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Raccolta di poesie di Silvia Rizzo
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Sogni di un cane

 

                                                       in molli saepe quiete

                                                      iactant crura tamen subito vocisque repente

                                                      mittunt (Lucrezio 4, 999-1001)

 

Quante strade ho percorso, quanti impervi

sentieri o tracce sola insieme a te,

mite mio cane dagli occhi dolenti,

dal pelo biondo com'è biondo il grano!

A volte vagavamo fra odorosi

boschi d'abeti e tu puntavi attento

e mi indicavi il balzo di un capriolo

in fuga a pochi passi.

Oppure salivamo su tappeti

strepitanti di foglie rosso-rame

in faggete montane, lungo un rivo,

e sedevamo in alto a contemplare

gli spazi interminati.

O ancora, andando tra le lave brune

del Mongibello, seguivamo un'erta

strada per muli lastricata in pietra,

stretta fra muri a secco di frutteti

e di vigneti dai contorti ceppi.

Sempre tu fosti mio compagno fido,

silente e vigile, e con me godevi

dell'ebbrezza del moto prolungato,

dell'aria rarefatta delle alture,

di immense solitudini, del bello,

che dispiegava intorno la natura.

 

Chissà se adesso che vecchiaia oscura

vela i tuoi occhi e frange la tua schiena

ti visita il ricordo del passato?

Talora nel silenzio del mio studio,

ove tu dormi lunghi sonni ed io

vigilo china sui libri e le carte,

di un abbaiare soffocato un'eco

mi scuote e vedo che nel sonno cieco

muovi le zampe e tutto vai fremendo.

Certo tu sogni, mite mio compagno,

e ti sembra di correre sfrenato

in cerchio insieme a me su un verde prato

 

*

Preghiera

«Ave Maria...». Nel buio di una notte

disperata riaffiorano alle labbra

quelle parole antiche. Mio fratello,

il corpo abbandonato sopra il bianco

delle lenzuola, vinto per un poco

dal sonno, in una stanza di ospedale,

mi appare così fragile ed inerme

che ad un tratto rivedo il piccolino,

di poco a me minore, che nei giochi

con le gambette incerte mi seguiva.

«Ave Maria, sia benedetto il frutto

del ventre tuo... Aiutaci nell'ora

della morte...». Disperde le parole

vane la notte e il giungere del giorno

col suo carico nuovo di dolore

per sempre gela in petto la preghiera.

*

Valchiusa

 

Francesco, se vedessi com'è ora

la tua Valchiusa, dove tu cercavi

la solitudine! Orde di turisti

riversati da macchine e da pullman

salgono a frotte verso l'antro immane

della sorgente fra due lunghe file

di baracche che vendono di tutto,

di trattorie e caffè coi tavolini

sulle terrazze a specchio della Sorga,

da cui si spande pesante un odore

di cibo. L'aria è piena di richiami

e tra la folla variopinta corrono

bambini e cani e ci si mette in posa

per la foto ricordo. Ma se guardo

alle rocce che chiudono la valle,

alle acque che spumeggiano sgorgando

abbondanti e dilagano per tutto

sotto una verde galleria di fronde

e poi scorrono lente e trasparenti

come vetro purissimo su un fondo

dove capelli di alghe smeraldine

vibrano appena sotto la corrente,

posso in me ricreare una scintilla

di quell'incanto per cui tu bambino

ti dicesti pensoso: «È questo il luogo

dove vivere voglio», e così fu.

Ed ecco che scendendo dalla fonte

levo gli occhi a sinistra ad una rupe

erta e scoscesa che sovrasta il fiume

e m'arresta e trattiene all'improvviso

un'agnizione. Sorge nel ricordo

quello schizzo sul margine inferiore

di un foglio del tuo codice di Plinio:

rocce, chiesetta, il corso della Sorga,

un airone col pesce dentro il becco,

e le foglie ed i fiori di una canna

palustre che Linneo battezzò 'typha'.

Il profilo roccioso che contemplo

incatenata è quello del disegno.

È il tuo cenno, Francesco, il tuo saluto,

la tua risposta quasi a una domanda.

