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Raccolta di poesie di Bocchino Rosario
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

dove precipitano i fiori

la profondità che mi appare

è improvvisa come una stella infranta

-smisurata alla fine degli alberi

se segreti fossero gli occhi,

ma la notte è calore

senza lampi e, io, un poco di un poco 

sono lì, dove il buio si risparmia,

dove precipitano i fiori

lì, dove nessuno ha più il ricordo della luna:

mi placa l’oro

di questa finestra chiusa,

così la pioggia,

dentro questa luce così intima;

da queste parti il sogno

è il mio silenzio,

e dove mi cercano le ore

ci saranno le schegge

e le inutili cose,

gli appunti delle barche

e le stesse pietre;

non basteranno mille cancellature

il desiderio, l’amore e il risveglio,

il destino di una poesia

 

tra queste curve vicinissime

siamo necessari come gli inganni

e anche la strada

è un momento qualunque

*

il mare di chiunque

C’è un’opera notturna

dove i tetti remano sui sogni,

si scorge il mare di chiunque;

voi, che in fondo mi distraete

da questo cielo, andate pure.

 

Io rimango al sole,

negli occhi improvvisi di un nulla,

tanto la strada

è grazia, è ghiaia, è mondo,

è smarrita aria profonda.

 

Mi conserverò gli occhi:

l’eternità di un luogo che si cura

fin dove lo sguardo non si avvera.

*

Davanti a noi

Davanti a noi,

quasi fosse finita l’era delle rose,

un dolore caldo, accurato,

quello di un’ora,

come la voce all’eco:

un luogo lasciato alle strade.

Breve quanto lontano,

forse una canzone.

 

Dicevano della vita,

era il modo in cui alla luna

si chiede scusa.

Qualcosa che si cerca

alla fine di un verso, oltre i poeti

e il mattino.

Polvere.

*

a gettare ogni sguardo

come il rumore di ogni cosa,

in fretta, cambiando nome,

a gettare ogni sguardo in cui mi vedo,

in fondo, dove un’improvvisa tristezza

riempie di facce un vecchio clown 

 

al termine di un punto, di lato,

tra tramonti che forse celebreremo,

senza eternità,

come un cielo in cima ai rami, 

dove il pianto continua interminabile

 

in ogni momento di sabbia,

per la debole poesia del vento mite

che si fissa in mille versi taciuti,

per la colpa di tranquille mattine

e di questo mondo distante

 

dopo ogni sempre,

per qualcosa da dimenticare,

qualcosa che forse capiterà ancora,

dopo sarà ancora morire

insieme al mare e un po’ di luna

 

fuori c’è una pioggia di rondini precise,

di vere increspature profonde,

come le notti ostinate di neri frammenti

oltre lo sguardo di caste vesti

e di tempie andate per finestre

*

come la vecchia voce di un istante

domani saremo lesti a sceglierci in coda,

due o tre passi all’indietro

e qualche mano a ricalcare un volo

e poi via a cadere, irripetibili e discordanti,

tra le due e le tre del pomeriggio,

proprio mentre il sole è uno qualunque

e il ricordo un’impresa di fogli,

rami in preda al tremore

giunti in fila e senza sposa

come verdi rimpianti di un colore,

e staremo sereni come fosse sera,

con quell’aria tiepida e straniera

annessi e distanti come la luna,

veloci e stagnanti

per svanire in processione a tutte le ore

 

poi oltre gli occhi

il tempo di un albero sceglierà di starci di fronte

-urlando per dire niente-

e le foglie saranno tristemente lente

passando sul vento

come la vecchia voce di un istante,

e anche le luci 

arriveranno a rimpicciolire la vista

splendendo senza più sapore,

e in fondo alle lacrime una finestra sul mare

sarà per sedersi e appassire,

proprio quel mare

che alla fine ci stanerà come uccelli in sogno,

liberi di volare senz’ali

inseguendo il mondo e qualcosa di ieri

*

come il vento a cadere di ogni luogo

quando alla fine si resta per andare

l’aria s’impara senza commozione

tanto da fermarsi vicino al sale

con l’acqua che si ferma in gola,

che poi a spegnersi senza tregua

basta qualche metro insieme agli altri

e l’odore delle corse fatte in forse

 

come lo sguardo che si stringe

appena prima che venga sera,

per l’abitudine di un volto amaro

proprio dove la fine è il mondo

e le immagini sembrano farsi suore

per un resto di ieri che consola

 

perché quando si sopravvive a tratti

anche la pioggia

è un modo per rimediare un’impronta, 

come il libro da riempire di pagine

e la versione degli occhi

che si aggiusta con fastidio

per un po’ d’inchiostro tra le mani

 

alla fine si resiste amando lentamente

in fila al lampione scolpito in fondo

e ai passi indossati dopo cena,

come il vento a cadere di ogni luogo

a respirare in silenzio

anche la terra andata per mare

*

intorno al cielo che si ama appena dopo

e potrei dirti parole nuove

con un attimo di rara voce

raccontarti il respiro di una rosa

passato di balconi

e di quiete al temporale

per le mattine lente e indiscusse

intorno al cielo che si ama appena dopo

 

amarti con tutte le rive rimaste

in tempo per un clamore

come l’acqua e il fiato in gola

in fondo agli occhi di questo mare

con un volo a perdifiato

in quel colore di poca luna

che in sottofondo tace

 

