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Raccolta di poesie di Quattrostraccisullapelle
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Scenderò


Scenderò fino ai tuoi piedi
Bacerò le tue caviglie
Passerò con la lingua i loro colli
Risalirò fino alla tua fonte
Nell'umido delle sue meraviglie

Mi sarai latte e miele
L'eden sarai dei miei sensi incantati
Rapiti fino sopra i tondi colli
E le soffici valli

Sarò un interrotto canto di piacere
Berrai le lacrime della mia gioia
Io berrò di te ogni goccia del tuo amarmi.




*

Frammento di un discorso moroso

 

La parola ridotta ad una smorfia

Del pensiero o ad un abito da sfoggiare

In società, ostentarla una ricchezza

Mentre il vuoto della bocca la lorda

Delle fioriture di una semenza ingorda,

Una bava che la invischia nella vanità

Delle apparenze di un'élite borghese

Assetata di potere e di esclusi. Non v'è

Parola veramente dotta nel soffio

Degli stolti, politici della parola

Che rimangono prima della soglia

Su cui la parola affaccia e si offre

Mediatrice della verità. Lo stolto è sordo

Al senso della parole, narciso

Non ama che riflettersi nei propri specchi

Mascherando a sé il mondo. Amo

La parola dei folli, gli anarchici

Della parola; oppure amo il saggio

Che conosce l'ora del parlare e del tacere

Ed il senso finito di ogni parola 

Nell'alveo di un dire solamente umano.

 

 

 

 

*

-in-distinto

                                                                                                 all'otto marzo

 

 

è una data da celebrare                   

senza fronzoli nè panegirici,

senza esaltazioni di ruoli familiari

o domestici, senza velate erotizzazioni.

 

è un atto politico, di liberazione culturale,

che io posso solo celebrare se

m'identifico, -in-distinto, con te.

 

 

 

*

Lidi di Marzo


Non vorrei che tu pensassi
Di aver preso possesso della mia coscienza
O di fabbricare con i ministri del tuo potere
Il pensiero critico pronto all’uso
Per la mia mente che vorresti disoccupata
O distratta dai tuoi giochi di prestigio.
Porta pure avanti ciò che credi
O ciò in cui fingi di credere
È in fondo la maschera della menzogna
Con cui inganni il popolo e conservi il tuo potere.
Però nulla è eterno e tutto passa
Anche tu, come me, presto o tardi morrai
E con te le tue false idee di giustizia e libertà.
Non vorrei che tu ti pensassi
Già padrone della mia coscienza.


*

annotazioni

 

su di una stecca sola

si reggono i miei occhiali,

 

precaria è la lettura

conforto dei miei mali.

*

Non siamo ancora


Non siamo ancora al cuore di Dio:
Il cuore di Dio è il Figlio del Grido,
Il Suo cuore è tutto in quell’Abbandono.

L’Essere non è nelle forme: è
L’Informe; è Colui che si fa Radice d’ogni cosa,
ma la Radice è in pura perdita, discesa
E mai di Sé vedrà l’ombra. Gli occhi di Dio
Non vedono ciò che noi vediamo, perché l’Amore
Sceglie per Sé la cecità, in pura perdita
Dentro le pupille dell’Amato.

Eco di quel Grido
Sono le parole infelici
Che ci bruciano le labbra.


*

un ricordo


tutti i giorni ci circondavamo di giornali così potevamo conoscere nei dettagli i nostri corpi esplorandoci a vicenda le parti coperte alla luce del sole ma questo accadeva solo in primavera d'autunno o d'inverno
non serviva la carta sui vetri si poteva fare l'amore in macchina
senza timore di essere visti anche perché già gli umori ed i fiati
annebbiavano i vetri ed un poco le coscienze rapite dai sensi nei loro primi ardori ci bastava una macchina una via secondaria l'agilità dei corpi ed il mondo ci sembrava un'alcova altri anni un altro tempo punto




*

il lamento del mare


qui si continua a morire, improvvisa la morte interrompe un respiro, non sappiamo
decifrare il futuro; si muore
in ogni momento.
hai provato a guardare oltre il vetro della finestra chiusa?
qualche volta capita che un raggio di sole disegnato su di un foglio di carta
affacci sul mare.

ti ricordi di Daniela e del suo seno sotto il costume? oggi
sono andato a passeggio in un parco, tra gli alberi l'ombra appariva
un rifugio, un eremo abitato da spiriti buoni o fatine del bosco
che portavano il canto del vento tra le foglie sull'erba.

guarda la notte che si riflette in uno spicchio di pianto di un volto della solitudine d'asfalto.

la tv è accesa, la finzione è di scena o la manipolazione del reale. io provo
ancora una volta a dormire. sul cuscino una conchiglia mi riporta
il lamento del mare.

