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Raccolta di poesie di Tiziana Monari
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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I colori del buio e altre poesie

I colori del buio

E lo ricordo il viso di mia madre
graffiato da una virgola di luce
i suoi occhi così stanchi
la pioggia che si posava sui suoi capelli di ragazza
sul suo corpo addormentato di profilo

e li ricordo quei camici bianchi
che correvano in un viavai disordinato
centellinando gocce di dolore sul suo seno così chiaro
così profumato di vischio e calicanto

e lo ricordo il brigante appostato in fondo alla strada
la primavera che sfuggiva dalle dita
e quel giardino degli aranci
dove si incendiavano le stelle
si piangevano lacrime di sale

quando me ne andavo via di spalle
il cane di terracotta in tasca
l''insegna che rideva sul fianco del tram

e lei restava sola
con i colori del buio posati sul cuscino
ed il sogno di rivedere ancora una volta il mare
una luna d'inverno
l'ultimo margine di fuga

ed intanto il capitano Achab cercava una barca vuota all'approdo
per nascondere l'attesa
il male di capire il dolore.

Era già dicembre
il tempo in cui dura la neve.

Di notte, nel buio (A Papa Francesco)

Ed ora che vivi tra i lupi Francesco
naufrago di mille tempeste
in una terra dove l'ipocrisia confonde i passi e le stagioni
dove tutto implode in un vuoto d'empatia
senza lanci di fiori e fuochi d'artificio

ascolta nel silenzio il passo tremulo delle nostre frivole illusioni
guarda i tramonti d'erba della sera
i mattini di maggio ingentiliti dalle rose
il girotondo delle nuvole, il volo degli aironi

affacciati al balcone
e prega per questo futuro senza nessun richiamo da pastore
per questi magi che non vengono da oriente
per l'indolente carezza della sera
per l'arroganza che vince contro il nulla
per il cammino costante del dolore.

Aiutaci a contrastare questo tempo senza soste, senza sogni, senza riscatti
tu che conosci il rumore della pioggia
la croce del condannato
il ricordo dei carnefici, gli occhi vivi delle fosse

tu che sei per noi padre, l'eco di Dio, la più bella fiaba della buonanotte
quando nel buio s'addensa il pianto
in questa vita dalle ali spezzate
che profuma di neve
di quella neve bianca di febbraio.


Il senso lieve della vita

E lassù ci sono echi d'infinito silenzio, sussurri, bisbigli,
il vento che passa col suono dell'arpa e bacia la pietra d'argento
un vespro di vaghi lamenti
le nubi leggeri e sottili

lassù l'alba abbraccia un mattino già antico
la foglia ha il suo canto, un travaglio di fronda
il sole non copre il candore del tutto
scintilla beato invalidando il grigio dell'ombra

e c'è il volo plasmato del nibbio
sulle cime irrorate di rosso
il suo planare in un mare di bianco cristallo

i sassi hanno il cuore eroso dal tempo
un infinito biancore che abbaglia
la postura ed il respiro di terra

ed io cammino nel confine tra il sogno e la veglia
nei riflessi soffusi d'azzurro
calpestando aghi di pino,una radura senza confini

mentre l'anima lenisce un piccolo vello di luna
e cerca a ritroso la vita
il suo senso
così immenso, così immobile,vero.

L'ospite inatteso

E' arrivato in un giorno d'inverno
la lunga giacca di velluto azzurro, laborioso come un'ape
calpestando la rugiada del prato, gli sterpi delle rose,gli inganni mutevoli dei sogni

è entrato a tentoni, senza bussare,senza chiedere permesso
divenendo un'ombra confusa
addossato alla frontiera dei tuoi occhi,alla pianura del tuo cuore
alle periferie delle tue giunture, delle tue ossa
si è fatto spazio piano piano dentro l'armadio di quercia
posandosi in silenzio tra sete giapponesi e porcellane bianche

si è assoggettato al nostro calendario
ingoiando il tempo,la lentezza della luna, le fiabe di calicanto di novembre
ha stilato condanne,destini, perdizioni
rilucendo malvagio nelle sue dita da ragno
vermiglio, torrido di sole, sul nostro amore immenso, rotondo, bello come un fiore.

