I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Memoria di terra
Le mie ossa meriteranno un’anima bianca di giglio o come neve, una casa collocata più in alto, la corolla di quiete che ha la rosa.
Allora sarà il tuo amore erratico e puro a vegliare il mio sonno più lungo, una memoria di terra, lontano da qui.
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Scrivi un’ode
È questione di silenzio. Di attesa. Tutto è poco alla volta.
Tieni a mente quel che vedi. Scrivi un’ode alla primavera: saprai come rinasce una rosa.
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A febbraio
Rumore di foglie non sui rami ancora più in là un’idea di steli amari sotto un’insistenza di brina e la nostra infanzia che torna bosco a mano a mano quando ti rivedo dentro figure incerte lungo la strada come d’aprile il mese che ci fece uguali a noi.
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Il vaso (Still life)
Il vaso coi gigli disegnati e null’altro sul tavolo il suo posto esatto – voluto – come i fiori di primavera ancora nascosti.
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Cose impossibili, forse
Se io fossi d’ogni tua parola il seme, il principio se da lontano potessi cadere nella tua acqua se novembre passasse lasciando incolumi le rose se i miei morti potessero un giorno apparirmi se tutti i giorni senza tregua avessero una pace.
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Si cercano incaute viole
Le decorate verticalità degli uccelli distolgono lo sguardo da questo tempo spoglio di foglie, dagli abbandoni e dalle notti insonni premute alle tempie. Si tenta l’oblio del dolore con preghiere a un cielo agognato da vuote mani d’alberi, si cercano incaute viole tra l’erba nella terra scura che tiene i morti in pace.
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Al modo delle foglie
I morti non hanno mai le scarpe non camminano non corrono.
Al modo delle foglie soli cadono poi si sollevano in aria emblemi di vento.
Qui c’è la fatica di un’erba nuova là non c’è stanchezza: il cielo non ha strade.
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Già i precoci steli
Alla grazia credi, ai semi piantati in terra scura appena prima dei temporali.
Ecco, già i precoci steli bucano la nuova soglia – versi terrestri – bianchi ancora delle profondità avanzano, con tocchi sempre nuovi.
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Vivide rose
Quando torni nel mio sonno si aprono scenari di cielo, stagioni inusuali. Il tempo del corpo febbrile è la genesi del sogno, eterna estate. Ci sono ore che non muoiono, ricordi mai esclusi, ancora vivide rose.
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Un tempo che torna
Alligna il bosso verde della siepe mentre tutto intorno ingiallisce il mondo. Cresce il distacco, il vuoto dei rami. Che diremo della docilità dell’autunno, del suo piegarsi, della sua caduta? Tu raccontami di ciò che è prossimo alla luce, del cielo che non si arrende. Parlami ancora d’un tempo che torna.
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Osservazione
La foglia che cade ha un disegno breve, volteggia appena, poi si posa, sposa il fango, il tracollo, il suo destino d’ombra. Ti perdi nel suo diminuire nel palmo dell’autunno, sul tardi di un tempo prossimo alla notte che brucia ogni luce.
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Soltanto una voce
Ti baciavo le mani magre e la fronte, sperduto fiore del mio stesso stelo, senza più età, mio papavero rosso gemello del mio cuore dolente. . Non tornano i morti, bisbigliano nello sconcerto delle case vuote, nel respiro delle foglie cadute dentro un congedo, nell’ora che consacra il nome; pochi semi di pioggia leggera, soltanto una voce.
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I loro corpi
Vorrei che ritornassero in qualunque forma, dopo il soffrire, dopo l’assenza. I loro corpi amati.
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Non temo le spine
Non avrebbe dovuto essere così questa pagina, ma il tempo è fatto di mancanze e lutti incisi sulle mani. . Scrivo per dedizione alle rose: non temo le spine per godere dei fiori.
