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Raccolta di poesie di Manuel Paolino
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Ercole

Esploratore di vertigini,
vergini esplosioni
infantili.
Scalinata profondissima,
fondo che nasce
nella memoria.
Ma sei in alto,
al sicuro,
con sul corpo verde
il sudore di un dio.
Gli scalini 
sono finiti.
Rimane qualche salita amichevole;
stringiamo i passi con la mano
se corre una lucertola!
Adesso che Giù è caduto,
sul mio avambraccio
scaverò la Fede.
 

*

Come Pausania

È perché amiamo Atena
che siamo entrati nel suo tempio eretto:
murateci pure,
abbandonateci senza un tetto
sopra le teste a proteggerci
dalle intemperie;
noi non vi temiamo, non abbiamo paura,
ora che non dobbiamo guardare le vostre
facce serie.

 

Ci nutriremo delle stelle, e i venti
ci porteranno ristoro;
le nostre belle carezze e i nostri occhi
ci basteranno per non soffrire alcuna
agonia, ma anzi per gioire tra l'oro
delle pareti più vere.

 

Nessuna danzatrice mancherà all'appello,
vesti trasparenti mostreranno seni perfetti
e sessi lisci; i giochi s'alterneranno le sere
senza sosta sempre diversi uno dall'altro.

 

Mentre voi insetti leggerete e rileggerete
le righe d'inchiostro, le etichette stralunate,
fino a consumarvi le pupille.

 

È perché amiamo Atena
che siamo entrati:
voi calate pure la scienza
nella vostra fredda emicrania.

 

Tanto io e lui siamo immortali,
come Pausania.

 

*

Soffio

Porte, teste e memorie, corridoi
Di analisi, fiammelle di vento,
Ceri accesi da un bambino,
Che guarda ogni arazzo,
Tutte le storie, gli occhi
Delle statue, meno i miei.

 

E Maria sorge e bacia
La preghiera notturna,
E il Signore solleva i letti
Degli addormentati dai nani
Del popolo dei nani.
Siete arrivate insieme, sciagure!

 

Ma dalla rete del pescatore ossuto
Soffio,
Soffiamo:
Bolle, bolle su!
Bolle, bolle giù!
Con quel dito indice che si allunga come Dio.

 

Con quelle pupille accese di presenza
Che non smettono di cercarmi.

 

*

L’elmo di Milziade

Se queste sbarre fossero
Sabbia di Maratona 
Potrei
Raccontarvi con maggior
Sapore quel che avvenne
Sulla costa 
Che ci mantenne liberi 
Abbracciata al nostro coraggio.
Niente di più umano
Ebbe mai luogo prima 
E non vi fu mano 
Divina ma si svolse
Tutto alle radici della meraviglia.

 

Se questa coscia 
Non mi dorrebbe
Potrei 
Narrarvi con maggior ebbrezza
Della forza di Callimaco
Delle doppie lance di carne
E ferro fatte 
Che non attesero
Le frecce con le ferme teste 
Ma corsero 
E corsero ancora!
Come il fulmine apparimmo
S'una linea pari in lunghezza.

 

Se soltanto una finestra
Mi regalasse dei respiri
Potrei 
Disegnarvi quei sorrisi
Ondosi fra le spume
E il sangue 
Che elargivano 
Quel manto vigoroso. 
Spremeva
I cittadini d'Atena protettrice
Come cane all'osso
Come Pan alla terra stretti
Alla libertà e ai propri sogni.

 

Se infine la cura
Arrivasse ora
Potrei 
Dirvi con un po' di sollievo
Di quel che dopo feci
Quando Paro vidi
Come minaccia 
E corda d'ambizione
Tesa ben più in là;
Ma ritornai sconfitto.
Il popolo ama solo la vittoria,
Non ama colui che perde
Né chi troppo vince!

 

Sento le nuvole su Milziade.
Cimone 
Deve avere offerto già
L'elmo di Maratona 
Al grande Zeus
La memoria eterna
Che stavolta io mi dono.
Soffre 
Il mio vecchio corpo ferito:
Se avessi un ultimo alito
Potrei
Parlarvi ancora
Di quella sabbia...

 

 

 

*

Con il mio amore con un amore in grembo

Εἰμὶ δ’ἐγὼ θεράπων μὲν Ἐνυαλίοιο ἄνακτος

καὶ Μουσέων ἐρατὸν δῶρον ἐπιστάμενος.