Ci è caduto addosso sorgendo dal nulla,perfido bacio della buona notte
e la nostra nave si è persa in una burrasca senza stelle, in un mare senza sirene
vagando sempre più a largo, in onde sempre più lunghe

ed io ho cercato una ragione, la vetrina di un caffè
un gesto che fosse scintilla, una lacrima di lusso
chiudendo gli occhi allo spasmo infinito dell'inganno, all'inizio e poi alla fine
alla pioggia dentro il vento di ponente
al temporale che si annunciava indifferente

e mi sono attardata nel tuo corpo chiaro e bello
amandoti come se amarti fosse un abito indossato la mattina.

Ed anche adesso, tra le nubi basse di dicembre
con questo ospite inatteso dentro il letto
con i suoi passi che calpestano la neve
nella nostra casa di sabbia e nebbia dove si è fatto sera

ti amo in questo vuoto a strapiombo sulla vita e sopra il mare.


La sera di Macondo ( A G.G. Marquez)

E' lassù oltre la siepe di rose Macondo
dove la luce declina sulle capanne d'erba, dove ci sono pane fresco, latte e vino caldo
camerieri con livree e pasticcini
un piattino con gli spiccioli e le chiavi

ci sono sere come tante lassù a Macondo
le donne hanno occhi d'oro, seni in fiore, ombre viola posate sopra i fianchi
e le case vivono tra rampicanti d'edera,con terrari e tartarughe
le porte aperte all'alba, le finestre riversate sul cortile

si mangia con bicchieri da osteria, lassù a Macondo
si accordano chitarre al canto di cicale
si arrotolano le ciocche dei capelli delle donne
e dopo mezzanotte ci si rannicchia dentro il sonno ogni sera con un amore nuovo
il gelsomino fiorito sul cuscino.

Ed ora che sei lassù, libero docente nella cattedra dei sogni,
scriverai sul ventre basso delle nuvole del viaggio del Buendia, del colonnello, delle puttane tristi
della follia della gente che cammina

e noi quaggiù saremo soli nell'ora delle strade vuote
le bandiere senza vento
a concederti l'addio, commossi dal ricordo, dalla lentezza del tempo che ci veglia.

Avremo la polvere nel cuore e nelle scarpe buone
al di là del nostro andare alla deriva
dispiegati come giunchi al vento freddo della sera.


Il castagno, il mirto, e l'asfodelo

Avvolto in uno sbuffo d'alba
su un bosco giallo di calendule, tra malva, borragine e pratoline
svettava alto e sinuoso il vecchio castagno
le fronde mosse dal maestrale
il sole che si allungava in tiepidi raggi
accarezzando il tronco, i rami, i nodi
le epidermidi dorate delle radici

c'erano farfalle tutt'intorno che si libravano leggere in cerchi stretti
limpide di colori, stillanti di oscure perdizioni
e c'era il minuto pettirosso nascosto tra i rami
che paziente attendeva i vermi al riparo dalle foglie
il merlo dagli occhi d'opale che braccava in silenzio piccole prede
l'usignolo dall'ugola d'oro che cinguettava felice nel ramo più alto.

Faceva l'amore con il mirto e l'asfodelo il vecchio castagno
incendiandosi d'azzurro
baciando il glicine, la rosa e la gramigna
accarezzando la perfida mantide
la lenta processione delle formiche
i fili d'erba arrugginita
i voli in fila indiana di due bombi

e di notte luccicava stranito al buio, algido, assente
schiudendo le labbra della notte
cercando uno spigolo di cielo
mentre le stelle si espandevano tra il viola dei fiori addormentati
e la luna calante svelava il suo tenue rossore.

Tutto si faceva silenzio
il bosco si addormentava sfinito
esausto d'argento

lontano sfilava il lungo rimprovero del vento
e nel cielo si leggeva la magia di Dio.


Apostasia d'amore ( a Meriam Yehya )

Adesso che vedo sulla neve le orme di mio figlio
così leggere, con un azzurro dove si posa l'ombra
tutto è piagato,immobile
il cielo che si allarga e si ispessisce
l'anima che si accascia in una marcia stentata
la morte che mi cresce addosso come un tralcio di vite

ogni giorno penso alle nuvole morbide e tristi
a quella corda stretta al collo
al sole ed ai suoi raggi
alle estati perdute che ritornano, ad una ad una
prendendo il loro posto senza inganno, senza alcun dubbio

indugio pensando ad un pallone che echeggia tra i muri alti
al profumo improvviso del trifoglio
al calore dolce e rude dell'amore
alle dita di mia madre che si stringevano in instancabili cadenze
ora che la malasorte ha dettato le sue parole sapienti
ed è dolce il cenno della falce
che mi attende oltre la pergola, al crocevia delle stelle.