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Piangono gli occhi
Cos’è l’autunno se non ricorda, se non trova più il tuo tempo, il fuoco che brucia sui rami la memoria delle notti d’infanzia.
Dormiamo su rovesci di nubi, siamo alla stessa altezza delle foglie, alla stessa distanza dalla terra, dal diluvio.
Aspettiamo che fioriscano voci dove nascono voli d’addio, lasciti magri d’inquietudine. Piangono gli occhi la tua assenza.
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Titolo d’autunno
L’autunno è un’inclinazione personale, un’obliquità di luce, il nome che do alla memoria, al pianto di foglie dei rami.
C’è il mistero dentro l’occhio, il limite sensibile della vista nell’ombra scesa della sera, la voce che manca nei solchi dove si interra nuda la vita.
Teneramente scegliere il ricordo, amare la fragilità delle cose, ascoltare il respiro di ogni corpo. Le foglie sono tenera pioggia.
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Sul primo segno
Viene sul primo segno dell’alba il canto dei passeri un suono ereditato dalla veglia. Avere atteso ha in premio una città d’oriente, la linea dei palazzi in controluce, l’oro del presente.
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Mudra
La mia voce nelle mani posate – le mie mani rimaste – orli brevi di preghiera sugli argini della parola amore scampata a tanta pioggia.
Questi miei versi incapaci senza mani – mani intere e necessarie – la mia voce poco rimediabile.
Solo questo resta: il gesto delle mani, la posizione imprevista del cielo – quella voce che hanno le mani – voce che non si stacca dalle mani.
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In forma di rosa
Ridire il nome della rosa: Oggi basta la tua bocca Schiudendo la memoria, Acqua sparsa in fioritura.
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L’ombra di Dio
Vedi il lento svolgersi della foglia, la trasformazione, opera di marzo, il tessuto rosa fitto dei pruni.
Considera il tempo dei cieli aperti, la misura delle nuvole, l’acqua attesa, l’ombra di Dio che ci precede.
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Ma poi è solo sera
Studio il vuoto tra i rami dove fiorisce il silenzio e affiora il cielo negli occhi. Si perde il passo dei merli nell’erba come si interrano i semi e le memorie.
Muovo forme dolcissime di solitudine nella consolazione dei piccoli dettagli quando si fa giorno, ma poi è solo sera. Come canteremo l’inno per i morti?
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Come l’amore ritorna
Le rovine sono un dono o la polvere è polvere per sempre? Forse è la perdita il candore, la via per il riacquisto. Come l’amore ritorna amore. . Occorrono gli anni. Cerco di ritrovare il tempo in cui Dio occupava i giorni, quando di me vedevi l’anima tra cose desiderate e temporanee.
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Se non sai dell’amore
Cinge il suo spigolo l’ombra. Non ha un verso nel becco il passero solitario come la mia voce e l’erba incredula dei verbi – questo mondo che ogni giorno si riscrive e non sa più nulla dell’ora passata. . Se tu non sai dell’amore resterà segreta la parola, perduta la nostalgia della rosa, la chiara felicità della primavera.
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Per dire la parola
Per dire la parola innocente abbiamo errato tutta la notte. Ci siamo accucciati nell’ombra dentro incavi irregolari come scriccioli accovacciati nell’erba o tra fitte radici d’alberi che reclamano la propria rettitudine. Non abbiamo visto altro paesaggio che questo essere terra solo per continuare a desiderare un nome scritto in alto il verso aperto di una foglia l’acqua risalente dell’amore.
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Ancora rimango
Ancora rimango ad ascoltare il suono che le dita muovono tra il respiro e la bocca con cui si pronuncia il nome.
Ancora scrivo l’alba vegliando l’ora come una schiusa fino al segno fino al volo. Canto il vento che mi porta.
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Dentro le mie ossa
È l’alba la mia storia sempre certa, nascosta sorgente di chiaroscuri sul verde e suoni d’uccelli tra i rami impigliati. . E voi amati, sempre vivi qui tornate in sembianze di bene, voci d’erba d’altri luoghi, eco udibile dentro le mie ossa.
