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Raccolta di poesie di Emanuela Lazzaro
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Rimembro (ad un giovane avvocato dagli occhi azzurri).

Rimembro ora gli occhi di cielo e cenere tuoi,

anelando l’attimo per scavare,

senza fine temere giammai di un desio

né ignorare se ancora esiste

la natia policromia di un mare

che solo scrutare sa uno sguardo cieco.

 

Eppure il mio fato pare già spento

giacché nelle parole, la vita nostra s’è persa.

Era ieri quando un’utopia danzava

e la mano lieve l’amore feriva,

così come una fiamma sul manto della sera,

scivoli nella grazia d’una breve carezza,

tu, amabile brivido tenue.

 

Ecco, oggi effimere orme io vedo:

poiché sempre fiorisce l’origine di un’anima

ove nulla dice la voce o la penna bianca,

pur se rapita al suo stanco inverno.

 

Suvvia più non fuggire,

poiché anche dalle pagine di un’età morta,

s’alza un’idea che al cuore sussurra

le sue eterne sirene al bivio, tra cielo e terra.

*

San Lorenzo.

Notte di sms, di voci e di stelle,

ritte come gemme in una volta silente.

“Vorrei essere lì con te, ora”.

 

Già, anelavo un solo attimo,

un bocciolo di loto spiegato al cuore,

carezzando il desiderio

di addormentare poi il corpo all’alba.

 

Ma l’uomo, offeso da sé stesso,

guarda il viandante chino accanto:

è un lupo, amico della luna.

 

Per amore o per paura spesso è in fuga,

pur in cerca d’una sola preda,

un uomo a volte non sa più cos’altro dare

né disegnare il buio con un dito.

*

Memoria

Ricordare e ritrovare…

Ciò che se ne è andato, rubato,

di immagini, voci, odori, sapori, tocchi,

mentre passa il vento lungo,

su e giù tra le strade, dentro le case.

 

Sopra sassi informi inciampa

la fede di chi non crede

e ferite sono già le ombre cieche

che parlano alle menti,

con un teatro di paura e menzogne.

 

È polvere prigioniera, forse, del buio:

mentre tornano alcune ore,

punendo il freddo d’ogni anniversario,

chi non ha più lacrime

solo la solitudine ha da combattere.

 

Poi resta ancora cenere nella memoria:

vedere un bimbo che lavora,

chino a trovare su un muro un nome da dire,

parole da scrivere con la neve,

per sapersi un po’ libero dal fuoco e dalle sirene.

*

Autunno a Trieste

La pioggia della sera un brivido porta

e davanti a me, una voce si ridesta

che l'Autunno con sé reca:

gocce si infrangono sui vetri orbi,

sono sparate da giochi

che il vento in un soffio ha ammaestrato.

Poi in fondo, nel nero di nubi,

lampi taglienti qua e là,

dei confini esplorano cielo e colline,

i bagliori di guerra oltre il Carso.

Sì ricordi? Era il sole a vestire la terra,

ieri l'afa tutto ancora appiccicava,

la mente e la voce alle ferie.

Bello era affondare

tra le forme del ceruleo manto invitto,

lì dove ora il mio cuore

piange la sua bieca illusione,

come un'ombra di candela disciolta.

*

Veleno amaro.

Dopo un acquazzone e lungo il meriggio,

corre veloce il vento

a dividere i nembi dalla luce.

 

È tempo forse di tornare,

la primavera sta alle porte delle case,

goccianti d’ombre sono le grondaie,

sull’erba tra i sassi,

un tintinnio tenue cade,

poiché il ghiaccio ha lasciato ormai la sera.

 

Gli attimi da portare con sé sono fragili,

per via, di ritorno dal lavoro,

d’amore sentire poi un usignolo

non è solo un anelito,

poiché scambiano i loro sentimenti,

gli uccelli mentre stringono le piume calde,

su rami di pini carichi di giorni.

 

Sono immagini che non so più vedere:

dove è il mio cuore?