 

Il disegno di Francesco Petrarca sul foglio 143v del suo codice di Plinio, oggi a Parigi, Bibl Nationale, lat. 6802, è visibile a questo link: http://www.italica.rai.it/scheda.php?scheda=rinascimento_iconografia_prot_1579

Le fotografie da me scattate nella visita a Valchiusa caratterizzata dall' 'agnizione' si possono vedere a questo link: https://picasaweb.google.com/116000617407748900398/AvignoneEValchiusa25Aprile2012

Mi sembrò allora che Petrarca ponendomi sotto gli occhi improvvisamente quel noto profilo rispondesse a una domanda perché fra gli studiosi predomina oggi l'opinione che il disegno sia stato fatto da Boccaccio sul codice dell'amico e in stretta collaborazione con lui durante uno dei suoi soggionri in casa Petrarca. E tuttavia Boccaccio non è mai stato a Valchiusa e quel profilo poteva essere disegnato così solo da chi lo conosceva molto bene e lo aveva avuto sotto gli occhi per tanti anni della sua vita.

*

La Poesia #poesiapoeti

Quando la notte l'ansia tiene desta

la mente inquieta, simile mi sento

ad una corda tesa di violino

che l'urto dei ricordi fa vibrare

traendo dissonanze dolorose.

 

Ma dalla stessa corda può sgorgare

l'accordo arcano che ridoni senso

al rovello e al dolore,

facendone le note di più vasta,

possente melodia.

 

*

Il fiore del deserto #poesiapoeti

E' come se finora avessi sempre
diffidato di te, o poesia.
Temevo forse di accostar la tua
incandescenza e di bruciarmi le ali
come falena presso alla lucerna.
Ma adesso che all'autunno mia stagione 
volge e si screzia di mille colori,
fui dal tuo incanto infine vinta e presa.
Tu insperata venisti ed inattesa
a dare il tuo conforto in ore oscure.
Aveva la mia colpa ogni valore
tolto alle umane frasi, ed anche al pianto.
Fu allora che il linguaggio tuo divino
le tenebre schiarò con il suo raggio
e serenando vinse la tempesta.
Ed ora quando nella notte buia 
più incalzano i fantasmi,
le paure, le angoscie,
a te mi volgo e nella tua parola
cerco un senso al dolore ed un riscatto.
Tu nel deserto del soffrire umano 
ti schiudi unico fiore e sulle nostre
sciagure stai sospesa e brilli lieve
come l'arco iridato.

*

Aprile

APRILE

Deserto il parco, fresco del mattino,
chiarità del fogliame appena schiuso.
Funereo e lamentoso suona il grido
di tortore in amore.

Struggente primavera,
che riporti l'effimero e l'eterno
e fai muovere i semi e le radici
nascosti sotto terra
ed i morti con loro.
Tu riporti l'amore
a piante ed animali; e chi l'amore
l'ha sotterra, si muove a passo lento
per strade di campagna, nella notte,
sotto chiarie lunari,
ed aguzza lo sguardo al lume incerto
per vedere se al fondo della via
l'essere amato appaia all'improvviso.

*

Scilla bifolia

Sono caduti pezzetti di cielo
oggi nel bosco tra le foglie secche.
La primavera è ancora incerta e fredda,
ma l'azzurro gentile delle scille
e il martellare ritmico del picchio,
che è tornato a cercare le sue larve,
dicono che è arrivata.

Che buffo avere intorno, tutti intenti
a quanto li circonda, a coda tesa,
Lara, Piotr e Tigrin, due cani e un gatto!
E tutti e quattro camminare insieme,
tutti ugualmente lieti per l'arrivo
di un'altra primavera.

E certo sono liete anche le scille
che intorno a noi sorridono nel bosco.

marzo 2011

*

Ultimo addio

Il nome d'una via dimenticato
(cancellato?) risorge doloroso...
Ecco una stanza d'ospedale, spoglia
come tutte le stanze d'ospedale.
Soffocante era il caldo. Era avanzato
un po' di vino dalla cena (tu
non lo bevevi). "Versa" mi dicesti
indicando i bicchieri. Sollevasti
il vino sorridendo. Me ne andai
rasserenata. Non sapevo ancora.
che era stato il tuo addio,
che rivisto ti avrei nella tua bara.