magari insieme ad ogni passo nato 

che da lontano mi fa tremore

o per quell’eternità

che esiste inconsueta

fiore di meta a correre vicino alla chiesa

in silenzio dentro un bacio

a chiedere a dio almeno un fuorigioco

 

come un lento passaggio di momenti

per diagonali e panchine

da mille giorni dimenticati,

in quel riverbero di vite riverse  

a rimanere polvere di chiodi

come un muro all’edera appesa

e alle strade pane di passi confusi

*

in quiete veloce e radice

di quel grano che ancora accade

amerò il posto lasciato alle api

e magari verrò cancellando il mio cuore

e cercherò il silenzio e forse 

ogni pomeriggio tra la gente

 

e sarà così come viene

tra gli alberi di un sogno mai vinto

e un fiore per il ramo all’improvviso

e il mio sarà un vento fragile

un piccolo battito lasciato per strada

 

e cercherò quel sole verso meridione

per il cielo indiscusso di una rosa

e la pioggia sarà sottile banalità

condanna di una poesia a sparire

e permesso di mille passi

 

e sarà il viaggio di poche cose

con gli occhi sgranati di chi sorride

per la terra appena dopo

e come l’eternità passerò indisturbato,

in quiete veloce e radice

*

a voce gridata

che ne sai di queste mani
avanzate da tempo,
di questi passi a clessidra
a vendicare il mare messo di lato
 
degli occhi cercati di mattina
quando sfuggono come la sabbia confusa,
della cera adattata alla luna
che scrive di strade e di eternità comprata
 
che ne sai di giorni portati a cantilena
abbastanza lenti per continuare
senza nome,
di queste ante a misura di bagnato
 
delle chiavi girate a vuoto
mentre si domandano
quanti sono i chilometri lasciati,
di ogni luogo quando capita
come l’aria sotto casa
 
che ne sai di questo fiato
evaporato addosso ai portoni,
di finestre vissute a voce gridata
e mai nate

*

pioggia che non rimane

verrò domani con mille passi lenti 
proprio dove ci sono gli alberi spogli
e un fianco di biciclette
 
con tutti i nomi riportati su qualche biglietto 
e le curve passate insieme
tra una poesia e un verso di seconda mano
 
verrò dopo le sei del pomeriggio 
proprio quando l’ombra chiama 
e il sole inventa titoli finali 
 
per chiedere respiro ai più bravi
con due fogli senza peso
e l’ala di un lampione gettato all’amo 
 
e forse avrò il vento di ogni voce
per essere parola imperfetta
ad ogni chiodo strano
 
verrò con tutta la malinconia del vetro 
capitando a poco a poco, 
troppo cieco per essere raro
 
come la pioggia che non rimane
 

*

un numero di passi a memoria

quando le regole le facevamo noi
erano calci di rigore le reti sulle strade 
corse da scegliere a caso
come fosse grecale anche il fiato 
 
un numero di passi a memoria 
per non rimanere riserva 
e l’appuntamento intorno alle quattro 
vicino alle porte ricalcate 
 
le centolire di una certa età
per un mondo a righe tatuate 
e i punti segnati dopo cena
quando le ragazze 
erano un gol da scommetterci un’entrata
 
sapevamo di posto numerato,
come la casa quando si è in tanti,
qualcosa simile alla messa 
a pregare in mano ai santi 
 
ma c’era il sole 
a fermare il silenzio fuori la chiesa
e bastava per vivere come ieri 
 

*

La notte prima dell’alba

con queste nuvole in disaccordo 
pochi alberi oltre gli occhi,
appena un rigo d’inchiostro 
da fissare avendo cura del mare 
 
una vecchia strada in direzione,
lo stesso coraggio dei santi 
per rimanere in processione,
qualche lampo prima che sia acqua 
il cambio di sagrestia 
 
un altare se fosse a colori, 
un temporale andato se fosse sole, 
quasi un furto di capelli 
sulle vecchie donne, 
un morso per ogni storia in pegno
 
dentro questo cielo 
tra l’abitudine e la preghiera 
che avanza insieme al cero 
e al buio mentre succede 
 
come la notte prima dell’alba 
quando capita appena dopo la stessa via
 

*

sparso e senza ricami

a lasciarmi indietro 
vent’anni dentro il portafogli,
chilometri e chilometri di luna
senza movente 
 
rubando ogni luogo con gli occhi 
in fondo alla strada, come la casa 
quando si aggiunge al viale 
a domandare cosa sia la fortuna
 
di tanto in tanto in un angolo giallo 
che corre sui vetri, sparso e senza ricami
o per notti in sogno ad ogni posto
 
con la valigia intorno alla polvere 
capace di molti vuoti
e di quel dolore lento tipico dei muri
 
sarà l’impronta o soltanto il peso,
poche pieghe e ossa instabili 
come un breve rossore di campo
 
poi a piangere basterà il vento, 
in mezzo agli alberi, a finire tra gli uccelli 
 

*

a smarrire anche la strada

il mare è sempre stato un atto 
con molte pause, un fianco 
dove immaginare le navi sfilare, 
spiagge al vento 
che nemmeno l’età poteva 
intercettare
 
come le rotte di un viaggio
lontano chissà quante stelle,
per cieli e uccelli simili al molo 
quando si chiedeva a due o tre vele 
di portare fortuna
 
e con quel paese tra vecchi muri, 
schizzi e gambe senza dolore,
correndo per ogni arrivederci
sempre con gli occhi a misura di mille sere
 
e poi le parole, perfette 
dentro ogni via guadagnata, 
parole da veri eroi, con poche paure 
e nessun tempo da spiegare,
né valigie per andare
 
senza alibi né rami da svendere al sole,
solo qualche chilometro da ricominciare 
a smarrire anche la strada
 

