
rappresentazione, diga: la parola trae forza
dall'inganno.  è così poco, è così
poco tutto, che non sia la purezza radiosa
di un cielo, di un gesto non trattenuto,
di uno sguardo rotondo. così taccio
e nulla succede: e di questo, non voglio parlare.»

*

L’insistenza delle cose

tutto ciò di cui ha bisogno il giorno

è compreso nell'istante in cui dagli occhi

si dirada la nebbia delle ciglia

:

                                     «così dimentichi

                                    e ricostruisci,»

spiega l'insistenza delle cose

fatte di materia

prima indistruttibile, cognita al tatto.

 

 

 

*

tre minuti e mezzo

appena un attimo, amore mio,

per dirti che la storia non ha mai concluso

niente, s'è sempre arrotolata su se stessa,

un uroboro senza la magia dell'alchimia.

facendo silenzio, talvolta si può sentire

qualche distante fatto o accadimento

ma più spesso è il rumore del presente

che assorda. così cosa vuoi che ti racconti

quando tutto ha senso solo nell'attimo

in cui accade, non riverbera, non scuote,

affonda nel flusso. lo span d'attenzione

è di tre minuti e mezzo: regoliamoci,

amore mio, per questo e i prossimi amori,

che inevitabilmente verranno.

 

 

*

Prima ancora

c'è sempre la sorpresa che altri
siano già svegli, già in strada, producano rumori
da affanno quotidiano
prima ancora di me, senza di me
che vagheggio di albe pristine e solitarie
su un qualche cliff che precipiti nel mare.
in piedi, il vento che schiaffeggia
la gonna, i capelli un nero groviglio intorno al viso
affilato, non mio, eppure in qualche modo strano
appartenente a me che lo immagino.
così quando sale fin qui il rumore dell'autobus
o lo stridio di qualche macchina vecchia e stanca di vivere
quando sale fino al settimo piano
del mio personale abisso, sgrano gli occhi nocciola
dal centro nero, li sgrano fin quanto consentono
le cicatrici dell'iride, e mi chiedo chi siano,
chi siano questi esseri marini
che si moltiplicano col passare dei minuti,
finché la luce non li riconduce alla loro realtà
di lamiere e motori, pneumatici, claxon ancora timidi
prima dello scatenarsi della furia del giorno.

 

 

*

Ricordi Vasco da Gama?

asserisco che l'oceano esiste

e che la terra finisce all'improvviso

sebbene cartelli ne segnalino la scomparsa

nel più cortese dei modi.

un confine dell'anima, direi;

non della geografia, amico mio.

 

qui il mareaperto è un richiamo potente

per le vele ancora arrotolate.

se ne sente il grido rauco da lontano

e ti trascina fuori dalla baia

 

le indie favolose, i tesori, i mostri marini:

tutto è pretesto per la fuga da sé

e dalla massa di terra che incombe alle spalle

 

essere azzurri, trasfigurati in leggenda

cosicché la vita abbia ancora

la pretesa di un senso

 

 

*

solo quando piove

tutto ha strane assonanze. tutto

si piega al senso. così, percorrendo

in largo e lungo lo spazio delle sillabe

concatenate, capitava di inciampare

su se stessi. come se ci fossero davvero

anime gemelle, s'avverava il miracolo

del riconoscimento.

 

ma tant'è, la vita ha esatto la sua consistenza,

il rimando si è trasformato in eco sorda:

una vecchia ferita cicatrizzata

che duole solo quando piove.

 

 

*

tutto accresce il silenzio

tutto accresce il silenzio, anche l'eco

dei motori sulla strada lontana,

persa strada di fatiche e ritorni.

 

l'estate ha fatto passi da gigante

nella città deserta, in un giorno

appena. tutto è rimandato, tutto

 

è sospeso. restano poche anime

poche a guardia del quotidiano:

ritrovarle è una epifania

 

«ti ricordi quando respiravamo

il mare come aria?»  dice assorto,

con quello sguardo azzurro di fondale

 

«ricordo, sì, ma tu non c'eri.» passa

così un altro giorno, sotto il cielo

confuso di nuvole, con l'afa che

 

abbruma i contorni. «torno domani,

forse ci sarai.» «non c'è domani, solo

c'è l'adesso,» rispondo all'unisono

 

con i gabbiani cittadini, mostri

mutanti dalla vasta distesa alle

discariche, in un solo colpo d'ali.

 

 

* prove di endecasillabo "sublime ed eloquente" (i suoi, non i miei) in omaggio a Mario Luzi nell'anno centenario della sua nascita

 

 

 

 

 

*

bruciare i libri

*

ma non sono io. questo è me che guarda.

tutto lo attraversa e incendia

 

*

                                un lavacro di fuoco amico:

così scomparve. non ne seppero nulla le cronache

figurarsi la storia.

 

*

sebbene lei sia come la notte

sebbene lei sia come la notte,

come la notte sia, piena di luci tremule

e distanti, sebbene lei sia

così

                      donna corvina di facili virtù,

non di rado si distinguono trame delicate

nei barbagli, materia d'aruspici e indovini

d'altri tempi. oggi lei sta,

inosservata e assorta

nel cupio dissolvi dei significati.

*

memoria

la prima cosa sono le mani, le lunghe dita
sottili, per carezze lievi
quando la notte passavano sulla fronte

 

piano, per allisciare sogni scapigliati
o raccogliere qualche lacrima accorata.
confesso che questo è il ricordo più forte,

 

l'assenza più ardua. poi c'è il sorriso,
quello che porto anch'io, passo dopo passo
in questo bizzarro gioco d'equilibrio

 

dove le nostre solitudini si confondono
intersecando i piani temporali e non so più
di chi sia l'attesa, di chi la speranza.

 

 

 


*

Rovi

 

"morire è questo
ricoprirsi di rovi
nati in noi"
Antonia Pozzi - (Milano, 1912-1938)

 

se non fosse che il silenzio scuote a volte

la lunga scia d'ombra,

se non fosse questo direi

che sono preda delle parole,

preda indifesa. che tremo, e ho paura

di dove le sillabe portano la lingua,

portano me. l'io scrivente

ha un callo sul cuore, sai?

un'ipercheratosi dura, dolente

e irriducibile ai rimedi.

 

*

della pietra e della freccia

siccome era giorno, ma giorno

fitto, di luce abbagliante,

siccome era così, dicevo, andavo

di sasso in sasso

felice d'essere tra le pietre, pietra

adamantina, non sfiorata

da ebbrezze, turbamenti, vuoti.

 

del sogno d'essere freccia

conservavo vaghi ricordi,

una qualche suggestione

di cuspidi, impennaggi, sibili

nell'aria. ma tant'è. mi ritrovavo

compatta pietra rotolante

piena d'aggettivi ridondanti.

 

 

 

*

l’amore, dico

l'amore, dico. l'ampia cassa di risonanza

innestata al centro delle cose,

 

il sublimare in un istante da solido

a gassoso. ecco, questo amore

 

impronunciabile e troppe volte ribadito,

come fosse facile l'apertura iniziale

 

e quel suo arrotarsi finale, passando

per le labbra come fiato,

 

questo amore, dico, non crocefisso,

non bruciato su nessuna ara,

 

ma nutrito di carne e trascendenza,

è quello che resta di questo vago viaggio.

