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ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE
Silloge di 60 poesie
ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE
Aride stelle in cielo;
geometrie
senza emozione, senza luce, senza
una semplice nota dissonante,
una parvenza minima che parli
della bellezza dell’imperfezione.
Questo universo immobile ci incanta
e l’ordine perfetto ci seduce
ma vivere è tutt’altro.
E’ il fango che produce
le fioriture magiche del cuore.
Si vive male, a volte, ma si vive
malgrado la follia degli assoluti.
Si spera il sole e intanto ci si appaga
del freddo di un inverno senza luce.
Il vento cresce
e porta neve all’uscio delle case,
risale le colline addormentate
nell’infinito sonno senza luna.
Come in letargo, la natura tace
e un tempo impercettibile trascorre
sull’orologio, al muro di cucina.
Non farei cambio della mia fortuna
di vivere una vita irrazionale
con l’equilibrio inutile dei saggi.
La geometria perfetta dei solstizi
genera mostri.
Solo il cuore,
la sua tachicardia disordinata,
dà il giusto ritmo al vivere una vita
di un’unica certissima nozione:
la meraviglia dell’imperfezione.
1
L’INCAPACITA’ DELLA PAROLA
Logora il cuore
quest’incapacità della parola
a dire l’indicibile,
a tentare,
solo a tentare almeno
di cogliere in un verso l’incantesimo
di ciò che accade, a volte, in un istante
e che sappiamo
nessuno al mondo potrà più rifare.
E fugge via di lato
e non sapremo mai come raggiungere
il lampo colorato tra le foglie,
il sogno d’aria,
del sole che traluce tra le case
in questo pomeriggio di città.
Nessun istante è uguale
a un altro e quando il cuore
è rassegnato al suo destino opaco,
qualcosa d’impossibile a ripetersi,
all’improvviso accade.
Tu mi sorridi da una lontananza
e il tuo sorriso emerge quasi come
da una nuvola bianca,
una colomba.
Come quel raggio pallido
di sole che traluce tra le foglie
in questo inverno freddo di città.
Ed è così
che per un giorno ancora non si muore.
2
FOTOROMANZO
Tutto pareva svaporato, al tempo
e tu svanita, come alla memoria,
la pallida parola che fu detta
l’attimo prima di finire.
Fanno
come le foglie quando arriva il vento
le tende alla finestra della stanza.
Sembravi, dentro l’arco della porta,
quasi la forma della lontananza.
Spargeva il lume, come fa la luna,
un misero chiarore, quasi bianco.
In un istante la figura incerta,
come d’incanto, si è dissolta in nulla.
Siamo fantasmi, corpi inconsistenti,
monadi sperse della stessa storia,
siamo gli avanzi dello stesso pranzo
o solamente come bolle d’aria.
Siamo le frasi, chiuse in un fumetto,
di personaggi
da fotoromanzo.
3
E VICEVERSA
Io sono ciò che penso
e viceversa.
Che questo corpo sia cosa concreta
o sia semplicemente il mio pensarlo
a dargli vita, a farlo esistere davvero
e sia così per ogni sentimento,
per il piacere d’una musica che m’entra
fino al profondo, chi potrà dirlo mai,
chi potrà dirlo.
E quella tua bellezza
che mi seduce e mi fa credere che esisto.
Non ho certezze ormai, non so più niente
di quello che sia vero o che si inventi
la mia mente contorta e delirante.
Ti tocco con le mani e mentre avverto,
sotto le dita, la tua pelle liscia,
ho il dubbio che i miei sensi mi tradiscano
e che tu esista solo se ti penso.
Mi perdo in un delirio in cui capisco
di essere null’altro che il pensiero
di un altro che mi pensa.
E viceversa.
4
LE POSSIBILI INTESE
Impiego il tempo a ricercare intese,
complesse ed impossibili, alle volte
e metto in campo tutta la pazienza
per ricercare un punto di contatto.
Mi snervo e mi esaurisco nello sforzo
di dirti, senza urtarti, ciò che penso.
Le mie parole cadono nel vuoto
perché non so trovare l’argomento
che possa condividere con te.
Tu sei testarda e irremovibile e mi pento
del mio tentare approcci inutilmente.
Finisco col pensare che non possa
esistere una cosa che ci unisca.
Porto pazienza un attimo,
poi esco
ad incontrare il mare che conosco.
Oggi è infuriato e schiuma alla battigia
come un cavallo che abbia corso a lungo.
Iroso ed irascibile mi sembra,
almeno in apparenza
ma se socchiudo gli occhi e sto in ascolto
mi rendo conto che mi acquieta dentro
il suo respiro fragoroso
e lento.
5
EPANALESSI
Il cerchio che si chiude.
L’inizio che riparte dalla fine,
come nel cane il muso con la coda.
Io conoscevo un tempo le parole,
non tanto quelle che si imparano sui libri
ma ciò che corrisponde al fiato e al cuore.
Parole come cellule viventi,
cose di carne e sangue ed escrementi,
messaggio esistenziale preesistente
a quel che sono e al mio concepimento.
Parole intense e magiche
che il varco nella vita ci preclude.
Parole che si scordano esistendo,
come il male del nascere e il terrore
del viaggio nel canale vaginale.
Il necessario oblio della paura
è come ciò che accade alle parole.
Mi illudo a volte,
per via di qualche sprazzo di memoria
e luce dentro un buio prenatale,
che tutto torni al punto originale.
Epanalessi, in fondo come dire
l’inizio che riparte dalla fine.
Le troverò cercando le parole
per chiudere quel cerchio che non chiude.
6
LA TRISTE ALLEGRIA DI ALBINONI
Ho frenate allegrie, come adesso
che mi sento distante da me,
come un cielo in tempesta
su un paese soltanto intravisto
nella nebbia di un sogno.
Una nube sinistra ora incombe
sul villaggio alla cima di un colle,
prati verdi in salita
sulla costa di un nastro di strada,
una quiete perfetta che esplode
in bagliori di luce improvvisa.
Allegria di naufragi nel sogno
di qualcosa di inquieto e perverso,
allegria di non essere e stare
di lontano a guardare.
Ho frenate allegrie del passaggio
di una nave nei mari pacati
della luna, le notti d’estate.
Ho frenate allegrie d’abbandoni
a una musica dolce d’orchestra
sulle molli lagune.
Sto pensando
alla triste allegria di Albinoni.
7
UN’OMBRA CHE MI SEGUA
La nebbia fuori ha soffocato il mondo.
Dalla finestra aperta sui cortili
osservo il poco cielo che traspare
come una scena dietro ad un velario.
Antenne di tv come fantasmi,
comignoli che fumano di bianco.
Un mondo sofferente si addormenta
in questa luce pallida che pare
un mantello pietoso che ricopra
una città che muore.
Così perso,
mi lascio andare al sogno ricorrente
di andare via di qui, verso altri lidi
dove non muoia il sole nei tramonti,
dove la luna transiti sui colli
tutte le notti, luminosa e immensa.
Ormai non so resistere all’affanno
di questa nebbia, fumo di un incendio
che ottunde la mia mente e mi confonde
e mi fa fare cose senza senso
per rapinarmi il tempo che mi resta.
Voglio cercare il sole dove c’è
e voglio avere un’ombra che mi segua
per farmi compagnia,
sola certezza mia
che sono vivo, esisto e lascio un segno.
8
L’INSIGNIFICANZA
Andare via da qui, come d’autunno
la nube spinta al filo d’orizzonte
da un alito di vento mentre il giorno
apre le porte a un brivido di luna.
Pallida e assorta lacera l’assurdo
precipitare lento nella notte.
Vorrei partire come l’aeroplano
che taglia il cielo col suo volo sghembo.
Vorrei lasciare il nulla alle mie spalle
e nessun segno del mio passo incerto.
E’ l’insignificanza il mio messaggio,
l’inesistenza il ruolo che mi tocca.
Farò di tutto, come ho sempre fatto,
perché mi si dimentichi al più presto.
Voglio andar via in un attimo e sparire
come la nube ch’è trascorsa adesso.
Rimarrà il vento e il chiaro della luna
e correranno il cielo per l’eterno.
La nube sparirà come sparisce
l’aria nell’aria
e il giorno nella luce.
9
FLUSSO DI COSCIENZA
Rifluisce dal mare alla sorgente
il fiume dei ricordi e la corrente
si fa violenta, a tratti.
Un uomo grande che respira fumo
esala dalle nari un’ira sorda.
Un cane ringhia alla catena breve.
un altro corre libero sul prato.
Ho già finito.
Non c’è spazio alcuno
per spiegazioni ai miei trasalimenti.
Il poco di memoria mi consegna
soltanto stralci di realtà diverse,
sprazzi di luce dentro un buio pesto.
Non so trovare alcuna spiegazione
ai miei processi onirici e mi lascio
portare via dal flusso di coscienza.
Non c’è nessuna scala di valori
tra tutto ciò che affiora lentamente.
Disordine mentale, confusione
e non si sceglie un metodo speciale
di catalogazione.
In testa allo scaffale un’etichetta
e ad ogni mensola soltanto un nome.
Non mi rimane più che questo poco,
un ridottissimo elenco di parole
e a ognuna il suo colore
per evocare l’ultima emozione.
10
COME IL SASSO SULL’ACQUA
Se mi affaccio alla soglia del vento,
da quell’albero spoglio si stacca
anche l’ultima foglia.
Brucia l’aria
di una polvere lieve di neve.
Verso sera,
come un’onda alla riva si placa
la tempesta che ha smosso i pensieri.
Solo ieri era quiete e la pace che torna
è più dolce di tutte le attese.
Da uno scoglio lancio sassi nel mare;
ho cercato i più piatti e sottili
che rimbalzino a lungo sull’acqua.
Io li seguo con gli occhi ed imparo
a ripetere il gesto
perché duri più a lungo ogni volta.
Ogni cosa che pesa, il mio corpo di pietra,
si solleva alle volte e galleggia
per un salto ed un altro
e alla fine precipita a fondo,
come il sasso.
E’ un destino che incombe
questo corpo che sceglie
la voragine blu che lo attende
mentre dentro ribolle la voglia
di restare sospesi,
rimbalzando ogni volta più a lungo
come il sasso sull’acqua.
11
CIELITUDINE
Rubo a Zanzotto una parola sola:
Cielitudine
e poco dopo parto per l’ignoto.
Cielitudine come solitudine
e come nostalgia di cieli vuoti
o come assurdo ed algido colore
di perle di cristallo dentro il sole.
Cielitudine, cielo di colline,
di boschi e di dirupi sulle valli,
curve di strade, tracce di ferite
che salgono al San Boldo, come scale.
Soligo dorme sonni millenari,
Rèvine piange lacrime di lago,
San Pietro di Feletto sul crinale
sorride del sorriso delle vigne.
Cielitudine vasta come un mare,
latitudine, punto cardinale,
quarantacinque gradi, a metà strada
tra l’equatore e il perno del ruotare.
Cielitudine chiude la misura
d’un infinito tutto da esplorare.
Socchiudo gli occhi e dico: cielo
e vedo
una cupola azzurra e chiuso dentro
un orizzonte di montagne care.
Ridico cielitudine e mi siedo
per farmi seppellire
da questa assurda immensità di cielo.
12
NESSUN SEGNO, NIENTE
La strana idea che abbiamo
di ritrovarci un giorno
in un mondo diverso, un aldilà
che non sappiamo bene dove esista,
ci insegue dalla nascita,
da sempre.
E’ un’esigenza nostra insopprimibile
di alimentare, in fondo, la speranza
che tutto non finisca, come pare.
Ci piace immaginare
un paradiso nostro, un luogo dove
si possa ritrovarsi un giorno insieme.
Ci sembra intollerabile il pensiero
che tutto si esaurisca in questo viaggio
e confidiamo
in vite differenti, in altri altrove.
Eppure siamo,
come il fiore e il cane
e l’ape e la farfalla e il calabrone,
siamo materia e carne e pulsazioni.
La nostra fantasia, l’anima intera
vive di fede, d’ansia e di speranza.
Un infinito orgoglio si figura
che all’uomo spetti
un’altra dimensione,
un mondo differente dove vadano
i morti che ci sono stati cari.
Io non vorrei per me nessun altrove,
mi basterà la vita che ho vissuto.
Io sono come il cane che mi ha amato,
il passero trovato in un cespuglio.
Io sono come il fiore sul balcone
che vive il tempo che gli è stato dato.
Vorrei, per il mio giorno di commiato,
potermi cancellare dal registro,
vorrei poter morire
integralmente
e non lasciare tracce,
nessun segno,
niente.
13
IL PRIMO TRENO
Il primo treno passerà tra poco
e la luce velata del mattino
andrà crescendo come in un acquario.
La bianca luna svanirà nel cielo.
Lucifero é ormai quasi evanescente
e tante stelle sono impallidite.
Tutto é sospeso come in un'attesa
e l'aria tace ed il silenzio é greve.
Il primo treno passerà tra poco,
soltanto i vecchi sono già per strada.
Dormivo fino a tardi
nel mio lettino e poi nel letto grande
e non sapevo ancora
della luce velata e delle attese.
Occorrerà una vita per scoprire
che le speranze moriranno all'alba.
Allora sarà inutile aspettare
il triste primo treno del mattino
che le trasporta verso il mondo d'ombre.
Il primo treno passerà tra poco.
Soltanto i vecchi sono già per strada.
14
A MIA INSAPUTA
La temo così tanto la mia morte
che a volte spero si sia già conclusa
la tragica avventura della vita
e tutto sia finito
e d’essere già morto
a mia insaputa.
15
NESSUNO CI APPARTIENE
E’ troppo complicato aprire il varco
nella tua mente che mi sta osservando,
entrarti dentro e sciogliere i legacci
che ti tengono avvinta ai tuoi fantasmi.
Non mi appartiene tutto ciò che senti,
ciò che hai provato e messo tra i ricordi.
Nessuno ci appartiene veramente,
noi monadi nel mondo degli specchi.
Credevo di capirti ma da un vetro
mi dava ascolto un altro me riflesso.
Di fuori piove e viene giù dal cielo
un fiume di tristezza senza nome.
Parole buone non so dire ancora
per dare un senso al freddo che mi prende.
Domani spioverà, sarà sereno
il cielo sopra noi che ci protegge,
sarà più azzurro di un mattino a maggio.
Non conta ch’io capisca il tuo disagio,
conta di più la mano che ti tendo.