Oggi guardo il mare, il confine del sogno
nel mio abito di porpora e con la corona d'oro
contando sulle dita le poche stagioni che mi restano
abbracciando il mio Dio dagli occhi luminosi
il mio Dio del disincanto.

Fuori nevica silenzio e non c'è neve.


Miloud

Raccoglie le lacrime smarrite dei bimbi di strada Miloud
la paura spietata che scintilla negli occhi
i loro cuori immobili come relitti dopo una piena
i loro ansiti esterrefatti nella notte nera

cammina nel silenzio sospeso delle strade di Bucarest Miloud
nella disperazione fluttuante della sera, in un tempo accorciato
consolando bimbi posati come foglie morte sui marciapiedi
le teste affondate in stracci sporchi
le mani caute ed esitanti
i colori dei capelli che ricadono l'uno sull'altro
il formicolio dei piedi scalzi

Ha il sorriso dolce amaro di un clown Miloud
quando guarda quel cielo di sabbie mobili, di stelle gialle quasi spente
e conta anime in blocco, minuti crudeli
le ore che sembrano un castigo
in una terra vestita di neve
in uno scarabocchio di oscurità sempre più grande

fischietta, portando a spasso i suoi sogni Miloud
cercando frammenti di bellezza nella morte
salvando boccioli di margherite dai lividi viola e blu
smarriti tra carte di caramelle e nuvole
posati in disordine sui muri, tra ciottoli e gradini
su cartoni brulicanti di miseria e disperazione

e conta le lentiggini che si affollano intorno ai volti come un volo di vespe
abbagliandoli con un lume di lucciola
regalandogli l'approdo ad un bianco lido
dove si gioca col gesso sui marciapiedi
dove si dorme sotto ciliegi in fiore
dove i raggi del sole pizzicano la pelle
dove ci sono cespi di basilico e semenzai

e i sogni sono sussurri
scomposti tra un refolo di vento ed un aquilone.

Il volo del nibbio

E lo vedo il volo del nibbio, esausto d'argento
su prati appena rinati di gialle calendule
lieve si assurge tra biancospini fioriti
sul sole diafano ed immobile, sul cielo che a poco a poco s'abbruna
lassù tra le stelle che incendiano i monti
sull'appennino che luccica stranito di buio
dolce grembo di cuculi, allodole, lucciole

e la vedo cadere la luna sull'estate appena sbocciata
in questa natura che muta evolvendo, rimanendo se stessa
ed osservo la mantide sposa, il canto dei grilli, le rondini, il polline, i colchici
i tremuli pascoli ammantati di verde
il papavero rosso che emana calore
la rana che dello stagno lambisce le sponde

e la vedo la pioggia d'autunno
martellante sulla farfalla che vola
sul castagno che abbandona i suoi ricci
sulle foglie che cadono incendiando il bosco di rosso e di ori
e sento vaghe presenza sfumate nel grigio
la quiete ed il dolce abbandono dei sensi

e poi sulla filigrana dei monti la vedo cadere la neve
sospesa in un arco ormai breve
si raccoglie sull'inverno maculato di bianco
penetrando volubili nubi, le groppe dei monti
l'antico soffio dell'impavido vento.

Mi cullo in quest'azzurro colorato d'immenso
profumato di salvia e di menta
e vago col cuore oltre le zolle dei campi
in questa terra dove silenziosi sfumano i sogni
e le ombre hanno il sapore del tempo
della storia infinita del mondo, della luce maestosa di Dio.


Lars il cecchino

Si ricorda bambino in mezzo ad un campo di neve
Lars il cecchino
un cappello di piume,la spada di legno nel fianco
a giocare con una fata cattiva ed imbrogliona
con altri bimbi tatuati d'argento

ed adesso che si è seccato il crepuscolo
ed a Kiev le rose si sono fatte di sangue
Lars vede ancora il campo di neve
ma ci sono cavalli e donne bionde dai denti perlacei
gli occhi infossati, le labbra sfinite
le voci straziate in un mezzogiorno di guerra

tutto è svogliato nell'ora del primo mattino
anche i gigli e le api
tutto è fiaccato dal troppo dolore
anche il polso di Lara

