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Raccolta di poesie di Paolo Ottaviani
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

TU#cherchezlafemme

E vennero gli ulivi a visitarmi

e Tu stavi lontano, sull'immenso

abisso della luce.

*

’Cantate la parola’

“CANTATE LA PAROLA”
(Al M° Fabio Ciofini)


“Cantate la parola” e con la mano
accarezzi in segreto un turbinio
di note che, danzando da lontano,

scendono nel tuo cuore dal brillio
delle Grotte di Ghiaccio o da altre cime
intorno a Salisburgo: zampillio

che vagheggia la gioia del sublime
sulla tastiera di un bimbo chiamato
Amadeus. Nei vicoli le prime

dolci eufonie dal cielo stellato
sigillate per anni
nelle mani amorevoli
di un fiammingo di Thorn, Guglielmo Ermanni¹.
Sui colli in Collescipoli incantevoli
il Maestro organaro
con nobiltà veggente il suo più raro,
ineffabile dono
lasciò nel vento e il suono
angelico per secoli in oblio
è ora nelle tue mani in nuovo avvio.

¹Italianizzazione di Willem Hermans (Thorn, 1601- Roma, 1683), Maestro organaro, da cui prende il nome l’omonima Accademia.


Nota metrico-rimica

'Cantate la parola' fa parte di un gruppo di poesie ancora inedite che vanno sotto il nome di 'cometa'. Con questo appellativo ho voluto indicare una composizione poetica a forma chiusa di 20 versi, composta da tre terzine e da una stanza di cinque settenari e sei endecasillabi.
I primi dieci versi ripetono il modello dantesco delle rime incatenate. Poi però, dall’undicesimo al ventesimo verso, gli endecasillabi si alternano e si intrecciano con i settenari, rispettando il seguente schema metrico-rimico secondo il quale le prime ricorrenze di e, f, g e le entrambe di h sono sempre versi settenari e tutti gli altri sempre endecasillabi: a-b-a // b-c-b // c-d-c // d-e-f-e-f-g-g-h-h-i-i.



*

Treccia delle betulle in fiore #poesiapoeti

Treccia delle betulle in fiore #poesiapoeti

 

 

 

Dormono calde nuvole nei boschi di betulle

dove il cielo s’impiglia tra i pini e le fanciulle,

liete come le nuvole, vanno nella fanghiglia:

il sole silenzioso guarda calmo e festoso.

 

Sembrano volar via su pattini d’argento

leggere e variopinte bambine controvento:

è l’acre profezia delle braci indistinte,

accese nell’assenzio, poi spente nel silenzio.

 

S’accorda alla terra

come inquieto velo

il cielo, poi sferra

sulla terra il gelo.

 

La foresta dispiega la potenza del verde,

una luce s’incarna tra umidi rami, perde

forza il vento. Si piega sulla rossiccia marna

un giovane alberello. Vola raso un uccello…

 

poi s’alza e sfiora il bianco delle betulle in fiore:

è il cerchio che ripete la gioia del colore.

Com’è ferita al fianco la grazia dell’abete!

Un umile lacerto sanguina a cielo aperto.

 

La linea bella

del bosco e del mare

con viva favella

muove a poetare.

 

*

Trihaiku del naufrago

Trihaiku del naufrago

(Per i morti di Lampedusa)

 

 

La terra è là.

La colomba è tornata

sola, a morire.

 

Chi urla, chi spinge.

Cado con altri in acqua

senza più forze.

 

Un’onda, un’altra.

Oh com’è buio il mare

chiuso sul cuore.

*

In una scuola di lingua straniera

IN UNA SCUOLA DI LINGUA STRANIERA

 

 

In una scuola di lingua straniera

più di cento ragazzi intervistati

sul perché studiassero fino a sera

 

tarda e di che fossero interessati

hanno risposto che no, non per quella

lingua un po’ americana dei mercati

 

(ai quali più nessuno si ribella)

ma per un gioco - se vai dall’Italia

più lontano che puoi, prendi una stella! -

 

Ho forse pianto. (Ma non per l’Italia).

