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Raccolta di poesie di Giovanni Avogadri
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

anniversario Pablo Neruda

ODE PARA PABLO
Se guardo il tuo volto
il tuo corpo Di maschio ben costruito
Mi chiedo dov'è il canto La passione
la preghiera cosmica Laica terrestre
al Padre Bolivar
Alla Madre Terra PACHAMAMA.
Sacerdote terrestre d'una dignità
Che non ha più testimoni
Sono qui a raccogliere quelle parole
Che ora suonano strane,
Ora che gli uomini hanno imparato a rinunciare.
Dormi tranquillo grande poeta
Amico e amante di ogni cosa
Anche per te risuonerà
Il più grande di tutti i canti:
un Figlio di uomo tornerà
Egli sa
che chi ha amato
Anche per se stessa
La creazione immemore
Non resterà senza ricompensa.
E allora sì,
Per sempre verremo per cantare.

*

l’approdo »
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mare maestro »
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Croatia 2008 »
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*

Dialoghi a bocca chiusa

Le prime di queste quasi poesie sono nate nel dialogo – parlato e letto-scritto - con tre grandi poeti e poetesse, delle quali riproduco le poesie o parti di esse, indicando l'autore. Si tratta di Luciana Stegano Picchio che mi onora da anni della sua amicizia e del suo affetto, scomparasa alla fine di agosto. Armindo Trevisan, il più grande poeta “gaucho”vivente che ho avuto l’onore di ospitare nella mia casa a Firenze dopo tante serate nella sua splendida Porto Alegre, conversando di arte poesia religione politica nella Libraria E’ Cultura. La terza è stata scritta per equilibrare lo choc prodotto dall’incontro con Rio de Janeiro, città mitizzata nel mio immaginario e infine rivelatasi molto oltre ogni immaginazione. E’ stata scritta uscendo dalla casa di Affonso Romano de Sant’ Ana, grande poeta brasiliano nonché direttore della Biblioteca Nazionale Brasiliana).
Le altre che seguono sono giochetti di significato che divertono l'adulto dopo le cose serie: l'attenzione all'universo femminile, il navigare senza motore, cantare con la memoria accesa.

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La verità non c’è
Perché c’è solo l’interpretazione
Non c’è il bello ma il gusto
E la poesia più bella
È quella
Che ci ha dato
Il quoziente maggiore d’informazione

Siamo soli nel caos
Senza leggi e modelli

Nostalgia di un dio
Oltre la nostra idea di dio

Nostalgia di un amore
Oltre la nostra esperienza dell’amore

Nostalgia di cantare in coro
La canzone
Da trasmettere ai figli
(Luciana Stegagno Picchio)

Ti porto a braccetto
Nel corridoio della tua casa romana
- Verrete sì, ci andiamo in Liguria?
Tra quadri del seicento –li voleva lui, gli piacevano tanto! –
Nei passaggi liberi dai libri.
- Incontrarla è come entrare in una città - Dicevano i miei amici
E per le strade nelle stanze
Apparivano Calvino Jacobson Levi Strass,
Si erano fermati Ungaretti Murilo Vinicius…

Che cosa volevi, Luciana
Girovagando da una stanza all’altra,
comunque sorridendo e afferrandoti al mio braccio.
Poi ho capito:
da me da noi
vuoi solo essere accompagnata fuori
Da quel labirinto di parole
Che a me piaceva tanto

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In una qualunque città del mondo
Ritroverai te stesso. Basta
Che dimentichi, per un momento, la tua lingua
La tua famiglia che abita altrove.
La città che visiti è per te il mondo,
il cielo, la notte, il giorno, principalmente
l’amore. In una qualunque città del mondo
puoi essere triste o felice, ma in modo diverso
(Armindo Trevisan)

RIO
troppo velocemente
siamo scivolati
in questa foresta
che somiglia ad una città'
che vive ancora
nel ritmo immobile
dell'utero di Abya Yala
della terra senza tramonto
con i bambini sulle spalle
o sporti sui fianchi
arrivavano senza stupore
a queste lunghissime spiagge
per immergersi
nella fonte della fertilità,
Carioca...