In città, restano sudori e speranze,

spogli di strenui ricordi,

come dame che vestono sgraziate,

eppure se potessi sperare,

scostando un po’ l’età con la mia mano,

non basterebbe a stendere parole,

il bianco nel finire un foglio.

 

Gli occhi s’annebbiano,

nel gustare assai un amaro veleno.

(bruciata la pausa, bene si scrive e si mangia).

*

E così viene già un respiro gentile dall’Anima.

Mentre s'adombrano le nuvole d’indaco

ed in me si tacita il sonno,

la mano rea giace sola in attesa.

 

S’è chiusa un’inaridita notte,

restando a cercare con la mente prona

l’incanto d’una puerile parola,

per seminare tra i rumori un po’ di luce.

 

La quiete desta un desiò cieco

ma l’uomo ha idee che cadono a pioggia,

come danze di foglie tremule,

si spandono sotto una volta silente.

 

Eppure come tanti pezzi di un mosaico,

i ricordi miei tutti si legano,

quando pare ammantarsi di chiaro il giorno.

 

Coi lamenti di civetta giocando,

screziata di sole e d’ombre ecco m’appare:

alle amiche della luna Lei sorride

e con le sue dita si tende come una tessitrice,

prima di levarsi da terra, l'Aurora.

E così viene già un respiro gentile dall'Anima.

*

Come d’inverno

Il silenzio cade cieco nella notte
e per dodici tocchi trema l’orologio,
mentre odo in corridoio,
una cimice seccarsi sul marmo.


Fuori, pioggia e neve
pattinano un po’ sul davanzale,
in un duetto così breve,
i minuti sfuggono al buio siderale.


Distratte in Tv arrancano mute storie,
nel fumo di rumori e di idee confuse.
E così nel perdere il senno,
ormai per un soldo si ripetono
i film di rifugiati nel passato remoto.


Sì, è il freddo. Con veli alla moda
i giovani parlano tra uomini,
mentre il pio borghese conta le sue illusioni.


È un tempo indicativo ma imperfetto:
si cuoce in ipertensione
l'animale che fugge ridendo,
mentre l'umile si stende solo sul letto.
Come d’inverno, troppi sono avidi di luce.

*

Il cielo s’è spento

Ieri dalla terra, né un tremito né uno scherzo

levarsi pareva tra gli alberi più alti,

mentre il giorno seguitava il suo giro aperto,

crocchi di giovani ad un bar,

le donne a casa, a stirare o a pulire un po’ l’aia.

Oggi resta però il freddo,

è primavera ma cade giù il cielo,

nella pioggia il vento sfoga la sua natura

e all’uomo non resta più che la fuga,

quando colto dalla paura di finire nel vuoto,

ogni suo artificio sfugge a prigioni senza pietà.

Sono attimi per non dubitare,

per ferire la carne e l’orgoglio tra i crepacci,

nello zolfo il respiro pare perdersi in lame roventi.

Dopo che il cielo s’è spento,

dal silenzio sussurrano i sassi, sono pezzi rotti,

sono ossa di scheletri informi

che attendono d’essere colti da chi ancora resta.

Eppure quando giunge la sera,

ogni uomo è debole come un animale senza mani.

*

Scelte.

Rumori ed immagini, what app per dire 

ciò che a parole non puoi sentire nè celare:

il sole nel vento

che spazza ogni desiderio,

il freddo che punge una lacrima

e la rabbia di chi non è ancora sazio,

pregare prima di uccidere,

chi non ha una ragione

solo ha la libertà di vivere o di morire,

comunque libero è il piede

ma stanca è oramai la mano:

eppure se resti, sappi, che dovrai scegliere.

*

Il buio.

A volte il silenzio un po' rasserena:

insieme si aspetta così l'alba,

con le scarpe e in piedi,

a denti da tempo troppo stretti,

guardando nel vuoto

quando se ne va il pensiero,

alla luce di una candela

il cuore è gonfio d'amarezza.

Nulla s'ode da fuori, ma è la morte

che corre svelta sopra i cieli.

