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Raccolta di poesie di Simone Veltroni
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

E vorrei...

... e vorrei baciarti
lì dove mi aspetti,
muovendosi a tempo,
all'appuntamento
tenendoci per mano...

Poi, giunti a riva,
la mano sulla nuca,
la tua mano, sulla mia nuca.

Allora sento
tutto il peso della notte
sulle spalle
che si contraggono verso
un sol punto,
sempre più preciso
nella nostra mente
dove l'aroma liberi
di mielato mosto
assieme al tuo fiato,
di disperazioni odorante,
ch'esali fino a me,
piegato nel tuo piacere,
che anche stavolta
travalica
la conoscenza del tuo sapere.

Il mio sudore odora d'orgoglio,
il tuo sorriso sa di speranza,
ma,
io e te,
siamo attori,
e ci rivestiamo,
dei panni smessi sol per l'occasione.

*

Jana

Il rosa, il turchese,
il verde più tenero,
del fior non ancor nato,
io questo vedo
fra gli occhi tuoi
abbellir la mente,
e d'ambizioni fremo,
lambir col tocco l'immagine tua
ma,
l'eclissi temo,
come il dito
l'icona nell'acque incrina,
freno l'impeto mio
di tenerezze smodato
e come il tramontano,
che l'afa placa
e la pioggia annuncia,
così sbuca l'oscuro sentimento
che per mano
sempre s'accompagna
all'ingenua felicità d'averti,
all'estro mio illuso,
in giovamento eterno.

*

Fra cielo e terra sulle onde

L'albero di mimosa ancora immatura

compie coi suoi rami al vento

dei piccoli cerchi

Il magro roseto laggiù

di un'unico stelo

resiste alle docili folate

e brillano le sue foglie

all'accecante sole

che buca il cielo terso e freddo

La primavera non è lontana

e si mischia l'inverno morente

a questo improvviso caldo

in un contrasto netto, asciutto

La magnolia dorme apparentemente

i rami scuri immobili ossuti

sembrano di pietra indifferenti

al sonnacchioso ondeggiare generale

Com'è soave ascoltare il vento

ad occhi chiusi

leggero e frusciante

che soffia la sua fragranza

permettendo alle mie senzazioni

di fluire fino a un luogo distante

al limite del mio tempo

Sembra di levitare sul giardino

come una foglia attardata rimane sospesa

sorretta da morbidi palmi

della stessa sostanza dell'aria

L'ampio sibilo del vento

mi trasporta come un'onda

ad infrangermi in delicato approdo

per subito risucchiarmi con soffice richiamo

in quelle spiagge lontanissime

dove l'orizzonte è piano

e inarrivabile allo sguardo

Un rintocco di campana blocca

l'amebico movimento del mio animo

ma poi quando il suono si fa più flebile

come si allontanasse

riprendo il volo seguendolo fino alla sua scomparsa

Comprendo che posso arrivare solo fin dove odo

Le persiane steccano ai colpetti del vento

tracciando l'aria trasparente in righe spezzate

sulle case illuminate d'oro

Anche il rombo quasi un fischio cotonoso delle automobili

normalmente a me fastidioso

che ora percepisco in lontananza

ha la sua grazia e un magico incanto

Come spicchi di luce

s'accendono fra le mie palpebre chiuse

improvvisi gruppi di cinguettii

Sembra il paradiso allungare le sue estremità

Fra un rumore e un suono il silenzio assoluto

occupa come vivido riflesso lo spazio vuoto

La pianta sul balcone della mia vicina

gli angoli dei tetti

la vedova giù buon giorno dice ad un passante

Scalda questo sole ma il lieve vento è freddo

e costringe a vestire ancora abiti invernali

spesse coperte la notte

Il sole è ormai alto

*

Povera Mente

Pallida esistenza
Rovinosa mente
che salta nel vuoto
Richiudi la mia vita
in ventre sano
Instupidita
Inerme e callosa mente
Dormi in consolazione
del mio cuor dolente

*

Elogio sulle dita di Giovanni

Non par, di percosse, s’affannino,
Bensì ditellano in sù l’impari intarsio,
Del millepiedi gemelle, che mai egresso,
Lesto incede i levigati clivi,
O di mirar sembri una sottil pioggierella
Che tra l’erbe, in lievi toni e timbri tenui,
la quiete cadenzi a inalvear lo tempo,
O giovincel gatto zampettar allegretto
Con felpato garbo e sinuosa beltà,
Ecco le sue dita,
ubertose ancille,
incensar di giòliti canti gl’infiniti cieli,
Od’anche ruscellar com’acque chiare i preziosi avori,
zampillando foni di natural grazia
che trasmigrar la mente,
dagli urbani doli al primordial’orto
conducan lieta a riposar.