e le colombe hanno un volo sbilenco
in quel vento grigio di stelle
che si posa sul sonno e la veglia
sui fiori d'arancio
e diventa terra, sangue e infine silenzio.
L’isola dei conigli (04-10-2013)
Inascoltati sono le grida, stanotte, all’isola dei conigli
il pianto è inghiottito dal silenzio, immobile, senza eco
le ombre solcano maree
ed il tempo oscilla in  onde lunghe
dove estranea affiora la morte, l’apocalisse, il quarto vuoto
 
tace la vita
premono i gesti,gli schianti e poi le voci
l’ansimare del mare, la caduta
e tutti accampati al limite del nero come fosse fuoco
percossi dall’invisibile, dalle schegge di brina dell’inverno
 
e bimbi, madri,padri come fango
levitano come appesi ad una croce
si posano, si tendono, s’allungano, profumati d’Africa
così  la vita cede cantando in contro tempo
in uno Stige d’acqua salata, in un ignoto limbo dispiegato nella quiete.
 
Non ci sono galeoni scomparsi, sfavillio di pesci
non ci sono organze stasera alle finestre in questa bonaccia di tempesta
il vento sfiora gli albicocchi
e  canta il vuoto che lamenta perdite,le parole della neve
 
brilla nel mare  solo il rumore delle ossa
che si tende piano .
E lentamente  tutto divora.

I fiori bianchi della Louisiana

Ed il cuore ritornava verso casa
planava sopra il sole d'Africa
sfuggendo al tempo degli uragani, alla spuma delle onde
e c'erano uccelli abbozzati nel cielo, nasturzi fioriti
il silenzio degli alberi , un ragno che tesseva una fitta trama

ed il corpo restava qui, leggero come una foglia
in questi ettari di terra condannata
a raccogliere i fiori bianchi della Louisiana
nell'indifferenza delle stagioni, nel disordine del mondo
con i passi pesanti di qualcuno nella notte

qui dove non c'erano lucciole e stelle
dove i più se ne andavano con le ombre
qui dove la morte faceva l'amore con le catene
con la solitudine dell'esilio
e c'era il dolore, le nuvole in corsa sopra ai declivi
una piccola meraviglia di polvere.

E i bianchi avevano occhi da tigre, il panciotto colorato
tiravano fili, cambiavano scenario
preparavano il tè, i cucchiai, i biscotti
conversavano di scambi e denaro
in un tempo senza impronte
luttuoso e monocorde
in queste piantagioni di fioriture tiepide come cristallo
dove si attutivano le voci degli schiavi e si addensava afosa l'estate

e non c'erano stanze, solo capanne e sandali laceri
la vita che si dissolveva lentamente nel medesimo tragitto
nelle mani un petalo di fiore di cotone
e solo l'abbandono intorno
nella consolazione arresa ad un triste oblio.


A Teresa (da Jacopo Ortis)

Lo porto sottopelle quest'invero infinito che plana in cerchi stretti
in questa terra di magnolie a fior di labbra
di bave di sole e spiccioli di nuvole
di arcobaleni e luci di fiume

solo tu Teresa mi rimbocchi l’orizzonte
condensi il fiato nelle pagine del tempo
stampigliando a fuoco sulle mie mani lo stupore dell'amore
salendo scale di diamanti
giocando all'abbandono nella tua vita di fanciulla

ti rispecchi in pozze di acqua pura
nella stanza svelata in controluce mentre cogli ginestre nell’orto del Getsemani
tra il viola dei fiori addormentati
immemore di temporali e nebbie.

Stasera disegno a calco l'albero di more nell’angolo di un cielo di settembre
in un lieve pulviscolo di stelle
vago insonne seppellendo la mia anima
gli occhi che s'annegano nel vento
parco alle parole
ai suoni lievi e senza storia

raccolgo sabbia in tasche con i buchi
nelle emozioni sbiadite della quiete
vado e non so dove come un cerbiatto braccato nel crepuscolo
ti lascio la mia ombra per farti compagnia.

Alice(poesia per un bambino mai nato)

E tu che galleggiavi leggero come un fiore dell’acanto
morbido,caldo,resistente
avvolto da un immemore torpore
in un amalgama di colori contrastanti
crescevi piano in quel fiume leggendario che divide la morte dalla vita
in un viaggio nella mia anima di madre
la bocca di ciliegia, il sorriso del nonno partigiano, il taglio degli occhi di mia madre

e all’improvviso un lampo, il profilo dell’assenza
in quel distacco prematuro
in quel dolore come piena a filo d’orizzonte

tracimavo tutta in un senso di sgomento
tu,troppo debole per vivere, troppo potente per morire
diventasti un fuoco fatuo, una nemesi ancora da svelare
una colpa da scontare, una condanna
l’alone sfuocato di quel mondo che stavamo attraversando.