16
COSI’ E’ MORIRE
Un cielo azzurro e fondo come un urlo
e un aeroplano col suo volo sghembo.
Una canzone dal jukebox d’un bar
e bimbi che si inseguono per strada
tra risa e gridi.
Dentro un ospedale
mia madre inizia il conto delle ore.
Finisce il mondo,
tutte le volte che qualcuno muore.
Si oscura il sole e i fiumi che traboccano
travolgono città, s’apre la terra
e inghiotte prati e boschi ed acquitrini.
Tutto si ferma ed anche gli animali
si annidano nel fondo dei rifugi.
Così nel cuore e non nella realtà.
Non ci sarà nessuno che si accorga
se griderò che non vorrei morire.
Il nostro pianto è nulla e si disperde
dentro il frastuono delle cose vive:
la musica lontana di un jukebox
e i canti e i gridi dei bambini al sole.
Si muore soli e senza far rumore.
17
SAREBBE PIU’ FACILE TUTTO
Sacrifico parte di me, piano piano,
mi faccio ridotto ed esangue,
mi strappo da solo brandelli di carne,
sparisco di un poco ogni giorno,
mi assento e mi annullo
così che nessuno si accorga che esisto.
Non occupo spazi e non reco fastidio,
mi faccio da parte se occorre,
mi anniento e mi oscuro.
Divento così trasparente
da farmi passare attraverso.
Non ho consistenza,
l’immagine mia nello specchio
si incrina al mio sguardo
e non riconosco me stesso
nel pallido esangue fantasma riflesso.
Ho speso il mio corpo pian piano,
nel centro del vento che corre
nel quale non conta il mio peso.
Se tu non mi amassi
sarebbe più facile tutto.
Potrei liberarmi dall’ansia di esistere ancora
per te, come sei,
per l’arco di luce negli occhi che hai,
per l’ultimo gesto che fai per tenermi
sul limite assurdo
di questa scogliera di abbracci.
Se tu non mi amassi
sarebbe più facile tutto.
18
VORREI TU MI VEDESSI
Vorrei tu mi vedessi,
come mi vedo nel mio sogno, a volte.
Nel viaggio che mi porta alla sorgente,
al tempo andato e a quella giovinezza
che non mi ha amato.
Il mio castello avito, il dolce mito
io l’ho inventato con la mia pazienza.
Mi sono dato scopi mai raggiunti
e panorami d’isole segrete.
Mi sono visto, per un tempo breve,
come in un sogno quello che non sono.
Capelli sciolti ed occhi sorridenti
e tu che mi guardavi innamorata.
Sono passato innanzi ad uno specchio
e mi son visto, come sono adesso.
Un viso molle ed occhi d’alabastro.
Quello che resta, solamente un vecchio.
Vorrei tu mi vedessi
come mi vedo nel mio immaginario.
Ci aspettano altre strade di silenzi
ed altre piazze e viali di cipressi
ed altri luoghi e mari e cieli azzurri
ed altre vite, tante, dopo questa
ed altri corpi e volti e specchi d’occhi
ed altre giovinezze ed altre morti.
Ci aspettano altre tavole imbandite
ed altre case tiepide di fuochi.
Se mi vedessi per un solo istante
come mi vedo nel mio sogno, a volte.
19
LA STRADA DEL NIENTE
E’ freddo stamane
ma il sole che filtra tra gli alberi spogli
ha strani barbagli di fiamma,
qualcosa che allude
ad un altro paesaggio.
Ricordo Camaldoli e i boschi incantati
di alberi fitti talmente
da fare pensare alla notte
e lame di luce tagliente ed avara
che passa nell’alto e si perde
nel rosso tappeto di foglie.
La strada si fa rumorosa di luce
e parla con voce suadente
di un altro universo
e di primavera imminente.
E’ solo la fine gennaio
ma incombe un presagio,
qualcosa mi illude che il freddo
stia già per finire ed arrivi
la festa di rane nei fossi
e la crudeltà dei ditischi,
i gridi di rondini a sera.
La vita che corre al finire
ha sprazzi improvvisi
e aspetta dal giorno che viene
un’altra promessa.
Dimentica a volte
che ognuno dei giorni che passa,
magari splendente di luce,
è un passo di più sulla strada
che va verso il niente.
20
ASPETTANDO LA SENTENZA
Come in attesa, stiamo qui seduti,
nel modo di chi aspetta una sentenza.
E’ solo questo quello che ci è dato,
è vita che si spende come il fiato.
Eppure, nonostante l’evidenza,
è troppo bello stare qui aspettando
che l’esistenza, un giorno dopo l’altro,
aggiunga un altro istante ad ogni attesa.
Godersi primavere d’aria tersa
come i ragazzi e l’ipotesi del volo
per farci immaginare onnipotenti
o come l’incertezza dei tramonti
e i vecchi in una tenera demenza.
E’ bello stare qui che si galleggia
al modo di libellule sul lago
o come la cicala che dispensa
un canto che perdura fino a sera.
Tutto è già dato e niente più ci spetta;
abbiamo avuto dosi di veleno
e antidoti di gioia e d’abbandono,
profondi precipizi per cadere
ed ali nuove per tornare in volo.
Questo ci è dato e niente di diverso,
il resto che ci spetta ci è negato.
Inutile aspettare la sentenza,
tutto finisce come è cominciato.
21
IL SOGNO DI VOLARE
Non so pensare ad altro che al perverso
senso di vuoto che mi prende, a tratti,
tutte le volte che mi lascio andare
al sogno di volare.
Librarmi in aria quasi senza peso,
come una foglia a un alito di vento
e come quella pagina di libro
dalla panchina di un giardino al sole.
Una poesia d’amore vola lieve
come sorretta in cielo da parole
vuote di senso ma ricolme invece
d’un’emozione che trasporta il cuore
là dove vuole.
Mi ricordo un tempo
in cui pensavo di potermi alzare,
sopra le cose come levitando,
per osservare il mondo da lontano,
io, l’aeroplano nel mio sogno grande.
Si piomba giù di colpo nella vita
e si rimbalza a lungo
come una palla o come un sasso piatto,
sull’acqua troppo ferma di uno stagno,
per poi finire a fondo.
Non ho mai smesso credo di sognare
e sono ancora qui che spero, a tratti,
per un’ultima volta di volare.
22
COME HO TROVATO LASCERO’
Non mi accomiato mai da nessun luogo
e da nessuno e sempre, ovunque vada,
accumulo ricchezze di paesaggi,
visioni mozzafiato di vallate,
immagini disperse e ritrovate
di luoghi amati e di persone e cose.
Amo ogni oggetto d’un amore folle
che non è voglia inutile di avere
e possedere ma soltanto il segno
che so capire il fascino che hanno
e la memoria che si chiude dentro
e che si incrosta, a volte,
su tutto ciò ch’è appartenuto ad altri.
Ed amo immaginare i volti ignoti
di chi mi ha preceduto,
l’intera umanità che ha già vissuto
ed abitato a lungo queste valli.
Le loro mani strette sulle cose
e gli occhi a carezzare i cieli azzurri,
i monti immacolati sullo sfondo
e tutto ciò che adesso vedo e tocco.
Amo la vita che mi tocca in sorte
e quella già trascorsa che ricordo
e l’infinito numero di quelle
di chi mi ha tramandato le sue cose,
le immagini racchiuse in un quaderno,
la pendola in salotto,
le posate d’alpacca nel cassetto.
Non mi accomiato mai da nessun luogo
e da nessuno e tutto,
come ho trovato lascerò
ed intatto
mi possa risorridere ogni volta
il sole che, riflesso da una pozza,
dopo la notte, come sempre torna.
23
A ROGOREDO
Una tristezza di periferia,
in questi casermoni disumani
al limite di un mare di binari.
Stazione Rogoredo di Milano
una tristezza vaga d’abbandono,
lo stesso odore acuto di città
dei cessi desolati dei vagoni
e identico il colore,
il grigio delle case di ringhiera.
Milano alla mattina
è triste come il sogno che finisce
quando la sveglia ha già suonato l’ora.
Ho visto cose e so di storie strane
che si ascoltano stando in compagnia.
Scompartimenti colmi di sudore
quando si torna a sera.
Il treno fogna
fa soste brevi in tutte le stazioni.
Parole grasse e mani sul sedere
delle ragazze che si fanno fare.
Sono le otto ed è già buio fuori,
domani all’alba il buio è come ieri.
Le stesse case a ridosso dei binari,
le stesse luci alle finestre, accese,
le stesse storie, identiche le attese;
domani sarà un giorno come ieri.
24
FATA MORGANA
(dedicata alla splendida Reggio Calabria)
E’ forse proprio qui che si consuma,
davanti a questo mare che respira,
su questa riva
il senso della vita.
Io l’ho cercato a lungo camminando
lungo sentieri in boschi di silenzi,
nelle radure dove si confonde
il verdeggiare delle canne al vento
e l’acqua quasi ferma dei canali.
Io l’ho cercato nelle vie traverse
delle città morenti e silenziose
e lungo i marciapiedi delle donne
che vendono l’amore.
Io l’ho cercato ovunque immaginassi
potessero nascondersi segreti.
Ho rovistato tra le cianfrusaglie,
negli angoli nascosti dei pensieri.
Non una frase o una parola sola
a dare un senso al vivere che vivo,
inutile cercarlo dove credo.
Non è mai là, nei luoghi dei pensieri,
è in questo quadro che mi sta davanti,
nel mare troppo azzurro dello Stretto
dove si specchia una città lunare.
Messina in lontananza è una lampara
d’una catena innumere di lumi.
E’ tutto qua l’arcano che si cerca,
fuori di noi,
lontano dai pensieri,
nel grande gioco delle cose vere,
in quello cui assistiamo,
soltanto spettatori inebetiti
di questa verità cui diamo il nome
di questo lungomare d’illusioni.
Fata Morgana, un sogno. Solo ieri.
25
PORTA ROMANA
Com’era triste la città nell’alba
e come, dai lampioni ancora accesi,
spioveva sul bagnato delle strade
una sottile polvere di luna.
Finestre lampeggiavano di giallo
sui viali della circonvallazione.
Porta Romana bella di canzoni
versava dai convogli pendolari
turbe di gente ancora addormentata.
Rigonfie quasi
come stie di polli
le filovie davanti alla stazione.
Presto si sveglia e presto si addormenta
questo ritaglio grigio di città-
Di dietro a una parvenza disperata
c’è gente che distilla con fatica
da questa vita gocce di speranza.
E’ sempre triste la città puttana
ma nel chiarore pallido di luna
una canzone sale dai binari,
Porta Romana tu,
Porta Romana
26
MILANO VIA GHIBERTI
Milano, via Ghiberti. E’ già febbraio
e il freddo della notte ha fatto bianchi
di brina i tetti rossi delle case.
Si accendono i camini e le caldaie
che fumano di nebbia e di vapori.
Il merlo ha già esplorato le grondaie
e odori forti come fiati caldi
raccontano di vita che riprende.
Io sono come il fumo del comignolo
che segna il cielo di volute gialle,
spirali che si inseguono danzando
inutilmente come tutto quello
che non richiede alcuna spiegazione.
Disegno fantasie nelle volute,
edifico castelli inabitati,
propongo strade che si perdono nel fondo
di scene immaginarie.
Poi mi sciolgo,
nel grigio del mio cielo di città,
a un alitare timido di vento
tra queste case strette tra due strade.
Milano, via Ghiberti, è già febbraio.
Io sono come il fumo del comignolo
che inventa per un cielo inospitale
scenografie che durano un istante
e poi si perdono
come una voce che non ha parole.
27
LA CIUMBIA
Milano degli anni sessanta.
Mi torna alla mente, se penso,
la piccola piazza deserta
e quella latrina di latta
dipinta di verde.
Pareti ricurve,merletti di ferro
e un certo tettuccio ad ombrello
di stile un po’ liberty o quasi.
E’ il punto obbligato d’incontro
dei militari che a sera
ritornano in via Mascheroni, in Caserma.
Si pisciano litri di birra,
si cerca qualcosa, se c’è.
La Ciumbia si nota per via del rossetto
che pare di fuoco
su fili sottili di labbra.
Nel buio si compra volendo
un poco d’amore di bocca,
un foglio da mille è anche troppo.
La sera rimbomba di suoni,
del cupo ronzio dei motori.
Poi tutto si spegne di colpo,
se tornano dentro i soldati.
Rimane nell’aria soltanto
lo scroscio dell’acqua che scorre
in un pisciatoio di latta.
La Ciumbia pian piano
si tinge di nuovo la bocca.
28
LES CHIMERES
Se dico Le Chimere, già trasalgo.
Subisco l’incantesimo che viene
dalle parole.
E non importa il senso.
Chimere vuole dire un altro mondo,
promesse disattese,
profondità insondate della mente,
memorie cromosomiche irrisolte
e pura suggestione d’altri altrove.
“Les Chimeres”, un albergo senza stelle
davanti al Porto Vecchio a Saint Tropez.
Un piccolo edificio fatiscente
col fascino inquietante dei fantasmi.
Il mio fantasma vive qui da sempre,
è qui che sono morto il sei novembre
del millenovecentottantasette.
Era una sera lugubre di pioggia,
nessuno per la strada
e scegliere il mio luogo per morire
è stato così facile alla fine.
Les Chimeres,
cambiato è ormai da tempo il nome
nella piccola insegna sulla strada
ed il colore delle lampade del viale
ma il mio fantasma
rimane sempre qui, comunque vada.
29
PIAZZA DUOMO 19
Ritorno a volte
in quel palazzo al centro di Milano,
in Piazza Duomo 19, al quinto piano.
Un portoncino in legno a due battenti
e serrature
e pomoli d’ottone quasi a specchio.
Tre camere su strada, un corridoio
e la cucina grande.
Ormai da tempo
un gran silenzio dentro
e l’aria vecchia
e l’ombra di mia madre sull’acquaio.
Non resta un altro segno sulle cose,
né la sua voce nelle stanze vuote
e notte, dopo notte e dopo notte
si fanno bruni d’ossido e di morte
i rilucenti pomoli d’ottone.
30
DAMASCO BRUCIA
Acqua soltanto
il mare che separa
due spiagge uguali sulle opposte sponde;
aria che corre
il vento che ci sfiora
e che solleva solo sabbia, in fondo.
Pioggia che batte contro le persiane
è come un pianto lungo che trabocca.