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Canzone per te
Scrivo per te una canzone, versi resuscitati dal fragore della luce, note di lievissimi cieli caduti su boschi prossimi, nomignoli dati a prati di muschio. Discepola della bellezza cantata dagli uccelli la mia bocca si accende nei riti del mattino, bianca di aerei chiarori, rossa come la gola delle rondini.
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Breve appunto prima che sia tardi
Restano i cortili a difesa del tempo le persiane socchiuse e la distanza da cui ti scrivo di rose già chine. Il cielo rincorre voli bassi d’uccelli quando mi spoglio e tu resti vivo negli occhi lì dove il giorno finisce.
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Non ho tutte le parole
Non ho tutte le parole per dire l’inspiegata felicità che dà la luce in equilibrio sul limite del cielo prima di alzarsi indistinta allagando il resto del mondo. Le frasi sempre uguali non bastano. . Fermare il respiro e aprirsi tanto quanto è smisurata la ferita rimasta tra le ciglia alla fine della notte. Non ci sarà più nome senza nome.
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Scrivere alba
Devo scrivere alba. I vasi messi in posa a chiamare gli uccelli invernali e una tenue albedo tra i rami. Devo scrivere alba dove gli alberi hanno atteso su un orlo di brina e i piccoli animali vaganti. . Sulla pagina aperta le parole che tengono tutto l’impronta precisa a cui tornare.
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Sia perfetta somiglianza
Da un finale vieni a cercarmi quando fa notte in luoghi comuni tu pagina bianca e io piccina poesia che ringrazia d’ogni riga nel silenzio della casa.
Che somigli a distese di stelle a buchi di luce, all’acqua del fiume l’anno buono già in cammino. Della chioma dei pruni in fioritura sia perfetta somiglianza.
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Dove più vero
Dove più vero si cela l’inverno vorrei gridare la parola che mi è precluso dire, sanare la ferita, custodire la foglia nel congedo delle rose; dove la morte morde coi suoi denti sottrarre al tempo lacerti di verde, alla neve, piangere per ciò che si è perso, radunare gli uccelli, credere alla loro promessa di cielo.
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Poesia d’inverno
Ti racconto i giorni bianchi d'inverno e la nebbia scesa a confondere un tempo affamato di luce. . Frugano i passeri nei vasi in cerca di tutto il possibile: anche noi come loro possediamo solo il dato e il giardino rimasto tra i rami è una patria poverissima.
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L’utilità dell’autunno
Rispondono a ogni breve raggio di sole le tremanti foglie rosse d'acero – il bosco è in fiamme.
È l'ora in cui ti avvii a contemplare ciò che resta di una stagione spogliata – sperpero di bellezza.
L'utilità dell'autunno l'hai capita nel suo ardere fino alla fine del fuoco – totale nudità del legno.
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Pioggia che non basta
Mi affaccio e tocco la pioggia. Pioggia che non basta a competere col sangue sparso.
Bagna e passa tra le dita, pioggia che non basta a rifare una nascita.
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Alba su Roma
L'autunno rivela i sogni, racconta a braccio gli anni trascorsi, i palazzi e le rovine.
Mette un verso, un miagolio o una risonanza d'insetti nella gola dei semplici.
Mostra la morosità delle nostre parole, con una sfumatura d'oro la nostra parentela con le foglie.
Roma, 16 ottobre 2022 Dedicata
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Una resistenza lieve
Qui è rimasto l'autunno tra chi conosce i nomi delle foglie e li ripete nelle luci della sera per non staccarsi dal ramo.
Appena una resistenza lieve all'abbandono nel vuoto nella cecità d'un tempo malfermo carcando mani e qualcosa che non finisce.