Rimase solo un brivido,un tramonto color grano
ed io sospesa tra le foglie brillanti di settembre
come un’ostrica che trasporta sabbia in una perla
accarezzavo un cattivo vento di ponente e l’impensabile
relegata all’inerzia, sostavo lieve in uno spazio neutro
il cuore rimbombante nelle ossa,il pianto fermo nella gola
sospesa in quell’amore assaggiato solo in sogno.

Io Alice nel paese degli orrori, per sempre,madre, accanto a quell’ultima illusione.


Calle luna

Ed oggi,è nascosta dalle ombre Calle Luna
in fuga dalla miseria del mare
in quelle case nere sotto il sole con ciuffi d’erba secca sul tartan crepato
dove di bianco c’è solo una morte
che si posa in boccio in quelle piattaforme di cemento
e fa l’amore con la solitudine ed il silenzio
con un inverno che porta in sé una nostalgia

c’è qualcosa che interrompe tutto all’improvviso
uno scompiglio,una vertigine molesta
in questo giorno dove bisbigliano i giocattoli
estirpano il filo della vita, i colori confusi dell’orizzonte.

E’ bianca la morte a calle luna
sulle veneziane del padiglione otto
è posata lieve sui tratti del viso infossati di Francesco
come spianati da una mano
sulle chiazze blu sotto i suoi occhi, sulle palpebre venate da capillari rossi
è lanciatrice di coltelli in giro tra ossa e tendini in cerchi stretti
è ardesia di neve a rimuovere la bellezza nel suo canto

si perde il dono di sognare all’improvviso
quando l’impronta molle del uso dito
si incide a fuoco nel corpo martoriato di Francesco
in un giorno che conosce già la misura del castigo.

Fuori suona calma la mezzanotte.

Columbine High School

Dimmi lentamente delle tue ombre
di quella donna dagli stracci lunghi che ogni notte ti chiama per nome
si prende l’azzurro della vita
tocca impaurita bocche senza labbra
sussurra parole e cose quando finisce la canzone della sera

dimmi di quel giorno d’aprile
duro come la pietra, interminabile come il pianto,
di quei Billy Kid che giocarono agli eroi
creando un labirinto di dolore, una maledizione di tempo
inginocchiarono il vento davanti alla morte
fecero l’amore con grida e urla d’ innocenti
col bianco sudario delle rose

dimmi del ricordo della mente
della coda del fucile che fiammeggia ancora nella notte
senza risposta, in dissolvenza, morendo piano nella dita come sogno
dimmi della maschera che indossa il sole
del silenzio degli alberi rotti in mille pezzi
delle viole che fioriscono sui vetri
colme di vuoto, illividite al cuore

dimmi di te, coperta di polvere e d’inverno
dimmi del tempo che non scorre più
quando morire è una cosa da poco
e vivere ha negli occhi tutto il dolore della morte.

Del dolore

E arrivava ogni giorno il dolore
delicato, liquido, elegante
dipanandosi nei filamenti dell’esistenza
chiazzando di macchie dorate il volto di una madre
conquistando in un connubio incestuoso
le infiorescenze dei suoi giorni
a risarcimento di un debito di cui non aveva memoria

si mescolava dentro, chimico, vorace, infinito
violando il suo corpo affilato, la mappa dei suoi muscoli
un orco delle fiabe dalla piccola mollezza criminale
che appuntito come un coltello si faceva strappo
annullando la luce delle comete, il profumo del glicine sotto il pergolato

era un fresco olocausto la vita
quando si addormentava stanca tra gomitoli e ferri da lana
tra piccoli riquadri di maglia colorata
sognando alberi di ciliegio con la corda tirata
il profumo del bucato steso ad asciugare
il trionfo dei lillà accanto al cancello di ferro battuto
quel figlio che giocava a nascondino dietro l’olmo

e poi un altro giorno ancora
cercando di guarire la morte e non pensare
a quel richiamo lontano che si faceva urlo,nodo scorsoio
vibrava di imprecisioni in un orizzonte dagli occhi chiusi.
E non aveva volo ma solo il precipizio.