Torce le mani
e piano si dissangua
quell’operaio che non ha lavoro
e sanno di tristezza e d’abbandono
le morti miserabili dei vecchi
dimenticati al buio degli ospizi
e muoiono i bambini di Damasco,
la gola divorata dal veleno
dei gas letali.
In fondo pure questo
non è che un modo antico di morire.
Non c’è stupore e non c’è novità,
quello che accade è come sempre uguale.
Fatico un po’ a capire
se ci penso
e poi mi dico:
un giorno dopo l’altro una ferita;
ma è proprio tutta qui la nostra vita?
31
IL FIORE GIALLO
Dormivo quieto
e non avevo sogni a risvegliarmi,
poi, sul mattino, un grido
e dentro una voragine di rabbia
quell’urlo di una donna,
come un taglio.
So quasi tutto, so che le ferite
guariscono col tempo e la fatica.
Una cosa soltanto non guarisce:
il male dentro, il male e la coscienza.
La donna sa che cambierà
ma poco.
Prometterà che nulla sarà uguale,
che sarà buono e mite
e che le mani
saprà tenere al posto dove deve.
Violento e prepotente
è solo un uomo
e a volte una voragine di niente.
La donna invece
è il prato dove cresce
ad ogni primavera un fiore giallo.
32
MORIRE A NATALE
Ho sognato una bimba sognare;
alla porta del cuore
ho avvertito il suo sogno bussare.
Non chiedeva un giocattolo nuovo
né un pupazzo di neve.
Nel suo letto di piaghe
aspettava,
con la musica dolce dei canti
della gente felice,
il tinnio dei sonagli alle slitte
di Babbo Natale.
L’ha aspettato per giorni e per ore,
per un’ultima notte stanotte.
Quando il canto s’è udito
ha potuto socchiudere gli occhi.
Sul cuscino ha lasciato,
trattenuto sul bordo di ciglia,
un sorriso e uno sguardo dorato.
Si combattono al mondo battaglie
e si sparge del sangue innocente
e si perde una guerra ogni volta,
sul lettino di un angelo biondo
che si lascia morire per niente.
(dedica a Fernando Bandini, poeta, morto il giorno di Natale 2013)
33
DOVE CROLLANO I MURI
Visitammo deserti.
Le rovine sepolte
di città sconosciute che il tempo
ha scordato di scrivere dentro
alle carte segrete.
La memoria mi assista, ricordo
che con orbite vuote ho guardato
il cadere dei sogni, nel vento.
Sono entrato nei templi
ed ho aperto le porte
che la notte ha socchiuso.
Prudente
ho girato per strade deserte
e ho sorriso a fantasmi.
Porterò come dono agli altari
la mia anima inquieta
che si ferma a pensare nei luoghi
dove crollano i muri
di città che la sabbia sommerge.
Siamo qui che aspettiamo dagli anni
che ritornino verdi
tutti i prati all’intorno
e che nasca dal vento
la città che sperammo da sempre.
Visitiamo deserti
per cercare città sconosciute
dove crollino i muri del tempo.
34
A UN’AFRICA VICINA
Così violento il vento del deserto
che stanotte ha soffiato su Milano
e seminato sabbia, come fuoco,
sulle macchine in sosta e i marciapiedi.
Quell’Africa lontana è più vicina
ed ha i colori
del bronzo sulla pelle delle donne
e il nero d’occhi accesi di bambini.
Non siamo soli più con quel che siamo,
villagi inespugnabili a un nemico
che immaginiamo.
Ora si sa che respiriamo insieme
gli identici profumi
nell’aria che ci giunge da lontano.
La sabbia rossa, come in sospensione,
è un’Africa che giunge come un dono
nell’alito del vento che ci sfiora
al modo del respiro di qualcuno
che dolcemente e inconsciamente amiamo.
Il vento espugna torri di castelli,
visita chiese e non conosce muri.
Il vento è il fiato caldo che ci giunge
da un’Africa che abbiamo dentro il cuore,
pianeta perso dentro mille offese.
35
IN TANTI PORTI ED IN NESSUNO
Andiamo via di qui.
S’è fatto tardi
ed io non voglio stare dove stanno
le donne che patiscono in silenzio.
Io posso avere male, disperarmi
però voglio gridare, dare fiato
al mio tormento e che nessuno dica
che sono pazza e non so stare al gioco.
Passato è il tempo del silenzio,
quando
tu mi ferivi ed io tacevo inerme
e mi dicevi quello che si dice
alle femmine isteriche che piangono.
Le tue promesse, come canne al vento,
hanno frusciato per le mille notti,
poi, come l’acqua, sono svaporate
in nuvole leggere dentro l’aria.
So già che dovrò vivere da sola,
che il sogno di tenerti all’infinito
è già finito.
Tu non sai restare.
Non ti trattiene il bene che c’è stato
né le promesse e il pianto che mi scioglie.
Neppure un figlio,
la magia d’amore,
il segno di un legame indissolubile,
ti obbliga a restare.
Tu rinneghi
qualsiasi cosa ti trattenga a terra.
Sciogli ogni ormeggio e salpi ad ogni sera
da questo approdo verso ignoti mari.
36
MANI DI CERA
(a mia madre)
Un giorno, un mese e un altro po’ di vita
hai speso a ricamare quella trina
eppure tutto il tempo e la fatica
dispare mollemente nella trama.
Le mani troppo a lungo hai logorato
alla fontana
e consumato gli occhi sulle righe
di pagine sgualcite
al debole chiarore di candela.
Avrai mani di cera, finalmente,
le stesse mani di chi dorme a lungo
e ci dirai: “ se ormai non servo a niente,
non voglio più svegliarmi.
E vi saluto.”
37
VOLARE VIA
Qui dove il giorno è stato prepotente,
la luce cede piano e si confonde
con l’avventura di una notte nuova
che dolce come l’acqua si propaga
e allaga questa valle d’ombre opache.
Questo era il mondo ed unica la scelta.
Figli da fare, case da abitare
e solo due pensieri da pensare.
Fu quella sera, innanzi a un fuoco acceso,
la voce rotta:
“vado via, mi basta
la vita già vissuta in questa casa.
Mi ha scelto un uomo e prendo la sua mano.”
Si sciolgono in un attimo catene,
si sceglie di non scegliere e di andare.
Si dice sia l’amore
ma forse è solo voglia di fuggire,
d’essere donna, fare figli e fare,
in una casa nuova un nuovo altare.
E’ di una donna la coscienza ardita
che sceglie di concedersi il respiro,
la sola cosa al mondo che possiede.
Qui, dove il giorno è stato prepotente,
è nata l’avventura di mia madre
e la sua storia è come mille, uguale.
Si dice che sia stato per l’amore
ma forse è stata voglia di volare.
38
GLI ADDII
Più forte del dolore la paura;
paura di provare altro dolore,
così ho taciuto a lungo senza dirlo
ed è accaduto troppo spesso allora
così ogni volta ho scelto di fuggire.
Mia “dulcissima mater” ora ho capito
che si diventa un uomo solo quando,
quando si impara a dire
il primo addio.
E’ stato così dolce averti accanto
per tutto il tempo di una vita ed oltre
ed ora è così triste la certezza
che non ci incontreremo, per l’eterno.
La mia sola speranza d’infinito
è in questo far durare più che posso
il nostro dirci
lungamente addio.
39
MIO PADRE INVECE
Inquieta fantasia delle salite
e dopo invece,
discese mozzafiato senza freni,
su spire di serpente arrotolate
per strade ardite.
Sorride ancora da una vecchia foto,
la mano sul manubrio
e sulla maglia
il nome di battaglia.
I sogni non si appagano vivendo
ma solo dopo.
Inseguirai le ruote palmerate
di quelli in fuga,
avanti tre tornanti,
per prenderne la scia.
Sul lungo rettifilo dell’arrivo,
l’ultimo scatto.
E via!
40
L’ESTATE E’ UNA STAGIONE UN PO’ CRUDELE
E’ stato quasi come se la notte
si fosse fatta bianca di lampeggi,
come se l’aria, a un brivido di foglie,
si fosse accesa di bagliori verdi.
L’estate che finisce ha riti assurdi,
burrasche in alto mare e mareggiate
che vengono a morire alla battigia,
groppi di vento sopra le lagune
e nebbia di salsedine nell’aria.
Fragore di una scena che si muta
ora per ora e toni di tragedia.
Non muore mai in silenzio, se ha ballato,
l’estate ardente nella sua calura.
Non muoiono le storie di prodigi
e d’avventure quando viene sera.
Rivivono al mattino, insieme al sole,
miracoli di sogni e d’emozioni.
Non rivivrò con te la meraviglia
del nostro stare insieme, silenziosi,
ad ascoltare il canto degli uccelli,
il brivido del vento tra i cespugli,
la musica lontana delle stelle.
Un’altra estate tornerà tra breve
con altri tuoni e lampi e nubifragi
ma il mio coraggio e la mia voglia folle
si va spegnendo come fiamma al vento.
Vado cercando spazi silenziosi,
angoli bui dove stare quieto.
L’estate è una stagione un po’ crudele.
Ormai più non resisto al sole pieno
e cercherò, in un angolo segreto,
l’ombra gentile che si addice ai vecchi.
41
FOULARD DI GUCCI
Mi guardi, mi vedi poi strepiti forte,
più forte d’un urlo dal fondo
mi gridi una frase d’amore.
Distesa di neve che brilla di stelle
s’accende d’un tratto, alla luna.
Un sogno non mio; dalla tolda
d’un bianco vascello che affonda
mi dici parole di seta sottile,
foulard delicati di Gucci,
cavalli dipinti e staffe dorate,
tappeti di foglie d’autunno.
Non voglio raggiungerti,
tanto
se io m’avvicino,
lo spazio si allarga di colpo
e s’aprono sotto
paesaggi di un’anta d’armadio.
La radica in noce disegna
abissi profondi
e cime di monti,
voragini dove si perde la mente ed il cuore.
Poi basta che piano mi tocchi
perché mi risvegli di colpo.
Se guardo d’intorno
il sogno ha lasciato soltanto
le sete di Gucci
e quell’anta d’armadio
che come uno specchio riflette
me stesso, disperso,
che mentre ti cerco,
ti perdo.
42
CI TOCCA
Non piangere cara, ci tocca.
La vita di un figlio
ci sfiora soltanto e non lascia
che un’ombra di se. Se non basta
avremo, per gli occhi,
la foto che ride,
il pupazzo di neve,
quel giorno d’inverno, ma dove?
Il posto in cucina,
la sedia ch’è vuota da tempo
aspetta che venga Natale.
Non resta che il poco che serve
e arriva ch’è stanco e svogliato.
Non parla e se dice,
capire è difficile a volte.
Contesta, protesta e si inquieta
con me, per le cose che dico.
Non piangere cara, ci tocca;
ai vecchi non resta che farsi da parte.
Le nostre parole non hanno più ascolto,
la voce che occorre non trova il coraggio
e piano sprofonda
così che alla fine il silenzio divora
l’estrema parola che affiora alla bocca.
Non piangere cara, ci tocca.
43
UN ABITO A FIORI DI CAMPO
Non era rimasto nell’aria che un segno,
la piccola traccia che lascia
la mano che piano ti sfiora
nell’attimo prima che tu non sparisca
giù, in fondo alla strada.
Ti ho vista arrivare, improvvisa,
la snella figura stagliarsi danzando
nel debole raggio di sole
che spiove tra i rami del viale.
Sei parsa volare
nel piccolo spazio tra noi, che separa
la viva farfalla che sei da chi sono,
un debole stelo piegato
dal vento leggero di maggio.
Vestivi la veste leggera
di tutte le donne del mondo
nei giorni di primavera.
Un abito a fiori minuscoli e vari
così che abbracciarti pareva
tuffarsi nel sogno in un prato.
Mi sono svegliato di colpo
all’urlo di un’autoambulanza
che corre furiosa per strada.
C’è stato qualcosa all’incrocio;
per terra, in un lago di sangue,
qualcuno travolto da un’auto pirata.
Lo vedo dall’alto,
il piccolo sacco di stracci,
quell’abito a fiori di campo,
venuto a morire stamani
sull’uscio di casa.
44
L’ARCHETIPO DI CASA
Quanto più vivo e vedo
più si fa grande il vuoto dentro.
Facevo foto un tempo
creandomi un archivio,
per quando sarò vecchio, mi dicevo.
Ricordo poco ormai;
difetto di memoria ma non credo,
credo piuttosto a un modo originale
di scegliere col cuore
quello che conta e quello che non vale.
Se dico “casa”
mi tornano alla mente
le case che ho abitate
e tutte quelle ormai dimenticate.
Si radica di dentro come un male
la prima casa
in cui ci siamo accorti di abitare.
La casa rossa sulla ferrovia,
una piccola porta per entrare
e due finestre a lato,
il fumo di un comignolo che sale.
Un cielo azzurro ed una nuvola soltanto
e un sole tondo nell’angolo su in alto.
Ho seppellito dentro quella casa
l’archetipo di tutte le dimore,
così se cerco la mia idea di casa
devo scavare al fondo del mio vuoto,
dentro la tomba della mia memoria.
A quella casa non ho fatto foto.
45
MI TIENE VIVO L’INCERTEZZA
E’ passato così, senza rumore
il tempo della vita che davvero
è stato come un lampo.
Mi rammento
d’un’infanzia felice e inconsapevole
e d’altre età sprecate inutilmente.
Io l’ho buttato il tempo
della mia desolata giovinezza,
tutto il tormento dell’insicurezza
per ciò che sono e sono stato.
Ho avuto un corpo fragile e malato,
ho temuto di tutto e ho sperperato
giorni su giorni a compatirmi e a dirmi
che non avrei potuto stare al gioco.
Stando di lato, il mondo non si cura
di te che non ti adatti alle battaglie.
Ti isoli e ti culli
in fantasie d’estraneità dorata
e quanto più ti affondi nel silenzio
più godi del piacere d’esser solo.
Coltivi dentro
il seme di un fantasma
inadeguato a vivere nel mondo.
Sono approdato a questa spiaggia estrema
nudo e sfiancato e senza alcun bagaglio.
Il retroterra è un campo di battaglia,
ad ogni cippo solo una sconfitta.
Non ho memorie, punti di partenza,
quello che posso è cominciare adesso.
Nel mio futuro un’altra giovinezza,
un’altra storia e tanti nuovi approdi.
Mi tiene vivo, in fondo l’incertezza,
la mia precarietà, la voglia folle
d’altre bandiere da affidare al vento,
di nuovi porti ed altri approdi certi.