 

Finché non ti vedrò correre con un

ramoscello di mirto e un bel fiore di rosa

non ti chiederò di custodire il mio

Archilocheion.

 

Per te che nascerai.
 
Ho visto le montagne del Parnaso aprire

gli occhi dalle strane forme d'acqua e

galleggiare riempiendo valli strette tra

l'oro scuro; ho sentito lo sbattere bruno

lucente echeggiare dal passato fra quei

colossi; e il sangue d'una capra ricoprire

l'aria di una piccola tenuta poi, le vesti

d'una donna vibrare s'una collina intera.
 
Mille sogni che si mischiano insieme

come in un boccale di Nestore, fulminei

compaiono nel mio animo quando in un

lembo libero di spiaggia calpesto pietre

antiche, sopra le quali tra i flutti, vivono

ancora le memorie di tutti gli eroi, degli

opliti, e le gocce - di sudore e lacrime -

dei rematori e delle donne d'Atene.

 

Baie racchiuse in un cratere di vento,

che si presenta al corpo senza nessun

permesso; costante lui non cede, né

infastidisce la sua spinta ch'appare

sempre una carezza e mai uno schiaffo;

eppure accende tra le sue vene correndo

privo d'incertezza la melodia delle glorie,

e dei suoi giochi, comandati dagli dei.
 
Sono passato per le strade di Atene con

nascosto il viso dal mio elmo, stretto alla

mano del mio amore con un amore in

grembo tra il mercato dove l'oro diviene

aria fino al copricapo roccioso di Ares

sotto il tempio, dove per due volte sono

morto e poi rinato; dove nel tuo Caos il

sole e la polvere sono arrivate insieme.

 

(Manuel Paolino, Con il mio amore con un amore in grembo, L'idromele Parte Seconda, Nuove Poesie - Mortali e dei)

 

 

 

*

Canzone del rogo di neve

Come sarà la lontananza

Calda fredda

Un rogo di menzogne innevate

Raggi verdi di fiamme

Che con le manine chiudono l’alito

Fumoso in un’alcova tiepida di sudore

Le cui gocce nascenti incubano il salto

Della brina e della notte

Che scalda se non si è soli

L’autunno osserva l’ultima foglia

Piangere due sorelle cadenti

Come vele sull’omega della brezza.

 

Come sarà la lontananza

Fredda calda

Non sarà quella che ci assale ora

Per la nuvola di fuoco sui fornelli

Di una casa rovente che s’è spenta

Anche se dal sole la neve cade

Come martello che incide i secondi

Delle menti di memori diamanti

Di amanti e vaporose allodole

Ogni faccia una danza nuova

Dal campanaro collinare

Ritmata sulla testa sveglia dei brusii.

 

Come sarà la lontananza

Fredda

Un cuscino senza sapore

Blocco delle azioni ridotte al silenzio

Dalla Signora Assenza un pensiero rivolto

Al cuore del drago nostalgico

Quando due facce identiche s’incontrano

Nel centro della testa e mutano

Le pupille in rocce di camaleonte

Dai cancelli delle battaglie morte

Libera il branco la domatrice bruna

Fra le steppe calde della rinascita.

 

Come sarà la lontananza

Calda

Ardente riso tra i denti ossicini di sorrisi

Pendoli danzanti tra la saggezza

Luce di medusa cosparge la candela 

Ispezione dell’anima sale dal cielo

Alla terra insieme alle accese braccia

Battiti di pettini che crebbero

Sotto il lungo panno candido

Nella penombra la fiamma compie

Movimenti oscuri perfino agli dei

Che si spingono ma non vedono.

 

Come sarà la lontananza

Tesoro e maledizione

Col mio nome tutt’uno

Grazia e benedizione

Ditele condanna.

 

E io sarò Nessuno.

 

 

 

*

Aguardiente - Ritratti caraibici

NIÑA DE FUEGO

 

Niña de fuego! Niña de fuego!

Lascia nel cielo scia di fiamma;

cammina veloce Niña de fuego

la frena il palmo del caro fratello;

vola Niña de fuego nel nido di mamma:

come un uccello!

 

 

IL SIGNOR L

 

Le nuvole indorano il crespo,

ogni sorta di diamante ruota

fra le sue dita;

in piedi il Signor L guarda tutti

più elegante della luna.

