I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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.13 odi per Lei.
(Dall'ebook "Un pezzo di me per dire noi") I Sarà l’infrangere del moto continuo. Niente più alba e la sua divinazione. La luna ha solo destreggiato il sogno di riscatto promesso. Ho lasciato un po’ della mia ombra nei tuoi capelli nudi. II Sarei dovuto nascere mare; sentire il tuo richiamo. Andare, ricoprendo il mondo – andandoti incontro. Senza via di fuga. III Nel tradimento del corpo rovinato, unguento il tuo vivere. Dappertutto vita che strattona. Cosa sei per me e gl’alberi per noi? IV È stata la pioggia. Ieri il freddo, oggi pozzanghere nelle quali assenza. Bastardo sguardo pesca ricordi. Io l’esca. Io il pesce. Io mi mangio. V Nel tuo inverno, presso di esso, la deriva del ghiaccio; tutto ciò che posseggo. Soffermati: in nessuna bufera si esibisce l’eternità. Strozzami il corpo. Stringimi. Carezze da rondine. VI Sono cicatrici i passi tra gli oggetti che non dimenticano. I tuoi piedi calpestano. Voglio comunque provarci. Per sotterrare. Dirtelo ancora – rosso minerale generalizzato. Apprendere il volo – le rose: piccoli canti monocolore. Sconvolto. Dirtelo ancora. Grido. VII Non ho retorica: ho grandi capacità tecniche. (Costruisco un campo sulla tua pelle. Costruisco un’orchestra nell’intreccio delle nostre lingue. Sospiro.) Scoprirti ossigeno ogni volta che arranco. VIII Forse perdiamo troppo tempo nei nostri perché. Annaffiamo i contorni di rovi e deserto. Siamo fermi. Nel nostro recinto. Soli. E ti cerco. IX Se la notte mi sazia di sogni, il giorno pulisce ogni speranza. Cosa pervade oltre? Sale apnea dal cuore, sinapsi cieche. Intraprendo errori nel timore del comando. Come un’idiota rigo il tempo. Avanza, avanza, avanza. Ci sarà, da qualche parte, un linguaggio che spazzerà l’ingegneria dell’abbandono? Cercando di sconfiggerlo, cercando d’acchiappare il vento, stai lì a miscelare i colori del mondo. Vengo lì a colorare un po’ anch’io. Riusciremo, senza rimpianti? X Dovrei svegliarmi, perso nella tua nebbia, così sempre, barricato nel tuo aprirti sole, ad un medesimo punto a punto, ogni momento, modellare l’aurora, leggendo l’ultimo libro di Séamus Heaney, trovando ancora altro spazio per contare stelle e matite e grandezze, the skin peel drawing down like silk at a practised touch, la natura dei tuoi occhi che sbocciano. XI Al di là di ogni comparsa, c’è un distacco che non posso coprire; c’è un distacco che non puoi coprire. Ma c’è un treno che percorre le arterie: sali tu ad ogni ripida fermata. XII Guardarti persa, lacrime dentro, un fiume che s’arrampica. Nascere vita, fuggire dalla ferita. Guardami: ricompormi e aspettare l’incendio. XIII Così placido Plutone. Così ancestrale il suono. Ora silenzio nelle nostre membra cellulari. Arriva un vento triste a scoprire il buio nascente. Solo Cristo può permettersi di rinascere.
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.Quattordici eterno.