46
SEGNI
Io leggo segni sempre e ovunque vada
leggo la traccia piccola che c’è
del tuo passaggio lieve in questa casa.
Un segno appena, la tua tazza bianca
col bordo di celeste e sul cuscino
l’impronta ancora tiepida di te.
Un segno nei sentieri del giardino,
ciocche di fiori dentro i vasi appesi
nella pergola accanto alla fontana.
Un segno dentro me che mi affatico
a trattenere il filo di memoria
che mi tiene agganciato alla mia vita.
Ricordo segni sulle rocce rosse
dei dirupi scoscesi all’Esterel.
Un segno piccolissimo su un sasso
tracciato con un guscio di conchiglia
per ritrovare, un giorno se si passa,
il luogo di un picnic tra le lavande.
Sul candido sepolcro di Chagall,
ho abbandonato un sasso levigato
e nero come un abito di scena
per la casa in collina di Gerard.
Sassi su sassi ed altri sassi ancora,
segni su segni in cumuli infiniti,
a erigere muraglie di difesa,
a fare case,
a lastricare strade di discesa.
E sopra i muri una parola incisa
per dire quanto valgano i pensieri.
Amo i sentieri dove è già passato
il cacciatore nelle aurore insonni
ed amo i porti
e tutti quanti i mari navigati.
Amo le croci al vertice dei colli
ed agli incroci
certe santelle povere di fiori.
Amo te che mi chiami da lontano
col segno della mano
e lascio tracce e inseguo tutti i segni
di chi mi piace e che mi incrocia a caso,
di quelli che mi amano e che amo.
47
TRA ME E L’INFINITO
E’ un giorno di vento quest’oggi
e già dal mattino si annuncia
la bella ventata che spazza
le candide nubi di panna.
Il cielo diventa più azzurro
dei giorni di maggio,
dei tiepidi giorni
che tutto si fa trasparente cristallo.
I prati, davanti alla casa,
si increspano all’aria
al pari di un mare sfiorato
da un volo di rondini, a raso.
La mamma mi ha fatto, con carta crespata
e stecche di canna
e colla di latte e farina,
un cervo volante più bello
di un sogno a colori.
Cerchiamo nei prati ondulati
il punto più alto,
il sommo di un colle da poco
per dare lo slancio che occorre.
Ondeggia nell’aria poi cade
e questo una volta e poi mille.
Non cullo illusioni,
so già da gran tempo
che quello che spero
non capita mai. Mi accontento.
Per tutta una vita ho sperato
che tanti aquiloni
potessero un giorno librarsi
nel cielo dei sogni.
Nessun aquilone ha volato
per più di un minuto
così tra le mani mi resta nient’altro
che il capo di un filo.
Quel filo tra me e l’infinito
che inizia e finisce in un prato.
48
PORTERO’ CON ME
Li porterò con me, nelle pupille,
i palpiti di stelle,
lo scintillio delle fontane al sole
e i suoni della musica degli astri
e i canti delle donne nelle sere.
Non si disperderà nell’universo
la somma inenarrabile di cose
vedute e amate.
Io, come un recipiente,
un reliquiario sacro a custodirle.
Tu dentro me,
con la tua luce bella,
con gli occhi che saettano di sguardi
e con le mani lievi di carezze.
E poi se tutto o quasi tutto si perdesse.
La luce azzurra sopra la laguna,
il tremolare incerto tra le canne
del sole che si affonda all’orizzonte.
Se si perdesse il bene
di questa sera calda,
il desiderio di fermare il giorno,
fino ad un’ora tarda,
perché continui il gioco
di questa luce nelle tue pupille.
Se tutto si perdesse
e andasse via il ricordo
di rondini impazzite tra le case,
se mi morisse dentro
l’ansia di avere e cogliere nell’aria
la verità di Dio.
Se si perdesse
e se davvero tutto si perdesse,
vorrei finire ma finire adesso.
49
POLVERE SOTTILE
E si va via da questa superficie
come un segno di gesso alla lavagna.
Un gesto ci cancella in un istante,
resta di noi una polvere sottile.
Perché affannarsi allora a farci male,
a roderci di rabbia, a tormentarci
lasciandoci alle spalle anche l’amore.
Trattieni le parole che conosci
e non lasciarti andare.
Parlale piano, dille che ti occorre
ancora un po’ di tempo per pensare.
Se non sorride mentre tu le parli,
è troppo tardi ed è lontana ormai.
Non trattenerla allora che un istante,
abbi il coraggio di lasciarla andare.
50
IL BATTITO DEL CUORE
Ho freddo dentro,
scaldo le mani al fuoco del camino
e illumino la pagina che ho aperto
al rosso della brace. Il gatto dorme
acciambellato sul cuscino. Tace
la pendola se osservo il suo oscillare.
Il tempo che trascorre nella pace
illude che appartenga alla mia carne
il po' di eternità di questa vita.
Se il cuore batte come rallentato
è bava d'esistenza che s'attarda
soltanto per illuderci che il tempo
duri per sempre se si sta in silenzio.
La vita vera invece si consuma
col battito del cuore che galoppa,
con la passione che ti brucia in faccia.
Ed ogni azzardo che si fa per gioco
ed ogni sguardo che rivolgi a un altro
lasciano segni come di ferite,
cicatrici di vita , un medagliere
da esibire sul petto, il testimone
di aver patito tutto quel che occorre
e aver vissuto insieme tante vite.
51
IL TARLO E LA MEMORIA
Sarà così per lungo tempo ancora
che ti verrò a cercare come fossi
ancora lì, ad accogliermi sull’uscio
della tua casa.
Attendere qualcuno che non viene
lascia sul cuore come una ferita;
non lo sapevo o forse non volevo
dirmelo allora.
Lo capisco invece
adesso che pian piano arrivo al punto
di non ritorno.
Non c’è un modo solo
di riparare al male che ci opprime.
Il tarlo che ci rode avrà il suo tempo
e solo la memoria che si incrina
ci toglierà, col bene del ricordo,
il male che ci fa l’avere invece
dentro di noi la pena del capire.
Per lungo tempo,
poi con la memoria
si cicatrizza il cuore e la ferita,
svaporano nel nulla i sentimenti,
si attenua la coscienza della vita.
52
ANCORA VENTO
Vento di primavera, così improvviso
che arrivi e mi porti un soffio di paradiso.
Vento con il profumo di gelsomino,
che mi sollevi in cielo come un bambino.
Vento come farfalla
che si gingilla,
e si fa bella
al bordo di una corolla.
Vento che sento forte e mi brucia gli occhi,
vento che ti balocchi
con mille foglie
che strappi al ramo in vortice e poi scompigli.
Vento che ti conosco come un fratello
dolce rabbrividisci sulla mia pelle.
Portami in dono il sogno che mi somiglia,
come il messaggio chiuso nella bottiglia.
Vento di tutti i venti di primavera
fammi sperare che oggi
non venga sera.
53
COME GIUNCHI
Rivedo in questa donna che ho vicina
quella sua giovinezza rigogliosa.
Le sbocciavano i seni come fiori
che cercavano il cielo e il ventre esiguo
come un’anfora cava profumava
dei profumi dei prati sotto il sole.
Il tempo che ci piega come giunchi
mi toglie solo ciò che non ho avuto
e ruba la ricchezza, dove c’è.
Tu depredata, tu non sei più tu.
La tua bellezza andata
mi dice che è così che si finisce.
Noi naufraghi approdati alla battigia
di quest’ultimo scampolo di vita,
ci sorridiamo in questo parco di città
dai lati opposti dell’identica panchina.
54
PAPAVERI
Ti porterò un papavero rovente
di rosso fiamma e i petali di vento
se saprò trattenerli almeno il tempo
che occorre ad arrivare fino a casa.
L’ho colto adesso al bordo della strada
e prima che la polvere lo copra
di un velo sottilissimo di bianco.
I papaveri ridono di nulla,
come le tube in un concerto grosso,
nei campi di frumento
sventagliati dal vento della notte.
Solitario il papavero che ho colto
è quel sorriso che non ho per te.
Sono come una pietra del sentiero
che piange d’acqua solo quando piove
e poi si asciuga lentamente al sole.
Rido con gli occhi, a volte al tuo pensiero
ma rido sempre quando sono solo.
Ti porterò il papavero rovente
del riso rosso che vorrei per te.
Lo stringo tra le dita perché trema
dell’aria intorno che lo sfiora a tratti.
Cammino piano, sono quasi a casa.
A un angolo di strada una folata
e i petali si perdono lontano.
Il mio sorriso è andato e nella mano
l’esiguo stelo e un cuore quasi nero.
Non ho altro spazio e non so più che fare
eppure io ci devo riprovare.
Lo cercherò il sorriso da raccogliere
al bordo polveroso di una strada
di un fiore uguale.
Un papavero rosso come fuoco.
55
PREGARE A VOLTE
Pregare a volte è solo una metafora.
Come la donna fa, quando si leva;
spalanca le finestre d’ogni stanza,
crede che l’aria fuori sia più pura.
Accende il fuoco sotto al bricco d’acqua
poi rigoverna
e con la stessa cura
del giorno prima,
stende sui fili tesi del balcone
i panni in fila,
stira ogni cosa ed ordina precisa
nei piani giusti della cassettiera.
Prepara cena e rigoverna ancora
poi va a dormire prima.
Io mi addormento innanzi alla tv
affaticato
da un paio d’ore spese sul pc.
E siamo qui, noi uomini che siamo
ognuno col suo carico di se,
di ma e perché.
La donna no, perché sa già
quel che si può o non può
perché così com’è
lei è
una preghiera vera,
fatta di quello che si fa
per una vita intera.
56
IO SONO LA GRAMIGNA TRA I BINARI
(da una suggestione di Pessoa)
L’amore è come un bel ventaglio.
Aperto
sarebbe ben più bello certamente.
Più bello ancora invece è non aprirlo
per regalarsi l’intimo piacere
di torturarsi il cuore a immaginarlo.
Sono così, che prendo ciò che viene,
e se non viene penso che sia meglio
restare a coltivare il dispiacere.
Amo i castighi
e specie per le colpe non commesse.
Porto un cilicio in cuore
e mi compiaccio
del mio patire, come fossi un altro.
Patisco della vita
gli anni trascorsi in tutti i calendari.
Io sono la gramigna tra i binari.
57
NON C’E’ UN’ETA’
Come ciascuno piango, a volte,
la gioventù perduta e piango insieme
per chi piange d’amore.
Mi consola
il non dover patire, per età, pene del cuore.
Mi dico quindi d’essere al riparo
da tutto quello che mi ha resa amara
la giovinezza.
Mento a me stesso,
mi lascio andare all’euforia del vuoto,
poi se ci penso,
mi accorgo che si cambia ma di poco.
Non c’è barriera alcuna di difesa,
non c’è un’età che lasci indenne il cuore
e si ritorna a piangere d’amore
fino all’istante prima che finisca.
E’ in tutto questo il senso della vita.
58
IL SOGNO NEL SOGNO
(da una suggestione di Pessoa)
Io sono il mio sogno di me.
Non esisto
e il tempo che passa è ciò ch’è trascorso,
la cosa consunta che adesso non c’è.
In questo momento io so che non sono
ed anche quel tempo che ho visto
è l’ora trascorsa che adesso non ho.
Se sono in un luogo e ignoro chi sono
è come se il tempo non fosse
ed io stesso
non fossi nient’altro che un sogno nel sogno.
59
LAGER
Gli altissimi pioppi, alla curva,
proiettano bianchi cavalli
nel cerchio lucente di luna.
Cristalli di neve
riflettono un cielo di vette,
sequenze di candide gonne
che danzano al vento notturno.
Un’auto che passa, coi fari abbaglianti,
sventaglia di luce
le sagome scure
degli alberi ai lati.
I reticolati,
corone di spine per tanti calvari
raccontano storie
di treni diretti in Germania,
nei carri bestiame
la carne che piange.
Sui lager lontani è sospesa
la stessa valigia di luna
e reticolati malati di gelo e cristalli rappresi
e mani aggrappate a ferirsi.
Il bianco di neve si tinge di sangue.
La luna lucente si ammanta
di macchie roventi.
Nel freddo d’inverno
trascorre nell’aria la mandria al galoppo.
Nessuno si accorge di nulla,
non s’odono gridi,
la morte che uccide
sa farlo anche senza rumore.
La luna riflette distese di neve,
criniere di vento
e il gelo rapprende i silenzi.
60
I N D I C E
ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE
L’INCAPACITA’ DELLA PAROLA
FOTOROMANZO
E VICEVERSA
LE POSSIBILI INTESE
EPANALESSI
LA TRISTE ALLEGRIA DI ALBINONI
UN’OMBRA CHE MI SEGUA
L’INSIGNIFICANZA
FLUSSO DI COSCIENZA
COME IL SASSO SULL’ACQUA
CIELITUDINE
NESSUN SEGNO, NIENTE
IL PRIMO TRENO
A MIA INSAPUTA
NESSUNO CI APPARTIENE
COSI’ E’ MORIRE
SAREBBE PIU’ FACILE TUTTO
VORREI TU MI VEDESSI
LA STRADA DEL NIENTE
ASPETTANDO LA SENTENZA
IL SOGNO DI VOLARE
COME HO TROVATO LASCERO’
A ROGOREDO
FATA MORGANA (a Reggio Calabria)
PORTA ROMANA
MILANO VIA GHIBERTI
LA CIUMBIA
LES CHIMERES
PIAZZA DUOMO
DAMASCO BRUCIA
IL FIORE GIALLO
MORIRE A NATALE
DOVE CROLLANO I MURI
A UN’AFRICA VICINA
IN TANTI PORTI ED IN NESSUNO
MANI DI CERA
VOLARE VIA
GLI ADDII
A MIO PADRE
L’ESTATE E’ UNA STAGIONE UN PO’ CRUDELE
FOULARD DI GUCCI
CI TOCCA
UN ABITO A FIORI DI CAMPO
L’ARCHETIPO DI CASA
MI TIENE VIVO L’INCERTEZZA
SEGNI
61
TRA ME E L’INFINITO
PORTERO’ CON ME
POLVERE SOTTILE
IL BATTITO DEL CUORE
IL TARLO E LA MEMORIA
ANCORA VENTO
COME GIUNCHI
PAPAVERI
PREGARE A VOLTE
IO SONO LA GRAMIGNA TRA I BINARI
NON C’E’ UN’ETA’
IL SOGNO NEL SOGNO
LAGER
ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE
Silloge di 60 poesie
ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE
Aride stelle in cielo;
geometrie
senza emozione, senza luce, senza
una semplice nota dissonante,
una parvenza minima che parli
della bellezza dell’imperfezione.