*

trovami nella pioggia

dimmi di quella volta che le altezze 
erano una somma di gambe rare
e il mare un luogo 
dove appendere tutte le onde
 
dimmi di quel cielo da scambiare 
con gli uccelli o della vecchia strada 
correndo intorno a gonne senza rossetto
 
e raccontami della vita appena dopo gli occhi,
di quel delirio chiamato età
troppo lontano da legare ancora al petto  
 
cercami in questa resa a denti stretti, 
con questo graffio di sete 
che ancora mi confonde ad ogni battito di finestra
 
trovami nella pioggia 
quando mi assale deserto, 
per queste trovate usate a sorriso 
senza nessuna festa
 
e dammi un po’ di voce in lode al fiato
per chiedere nient’altro 
che venga in fiore tutto quel tempo 
 
magari dentro un’impronta 
per quando sarò aria e vento di tetti
 

*

tornando verso casa

Si può vivere anche di giorno 
per strade trasandate, alberi senza cime,
palazzi che a dire cielo 
si potrebbe restare senza voce,
ciminiere che sporcano il muso alle onde
e più in là signore distinte a tavolino,
dentro un bicchiere di finto swarovski.
 
Poi vedi quelli che con l’aria dai tetti
si sentono uccelli, ma solo a mezzogiorno
perché verso sera solo le ombre
timbrano il cartellino. Certo non è a passeggio 
che un cane trova il suo osso,
del resto anche la luce 
è soltanto un giorno poco prima dei lampioni.
 
Un passato di bianche lenzuola 
e il sole che forse potrebbe scegliere di riscaldare
basterebbero per non sentirsi col puzzo in gola.
Però è tornando verso casa 
che tra i piedi si ferma la stazione, 
una tappa ostinata, cartelloni ingialliti
e un capotreno che conta i giorni della pensione.
 
Sui muri qualche nome ricorda la via
mentre la solita massa guarda gli altri 
come se non c’entrasse niente.
Tutto intorno corsie invase, clacson, motorini 
ad alzo zero e guide in stato di fretta
rassicurano che tutto sarà ancora uguale.
 
Uguale a ieri appena arriva sera.
 

*

dove il volo è una brezza d’uccelli

Dove il volo è una brezza d’uccelli
la luna gioca col tempo.
Come acqua di stelle a cadenza di tetti, 
tra l’insonnia e un lungometraggio cittadino.
 
Un luogo ai confini,  
dentro un’istantanea apparsa all’improvviso.
In accordo con Dio
e a quattro righe di voce.
 
In ostinazione al vento 
quando sceglie alberi,
quando nella sottile ampiezza del ramo
si diminuisce al giorno il peso del sole.
 
E in consuetudine ai lampioni,
in quell’edizione lieve di passo
a cui cedere il verso raro dell’attimo. 
 
/dalle parti del silenzio si sta d’immenso: 
un tocco d’artista, già estinto agli occhi.
 

*

come la goffa bugia di un luogo

come la goffa bugia di un luogo
calano lenti i vicoli,  
nel tempo spesso un centimetro
in cerca di qualche meta oltre il balcone
 
con l’ostinata malinconia della strada
dove anche una rosa ha un vestito 
che sa di pioggia, come quel fuoricampo 
segnato da bambino
 
così il fiato che passa 
è solo un po’ di vento indifeso, 
tanto spoglio che mille marciapiedi 
non vorranno avere
 
mentre il silenzio insegue le parole 
e tremano i lampioni,
tra gli alberi scuri,
a dieci minuti dagli occhi rotondi
 
a sognare poche radici
con le gambe che vivono a mezz’ora da ieri
e soltanto con un po’ di viale che corre via
 

*

per fissare il vento dentro un fiato

ho l’incerta poesia delle parole

in questa sera rubata alle cose,

due o tre passi in maledetta sintonia

a qualcuno senza strada

 

davanti al profondo silenzio

della voce, alle altezze

che si archiviano polverose,

alle lente passeggiate

degli occhi quando l’erba è ferita

 

parole sussurrate alle vetrine

che si arrendono agli autobus

come le note tatuate di un luogo

sospeso e separato

 

attimi incendiati dai passi imperfetti

delle rose, da qualche finestra

rimasta chiusa o nel respiro

poco chiaro della meta

 

ma basterebbe il tempo rauco di un sax

per fissare il vento dentro un fiato,

e non essere più qui

*

in questo giorno che viene

non c’è pretesa che il vento

possa avanzare per due o tre passi

avuti a mestiere

 

se anche il tempo del marciapiede

assomiglia al viale

non esiste gloria per quanto sia strada

la luna e il suo languore

 

così la promessa data al sale

poco prima che venga mare

o il confine degli alberi

quando lentamente si consola

 

allora con tutta la voglia di volare

chiudo gli occhi per vedere,

per fermare questa strana sete

che mi battezza amore

in ogni vetro

 

ma questa è una vecchia storia d’ali

che si aggira dolorante e stanca,

impervia e curva, spesso uguale

 

in questo giorno che viene,

senza nemmeno la voce per gridare

oggi è ancora cielo

*

a scrivere carta

in questo pieno di gente 
persiane e nuvole esistono in giacenza,
la città invece scorre in mezzo al niente
a qualcosa che non ha voce
 
per strane vetrine  
correndo e cadendo dietro primavera, 
dietro l’incerta lettera delle cose nuove
 
come l’alba che sopravvive al tempo,
come chi non avendo nome 
urla al mare il perché del sale
 
e chiedendo una marcia al vento, 
al nero passo della strada che va 
scrivendo carta 
per un amore che non viene
 