 

Sbatte le ali ma non vola,

nei capelli banchettano i pidocchi!

Il Signor L si dipinge da una sedia:

apre le penne nel circo dell’aria,

denuda il vento con le sue ciglia.

 

 

MINISTRO

 

Ministro aggiusta una macchina,

lascia un’altra accesa.

 

La camicia a quadri blu pulita,

profuma di sapone cotto sotto la tiepida

brace di febbraio. Aspetta le api.

 

Ministro aggiusta una macchina,

lascia un’altra accesa.

 

Si sveglia col mare come un’onda canuta,

amichevole conduce i suoi passeggeri.

Si stendono le chiavi sulla sera.

 

Ministro aggiusta una macchina,

lascia un’altra accesa.

 

A casa l’attende

la radice nuda d’una rosa assetata,

con quindici petali.

 

Ministro aggiusta una macchina,

lascia un’altra accesa.

 

 

GREGORY

 

Gregory era un albero.

Contava le ore:

punto nero nel giorno,

pupilla della notte.

 

Gregory vende empanadas.

Conta le banconote:

punto nero nel giorno,

pupilla della notte.

 

 

ABUELO

 

Camicia ocra con finissime righe bianche,

il corpo interamente sudato, magro

come un duro ramo sotto il sole,

ottantadue anni:

Abuelo arriva da lontano.

Vive in campagna,

la sua casa cade in pezzi.

 

Un tempo portava sempre con sé una cassa

di melanzane, manghi e pomodori;

ora non più: aspettava per ore 

il povero vecchio prima che io gli aprissi!

Tornerà anche domani, non per l’acqua,

il caffè o un sorriso, 

ma per pochi pesos.

 

 

EMILIO

 

Emilio viveva in un buco;

pregava.

Vi mise un letto, poi una donna,

infine un bambino.

 

Emilio lavò il suo abito elegante

e la camicia bianca da cristiano,

in un pomeriggio di silenzio

e speranze:

un pomeriggio di abbandoni

e scarpe nuove.

 

 

È DIETRO L’ILLUSIONE CHE A VOLTE SI NASCONDE LA BELLEZZA

 

È dietro l’illusione che a volte

si nasconde la Bellezza.

Non chiedono permesso

le tue lacrime;

non chiede permesso la felicità.

 

Monumento di cristallo, lineamenti

di riflessi, davanti l’illusione;

è dietro che noi stiamo, mia cara,

te lo dico ancora:

– Non chiedere permesso!

 

 

LA DOMENICA

 

La domenica s’immola ai baci;

sola, taci, aspetti il tuo amato.

Promesse domenicali, carezze d’arena

sott’acqua; scivolano certezze

fra il suo siero:

con quel bacio su tre gambe

ed una, in mezzo agli occhi.

 

 

LA LOMA

 

Accendono e spengono i motori

nella stretta salita,

le amiche camminano in coppia

con i volti sorridenti;

tutti vendono, comprano;

salgono e scendono dai marciapiedi,

dalle scale, i bambini scalzi;

la musica esce dai colmado,

più il sole si spegne più forti

si fanno i richiami, le chiacchiere,

il vociare: la sera apre i polmoni

del barrio della Loma.

 

Una piccola finestra

al terzo piano con una luce:

le fessure semiaperte

s’un letto rosa da principessa.

Lei è raccolta sulle ceneri del giorno

sotto la coperta ocra

nella bocca dell’amato. E conducono

le dita

gli occhi d’antilope

in uno stagno d’acqua lucente.

La sera nasconde gli amanti

del barrio della Loma.

 

 

YLANTAFORA

 

Atlanda ylia mata

Lettinia ynanda adnály

Ylantafora nata lea

Mátara atla ylanda. 

 

 

ISOLA

 

Vorrei addormentarmi un giorno

e svegliarmi all’atterraggio

poi, addormentarmi un giorno

e svegliarmi all’atterraggio,

e ancora, addormentarmi un giorno

e svegliarmi all’atterraggio.

 

Vorrei che il tempo impazzisse:

per poterti vivere, rivivere,

e vivere di nuovo,

isola mia.

 

 

 

*

È dietro l’illusione che a volte si nasconde la Bellezza

È dietro l'illusione che a volte

si nasconde la Bellezza.
Non chiedono permesso 
le tue lacrime;
non chiede permesso la felicità.
 