Questo universo immobile ci incanta
e l’ordine perfetto ci seduce
ma vivere è tutt’altro.
E’ il fango che produce
le fioriture magiche del cuore.
Si vive male, a volte, ma si vive
malgrado la follia degli assoluti.
Si spera il sole e intanto ci si appaga
del freddo di un inverno senza luce.
Il vento cresce
e porta neve all’uscio delle case,
risale le colline addormentate
nell’infinito sonno senza luna.
Come in letargo, la natura tace
e un tempo impercettibile trascorre
sull’orologio, al muro di cucina.
Non farei cambio della mia fortuna
di vivere una vita irrazionale
con l’equilibrio inutile dei saggi.
La geometria perfetta dei solstizi
genera mostri.
Solo il cuore,
la sua tachicardia disordinata,
dà il giusto ritmo al vivere una vita
di un’unica certissima nozione:
la meraviglia dell’imperfezione.
1
L’INCAPACITA’ DELLA PAROLA
Logora il cuore
quest’incapacità della parola
a dire l’indicibile,
a tentare,
solo a tentare almeno
di cogliere in un verso l’incantesimo
di ciò che accade, a volte, in un istante
e che sappiamo
nessuno al mondo potrà più rifare.
E fugge via di lato
e non sapremo mai come raggiungere
il lampo colorato tra le foglie,
il sogno d’aria,
del sole che traluce tra le case
in questo pomeriggio di città.
Nessun istante è uguale
a un altro e quando il cuore
è rassegnato al suo destino opaco,
qualcosa d’impossibile a ripetersi,
all’improvviso accade.
Tu mi sorridi da una lontananza
e il tuo sorriso emerge quasi come
da una nuvola bianca,
una colomba.
Come quel raggio pallido
di sole che traluce tra le foglie
in questo inverno freddo di città.
Ed è così
che per un giorno ancora non si muore.
2
FOTOROMANZO
Tutto pareva svaporato, al tempo
e tu svanita, come alla memoria,
la pallida parola che fu detta
l’attimo prima di finire.
Fanno
come le foglie quando arriva il vento
le tende alla finestra della stanza.
Sembravi, dentro l’arco della porta,
quasi la forma della lontananza.
Spargeva il lume, come fa la luna,
un misero chiarore, quasi bianco.
In un istante la figura incerta,
come d’incanto, si è dissolta in nulla.
Siamo fantasmi, corpi inconsistenti,
monadi sperse della stessa storia,
siamo gli avanzi dello stesso pranzo
o solamente come bolle d’aria.
Siamo le frasi, chiuse in un fumetto,
di personaggi
da fotoromanzo.
3
E VICEVERSA
Io sono ciò che penso
e viceversa.
Che questo corpo sia cosa concreta
o sia semplicemente il mio pensarlo
a dargli vita, a farlo esistere davvero
e sia così per ogni sentimento,
per il piacere d’una musica che m’entra
fino al profondo, chi potrà dirlo mai,
chi potrà dirlo.
E quella tua bellezza
che mi seduce e mi fa credere che esisto.
Non ho certezze ormai, non so più niente
di quello che sia vero o che si inventi
la mia mente contorta e delirante.
Ti tocco con le mani e mentre avverto,
sotto le dita, la tua pelle liscia,
ho il dubbio che i miei sensi mi tradiscano
e che tu esista solo se ti penso.
Mi perdo in un delirio in cui capisco
di essere null’altro che il pensiero
di un altro che mi pensa.
E viceversa.
4
LE POSSIBILI INTESE
Impiego il tempo a ricercare intese,
complesse ed impossibili, alle volte
e metto in campo tutta la pazienza
per ricercare un punto di contatto.
Mi snervo e mi esaurisco nello sforzo
di dirti, senza urtarti, ciò che penso.
Le mie parole cadono nel vuoto
perché non so trovare l’argomento
che possa condividere con te.
Tu sei testarda e irremovibile e mi pento
del mio tentare approcci inutilmente.
Finisco col pensare che non possa
esistere una cosa che ci unisca.
Porto pazienza un attimo,
poi esco
ad incontrare il mare che conosco.
Oggi è infuriato e schiuma alla battigia
come un cavallo che abbia corso a lungo.
Iroso ed irascibile mi sembra,
almeno in apparenza
ma se socchiudo gli occhi e sto in ascolto
mi rendo conto che mi acquieta dentro
il suo respiro fragoroso
e lento.
5
EPANALESSI
Il cerchio che si chiude.
L’inizio che riparte dalla fine,
come nel cane il muso con la coda.
Io conoscevo un tempo le parole,
non tanto quelle che si imparano sui libri
ma ciò che corrisponde al fiato e al cuore.
Parole come cellule viventi,
cose di carne e sangue ed escrementi,
messaggio esistenziale preesistente
a quel che sono e al mio concepimento.
Parole intense e magiche
che il varco nella vita ci preclude.
Parole che si scordano esistendo,
come il male del nascere e il terrore
del viaggio nel canale vaginale.
Il necessario oblio della paura
è come ciò che accade alle parole.
Mi illudo a volte,
per via di qualche sprazzo di memoria
e luce dentro un buio prenatale,
che tutto torni al punto originale.
Epanalessi, in fondo come dire
l’inizio che riparte dalla fine.
Le troverò cercando le parole
per chiudere quel cerchio che non chiude.
6
LA TRISTE ALLEGRIA DI ALBINONI
Ho frenate allegrie, come adesso
che mi sento distante da me,
come un cielo in tempesta
su un paese soltanto intravisto
nella nebbia di un sogno.
Una nube sinistra ora incombe
sul villaggio alla cima di un colle,
prati verdi in salita
sulla costa di un nastro di strada,
una quiete perfetta che esplode
in bagliori di luce improvvisa.
Allegria di naufragi nel sogno
di qualcosa di inquieto e perverso,
allegria di non essere e stare
di lontano a guardare.
Ho frenate allegrie del passaggio
di una nave nei mari pacati
della luna, le notti d’estate.
Ho frenate allegrie d’abbandoni
a una musica dolce d’orchestra
sulle molli lagune.
Sto pensando
alla triste allegria di Albinoni.
7
UN’OMBRA CHE MI SEGUA
La nebbia fuori ha soffocato il mondo.
Dalla finestra aperta sui cortili
osservo il poco cielo che traspare
come una scena dietro ad un velario.
Antenne di tv come fantasmi,
comignoli che fumano di bianco.
Un mondo sofferente si addormenta
in questa luce pallida che pare
un mantello pietoso che ricopra
una città che muore.
Così perso,
mi lascio andare al sogno ricorrente
di andare via di qui, verso altri lidi
dove non muoia il sole nei tramonti,
dove la luna transiti sui colli
tutte le notti, luminosa e immensa.
Ormai non so resistere all’affanno
di questa nebbia, fumo di un incendio
che ottunde la mia mente e mi confonde
e mi fa fare cose senza senso
per rapinarmi il tempo che mi resta.
Voglio cercare il sole dove c’è
e voglio avere un’ombra che mi segua
per farmi compagnia,
sola certezza mia
che sono vivo, esisto e lascio un segno.
8
L’INSIGNIFICANZA
Andare via da qui, come d’autunno
la nube spinta al filo d’orizzonte
da un alito di vento mentre il giorno
apre le porte a un brivido di luna.
Pallida e assorta lacera l’assurdo
precipitare lento nella notte.
Vorrei partire come l’aeroplano
che taglia il cielo col suo volo sghembo.
Vorrei lasciare il nulla alle mie spalle
e nessun segno del mio passo incerto.
E’ l’insignificanza il mio messaggio,
l’inesistenza il ruolo che mi tocca.
Farò di tutto, come ho sempre fatto,
perché mi si dimentichi al più presto.
Voglio andar via in un attimo e sparire
come la nube ch’è trascorsa adesso.
Rimarrà il vento e il chiaro della luna
e correranno il cielo per l’eterno.
La nube sparirà come sparisce
l’aria nell’aria
e il giorno nella luce.
9
FLUSSO DI COSCIENZA
Rifluisce dal mare alla sorgente
il fiume dei ricordi e la corrente
si fa violenta, a tratti.
Un uomo grande che respira fumo
esala dalle nari un’ira sorda.
Un cane ringhia alla catena breve.
un altro corre libero sul prato.
Ho già finito.
Non c’è spazio alcuno
per spiegazioni ai miei trasalimenti.
Il poco di memoria mi consegna
soltanto stralci di realtà diverse,
sprazzi di luce dentro un buio pesto.
Non so trovare alcuna spiegazione
ai miei processi onirici e mi lascio
portare via dal flusso di coscienza.
Non c’è nessuna scala di valori
tra tutto ciò che affiora lentamente.
Disordine mentale, confusione
e non si sceglie un metodo speciale
di catalogazione.
In testa allo scaffale un’etichetta
e ad ogni mensola soltanto un nome.
Non mi rimane più che questo poco,
un ridottissimo elenco di parole
e a ognuna il suo colore
per evocare l’ultima emozione.
10
COME IL SASSO SULL’ACQUA
Se mi affaccio alla soglia del vento,
da quell’albero spoglio si stacca
anche l’ultima foglia.
Brucia l’aria
di una polvere lieve di neve.
Verso sera,
come un’onda alla riva si placa
la tempesta che ha smosso i pensieri.
Solo ieri era quiete e la pace che torna
è più dolce di tutte le attese.
Da uno scoglio lancio sassi nel mare;
ho cercato i più piatti e sottili
che rimbalzino a lungo sull’acqua.
Io li seguo con gli occhi ed imparo
a ripetere il gesto
perché duri più a lungo ogni volta.
Ogni cosa che pesa, il mio corpo di pietra,
si solleva alle volte e galleggia
per un salto ed un altro
e alla fine precipita a fondo,
come il sasso.
E’ un destino che incombe
questo corpo che sceglie
la voragine blu che lo attende
mentre dentro ribolle la voglia
di restare sospesi,
rimbalzando ogni volta più a lungo
come il sasso sull’acqua.
11
CIELITUDINE
Rubo a Zanzotto una parola sola:
Cielitudine
e poco dopo parto per l’ignoto.
Cielitudine come solitudine
e come nostalgia di cieli vuoti
o come assurdo ed algido colore
di perle di cristallo dentro il sole.
Cielitudine, cielo di colline,
di boschi e di dirupi sulle valli,
curve di strade, tracce di ferite
che salgono al San Boldo, come scale.
Soligo dorme sonni millenari,
Rèvine piange lacrime di lago,
San Pietro di Feletto sul crinale
sorride del sorriso delle vigne.
Cielitudine vasta come un mare,
latitudine, punto cardinale,
quarantacinque gradi, a metà strada
tra l’equatore e il perno del ruotare.
Cielitudine chiude la misura
d’un infinito tutto da esplorare.
Socchiudo gli occhi e dico: cielo
e vedo
una cupola azzurra e chiuso dentro
un orizzonte di montagne care.
Ridico cielitudine e mi siedo
per farmi seppellire
da questa assurda immensità di cielo.
12
NESSUN SEGNO, NIENTE
La strana idea che abbiamo
di ritrovarci un giorno
in un mondo diverso, un aldilà
che non sappiamo bene dove esista,
ci insegue dalla nascita,
da sempre.
E’ un’esigenza nostra insopprimibile
di alimentare, in fondo, la speranza
che tutto non finisca, come pare.
Ci piace immaginare
un paradiso nostro, un luogo dove
si possa ritrovarsi un giorno insieme.
Ci sembra intollerabile il pensiero
che tutto si esaurisca in questo viaggio
e confidiamo
in vite differenti, in altri altrove.
Eppure siamo,
come il fiore e il cane
e l’ape e la farfalla e il calabrone,
siamo materia e carne e pulsazioni.
La nostra fantasia, l’anima intera
vive di fede, d’ansia e di speranza.
Un infinito orgoglio si figura
che all’uomo spetti
un’altra dimensione,
un mondo differente dove vadano
i morti che ci sono stati cari.
Io non vorrei per me nessun altrove,
mi basterà la vita che ho vissuto.
Io sono come il cane che mi ha amato,
il passero trovato in un cespuglio.
Io sono come il fiore sul balcone
che vive il tempo che gli è stato dato.
Vorrei, per il mio giorno di commiato,
potermi cancellare dal registro,
vorrei poter morire
integralmente
e non lasciare tracce,
nessun segno,
niente.
13
IL PRIMO TRENO
Il primo treno passerà tra poco
e la luce velata del mattino
andrà crescendo come in un acquario.
La bianca luna svanirà nel cielo.
Lucifero é ormai quasi evanescente
e tante stelle sono impallidite.
Tutto é sospeso come in un'attesa
e l'aria tace ed il silenzio é greve.
Il primo treno passerà tra poco,
soltanto i vecchi sono già per strada.
Dormivo fino a tardi
nel mio lettino e poi nel letto grande
e non sapevo ancora
della luce velata e delle attese.
Occorrerà una vita per scoprire
che le speranze moriranno all'alba.
Allora sarà inutile aspettare
il triste primo treno del mattino
che le trasporta verso il mondo d'ombre.
Il primo treno passerà tra poco.
Soltanto i vecchi sono già per strada.
14
A MIA INSAPUTA
La temo così tanto la mia morte
che a volte spero si sia già conclusa
la tragica avventura della vita
e tutto sia finito
e d’essere già morto
a mia insaputa.
15
NESSUNO CI APPARTIENE
E’ troppo complicato aprire il varco
nella tua mente che mi sta osservando,
entrarti dentro e sciogliere i legacci
che ti tengono avvinta ai tuoi fantasmi.
Non mi appartiene tutto ciò che senti,
ciò che hai provato e messo tra i ricordi.
Nessuno ci appartiene veramente,
noi monadi nel mondo degli specchi.
Credevo di capirti ma da un vetro
mi dava ascolto un altro me riflesso.
Di fuori piove e viene giù dal cielo
un fiume di tristezza senza nome.
Parole buone non so dire ancora
per dare un senso al freddo che mi prende.
Domani spioverà, sarà sereno
il cielo sopra noi che ci protegge,
sarà più azzurro di un mattino a maggio.
Non conta ch’io capisca il tuo disagio,
conta di più la mano che ti tendo.