/anche oggi è freddo,
quanto la paura del giorno dopo ieri
 

*

seduta la notte si aggiusta di rossetto

La pioggia sui vetri quasi distratta, 
gli occhi intorno che pregano gonne bianche.
Al bancone un po’ d’alcol per spiegare che la vita
è un gioco di bicchieri.
 
Viaggi lunghi, distorti a volte lisci
e differenze, esattamente come le strade.
Seduta la notte si aggiusta di rossetto.
 
Jenny, stanca di uomini, legge un vecchio libro
il titolo non è un granché, 
ma la storia sembra colare giù dalle pagine. 
 
Basta guardare le lacrime
per rendersi conto di quanto i sogni 
siano umidi.
 
Fuori due rintocchi di sirene e una barca 
si mischiano al blues triste del fiume.
Tom vende i suoi dischi di fortuna,
poche sigarette e un pugno allo stomaco
dal nome tatuato.
 
Più in là i lampioni, col vestito bello della sera, 
si fissano ai passanti e qualche bottiglia 
ricorda il suo tempo di whisky.
 

*

albero senza vento

Portami dove il tempo
è stato qualcosa che non so dire,
dove le parole si nascondono
per non essere perdute
oltre la campagna attesa e distesa ai grani.
 
Lasciami di sera per cogliere lune,
di traverso o a cuore aperto,
dentro il cielo che esiste affrancato
e ripetuto ad ogni partitura.
 
Dammi quel silenzio intenso e astuto,
verso notte quando l’acqua arriva per mare,
a dimenticare vele e luoghi andati
e graffi sempre più ostinati.
 
E accetta questa mia trama esposta
per essere prova e campo
tanto da mischiare ogni colore imperfetto
come tela e incanto.
 
Così da non trovarmi voce affranta
o albero senza vento.

*

alla fine restare

Il tempo è qualcosa

che non so aggiungere alla strada,

una pulsione senza fretta, che capita spesso.

 

Alla fine basterebbe restare,

come un verbo imparato a memoria,

con la monotonia degli autobus

in attesa di partecipare.

 

E non basta l’aria in cui si gettano i piedi,

qualche errore di marciapiedi

ha la familiarità di un furto quando succede.

 

Il confine dei lampioni perché venga luce

e un giro di parole per farsi trovare assente

sono sempre meglio che niente.

 

Fuori il vento è una città da frequentare,

qualche variazione per esistere senza sosta

e gli alberi come quando c’erano i rami.

 

Potrei avanzare in qualche finestra,

cantare alla luna e forse pregare, 

ma gli occhi non hanno casa

per quel po’ di vista.

 

Ad amare il verso lungo dei tetti

è quasi sempre un cielo infinito.

*

Ma che svogliata amarezza il peso dei passi

Tranne i marciapiedi confessati al silenzio
ogni volto è una dimostrazione di cielo,
la grazia toccata alle altezze
non è altro che un respiro leggermente complicato.
 
Il vento, invece, ha la voce dei fiori 
e sorprende per quella sorta d’insospettata eleganza 
nel riconoscere all’aria il nuovo degli alberi.
 
Ma che svogliata amarezza 
il peso dei passi,
con tutta quell’assenza portata dagli anni
che fa stare senza voce,
che non sa la fatica del tempo
ma conosce l’esatto dolore della pioggia.
 
Fuori la notte ha la forma addestrata della cera 
che si disfa agevolmente della luna.
E non c’è niente che sia clamore, 
a parte un autobus che scivola via senza memoria.
 
Dal mare un’eternità destinata a viaggiare 
oltrepassa il sopraggiungere dei cani.
Mentre un brivido offre giornali vecchi di stampa.
 
-che meraviglia il sole distratto dai rami.
 

*

Con mani ancora giunte

Non ha sedimento il vetro 
ai muri, 
né alba piena la lacrima muta
quando piegata cade
derubata del tocco. 
 
Al filo dell’indifferenza si muore, 
nel vuoto dell’attesa
con mani ancora giunte.
Non esiste viaggio senza sponde:
dell’albume che nasconde l’anima,
al di là del mare,
sono sprovvisti gli arrivi.
 
Insieme all’orizzonte d’aria,
troppo lieve 
per sostenere ancora un peso,
corrono le ali del tempo
miste alle corse dei bambini,
quando aprono al cielo gli occhi.
 
Se anche l’eternità  
perde l’equilibrio del cuore,
avvizzisce l’uomo insieme alle altezze
e scompare l’immenso
all’incedere sottile del freddo.
 
/Sono necessarie le foglie
per sentire la voce degli alberi.
 

*

piccole gocce di chitarra

C’è una finestra vicino ai miei occhi,
scorre sui lampioni come un sorriso.
Fuori il vento respira il suo cielo impreciso
mentre un bicchiere di rum prova un canto triste.
 
