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Raccolta di poesie di Maria Russo
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Il ghigno delle stelle

Il ghigno delle stelle.

Fascine pronte al rogo

accese alla luminaria

del mio dolore.

 

Splende il cielo

di troppa luce

che non mi è dato toccare.

 

Agli occhi

una ripetizione di finte ombre.

La voragine m’inghiotte

e nega  colori alle mie carni.

Sono cosi’ docile allo sguardo.

L’agnello sacrificato al tuo altare.

Dov’è,dov’è la terraferma

la pietra su cui poggiare il capo?

Su cui riposare?

 

L’insidia è un tuffo nel fango.

Dalle fauci del mondo

mi arriva un odore insopportabile.

*

Incauta

Il boia si presentò ai miei piedi.

Sentii stridori ineccepibili.

 

Incauta stringevo nodi di vento.

Mi sfamavo di polpa di nuvole.

 

Poi fu tardi per urlare,sai.

Preferii il silenzio a spezzarmi la voce.

 

Fiumi non riverso nel mare.

Ho negli occhi solo i detriti di una vita.

*

Stringo la pioggia

Non concede gocce il cielo.

 

Eppure sento l’acqua gonfiarsi,

brulicare nelle tegole.

 

E’ cosi’ che stringo la pioggia.

Nella siccità delle tue parole.

*

Peggiore dell’angoscia è l’assenza

Peggiore dell’angoscia è l’assenza.

Il pallore impreciso dell’emozione.

Il dolore è un indizio di gioia.

Il dolore è una pozza che aspetta la luce.

Ma il vuoto,la perdita del proprio sé,

l’immoto vagabondare dell’anima  

sono la vera morte.

Il cuore si ripiega su se stesso

come un feto addormentato

e il corpo diviene avulso al mondo

respirando il fiato di un grosso polmone

che è il silenzio.

Io l’ho conosciuto amica mia,

sai l’ho osservato

quel fresco venticello che è la vita

quando diviene un lercio calendario

senza tempo né date e

t’inchioda al muro.

 

*

Dimmi cosa dire

Dimmi cosa dire

se ignavo il sole non si alza più dal letto

e la luna zoppa va a dormire troppo presto

se le aquile volano in ginocchio e l’erba cresce

sui binari di una stazione ferma.

Cosa ancora dire

se l’autunno non ha foglie da gettarmi addosso

e i giardini riflettono l’oblio di fiori mai apparsi.

Carri di parole rotolano esausti

dai dirupi del quotidiano.

E tu guardi Signore. Tu taci.

E rimbomba la tua assenza nella bolgia dei miei giorni.

*

Canta una melodia nella mia carne

Canta una melodia nella mia carne

quando ascolto le antiche ferite ricordare l’arsura,

la mano chiusa, ricolma di perdono.

Apro del cuore le finestre e sento l’anima annodarsi

dipanandomi dai fili sdruciti dal tempo

e un frammento di mare trattenersi allo sguardo.

Torno a ieri quando camminavo

con alluci plumbei sui dorsi delle ombre

e il buio era una sagoma astrusa sui miei trascorsi,

un prato asciutto senza rigoglio di poesia.

Torno a ieri quando il dolore m’abbottonava all’amore

su filigrane rimate di solitudine.

*

Senza suono

Non cerco comprensione

né sillabari efficaci o

ampolle cariche di parole

traboccanti i moti dell’errore.

Come poter spiegare

quanto fuoco alita in una ferita?

Chiederesti tu al mare

quanto sale nell’acqua possiede?

Il silenzio è un campanile che suona

rintocchi inesprimibili.

Non ha voce la disperazione.

E’ appena un gorgoglio bianco

seduto ai margini degli occhi.

*

Biancospini alle mie spalle

Cammino lasciando ondeggiare

biancospini alle mie spalle.

Pensieri infilati in tasca

come lettere da nascondere al ricevente.

Inseguo la pace.

Per le mie gambe una lepre. Veloce.

Dove si nasconde? Perduta o accovacciata

a far l’amore col dissenso?

Tra una palpebra e l’altra

ampie, ombrose pupille s’affacciano al mondo.

Gocce d’ipocrisia piovono da cieli ruffiani

ma il mio cuore dorme e io sono sorda

al loro linguaggio analfabeta.

*

Nuvole

Mi chiedi se ho patito la fame.

S’arenavano le barche sulle acque saline

e nessun pescatore veniva di buonora

a riprendere i suoi remi.

Il sole era un orologio spento.

Le stelle sanguinavano luci mai accese.

La tramontana imputridiva sulla strada.

I sogni zoppicavano sui viali.

La maschera di carne e i sorrisi scordati

tra le pieghe delle braccia e delle mani.

La primavera sbarcava le sue rondini

sulle case ormai assuefatte all’inverno.

E tu mi chiedi se ho patito la fame.

Avevo fame Io. Si fame.

Ho munto latte di cielo

sul ventre torbido dei davanzali.

Due occhi neri, sgranati, consunti

e uno stomaco colmo di nuvole.

 

*

Respiro la notte

Respiro la notte.

Frammento d’alba nascosto

agli angoli del suo dolore.