 

*

Aprendo la finestra stamattina

APRENDO LA FINESTRA STAMATTINA

 

 

 

 

Aprendo la finestra stamattina

ho visto che pioveva, il cassettone

vomitava rifiuti e una bambina

 

rovistava con sciolta precisione

tra i sacchi luccicanti, poi s’è aperto

uno squarcio di sole - reazione

 

fulminea - il piazzale ora è deserto.

Un merlo urbano saltella felice

e un passante borbotta il suo sconcerto

 

- tutto per terra, che schifezza! - dice.

*

Mio padre dipingeva una montagna

MIO PADRE DIPINGEVA UNA MONTAGNA

 

 

 

Mio padre dipingeva una montagna

e faggi e mulattiere dalla tela

gemmano ancora, la neve accompagna

 

una bianca memoria che tutela

la terra e i boschi dell’immaginare

come linea ignota e parallela

 

corre dalla tempesta al limitare

del cuore dove nasce lo scompiglio

che dura dentro i sogni, in quell’amare

 

confuso tra la neve, il padre, il figlio.

*

Le tre tartarughe

LE TRE TARTARUGHE

 

 

 

Tre tartarughe sognano gli stessi

ventosi bagnasciuga dove varia

batte e rientra l’onda e brevi amplessi

 

offre alla terra. Qui più necessaria

si fa l’essenza occulta della quiete

e corre un balenio, va nell’aria

 

in fragile evidenza. È la sete

d’amore prima del buio, del vuoto

immenso. Le tre testuggini inquiete

 

sognano un lido ventoso ed immoto.

*

Le parole e la serpe

LE PAROLE E LA SERPE

 

 

(Modulando

Versi tolti al futuro

di Elio Pecora)

 

(…suo arbritatu mundum effinxere

[dipinsero il mondo secondo la loro

arbitraria immaginazione]

Bernardino Telesio,

De  rerum natura juxta propria principia)

 

 

Se mai ci fu un inizio

fu di fuoco e fanghiglia

e di là pietre, rami,

pesci, serpi e l’umana

carne esaltata e torta

nel pianto autocosciente

di immaginaria morte.

 

Ma la foglia e la serpe

in un soffio appagato

s’accartocciano ignare

senza morte o lamento.

 

Pronta ad alimentare

un altro fuoco e un altro

vento è questa mia carne

che si muta in parola

mai ricolma di luce?

 

 

*

Zampogne e madrigali

ZAMPOGNE E MADRIGALI

 

 

Come da un laborioso

formicaio stanotte

ho visto germogliare silenzioso

un albero possente e bimbi a frotte

dal buio del mio cuore

correre nella grazia dell’amore.

Zampogne e madrigali

dai vecchi cascinali

risuonano nel sogno e in ogni strada

il sangue - è Natale - si fa rugiada.

 

 

 

*

Alla porta di casa

 

ALLA PORTA DI CASA

 

 

Due sconosciuti bussano

alla porta di casa

(sto aspettando - è un sogno? - una madre). Bussano

con violenza e ogni stanza è invasa

dal vuoto, dai mantelli

neri che occultano lunghi coltelli.

Non vedo i loro volti

e quegli occhi insepolti

restano muti. Con pari violenza

allontano la mia chiaroveggenza.

*

Uno dentro uno fuori!

UNO DENTRO UNO FUORI!

 

“l’ammasso degli innocenti

                                                                                                     è il profilo dell’era”

(Eugenio De Signoribus,

                                                                                                       Trinità dell’esodo)

 

Uno dentro uno fuori!

È una semplice legge

dell’economia. Lavoratori,

sceglietelo voi un compagno nel gregge,

scegliete in libertà

chi dovrà morire. Ma chi verrà

 - controllate ben bene

anche il cuore anche il rene -

da noi assunto c’è l’Amministratore

che lo decide, a suo libero umore.

 

 

 

 

*

Trihaiku del pesce rosso

Trihaiku del pesce rosso

 

(Su una poesia di Roberto Maggiani

accogliendo un invito di

Annamaria Ferramosca )

 

 

In una vasca

sotto pini e cipressi

c’è un pesce rosso.

 

Questa mattina

è giunta dai deserti

pioggia rossastra.