*

lacrime di vento

LACRIME DI VENTO

Cammino, il vento gelido mi sferza
così forte da farmi lacrimare.
Altro vento, altra strada: ti ricordi?
Camminavamo chine contro il vento.
C'era la neve. Ti ricordi ancora?
Puoi ricordare là dove sei ora?
Ti sento accanto, con te parlo, il vento
porta via le parole.

*

Separazione

Violento mi spingesti fra gli sterpi,

in aspri luoghi infestati da serpi.

Invano ti gridai: "Perché mi scerpi?".


Ma lo sterpo fiorì di biancospino.

Come una serpe mi riscaldo al sole.

Ti morderò se mi torni vicino.

 

                                               21aprile 2003

*

Locus amoenus

 

    Hoc carmen inveni in antiquissimo quodam codice qui in monasterio Cryptensi asservatur, litteris vetustissimis exarato peneque exoletis. Cuius antiquitatisetiam tabulae corrosae vetustate membranaeque carie exesae fidem faciunt. Deerat titulus et nomen auctoris necnon aliquid in fine. Plurimum insudavi ut hoc ex implicatissimis et caducis in explicatas studioseque interpunctas litteras transferrem. Figuras litterarum inter se similitudine quadam commutatas correxi: quae vitio librariorum vel codicis antiquitate prorsus corrupta erant attingere ausa non sum, ne forte magis depravarem. Tu si quid adhuc inemendatum exstat vel versus claudicare videtur, id pro tua humanitate corrige et emenda. Non quod potui sed quod volui boni consule et vale.

 

            Est locus - haud procul inde lacus ridet Nemorensis -,

            quem foliis cingit densis viridissima silva

            ac solis radios arcet nimiosque calores:

            lenis ibi spirans gratos diffundit odores

            et curas mulcet flatis fragrantibus aura.

            Sunt humana procul vestigia cuncta remota,

            solum avium resonant cantus ac murmure frondes.

            Iucundus locus est et quem natura benigne

            Egregiis donis decoravit multa profundens:

            sed non his donis mihi gratus***

                                                                      deest reliquum.

*

Orchidee dell’Amiata

Orchis morio, ophrys fusca, gymnadenia,
neottia nidus avis, orchis simia,
dactylorrhyza maculata e fuchsii,
serapias lingua e vomeracea e tante
altre dai nomi e dalle fogge strane
dischiudono corolle non vistose,
simili a vulve femminili o in forme
bizzarre, come d'elmo, con speroni,
con rilievi, con creste, con puntini,
purpuree, bianche, maculate, rosa,
verdastre, gialle, brune, quasi nere,
con placche blu, con strani geroglifici.
Per riprodursi attirano gli insetti
imitando una femmina di bombo,
d'ape o di vespa, oppure col profumo
acuto che diffondono la sera,
o ancora coi colori variegati
e col nettare in gole spalancate.
Ognuna ha un solo insetto che può fare
il miracolo. E poi non è finita:
occorre ancora, perché il seme germini,
che presti un fungo le sue ife e se
prevale il fungo quel germoglio muore,
ma muore senza il fungo. Ognuna ha il suo
terreno: acido, basico, arido, umido,
argilloso, leggero, di pineta,
di quercia, di castagno, di faggeta.
Impossibile farle germogliare
e fiorire a comando; non le trovi
né in giardini né in luoghi coltivati.
Stanno in luoghi selvaggi e abbandonati,
nel sottobosco, in magri pascoli, anche
sul bordo delle strade, ovunque l'uomo
non le disturbi. Sono le orchidee
nostrane, quasi ignote, senza i fasti
letterari di quelle tropicali
(la cattleya di Proust), e l'apparire
ne è difficile, raro ed inatteso.

pubblicata in Orchidee dell'Amiata. Poesie di S. R., "Caffè Michelangiolo" VIII 1, gennaio-aprile 2003 [ma ottobre 2003], 22-24.

*

Ad Iacobum, gratiarum actio

“Natalem ecce diem revehit mihi frigida bruma:

hei mihi, iam iuvenile cito pede labitur aevum

insequiturque celer mors pallens, cana senectus!”

Talia dum mesto mecum sub pectore verso,

audio tinnitum, propero portamque recludo:

adsunt en flores, Iacobi munera nostri,

pignus amicitiae, qui ver in tecta reducunt

maestitiamque fugant omnem frontemque serenant.

Romae, a. d. VI Idus Februarias MCMLXXXVI