Adesso coqueiros e banani
sono i portici sotto cui scivoliamo
nella notte di pioggia calda
Avenida Vinicius de MOraes
botequim Garota de Ipanema
gli appartamenti dei ricchi
sogni tappezzati
di legno d'ogni specie
stanchi epigoni del modernismo
disprezzano la feijoada
ascoltando Bach
mentre dietro l'angolo
si sale alla favela
ma il buraco quente
non e' la porta della citta' di Dite,
apre verso un altro mondo
dove un'altra storia sta nascendo
prima o dopo il moderno non importa più

...Come faccio a dire
la nostalgia di averti lasciato
senza averti conosciuto,
Rio de Janeiro?
***
Una e molteplice
come la creazione
aperta e chiusa
sotto lo sguardo
del Demiurgo
fotografia e anche pellicola
racconto immemore
ed istantaneo riconoscimento
di ogni scandalo e grandezza
della storia;
utopica e concreta
come il desiderio degli uomini
che pure vollero qua sopra
l'abbraccio placido del Redentore.

Non si finisce mai di guardarti
sapendo di non poterti possedere,
inizio e fine,
genesi ed apocatastasi,
Corcovado e Redentor
terribile e meravigliosa,
Baia di Guanabara.
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A cena con Armindo e Cleuza, a Lucca

Lo pensavo dopo averti letto Pavese
in una buona poesia deve esserci tutto,
almeno un inizio ed una fine – ti pare poco?

In realtà ci vuole una veglia prolungata
Attesa e preparata
che spalanca i sensi
E li apparecchia per la Cena
Che poi si consuma accesi i lampioni
In questa città piccola come una casa
che si traversa col cuore quieto
per il sapore che hanno la sera i fossi e le foglie

il vino il pane della fraternità

con gli uomini e le cose.

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Genere femminile
Sono come velieri
Scivolano leggere e forti
incomprensibilmente verticali
Sopra al traffico tra le vetrine.
Passando
alzano un vento
Che fa bene alla vita.
Gli angeli non resistono
A quel passo a quel ritmo
Si arrendono senza parole
Ogni volta
Come di fronte al terzo giorno,
Alla dolcezza con cui
Il nostro gentile Signore
Dopo averci fatto addormentare
Dolcemente
sulla croce quotidiana
Estrae giorno per giorno
Una nuova Eva.

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Surfismo zen
Non so più
Se è una lastra di piombo
O il dorso d’un cetaceo primordiale
Quest’ACQUA
Che cambia colore con lo sguardo
Lascio che i cavalloni mi sommergano
E continuo a navigare
Quieto
appeso con le braccia
– adesso sono su un trapezio -
mi giro ancora una volta verso terra
E non la riconosco.
- sento un suono da dentro
Da dove proviene il respiro
ma la paura
non ferma più il mio corpo.
Era l’anima dell’anima

nascosta e custodita

dal movimento

che per un attimo

mi ha fatto

MARE

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Noviembre
Hoy en la tarde
despues del temporal
mientras que el sol
tocava su final
yo entrava en las olas
del Tirreno
pero ellas tenian
el color tempestoso
de la Plata
y ahora soy yo
que canto
siempre la misma
rima elementar:
"Deseo,
mire donde mire
te veo"...


*

Epifanie labroniche

1.

Pomeriggio,
agosto di vento:
non si naviga solo
per spostarsi
ma per entrare nel tempo.

1.2

Viale
Il mare
Un grido di gioia
Un sorriso sconfinato
La pelle fresca sotto il vento
Ma è nell’attimo
Che io voglio
IO VOGLIO
entrare dentro.

2.

Giardino di lecci,
mezzogiorno immoto di cicale
lo stemma Dè Medici
dimenticato
sulla chiesa sconsacrata,
a Livorno si offre solo il frammento.
Ma tutto è sacro
nello spazio ritrovato

3.

In Villa Fabbricotti tra i busti dei Granduchi
Sul viale dei cinque anni
Crescono le palme di Montevideo…
Oppure è stata colpa della Villa
Se sono morto di nostalgia
Per le palme di fronte alle ramblas?

4.