 

L’acqua è più torbida

nel tondo della vasca.

E il pesce rosso?

 

 

 


*

Per Melissa Bassi, 19 maggio 2012

Per Melissa Bassi, 19 maggio 2012

 

 

Hanno avuto paura

di un sorriso innocente

 

hanno avuto paura

della tua allegria

 

hanno avuto paura

del tuo onesto candore

 

hanno avuto paura

dei tuoi sedici anni

 

hanno avuto paura

dei tuoi sogni futuri

 

hanno avuto paura

dei tuoi passi leggeri

 

hanno avuto paura

della tua scuola pubblica

 

hanno avuto paura

delle tue compagne

 

hanno avuto paura

dei tuoi insegnanti

 

hanno avuto paura

della tua libertà

 

hanno avuto paura.

 

Ma tu non perdonarci

no, non perdonarci mai

dolce, cara Melissa!

 

E ogni giorno ci sbranino

il cuore per averti

così poco protetto.

E ogni giorno un tormento

e una pena d’inferno

fin quando non avremo

estirpato l’orribile

vile pianta mafiosa.

 

 

E tu non perdonarci

no, non perdonarci mai

dolce, cara Melissa!

 

Ma, ti prego, sorridi

ancora, ancora, ti prego, sorridi.

 

Paolo Ottaviani

 

 


*

La fonte inconcepibile

La fonte inconcepibile



Il tuo seno è in quell’ombra

che accompagna la veste

composta nella luce

recisa da tempeste

mai del tutto in penombra

placate: nella luce

è il tuo seno stellare,

dopo il cielo, oltre il mare.

 

Quando guardo la curva

celeste e l’infinita

perdita della luce

che lenta tra le dita

e il respiro s’incurva,

su quell’ombra traluce

ancora in lontananza

l’anima mia che danza.

 

Chi scioglie le trecce

là nella penombra?

Chi con boscherecce

insidie nell’ombra

 

 

si nasconde? È Amore

dunque l’ultima luce?

La fonte inconcepibile

che dal nulla conduce

il sole su ogni fiore

è l’ombra irraggiungibile

della tua identità,

della mia cecità?

 

Io più non vedo l’ombra,

né sorgente né foce

ma penso solamente:

la luce è quella voce

persa nella penombra

quieta della tua mente.

E sempre e sempre vaga

dal cielo alla mia piaga.

 

Il tuo seno è luce

e la luce è voce

che chiama e conduce

in pace alla foce.


.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


*

TRE HAIKU

TRE HAIKU

 

 

 

Restiamo umani.

Pietà e fratellanza

tra angeli e belve.

 

Dai morti schermi:

“Chi va alla guerra sappia

che là si muore.”

 

Ma sulla viva

terra vivo per sempre

il dono resta.


*

TRECCIA DELLE STAGIONI

Treccia delle stagioni

 

 

 

Voi che mi avete amato cercatemi d’inverno

accarezzando il muschio che dall’antro più interno

 d’un rude o levigato tronco odora: quel muschio

verdegiada screziato, morbido e vellutato

 

che non si può strappare dalla terra a Natale

per un caldo presepe…da un remoto crinale

io lo volli estirpare…sento ancora la siepe

e la terra che geme! Ma in quel tempo ero un seme

 

o forse un lichene:

non v’era Natale

nel Paleocene

solo il musicale

 

canto d’ogni elemento. Cercate a primavera,

tra la polvere gialla dei fiori e la ciarliera

negligenza del vento, l’acqua pura che balla

nelle piogge d’aprile, nel riflesso gentile

 

di un rapido bagliore: quell’acqua e quella luce,

quel polline sarò. Quando il vento riduce

la gloria del calore dell’estate sarò

in quell’aria che odora forse già d’autunno: ora

 

e sempre cercate

la terra, quei sassi

sotto le brinate,

uno di quei sassi.

 

 


*

DESIDERI

DESIDERI

 

Rosso bambino
o grigio saggio

labbra dischiuse
sempre

alla sete.

 


*

APOLLINAIRE

APOLLINAIRE

 

 

 

 

Libri a metà prezzo sul bancone

e sole di novembre sull’asfalto.