 

o anche, è il viaggio in sé, la cosità,

l'essenza. questo penso, mentre l'alba

 

apre varchi rosa nell'indaco,

restituendo luce all'universo mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

mia voce unica

davvero, poeta, sei la forza straordinaria
della parola, un battere e levare che sarebbe
banale incatenare a ciò che non saremo (mai).
dire (mai) è come riconoscere la tua assenza
il tuo non esserci per, ovvero annegare,
annegare infinitamente nei tuoi mari pieni
di sirene. mia voce unica, che quando tace
mi sembra che tutto il mondo taccia, nudo,
privo di baie e sciabordii, onde, riflessi, fasciami,
catafratti dietro orde di suoni, bardati a festa.
mia voce unica, che amo con la cautela degli anni
e la forza dei miei capelli siderali; essenza
delle sillabe, che spargo sui polsi, sulla nuca,
convinta del suo potere taumaturgico, illusa
dalla magia del dire. ah, poeta mio poeta, senza
mani che io possa toccare, dovremo allora
parlare così, di verso in verso. come tacere,
come non essere essendo, questo m'insegni.

 

                                 a F., sempre

 

*

gassa d’amante

c'è questo nodo disciolto - non tagliato -

che ancora ricorda la sua natura d'intreccio,

quando i capi soggiacevano alle strettezze

ed era compatto, forte, inestricabile.

o così riteneva, almeno, ignorando l'esistenza

di dita gentili e tenaci, che l'hanno ridotto

all'inesorabile natura

di molle linea curva, una fra tante.

 

 

*

la stanchezza


eccetto che la stanchezza
come un filo di seta imbozzola 

i pensieri: un filo color fucsia, 

direi, ardente. così ardo, impaniata, 

nel fuoco sacro del nulla
                                quotidiano.

*

cuore cieco dell’inverno

figure stagliate nel vuoto

assorbite dal cuore cieco

dell'inverno, là dove tutto

è immobile. immagina questi

 

fiati gelidi che si aggrumano,

distanti, nel silenzio-assenso

delle omissioni. esseri

 

assurdi, incapaci di gesti,

inflitti a se stessi. stanno,

e lo sguardo esita a sfiorarli,

si ritrae dietro le ciglia.

 

così i dimenticati dagli dèi,

voci perse, che pure un tempo

sollevavano montagne.

 

*

il senso della misura

ascolta, amore: appena più basso
il sole sciorina ancora luce
vivida, in questo novembre greve
di eco sorde, storie che si ripetono
insulse e terribili.

quei riflessi, sai, sulle colonne,
quei rimbalzi di ombre
di pietra in pietra,

i sampietrini passo dopo passo
ripercorsi, levigati
fino a ritrovare il solco.

roma insegna, in qualche senso,
quello che passa e quello che resta.
non che consoli, ma da' la misura.

 

 

*

tutto è questo

tutto è questo: noi che rimbalziamo

da un verso all'altro, nella strutturale

solitudine del segno, sorda eco.

 

appena un'altra parola, una sola

che si stagli a fuoco contro il grigio. poi

tutto sarà disperso, tutto sarà muto.

 

 

*

orfani

Il buio stamattina come
una perdita;
un lungo addio di strade, cavalcavia 
e binari
nel diffuso grigio di un autunno estraneo

 

Le tue parole sono sangue

ed io, vena.
Sicché loro scorrono e io sto
con l'usura delle cose consumate dal flusso,
mai vuota eppure
incapace di trattenere

 

D'improvviso, siamo orfani
destituiti da ogni fondamento
: un canto vuoto,
senza la cassa di risonanza dell'amore

 

 

*

golem

sono sopravvissuta alle linee della mia mano

sicché ho preso fra le mie dita i giorni

facendone creta,

                         pasta morbida e densa

con cui modellare /l'amore/

 

poi,

un fiato leggero, alitato a labbra socchiuse

 

così, sei nato, e io ho potuto vivere

 

*

l’assurdità di una dolcezza

l'assurdità di una dolcezza

morbida

in questi giorni di morte, quando tutto sembra

promanare dal buio,

dal freddo materico del mare

 

eppure, una carezza è una carezza

e il sole ottobrino è maestro nell'accarezzare.

sicché, lascia che mi abbandoni

e ti sorrida,

dimentichi l'orrore dei fondali

e il dolore che mozza le parole. avremo tempo, sì,

avremo tempo, per piangere l'inevitabile

frutto del nascere.

 

*

misericordia

abbiamo già detto tutto, della notte,

della paura, dell'orrore. ora cosa resta

per quei corpi impietriti dal sale

allineati in parata sui moli?

cosa resta per noi, che non sappiamo

di essere gli altri, divisi dal caso?

 

su quelle barche ci sono figli, mariti,

fratelli. su quelle barche

ci sono io, riflessa nei mille corpi

aggrappati ai fondali, braccia tese verso

il nulla stratosferico del benessere

che ignora la misericordia

e ci annega in un piùbuio,

piùfreddo di silenzio.

 

 

*

Nannare’

quella nera dissolvenza dello sguardo

trafitto dall'immaginazione. la forza della parola

e del gesto

quando camminavi sui nostri amati sassi

regina

nella notte di roma.

 

vedi, anna, non ho molto

da raccontarti, oggi: l'acqua nella fontana scorre

sempre uguale, con la sfrontatezza

della perdizione e tutto resta

chiuso nella sua logica, come se l'eternità fosse vera

 

e intanto, la vita scorre altrove. la dissoluzione

ha radici antiche, lo sai, profonde nella terra

che alimenti.

 

 

 

NdA: oggi, 26 settembre 2013, ricorre l'anniversario della morte di Anna Magnani, scomparsa nel 1973. ringrazio @sulromanzo per il ricordo e per lo spunto.

 

 

 

http://youtu.be/BFLSNXXRRvA

 

*

il rumore dell’abbandono

così raccolgo le mie cose. poche, come da

iconografia. si fa sempre così,

si ricade negli stereotipi dell'abbandono, delle ali

tarpate. oh, quelle piume tagliate che cadono

lievi, ondeggiando.

volute che si rincorrono, disegnando

l'aria. niente che rimanga, sia chiaro: tutto

è pronto a cadere al suolo.

senza rumore.

 

 

*

La logica stringente dei nodi

eppure il silenzio della notte
non m'ha insegnato
a distinguere tra ombra e ombra,
a discernere cosa sia me
e cosa altro da me
 
vedo, intravedo, pretendo di capire,
ma solo quando l'alba arriva
con le sue dita di rosa
ritrovo gli oggetti e il soggetto
:
io
 
trama e ordito si ricompongono
in un tessuto di Arras,
con la logica stringente dei nodi

*

intima alla memoria

cammini anche tu la sera, in cerca dell'ultimo
angolo di luce, prima dell'assedio dei ricordi,
in quest'ora confusa che non è una cosa
né l'altra, ma intima alla memoria il suo agire?