16
COSI’ E’ MORIRE
Un cielo azzurro e fondo come un urlo
e un aeroplano col suo volo sghembo.
Una canzone dal jukebox d’un bar
e bimbi che si inseguono per strada
tra risa e gridi.
Dentro un ospedale
mia madre inizia il conto delle ore.
Finisce il mondo,
tutte le volte che qualcuno muore.
Si oscura il sole e i fiumi che traboccano
travolgono città, s’apre la terra
e inghiotte prati e boschi ed acquitrini.
Tutto si ferma ed anche gli animali
si annidano nel fondo dei rifugi.
Così nel cuore e non nella realtà.
Non ci sarà nessuno che si accorga
se griderò che non vorrei morire.
Il nostro pianto è nulla e si disperde
dentro il frastuono delle cose vive:
la musica lontana di un jukebox
e i canti e i gridi dei bambini al sole.
Si muore soli e senza far rumore.
17
SAREBBE PIU’ FACILE TUTTO
Sacrifico parte di me, piano piano,
mi faccio ridotto ed esangue,
mi strappo da solo brandelli di carne,
sparisco di un poco ogni giorno,
mi assento e mi annullo
così che nessuno si accorga che esisto.
Non occupo spazi e non reco fastidio,
mi faccio da parte se occorre,
mi anniento e mi oscuro.
Divento così trasparente
da farmi passare attraverso.
Non ho consistenza,
l’immagine mia nello specchio
si incrina al mio sguardo
e non riconosco me stesso
nel pallido esangue fantasma riflesso.
Ho speso il mio corpo pian piano,
nel centro del vento che corre
nel quale non conta il mio peso.
Se tu non mi amassi
sarebbe più facile tutto.
Potrei liberarmi dall’ansia di esistere ancora
per te, come sei,
per l’arco di luce negli occhi che hai,
per l’ultimo gesto che fai per tenermi
sul limite assurdo
di questa scogliera di abbracci.
Se tu non mi amassi
sarebbe più facile tutto.
18
VORREI TU MI VEDESSI
Vorrei tu mi vedessi,
come mi vedo nel mio sogno, a volte.
Nel viaggio che mi porta alla sorgente,
al tempo andato e a quella giovinezza
che non mi ha amato.
Il mio castello avito, il dolce mito
io l’ho inventato con la mia pazienza.
Mi sono dato scopi mai raggiunti
e panorami d’isole segrete.
Mi sono visto, per un tempo breve,
come in un sogno quello che non sono.
Capelli sciolti ed occhi sorridenti
e tu che mi guardavi innamorata.
Sono passato innanzi ad uno specchio
e mi son visto, come sono adesso.
Un viso molle ed occhi d’alabastro.
Quello che resta, solamente un vecchio.
Vorrei tu mi vedessi
come mi vedo nel mio immaginario.
Ci aspettano altre strade di silenzi
ed altre piazze e viali di cipressi
ed altri luoghi e mari e cieli azzurri
ed altre vite, tante, dopo questa
ed altri corpi e volti e specchi d’occhi
ed altre giovinezze ed altre morti.
Ci aspettano altre tavole imbandite
ed altre case tiepide di fuochi.
Se mi vedessi per un solo istante
come mi vedo nel mio sogno, a volte.
19
LA STRADA DEL NIENTE
E’ freddo stamane
ma il sole che filtra tra gli alberi spogli
ha strani barbagli di fiamma,
qualcosa che allude
ad un altro paesaggio.
Ricordo Camaldoli e i boschi incantati
di alberi fitti talmente
da fare pensare alla notte
e lame di luce tagliente ed avara
che passa nell’alto e si perde
nel rosso tappeto di foglie.
La strada si fa rumorosa di luce
e parla con voce suadente
di un altro universo
e di primavera imminente.
E’ solo la fine gennaio
ma incombe un presagio,
qualcosa mi illude che il freddo
stia già per finire ed arrivi
la festa di rane nei fossi
e la crudeltà dei ditischi,
i gridi di rondini a sera.
La vita che corre al finire
ha sprazzi improvvisi
e aspetta dal giorno che viene
un’altra promessa.
Dimentica a volte
che ognuno dei giorni che passa,
magari splendente di luce,
è un passo di più sulla strada
che va verso il niente.
20
ASPETTANDO LA SENTENZA
Come in attesa, stiamo qui seduti,
nel modo di chi aspetta una sentenza.
E’ solo questo quello che ci è dato,
è vita che si spende come il fiato.
Eppure, nonostante l’evidenza,
è troppo bello stare qui aspettando
che l’esistenza, un giorno dopo l’altro,
aggiunga un altro istante ad ogni attesa.
Godersi primavere d’aria tersa
come i ragazzi e l’ipotesi del volo
per farci immaginare onnipotenti
o come l’incertezza dei tramonti
e i vecchi in una tenera demenza.
E’ bello stare qui che si galleggia
al modo di libellule sul lago
o come la cicala che dispensa
un canto che perdura fino a sera.
Tutto è già dato e niente più ci spetta;
abbiamo avuto dosi di veleno
e antidoti di gioia e d’abbandono,
profondi precipizi per cadere
ed ali nuove per tornare in volo.
Questo ci è dato e niente di diverso,
il resto che ci spetta ci è negato.
Inutile aspettare la sentenza,
tutto finisce come è cominciato.
21
IL SOGNO DI VOLARE
Non so pensare ad altro che al perverso
senso di vuoto che mi prende, a tratti,
tutte le volte che mi lascio andare
al sogno di volare.
Librarmi in aria quasi senza peso,
come una foglia a un alito di vento
e come quella pagina di libro
dalla panchina di un giardino al sole.
Una poesia d’amore vola lieve
come sorretta in cielo da parole
vuote di senso ma ricolme invece
d’un’emozione che trasporta il cuore
là dove vuole.
Mi ricordo un tempo
in cui pensavo di potermi alzare,
sopra le cose come levitando,
per osservare il mondo da lontano,
io, l’aeroplano nel mio sogno grande.
Si piomba giù di colpo nella vita
e si rimbalza a lungo
come una palla o come un sasso piatto,
sull’acqua troppo ferma di uno stagno,
per poi finire a fondo.
Non ho mai smesso credo di sognare
e sono ancora qui che spero, a tratti,
per un’ultima volta di volare.
22
COME HO TROVATO LASCERO’
Non mi accomiato mai da nessun luogo
e da nessuno e sempre, ovunque vada,
accumulo ricchezze di paesaggi,
visioni mozzafiato di vallate,
immagini disperse e ritrovate
di luoghi amati e di persone e cose.
Amo ogni oggetto d’un amore folle
che non è voglia inutile di avere
e possedere ma soltanto il segno
che so capire il fascino che hanno
e la memoria che si chiude dentro
e che si incrosta, a volte,
su tutto ciò ch’è appartenuto ad altri.
Ed amo immaginare i volti ignoti
di chi mi ha preceduto,
l’intera umanità che ha già vissuto
ed abitato a lungo queste valli.
Le loro mani strette sulle cose
e gli occhi a carezzare i cieli azzurri,
i monti immacolati sullo sfondo
e tutto ciò che adesso vedo e tocco.
Amo la vita che mi tocca in sorte
e quella già trascorsa che ricordo
e l’infinito numero di quelle
di chi mi ha tramandato le sue cose,
le immagini racchiuse in un quaderno,
la pendola in salotto,
le posate d’alpacca nel cassetto.
Non mi accomiato mai da nessun luogo
e da nessuno e tutto,
come ho trovato lascerò
ed intatto
mi possa risorridere ogni volta
il sole che, riflesso da una pozza,
dopo la notte, come sempre torna.
23
A ROGOREDO
Una tristezza di periferia,
in questi casermoni disumani
al limite di un mare di binari.
Stazione Rogoredo di Milano
una tristezza vaga d’abbandono,
lo stesso odore acuto di città
dei cessi desolati dei vagoni
e identico il colore,
il grigio delle case di ringhiera.
Milano alla mattina
è triste come il sogno che finisce
quando la sveglia ha già suonato l’ora.
Ho visto cose e so di storie strane
che si ascoltano stando in compagnia.
Scompartimenti colmi di sudore
quando si torna a sera.
Il treno fogna
fa soste brevi in tutte le stazioni.
Parole grasse e mani sul sedere
delle ragazze che si fanno fare.
Sono le otto ed è già buio fuori,
domani all’alba il buio è come ieri.
Le stesse case a ridosso dei binari,
le stesse luci alle finestre, accese,
le stesse storie, identiche le attese;
domani sarà un giorno come ieri.
24
FATA MORGANA
(dedicata alla splendida Reggio Calabria)
E’ forse proprio qui che si consuma,
davanti a questo mare che respira,
su questa riva
il senso della vita.
Io l’ho cercato a lungo camminando
lungo sentieri in boschi di silenzi,
nelle radure dove si confonde
il verdeggiare delle canne al vento
e l’acqua quasi ferma dei canali.
Io l’ho cercato nelle vie traverse
delle città morenti e silenziose
e lungo i marciapiedi delle donne
che vendono l’amore.
Io l’ho cercato ovunque immaginassi
potessero nascondersi segreti.
Ho rovistato tra le cianfrusaglie,
negli angoli nascosti dei pensieri.
Non una frase o una parola sola
a dare un senso al vivere che vivo,
inutile cercarlo dove credo.
Non è mai là, nei luoghi dei pensieri,
è in questo quadro che mi sta davanti,
nel mare troppo azzurro dello Stretto
dove si specchia una città lunare.
Messina in lontananza è una lampara
d’una catena innumere di lumi.
E’ tutto qua l’arcano che si cerca,
fuori di noi,
lontano dai pensieri,
nel grande gioco delle cose vere,
in quello cui assistiamo,
soltanto spettatori inebetiti
di questa verità cui diamo il nome
di questo lungomare d’illusioni.
Fata Morgana, un sogno. Solo ieri.
25
PORTA ROMANA
Com’era triste la città nell’alba
e come, dai lampioni ancora accesi,
spioveva sul bagnato delle strade
una sottile polvere di luna.
Finestre lampeggiavano di giallo
sui viali della circonvallazione.
Porta Romana bella di canzoni
versava dai convogli pendolari
turbe di gente ancora addormentata.
Rigonfie quasi
come stie di polli
le filovie davanti alla stazione.
Presto si sveglia e presto si addormenta
questo ritaglio grigio di città-
Di dietro a una parvenza disperata
c’è gente che distilla con fatica
da questa vita gocce di speranza.
E’ sempre triste la città puttana
ma nel chiarore pallido di luna
una canzone sale dai binari,
Porta Romana tu,
Porta Romana
26
MILANO VIA GHIBERTI
Milano, via Ghiberti. E’ già febbraio
e il freddo della notte ha fatto bianchi
di brina i tetti rossi delle case.
Si accendono i camini e le caldaie
che fumano di nebbia e di vapori.
Il merlo ha già esplorato le grondaie
e odori forti come fiati caldi
raccontano di vita che riprende.
Io sono come il fumo del comignolo
che segna il cielo di volute gialle,
spirali che si inseguono danzando
inutilmente come tutto quello
che non richiede alcuna spiegazione.
Disegno fantasie nelle volute,
edifico castelli inabitati,
propongo strade che si perdono nel fondo
di scene immaginarie.
Poi mi sciolgo,
nel grigio del mio cielo di città,
a un alitare timido di vento
tra queste case strette tra due strade.
Milano, via Ghiberti, è già febbraio.
Io sono come il fumo del comignolo
che inventa per un cielo inospitale
scenografie che durano un istante
e poi si perdono
come una voce che non ha parole.
27
LA CIUMBIA
Milano degli anni sessanta.
Mi torna alla mente, se penso,
la piccola piazza deserta
e quella latrina di latta
dipinta di verde.
Pareti ricurve,merletti di ferro
e un certo tettuccio ad ombrello
di stile un po’ liberty o quasi.
E’ il punto obbligato d’incontro
dei militari che a sera
ritornano in via Mascheroni, in Caserma.
Si pisciano litri di birra,
si cerca qualcosa, se c’è.
La Ciumbia si nota per via del rossetto
che pare di fuoco
su fili sottili di labbra.
Nel buio si compra volendo
un poco d’amore di bocca,
un foglio da mille è anche troppo.
La sera rimbomba di suoni,
del cupo ronzio dei motori.
Poi tutto si spegne di colpo,
se tornano dentro i soldati.
Rimane nell’aria soltanto
lo scroscio dell’acqua che scorre
in un pisciatoio di latta.
La Ciumbia pian piano
si tinge di nuovo la bocca.
28
LES CHIMERES
Se dico Le Chimere, già trasalgo.
Subisco l’incantesimo che viene
dalle parole.
E non importa il senso.
Chimere vuole dire un altro mondo,
promesse disattese,
profondità insondate della mente,
memorie cromosomiche irrisolte
e pura suggestione d’altri altrove.
“Les Chimeres”, un albergo senza stelle
davanti al Porto Vecchio a Saint Tropez.
Un piccolo edificio fatiscente
col fascino inquietante dei fantasmi.
Il mio fantasma vive qui da sempre,
è qui che sono morto il sei novembre
del millenovecentottantasette.
Era una sera lugubre di pioggia,
nessuno per la strada
e scegliere il mio luogo per morire
è stato così facile alla fine.
Les Chimeres,
cambiato è ormai da tempo il nome
nella piccola insegna sulla strada
ed il colore delle lampade del viale
ma il mio fantasma
rimane sempre qui, comunque vada.
29
PIAZZA DUOMO 19
Ritorno a volte
in quel palazzo al centro di Milano,
in Piazza Duomo 19, al quinto piano.
Un portoncino in legno a due battenti
e serrature
e pomoli d’ottone quasi a specchio.
Tre camere su strada, un corridoio
e la cucina grande.
Ormai da tempo
un gran silenzio dentro
e l’aria vecchia
e l’ombra di mia madre sull’acquaio.
Non resta un altro segno sulle cose,
né la sua voce nelle stanze vuote
e notte, dopo notte e dopo notte
si fanno bruni d’ossido e di morte
i rilucenti pomoli d’ottone.
30
DAMASCO BRUCIA
Acqua soltanto
il mare che separa
due spiagge uguali sulle opposte sponde;
aria che corre
il vento che ci sfiora
e che solleva solo sabbia, in fondo.
Pioggia che batte contro le persiane
è come un pianto lungo che trabocca.