Passo davanti alla vecchia costruzione della Biblioteca dei Ragazzi.
Per me ogni racconto nasce da lì.
D’autunno sono le fiabe di Andersen, poi, d’inverno, la sera scende presto tra i platani e si può iniziare Dickens con tutta calma.
La tarda primavera si annuncia con Tom Sawyer e, soprattutto, Huchkleberry Finn…
Ma d’estate è la volta del più forte di tutti. Occhieggia tra le ombre dei cespugli, si nasconde appena entri nel vialetto, finché, alla fine della mattina, se sei fortunato, Il Cavaliere dalla Triste Figura esce fuori da un bosco di lecci .

5.

Pomeriggio d’agosto senza tempo…Alla televisione ci sono i campionati d’atletica leggera,
Subito dopo imitati e reinventati con gli amici in cortile …
Le Olimpiadi rinascono ogni estate, anche per le strade di una città di mare del tardo miracolo economico.

6.

Parterre

Perché mi aspetto di vedere Cesare proprio qui
attendere la sua ballerina sulla panchina di fronte?

Forse non c’era niente da fare
In quell’angolo di sogno esotico dietro l’ospedale,
dal muro si vedevano i resti del dopoguerra
e mio nonno mi apriva le strade
spingendo la bicicletta.

*

Da un evo prossimo venturo

“Che l’Alto Medioevo sia in effetti il periodo al quale potrebbe meglio adattarsi il volgare e tranquillizzante luogo comune di “età oscura” è cosa ben conosciuta. Forse meno conosciuto – e parimenti meno tranquillizzante - è che la ri-evangelizzazione e la ri-umanizzazione del continente europeo sia in buona misura ripartita da Ovest, dall’Irlanda, la provincia più lontana dal centro dell’impero e della Chiesa d’occidente”.

Segni in forma di lettera
da un evo prossimo venturo

Non ne ascoltammo i richiami dal Sogno
- come Paolo invocato dal Galata -
Né tantomeno un comando umano ad inviarci;
dai nostri monasteri s’ intravvedeva l’Oceano
e la fede discese nella pietra
– si può dire –
bell’è pronta, come la Sposa
dalla Gerusalemme Celeste.
Non affrontammo eresiarchi né lotte fratricide,
La semplicità del Simbolo
Conquistò le nostre menti e, forse,
cedemmo all’orgoglio
quando si seppe che Roma giaceva
come fonte distrutta
alla quale si abbeverano i cinghiali,
che le terre tornavano incolte
e le macchie dell’Appennino
si riprendevano le Pievi;
gli uomini – come il Figliuol Prodigo –
tornavano a nutrirsi di ghiande.

Per questo partimmo – a due a due –
Mentre il Coro intonava gli INNi
Nella lingua che ricevemmo.
Fu breve il passaggio di mare
-Il caos imprigionato tra due rive-
e poi pianure, fino alle Alpi.
Non scegliemmo la pianura
Ma l’apertura di una valle
Scoscesa e fonda ricca di acque
E forre e nebbia.

Adesso che vedo la gran macchina del Ponte
Scavalcare con fatica le acque tonanti
Lascio che sia esso
a parlare Per i secoli
della dottrina che ascoltammo,
la più piccola di tutte
il granello di senapa
che germogliò l’albero della Sapienza.
Poi furono pietre sui pietre
Parole con parole e canto
e colore di mosaico tratto dal fiume
ad illuminare la cripta.
Ricacciò nel fondo dei boschi
i mostri e le fiere,
la gran forza dello scaturire
fu in parte racchiusa e utilizzata,
il Caos ordinato come nei Sei Giorni
in spighe e grappoli e animali ben governati
il tempo riprese il suo corso
in giorni e stagioni.

Ora sono io, Attala,
a parlare senza bisogno di parole
perché quel che ho da dire
lo diranno per sempre
questi segni – come parole
incarnati nella pietra
che sigilla il mio corpo:
questo è ciò che può nascere
dal seme della Parola
a tal frutto è chiamato l’uomo
che sposa la Sapienza.

Hic sacra beati membra
Miani solvuntur
Cuius caelum penetrans, anima….


Nella Chiesa di San Francesco,
dietro l’Abbazia di San Colombano

Un buon profumo di rose
Come altare di legno
Pulito da mani amorose
E unto da cera d’api…

Non so da dove è entrato
O forse sono i tigli del giardino…
Comunque
non basta a spiegare
L’incontro;
La rosa l’altare
La cera il profumo,
Sono rosa profumo
Cera e altare
Perché sono parte
Di Te.