 

così ti contemplo, come un non aver potuto
esistere, mio amore non amato e non amante.
siamo capaci di silenzi infiniti, noi che non
siamo tali. le mani, ferme, non osano gesti.

 

 

*

delle betulle e della guerra

 

 

ho imparato che le betulle fremono davvero,
impilano imperiose colonne di verdi
sul bianco lucido dei tronchi che brilla al sole;
oscurano la strada, dove è passata, anche qui,
la storia: oggi come ieri sangue e ossa, mani protese 
a proteggere il corpo, tutto invano, sempre;
i morti hanno concimato la terra, lasciando a noi
il privilegio della bellezza. perché si, tutto questo è
bello, in quel senso assoluto a cui non credo,
nonostante tutto, oppure proprio per questo: 
che si sia ancora qui, che tutto continui,

 

                                             indefinitamente.

 

 

 

 

 

*

Gothic

Così ha tra le mani una rosa bianca screziata di sangue

                un vivido esempio di perfezione

In questa terra divorata dall'angoscia, dove la nebbia cade

Come una maledizione

A ricoprire il verde, trascolorando in nero anche la morbidezza dell'erba.

 

Non ci sono strade che ti conducano a me, dove io sono adesso?,

Chiede, con la voce arrochita dal ferro della solitudine,

I capelli sciolti sulle spalle come una massa intricata di pensieri,

Sparsi, sparsi, sul bianco del letto.       

 

Cieca cieca creatura, consapevole solo dell'abbandono.

*

La pelle dell’orso

è un paesaggio di tragica sonorità, una valle

muta, brumose cime scure percuotenti il cielo.

una sorta di vita sospesa nell'albergo abbandonato,

popolato da pelli d'orso stese senza pietà

a dar lustro ad altri piedi, in altri tempi.

immagina questo, amore mio: un posto di assenze,

di "saremmo stati" o "avremmo potuto",

in cui l'umidità penetra piano, un lento tumore

delle pietre e dei legni chiari.

una malinconia programmatica avvolge ogni cosa,

tutto ne risulta come attutito, quasi la memoria

fosse l'unica realtà. ovunque,

la terribile bellezza dell'abbandono.

 

                                     Poiana Brasov, settembre 2013

 

 

NdA: volevo precisare, scanso equivoci, che in realtà Poiana Brasov è quel che si dice una ridente località di montagna ed una famosa meta turistica rumena, soprattutto per gli amanti degli sport invernali, dove si trovano strutture alberghiere con ottimi standard. Come sempre, il componimento riflette la realtà dell'autrice, non quella delle cose :-)

 

 

*

E’ solo una teoria - lettera

La presenza umana a quest'ora è solo una teoria

di manufatti, un rincorrersi di pietra all'orizzonte

dove un cielo azzurro fino all'ossessione staglia i profili.

Così accade che il silenzio prenda il sopravvento,

la pausa invada l'opera. Sì, adesso tutto tace, amico mio,

l'ecolalia frenetica del giorno è lontana abbastanza

da ascoltarsi. Una riga sottile di bianco nel cielo

rimanda a qualcosa di lontano, un indefinito altrove

che non ricorda nulla, non si piega alla frusta della storia.

Mi lascio andare a un vagheggiare soffice, una sorta di

nebbia incosciente e morbida che avvolge tutto,

sfumando la pressione del reale. Non c'è molto altro da dire

a parte questo: ho visto una nuvola di uccelli disegnare

trame indecifrabili e perfette; erano migliaia, credo, o forse

pretendevano di esserlo. Nel caos, ognuno trovava il suo posto,

la sua direzione. Io stavo quaggiù, sola, osservatore perturbato

dall'osservazione.

 

*

La fuga della luce

così succede a volte

che la luce fugga
e si rifugi in carsici pertugi
al di sotto delle ciglia
 
e lì scavi
cercando vie d'uscita
e faccia sfuggire lampi
in memoria di se stessa
 
 

*

Maelstrom

Tutto tace. È un silenzio come un maelstrom,

frutto di correnti e maree,

niente che io possa controllare.

 

Vi cado con l'inconsapevolezza del fasciame

non l'angoscia dei marinai o del loro capitano.

Non attendo il fondo

 

come una liberazione, non attendo niente.

L'unica realtà è la spirale infinita

delle acque, buio turbine. Come riverisco

 

questo cieco esistere precipitando.

 

 

*

tutto ha l’ampiezza del mare

tutto ha l'ampiezza del mare

se visto dalla giusta prospettiva:

un angolo ottuso tra le linee di fuga,

la giusta divaricazione tra l'aspettativa

 

                                e la cosa.

 

così, amore mio, non rimpiangerò le tue onde

né il sale che illude.

 

solo a volte, quando il sole rimbalzerà

in qualche riflesso,

del mareaperto ricorderò il colore

 

quando annega di luce.

 

 

                                             a Laura

 

*

noi siamo stati

appena un attimo, un vuoto
infinitesimale in cui si insinua
la bava di luce del tuo sguardo
obliquo. ricordi, vero, l'attesa
e poi le mani che correvano veloci
e le labbra, le labbra, le lingue,

 

veloci, veloci, l'umido, la spinta,

la gioia del corpo, mia gioia,
fiato mio. poi, ritrovare il respiro,
la pausa, rallentare il metronomo
del cuore. battito su battito,
pelle su pelle. noi siamo stati

 

                                 [felici.

 

*

amore d’acqua, amore di parola

quando di notte come sempre batte

il nome e incontra le sillabe rotonde del mare

allora si intravede nel buio il fuoco futile

 

del gioco dei rimandi. sarà quello che dici

o il come che mi chiedo se la baia esista
e dove poggi le braccia, le lunghe braccia

 

di luci tremanti, come me. dove sei?
in quali fondali anneghi i tuoi silenzi,
amore d'acqua, amore di parola?

 

ragazzo che viaggi sull'onda dei versi
col sorriso sfrontato del filibustiere,
dove sei? qui l'assenza è colpa e pena.

 

 

*

L’inutilità della sopravvivenza

ecco, leggo e sono lì

 

in tutti questi lì,

 

sono sempre fra questi corpi disarticolati

 

decomposti

 

torturati corpi            coperta di cenere

 

o trasformata in cenere o

 

chopped, you know, as the meat

 

 

 

in realtà io non so, non so niente

 

anche se conosco tutto

 

i cecchini di sarajevo, i fiotti di napalm e i gulag

 

gli uliveti sradicati in memoria di auschwitz

 

e i terroristi suicidi in memoria degli ulivi

 

srebrenica e ancora corpi scheletri di ossa

 

risonanti

 

 

 

i campi di lavoro

 

                    di rieducazione

 

                              di sterminio

 

 

 

i killing fields

 

 

 

e auschwitz il buco nero più 

 

profondo

 

              il vuoto di senso

 

 

 

perché leggi queste cose se ti fanno impressione? lascia

 

stare

 

ma io non volevo lasciare niente

 

tralasciare niente, volevo conoscere conoscere

 

riconoscere

 

 

 

di precipizio in precipizio

 

il garage olimpo

 

il sangue del ruanda

 

myanmar o timor est, sowetho,

 

l'estadio nacional de chile, kabila, pristina

 

my lai dal nome così dolce

 

 

 

halabija, la strage del pane, la strage del mercato, la strage

 

di sabra e shatila, la strage

 

 

 

i corpi spiattellati del wtc, i corpi annichiliti

 

di guantanamo, la counterinsurgency

 

 

 

o come si chiama adesso.

