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E vorrei...
... e vorrei baciarti lì dove mi aspetti, muovendosi a tempo, all'appuntamento tenendoci per mano...
Poi, giunti a riva, la mano sulla nuca, la tua mano, sulla mia nuca.
Allora sento tutto il peso della notte sulle spalle che si contraggono verso un sol punto, sempre più preciso nella nostra mente dove l'aroma liberi di mielato mosto assieme al tuo fiato, di disperazioni odorante, ch'esali fino a me, piegato nel tuo piacere, che anche stavolta travalica la conoscenza del tuo sapere.
Il mio sudore odora d'orgoglio, il tuo sorriso sa di speranza, ma, io e te, siamo attori, e ci rivestiamo, dei panni smessi sol per l'occasione.
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Jana
Il rosa, il turchese, il verde più tenero, del fior non ancor nato, io questo vedo fra gli occhi tuoi abbellir la mente, e d'ambizioni fremo, lambir col tocco l'immagine tua ma, l'eclissi temo, come il dito l'icona nell'acque incrina, freno l'impeto mio di tenerezze smodato e come il tramontano, che l'afa placa e la pioggia annuncia, così sbuca l'oscuro sentimento che per mano sempre s'accompagna all'ingenua felicità d'averti, all'estro mio illuso, in giovamento eterno.
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Fra cielo e terra sulle onde
L'albero di mimosa ancora immatura
compie coi suoi rami al vento
dei piccoli cerchi
Il magro roseto laggiù
di un'unico stelo
resiste alle docili folate
e brillano le sue foglie
all'accecante sole
che buca il cielo terso e freddo
La primavera non è lontana
e si mischia l'inverno morente
a questo improvviso caldo
in un contrasto netto, asciutto
La magnolia dorme apparentemente
i rami scuri immobili ossuti
sembrano di pietra indifferenti
al sonnacchioso ondeggiare generale
Com'è soave ascoltare il vento
ad occhi chiusi
leggero e frusciante
che soffia la sua fragranza
permettendo alle mie senzazioni
di fluire fino a un luogo distante
al limite del mio tempo
Sembra di levitare sul giardino
come una foglia attardata rimane sospesa
sorretta da morbidi palmi
della stessa sostanza dell'aria
L'ampio sibilo del vento
mi trasporta come un'onda
ad infrangermi in delicato approdo
per subito risucchiarmi con soffice richiamo
in quelle spiagge lontanissime
dove l'orizzonte è piano
e inarrivabile allo sguardo
Un rintocco di campana blocca
l'amebico movimento del mio animo
ma poi quando il suono si fa più flebile
come si allontanasse
riprendo il volo seguendolo fino alla sua scomparsa
Comprendo che posso arrivare solo fin dove odo
Le persiane steccano ai colpetti del vento
tracciando l'aria trasparente in righe spezzate
sulle case illuminate d'oro
Anche il rombo quasi un fischio cotonoso delle automobili
normalmente a me fastidioso
che ora percepisco in lontananza
ha la sua grazia e un magico incanto
Come spicchi di luce
s'accendono fra le mie palpebre chiuse
improvvisi gruppi di cinguettii
Sembra il paradiso allungare le sue estremità
Fra un rumore e un suono il silenzio assoluto
occupa come vivido riflesso lo spazio vuoto
La pianta sul balcone della mia vicina
gli angoli dei tetti
la vedova giù buon giorno dice ad un passante
Scalda questo sole ma il lieve vento è freddo
e costringe a vestire ancora abiti invernali
spesse coperte la notte
Il sole è ormai alto
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Povera Mente
Pallida esistenza Rovinosa mente che salta nel vuoto Richiudi la mia vita in ventre sano Instupidita Inerme e callosa mente Dormi in consolazione del mio cuor dolente
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Elogio sulle dita di Giovanni
Non par, di percosse, s’affannino, Bensì ditellano in sù l’impari intarsio, Del millepiedi gemelle, che mai egresso, Lesto incede i levigati clivi, O di mirar sembri una sottil pioggierella Che tra l’erbe, in lievi toni e timbri tenui, la quiete cadenzi a inalvear lo tempo, O giovincel gatto zampettar allegretto Con felpato garbo e sinuosa beltà, Ecco le sue dita, ubertose ancille, incensar di giòliti canti gl’infiniti cieli, Od’anche ruscellar com’acque chiare i preziosi avori, zampillando foni di natural grazia che trasmigrar la mente, dagli urbani doli al primordial’orto conducan lieta a riposar.