(Dal libro "Nelle trasparenze caotiche di nuvola perpetua") Girerò il mondo quattordici volte e dirò a quattordici stelle il tuo nome e quattordici volte dirò ti amo ad ogni metro che percorrerò per raggiungere la meta. Quattordici è il giorno nel quale sei sbocciata. La terra ti ha donato il suo grembo, il cielo ti ha battezzato, i crespi torrenti ti hanno cresciuta, ed ora io ti colgo, ti rubo, ti pianto nel mio povero giardino e sei così rossa, così bella, da non poter più fare a meno di accarezzare i tuoi petali e solleticare il tuo gambo. Ma devo ancora partire e il tuo profumo sarà la mia guida. E al ritorno mangeremo lo stesso pane, berremo dallo stesso bicchiere e ammazzeremo il tempo giocando nudi, coprendoci di orgasmi e carezze, sconfinando i suoi limiti, unendo il dì alla sera come i nostri corpi incollati, incastrati. Ci seppelliremo così. Ci faremo seppellire così, nudi, ricoperti d'orgasmo, incastrati. Così ci addormenteremo; stesi nelle città del tempo, nei meandri delle colonne di Babele, sulle coste di Itaca e su quattordici stelle, dove avremo lo spazio di non dividerci mai. Anche la morte ci avrà uniti e vivi.
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.Mama.
(Dal libro "Nelle trasparenze caotiche di nuvola perpetua") Non andrò oltre l'orizzonte a chiamare il sole per il mio ritorno e non andrò verso le stelle a incidere nuovi sogni, scenderò quieto dalla punta più alta dell'Aspromonte e quieto resterò ad osservarti Mamma. Resterò ad osservare casa mia che si suicida nel cemento o che si ciba di mundizza, menzogne, apatia e melograni, melograni spappolati e carti, briscula e trissetti, scupa, e more con fiori di ginestra calpestati da verdi rovi e vicoli e strade ricoperti da gambi di gelsomino mozzati alla testa che sanguinano, sanguinano su coste e valli, abbracciando fiumare che corrono corrono sotto piedi che pigiano pigiano uva acerba che dorme nelle gole di uomini che hanno sonno. (Cadono sul letto come piume dal cielo, ma sono serpenti allegri nell'ombra di un bar) Calabrisella mia facimmu amuri mò, ora che in notte danza Mamma con gli strilli dei cummari, il secco pestare di una zappa, il belare d'una capra e il ronzio di mosche e il colpo di lupara inferto su d'un infedele. Calabrisella mia, cadono sul letto come piume dal cielo. Calabrisella, non devo andare a cena da nessuno per vedere un pezzo di pane accoltellato. Casa mia; gambi di gelsomino mozzati. (Tu moriri mi fà) Danza Mamma Oilì, Oilà
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.1948 forever.
(Dal libro "Imàgenes Trasmundo") Ci avevano detto di poter giocare con le pistole e le pietre. Ci avevano detto di correre lungo il confine, a ridosso del muro. Ogni giorno ci sono figli che saltano in aria e qualche voce di donna che, dall’altra parte, chiama i loro nomi. A quant’è la partita? Quanto manca che la falce recida l’ultima spiga? Chi, dopo, dormirà facendo sogni tranquilli? Evita di porti domande: la notte è calata, i lupi sono in agguato e l’esile cavallo è solo. Qualcuno ci penserà. Ma se altrove i bambini rientrano a casa, il televisore è acceso, il cibo ben disposto sulla tavola, come può mai passar per la testa che la notte è calata, i lupi sono in agguato e l’esile cavallo è solo?
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.La ballata di Michelle.