 

 

 

tutta, tutta la geografia del dolore

 

 

 

e ovunque l'umanità - ah! l'umanità, che dire? -

 

ovunque uccide, io volevo sapere

 

toccare con mano, un san tommaso di sangue

 

di sangue

 

di sangue

 

 

 

non c'è niente di più umano della procurata morte

 

dunque di cosa parliamo, di cosa parliamo adesso?

 

 

 

parliamo dei vivi amore, parliamo dei vivi

 

 

 

subito prima o subito dopo la rottura della simmetria

 

quando dipingono la cappella sistina

 

compongono la suite n. 1 per violoncello solo

 

scoprono la doppia elica

 

scrivono l'equazione di dirac

 

 

 

subito prima o subito

 

dopo

 

 

 

parliamone. diamo fiato al

 

fiato, fiato mio

 

 

 

perché noi sopravvissuti per caso

 

siamo tutto e il contrario, stelle pronte

 

a chiudere la sequenza principale

 

esplose di luce o implose in buchi neri

 

 

 

inutili cieche stelle

 

trasfigurate di bellezza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Se c’è qualcosa che può sostituire l’amore

                            "se c'è qualcosa che puo' sostituire l'amore, questa è la memoria"

                             Josif Brodskij

 

Non si sono piegati i pini di Komarovo
né il lago è più silenzioso di allora,

quieto lago in acque agitate
dal secolo terribile:

là dove conobbi il tuo sguardo,
amico mio, io, la tua musa
in lutto, ora riposo.

Ho accumulato la stanchezza dell'orrore
e me ne sto qui, priva di carne,
come d'altronde s'addice
all'asciuttezza del canto.

Che tu sia stato vivo in un qualche altrove,
sia stato poeta di enfasi vibranti,
l'ho saputo dalla terra,

dal brusio degli insetti e dal grido degli uccelli:
loro, sì, loro dicono le sole cose che sento.

 

 

*

La stretta evidenza del respiro

lì in quella luce tiepida,
lì si trova un colore arancio morbido, avvolgente
un punto di frequenza inusitata
che stempera l'angoscia viola, pulsante
nelle tempie quando accade, come accade, quello
o questo o qualsivoglia.

 

nell'arancione s'infiltrano bave di azzurro
ricordi di baie e mari
infiniti distanti e ciechi di cieli vuoti

 

privo di eco acuminate,
essenziale nella sua rotondità,
tutto vi è silenzio:
nessun rimando, nessuna colpa.
La stretta evidenza del respiro

 

colma le assenze. 

*

l’esattezza della luna

l'esattezza della luna nel nudo cieco

del cielo
trasforma in astrazioni i corpi

 

un richiamo del te assente
quello che non mi tocca non mi bacia
non mi crede

 

sicché io non esisto
e tutto tace

 

Questo silenzio è il silenzio della luna (*)

 

 

 

(*) "Delitto e castigo", F. Dostoevskij

 

 

 

 

*

L’uomo del pane

curvo sotto la gerla del pane e degli anni
gli anni, gli anni passati,
un'imprecazione che scandisce ogni battere

 

e levare del tallone dalla strada
consunta
consunta bucata sporca strada
- quanti aggettivi per l'abbandono? -
compagna del suo andare continuo
avanti e indietro
in questo quartiere da sogni anni '50,
piccoli sogni piccolo borghesi

 

«manderò i figli al liceo, mia moglie farà la signora coi capelli cotonati
ed io faccio pane
faccio il pane tutti i giorni, montagne di pane
per i baby boomers affamati,
così comprerò il futuro»

 

fatto salvo che il futuro non ci ha aspettato
precipitando in stridor di denti

 

così va avanti col suo pane, pane caldo
che non ama più, non ama più

 

niente.

 

non la strada o i palazzi o le cime dei platani
che riparano dall'assedio della luce,
il tutto vecchio e polveroso che lo circonda.

 

inopinata morte delle cose.

 

 

*

perdonami il silenzio

                                       perdonami il silenzio
ma a volte le parole hanno andamenti feroci
strane pieghe e onde
dove si nasconde il dolore, s'annida l'indicibile
battendo sulle sillabe - tamburi.
Sicché tacendo, si riacquista la quiete
dell'alba, quando la luce cola goccia a goccia
sulle cose, ne recupera il senso
di oggetti. Così si sta, con gli occhi socchiusi
in attesa che il respiro si plachi.

 

 

*

il poeta

 ha un occhio cieco e uno che brilla

 

l'occhio cieco coglie l'essenza
la cosa nuda,
quello che brilla la infonde di bellezza
ricamandola di parole

 

tutto si fa sghembo
e inconoscibile

 

rimane l'amore distante
lassù
in cima alla ripida scalinata di versi

 

 

*

Essere fragile

ogni parte del corpo m'è estranea
ma duole di un suo dolore sordo
memore di ben altra appartenenza

guardami, dice lei, il collo proteso
nell'ennesimo tentativo di riaffermare la sua presenza,
patetica figura nell'ombra che la invade
dal fuori al dentro.
è il soffio di dio che da e toglie, dice,
eppure tutto appare fermo,
una bonaccia di immani dimensioni
nella stanza appartata, semibuia
che la reclude e la protegge.
le tende bianche ricadono con precisione
millimetrica, disegnano filigrane incomprensibili
sul pavimento lucido.

 

dal dentro al fuori non trapela il senso
di questo essere fragile, tutto va come
deve andare, sempre.

 

*

Rosa

se fosse più facile dire di una rosa

«essa è.»

maledizione a chi ha coperto questa corolla

di retorica, soffocando la natura

perfetta

d'amore muto

 

*

Fausto e le parole

Estamos hechos, en buena parte, de nuestra memoria.
Esa memoria esta hecha, en buena parte, de olvido.
(J.L. Borges)



c'è un ricordo di terra violenta e bella
nello spazio vuoto tra le righe
dove le parole cadono, sparse note
di dolore, ferite.
la solitudine strutturale delle sillabe come
un richiamo | d'amore perso
:
la lingua bellissima accarezza
le labbra del senso            http://youtu.be/D3_ycRxmbWU

 

*

Bonifica o La Maremma non esiste

1.

                           La Maremma non esiste
è una non terra fertile, tumida d'erba
e girasoli incongrui
una rincorsa di verdi fino al mare
brillante

               lui sì esistente, fiero
della sua natura liquida in - bonificata

eterno mare imbonitore che m'asseta

 

2.

[di quel che volevo dire non è rimasta traccia:
ascolta dunque quel che sono quando
sono]

 

3.

la bonifica è effetto del dolore, chirurgica
ferita contro la mal aria. sogno di demiurgo
che inganna se stesso:

tutto torna alla palude.