 

L’autunno è morto, devi ricordare.

Non ci vedremo più su questa terra.

 

Pagina senza libro invoca pioggia

come foglia che si macera lenta

per tornare di nuovo terra viva.

 

 


*

CLEOFE

CLEOFE…

 


Dentro questo Natale, se Natale…Natale
fosse Natale il giorno di Natale e la sera…
…già respiro la nebbia… della vigilia di Natale,
…e sfioro questa gonna, calda alle mie mani
come cenere azzurra, come gli occhi mai spenti,
dolcemente incavati, mai visti sulla terra
né in cielo… forse in mare solo i gabbiani a sera…
un rapido riflesso di quel viola acceso…

Ma tu, semplice grazia, naturale prodigio,
tu, che nessuno al mondo mai ha saputo da dove
e perché eri venuta su questa terra magra,
in questo chiuso cerchio di boschi e vette spoglie,
tra le ciarle dei sassi che raccontano una gloria
lontanissima nei sogni che ci giungono dalla Grecia,

dall’Asia, in quel dolce mistero del tuo nome… Clèofe

Tu dentro questo nostro Natale…se Natale, Natale…

 


*

GABBIANO

GABBIANO

Se questo mare azzurro
fosse una tela colorata
ecco staccarsi in volo
dallo scoglio il mio gabbiano
indi posarsi calmo sull’acqua
ignaro del tempo che devasta
dell’universo la tela sconfinata.

 


*

SIBILLE

SIBILLE

 

Dormono sassi rossi le cime
sibilline
occhi e rocce a nord-ovest
volto sfingeo lo squarcio non mira
verso il mare
né il fresco chiaro d’acque
e d’ombre tenebroso
dentro la forra
infernale.

Bruciano sassi rossi i desideri
nella luce
serpentina per vette
che muove il nostro sangue oscuro d'erba
e di laghi lucenti
defilati destini
sulle schiene all’orizzonte
oltre la fatica
e il sole.

 


*

LA LEPRE

LA LEPRE

 

Saltando tra le ruote in corsa
è salva la lepre che già fugge
col tuo grido di ghiaccio alla campagna, nella sera.

                      In controcanto canti:
                     

                      “Ho visto di rosso vestita
                      in strada ghignare la morte:
                      s’è sciolta in mano la neve,
                      è vano sogno l’amore,
                      a tutti è comune una sorte”.

Non ti ascolto e per i campi seguo e calco
il grido metamorfosato nella terra.

                      In controcanto canto:
                     

                      “Ho visto una timida lepre
                      in strada beffare la morte:
                      sulla mia mano scende la neve,
                      è vano sogno vedere
                      che a tutti è comune una sorte”.


E solo per i campi vago
nel lieto divenire della sera.

…Chissà se mi guarda la lepre?

 


*

POETI E PAROLE

POETI E PAROLE

 

“La parola è il cenno e il suono del silenzio”
(M. Heidegger, L’essenza della filosofia)

 

Quel canto in silenzio raccolto
sulla curva estrema del mondo,
                  ricordi lontane viole, chiuse nel vento?

Il suono si smorza nei vuoti
e la luce col buio s’intreccia.
                  Nei piovaschi ricordi quei volti?

Ci sono soltanto case e silenzi
sul limitare dell’acqua del mare,
                  le reti sfuggenti all’azzurro, ricordi?

La sera è gonfia di sale
e il mare s’inarca alle stelle.
                  Ricordi le luci fioche sui monti?

Si dicono erranti parole
sulla porta socchiusa dell’eco,
                  non vedi quei muri a difesa così grigi, così sordi?

Difendono parole perdute o non dette
da umani poeti in ricerca.
                  Nella nebbia non vedi sembianze?

Aurighi sfrenati nel cielo
volano al di là delle mura.
                  Spiragli nuovi di luce di lontano non vedi?

L’acqua col fuoco si perde
e il vento roccia diviene:

questo nostro dolce vento dell’anima.
                  Vedi, ricorda:

il vento e la roccia, non altro è poesia.