Il buio è intorno:

un bimbo piange, una mano lo stringe,

il buio fa più paura delle bombe.

.

*

A San Valentino sono tutti innamorati (tranne me).

Solitaria una notte nella via, un anno fa:

in cielo s’è posata una rosa,

rapita alla musica,

e-mail per dire forse, “fa male”,

ma spesso pure San Valentino ignora,

neppure in un buio, senza nome,

cadere può una lacrima da chi non vede.

 

Dalla Bora s’effonde già un mormorio

a tergere il golfo di Trieste,

in un nodo le parole si confondono

e nella mente arde il dubbio.

 

Spesso, vivere è un volo di giorni a perdersi:

nella policromia d’un suono,

alla voce resta un’eco dietro il silenzio.

Reo è lo scherzo del Fato!

Eppure se dalla nebbia non si trae che acqua,

per Amore un uomo venderebbe l’anima.

 

Così amare non vuol dire solo sorridere:

nell’alone di un grano di polvere,

giace già la parola,

di cenere e cielo si veste l’Uomo,

ad attendere chi non si ferma,

né una luce può dividere le sue ombre.

Tutti accecati, tutti, tranne me,

a San Valentino sono sempre innamorati.

*

Occhi color dell’anima.

Gli occhi tuoi sono tinti di mare,

nel cobalto siede il sorriso tuo

che danza in una plumbea giornata.

 

Sono occhi colmi di lievi colori,

per uno scherzo che non ha più luoghi

a cui il sole può un po’ tornare.

I tuoi occhi, pur mia sola luce

nel buio ancor pesante, sono amari,

poiché neppure una breve lacrima

ad una vile cieca può donarsi.

 

Sì, siamo come foglie nella pioggia,

seppure ripetiamo un'altra anima

nell'indifeso sentimento eterno.

*

La libertà dell’anima.

Tra sfioranti foglie che il tempo d’oro copre,

scivolano i giorni e cerulei sono

i pensieri della forestiera mia vita,

quando lo sguardo s’eleva

al Divino che l’Empireo governa,

del sogno d’una Chimera l’uomo si strugge

e non v’è già eco di voci

che il Fato conduca nel suo seno, alla deriva.

 

Soggiunge parca la sera

ed è pioggia di stelle sopra i tetti e nelle vie,

ove s’odono i sibili del vento

e le parole di chi ancora non dorme.

Eppure al solo apparire sole,

come due biglie senza alcuna direzione,

le idee giacciono sottili e confuse,

nel buio di un silenzio che non ha più nome.

 

Ma se dal biancheggiare di questa luna

che dal cuor mio a te si porta,

un tocco fosse a darmi la quiete di chi ozia,

come chi in cerca di tesori,

vede tra i grattacieli i grandi amori,

così le onde d’ogni mio pensiero

non morirebbero al solo lambire gli scogli

di un’utopia che spegne pure l’anima.

*

Al porto prima di partire

Siede già al porto un apolide senza meta,

estraneo alle sirene della sera.

Gusta l’ultima tazzina di caffe,

accanto tiene una sigaretta mozza,

prima di partire per un’altra stagione,

egli ad un ricordo s’ancora,

per una donna che mai più dimenticherà.

 

Come un viandante grato al sentir vivere,

non manca più di illudersi,

pur di seguire una breve stella,

è la stessa che lo condurrà,

nel tramestio danzante delle placide onde,

tra i molti pensieri che oscillano,

in attimi in cui basterebbe mollare l’ancora.

 

Orsù, giovane perché ancora indugi?

Non puoi fuggire i sentimenti,

come un ignavo che non s’offende

e mentre il fuoco dorme in un portacenere,

il respiro tuo si posa nell’ora che viene:

degli uomini sono le traversate

oltre l’orizzonte e verso fati inusuali.

 

(poiché siamo tutti come barche sospese sul mare).

 

*

Di vento e pioggia.

Primavera sopra i tetti, nelle forme della sera,

è il rosso che cade sulle ombre,

carezzando prati ed orti,

mentre tremano incredule le corone dei fiori.