 

http://youtu.be/73uujQS3iOU

 

*

contemperare la ginestra

contemperare la ginestra,

gialla allucinazione prima della discesa

alla piatta quiete del lago, torbido

specchio che inghiotte il verde

 

la precisione dell'acqua delinea l'orizzonte

di colline; tutto appare fermo:

l'illusione di un congelato divenire

nel pullulare informe di vita

 

se fosse così, il non essere: un sostare

dello sguardo su qualche vastità

piena di silenzio e giallo fragore,

nell'intima consapevolezza del nulla

 

 

*

a proposito di conversazioni

Parla a mezza bocca, soffiandomi nell'orecchio

mentre accarezza il suo cane buffo

(il ricciolo impertinente della coda si muove

impercettibilmente)

 

Così scopro che sotto gli occhi azzurri

c'è il solito lago nero di dolore.

Non che pensassi gli azzurri ne fossero esenti,

ma lui aveva quel guizzo luminoso,

solo un ritorno di fiamma, capisco ora.

 

Lento sale dall'erba l'umidore del crepuscolo

mentre il racconto si fa denso come pece.

Intorno una quiete fatta di piccoli fiori, lampi di viola e giallo

tra gli arbusti, una quiete così

surreale.

 

 

 

*

quadri

I
assordante l'odore dell'acacia penetra
la pietra, docile all'erba.

II
                               rarefazione dell'alba
quando tutto è lucido
riscoperto alla sua forma            divina
alba dalla dita di rosa,
ovunque tu sei io
sono
persa di luce.

III
che sia lieve la fine del giorno
calda come una mano sul
seno
fremito lungo il collo

IV
alla radice del pensiero
sta
il corpo


*

tu che hai mani come radici

tu che hai mani come radici,
dita contorte e nodose, sazie di terra;
quel ridere bambino

 

che si rincorre alla gola;
occhi lontani che sfidano i giorni,
grandi occhi capaci di luce;

 

sogno mio, tu, dove sei?

 

sono persa a me stessa
in questi giorni di sole, spessi
come fossero materia

 

a sera tutto sfugge, lasciando
scie di porpora nell'indaco,
come segni di sangue.

*

Invettiva

Massì andiamo da Amici, che è un nome ch'è tutto un programma,

lì si incontra la ggente seppure dietro uno schermo. Oppure

convochiamo le piazze a dire abbasta, vaffanculo e porca puttana.

Ma 'sti cazzi non lo dice nessuno? Che qui, sappiatelo, si soffoca

nella fine della storia, annegati nell'irrilevanza, sfilacciati e divisi.

L'arroganza dell'oggi è un pugno nell'occhio, un ossimoro della storia

per questa gente con le teste infilate fra le mammelle dello stato

- lo stato, lo stato.... - che non sa né di passato né di futuro,

che irride la propria funzione nel nulla cosmico della vanagloria.

Tutto è così privo di senso, così vacuo e infelice. La notte della speranza

non ha caratteristiche di mito, non esplode, non augura catarsi.

Accartocciati su noi stessi, incaprettati, attendiamo.

 

*

After Bomb Afternoon

dalla finestra che coltiva lo squarcio
ripido sul mondo arriva
l'immagine nitida, esemplare
delle file ordinate di palazzi stagliati nel grigio
e le strisce nere di strade deserte.
After Bomb Afternoon. qualcosa come questo

nel silenzio surreale del vento. ora improvvisi passi
testimoniano l'esistenza di altro da me
oppure come tutto si ricrei nel mio orecchio
incapace di affrontare il nulla. lo spasimo
di un motore, anche, adesso: sparge il grido
dello sforzo, arranca e scompare dove tutto

finisce. non c'è altro? non c'è altro? l'eco simbolica
si spegne anch'essa. ogni strenua resistenza
trova il suo limite. allora me ne starò così,
accoccolata, come se adesso fosse sempre
e domani mai. un piccolo riparo, una cuccia calda
dove respirare appena, con gli occhi chiusi.

*

Mediterraneo

là dove ho appreso la consistenza del sole
ritorno. un pellegrinaggio a fronte alta e
mani aperte nell'azzurro, a studiare i riflessi
che rispondono ai riflessi, come se il mare

 

parlasse e mi dicesse di qualche segreto
amore, speranza, storia. ciò che rende la vita
una vita, sempre. al controcanto disperato
dei gabbiani, invece, non rispondo:

 

ne ho abbastanza di questo girare in tondo,
di questa vita affrontata a battiti d'ali,
affidata all'aria. voglio la massa liquida

 

che mi compenetra, spiana ogni ruga
accarezzandomi, mi sospinge verso l'alto:
la scienza archimedea del galleggiamento

 

 

 

*

Post mortem

s'assomma all'angoscia del giorno perduto,

dell'occasione mancata

quest'uggiosità ostile del cielo

che rimanda al dove non sei, dove non fosti mai:

averti non avuto è stato perdersi

nella fatica del mondo. eppure c'era qualcosa negli sguardi,

una fierezza d'amore, una preghiera di insieme

 recitata sotto le ciglia da chi non crede a nulla.

ma è ovvio, la vita riserva sorprese solo a chi coltiva la meraviglia

erba rara di un verde translucido,

tenera erba di marzo.

 

*

Falso movimento

non c'è niente da dire eppure
l'arte del silenzio è cosa sconosciuta. chi
ride, chi piange: tutti dicono e muovono le mani.

 

hanno soluzioni un tanto al chilo
vendute sui banchetti agli angoli delle strade fetide
di roma millenaria
svuotata e riempita come un otre
che trasuda umido dai pori

 

arriverete come sono arrivati tutti,
vi vedrò coi visi rivolti al sole ai tavolini dei bar del centro
contare i vostri sogni cogli spicci della mancia.
sarà bello stare lì, dove sfilano gli anni
e dire: è sempre stato così, cosa possiamo fare

 

noi.

 

 

*

Tu mi parli della neve che cade

tu mi parli della neve che cade
spegne la luce
e addormenta il giardino: io già immagino
quando mi dirai del miracolo dei crochi a primavera
e l'inverno sarà stato una promessa mantenuta.

 

qui invece, amico mio caro, piove grigio
sull'asfalto nero, pozze oleose
tra le cartacce che ingombrano la strada,
rivoli beffardi deturpano i visi sui manifesti,
tutto sembra bagnato di una malinconia universale,
senza redenzione.
eppure anch'io domani ti dirò della luce che rimbalza fra i palazzi
gioca coi riccioli di pietra, dell'azzurro che ingoia i paesaggi
dei pini che svettano e sembrano felici.

 

non siamo fatti per l'inverno, si vede, noi fragili,
assorti. è il sole che ci accende lo sguardo,
riverbera sulle cascate di parole
illumina il senso, indica la direzione.