 

 


*

INCANTAMENTO

INCANTAMENTO

 

 

Sandro e Pier Paolo per incantamento

vorrei sentire in barca ragionare

ed io cheto alla barra scrutare il mare.

 


*

WALTER, GIOVANNA...

WALTER, GIOVANNA...

 

Giovanna, Walter... ascoltate il suono
che dentro i vostri nomi si ripete
e sempre in quarta sillaba risuona:
Walter, Giovanna... come un lento andare,
un’affondare il passo nella neve,
van... val... variar di nuvole nel cielo,
un batter d’ali che rimane aperto,
val... van...un vento calmo che ritorna,
a prendersi, a donare ogni dolore,
un sogno che si schiude dentro un sogno...

 

 


*

GLI SPARTITI DI PIERO

GLI SPARTITI DI PIERO


                                                                                                                        (In memoria)

“C’è scritto, basta leggere”. E dal foglio
tormentato di chiose - a Montedoro
è già scesa la sera, (ci ha sorpreso
come ogni sera) - quel “vento di rabbia”
si alza e si placa tra le tue mani
e la chitarra, laggiù “In Palestina”.
Chissà quale mistero mi portò
dentro la tua leggerezza antica,
in quel confuso fiume di parole
senza miraggio di foce nel mare…
…già eri nel mare e nel vento a seguire
quelle faibles nuances della voce:
“ascolta com’è puro questo suono!”
quasi gridavi da quell’altra stanza
nel tuo eterno vagare plongé
sempre un poco al di là dell’immediato
contatto, quasi fossi sollevato
da terra, come smarrito in quel cielo
che ti sfiorava la fronte e brillava
negli occhi, non scendeva mai la sera
sul tuo volto chiaro, ti prendeva
alle spalle, infedele come un gatto,
ma non portavi rancore alla sera,
alla vita che fugge, a tutto ciò
che finisce, ingannavi il tuo tempo
perché già eri oltre il tempo, già sapevi
che non c’è morte, ma gioia nel vento.


 


*

PIAZZA IV NOVEMBRE

PIAZZA IV NOVEMBRE

 

Sulla piazza pulita dal vento
sosti all’incanto di una vetrina.
La gente passa leggera: è trasparente
la tua acerba felicità e ciò basta
a non parlare. Una nuvola nera
di piccioni va rumorosa
alla profenda e fermo risali
dall’inquieta tua voragine di dubbi.
Cammini leggero tra la gente
sulla piazza pulita dal vento.

 


*

SONNO

SONNO

 

Sonno. Libero e luminoso.
Insieme fondi vita morte
e amore. Inaccessibile
sovrano sei forse tu il tenebroso
padre della luce e del colore?

 


*

Barriera

Barriera
                                                                      (A mio figlio Bruno)
Oltre l’informe barriera del cemento
guarda come s’alza all'orizzonte la collina
e come il cielo s’incurva alle sue pieghe
adagiato nell’amplesso, proteso all’amore.

Nel cemento - lo sai - c'è la storia
degli uomini e non si può cancellare.

Ma non senti che nel bacio del cielo
alla terra più puro diventa l’azzurro
e forse più bello il nostro domani?

 


*

Stambecchi

STAMBECCHI

La schiena più lieve la fronte più curiosa.
Due volte son fuggito
nel giorno di sole annuvolato.

Torna il dolce tempo del silenzio solitario.

Il cuore già sulla montagna
saltano gli stambecchi tra le pietre
festosi nell’acqua sorgiva calpestano
le parole lucenti del mio canto.

*

Senza una rosa

SENZA UNA ROSA

Conquistare un'eternità dissonante
non è possibile
se veniamo uniti
dal buio e dalla luce
senza più tempo
senza una rosa.
Non resta che l'umana pietà
e la paura
se veniamo divisi
dal tempo di un fiore
e le nostre parole
fanno storia soltanto.
Dispersa la corolla
intuire che non siamo
se non polverosa ventura
di polline
musicali forse, ma invano.