La voce mi chiede parole che non so dire,
intorno alle note un movimento di alberi
si concede il tango lieve della luna
e si accorda a piccole gocce di chitarra.
 
Il fumo si veste di sigaretta
danzando oltre le immagini scomposte,
solo un sospiro lesto di dimenticanza
freme per un piacevole tremore di stella.
 
Al ricordo di qualche risacca i piedi della sabbia
e un allungo di mare stanco.
Vicino al cuore un’abitudine di mestiere
e la costante gioventù di una sedia.
E il rimpianto di un viaggio mai capitato.
 
Ancora due metri di pioggia e il solito
equilibrio di vetri sulle palpebre.

*

a sud di un profondo stare

Che senza tempo non si riesce a stare,
proprio come all’acqua che non si sa di abitare.
Insieme all’infinito di un volto al vento,
sempre da quelle parti dove gli alberi non sono mai stanchi
proprio come negli ’80. 
 
E chiudo gli occhi per vedere gli ultimi anni,
i santi presso il campanile, i resti
di un sole inventato in viale.
Tra le canzoni d’amore, in cerca di qualcosa di unico,
sottili e sparsi tra le facciate di mare.
 
E pochi nomi che non facevano rumore,
accecati dall’età senza significato
che ci ha fatto innamorare.
Bar confessati alla quantità di pioggia smarcata
e vite senza precedenti
ma con le tracce sacre di un soffio da amare.
 
A sud di un profondo stare, dove all’indifferenza
le speranze esistevano come case riempite a vicoli,
a sud di un profondo arido e senza fianchi
che di sera favoriva ogni pallida strada.
 
Dove saranno i viaggi da improvvisare,
qualcuno dirà che sono passati per dettagli,
che non c’era alternativa all’essere imperfetti
ma a poche scelte si sa di appartenere 
quanto ubbidire ad un giardino a cui ritornare.
 

*

Al sogno che mi venne in padre

Sei all’alba l’assenza del volo, 
albero abbattuto tra i rami in grazia 
quando a sera arroventi i miei occhi,
sei mani allungate e musica antica
quando mi si accende bellezza 
e stringo raggi di miele.
 
Perché mi nacque soglia 
tra i sogni di padre, oro e melograno 
tra rilievi di giacca in odore
e altezza lucente da raggiungere d’amore.
 
Quando il taglio rimarca impronte
come destino dentro un gesto troppo assegnato
in quell’inverno di nuvole stanche,
e ancora foto a strisce e derive a lacrime
per non piangere di troppo cuore.
 
Ora che la finestra m’impone 
note a spartire vuoto
solo uno sguardo dimesso e dimenticato,
osso di cane al guinzaglio 
per non curarmi di nessuna meta
e qualche passo di pini che mi segna il tempo
a meridione.
 

*

potrei del buio farne istanti

A spartire fiato e tempo

potrei del buio farne istanti,

forse una strada.

Di questa luce venduta all’alba

una moneta in cambio del sole

e qualche sorriso pronto all’incasso.

 

All’angolo di un’elemosina

scelgo occhi di seta.

Un dolce limitare di vita

come verità dedicata agli alberi.

 

Questa è la mia storia,

un giornale di pelle per sentirmi uomo,  

murales a forma di casa.

 

/al bar di Elvira regalano sempre biscotti,

di fronte l’autobus è già un’altra corsa

poi i mattoni saranno capolinea/

 

E le lacrime?

quelle odorano di bestemmie

nei riccioli d’oro di Margaret.

 

Ma in fondo le stelle. 

*

Piansero autunni le parole

Piansero autunni le parole, 
vennero in usanza ai luoghi
con la pioggia e due occhi grandi,
con tante promesse da perderci il fiato.
 
Ma noi non cercammo scuse, 
stanchi di crescere
decidemmo per le onde a mare.
Fummo presenza, 
seni di cielo in quotidianità di madre 
e abilità estive ad ogni vicinanza. 
 
Eroi di giorno cercammo il sole
col fare leggero dell’abitudine, 
solo il buio ci tentò per centinaia di chilometri.
Le voglie appartenevano al tempo,
palloni e campi senza erba 
furono ricorrenze di gambe.
 
Tra le molte tentazioni 
sostammo come mulini a battere acqua.
E nel distrarre gli anni poche volte
ci abituammo al futuro.
 
Poi venne un biglietto in salita
a chiedere partenza, 
in ginocchio a due passi d’aria
come un treno in sfida al vento.
 

*

Anche Vesna sorride

Vesna ha un dentro che bussa,
un’ultima pagina da strappare alla sera,
una lucky strike come rossetto, 

due passi in silenzio.

 

Legge un libro senza autore:

quindici euro di corsa
per tentare una riga d’inchiostro.

 

Il vecchio da solo ci sta da una vita,
il sigaro spento e la panchina in affitto,

conta gli autobus dai vetri unti

e sorride.

 

Anche Vesna sorride, gli anni

nelle tasche, un po’ di calore

per vivere, sulla porta una carezza.

La strada oltre la fermata

è a prova di buio, non servono parole.

 

Piove al civico 26.

 

Qualche discorso si ferma,

ha le scale per giudicare.
Guarda la gonna salire
i capelli gialli, neri di parole.