*

frequenza d’azzurro

non dire, non essere: stare.
come quel punto di colore che non ha nome
e elargisce al cielo la sua profondità
pronto a farsi sommergere dalle velature causali
immemore di sé riverbera

 

frequenza d'azzurro

 

 

*

crostata d’arance

voglio fare la crostata d'arance
e regalartela come fosse una pietra preziosa
il guiderdone che aspetti
un graal pagano che svela segreti
un dono d'amore
in questa domenica azzurra,
per sventare il rigore della tramontana, freccia
conficcata nel tuo cuore lontano

*

What Happens Underwater During a Hurricane?

così quando seppi che eri tu
fu come un'onda
altissima.
ignorando la potenza della parola dissi
«amore» e amore accadde.

le mie dita divennero di sale
pronte a sciogliersi sulla liquidità della pelle
e gli occhi biglie di giaietto
trasportate dalla forza della corrente

poi quando l'onda si ruppe nella violenta vacuità 
della schiuma, nel bianco accecante,
arrivai ad un qualche approdo
laddove giaccio, come un'alga strappata al fondale.

 

*

Ci sarà un giorno

ci sarà un giorno
in cui verrò a patti
col nostro essere umani e non dei
e troverò ambrosia da suggere
negli sguardi adombrati dalle ciglia
mortali
che trovano l'infinito nella loro finitezza
nel saper scandire il tempo
lungo una retta che si fa cerchio
                             [e ciclo
solo quando s'avvolge
attorno all'amore

 

 

*

La moglie di Lot va dallo psic

ti serve aiuto? ti serve aiuto?

non che il sale fosse il tuo destino
né lo era il voltarsi

devi contemperare
la perdita
l'irrigidirsi delle membra
il bianco accecante che sei diventata

tu senza nome

 

 

*

via con la pioggia/gone with the rain

 Pioveva forte, come deve in queste occasioni.

La ragazza, che aveva pretese culturali,
proprio in quel momento sospirò
e disse al suo ragazzo: «vorrei acqua che scorre,
non questa palude Stigia.»

Lui, che aveva fatto il tecnico elettronico
non seppe che rispondere se non:
«beh, di acqua che scorre ce n'è tanta,
guarda come piove!»

Lei, che amava l'iconografia della disperazione
pur non conoscendone la fonte,
si nascose la faccia tra le mani e si allontanò,
la pioggia battente sulla messa in piega
da quaranta euro al centro commerciale

«Anche questo gli farò pagare, a quell'insensibile,»
pensò, strizzando la lunga chioma nel lavandino
di casa sua. Si preparò una tisana bollente
e pianse, rincantucciata sul divano,
come aveva visto fare in un film

Una posizione scomoda, poco adatta
ai suoi cento chili ribollenti amore. Vista
l'impossibilità di soffrire come si deve
decise di accendere la tv. Tanto c'è sempre
qualcosa da vedere.

Poi, c'erano tutti quegli animali che copulavano
o morivano, mangiati da altri animali copulanti
e morenti, da qualche parte in Africa, o forse
Australia. Fa lo stesso, si disse, alzando le spalle

Era abbastanza tardi per andare a dormire
e sognare Rossella O'Hara. «Domani è un altro
giorno», avrebbe detto, o anche, «Tara! A casa, andrò 
                                                                  [a casa!»
Ma questo, va detto, non c'entra proprio niente

----------------------------------

It was pouring, as it has to, in such occasions

The young lady, which had some cultural pretensions
exactly in that moment sighed
and said to her love: «I wish we had water flowing,
not this Stygian Marsh.»

He, who was an electronics technician,
didn't knew what to answer but:
«well, there is a lot of water flowing,
look how it is raining!»

She, who loved iconography of despair
even though she didn't knew its source,
buried her face in her hands and walked away,
with the rain pouring on her hair set,
forty euros at the shopping arcade

«Even this he will have to pay, that insensible,»
she thought, torching the long braid in the sink
at her home. She prepared a steaming herbal tea
and cried, sitting on the coach and curling up
her legs, as she saw doing in a movie

A troublesome position, not very suitable
for her one hundred kilos of seething love. Seen
the impossibility to suffer properly
she decided to switch on tv. There is always
something to be seen.

Then, there were all those animals copulating or
dying, eaten by some other animals copulating and
dying, somewhere in Africa, or Australia,
maybe. It's all the same, she said to herself, shrugging.

It was late enough to go to bed
and dream of Scarlett O'Hara. «After all, tomorrow is
another day», she would say, or even «Tara! Home. I'll go 
                                                                          [home!»
But this, it must be said, has nothing to do with the rest.

 

 

*

L’impotenza della memoria



                                    A Primo Levi

Ho la tristezza della storia dimenticata
affogata nell'indifferenza e nello scandalo.

Quello che è stato, è perso
eppure fu:
un non uomo
una pietra poggiata sulla tomba di dio
i testimoni.

Non c'è kaddish, non c'è preghiera dei defunti
che misuri il dolore

Non sono stata capace
non sono stata capace:
niente è stato niente, tutto
è uguale
la parola strappata al silenzio tace
di nuovo.

Daremo in pasto giorni bui al futuro, 
nell'impotenza della memoria

*

Occhi di bambina/Childish eyes

oh, è tutto così inutile

e bello
scintillante nella profonda chiarità del cielo
che se avessi occhi di bambina
potremmo giocare ore e ore nel cortile

prendere le nostre vite
e stenderle come un bucato sui fili
del senso
poi salpare, pretendendo un mare piatto
col vento teso 
a gonfiare quelle vele di stracci

arriveremmo ovunque e ovunque saremmo
noi. infine, rauchi dalle grida

sussurreremmo una parola sola,
amore

 

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

 

 

oh, everything is so useless
and beautiful
shining in the deep clarity of the sky
that if I had childish eyes
we could play for hours and hours in the backyard

we could take our lives and
hang them as laundry on the lines
of sense
then we could sail, pretending a smooth sea
with a fresh breeze
blowing those rags' sails

we would get everywhere, and everywhere we would be
us. lastly, raucous for the screaming

we would whisper just a word,
love

 

*

Rosa no, non una rosa/A Rose no, not a Rose

allora potremmo pensare di vivere
immersi in noi stessi
la vita come arte o l'arte come vita
tutto che combacia perfettamente si chiude
in un cerchio
di auto-spiegazione auto-assoluzione
tutto che funziona, ecco
le parole che trovano la strada semplici emergono
dalla congiuntura positiva
la congiunzione astrale
dell'essere in un dato posto alla data ora
senza
scavarle fuori dalla propria fossa
soffocate dal marciume dell'esistenza
mangiate dai vermi
si

quindi potremmo forse vivere a montparnasse e
essere 
soltanto essendo
ma
se una rosa è una rosa è una rosa
io che pronuncio la parola rosa, cosa
sono? io
mille volte ribadita, nel tutto uguale
cosa sono?
rosa no, non una rosa

il cerchio spezzato è la dimensione del presente
aperto
squarciato dalla reiterazione inconscia
: tutto uguale, tutto 
irripetibile

non ho niente da dire, solo
pronuncio

 

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

 

so we could consider living
immersed in our-selves
life as art or art as life
everything that matches perfectly, closes
in a circle
of self-explanation, self-absolution
everything that works, so
that words find easy paths emerge
from the positive conjuncture
the positive star alignment
of being in a given place at a given hour
without
excavating them out from one's own grave
muffled by the rot of living
eaten by worms
yes

therefore we could maybe live in montparnasse and
be
merely being
but
if a rose is a rose is a rose
what am I? I who pronounce the word
rose? I,
thousands folds restated, in this 'all it's the same',
what am I?
a rose no, not a rose

the broken circle is the actual dimension
open
torn apart by the unconscious reiteration
: all it's the same, all it's
unrepeatable