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Besso
Bòrni la borra che mi sostenne
Pensai tògo l’averti aitàta a iòsa
Da folaga a nivea trasfigurasti
Eppur besso divenni all’occhi tua.
Del toroso, dunque,
preferisti l’abbraccio
E me lasciasti in scacco.
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Dubbia
Il Mavì cedevole degl’occhi mal s’addice all’espressione mastietta che pronunci Immatura animosità espilà in te il femminil fumo ma non il corpo che fucàto recità un’androgina parte Il femminino temi e il fellon ammiri Niente godi e tutto godi Non sai forse qual orribile morte hai in sorte?
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E se...
E se morte il sol moto indugiasse, E di fissità edotta per eterno presente la coscienza obbligasse, Se tal condizion impedisse financo 'l volgersi del tempo E i pensier della mente, l’animo interdetto, fermi in tutto e in niuna direzion tesi, Che mai ci resterebbe di far?
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Oriola
Quando d‘ali il prillo la notte prelude ed affiorano sul tuo scusso viso, pallido e assente gli scuri nei a puntare, fra lo zigomo e la gota, l’antica beltà che ti sostiene, pesante invade i sensi miei la certezza dei tuoi piani, in essi sempre muoio. Eppur sò che appartieni a un tempo di lecita carnalità, dov’io soltanto, impalpabile spettatore, dell’ara di bacco, sono, clandestino abitatore. E dunque, sola mi rincuora la dolcissima natura che la tralice d’angolo del tuo sguardo forma, intantochè, imprudente frugo, le scure zone dei tuoi occhi, il cui fondo, invano, seguo. Allor disserro le mascelle e, fatuo, germoglia sul cipiglio un riso che d’incalzo sprona l’animo mio, alla mercè d’un ultima vita, alla fantasia delle tue gambe, che se, con anche un sol dito tocco, mi sorridono.
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Via da me
Cosa vuoi ancor da me che gli occhi ho perso nel vederti a un altro Che mi han legato mani e piedi per le funeste seti Cosa cerchi più da me che neppure il tempo Sa ormai di me Vuoi forse rosicchiar viva quel che della mia slavata carne ancor rimane appesa alle maladorne osse? Non è lì che abita il mio seviziato amor Famelica persecutrice lascia il mio spettro meditar di darsi morte Che della vita che fu Prigioniero non riesce ancor a liberar Di te malato Il mio pensiero
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Non fidi
Di me non fidi Se non per futili motivi e banali utilità No carezze abbracci o baci No premure stima o lodi Ma matematica compassion Di me e del mio deriso Amor
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Lurlo
Occhi chiari Della mia presenza guatano il passo che lento scivola al suo canto, refola i di lei capelli e tra le vesti insinua, a me i sensi, lo Zefiro. Concedo al biancor della pelle che odora di miele, alle tumide labbra di melograno il vizzo segreto, al vuoto corpo l'abbraccio. Dal chè all'universo congiunto sazio l'anima ritrassi, ansante sospeso confuso fra nebbie dipinte Del verme, l'ineffabile urlo eguaglio. Inghiotte la notte nel fondaco viale dei lustrini il riflesso.
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Immortalità
Noi dell'amor abbiam il frutto in petto ma sol 'l fatato odor ne possiam dispensar niuno sa come d'esso cibar neppur 'legittimo propietar che se sol'alcun potendo l'arcan scopria nostra faria l'immortalità
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Adamo
Un quatto suono nell'ombre spande caldo il sole, Tra le foglie spicchia il barbaglio di un pomo scarlatto, Superba si torce del serpe la coda fra l'erbe, Librato sull'aree pacate il moscondoro, Mentr'io immobile osservo il cielo terso lieve spirare e lo sfumare del tempo fra le nuvole rare, Mi scorgo a pensare, sgrovigliato sul campo, all'eterna Natura e il suo mutare, Quand'ecco lontano, mi sento chiamare...