*

Besso


Bòrni la borra che mi sostenne

Pensai tògo l’averti aitàta a iòsa

Da folaga a nivea trasfigurasti

Eppur besso divenni all’occhi tua.

Del toroso, dunque,

preferisti l’abbraccio

E me lasciasti in scacco.

*

Dubbia

Il Mavì cedevole degl’occhi
mal s’addice
all’espressione mastietta che pronunci
Immatura animosità
espilà in te il femminil fumo
ma non il corpo che fucàto recità
un’androgina parte
Il femminino temi
e il fellon ammiri
Niente godi e tutto godi
Non sai forse qual orribile morte hai in sorte?

*

E se...

E se morte
il sol moto indugiasse,
E di fissità edotta
per eterno presente
la coscienza obbligasse,
Se tal condizion
impedisse financo 'l volgersi del tempo
E i pensier della mente,
l’animo interdetto,
fermi in tutto
e in niuna direzion tesi,
Che mai ci resterebbe di far?

*

Oriola

Quando d‘ali il prillo
la notte prelude
ed affiorano sul tuo scusso viso,
pallido e assente
gli scuri nei
a puntare, fra lo zigomo e la gota,
l’antica beltà che ti sostiene,
pesante invade
i sensi miei
la certezza dei tuoi piani,
in essi sempre muoio.
Eppur sò
che appartieni a un tempo
di lecita carnalità,
dov’io soltanto,
impalpabile spettatore,
dell’ara di bacco, sono,
clandestino abitatore.
E dunque, sola
mi rincuora
la dolcissima natura
che la tralice d’angolo
del tuo sguardo forma,
intantochè,
imprudente frugo,
le scure zone dei tuoi occhi,
il cui fondo, invano, seguo.
Allor disserro le mascelle e,
fatuo, germoglia
sul cipiglio un riso
che d’incalzo sprona
l’animo mio,
alla mercè d’un ultima vita,
alla fantasia delle tue gambe,
che se, con anche un sol dito tocco,
mi sorridono.

*

Via da me

Cosa vuoi ancor da me
che gli occhi ho perso
nel vederti a un altro
Che mi han legato mani e piedi
per le funeste seti
Cosa cerchi più da me
che neppure il tempo
Sa ormai di me
Vuoi forse rosicchiar viva quel che della mia slavata carne
ancor rimane appesa alle maladorne osse?
Non è lì che abita il mio seviziato amor
Famelica persecutrice
lascia il mio spettro meditar
di darsi morte
Che della vita che fu
Prigioniero
non riesce ancor
a liberar
Di te malato
Il mio pensiero

*

Non fidi

Di me non fidi
Se non per futili motivi
e banali utilità
No carezze abbracci o baci
No premure stima o lodi
Ma matematica compassion
Di me
e del mio deriso
Amor

*

L’urlo

Occhi chiari
Della mia presenza
guatano il passo
che lento scivola
al suo canto,
refola i di lei capelli
e tra le vesti insinua,
a me i sensi, lo Zefiro.
Concedo al biancor della pelle
che odora di miele,
alle tumide labbra di melograno
il vizzo segreto,
al vuoto corpo l'abbraccio.
Dal chè all'universo congiunto
sazio l'anima ritrassi,
ansante sospeso confuso
fra nebbie dipinte
Del verme,
l'ineffabile urlo
eguaglio.
Inghiotte la notte
nel fondaco viale
dei lustrini il riflesso.

*

Immortalità

Noi dell'amor
abbiam il frutto in petto
ma sol 'l fatato odor
ne possiam dispensar
niuno sa come d'esso cibar
neppur 'legittimo propietar
che se sol'alcun potendo
l'arcan scopria
nostra faria l'immortalità

*

Adamo

Un quatto suono nell'ombre spande caldo il sole,
Tra le foglie spicchia il barbaglio di un pomo scarlatto,
Superba si torce del serpe la coda fra l'erbe,
Librato sull'aree pacate il moscondoro,
Mentr'io immobile osservo il cielo terso lieve spirare
e lo sfumare del tempo fra le nuvole rare,
Mi scorgo a pensare,
sgrovigliato sul campo,
all'eterna Natura e il suo mutare,
Quand'ecco lontano,
mi sento chiamare...