 

Stasera gli occhi hanno un taglio particolare,
sono rimasti fuori.

*

E non dirò oltre

E non dirò oltre per questa vita che accade,

non dirò di nessuna foglia,

nemmeno dell’erba al gioco del pallone.

 

Non dirò che ci saranno mani

a dipingere il tuo volto, non dirò di questa strada

in appostamento ai lampioni.

Non dirò di questo mestiere che mi lacrima dagli occhi.

 

Fuori c’è un cielo freddo,

di voci usate che tristemente si accettano,

un piacere veloce che macchia di via

ogni brivido d’eternità.

 

Oggi le gambe sono in corsa come le cose

quando capitano, vengono e vanno

e non hanno meta.

Sono una luce che sviene, un sorriso

che non conosce repliche,

come le curve abituate di questo mio mare.

 

Ci si potrebbe aspettare un tempo diverso 

ma sono doloranti le piste del cielo,

un petto troppo difficile da contenere.

 

Allora non dirò oltre per sentirmi solo,

non vorrò luoghi da frequentare

sarò curvo nel mio silenzio,

simile agli alberi che si spezzano alla luna.

 

Gli anni sono piccoli poeti taciturni.

 

*

le sigarette pendevano sui vecchi

Le sigarette pendevano sui vecchi

tra i volti di una volta,

come a guadagnare un po’ di tempo

in un biglietto dell’Asl.

 

Anche le riunioni, sempre più spesso col vento,

capitavano per non sentirsi soli:

ad un verso d’autobus

dalle panchine del parco.

 

E le definizioni dei balconi,

che stentavano in partenza,

assomigliavano alle vie dismesse,  

così gli anni

per i tanti decolli mancati.

 

(allungare impronte non era più in uso,

troppo il rumore dei marciapiedi)

 

-intanto, piegata sugli occhi, la strada rubava auto

*

l’umida direzione dell’aria

Vorrei prendere i temporali,

rubandoli agli occhi. Come l’albero

quando chiede un legame di foglie,

come il sole quando si stanca del giorno

e chiede un po’ di sera.

 

Sognare è capitare, oltre le nuvole silenziose

che vanno dove le parole si fermano,

senza sale o mano di grecale,

ma vanno e non sanno di andare.

 

In questa partenza di finestra

non ho niente della pioggia,

solo la fragilità dell’acqua

sfoggia l’umida direzione dell’aria.

E niente m’invade

nell’amare il vento piegato dai muri

o durante un rimprovero che sa di lampione.

 

Non ci sono cattedrali da celebrare,

nessuna mancia per ringraziare

solo una piccola maledizione

appoggiata, una sigaretta tremante

dentro un respiro che scivola via.

 

Oggi il cielo non esiste,

è una fugace battuta di mare,

un marciapiede che ignora il peso dei passi

lungo strisce sussurrate di piedi e tempo.

 

 

 

*

con quell’eternità di fiato che fa strada

Per tutto il tempo delle labbra

si misura l’idea del vento  

con quell’eternità di fiato che fa strada.

Perché sapere è un consumarsi alla fermata dell’autobus.

Come le parole quando non sono affatto sorpresa,

neanche per quell’ultimo lampione,

come quell’inizio di onda che non ha più mestiere.

 

E se anche la voce della notte

basta al silenzio, al cammino dei marciapiedi,

rimane un triste sollievo di pioggia

che lava il riflesso degli alberi,

delle foglie spezzate, degli occhi andati.

 

Allora si dirà che il cielo

è un’immagine cancellata, una giovane tenerezza

senza significato. Un lontano avvicinarsi di gambe,

di curve e piccole stelle scintillanti.

 

Stasera è strano l’eco del canto,

muti pianerottoli opachi e un’ultima mano

a cancellare i taxi. I bar spenti dalle insegne,

una veloce dose d’altezza e un passo goffo d’invisibilità.

 

Mentre cado in qualcosa di simile al sogno,

dentro una luna di portici modesti.

*

Mentre lentamente tutto corre

Fuori il giorno è un’occupazione

che nessuno osa toccare.

Una veloce cantilena di auto

che scivolando si consuma.

 

Lì, dove le orme

si stringono ai passi per non cadere

un’ombra sceglie di andare.

Con una relazione di lampioni

che ad ogni centimetro di volto

lascia senza alcun premio gli occhi.

 

Solo intorno agli alberi

esiste la voglia di essere vento.

Ma è così rara l’esistenza dell’aria

che spesso si misura ad affanni

il vecchio mestiere del tempo.

 

Poi ti accorgi che la vita

è un riflesso debole,

la ragionata consuetudine di ciascun momento.

Nera come un caffè distratto

e banale quanto la sfrontatezza

di un biglietto già timbrato.

 

Mentre lentamente tutto corre,

a parte un cane

che beve la sua malinconia.

*

Le ombre pesano sui passi

La gente arriva a caso,

senza un corpo che le restituisca forma.

 

Arriva di frequente in questo dire malconcio,

come il più piccolo dei fiori

quando il vento viene

e senza nessuna scelta piega.

 

Come l’aria che ferisce il suo volto splendente,

intorno all’alba non ancora nata

che si accosta al difettoso

mestiere del giorno.

 

Se le facce fossero dei grandi occhi sorpresi

tutto, tranne i grattacieli,

sarebbe una tenera possibilità di alberi.