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Viera
T'essiccasti al sole nel deserto, s'abbattereno su te le dieci piaghe, una ad una ma non guastarono la perfezione umana dei tuoi occhi, non insozzarono la bellezza ch'or non più sui fianchi e le gambe scorreva, nè s'adagiava sul materno seno ma s'emanava com'aura forse dalle nari del naso dall'impeccabile taglio o dai sani denti il lucor l'imprimeva, forse, ma certo dagl'occhi insuperati la promessa eterna di serenità e godimento infinito, chiara, s'effondeva. Rimasi incollato al fico spezzato che furon le tue labbra e l'intento neglessi di stornare te dall'impietoso veleno bramato com'io nella notte, fra parcheggi, questure ed ospedali il tuo miele agognavo. Chi non conobbe di te il paradiso dei tuoi occhi e l'inferno della tua vita penserà ch'io m'infatuai ma son aldisopra d'ogni sospetto che non m'innamorai giammai di te. Nei tuoi occhi riposavo nella tua vita mi dannavo in pianto, disperata abbracciata a me ti ritrovavo, e come niente può imporsi al veleno nulla sopraffare sulle preghiere d'angelo che stretta ed odorosa recitavi al mio orecchio attento che mai aveva udito tal grazia e così t'amai, un sol giorno, come le rose. Ma ora cosa fai lì ferma, supina, chiusi gli occhi, le mani giunte sul ventre sfinito, sol il tuo profumo riempie quest'angusta stanzetta, dove son gli amici, i clienti, gl'infami spacciatori? La natura tutto ti aveva donato tutto hai ceduto ad un granello di bianco sterco. Sol'io son qui che piango e nessuno vede, nemmeno tu.
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In affanno.
In affanno mi destai e ruppi in pianto m'alzai allora e al balcon m'avviai l'aria carica d'odor di fiori estivi estasiò lo strazio fra le ciglia di stille colme t'invocai forte in silenzio e il vento placò l’afa cupa carezzando lieve l’ombra della notte le stelle fitte e tremule raccolte intorno alla luna l’onde delle fronde in canto rane e grilli in coro rasserenarono l’animo mio turbato m’accorsi in fondo al vialetto una coppia per mano indugiar come fu per noi in quei tempi lontani quando le mie labbra sfioravi e profumavi più del tiglio dove i nostri cuor incisi non sanguinavano ancor.
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Breve sollievo
Che silenzio... un soffio d'angelo solletica l'azzurre sottili tende L'ala di luce d'alba rosa spazia in due la sala Un filo di ragno fra gli allori fluttua lieve un sottil luccicore Par non aver peso il corpo mio vuoto di pene Respiro delicata fragranza d'uva spina ed ecco una carezza mi volto e mi sveglio.
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Velette di nebbia.
Velette di nebbia come anime in viaggio fluiscono spedite torno torno al picco, concretando l'arie fra gli alberi scuri di pioggia. A cercar quiete dalle fonde se ne vanno mentr’ io, infimo, scruto invidiando.
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Lontano.
Fresco e tagliente il fragante odor dei travagliati culmi, di lontano l'eco di voci e schiocchi di risa bambine, da là i suon festosi si levano e via rapidi s'inoltrano, laggiù...nella notte, rasenti i rami, lambir le foglie già crespe e librar fra le tremule luci appese ai magri fili, varcare in fuga il breve ponte e oltre...ancor oltre le cime boscose, le valli aperte sinchè l'dubbio m'arrende, ma non dispero un dì la ritornanza mia scordar.
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A Masha (versione arcaica)
Le membra pregi di miselle vesti, con maglia rada t'aduni l'osse che raggelar ti senti nella catorba notte. Eppur calano, nel rimenar le vite andate o di futur fidarne, a cercar fomenta in te. Con lampe insonni puntano l'omeri sporti, ch'altera porgi a l'uiolar, vengon'essi ad ossecrar come a un carneo corporale il tuo sommo figurare. Ma dell'animo gettato sull'ombaco catrame nessun può fiatare nè stimar conviene, Sol tu, che dall'alti tacchi il vol spiccar vorresti e l'amati sogni mai realizzar vedesti, confessar lamento sai al cuor stremire. Ma sei bella, ti vai consolar dicendo senza fine Quando la Luna muore e fidi riveder.
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Lina
Il pianto sferro all'immenso dolore che il pensier cagiona se improvviso invade il tuo bel viso la memoria a pugnalar violento il petto, e sgorga forte, in salati fiotti e scuote le membra e brucia il cuor che a lungo stento ritrovar riposo. Allor m'avvio all'arida zana dove secco e sodo è il terreno fenduto e mai nessuno appare che nulla attrae di simil luogo, avverso e remoto, le grintose genti, e sol'io la polvere impronto di friabili orme. Qui vengo a trovar sanità dai grevi pensieri e le ferite curar giù lento calando per la buia cuna di siepi e spine protetta, dove sempre rampolla novella speranza a inondar sù la secolare zolla.
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