*

Febbraio 2004

Per Hrvoje,
Forse qualcuno ci arriverà
dopo infinite macerazioni
- all’oceano del silenzio - all’aleph
al punto matematico al centro d’ogni luogo

....

Io per me

via dalla paura
sono sgattaiolato tra istante e istante
incerto sul marciapiede ogni mattina
felice
d’aver acchiappato al volo un’altra volta l’autobus
o soltanto perchè mi avevi telefonato.

Stasera ci sono entrato senza volerlo:
da destra ho smesso d’ascoltare
il megamicrofono con le bocche che urlavano
- aggettivazione eccessiva -
a sinistra chi mi consigliava altri luoghi
ed altri spazi:
ho solo guardato le istantanee del tuo racconto
- le luci nella notte del bombardamento -
- una bellezza improvvisa e inutile -
nel cuore del continente che muore -
e siamo entrati insieme nella notte fredda
e adesso la parola fluisce.

*

Dossologia della seconda dopo Pasqua

Stamani,
nella chiesa abbandonata
inondata di sole
dopo il lento lavacro
delle preghiere
Il Tuo Corpo sapeva
di giglio marino
e m’ha inebriato.

Io ti portavo senza saperlo
il sapore dell’isola
il cisto il lentisco
l’agro del sudore
ed il fuoco della notte
nei panni.

Fuori il mare era tutto fresco di vento
e ora non conto più i giorni e le ore.

*

Luglio al Cavo

Sete
di azzurro fondo
Di verde controsole
Di macchia di scoglio

Fame
di alghe di profumo Di pesce

Forse sei Tu
Che mi dici
Dal fondo di ogni attimo bevuto senza fretta:

“Sono Io
che desidero mangiarti
e lo farò molto lentamente
usando tutta la tua vita,
fino all’ultimo pezzetto”.

*

8 luglio

Lo scirocco ha picchiato tutta notte e solo la luna emergeva da un mare di nuvole agitato.
Poi, il giorno, la vita del piccolo paese prende altre strade, la gente sparisce, assorbita da occupazioni misteriose, telefona, scrive, aggiusta oggetti dimenticati, o semplicemente si permette il lusso di perdere un giorno di mare…

Qualcuno, terminate le incombenze domestiche, lascia i propri cari a dormire sonni agitati nelle stanze ombrose, e mentre gli altri stanno al chiuso, lui è fuori, al vento, solo con un vecchio costume indosso…
Poche gocce di pioggia, l’acqua del mare di qualche grado più fredda, plumbea e profonda.

Si nuota a favore e poi controvento, il vento teso liscia la superficie dell’acqua e da dietro la punta lo vedi alzare piccole creste bianche.

Ci si asciuga su di uno scoglio, senza sole, col vento in faccia.

E si pensa alle partenze, quelle immediate, al sapore dell’imprevisto che abbiamo assaporato e che non ci ha sfamato abbastanza.

E si ha paura di restare intrappolati in un meccanismo perverso nel quale, come in un gioco di prestigio eseguito troppo bene, si sveli – OPLA’ – l’io prestidigitatore.

Eh no.

Abbiamo imparato a navigare con un altro spirare.

La voce dell’Altro, di ogni altro, il nostro richiamo.

Il silenzio e l’attesa i nostri unici mezzi.

La certezza del dolore come compimento.

Il volto dell’altro: l’orizzonte dell’arrivo.

Ci si rituffa un po’ infreddoliti e si ritorna a casa.

*

Paraclitus

Abbiamo visto il terrore
Trascorrere sulla macchia
Come un colpo di vento
Lo zenith del sole
Suggerire la fuga.
Apollo
ci ha colpito nel tardo pomeriggio
e lo abbiamo visto
da una rupe di vento
riunire con lo sguardo
le onde e le ombre di una cala immota.