*

Viera

T'essiccasti al sole nel deserto,
s'abbattereno su te le dieci piaghe,
una ad una ma
non guastarono la perfezione umana dei tuoi occhi,
non insozzarono la bellezza
ch'or non più sui fianchi e le gambe scorreva,
nè s'adagiava sul materno seno
ma s'emanava com'aura
forse dalle nari del naso
dall'impeccabile taglio
o dai sani denti il lucor
l'imprimeva,
forse,
ma certo dagl'occhi insuperati
la promessa eterna
di serenità
e godimento infinito,
chiara, s'effondeva.
Rimasi incollato al fico spezzato che furon le tue labbra
e l'intento neglessi di stornare te
dall'impietoso veleno bramato
com'io nella notte,
fra parcheggi, questure ed ospedali
il tuo miele agognavo.
Chi non conobbe di te
il paradiso dei tuoi occhi
e l'inferno della tua vita
penserà ch'io m'infatuai
ma son aldisopra d'ogni sospetto
che non m'innamorai giammai di te.
Nei tuoi occhi riposavo
nella tua vita mi dannavo
in pianto, disperata
abbracciata a me
ti ritrovavo,
e come niente può
imporsi al veleno
nulla sopraffare sulle preghiere d'angelo
che stretta ed odorosa
recitavi al mio orecchio attento
che mai aveva udito tal grazia
e così t'amai,
un sol giorno, come le rose.
Ma ora cosa fai lì ferma, supina,
chiusi gli occhi,
le mani giunte sul ventre sfinito,
sol il tuo profumo riempie
quest'angusta stanzetta,
dove son gli amici, i clienti, gl'infami spacciatori?
La natura tutto ti aveva donato
tutto hai ceduto ad un granello di bianco sterco.
Sol'io son qui che piango e nessuno vede,
nemmeno tu.

*

In affanno.

In affanno mi destai
e ruppi in pianto
m'alzai allora
e al balcon m'avviai
l'aria
carica d'odor di fiori estivi
estasiò lo strazio
fra le ciglia di stille colme
t'invocai forte in silenzio
e il vento placò l’afa cupa
carezzando lieve l’ombra
della notte
le stelle fitte e tremule
raccolte intorno alla luna
l’onde delle fronde in canto
rane e grilli in coro
rasserenarono l’animo mio
turbato
m’accorsi
in fondo al vialetto
una coppia per mano
indugiar
come fu per noi
in quei tempi lontani
quando le mie labbra sfioravi
e profumavi più del tiglio
dove i nostri cuor incisi
non sanguinavano ancor.

*

Breve sollievo

Che silenzio...
un soffio d'angelo
solletica l'azzurre
sottili tende
L'ala di luce
d'alba rosa
spazia in due
la sala
Un filo di ragno
fra gli allori
fluttua lieve
un sottil luccicore
Par non aver peso
il corpo mio
vuoto di pene
Respiro
delicata fragranza
d'uva spina
ed ecco una carezza
mi volto
e mi sveglio.


*

Velette di nebbia.

Velette di nebbia
come anime in viaggio
fluiscono spedite
torno torno al picco,
concretando l'arie
fra gli alberi scuri di pioggia.
A cercar quiete
dalle fonde se ne vanno
mentr’ io,
infimo,
scruto invidiando.

*

Lontano.

Fresco e tagliente
il fragante odor dei travagliati culmi,
di lontano l'eco di voci e schiocchi di risa bambine,
da là i suon festosi si levano
e via rapidi s'inoltrano,
laggiù...nella notte,
rasenti i rami,
lambir le foglie già crespe
e librar fra le tremule luci appese ai magri fili,
varcare in fuga il breve ponte
e oltre...ancor oltre le cime boscose,
le valli aperte
sinchè l'dubbio m'arrende,
ma non dispero un dì
la ritornanza mia scordar.

*

A Masha (versione arcaica)

Le membra pregi di miselle vesti,
con maglia rada t'aduni l'osse
che raggelar ti senti nella catorba notte.
Eppur calano,
nel rimenar le vite andate
o di futur fidarne,
a cercar fomenta in te.
Con lampe insonni puntano l'omeri sporti,
ch'altera porgi a l'uiolar,
vengon'essi ad ossecrar
come a un carneo corporale
il tuo sommo figurare.
Ma dell'animo gettato sull'ombaco catrame
nessun può fiatare nè stimar conviene,
Sol tu,
che dall'alti tacchi il vol spiccar vorresti
e l'amati sogni mai realizzar vedesti,
confessar lamento sai al cuor stremire.
Ma sei bella,
ti vai consolar dicendo senza fine
Quando la Luna muore
e fidi riveder.

*

Lina

Il pianto sferro
all'immenso dolore
che il pensier cagiona
se improvviso invade
il tuo bel viso la memoria
a pugnalar violento il petto,
e sgorga forte,
in salati fiotti
e scuote le membra
e brucia il cuor
che a lungo stento ritrovar riposo.
Allor m'avvio all'arida zana
dove secco e sodo è il terreno fenduto
e mai nessuno appare che
nulla attrae di simil luogo,
avverso e remoto,
le grintose genti,
e sol'io la polvere impronto
di friabili orme.
Qui vengo a trovar sanità
dai grevi pensieri
e le ferite curar
giù lento calando
per la buia cuna di siepi e spine protetta,
dove sempre rampolla novella speranza
a inondar sù
la secolare zolla.