I have nothing to say, merely
to pronounce

 

 

*

Poesia come donna che danza/Poetry as a woman danc

oh, ma io sono una donna di facili costumi
vi amo tutti, tutti
avrete i miei baci, la mia bocca 
tumida. La gonna a corolla che danza
sulle gambe
-fiore rosso d'inverno-

guardate! ho voglia di voi 
se sapete cantare 
e ridere seri, come bambini compresi 
nella parte. Tutto dev'essere
verosimile:

la mano che squarcia il petto
e il sangue che cola,
inevitabilmente cola in larghe pozze
                            rilucenti

 

 

 

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

 

 

 

oh, but I am an easy woman,
I love you all, you all
will have my kisses, my turgid
mouth. The flared skirt dancing
on the legs
-wintry red flower-

look! I lust for you
all, if you know how to sing
and seriously laugh, as children absorbed
in their role. Everything must be
likely:

the hand who tears open the chest
and the blood dripping,
necessarily dripping in wide pools
                          gleaming

 

 

*

Scenari di crisi

1.
swap, bund, spread
gulp!

è questo il modo in cui finisce il mondo?

cac, nyse, dac
ach!

è questo il modo in cui finisce il mondo?
non con uno schianto, ma con un default?

2.
che tutto sia uguale allora
che tutto sia lo stesso
il rosso il nero il grigio
la notte che non cessa

la nebbia sullo schermo

l'odore delle rose
e quello dell'iprite

3.
di questo azzurro feroce
-scarnificante gelo-
ne farebbero a meno uomini e donne
dalle gote paonazze
che sciamano la mattina
verso un qualunque dove
da appendere alle mani forti
la lingua muta, incompresa
che non sa dire né la fatica né la paga
solo sì ed anche sissignore
ovunque
a perdita d'occhio
disumanati corpi a un tanto al chilo
inciampano
sulle catene spezzate
rovesciate a terra
dalla fine della storia

4.
Vibrante d'azzurro il cielo, freddo di distanze assurde. Magnifico cielo di febbraio sopra la periferia dell'urbe. A perdita d'occhio strade, arditi svincoli verso il nulla programmato. Centro commerciale. Vuoto a perdere di un sabato qualunque.

Dove la piazza, la metafisica dell'arco, lo slancio della pietra?
Lo spiritus loci, qui, è un rutto.

5.
si narra di come un giorno la luce
ferirà la terra
bruciando

noi muti attoniti artefici
dalle mani insipienti
saremo lì
a contare le piaghe
dando la colpa a un dio
e chiedendogli perdono

ma chi perdonerà il padre mio
dei lumi che accese
alle orbite cieche

6.
con quell'argine di ciglia
allo sguardo
dove la luce si frammenta, morbida
trama sottile
sibila attraversando il raggio

dove sia la fonte
e quando
perché anche il tempo conta

fummo, saremo stati
c'è un sempre di mezzo, c'è
un mai

7.
- di quale disperazione parli?
sibila la notte nera
ascoltando il grido della faglia
che stride e inghiotte
e scuote
nulla, nulla non c'è nulla
che tu possa fare
chinare il capo a volte
a volte piangere

8.
nondimeno è un corpo
seppure la pelle
cada come un abito slargato alle ossa
e le braccia
così sottiiiiiili
si muovano solo per scacciare mosche

un dollaro per cento mosche
madam
gridano i bambini ai turisti nascosti
dietro le videocam

 

*

Canto d’amore - divagazioni su Prufrock

«ogni giorno prendo le mie medicine
l'una per aggiustare gli effetti dell'altra
e tutte per guarire la vita»

lo racconti inarcando il sopracciglio, con quello sguardo
un po' sorpreso
di chi non sappia come si sia arrivati a questo punto
soffocati dalla prudenza a contare
ogni gesto, gocciolarlo piano, attenti che non smuova
equilibri tanto precari quanto ineludibili
fragilità pregresse

«beh, possiamo farci sopra una risata di aver visto arrivare
i tempi dei pantaloni arrotolati in fondo
averli visti arrivare e trascorrere senza che la domanda
inespressa, la domanda --- »

ha davvero senso continuare, amor mio
continuare a chiedere?

ci siamo sobbarcati questo viaggio, non era detto:
una scelta come un'altra per chi non sceglie mai
così adesso
incrociamo i nostri sguardi liquidi
tremanti sul collo
come sappiamo fare solo noi

e ammettiamo di aver avuto una risposta
averla avuta sempre davanti
presente e adamantina

averla avuta tra le mani, noi sì
per poter dimenticare lazzaro e il regno dei morti dimenticare
tutto
con un tocco lieve sulla fronte

sapere del gesto, sapere
dell'amore
: questo abbiamo conosciuto, per raccontarlo ai vivi







(*) Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock, T. S. Eliot, 1910-1911

*

L’esatto peso

                                                           a mio padre

abbiamo immaginato la distanza
costruito
l'attesa del futuro
progresso inevitabile assicurato dal procedere
delle scienze
pure, esatte, scintillanti come spade
conficcate nel cuore dell'umanità
a scavarne il meglio
il prezioso gioiello della ricerca

nel tutto uguale c'è
la singolarità ineliminabile
il genio
il quantum leap
,
dicevi,
e guarda dove ci porterà

ora che siamo stati portati
nel solito nulla stratosferico,
padre mio,
ed io non sono altro che un'attempata epigona
del secolo dei lumi
                                spenti
cosa posso dirti?

che ci vorrà altro tempo
altro tempo
o altri noi

per misurare l'esatto peso
della parola "amore"

 

 

*

dialogo immaginario in tempi di crisi

Come si fa a parlare di poesia in tempi così, chiede compunto
la faccia di circostanza da crisi, tutti i licenziati e i precari che gravano
sulle sue spalle di borghese benestante con sensi di colpa,
ma non abbastanza, non abbastanza, se subito dopo vuole sapere
cosa farò questa estate. lui, che ha una coscienza politica, andrà
nella sua casa di sabaudia, oppure in quella in abruzzo, non ha deciso,
forse un po' qui un po' là, perché non è il caso di allontanarsi
troppo. così non gli dico che non ho case da nessuna parte e
quindi andrò una settimana in danimarca, che purtroppo
è lontana anni luce. in caso di crollo, come potrò tornare in tempo
per vedere la cruciale diretta di ballarò sui mercati che affondano
come la costa concordia? o lo speciale di mentana con ospiti in studio
nessuno dei quali vorrà assumersi la parte dello schettino?
ahi, serva italia, di dolore ostello, sospira, mentre sorseggiamo
al pantheon un calice di bianco fresco al punto giusto e lui
scaccia postulanti come mosche con un gesto della mano.
questa è la poesia che mi piace, tuona, la poesia civile
che punta dritta al cuore dei problemi. io chiudo le mie poesie
incivili nella borsa, con un gesto furtivo, come per caso.
noi della società civile, noi, dovremmo fare qualcosa, qualcosa
per tutta questa povera gente, ribadisce scuotendo la testa.
beh, è ora di andare adesso, ho l'appuntamento per i pilates;
sai, bisogna mantenersi in forma, non si sa mai,
aggiunge guardando contegnoso la mia pancia rotonda.
io resto lì, un po' interdetta, fino a che il cameriere non chiede,
con lo sguardo perplesso, «signora, allora paga lei?»