Tutto questo lo abbiamo già conosciuto,
vero mistero è Colui
che resta accanto a noi
quando noi non sapremo più dirci
colui che resiste accanto alla Negazione
è lo Spirito che riempie le nostre vele
quando tutto è perduto
Quando il nulla di noi
Creato, voluto
O perfino subito
Lo chiama: l’immanenza di Dio
- la nostra libertà –

*

18 luglio

Ci siamo accorti della massa enorme di granito che ci soverchiava soltanto dopo aver doppiato il capo.
La giornata era calda, ventilata da una forte brezza da sud.
La parte meridionale dell’isola è dominata da queste masse di roccia e da una vegetazione tipica di zone aride.
Solo gli oleandri, qua e là, spezzano il colore calcinato delle pietre.
Il mare è subito fondo, di quel blu scuro che soltanto luglio ed il vento di oggi sanno far risplendere.
Torniamo controvento e ri-doppiamo il capo, proveniamo da nord ovest e tagliamo le onde di traverso, più ci avviciniamo al capo più le chiglie vengono alzate e spostate dalle onde, mentre le nostre pagaie correggono la traiettoria quasi ad ogni colpo.
Il vento si è incaricato di incrociare questo doppio – in realtà molteplice – movimento spostando le greggi di nuvole addosso al monte ed ai massi calcinati che si innalzano verso la vetta di questo versante, fino a afrangiarsi, chissà, appena arrivate sul continente.

Solo ora ci penso, così mi piace vivere e vedere il mondo: contemplare il movimento muovendosi noi pure.

Solo questo ci avvicina un po’ alla meravigliosa e terribile avventura del reale.

*

Kouros

Vengo dall’Arcipelago
di acque trasparenti
E fondali di roccia
Attraversando
Un oceano di paglia
Fango e fracasso
Nel diluvio nel traffico
Di Montevideo
Sei apparso
Salendo le scalette dell’omnibus
Con i ragazzi del liceo
Il turno serale
Poco più grande di loro
Bello come un kouros
Un passo appena avanti
Senza impermeabile
Reciti a voce ferma
La litania delle cose che vendi
Caramelle dolci cioccolato
E non c’è poesia più vera…

Per quanto ancora
ti resterà sul volto
Questo sorriso di stasera
Che è un coltello nell’intimo
Un dolore sottile addormentarsi
con le luci di Montevideo
e le nuvole sul porto?

Ragazzo del Sur
La tua dignità
non vale il nostro mondo intero.

*

15 agosto

Oggi è domenica
Tutto mi dice questa cosa
così semplice e palmare
una domenica australe.
Saluto Jemanjà
sulla spiaggia della Plata,
ci siamo allontanati poco
in canoa verso la piccola isola
immersi nell’ acqua scura rimescolata
poi tamburi e danze
per le strade di questo inverno australe


Io sono
Acqua, spiaggia, cielo, casa bianca
sono Mare Atlantico, vento e America
sono un mucchio di cose sante
mescolate con cose umane
- come faccio a spiegarti? -
cose del mondo
Sono stata bambino, culla, seno
tetto, coperta
ma anche terrore, spettro,
grido, pianto
dopodichè mescolarono le parole
oppure sono sfuggiti gli sguardi
qualcosa accadde,
non capii più nulla!

Andiamo, dimmi,
raccontami tutto quello
che stai passando ora
perchè sennò
quando la tua anima sta sola piange,
devi tirare tutto fuori,
come la primavera
nessuno vuole che dentro di te qualcosa muoia !
Parliamo guardandoci negli occhi
tirando fuori quel che si può,
e dentro nasceranno cose nuove!

Sono pane, sono pace, sono di più di colei che sta qui
non chiedo più di quello che vuoi dare oggi,
oggi dai, domani prendi,
come si fa con le margherita
come il mare, come la vita
la vita LA VITA!

Andiamo, dimmi,
raccontami tutto quello
che stai passando ora
perchè sennò
quando la tua anima sta sola piange,
devi tirare tutto fuori,
come la primavera
nessuno vuole che dentro di te qualcosa muoia !
Parliamo guardandoci negli occhi
tirando fuori quel che si può fuori,
e dentro nasceranno cose nuove! (Mercedes Sosa)

*

22 agosto

Ma chi sei tu
mistero di occhi e terra e oceano
che non mi lasci partire
che stanotte non mi lasci dormire?
Il sangue e il grito
Le lacrime trattenute
Il sapore amargo
La stretta di mano
Di una passione che – ritrovata nel fondo di un tempo che pareva perduto - non credevo
Di conoscere così bene …
Ho solo lasciato che entrasse
E adesso s’è presa tutto di me.
Così sia.