*

Eteronimia n°3 (acrostico)


Evanescenza dell'esistere,
Torre d'argilla l'umana ambizione.
Esuli senza patria e senza asilo,
Raminghi rovistiamo
Orditi tessuti di nulla.
Nascita e morte sono gemelle,
Inutile ogni umano affanno,
Miseria e nobiltà solo convenzioni,
Identica per tutti è la fine;
Ali per il volo un mero inganno.



*

Eteronimia


Non muta il destino un nome,
Il medesimo io si traveste
Cambiandosi in mille possibilità.
Kerouac scriveva “perché tutti mentono, pensano che anch'io menta”:
No, lui non mentiva,
Altra radice ha l’inganno.
Mutò di sé il proprio nome anche Pessoa,
Eteronimia della letterarietà.






*

Eteronimi


Non v’è nascondimento:
Identità di gioco, giostra,
Coriandoli d’un volto, circo,
Kamasutra di nomi;
Naufragio d’identità.
Alla finzione si affida:
Maschere di altrettante verità
E una resa alla propria umanità.















*

Siamo ancora qui

 

Siamo ancora qui, io e te fratello,

nel tempo che s'attarda a transitare

dentro il cunicolo oscuro, fantasia

di sollazzi giovanili o di giochi

azzardati alle spalle di un ramo ricurvo

spoglio di rigogliose foglie, gelo

di segni, afonia di minuti

per un minuto piacere e geme

il seme dissepolto dalla coltre

d'una necessaria dimenticanza,

ricordi apertisi a ferite,

vene di un sangue ancora vivace;

e tu, mio corpo, fratello mendico,

da una carne corrosa di fami condotta

contendi ai vecchi la quiete dell'attesa.

 

 

 

 

*

Datemi

 

Datemi l'anarchia del verso,

La menomazione del mio dirmi

In poesia, lasciatemi la cifosi

Di un suono gobbo, non correggete

Per pietà o per dottrina la mia bruttezza;

Lasciate che la bellezza del cielo eluda

Il ristagno delle mie pozzanghere

E il vento vi lasci il fiele delle rughe d'acqua.

 

Non mortificate la vita, è dei morti la perfetta stasi.

 

 

*

Doppia V

 

Ho visto in un video Valerio

Era seduto accanto alla Vivian

Che recitava dei versi

Di propria fattura.

 

Sono grandi di età e forse coetanei, non so;

Sono grandi poeti e si sa,

Ma hanno il volto bello degli anziani

Senza i fronzoli della vanità.

 

Era bello di Valerio il sorriso e quel gesto

Di portare nel portafoglio

Una poesia della Vivian

Che quasi neppure ne ricordava il testo.

 

 

Che bello che era Valerio

E che bella che era la Vivian

In quel video che sulla Poesia

Dice più di tante disquisizioni.

 

 

*

Il pranzo di Natale


Mi è indigesto il cappone a Natale
E la carta da regalo un lusso
Da ottanta centesimi.

Non leggo poesie di Natale al pranzo di Natale:
Non digerisco le precotte e quelle di buona scrittura
Tengono pure per i mesi a venire.

Sono le coincidenze che mutano i giorni,
Le circostanze li fanno finire nel brodo
Di un turno alla mensa dei poveri,
Per altri, con gli occhi al menù
In un ristorante fuori le mura
Di casa - peraltro qualcuno solo
In veste discinta di un panino da marciapiede.

Dicevamo del cappone a Natale: non lo amo,
Preferisco tenermi la voce
E tutto il resto fino ai settanta.

*

Aa3

 

Ed era il mar delle ascelle

La cava femminile dei turbamenti,

L’altro offerto al nero sfiorava l’occhio

Appena riemerso al pelo d’acqua. Regia

Di sensi la sottrazione che il pudore

Sottometteva al vaglio della seduzione;

Così si costruivano fortilizi con le mani

E il guado dell’ultima frontiera

Sorpassava la stessa sua immaginazione.