Monumento di cristallo, lineamenti
di riflessi, davanti l'illusione;
è dietro che noi stiamo, mia cara,
te lo dico ancora:
- Non chiedere permesso!
 
 
 

*

La melodia del corvo

Flagellata col vento dalla gioia;
noia veli il volto col fianco dell'odore 
nero, giunge fiero il solco del candore 
feroce in armatura.
 
Cela il mio braccio ch'apre l'ombra;
gesto di fulmine, abbaglio
vince ancora il lampo ammiccante
dell'incappucciata falce;
 
scura piuma dipinta che cola in piume, 
corvo sbircia da uno spiraglio.
Era sveglia del corvo, nel corpo melodia 
per chi non dorme mai, finché non muore.
 
 

*

Un solo verso

Gocce in rotta nel grembo

Quel che resta del sangue

Cala il sole i rossi ultimi ricci.

S’ode un verso, sempre lo stesso.

Si impigliano nella notte.

 

Lucciole, fuochi fatui, astri, la luna

Dietro ad un faro si toglie il kimono

Nero: navigano in un mare

Al rovescio; sotto le corde di spume

Risuona la torre dei sette colori.

 

Rugiada infuocata sui morti

Che si risvegliano.

Terra sui poeti tra i grandi seni.

Non dormono ma ascoltano

Un verso, sempre lo stesso.

 

 

 

*

La sera

Polverosa cresta collinare

sugli inguini giallo-azzurrini in fila

a cavallo del liquido umido

balenare che rinasce d’autunno;

sentieri di labbra carnose

come moltitudine di righe

s’un palmo; tempia che pulsa;

bastone calmo nella mano stretto

dentro terra boscosa; cannocchiale

sopra un’ombra di tomba: vita

su una marcia fischiante

come crepuscolo di nave.

 

 

 

*

Thàlassa!

Scaglia su scaglia il poeta

i capelli aggiusta;

il crepitio nel mare, il riaffiorare

di bronzo luccicante

dopo il profondo immane;

con un tonfo muore e da un dito

al fianco della piramide montuosa

si proietta, eroe del fosso al bordo

svetta dall’elmo il suo grido:

e muore ancora dal mantello

rosso avvolto.

 

 

 

*

Canzone del fiume e dei semi d’arancia

Stavo sulla riva col vecchio,

tra me e me un pesce morto

a pancia in su con una rotonda

capriola di luna spinse la corrente

con la coda fino a tuffare le ali

da una palpebra all’altra del chiarore

di vino rosso al fondo nero

dei nostri occhi in fila:

 

i miei e quelli di Mieses che come

i suoi versi pareva dipinto con tinta

di stelle, d’alghe, di una pena bianca

che lassù nel cielo non era la luna;

 

sputavamo semi d’arancia nel fiume,

il suo sorriso era dolce

come quello dell’arcangelo bambina

che voleva essere sirena salata

e non si mangiava le unghie.

 

Quanto ho amato la cristalleria

sorta da quelle labbra di raggi

doloranti!

 

Sputavamo parole rotonde

nell’acqua del fiume:

 

– mi insegnavi a costruire

la statua di me stesso sul tempo.

 

 

 

*

Gnosi

Mentre fuori ricompaiono cari amici,

dentro mi soffermo s’una riflessione:

 

I caso (citando B).

Il numero delle anime è finito o infinito?

 

II caso (citando B).

Cos’è la caduta?

Se è l’unità divenuta dualità,

allora è Dio che è caduto.

In altri termini, la creazione

non potrebbe essere la caduta di Dio?

 

Dunque quegli eccessi intimi di tenebra

In cui confessiamo al nostro orecchio

D’essere Dio, e subito rei con vergogna

Abbassiamo il volume del pensiero chiedendo

Scusa col silenzio prima del pacifico sonno,

Non sono fatui inganni del nostro ego

Ma hanno consistenza buona se – tutti –

Siamo parte d’un grande corpo caduto in pezzi;

Quindi una de-creazione dove ogni relazione

Duale ci avvicina

 

Passo a passo al Dio unico.  

 

 

 

*

L’Agosto di Lorca

Dentro la sera,

la notte, va il sole;

cosa vi è di più esposto

di un frutto?

 

Non contiene esso

il nocciolo?

Il nocciolo è il sole.

 

Essi ci attendono

fra la fine,

ma di cosa?