Sono poche le verità

che scivolano in un manto di stelle,

in cerca delle risa dei merli e nel fruscio di foglie.

É tardi per ammansire l'ansia,

mentre giunge il veduto di quanto svelato,

più non basta la memoria,

quando s'attarda anche la sete di pioggia

e di vento restano solo lame,

a sferzare già il tempo che non lascia

neppure più un attimo per credere.

 

Di vento e pioggia sono i giorni sino a sera.

 

 

 

*

Sulla penna m’è rimasto un verso.

Curiosità di donna in un gioco:

"malinconico" il responso,

come non sono, ma l'ardire tuo

ancora m'ha preso al petto

e tanto tendo nel buio,

ad una sera ove era amore

e passione che carezza la favola,

poichè la mente mentire non può,

nè lo sa il cuore che manca, 

oltre i confini della legge,

un tocco all'anima per leggere parole.

 

Eppure mi muovo e non mi fermo,

per arte mi spendo in idee,

ma di te più non parlo, 

non mi arrabbio nè ti cerco,

se ti incontro non ti conosco

e così finchè vuoto il giorno mio sarà,

stanco di ombre colorate alla moda.

Ma ora sulla penna m'è rimasto un verso,

è il tempo già perso a scriverti.

 

*

Memorie....

Ricordare...

immagini, voci, odori, sapori,

mentre passa il vento lungo,

tra le strade, dentro le case,

sono ombre cieche

che parlano alla mente,

di un teatro di menzogne, 

sono scene che si bloccano

e tornano forse per delle ore,

punendo ogni anno,

chi non ha più lacrime,

ma la solitudine da combattere,

dopo tutto sono solo i ricordi

di chi ha lavorato per essere libero.

*

La storia di una Vita #poesiapoeti

Un bimbo inginocchiato davanti al fuoco,
resta un po’ in ascolto
della madre che legge piano al tavolo:
C’era una volta, no,
c’è ancora, la vita che cresce in una storia,
è la storia di un fuoco d’amore,
in cui l’amore unisce due vite:
a loro un dì, una voce diede la sua luce,
perché iniziasse la Storia scritta dall’uomo.

Il bimbo ora si è addormentato,
sul grembo della madre che l’ha cullato
con la storia della sua vita,
dove al tempo spesso ha sorriso,
con gli occhi, anche tra le difficoltà,
poiché l’amore è come il moto di un fiore,
nasce, prospera e poi muore
ma non s’arresta mai nel suo divenire,
prima di dare un nome a ciò che chiamano Dio.

*

Sfumature d’Autunno

Oltre la finestra ed oltre la prima freddezza,

Vedo il tramonto un po’ adornarsi,

tra le nuvole un flebile raggio di sole

a riscaldare sta il cielo all’imbrunire.

Come in un gioco di più colori

che con mani esperte il Divino lega,

le brevi gocce di pioggia danzano nell’aria,

tintinnano un po’ sull’erba,

di sporco assai si ingrossano

e s’ammassano infine scivolando a terra.

Si empiono i fossi nel silenzio,

si copre di foglie secche, gravide di nebbia,

il prato ancora più assetato,

nell’andare di attimi che fuggono il tempo,

avvizziscono i cappelli dei funghi,

perdendo spore che marciscono nell’acqua.

Muta è l’età che non muta:

mentre la sera bussa stanca alla mia porta,

tutto intorno a me si tace,

l’Autunno depone già le sue sfumature

e rotolando ancora tra la gente,

come un pittore, stende la sua mano sopra i giorni.

*

L’inverno tra i rami (a Treviso)

In silenzio pare trascinarsi stanca sui sassi,

è l'inconsolabile luna

che s’affaccia ogni sera nella cupola,

mentre con fugaci dardi,

il vento spia gli inquieti amanti,

nascosti come fantasmi,

essi fremono incessanti dietro un portone.