(Dal libro "Imàgenes Trasmundo") Verrà il giorno che quell’uomo si alzerà, ben vestito, col fallo mozzato; aprendo le tende di biancospino, ascoltando gli abeti bruciare; annusando l’amaro odore di sangue che percorre le strade stellate dell’universo, mentre le tarme divorano i suoi capelli, mentre i rospi sputano sui suoi occhi; quell’uomo si alzerà – ben vestito, col fallo mozzato – e urlerà: <<Basta!>> e sarà il giorno che il liuto sul ventre della cavalla si apra come un melograno maturo e divori se stesso, che il colombre argentato azzanni l’orizzonte per scardinare le sette porte e lasciare che la loro voce si innalzi a baciare le alture di Machu Picchu, che il vulcano, figlio della collera d’Eva, riprenda a piangere sulla meridiana del Tropico del Cancro, e che l’incompleto azioni il rubinetto antartico cosicché il monsone CO2 sciolga l’emerso defluendo nell’urna notturna del cosmo, vagando sul coccodè del primo giorno. Rimarrà ciò che si dice che in principio fu: il niente. Lo sappiamo Michelle: bravi ad evitare le buche, molto meno nel coprirle. Lo sapevano i treni a vapore nello Yucatan. Lo sapevano i bambini nelle fabbriche di Londra. Lo sapevano gli scoiattoli intorno a Chernobyl. Lo sa l’ecosistema amazzonico distrutto dalla soia cinese e lo sanno a Linfen e a Mailuu-Suu col cancro e l’arcobaleno color piombo patinato. Lo sapevamo a Tokyo, lo sapevamo a Copenaghen; lo sappiamo perché ci conviviamo. Punto. Nessun assolto. Punto. Tutti imputati nel grande processo contro la vita: uomo contro natura, uomo contro uomo. Punto. (C’era cu c’era) Le promesse hanno fatto rima con le menzogne, l’indifferenza ha creato uno spazio sufficiente per renderci amebe vittime, la tecnologia ci ha illusi giocando con le parole: male maggiore con male minore, perché è semplice credere di essere onnipotenti, perché è facile attendere un tempo più rigoglioso, perché è onesto recepire un guadagno da un omicidio, perché lo sappiamo Michelle che la pratica meno dolorosa era quella di non pensare a ogni conseguenza perché è semplice rattoppare il presente, perché è facile trovare qualcosa su cui scaricare le colpe, perché è onesto essere moderni avendo un computer al posto del cuore e trecento chili di pollo avariato nel mega frigo a sensore ultrasuoni. No Michelle, nessun assolto. Cadremo tutti nel nostro cilindro rovesciato e annegheremo nell’acido da noi sputato per secoli e secoli come alcool sul fuoco, come scusa per il freddo. Riscalda la minestra, alleviamo i nostri dolori con un po’ di Malox e fugaci segni a croce, ma la febbre ustiona la crosta spellata, la febbre cinge le ossa esili dell’ulivo tremano le foglie, e trema la terra a ogni straziante squarcio di tenebra che si schiude dal centro del sinedrio dove si pone la firma dell’ultimo atto. E potrai piangere quanto vorrai, ma non ne usciremo più, perché ci siamo prefissati di non chiedere mai scusa; perché le bombe hanno necessità di mangiare, come l’uomo, i robot, la rapidità. Lo sappiamo Michelle rimarrà ciò che si dice che in principio fu: il niente. Allora, ti chiedo un ultimo favore, prima di salpare sull’eterno battello del felice occaso: balla. Balla fino a quando ti si scuoino la pianta dei piedi e non ti baceranno la carne cruda. Balla. Balla fino a quando qualcuno scenda dal suo piedistallo di zinco cromato, a dirti: <<Oggi si può stare peggio, non siamo tutti uguali.>> Balla sui maiali viziati e le vacche sacre davanti a donne avvizzite che chiedono elemosina. Balla sopra le guerre e i suoi giovani cadaveri. Balla intorno alle discariche d’amianto con smorfie e gesti di derisione. Ridicolizza il male, rendilo banale con le tue movenze insignificanti, fammi scompisciare dalle risate per la merda che placidamente ci vive vicino. Non avere vergogna (come Noi), non avere pudore (come Noi), non avere rimorso (come Noi). Ridicolizza come tutti fanno con tutti e con tutto. Renditi stupida e felice (come Noi). Balla. Balla e concludi quello che puoi perché no, non ne usciremo più - prefissati come siamo a non chiedere mai scusa e di non pagare per i delitti commessi. (A cumbinzioni futti a genti) Lo sapevamo Michelle: la natura fa il suo corso: con o senza interferenze, con o senza conseguenze. Punto. E allora balla. Balla e concludi quello che puoi. Balla e resisti fino all’ultimo sospiro, fino al primo scricchiolio, perché quell’uomo si alzerà – ben vestito, col fallo mozzato – e urlerà: <<Basta!>> e sarà il giorno.
