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Raccolta di poesie di Paolo Pera
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

[Di tutto quel che dite]

Di tutto quel che dite,
Io non so niente.
La professione più degna
È l’afasia di chi vive
La scoloritura carnale.
 
Non volli mai
Intendere l’inchiostro
Quale perpetuità positiva:
Ogni accenno d’infinito
È la boria d’una vita
Senza il tempo.
 
Chi pratica lo sport più definito,
Il pianto su sé stessi,
M’ha insegnato l’acidità del latte;
Infatti, non ho mai più poppato
Dopo la caduta nel peccato…
 
(Paolo Pera)

*

A Giacomo Rosso

La società che ci rigettava

Ti ha accolto nel gruppo

Dopo la tua morte.

 

Nemmeno avrebbe voluto,

Ma il prete chiese

Di formulare un simbolo.

 

La tua barba fatta di carne

È l’unico ricordo che rimane

A quel povero fesso

Che t’accompagnava

Per le colline.

 

(Paolo Pera)

*

(Asterischi)

L'aurea mia ricorda

Il mostro che parevo,
Ma fui solo
Pollina incompresa.

 

Tu pulzella, solitudine,
Non m'hai quasi conosciuto
Ed eppure mi rifuggi
Come fossi pietra dura.

 

Non son certo d'esser io
Quell'aborto che vedete,
Ma mi credo integralmente
Sfortunato per natura.

 

(Paolo Pera)

*

Richiesta di perdono

Perdonatemi: ho bisogno di maestri,

Di sapienti che mi guidino;

Altrimenti errerei

Solitario come uno spillo

Conficcato nella lingua.

 

Perdonatemi: non so stare

Senza padri iracondi;

Senza calci negli stinchi,

Che mi scrollino di dosso

Le lacune e le indolenze.

 

(Paolo Pera)

*

Amici latenti

Amici latenti, disconosciuti,

Tornano da lontano
Per incontrarmi dopo i tempi:
Non esserci più visti, nella vita.

 

Come uno specchio di fragole
E cristalli che mostrano
Il corpo d’un altro alieno…
Venite nella mia follia.

 

Voi, eccovi arrivare ancora
Con ghirlande appassite.
Adesso ci rivediamo, nel sogno
Io fui sempre qui…

 

Foste voi a mancarmi andando
Dove non m’era accessibile la vita.
Vi discolpate, o fuggite?
Invero state muti, dormendo.

 

 

da «Solitudine – La quattro stagioni»

*

Autunno. Gocce di non essere

Vivo nel Nulla di me stesso
Nullificando la mia presunzione,
E rimpiangendo la coerenza arrogante:
Ora passata tra cori di calda debolezza.
Tra tutto ciò sono un inganno,
E mi inganno tra parole non comprese.

Sofisti, che non hanno studiato,
Parlano usandomi quale tramite;
E non è la Risurrezione a promettermi
Lo spasimo, ma la rabbia
E l'indifferenza al peccato.

Eppure ingurgito latte e miele
Pur di non soffrire l'astinenza
Dall'amore: che scoppia
In un'autocombustione,
In focolai gastrici e gambe
Spezzate per l'avvenire eucaristico.

M'ammalo nella mia stagione preferita,
Parlando il linguaggio degli alberi,
E vivendo perduto tra le rocce.
Incontro per sempre l'attimo:
Fermo, però, in un secondo d'inerzia...
Così, dissolvendomi, predico la tradizione
Praticando l'estinzione volontaria.

*

Noi abbiamo ingabbiato il fuoco

Noi abbiamo ingabbiato il fuoco

In accendini. Il fuoco
Non è cosa di natura, ma cosa d'uomo
Che lo chiama a sé per mangiare.

Noi abbiamo ingabbiato il fuoco:
Violento è il suo rapire, e rapirci,
Il castagno quarantenne.
E scoppietta, e dilania, e si dilata.
Invadendo Nazioni avversarie,
Portando nella sua cenere i sensi di colpa.

Noi abbiamo ingabbiato il fuoco
In questa nostra polvere,
E abbiamo spostato il suo calore
Sotto i resti d'un animale
Che sarà il nostro cibo
Per non estinguerci nella fame.

Noi abbiamo ingabbiato il fuoco.
Ma che ci resterà di Lui
Dopo l'estrema consumazione dei nostri resti?