 

La notte è fatta vedo,

per il piacere;

di qualunque sfumatura.

 

I bambini mangiano

pane scuro e luna buona.

 

 

 

*

La coperta

Sono partito da Altrove,

ho attraversato mari e crepuscoli,

disseppellito luoghi, sulle tombe,

mi sono presentato ai Poeti;

 

ho rubato i colori mentre

mi ornavano con nero fumo

il cuore per dipingere la tela.

 

Loro sono la coperta, quando

si fa notte: si spegne tutto,

s’accendono dolce Tenebra

ed i pensieri d’incenso vicino

 

al respiro caldo come brace,

ai naturali sbuffi simili a colline

d’oro, al paradiso liscio dell’amata.

 

S’accende la spuma rosa dei sogni:

sottoterra un rumore di ferri,

l’io verde-cavolo e l’inconscio blu

duellano. Tra i fili d’erba, sotto

 

i cappelli rosei della primavera,

conosco e poi sono il Trismegisto.

E Tenebra si scopre dai lunari sogni.

 

 

 

*

Il ballo del lupo e del corvo

Paladini, capitans, trapassati! Messi sulla forca nera

Ballano e danzano i burattini,

Araldi di una fiera:

Con furia Belzebù gratta i suoi violini!

 

Dalle foreste viola delle Ardenne un lupo

S’era fermato ad osservare un fenomeno strano

Ed improvviso, quando un uccel che pareva nero muschio

Celere gli si pose di fronte al muso.

 

Lupo,

Disse il corvo, vedi il ciel mutar

All’orizzonte e questo vento in un rosso infernal?

È la festa degli impiccati, il macabro ballo dei moncherini!

 

Voglio veder le piroette. Corri, vieni con me!

E ascoltar l’orchestra

Da sopra le armature dei smunti saladini!

 

Attento corvo,

Il mio affetto per la tua curiosità è profondo,  

Ma tu sai che non amo mischiar i miei passi,

E la mia pelliccia, con quell’accozzar torvo...

 

Anche tu dovresti farlo, piuma notturna!

Meglio è verso Selene voltar,

E tener lontan il capo della ciurma!

 

Il corvo non pensò più un momento,

Così si pose – come un pennacchio – s’una bianca testa;

E non esitò a strappar un fior

Dal mento del fantoccio.

 

Evviva! Il vento fischia al gran ballo degli scheletri!

E la forca mugghia come un organo di ferro:

Bagnato dal fiume,

Col suo verso lungo il lupo gli risponde.

 

Paladini, capitans, trapassati! Messi sulla forca nera

Ballano e danzano i burattini,

Araldi di una fiera:

Con furia Belzebù gratta i suoi violini!

 

 

 

*

Effigie saffica

Je suis pareil à la grande Sappho?

 

Che decora il sole,

Sette volte ho dovuto contar l’anello,

Prima di scoprire che in quei giorni

Correva in fondo attraverso le mie carni,

Un particolare coltello.

Sul manico un’effigie,

Di una bocca tra due seni

Bruni, grandi e saffici!

 

Un chiaro di luna intriso del mio sangue;

Una valle dove lungo il sentiero umido

Delle tue labbra esclusive,

Sotto la lussuriosa gonna

Le segrete lettere del tuo piacere,

Erano incise:

Non è l’uomo,

È la donna!

 

 

 

*

Il Campo di Martin

Fianco a fianco

appoggiati a un balcone parlavamo,

di tanto in tanto lo guardavo;

guardavo la sua bocca pallida muoversi,

i segni del viso negli angoli,

e ascoltavo la sorpresa di un affetto

segnalarmi quanti pochi centimetri siano sufficienti

per toccare le maree del cuore.

 

Ma allora non eri morto

affermai;

No.

Mi ero perso.

 

Alzai lo sguardo dove il suo braccio m’indicava

un alto campo dorato.

 

È lì?

Sì.

Mi ero perso

in un campo di grano.

(Con le spine

mi sussurrò una voce). 

 

 

 

*

La compagnia dell’Ovest

Al calar della sera appoggiato al muretto sull’oceano

della scogliera:

 

Leunam

Beno! Vieni qui!

 

Beno

Arrivo!

 

Onde marine spingono gli speroni sui fianchi ariosi. Passa Nairobi,

si ferma:

 

Nairobi

Beno!

 

Beno

Arrivo!