 

Copro il mio corpo

Nudo al freddo del mio pensiero.

 

M' adagio nel mio cuore

dopo aver riposto altrove

il tremore delle mie scarpe.

 

Bacio tutti i lividi di ieri

All’ombra di ciò che sono

i domani sbiadiscono.

 

Costruisco un nido di rime

a cui nessun uccello approda

perché il volo è solo mio.

 

Annodo il pulsare dei miei desideri

ai fili incerti del destino

e scivolo in me

dove urla silenzio

una pagina bianca

sporca di mille parole.

*

Quando t’espandi eco

Qui, dove il mattino è neve sul respiro delle rose

l’erba accoglie il passo fermo delle pietre

e le pagine del tempo sono prigioni bianche

che rendono invisibili le lacrime di un poeta.

 

Senza te, il sole ha fiato troppo corto

e non lambisce le colline

Solo un freddo aspro nella sera

si erige dalla conca dei miei seni

in questo buio che è rovo allo sguardo

e il vuoto è crepa sulle mura della pelle.

 

Sapessi quanto è vivo il tremore delle foglie

quando t’espandi eco

tra i centimetri quadrati di quest’anima infinita.

Tu che sei nota, canto e voce

mentre la notte deglutisce il sogno

e sputa gli ultimi avanzi delle stelle.

 

Qui, dove la nebbia allunga il collo

tra le fronde sparse di una betulla

non c’è veliero che solchi le acque

solo un sordo grido di morte

ad osannare i sacramenti infranti dal mio ventre.

 

In quest’ora esangue

dove un profumo si fa sapore e corpo

sono culla nel silenzio delle mani.

Un frammento d’aurora che arde

in mezzo a mille montagne

in un vento che non ha più ali.

*

La sconosciuta

La finestra mi è nemica.

Divide l’alba dai miei passi.

Solo la notte abita la mia casa.
Una biro e un foglio di carta.
Uniche braccia a dare
corpo al mio cuore.
Piove là fuori.
I salici non hanno più occhi.
L’acqua è radice in fondo ai pozzi.

Chiede profondità l’anima
prima d’afferrare per il bavero la luce?

Le rose si sono addormentate dentro i diari
Hanno smarrito chissà dove la fragranza
e dai vasi un urlo di trionfo
Stendardi vitrei di solitudine.
Sulla parete bianca
la luce rossa tenta di disegnarmi
ma sono poco più che un’ombra.
Domani mi cercheranno ancora
ed io non ci sarò.

*

In riva ad un ricordo

Sono seduta

 in riva ad un ricordo

tra le pozze acquitrinose del pensiero.

Il sole sta sciogliendo i capelli alla notte,

allunga sul fiume le ombre

diffondendo riverberi stanchi

sul tronco raschiato di una betulla.

In ampi cerchi concentrici

s’espande liquido il canto della pioggia.

Cadono antiche fortezze

come sassi in fondo all’acqua.

 Nel cielo,un ramo di faggio sospeso

col petto scoperto si veste di vento.

Trema quanto il mio cuore.

*

Insieme

Laggiù,dove il mio sguardo

racconta al mare la solitudine del porto

dove i gabbiani sollevano garrendo

i veli della notte,ci sei ancora tu.

Insieme. Avevi detto.

E un filo d’alba s’annodava stretto ai polsi del petto.

Mi scioglievi nella bocca i turbamenti della primavera

tra squittii di rondini lungo i viali dell’impossibile.

L’amore ci stringeva la gola fino a farci soffocare.

Poi l’autunno e le sue lingue di fuoco

proiettate a gettarci tra le braccia  del silenzio

L’arrivo di refoli bruschi,sparpaglio di foglie e

gli inganni narrati dal vento.

Il grigiore avanzava  sopra il cuore

come una nube pronta ad uccidere le stelle.

Ottobre ha rami spogli adesso

e prati falciati dal pianto.

Dai vetri mi osservano luci di una città spenta.

Ridammi le tue mani!

Che possano sanguinare insieme

schiacciando il cranio al tormento.

*

Negano la quiete le mie parole

Se non sono diventata un grido

l’ultima goccia sul fondo di un bicchiere infranto

se non sono diventata una chimera

un singhiozzo legato allo strascico di una cometa

lo devo ad una ragione soltanto.

Tutto cedeva al dolore. Tutto.

I giunchi si piegavano sottili sotto la sferza del vento.

A capo chino solcavano la terra. Accoglievano

i fiori delle mie trasformazioni.

Negano la quiete le mie parole,non vedi?

Sono rami che  battono sovente le pozzanghere.

Per risvegliare la vita. Per uccidere la morte.

*

Percorsi

Il tempo delle gemme è vicino.

Il corpo dovrebbe essere fecondo

al cinguettio,al canto

eppure non riesco a detergermi

dalla cupa invadenza del nulla.

Guardo il mondo con occhi  di farfalla

Baco ed ali si susseguono sottovoce

in alternanza.

Il cielo è un lucernario fragile.

Un arcano latrare di stelle.

Io me ne sto adagiata tra le scapole della luna.

Solo l’ombra mi rivela della luce

il sentiero.