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.Plutone.
(Dall'ebook "Caco petali di rosa") Sul soffitto della terra c’è un uomo che guarda le stelle. Ogni tanto scandisce il moto del tempo o ascolta musica non permessa dalle leggi di Stato. Si dimentica di essere lì. Odora di casolari abbandonati. Odora di spettacoli andati a male – forse parole, forse a chilometri e secoli fa. Guarda le stelle. Misura la loro libidine e quando una scia squarcia il nero dell’impossibile: tira la lenza: lui colleziona stelle. È il più grande collezionista di stelle. Da millenni; ha un giardino di stelle. Ci cammina dentro come un Re, ammira il suo raccolto. Alcune volte ci parla, propone secche discussioni. Ma la morte ha stritolato la luce defecando il niente che ne consegue. L’uomo è un sintomo del silenzio. Implica un passaggio. Devia la natura delle cose. Intorno. (Torna sempre sconfitto da un amore che non sa apprezzare.) Divora un altro pezzo di cuore. Spara contro il cielo. Si coccola. Quell’uomo conosce la fine del suo cuore. Ritorna sul suo soffitto. Spara un altro colpo. Impugna il retino. Impugna la notte. Aspetta la morte. Lui colleziona stelle.
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.Meraviglia della luna.
Un’esecuzione sommaria al crepuscolo, colano via colori forti – rosso e il giallo e poi il tenue rosa ingoiato dal blu che si fa fratello del goliardico nero. Ed è notte. Lucciole nuotano nel vento e sono specchio di stelle in transito perenne. I gufi sorvolano lo stipite che nasconde i sogni. Le cicale ubriache sprizzano canti folkloristici. Ebbene: da qualche parte c’è lei. Ovunque. Seduta a rendere tutto ciò. Regina degli uragani. Potente urlo di follie. Poesia. Ed io siedo con amici e Baudelaire a spiare il tuo corpo che sa di chitarra e nostalgia. Come il tuo riflesso sull’acqua. Lacrima dolente.
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.Il volo delle promesse.
Passerei tutta la vita a dipingere il tuo volto iconografia fonia del cuore respiro irrefutabile. Sarà come tu vuoi. Sarò come tu mi vuoi. Lavico Geloso Cassaforte indeperibile del tuo amore. Promesse: Passerei Sarà Sarò Ma stramazzo sotto i bombardamenti del tuo silenzio.
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.La litania.
(dall'antologia poetica "100 thousand poets for change" (Albeggi edizioni) Brulica la terra di fermenti attivi come sangue sul fuoco, e niente: i pedoni proseguono ad ignorare le strisce; i bambini a gettare le carte di caramelle dappertutto; gli assassini ad utilizzare sacchetti di plastica per soffocare la vittima.
Che però un qualcosa stia accadendo è chiaro. E a saperlo sono soprattutto le api.
Muoiono a catena - nei fluttui rabbuffanti del sistema Natura - con passaggi scanditi da tappe prestabilite, non elencabili, ma con imprescindibile unità di arrivo.
C'è chi sperimenta i bordi dei giardini chiedendo una monetina. C'è chi ruba o uccide per un pò di polline. Ma la pratica più vagliata è la roulette russa. Un'agonia. E non per chi si spappola le cervella.
Descrivo: tutti seduti intorno ad un tavolo, gira la pistola, bum! e fine della storia. Addio debiti, rimorsi, pignoramenti, umiliazione. Il prossimo giro: il giorno che verrà. Un'agonia. Un'agonia per il giorno da vivere, quello dell'isotermo confronto debiti, rimorsi, pignoramenti, umiliazione.
Il fiore è il premio proibito - non fattibile in base alle leggi del mercato delle tarantole.