È l’inverno tra i rami

che fa dimenticare anche i nomi,

i pochi tra gli uomini celebrati nei portici.

Eppure non basta più il cervello

a sfamare ormai la fame,

chi vaga tra le ombre e non ha da bramare,

nulla perde se non la sua voce,

quando lascia andare le emozioni al freddo,

innanzi a Dei che siedono sul cemento.

Così è l’Italia tra i Paesi

che alza le sue mura pur nutrendosi di desideri,

per l’idea di una miseria debole,

sta sotto il calcagno il diritto al lavoro,

mentre briciole di pane alcuno distribuisce,

mostrandosi della strada amica,

per indurre le molte cicale,

a cercare in fondo al tunnel un po’ di luce.

*

Veleno

Molto ho preteso in quest’ultimi anni:

ho disegnato occhi tinti di mare

e sorrisi poco languidi,

punendo la sola mia arte di fingere.

Ho visto il sole cadere nel cielo,

scivolando in un meriggio nebbioso,

mai prima sono stato così cieco.

Sino a ieri sfiorivo nell’illusione aspra

di non essere più degno.

Oggi scrivo per tenere un giogo,

dolce o amaro come veleno,

l’amore è ciò che ogni uomo sa e lo anela,

ma solo chi lo vive ne può scrivere,

pur nel timore di non poter sempre capire.

*

I minuti che vivi.

È così vana la ricerca quanto inutile è lo sforzo,

nel volere piegare lo spirito al cuore,

poiché il sentimento è solo un’altra fermata,

anche per chi non sa capire

ma non rinuncia a salire le scale della propria vita.

In fondo, quello che l’uomo vede

altro non è che un po’ di pietà e conforto,

quando al giungere della sera si ferma il tempo.

D’un età aperta all’attesa è un sogno ricco di cenni.

Scrivi, dunque, giovane amico!

I minuti che vivi in ogni punto del cammino,

parlano ed in versi mutano la realtà di sensi desti,

per potere cogliere la natura

ed i brevi riflessi dell’essere ancora un po’ se stessi.

*

Sogno di metà Autunno.

Quando la nebbia cade densa a pioggia,

intorno mormora la natura:

è il silenzio delle foglie che già danzando,

si spandono secche a terra.

Nel gocciare dei rami spogli,

là dove anche i numeri paiono suoni,

s’effonde profumo di muschio antico,

tra chiazze verdi e sassi,

scivolano animali orbi nel fondo del bosco.

Ma nella mente che fonde i ricordi,

anche un fruscio pare un afflato dell’anima:

giacché il piede l’ombra segue

in qualsiasi punto di un cammino,

la musica si dà all’uomo,

per un sogno di metà Autunno,

tratto da spartiti sgualciti, prima mai suonati.

*

Europa

Seduta di bianco a cogliere fiori,

s’adagia una fanciulla

nel giardino che fu d’Europa.

Con un sorriso ella si tende

ad ogni mossa dello Scirocco,

carezzevole la guancia,

guarda lo stelo suo prigioniero,

un giovane già reciso,

ancora prima di sapere vivere.

Eppure raggrinzisce un fiore

chiuso in una mano,

se cade poi preda del buio,

solo così muore.

Nella luce tutto traspare:

strana è l’età e scivola in un attimo,

quando l’eterno divenire avanza

tra le ombre senza sosta,

come un magma al corpo già s’attacca,

ma con l’idea già vede,

peregrina la sua strada mai finire.

*

Lo sguardo del rumore del mare.

Non è facile cominciare il giorno,

offrendo nelle mani,

illusioni e ricordi

per ritrarre lo sguardo

di chi veste del mare, il rumore

nel candore dei raggi del sole.

Sono un po’ disegnati

i suoi occhi di cobalto

in un paziente sorriso danzante,

quasi un faro d’inverno,

per dirigere diversi passi incerti.

Sono occhi che evadono le parole,

mai seri, un po’ leggeri,

ma quando essi celano l’anima,

l’eguale sentimento indifeso

pare solo vivere,

ancora, di un unico attimo eterno.