Torce le mani
e piano si dissangua
quell’operaio che non ha lavoro
e sanno di tristezza e d’abbandono
le morti miserabili dei vecchi
dimenticati al buio degli ospizi
e muoiono i bambini di Damasco,
la gola divorata dal veleno
dei gas letali.
In fondo pure questo
non è che un modo antico di morire.
Non c’è stupore e non c’è novità,
quello che accade è come sempre uguale.
Fatico un po’ a capire
se ci penso
e poi mi dico:
un giorno dopo l’altro una ferita;
ma è proprio tutta qui la nostra vita?
31
IL FIORE GIALLO
Dormivo quieto
e non avevo sogni a risvegliarmi,
poi, sul mattino, un grido
e dentro una voragine di rabbia
quell’urlo di una donna,
come un taglio.
So quasi tutto, so che le ferite
guariscono col tempo e la fatica.
Una cosa soltanto non guarisce:
il male dentro, il male e la coscienza.
La donna sa che cambierà
ma poco.
Prometterà che nulla sarà uguale,
che sarà buono e mite
e che le mani
saprà tenere al posto dove deve.
Violento e prepotente
è solo un uomo
e a volte una voragine di niente.
La donna invece
è il prato dove cresce
ad ogni primavera un fiore giallo.
32
MORIRE A NATALE
Ho sognato una bimba sognare;
alla porta del cuore
ho avvertito il suo sogno bussare.
Non chiedeva un giocattolo nuovo
né un pupazzo di neve.
Nel suo letto di piaghe
aspettava,
con la musica dolce dei canti
della gente felice,
il tinnio dei sonagli alle slitte
di Babbo Natale.
L’ha aspettato per giorni e per ore,
per un’ultima notte stanotte.
Quando il canto s’è udito
ha potuto socchiudere gli occhi.
Sul cuscino ha lasciato,
trattenuto sul bordo di ciglia,
un sorriso e uno sguardo dorato.
Si combattono al mondo battaglie
e si sparge del sangue innocente
e si perde una guerra ogni volta,
sul lettino di un angelo biondo
che si lascia morire per niente.
(dedica a Fernando Bandini, poeta, morto il giorno di Natale 2013)
33
DOVE CROLLANO I MURI
Visitammo deserti.
Le rovine sepolte
di città sconosciute che il tempo
ha scordato di scrivere dentro
alle carte segrete.
La memoria mi assista, ricordo
che con orbite vuote ho guardato
il cadere dei sogni, nel vento.
Sono entrato nei templi
ed ho aperto le porte
che la notte ha socchiuso.
Prudente
ho girato per strade deserte
e ho sorriso a fantasmi.
Porterò come dono agli altari
la mia anima inquieta
che si ferma a pensare nei luoghi
dove crollano i muri
di città che la sabbia sommerge.
Siamo qui che aspettiamo dagli anni
che ritornino verdi
tutti i prati all’intorno
e che nasca dal vento
la città che sperammo da sempre.
Visitiamo deserti
per cercare città sconosciute
dove crollino i muri del tempo.
34
A UN’AFRICA VICINA
Così violento il vento del deserto
che stanotte ha soffiato su Milano
e seminato sabbia, come fuoco,
sulle macchine in sosta e i marciapiedi.
Quell’Africa lontana è più vicina
ed ha i colori
del bronzo sulla pelle delle donne
e il nero d’occhi accesi di bambini.
Non siamo soli più con quel che siamo,
villagi inespugnabili a un nemico
che immaginiamo.
Ora si sa che respiriamo insieme
gli identici profumi
nell’aria che ci giunge da lontano.
La sabbia rossa, come in sospensione,
è un’Africa che giunge come un dono
nell’alito del vento che ci sfiora
al modo del respiro di qualcuno
che dolcemente e inconsciamente amiamo.
Il vento espugna torri di castelli,
visita chiese e non conosce muri.
Il vento è il fiato caldo che ci giunge
da un’Africa che abbiamo dentro il cuore,
pianeta perso dentro mille offese.
35
IN TANTI PORTI ED IN NESSUNO
Andiamo via di qui.
S’è fatto tardi
ed io non voglio stare dove stanno
le donne che patiscono in silenzio.
Io posso avere male, disperarmi
però voglio gridare, dare fiato
al mio tormento e che nessuno dica
che sono pazza e non so stare al gioco.
Passato è il tempo del silenzio,
quando
tu mi ferivi ed io tacevo inerme
e mi dicevi quello che si dice
alle femmine isteriche che piangono.
Le tue promesse, come canne al vento,
hanno frusciato per le mille notti,
poi, come l’acqua, sono svaporate
in nuvole leggere dentro l’aria.
So già che dovrò vivere da sola,
che il sogno di tenerti all’infinito
è già finito.
Tu non sai restare.
Non ti trattiene il bene che c’è stato
né le promesse e il pianto che mi scioglie.
Neppure un figlio,
la magia d’amore,
il segno di un legame indissolubile,
ti obbliga a restare.
Tu rinneghi
qualsiasi cosa ti trattenga a terra.
Sciogli ogni ormeggio e salpi ad ogni sera
da questo approdo verso ignoti mari.
36
MANI DI CERA
(a mia madre)
Un giorno, un mese e un altro po’ di vita
hai speso a ricamare quella trina
eppure tutto il tempo e la fatica
dispare mollemente nella trama.
Le mani troppo a lungo hai logorato
alla fontana
e consumato gli occhi sulle righe
di pagine sgualcite
al debole chiarore di candela.
Avrai mani di cera, finalmente,
le stesse mani di chi dorme a lungo
e ci dirai: “ se ormai non servo a niente,
non voglio più svegliarmi.
E vi saluto.”
37
VOLARE VIA
Qui dove il giorno è stato prepotente,
la luce cede piano e si confonde
con l’avventura di una notte nuova
che dolce come l’acqua si propaga
e allaga questa valle d’ombre opache.
Questo era il mondo ed unica la scelta.
Figli da fare, case da abitare
e solo due pensieri da pensare.
Fu quella sera, innanzi a un fuoco acceso,
la voce rotta:
“vado via, mi basta
la vita già vissuta in questa casa.
Mi ha scelto un uomo e prendo la sua mano.”
Si sciolgono in un attimo catene,
si sceglie di non scegliere e di andare.
Si dice sia l’amore
ma forse è solo voglia di fuggire,
d’essere donna, fare figli e fare,
in una casa nuova un nuovo altare.
E’ di una donna la coscienza ardita
che sceglie di concedersi il respiro,
la sola cosa al mondo che possiede.
Qui, dove il giorno è stato prepotente,
è nata l’avventura di mia madre
e la sua storia è come mille, uguale.
Si dice che sia stato per l’amore
ma forse è stata voglia di volare.
38
GLI ADDII
Più forte del dolore la paura;
paura di provare altro dolore,
così ho taciuto a lungo senza dirlo
ed è accaduto troppo spesso allora
così ogni volta ho scelto di fuggire.
Mia “dulcissima mater” ora ho capito
che si diventa un uomo solo quando,
quando si impara a dire
il primo addio.
E’ stato così dolce averti accanto
per tutto il tempo di una vita ed oltre
ed ora è così triste la certezza
che non ci incontreremo, per l’eterno.
La mia sola speranza d’infinito
è in questo far durare più che posso
il nostro dirci
lungamente addio.
39
MIO PADRE INVECE
Inquieta fantasia delle salite
e dopo invece,
discese mozzafiato senza freni,
su spire di serpente arrotolate
per strade ardite.
Sorride ancora da una vecchia foto,
la mano sul manubrio
e sulla maglia
il nome di battaglia.
I sogni non si appagano vivendo
ma solo dopo.
Inseguirai le ruote palmerate
di quelli in fuga,
avanti tre tornanti,
per prenderne la scia.
Sul lungo rettifilo dell’arrivo,
l’ultimo scatto.
E via!
40
L’ESTATE E’ UNA STAGIONE UN PO’ CRUDELE
E’ stato quasi come se la notte
si fosse fatta bianca di lampeggi,
come se l’aria, a un brivido di foglie,
si fosse accesa di bagliori verdi.
L’estate che finisce ha riti assurdi,
burrasche in alto mare e mareggiate
che vengono a morire alla battigia,
groppi di vento sopra le lagune
e nebbia di salsedine nell’aria.
Fragore di una scena che si muta
ora per ora e toni di tragedia.
Non muore mai in silenzio, se ha ballato,
l’estate ardente nella sua calura.
Non muoiono le storie di prodigi
e d’avventure quando viene sera.
Rivivono al mattino, insieme al sole,
miracoli di sogni e d’emozioni.
Non rivivrò con te la meraviglia
del nostro stare insieme, silenziosi,
ad ascoltare il canto degli uccelli,
il brivido del vento tra i cespugli,
la musica lontana delle stelle.
Un’altra estate tornerà tra breve
con altri tuoni e lampi e nubifragi
ma il mio coraggio e la mia voglia folle
si va spegnendo come fiamma al vento.
Vado cercando spazi silenziosi,
angoli bui dove stare quieto.
L’estate è una stagione un po’ crudele.
Ormai più non resisto al sole pieno
e cercherò, in un angolo segreto,
l’ombra gentile che si addice ai vecchi.
41
FOULARD DI GUCCI
Mi guardi, mi vedi poi strepiti forte,
più forte d’un urlo dal fondo
mi gridi una frase d’amore.
Distesa di neve che brilla di stelle
s’accende d’un tratto, alla luna.
Un sogno non mio; dalla tolda
d’un bianco vascello che affonda
mi dici parole di seta sottile,
foulard delicati di Gucci,
cavalli dipinti e staffe dorate,
tappeti di foglie d’autunno.
Non voglio raggiungerti,
tanto
se io m’avvicino,
lo spazio si allarga di colpo
e s’aprono sotto
paesaggi di un’anta d’armadio.
La radica in noce disegna
abissi profondi
e cime di monti,
voragini dove si perde la mente ed il cuore.
Poi basta che piano mi tocchi
perché mi risvegli di colpo.
Se guardo d’intorno
il sogno ha lasciato soltanto
le sete di Gucci
e quell’anta d’armadio
che come uno specchio riflette
me stesso, disperso,
che mentre ti cerco,
ti perdo.
42
CI TOCCA
Non piangere cara, ci tocca.
La vita di un figlio
ci sfiora soltanto e non lascia
che un’ombra di se. Se non basta
avremo, per gli occhi,
la foto che ride,
il pupazzo di neve,
quel giorno d’inverno, ma dove?
Il posto in cucina,
la sedia ch’è vuota da tempo
aspetta che venga Natale.
Non resta che il poco che serve
e arriva ch’è stanco e svogliato.
Non parla e se dice,
capire è difficile a volte.
Contesta, protesta e si inquieta
con me, per le cose che dico.
Non piangere cara, ci tocca;
ai vecchi non resta che farsi da parte.
Le nostre parole non hanno più ascolto,
la voce che occorre non trova il coraggio
e piano sprofonda
così che alla fine il silenzio divora
l’estrema parola che affiora alla bocca.
Non piangere cara, ci tocca.
43
UN ABITO A FIORI DI CAMPO
Non era rimasto nell’aria che un segno,
la piccola traccia che lascia
la mano che piano ti sfiora
nell’attimo prima che tu non sparisca
giù, in fondo alla strada.
Ti ho vista arrivare, improvvisa,
la snella figura stagliarsi danzando
nel debole raggio di sole
che spiove tra i rami del viale.
Sei parsa volare
nel piccolo spazio tra noi, che separa
la viva farfalla che sei da chi sono,
un debole stelo piegato
dal vento leggero di maggio.
Vestivi la veste leggera
di tutte le donne del mondo
nei giorni di primavera.
Un abito a fiori minuscoli e vari
così che abbracciarti pareva
tuffarsi nel sogno in un prato.
Mi sono svegliato di colpo
all’urlo di un’autoambulanza
che corre furiosa per strada.
C’è stato qualcosa all’incrocio;
per terra, in un lago di sangue,
qualcuno travolto da un’auto pirata.
Lo vedo dall’alto,
il piccolo sacco di stracci,
quell’abito a fiori di campo,
venuto a morire stamani
sull’uscio di casa.
44
L’ARCHETIPO DI CASA
Quanto più vivo e vedo
più si fa grande il vuoto dentro.
Facevo foto un tempo
creandomi un archivio,
per quando sarò vecchio, mi dicevo.
Ricordo poco ormai;
difetto di memoria ma non credo,
credo piuttosto a un modo originale
di scegliere col cuore
quello che conta e quello che non vale.
Se dico “casa”
mi tornano alla mente
le case che ho abitate
e tutte quelle ormai dimenticate.
Si radica di dentro come un male
la prima casa
in cui ci siamo accorti di abitare.
La casa rossa sulla ferrovia,
una piccola porta per entrare
e due finestre a lato,
il fumo di un comignolo che sale.
Un cielo azzurro ed una nuvola soltanto
e un sole tondo nell’angolo su in alto.
Ho seppellito dentro quella casa
l’archetipo di tutte le dimore,
così se cerco la mia idea di casa
devo scavare al fondo del mio vuoto,
dentro la tomba della mia memoria.
A quella casa non ho fatto foto.
45
MI TIENE VIVO L’INCERTEZZA
E’ passato così, senza rumore
il tempo della vita che davvero
è stato come un lampo.
Mi rammento
d’un’infanzia felice e inconsapevole
e d’altre età sprecate inutilmente.
Io l’ho buttato il tempo
della mia desolata giovinezza,
tutto il tormento dell’insicurezza
per ciò che sono e sono stato.
Ho avuto un corpo fragile e malato,
ho temuto di tutto e ho sperperato
giorni su giorni a compatirmi e a dirmi
che non avrei potuto stare al gioco.
Stando di lato, il mondo non si cura
di te che non ti adatti alle battaglie.
Ti isoli e ti culli
in fantasie d’estraneità dorata
e quanto più ti affondi nel silenzio
più godi del piacere d’esser solo.
Coltivi dentro
il seme di un fantasma
inadeguato a vivere nel mondo.
Sono approdato a questa spiaggia estrema
nudo e sfiancato e senza alcun bagaglio.
Il retroterra è un campo di battaglia,
ad ogni cippo solo una sconfitta.
Non ho memorie, punti di partenza,
quello che posso è cominciare adesso.
Nel mio futuro un’altra giovinezza,
un’altra storia e tanti nuovi approdi.
Mi tiene vivo, in fondo l’incertezza,
la mia precarietà, la voglia folle
d’altre bandiere da affidare al vento,
di nuovi porti ed altri approdi certi.