 

Acqua in ogni verità di piano,

vezzo di campi

in tutta la padronanza del grano.

 

Invece nessuna voce si alza,

solo quella delle strade resiste.

In un’altra vaga preghiera di lampioni.

 

Le ombre pesano sui passi come d’inverno.

*

I sogni si fingono aria per non vivere appesi

I sogni lottano invano
per assicurarsi un avanzo di verità,
sono dei pazzi in gara con le nuvole.

Sono pazzi per quell’eco
che li divide dalla luce,
sono le origini polverose di un viaggio
che non osano toccare.

Andare avanti
in una passeggiata con Dio
è un valore tanto scialbo quanto un lenzuolo
consumato distrattamente.

I sogni si vestono di lanterne macchiate,
di occasioni annoiate come la sosta sotto casa.
Sono la linea rossa che chiude le ore.

Sono discorsi ubriachi,
urla addomesticate di strade disgraziate.
Il limite folle di qualche finestra
che battezza imbianchini
con gli occhi della luna.

I sogni sono soldati in una battaglia di morti,
la vittoria inutile del silenzio,
un’alba che non sarà mai frequentata.

I sogni si fingono aria per non vivere appesi.

*

in disparte a scegliere innocenza

In qualche superficiale puntata

di luci senza coraggio

la resistenza dei lampioni è stata devozione.

 

Così la notte nella sua alba indistinta

è stata musa e invocazione ribelle.

 

Perché la voce è una giovane metafora

confinata in diverse estensioni

di pagine lente.

 

Una delle tante, improbabili, catene della fantasia.

Quell’eternità in cui il tempo

esiste come una sciocca partitura di cuore.

 

Perché sono rare conoscenze le emozioni.

Somigliano molto ad un mestiere

di oscura ricompensa.

 

Rimane quella dipendenza da poesia

che non ha più vampa.

Che solo qualche evoluzione di vaga abilità

saprebbe riconoscere magia.

 

In quel luogo indistinto

dove la fredda grazia delle nuvole

ha deciso diventasse un pallido spartito di parole.

 

/ancora qualche orma d’anima

e mi fermerò in disparte a scegliere innocenza.

 

*

nel modo della marea resistere d’eternità

Avrei voluto guardare la sera

con gli occhi dell’onda,

catturare le sue forme fin dentro al sogno.

 

Sorgendo ai viali in qualche musica

che mi dicesse del domani.

 

Lasciare che l’ignoto mi attraversasse

come un viaggio.

Nelle forme verticali di un volo sconfinato,

con le mani a disegnare dimensioni.

 

Avrei voluto abbandonare

il peso di ogni attimo,

senza misure che mi facessero restare.

 

Camminare in quest’avventura

con le tasche da riordinare.

 

E durante ogni alba conoscere distanza

per farne minuti da amare,

nascendo di vita

come l’ombra quando resiste ai passi.

 

E nel modo della marea resistere d’eternità.

*

verrà la pioggia e sarà quieta

La città è il luogo del tempo fermo,

un docile frastuono di mete

dove nessuna illusione conosce l’immensità.

 

E’ una madre che nutre distanze,

stretta nella sua pelle indifferente

odora di immagine riflessa

come l’inutile gara per non essere soli.

 

Come quando è sera e le vetrine

si ungono di vestiti.

Come l’abitudine della fuga

quando sostiene che i lampioni

sono solo l’ombra sfatta della corsa.

 

In nessuna porta sa di avere profondità,

vestita di cemento trova nei fiori

solo una distratta generazione d’aria.

 

Mentre alcune luci piangono confini 

sapendo di non avere nessuna alba da difendere

e le auto calate d’asfalto

vivono il muto vagabondare della notte.

 

La sua assenza è la strada,

un cumulo di passi troppo veloci per durare.

 

Ma verrà la pioggia e sarà quieta

e per un po’ spartirà la sua acqua.

Così le stelle in un altro giro di sosta,

nelle deboli preferenze del sogno.

*

con quel poco senso che hanno i passi

Ad amare i gesti del treno

si è spogli come la carta,

anche le lunghe camminate sulla luna

o i silenzi della notte

sanno che morire è un luogo in partenza.

 

Come l’incapacità del fermarsi

che teme il verso impassibile delle auto

o il vento dei cartelloni

mentre sbanda sulle destinazioni.

 

E’ quasi mezzanotte per dire addio,

ma non sarai stanco di quell’abbraccio

anche se prestato da un binario.

 

Poi sarà caduta tra vicoli e lampioni

con quel poco senso che hanno i passi,  

ad insistere su quel volto

in ogni rumore di fondo, senza aria e voce.

 

Con quell’inutile significato di alberi

che si vanta della strada bagnata

e dell’odore del mare

spento nel sentiero dietro casa.

 

Un mondo fatto di curve

e di parole senza più tempo.

In lunghezza al ferro ma dentro ai suoi occhi,

in preghiera

come edera ai capelli in fuga.

*

piccole fisarmoniche

È sera sulle biciclette sparse.

Nei vicoli la buvette ha un sapore che si ferma,

sceglie spesso la malinconia delle barche.

Vicino al fiume

le parole raccontano di una donna

col viso di paglia e due occhi misto cielo.

 

Tra i boulevard il cammino dei fiori

occupa la solita strada

mentre piccole fisarmoniche si offrono alle note

e nel cedersi all’acqua

si fingono dolci pieghe di gonna. 