Poiché più non sono ombre,

gli amanti che guardano

camminare il presente

alla finestra l’una dell’altro.

*

Il buio nella tempesta.

Le sei del pomeriggio e già tutto è buio,

ma è presto per uscire,

da dietro i monti spolverati dalla neve,

m'accorgo, sta per venire

ad arrestare i flebili raggi del sole,

una coltre di nubi nere,

nunziando infine una breve tempesta.

Attendo un po' alla scrivania,

mentre la pioggia investe i vetri già opachi,

ma a tradire l’ora ed ogni altra idea,

è un fuscello sferzato dal vento,

mentre un lieve solletico reca un dubbio,

confuso un po’ tra i sibili

che fischiano ad una miseria inumana.

Eppure è dato ad ogni persona

che vince le guerre nella luce propria,

di gareggiare in un'arena,

per la memoria di generazioni

che non temono un disegno senza colore,

per camminare sicuri,

anche tra i fantasmi che ululano nella bufera.

*

Non senso

Quando pare solo per abitudine

che i giorni scorrano,

come foglie secche che oscillano

senza una direzione,

torna ancora in superficie

il colore che del Vento dell’inverno,

fugge già la carezza,

quando l’età resta sola alla porta.

È il cobalto d’uno sprazzo tra le nuvole

o un sussurro che vibra tra le onde,

mentre il Faro un po’ irride

una pennellata di sole in laguna.

Eppure, non oso scordare

che ogni mio sguardo mai è sazio

d’ogni effimero attimo già perso,

perché nell’udire

la Bora scompaginare i pensieri,

non posso cedere

al muto avanzare della vita orba,

mentre ancora siedo immobile al Molo.

*

L’onda

Cieli ameni siedono sulle sabbie deserte:

v’è un silenzio attonito

tra le immondizie sulle strade,

s'appressa strisciando l'odore di fango e sangue.

Sale il giorno sopra le case,

dopo che l’onda s’è allungata folle.

Così all'angoscia l'uomo apre.

Mentre il sole abbaglia ancora le palme straziate,

si celano un po' sugli scogli

gli echi di poche ombre perdute.

Secca in spiaggia s'arresta la morte.

Ma le grida d’un vecchio tremano nel vento,

come coltelli che affondano,

pesano sui corpi anonimi.

Ieri in una conchiglia erano chiusi i ricordi

di due bimbi compiaciuti

nel ridere d’una vacanza desiderata,

mentre oggi giacciono i rottami

tra i miliardi d’una partita mai finita.

*

Il sonno della libertà.

Nel buio, difficile è trovare un’ispirazione

prima di cedere al silenzio,

mentre all’ombra opaca di una lampada,

lo sguardo si ferma assente;

ma forse è la mia mente

che pullula di così uggiosi anfratti

dove un po’ si perde inerme

anche la corsa a dileguarsi,

poiché neppure i sogni possono acquietare

la fatica muta di sopprimere la noia.

Eppure Morfeo già mi sussurra

che il sonno è la sola libertà nuda

a cui ogni uomo anela,

prima di svelare ogni debole paura,

solo mi resta negli occhi,

la nebbia che ancor piove sulla memoria

mentre la notte copre di pace,

le membra che s’adagiano un po’ spossate.

*

L’albero del fico.

Accanto l’orto, v’è un albero di fico

che s’erge forte e severo

e stende insieme le sue braccia,

rigogliose di foglie palmate,

per udire tutte le storie,

nate all’ombra d’una breve sera.

Come un solitario guerriero antico,

egli scruta un po’ il mondo,

dal cortile sino all’Espero

e tende all’età dura, senza più alcun timore

della tempesta che sfreccia

o della corteccia che si sgretola.

Coi suoi frutti zuccherosi

e l’ampio collo di legno,

egli dipinge l’Estate

del suo regno un po’ ammiccante.

Mentre tra i rami si posa

la rugiada del mattino che segue,

egli offre l'avvenire

d’un sapore pendente di viola,

per accogliere l’uomo

che sotto le sue fronde, le membra già nasconde.