46
SEGNI
Io leggo segni sempre e ovunque vada
leggo la traccia piccola che c’è
del tuo passaggio lieve in questa casa.
Un segno appena, la tua tazza bianca
col bordo di celeste e sul cuscino
l’impronta ancora tiepida di te.
Un segno nei sentieri del giardino,
ciocche di fiori dentro i vasi appesi
nella pergola accanto alla fontana.
Un segno dentro me che mi affatico
a trattenere il filo di memoria
che mi tiene agganciato alla mia vita.
Ricordo segni sulle rocce rosse
dei dirupi scoscesi all’Esterel.
Un segno piccolissimo su un sasso
tracciato con un guscio di conchiglia
per ritrovare, un giorno se si passa,
il luogo di un picnic tra le lavande.
Sul candido sepolcro di Chagall,
ho abbandonato un sasso levigato
e nero come un abito di scena
per la casa in collina di Gerard.
Sassi su sassi ed altri sassi ancora,
segni su segni in cumuli infiniti,
a erigere muraglie di difesa,
a fare case,
a lastricare strade di discesa.
E sopra i muri una parola incisa
per dire quanto valgano i pensieri.
Amo i sentieri dove è già passato
il cacciatore nelle aurore insonni
ed amo i porti
e tutti quanti i mari navigati.
Amo le croci al vertice dei colli
ed agli incroci
certe santelle povere di fiori.
Amo te che mi chiami da lontano
col segno della mano
e lascio tracce e inseguo tutti i segni
di chi mi piace e che mi incrocia a caso,
di quelli che mi amano e che amo.
47
TRA ME E L’INFINITO
E’ un giorno di vento quest’oggi
e già dal mattino si annuncia
la bella ventata che spazza
le candide nubi di panna.
Il cielo diventa più azzurro
dei giorni di maggio,
dei tiepidi giorni
che tutto si fa trasparente cristallo.
I prati, davanti alla casa,
si increspano all’aria
al pari di un mare sfiorato
da un volo di rondini, a raso.
La mamma mi ha fatto, con carta crespata
e stecche di canna
e colla di latte e farina,
un cervo volante più bello
di un sogno a colori.
Cerchiamo nei prati ondulati
il punto più alto,
il sommo di un colle da poco
per dare lo slancio che occorre.
Ondeggia nell’aria poi cade
e questo una volta e poi mille.
Non cullo illusioni,
so già da gran tempo
che quello che spero
non capita mai. Mi accontento.
Per tutta una vita ho sperato
che tanti aquiloni
potessero un giorno librarsi
nel cielo dei sogni.
Nessun aquilone ha volato
per più di un minuto
così tra le mani mi resta nient’altro
che il capo di un filo.
Quel filo tra me e l’infinito
che inizia e finisce in un prato.
48
PORTERO’ CON ME
Li porterò con me, nelle pupille,
i palpiti di stelle,
lo scintillio delle fontane al sole
e i suoni della musica degli astri
e i canti delle donne nelle sere.
Non si disperderà nell’universo
la somma inenarrabile di cose
vedute e amate.
Io, come un recipiente,
un reliquiario sacro a custodirle.
Tu dentro me,
con la tua luce bella,
con gli occhi che saettano di sguardi
e con le mani lievi di carezze.
E poi se tutto o quasi tutto si perdesse.
La luce azzurra sopra la laguna,
il tremolare incerto tra le canne
del sole che si affonda all’orizzonte.
Se si perdesse il bene
di questa sera calda,
il desiderio di fermare il giorno,
fino ad un’ora tarda,
perché continui il gioco
di questa luce nelle tue pupille.
Se tutto si perdesse
e andasse via il ricordo
di rondini impazzite tra le case,
se mi morisse dentro
l’ansia di avere e cogliere nell’aria
la verità di Dio.
Se si perdesse
e se davvero tutto si perdesse,
vorrei finire ma finire adesso.
49
POLVERE SOTTILE
E si va via da questa superficie
come un segno di gesso alla lavagna.
Un gesto ci cancella in un istante,
resta di noi una polvere sottile.
Perché affannarsi allora a farci male,
a roderci di rabbia, a tormentarci
lasciandoci alle spalle anche l’amore.
Trattieni le parole che conosci
e non lasciarti andare.
Parlale piano, dille che ti occorre
ancora un po’ di tempo per pensare.
Se non sorride mentre tu le parli,
è troppo tardi ed è lontana ormai.
Non trattenerla allora che un istante,
abbi il coraggio di lasciarla andare.
50
IL BATTITO DEL CUORE
Ho freddo dentro,
scaldo le mani al fuoco del camino
e illumino la pagina che ho aperto
al rosso della brace. Il gatto dorme
acciambellato sul cuscino. Tace
la pendola se osservo il suo oscillare.
Il tempo che trascorre nella pace
illude che appartenga alla mia carne
il po' di eternità di questa vita.
Se il cuore batte come rallentato
è bava d'esistenza che s'attarda
soltanto per illuderci che il tempo
duri per sempre se si sta in silenzio.
La vita vera invece si consuma
col battito del cuore che galoppa,
con la passione che ti brucia in faccia.
Ed ogni azzardo che si fa per gioco
ed ogni sguardo che rivolgi a un altro
lasciano segni come di ferite,
cicatrici di vita , un medagliere
da esibire sul petto, il testimone
di aver patito tutto quel che occorre
e aver vissuto insieme tante vite.
51
IL TARLO E LA MEMORIA
Sarà così per lungo tempo ancora
che ti verrò a cercare come fossi
ancora lì, ad accogliermi sull’uscio
della tua casa.
Attendere qualcuno che non viene
lascia sul cuore come una ferita;
non lo sapevo o forse non volevo
dirmelo allora.
Lo capisco invece
adesso che pian piano arrivo al punto
di non ritorno.
Non c’è un modo solo
di riparare al male che ci opprime.
Il tarlo che ci rode avrà il suo tempo
e solo la memoria che si incrina
ci toglierà, col bene del ricordo,
il male che ci fa l’avere invece
dentro di noi la pena del capire.
Per lungo tempo,
poi con la memoria
si cicatrizza il cuore e la ferita,
svaporano nel nulla i sentimenti,
si attenua la coscienza della vita.
52
ANCORA VENTO
Vento di primavera, così improvviso
che arrivi e mi porti un soffio di paradiso.
Vento con il profumo di gelsomino,
che mi sollevi in cielo come un bambino.
Vento come farfalla
che si gingilla,
e si fa bella
al bordo di una corolla.
Vento che sento forte e mi brucia gli occhi,
vento che ti balocchi
con mille foglie
che strappi al ramo in vortice e poi scompigli.
Vento che ti conosco come un fratello
dolce rabbrividisci sulla mia pelle.
Portami in dono il sogno che mi somiglia,
come il messaggio chiuso nella bottiglia.
Vento di tutti i venti di primavera
fammi sperare che oggi
non venga sera.
53
COME GIUNCHI
Rivedo in questa donna che ho vicina
quella sua giovinezza rigogliosa.
Le sbocciavano i seni come fiori
che cercavano il cielo e il ventre esiguo
come un’anfora cava profumava
dei profumi dei prati sotto il sole.
Il tempo che ci piega come giunchi
mi toglie solo ciò che non ho avuto
e ruba la ricchezza, dove c’è.
Tu depredata, tu non sei più tu.
La tua bellezza andata
mi dice che è così che si finisce.
Noi naufraghi approdati alla battigia
di quest’ultimo scampolo di vita,
ci sorridiamo in questo parco di città
dai lati opposti dell’identica panchina.
54
PAPAVERI
Ti porterò un papavero rovente
di rosso fiamma e i petali di vento
se saprò trattenerli almeno il tempo
che occorre ad arrivare fino a casa.
L’ho colto adesso al bordo della strada
e prima che la polvere lo copra
di un velo sottilissimo di bianco.
I papaveri ridono di nulla,
come le tube in un concerto grosso,
nei campi di frumento
sventagliati dal vento della notte.
Solitario il papavero che ho colto
è quel sorriso che non ho per te.
Sono come una pietra del sentiero
che piange d’acqua solo quando piove
e poi si asciuga lentamente al sole.
Rido con gli occhi, a volte al tuo pensiero
ma rido sempre quando sono solo.
Ti porterò il papavero rovente
del riso rosso che vorrei per te.
Lo stringo tra le dita perché trema
dell’aria intorno che lo sfiora a tratti.
Cammino piano, sono quasi a casa.
A un angolo di strada una folata
e i petali si perdono lontano.
Il mio sorriso è andato e nella mano
l’esiguo stelo e un cuore quasi nero.
Non ho altro spazio e non so più che fare
eppure io ci devo riprovare.
Lo cercherò il sorriso da raccogliere
al bordo polveroso di una strada
di un fiore uguale.
Un papavero rosso come fuoco.
55
PREGARE A VOLTE
Pregare a volte è solo una metafora.
Come la donna fa, quando si leva;
spalanca le finestre d’ogni stanza,
crede che l’aria fuori sia più pura.
Accende il fuoco sotto al bricco d’acqua
poi rigoverna
e con la stessa cura
del giorno prima,
stende sui fili tesi del balcone
i panni in fila,
stira ogni cosa ed ordina precisa
nei piani giusti della cassettiera.
Prepara cena e rigoverna ancora
poi va a dormire prima.
Io mi addormento innanzi alla tv
affaticato
da un paio d’ore spese sul pc.
E siamo qui, noi uomini che siamo
ognuno col suo carico di se,
di ma e perché.
La donna no, perché sa già
quel che si può o non può
perché così com’è
lei è
una preghiera vera,
fatta di quello che si fa
per una vita intera.
56
IO SONO LA GRAMIGNA TRA I BINARI
(da una suggestione di Pessoa)
L’amore è come un bel ventaglio.
Aperto
sarebbe ben più bello certamente.
Più bello ancora invece è non aprirlo
per regalarsi l’intimo piacere
di torturarsi il cuore a immaginarlo.
Sono così, che prendo ciò che viene,
e se non viene penso che sia meglio
restare a coltivare il dispiacere.
Amo i castighi
e specie per le colpe non commesse.
Porto un cilicio in cuore
e mi compiaccio
del mio patire, come fossi un altro.
Patisco della vita
gli anni trascorsi in tutti i calendari.
Io sono la gramigna tra i binari.
57
NON C’E’ UN’ETA’
Come ciascuno piango, a volte,
la gioventù perduta e piango insieme
per chi piange d’amore.
Mi consola
il non dover patire, per età, pene del cuore.
Mi dico quindi d’essere al riparo
da tutto quello che mi ha resa amara
la giovinezza.
Mento a me stesso,
mi lascio andare all’euforia del vuoto,
poi se ci penso,
mi accorgo che si cambia ma di poco.
Non c’è barriera alcuna di difesa,
non c’è un’età che lasci indenne il cuore
e si ritorna a piangere d’amore
fino all’istante prima che finisca.
E’ in tutto questo il senso della vita.
58
IL SOGNO NEL SOGNO
(da una suggestione di Pessoa)
Io sono il mio sogno di me.
Non esisto
e il tempo che passa è ciò ch’è trascorso,
la cosa consunta che adesso non c’è.
In questo momento io so che non sono
ed anche quel tempo che ho visto
è l’ora trascorsa che adesso non ho.
Se sono in un luogo e ignoro chi sono
è come se il tempo non fosse
ed io stesso
non fossi nient’altro che un sogno nel sogno.
59
LAGER
Gli altissimi pioppi, alla curva,
proiettano bianchi cavalli
nel cerchio lucente di luna.
Cristalli di neve
riflettono un cielo di vette,
sequenze di candide gonne
che danzano al vento notturno.
Un’auto che passa, coi fari abbaglianti,
sventaglia di luce
le sagome scure
degli alberi ai lati.
I reticolati,
corone di spine per tanti calvari
raccontano storie
di treni diretti in Germania,
nei carri bestiame
la carne che piange.
Sui lager lontani è sospesa
la stessa valigia di luna
e reticolati malati di gelo e cristalli rappresi
e mani aggrappate a ferirsi.
Il bianco di neve si tinge di sangue.
La luna lucente si ammanta
di macchie roventi.
Nel freddo d’inverno
trascorre nell’aria la mandria al galoppo.
Nessuno si accorge di nulla,
non s’odono gridi,
la morte che uccide
sa farlo anche senza rumore.
La luna riflette distese di neve,
criniere di vento
e il gelo rapprende i silenzi.
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I N D I C E
ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE
L’INCAPACITA’ DELLA PAROLA
FOTOROMANZO
E VICEVERSA
LE POSSIBILI INTESE
EPANALESSI
LA TRISTE ALLEGRIA DI ALBINONI
UN’OMBRA CHE MI SEGUA
L’INSIGNIFICANZA
FLUSSO DI COSCIENZA
COME IL SASSO SULL’ACQUA
CIELITUDINE
NESSUN SEGNO, NIENTE
IL PRIMO TRENO
A MIA INSAPUTA
NESSUNO CI APPARTIENE
COSI’ E’ MORIRE
SAREBBE PIU’ FACILE TUTTO
VORREI TU MI VEDESSI
LA STRADA DEL NIENTE
ASPETTANDO LA SENTENZA
IL SOGNO DI VOLARE
COME HO TROVATO LASCERO’
A ROGOREDO
FATA MORGANA (a Reggio Calabria)
PORTA ROMANA
MILANO VIA GHIBERTI
LA CIUMBIA
LES CHIMERES
PIAZZA DUOMO
DAMASCO BRUCIA
IL FIORE GIALLO
MORIRE A NATALE
DOVE CROLLANO I MURI
A UN’AFRICA VICINA
IN TANTI PORTI ED IN NESSUNO
MANI DI CERA
VOLARE VIA
GLI ADDII
A MIO PADRE
L’ESTATE E’ UNA STAGIONE UN PO’ CRUDELE
FOULARD DI GUCCI
CI TOCCA
UN ABITO A FIORI DI CAMPO
L’ARCHETIPO DI CASA
MI TIENE VIVO L’INCERTEZZA
SEGNI
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TRA ME E L’INFINITO
PORTERO’ CON ME
POLVERE SOTTILE
IL BATTITO DEL CUORE
IL TARLO E LA MEMORIA
ANCORA VENTO
COME GIUNCHI
PAPAVERI
PREGARE A VOLTE
IO SONO LA GRAMIGNA TRA I BINARI
NON C’E’ UN’ETA’
IL SOGNO NEL SOGNO
LAGER
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