<<E' opportuno fare i compiti a casa! Dobbiamo restare uniti!>>, impone la Regina formica.
Ma andrebbe per le lunghe. Ormai è una missione radicale, radicalizzata.
I calabroni consigliano illusioni atmosferiche per governare l'ansia. Le talpe propongono testi sul Paleozoico e sulla prima Rivoluzione Industriale. C'è chi propone il Gioco dei Pacchi e chi annuncia viaggi interstellari senza una direzione precisa.
Sì: nessuno fa i conti con i bordi dei giardini né con la polvere annidata sulle maniglie delle librerie.
Andrebbe per le lunghe. Più decoroso un rapido giro di roulette, con sottofondo una litania.
Canta la cicala: <<Giro giro tondo, casca il mondo...>> undsoweiter, undsoweiter.* *Eccetera in tedesco
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.La lenza di Davide.
Il bambino pescava dal suo balcone. All’amo, appeso un foglietto. Passandoci accanto, lo sfiorai con lo sguardo: era disegnato un cuore. Fino all’ultimo fui tentato, ma non alzai la mano. Non era per me. Se lo era: ho sbagliato come sempre e, come sempre, come pesce in un acquario, aspetto che il cibo mi piombi dal cielo. (Palumba muta non pot’êsseri serbùta?) Tu bimbo continua a pescare. Forse sarò più veloce delle mie paure, domani. E se quel pezzo di carta non racchiude le mie iniziali, potrai uccidermi, ma sarà un gesto vano: sono invincibile: ti chiederò perdono e tu diventerai un principe, sconfiggerai la vecchia strega d’Albione, e la conquisterai. Io farò testimone di queste tue azioni, come lo è la tua spada rovente. Infine, lei sarà rosa di ghiaccio per il tuo ardore, insieme vi inginocchierete e, postino di cromosomi duali, vi consegnerò le luci d’Oriente - vostro tallofita impero – sul quale ricorderete il mio nome, come qualcuno che è passato vicino a un amo e non ha abboccato.
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.Gramo a largo di una notte speciale.
1. Non ho più voglia d’altro, stasera. Le chiavi sono andate perse; la mia casa violentata da un amore che non reca le mie impronte. Il cielo crolla su feti stesi fra lana di pecore sgozzate per la festa del Signore. (Lo anticipo e lo attesto: non risusciteranno.) Tutto si accomoda sulle croci di domani. Precisione. Buon fabbro. Le rondini e le nuvole capiscono quel che vedono: larve umane spremute in un azzurro ciccione e limpido. Fino a prima. Ora, ora giusta. Crepuscolo. Mare, mare mestruo di un altro giorno indifferente – comunque vissuto e biasimato. Così va la stagione, al crepuscolo. 2. E D. non afferra. D. non apprezza. D. è un robot sadico che strizza i calendari degl’anni avvenire e stravolge l’ipotesi delle certezze. Attraversa le mie pupille. Corrode la retina. S’infila e spezza la safena delle mie sdolcinate tenerezze. Vacca. Latte del mio pene sprecato. Sesso: timbro – Denominazione d’Origine protetta – sulla definizione TI AMO. Ci riconosce. Rispecchia il mondo che modelliamo. (una libertà ormonale latitante; una rivincita carnale mediatica.) E’ non c’è più voglia di nulla, avendo tutto. Questo. Quello. Sorriso gengivale. Hopper. I miei sogni. Il sarcasmo conseguente alla truce realtà. E’ fuori misura, cazzo. Esorbitante come l’ignifuga domanda: <<Mi ami?>> Non dirla: la risposta potrebbe non essere sufficiente per ammansire questo diluvio. Scardina le difese. La tormenta mi strapazza e appaga. Appaga la morte. Quella morte per morire. In questo. In quello. La morte. La morte muta. Il silenziatore perennemente in canna. Precisa. Rassicurante. Ahimè, ahimè, ahimè! Credere perché così è richiesto dal copione. Come farfalla schiacciata da un carro armato. Come il distacco dai tuoi occhi. Occhi: differenze standard: uno verso il cuore, l’altro verso la clavicola. Rotazione del sistema orbitale racchiuso nel linguaggio ermetico della ciglia. <<Chi avrà mai la verità?