 

*

pronunciare i nomi

1.

nomi, accatastate sillabe
che creano cose persone
andando.
canti ab-origeni
nel deserto dell'io.

 

2.

pronunciare i nomi
sentire le sillabe che rotolano sulla lingua,
tinnano sui denti, frusciano fra le labbra,
si disperdono in onde nell'aria
e nella vibrazione dei timpani tornano in me
ricostruendo la presenza

 

3.

sì, così, voglio questo
del sentire, del vivere, voglio il suono

 

 

*

addì, 9 maggio

**

E poi considerate questo: 

io non sto io non vivo
sono presunta
ho occhi che ardono di un'altra luce

altra luce, altra luce
arde i miei occhi, buca le pupille
altra, altra
divora

tutto è niente per i non vivi
tutto cade e scompare

 

**

cerca Udiel tra i fili d'aquilone, mi dice Ferdinando
ed io lo cerco:
ma Udiel è morto, morto assassinato
dall'unica mano amica

non è più tra i non stanti, non vivi
non è più tra noi:
è stato arso, fu

Francisco Ruiz che non ti conoscevo
non ti conobbi mai
nemmeno una riga di te
adesso che fosti, so

 

**

Me canso, de despertar,
la luz me hiere cuando ver no quiero,
el viaje a Ítaca nada me ofrece. (*)

 

**

nessuno crede alle parole dei poeti
neanche loro credono
che ciò che scrivono sia vita

e così i non stanti, non vivi, non credenti
muoiono come tutti gli altri

e la bocca gli si riempie di terra
rossa terra umida in grana grossa

 

 

(*) Mi stanco, di svegliarmi,/la luce mi ferisce quando non voglio vedere,/il viaggio a Itaca nulla mi offre (Francisco Ruiz Udiel, "Lascia la porta aperta", Fili d'aquilone n. 22)

 

*

Elementi di teoria della misura

In questo giorno di azzurra cupezza
pesante di ore contate a minuti,
chicchi sanguigni della melagrana dell'assenza,
tu sei la distanza che mi misura

sempre. Come non stare è questo non volere,
come non esistere. La mia cecità
non conosce compromessi, ahinoi: tutto
è buio. Quando inseguo con la mano

il tuo viso, il tuo sguardo di carne, tutto
è buio. Così, nella reiterazione del gesto
rimandato, rimosso, si costruisce l'inerzia
dell'amore. Perché che io ti ami è vero

indubbiamente. Eppure, di tutta la potenza
di questo verbo, amare, ho scelto quella
nulla, collassata a un punto, sicché non c'è altro
che si possa dire: tutto si chiude, ancora.

 

 

*

Ideogramma

I
noi che trasformammo il tempo in metafora
decidemmo di essere immortali
 
II
                    eppur sapendo
degli effetti senza cause
dei dadi tirati ogni giorno
che rotolano
                sotto i tavoli
rotolano
fra i nostri piedi
che si toccano e s'intrecciano
cercando
 
III
l'unico contatto con l'infinito
 
IV
canto, non canto
sto qui.
intanto aspetto la nota sublime
l'indefettibile circonferenza
 
la parola perspicua
 
 

 

beh, qui ci sarebbe andato questo ideogramma http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d7/Love-zh.png

ma non sono riuscita a inserire l'immagine...&nbs

*

il silenzio del grembo

non sapranno niente di me
i figli miei non nati
non avranno il mio stesso sorriso
o la stessa forma del naso
saranno silenzio adamantino
 
e puro

 

 

*

fosse aria

ha la nudità dei giorni qualunque
anche questo giorno ennesimo
elencato in qualsivoglia calendario
con le sue caratteristiche cicliche
nessuna novità dal santo 
né dalla luna, se è per questo.
vivere, comporta la strenua
accettazione dell'uguale. eppure 
sulla piatta superficie nasce 
a volte come un fiore d'acqua
di quelli generati dall'improvviso
respiro di una creatura emersa
dal proprio buio, nero fondo,
respiro immenso nello spasmo
delle branchie come se la luce

                               fosse aria.

 

 

*

come se la vita non fosse mai accaduta

so che saremo nudi, un giorno, e,
posti l'uno di fronte all'altra, dovremo dire
delle omissioni seminate nei giorni,
dei baci mancati, delle mancate braccia
attorno alla vita;
renderemo conto dell'inerzia, dell'ignavia
persino, e saremo condannati senza scampo
a non aver vissuto. quando
tutto non sarà successo, non avremo tregua.
così, in un'eternità accecante scandita sillaba per sillaba,
saremo infine ciò che siamo,
come se la vita non fosse mai accaduta.



                                           (grazie, ferdi)

*

insonnia

Come quando di notte cala lo sguardo
inquieto sulla perdita del confine
tra cosa e cosa, muto sguardo di nera
consistenza, che cerca luce là dove

esiste solo il nulla, così io vago,
i capelli sciolti sulle spalle, neri
raggi, passo dopo passo percorrendo
il consueto ciclo sul marmo freddo,

cedendo sempre al pathos dell'insonnia.
Vorrei una lama che colpisca, laceri
infine la trama d'ombra, bianca lama

d'acciaio, pensiero rapido e feroce
come l'amore, che di notte, talvolta,
sorge improvviso, paradosso lucente.

*

Incantesimo

la luce ha davvero caratteristiche inattese
nel suo fluire , farsi lamina, infiltrarsi,
penetrare, oppure
piovere a fiotti intensi e irredimibili
come un canto.

tu sei laddove sgorga, 
nella radice di luce delle cose.

io, inclino la testa di lato,
come per capire. lo sguardo attento
compito le parole ad una ad una,
sillaba dopo sillaba assimilo l'incanto:
l'eterno atto d'amore del riconoscimento

 

 

*

Ferdinando e la baia

           vederti nella baia. immaginarti
in un'infanzia di onde, liquida e azzurra,
rincorsa di spuma bianca, aspra di limoni
gialli. lì dove sei, la bellezza è un luogo
comune, amico mio, sicché pare difficile
aggiungerne ancora ai giorni. eppure,
dalle parole nasce improvvisa, con la forza
del vento. limpida raduna e disfa
tempeste. ascoltarti è cercare la traccia
del granchio sulla rena, l'onda che la cancella,
l'odore che resta. un sapere salso,
che dissemina la pelle di cristalli bianchi.

 

 

*

Mare aperto

 

così come i tuoi occhi vedo
il mareaperto
                      che mi circonda accoglie
                    e poi respinge 
a volte a tratti a onde
 
                         schiuma bianca
barbagli di parole
-ah si, biancondose appaiate parole-
che rifulgono sul verde
 
e noi
che non fummo non siamo e non saremo
in questa persona mai
 
e sale sale sale
che brucia e non disseta
 
e fa impazzire i naufraghi