 

Finalmente, arriva Beno:

 

Leunam

Beno, e Iota?

 

Beno

Ancora sottoterra.

 

Leunam

Meglio...

 

Una spuma di risate sfrigola con l’olio del mare.

Si vede Ciulo, con un paggio, in lontananza:

 

Beno

Ciulo!

 

Ciulo

Arrivo!

 

Una nave immobile disegna gli occhi di un albatros.

 

 

 

 

*

Il giorno in cui il Tempo distrusse i sepolcri

IL MATTINO E IL MEZZOGIORNO

 

Non vi è nulla miei cari

nulla

inutil che aguzzate gli occhi

qui nel mio tempo non trovarete più

la roba o il nido né la donna angelicata o tutta carne

né il mal di vivere o la divina indifferenza

né provvidenza

né grazia né ironia.

 

Nulla ha più ragion d’esser

se non il sibil del vento

nell’aria di sabbia i minuti sentieri

delle cose animate il silenzio

che piccole pur e incredule

dove la natura divampa cadono

solitarie nei meriggi soli

senza più dell’uomo la presenza.

 

Lì dove la terra fu regina 

or s’accende il mar

dove le grandi montagne s’innalzavano

le roccie son basse tavole di neve

le case del capitalismo

son dei pesci a livelli rifugi

negli hotel le sirene 

v’accolgon se bramate in letti d’alghe.

 

I lupi non gridan più

alla luna

perchè il ciel la piange

nascosta ella è alla terra

dall’ignoto mal che m’accompagna

stavolta per cui nessun di così tanta tempra

fu d’arrestar il passo

lavorar e alzar la schiena.

 

Io sono il Tempo

il mio male è passar e lasciar che tutto vada

sotto gli occhi che sorvolan fermi

e non mi resta che guardar e sostener anche l’ellissi

nei miei sonni come nel mezzo emistichi

il mio moto è eterno

come infinita è l’ignoranza  

nel confessarvi da dov’io provengo.

 

Nel mio mal dantesco

non invecchio

mentre tutt’intorno muore

e nasce

anche se in quest’eremo purtroppo

da troppo non vi è luce 

ed io vivo ancor soltanto

di voi animato dal ricordo.

 

Ma v’è un bene inconfondibile

penetrante e grande il qual dà gioia

nella guerra sacra celeste e nera

il mal sconfitto giage esploso

morto solo

poichè il ben già da tanto

inciampò con indietro un passo

e la testa china.

 

 

IL VESPRO E LA NOTTE

 

Io sono il Tempo e sorvolo

il mal ch’ignora il male suo

perchè se il ben perisce mai il mal 

arriverà per primo

sono il Tempo e sento la colpa lontana

per la cual dannato fui da Foscolo

che la mia intenzion predisse

senza pensar al peso del mio viaggio.

 

Sopra l’Italia mi trovo adesso

nel cammin dell'arte

vicin il poeta di poc’anzi il qual lui disse

che non è immortal la pietra

né l’uomo in mia senil presenza 

eppur i versi di codesto

alla memoria dell’assorto udito mio

son un eterno melodiare.

 

Ricordo allor con essi

le geste degli eroi

il tremar dei sentimenti

le morti tragiche e i contrasti

la fantasia e la moral

gli endecasillabi e sonetti

i canzonieri di una vita

lo sperimentar e la purezza.

 

Or accanto v’è il Parini

il qual come me divise il giorno

andava con al lato un giovin nobil

a insegnar i modi

agonici dal risveglio all’ultim sguardo

come il poeta

a braccetto si portava

il suo sorriso.

 

Certo è che dei sepolcri

rimane poco

arena in cumuli e sartuarie pietre

una lettera o una data

qualche fior o in ciel lontan ondine

ed io spettator che tutto distrugge

non mi resta che sedermi

e pensar al mio destino.

 

Ecco qualcosa accade:

 

il flusso sale e non dà pace

e il penetrar della tormenta

come clessidra nella pelle

dalle direzioni tutte viene

dai sepolcri sparsi dei poeti

di qua e di là nei pezzettini

dov’io vidi del mondo intero

consumar nei passi le pietre armate.

 

...non so quanto

di me poi trascorse

ma vi dico quel che ora

infine vedo

il sole brilla eterno

sopra due ombre

poichè la terza ancor nel ventre

il sonno dorme d’un poeta.