>> <<Chiedilo alla mia tecnica.>> <<Chi avrà mai la verità?>> <<Le versioni sono contrastanti. Ognuno accondiscende a quella più consona al suo invertebrato piacere.>> 3. Così va la stagione al crepuscolo. In sera riprenderà a palpitare la luna e noi correremo nudi masturbandoci a vicenda senza mai chiedere perdono – se questo è peccato. Saremo gli eroi che la filantropia non enumera. Unti e sinceri, schioderemo quei feti e li accatasteremo edificando una statica torre che sfidi ancora il cielo. Annoteremo sui nostri dispiaceri: “Qui sempre parla una sola lingua: la morte, la morte muta.” E se il nostro giudizio si moltiplicherà, creeremo una culla. Dormiremo tu io. Ci ameremo e la luce che partorirà da noi sarà orologio e altro me te che viva il futuro che non, mai avremo. E se questo non fosse semplice, creeremo un orto. Lo coltiveremo tu io, seminando cuori per germogliare minuscole zolle di passione venata. Apriremo un bar. Le serviremo come zucchero per il caffè. Saboteremo il sistema orbitale. Con queste. Con quelle. Ora, nell’ora giusta. D. Come autotrofi. Come fotosintesi clorofilliana. D. Non ho voglia d’altro, stasera.
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.Amaro Sorriso.
Come fai a sorridere? Passeri fumanti precipitano su di una terra già scottata e tu come fai a sorridere? Certo: sei bellissima, ma tenue il tuo respiro mentre la cenere si lascia trascinare via. Li hai visti: prima erano corpi; prima erano, come te. Forse ci avevi pure fatto due chiacchiere, chissà; ormai sono solo polvere per la tua gialla scopa. Ci hai fatto il callo, neppure più ti cambi, (Ormai adori restare come sei e, piccola, arrossisci di fronte ai loro rimproveri, ai loro complimenti.) Sei nata quando tutto era già iniziato – ognuno di noi lo è: figlio di un presente pregiudicato. Quindi hai imparato il linguaggio del tuo popolo. Quindi sei diventata una foglia o un chicco di sale o un altro crepuscolo. Di sogni ne hai avuti e ne covi ancora, ma hai appreso la pazienza del “si vedrà, se mi viene permesso”. Certo: ora dovrei strapparti le orbite per mostrarti da vicino il proiettile che ci governa. Certo: la conosci già. E sai di non esserne la sola, la sola a ritagliarsi dei limiti, a biasimare il sangue versato, ad accettare le teste di capra sul portone di casa. A sentirti protetta dalla paura di parlare. Li vedi lì, seduti a quel tavolo? Ognuno ha il suo anello e il suo cognome. Ognuno ha il suo onorevole ruolo. Senti come ridono, come si divertono, come violentano Maria, come si gestiscono la nostra terra e il nostro silenzio. (Anche Satana, all’inferno, ha più rispetto) Siamo il loro mantello. E tu scopi il vuoto, tu ramazzi polvere che domani si ripresenterà sul ciglio della porta a renderti parte del suo incessante giocare. A te non importa, certo: ci hai fatto il callo. Come agl’arresti. Come all’apparenza. (Le rondini tornano sempre a primavera) Ora non mi stupisco se sorridi invece di nascondere il volto tra le tue scure cosce. Conosco con ripugnante sicurezza quel movimento: è consapevolezza. Amaro, puntuale, incatenato, sorriso di consapevolezza. Di volto in volto. Di casa in casa. Non uno a coltivare più sogni. Tutti lo proclamano al gufo, postino della luna. Ed è una sensazione bruttissima. Davvero.
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