 

Monet dipinge. 

Sulle foglie scivolano i colori,

solo le rose si lanciano volentieri

sui passi.

 

Nei locali la notte è un orologio di volti,

più in là, a Montparnasse,

le ceramiche rubano lacrime :

le tasche piene di amori perduti

tingono d’addio un volo silenzioso.

 

Intorno il calare di stelle

e la pioggia ostinata di gocce.  

Lento di spine il lungosenna di vele

vive in comunione al vento.

 

Ai poeti si chiede la carità, qualche verso in caduta

per una giostra d’inchiostro.

*

Nel vento di centinaia di miglia

Per fare i compiti da mezzi adulti
bastarono centinaia di miglia,
rincorse dentro gare affrettate
e con tutte le strade da scegliere.

Dirsi alla maniera del mare
durò come in semplicità d’estate,
a volte cercatori di qualche sponda,
spesso ribelli con l’acqua alle ginocchia.

Poi le mete, in quel giro d’abitudine
che di solito finiva addosso ai vicoli.
Ma come il vento a disconoscere
ogni aria che fosse lontananza.

Volle essere vita quella vita,
un calore simile alle tracce
che il tempo lascia a medaglia dell’età.

Amammo ragazze brune
attraverso tutte le gonne dell’alba.
Le attese delle porte per un bacio da grandi,
le curve delle macchine
per un po’ di benzina destinata.

Solo alcuni vennero a metà
e gli occhi disegnarono altre cose,
pochi passi e un guado a misura di Dio.

Ma per un breve attimo,
incerto quanto un passatempo di lampade,
fu cielo il mondo.

E noi splendemmo come stelle.

*

Mentre lentezza sarà il mio cielo

In questa misura di passo

il gocciolare degli autobus

mima un mondo appoggiato di fermate.

Un luogo curvo di volti

per un girotondo all’imbrunire.

 

Un’ombra consumata di marciapiede

dove il tempo esiste

per domare ogni battere di pioggia.

 

E non è radice

la terra ferma degli alberi

quando il mestiere della città

cade addosso

con le panchine miste agli uccelli.

 

Sarà un’altra sigaretta

a chiudere questo numero alla finestra

perchè il giorno vive dentro un po’ di vento

come un’abitudine maledetta,

come il buio di un sole che si smorza sui vetri.

 

Ma verrà sogno a battere cuori

e forse sarà dimenticanza spegnere gli occhi

per non farne cantilena.

 

Così nel provare vertigine

la consuetudine dei rami sarà il respiro dei lampioni.

 

Mentre lentezza sarà il mio cielo.

*

il senso della pioggia in umido al tempo

Con le gocce che sembrano umane

anche il verso delle auto risente del bagnato.

Sui vecchi invece si trascina

negli occhi o in qualche parola stantia

da infilare lungo il cammino.

 

Intorno stratagemmi e istanti

versano passi in un segno di spunta per vetrine.

Così le porte dell’autobus

si spiegano al solito rogito quotidiano :

i ragazzi dai libri abbondanti,

le signore in alternanza di spesa.

 

La fermata è un ombrello di corsa

nel suo numero perennemente barrato.

Addosso al cielo qualche sorriso negligente,

il verso indotto dei cappotti.

 

Intanto il bar di fronte

assume il gocciolare dei vetri :

il senso della pioggia in umido al tempo

prenderà solo la folla degli euro.

 

E fuori l’acqua lascerà il suo sogno. 

*

solo il buio preme per un diverso confine

È una luce di traverso la vista dei finestrini,

umidi di pioggia attraversano il modo della strada

come fossero solitudini.

 

Il fiato ha solo il rumore del vetro

al prezzo della salita,

del resto l’asfalto si pone sempre in disparte.

Solo il buio preme per un diverso confine.

 

Ringhiere e tornanti assistono

una luna di traverso.

La ragazza appoggiata ai suoi anni

non ha misure invidiabili,

ma riassume il gesto del tempo

in un vuoto di maglietta che non necessita

di alcuna scalata.

 

Le mani spese in tasti e codici assomigliano al grigio dei muri.

Dettano chissà quali delusioni.

 

Dagli alberi nessun cenno,

nemmeno la conoscenza del vento.

La panchina intanto raccoglie un po’ di peso.

*

non ho altra ragione per questa vicinanza di stelle

La mia voce non ha volto ma un sogno perfetto,

è una canzone dimenticata, un foglio lasciato in soffitta :

odore di travi a racchiudermi in due sillabe

e la possibilità d’immaginarmi ovunque.

 

Non ho altra ragione per questa vicinanza di stelle,

se non un viaggio di vocali e note, sospeso

come fosse libertà il sentirmi solo.

 

Qualche lieve nostalgia a conferma degli anni,

nessun mestiere da dare in vita,

piccoli ritagli d’inchiostro per racconto.

E tele che hanno la musica dei cavalletti,

la grandezza delle sfumature, l’altra direzione delle candele.

 

La parola è una forma sparsa di orme lievi

e poche sono le variabili da supporre :

basta una mano e due occhi di magia

per rendere l’aria maestra.

 

Del resto capita di essere tenore

con un po’ di memoria. In solitaria e magnifica avventura.

Anche pirata in un mare d’istante, varco alla fine

del mondo.

 

Ma di transumanza rimarrà un giorno qualunque

e un volo di api alla finestra.