*

Balestrucci, Lavatoio

BALESTRUCCI

Toccano le foglie e la memoria
azzurra dell'ellissi
planano sugli ossidi tra cimase
sgretolate i balestrucci
inquieti sulla smarrita via.
Non chiedono che il nido sfidi l'eterno.
E’ l'uggia passeggera dello stentato volo
la tegola divelta
i platani bruciati del viale
il crollo subitaneo di quest'ora
a ridere sui tetti tra le antenne.


LAVATOIO

Fresca verginità dell’acqua
sotto archi puri di un lavatoio
antico: inquieta cenere la memoria
di lavandaie ciarliere di me
silenzioso fanciullo
e luce e vento
e monti e cielo
ansiosi ancora.



*

Mattino, Un dio

MATTINO

Un mattino celeste
pallidamente s’annega
in verdi profili.
Tutto è fermo.
Odo il mio cuore
padrone inutile del mondo.


UN DIO

Non io ma un dio talvolta
produce il verso misterioso
e nell’oceano che s’apre
tra una parola e un silenzio
festoso navigo e attento.

*

Apocope, Pastello

APOCOPE

Alla memoria di mio padre
che la poesia amò e
silenziosamente
mi fece amare

Esile azzurro di settembre
               dolci cosmogonie lungo i filari
               al chiurlo del falcetto si stroncava
               la gramigna infestante e le celesti meccaniche
               che ingenue senza gli dei
               ruotavano le stelle e la mia essenza.
Esile azzurro dei tuoi occhi
               apocope del mondo la tua mano
               salda sul raspo e lieve alla secreta
               pruina segnalava già solitario
               il tuo destino e il grappolo dell’uva
               proponeva ad altri occhi - i miei -
               di svanire lenti, quasi cantando.




PASTELLO

Funghi sulla collina,
aria che zampilla
e irride la maestà
di querce secolari.
Allegro il mondo.
La pecora china al suo pasto
d’erba e di saggezza:
bianca sul verde.


*

Gli ulivi e la cenere, E questi ulivi storditi, E vennero...

GLI ULIVI E LA CENERE


Cenere tra gli ulivi
lungo grigi pendii,
tra le pietre incrinate della via.

Il filo della vite alla grondaia
rotta sale, tremando
per il tuono di un motociclista.

Vengono e vanno
sui selciati sconnessi gli studenti.

La storia è vento,
ventura per la via.

Cenere tra gli ulivi
d’argento sui pendii



E QUESTI ULIVI STORDITI D'AZZURRO


…Più nulla
se non tempo uniforme e ridente
se non tempo disperso nel vento.

E questa foglia spezzata tra denti
e questo freddo che brucia il mattino
e questi ulivi storditi d’azzurro.



E VENNERO GLI ULIVI A VISITARMI

Vengo da terre lontane, posso
soltanto donare silenzi infiniti…
Se tu sarai schiva
forse anche un fiore.

E vennero gli ulivi a visitarmi
e il primo freddo d’autunno
nei vicoli sacri di Perugia
l’odore antico dei camini

e tu stavi lontano
tra legna casalinga
e fango delle scarpe
sull’orlo infinito della luce.

*

Treccia del sogno di una fiamma buona...

Treccia del sogno di una fiamma buona

(o del morire degli emigranti)

 

 

Le furie della notte senza luna, le grida

soffocate nel gelo della sabbia, la sfida

del sangue nelle grotte della fame. E’ un cielo

implacabile: incombe sopra le dune, tombe

 

spalancate alle stelle sulla rena rovente.

E la frusta del vento sul sudore splendente

dei corpi e della pelle. Là il mare e l’avvento

d’un luccichio di morte da carcasse contorte.

 

Bianca all’orizzonte

l’Italia, la terra

dei morti. Un Caronte

del mare ci serra

 

o spalanca la via. Flette una palma. Sete,

lama che acceca e taglia con furor di  machete.

Siamo lugubre scia. Davanti la muraglia

schiumosa del mare. Ma il velato sognare

 

di una fiamma fraterna, di un umano tepore,

fa in lontananza bianca la terra dell’amore.

Da un’eco di caverna lenta una voce sbianca

sui nostri occhi accesi, dagli ulivi protesi

 

sul nostro morire

una fiamma buona

nel calmo svanire

crepita e risuona.