*

Canto per la mia piccola parola sorridente.

Sotto le fronde di questi platani,

tra liete figure e note,

ecco, io sono un verso

che qui resterà, ovunque in Te,

come l’incanto d’ogni attimo

che riverbera un po’

dalle labbra dell'Aurora,

come una foglia bagnata dal sole,

mentre la Bora si accarezza,

inciampando tra fuochi nella nebbia.

Sul ghiaccio ora soffia l’anelito

di quel tenue sogno,

quando col cuore all’inferno,

più non bastava ricordare

l’eco di una voce

né dell’infinito, un fremito

per seminare nell’odio l’amore

e di pace, colmare ogni debito.

Suvvia, non tacere!

Poiché l’ombra di me morrà

se il cielo si confonde,

mentre si trascinano le anime,

cullando i fantasmi,

nell’oblio, d’un colore appassito

*

Il mestiere dei concorsi.

Gli occhi affogano un attimo nel vuoto,

poiché senza nome è il modulo

che conosce bene il candidato,

è un foglio fine su cui non può oziare

il breve passato lontano

di un giovane in cammino,

su e giù per lo stivale,

solo per giocare a croci e destino.

Ma cosa scrive un concorsista?

Difficile è pensare

che per un’assurda pazzia,

potrebbe accendersi un’idea

già per trovare la risposta,

lasciando andare l’aria sopra la testa.

Eppure non è così diverso

scordarsi il proprio risveglio,

nell’inferno infinito,

quando non basta più un minuto

per sperare di vincere accanto ad un nome,

la libertà di lavorare.

Perché di chi concorre è la vita

pari ad un viaggio dopo l’altro, senza capolinea,

ma è sempre sotto lo stesso cielo

che ognuno suda e cammina,

tentando ancora l’ennesima ultima fatica.

*

L’alba degli uomini

 

Ai primi chiari, i naviganti

s’affannano lunghi

a cavalcare un po’ i flutti,

fra le bettoline, si confondono nel golfo.

Mentre i gabbiani dal roco eco

fendono così il cielo,

un pescatore con la lenza in mano

siede lesto in silenzio,

alla roccia del Faro indugiando,

a legare attese per il giorno che viene.

Egli porge l’occhio al minuto,

la canna poi s’impenna

al breve guizzare d’un pesce.

Si fermano intanto i passanti

a mirare luci, nel mormorio delle onde

e si stringono insieme

quando gli spruzzi bagnano

gli sguardi disattenti,

mentre il sole s’alza a dissipare i sogni.

È finita l’alba degli uomini

che vivevano da soli quegli anni,

quando tra cielo e mare

non v’era alcun confine

né si spegneva più la voce

di chi con il suo lavoro,

pescava la fatica d’ogni giorno.

 

 

(Al porto di GENOVA)

*

I passi nel tempo

M’attrae un’idea

mentre ascolto una storia

dove il vento gioca col tempo

e la scienza appare

solitaria come un deserto.

Eppure, quando le ombre

un po’ s’allungano,

m’accorgo ancora che

l’unico pensiero

che s’alza fugace,

nell’uomo che stanco si siede,

è sapere di non essere solo,

né un atomo perso nel buio,

né un oscuro tassello

di quell’infinito mosaico

che si chiama storia della vita.

*

L’alba sul golfo di Trieste #poesiapoeti

Quando odo scivolare tra le onde

i sospiri del tempo

e gli informi giochi

di luce a cadere dal cielo,

io chiudo i miei occhi

e sono vacui di inverno,

gli infiniti istanti

carezzati dal gelido vento.

Sul golfo si posa un po' l'anima

e, infine oltre lo sguardo,

stende le sue dita cangianti

una candida pittrice

che il buio non strema.

Orsù, non muore più la mente

sol perché un’ombra si perde.

E tra i mille sussurri del mare,

fluttuano diversi colori

poiché si veste di quiete

un'emozione che più non offende.