E ancora la pioggia cade
Cade la pioggia
netta,incisiva
sull'ordine perfetto delle cose
sulla lentezza di ore tutte uguali
sulla splendente agonia dell'autunno
bianca di schiuma
in un buco d'azzurro

scivola allargando il respiro
sui silenzi vuoti di paese
sugli ippocastani mossi dal grecale
nel suo linguaggio misterioso
in una pausa lunga e una breve

sfiora esausta
i geometrici giochi di luci dei lampioni
il rumore cavo delle persiane sbattute dal vento
il bianco spettrale delle nubi basse
impertinente,nottambula

fermandosi
sulla pendola che batte la mezzanotte
su quell'uomo dalle orme sbiadite
che cerca nella pioggia l'ultimo amore perduto
saturo di pena
stretto al bavero del suo cappotto come un dolore.
E ancora la pioggia cade.

Gli occhi di Kader

Il nero era tutto
una sagoma oscura nell'ombra come un fossile antico
laggiù nel profilo di macerie fumanti oltre le colline delle sabbie che corrono
in una città di polvere e vento, di neve e di fuoco sottile

rammento i riflessi di un sole nascente, la danza dei gesti
il cigolio delle ruote del carro
le donne, quelle nascoste dalle pieghe del burka
le guance infossate, il cuore come un filo di fumo rabbioso

e gli uomini con le Marakov in tasca
la falce e il martello limato via dalle stelle
le case di fango,il grigio infinito del cielo
il fornello a petrolio
il tè che fumava nel bricco dal becco ricurvo
la città che moriva in un coprifuoco infinito

e io mischiavo i colori nel bianco sporco delle chiazze di neve
dipingevo col blu le lacrime degli occhi di Kader, come il vetro delle anfore di Hierat
quegli occhi ormai chiusi
portati via da un odio crudele

gli occhi azzurri di Kader che non avrebbero sognato mai più.

I bimbi di San’a

E’ terra di latte e miele San’a, sospesa in dorate illusioni
abbracciata dal grido stridulo del falco
bella e crudele d’azzurro
colma di melograni rossi,di rose profumate d’oriente

ha una finestra sul paesaggio San’a, e nel cortile corrono bimbi laceri di vento
snelli come sciacalli,
la pelle color cannella, il naso camuso,le labbra sottili dalla curva sprezzante

hanno il volto acceso, perso nel tempo della supplica
figli di antiche carovane, figli di sabbie chiare
il kalashnikov al collo, i dadi truccati alla cintura
camminano già grandi,crepati dal calore del sole
solcando rughe con sciabole luccicanti
i pugnali d’argento rannicchiati in un angolo di cuore

stanno appoggiati al blu cupo della notte i bimbi di San’a
piccoli agnelli divenuti lupi
i capelli spettinati, le spalle avvezze alle intemperie
consumati dalla polvere del tempo
mai stati bimbi, nati già uomini
le grida in falsetto del muezzin che chiama alla preghiera
e solo il rosmarino nell’orto
e mine sepolte tra l’oleandro e il grano.

Muoiono così, senza luna , senza sogni, senza stelle sul soffitto della stanza
senza nessuna amore stretto in mano, consumati dalle onde
funamboli incorniciati da ali di gabbiani
i bimbi snelli come sciacalli di San’a.


La venticiquesima ora (A Elisabeth Fritzl)

E lui arrivava ogni giorno alla venticinquesima ora
Il mio cuore che era la sua casa
un bracconiere sulla preda
a raccogliere un fiore nel giardino di cemento
gli occhi fissi, teneramente impassibili
per fare di me la sua venticinquesima ora
la sua ossessione,il suo peccato

il tramonto era un fremito di pupille
sulle sevizie tenere dei miei fianchi
sul mio seno candido
sulle labbra di rugiada che boccheggiavano tra i lamenti

aveva crepe di passaggio la notte
quando lui
titano dalle braccia conserte
si scioglieva nei miei pori vergini
nel mio corpo schiuso di farfalla
nella brace sottile della perdizione

Ed io leccavo il buio,leggera come una lucciola
lo stupore crudele della vita
in quel tempo che bruciava
Incenerendo a poco a poco illusioni e dolori
Il principio e l’infinito
La morte era una ragazza eterna
quando lassù al piano di sopra era ancora primavera.