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La mia parola
Cosa è mai la mia parola se non sa distinguere il sogno dai rami verdi del frassino, se non toglie la spina alla rosa.
Questa mia parola spenta come i fiori addormentati sulle tombe, smemorata, di chi non ricorda più la destra e la sinistra.
Quanta fatica per una parola vera ancora da dire ai morti, a mio padre e a mia madre.
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Contare le foglie (Colori di notte)
Contare le foglie a una a una – le nate, le disperse – difficile sonno, bianca notte nel pianto d’assenze.
Come un inverno è l’attesa. L’edera e l’ombra, file di alberi sagome senza un colore. Tu sei il lampo nel buio, nel nero.
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Ottobre
Impronunciabile amore, parola vietata nell'autunno che sfoglia, che spoglia le mani dalla confidenza. Si dissolve ciò che manca, il luogo che è stato – mai abbastanza prossimo.
Non abbiamo vendemmiato. Non pianteremo semi.
L'alba resta riva e oceano, mare di ogni mio verso sceso in gola come un pianto – lacrima o ricordo che non lascia.
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Trovare la voce
La finestra socchiusa che sbatte è ricordare le calde pause estive, quando il vento breve dice il cielo, è trovare la voce per questo lutto d’alberi, questa lontananza d’ali, mentre su di noi scende il silenzio, scende dall’alto la foglia rossa.
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Continuano a durare le rose
Foglie e rami tra i capelli, gli schemi dell'autunno in cielo e qui la clemenza del giallo. Il rosso d'aceri è il sangue degli alberi. Giocare con le foglie cadute è un'infanzia senza fine ritrovata.
Continuano a durare le rose.
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La diminuzione della luce
Sei tu la mia visione, il cerchio d’occhi che imbocca la via degli uccelli. Si allarga il cielo. Li vedi i fiori rossi nelle mani? I garofani, che non dimenticano la solitudine dei morti. Sembra quasi scaldi questo debole sole d’ottobre tra i sentieri in pace. A vedere adesso obbliga la diminuzione della luce.
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Un caso di luce
La felicità è sui muri d'autunno – nell'edera eterna – riflessa in un caso di luce frutto di un grumo di cielo. Se guardi, ci sono fiori appena sopra ogni tristezza.
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Gazza ladra
Ridammi ciò che hai preso. Hai beccato tutto l’oro del mio pane quotidiano. Restituiscimi i miei sogni.
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La forma delle mani
L’alba è l’eccezione che infiamma, il superamento inequivocabile della notte – ricorrente prodigio.
Siamo ancora qui dove siamo stati, nel nostro parlarci da lontano con lingue che ci riguardano e la forma concava delle nostre mani.
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Alba
Tutto quello che nasce io lo bacio con gli occhi. Apro la bocca tra le foglie e in mezzo la preghiera.
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Il tuo stesso cielo
Benedici i nodi alle dita che hanno legato le rose scomposte, le ginocchia piegate, le spine, i sentieri nascosti nell’erba cresciuta a lato dei fiori. Guarda la sera contare le note cadute sui rami – le minime – i toni dell’acqua piovana.
Scendi in terra, anima persa, fiorisci di piume, poi torna a salire. Si specchia quaggiù il tuo stesso cielo.
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Per essere salvi
Una saliva di pioggia – un'orazione, un pianto – che potrebbe bastare a preservare i respiri nella gola dei papaveri, un modo per essere salvi ognuno dalla propria parte, noi, le foglie, il cielo.
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Aspetto che si sposti l’ora
Aspetto che si sposti l’ora cercando una quiete d’acqua e neve – tempo che ancora non si annuncia. Poco muta – anche d’estate. La strada costeggia sempre i giorni che viviamo.
È calma questa misura d’aria – si accendono fuochi nella sera per l’incanto dello sguardo. La brace conserva la memoria della fiamma, come il corpo il riverbero d’ogni lacrima versata.
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Con una lacrima
Assisto al gemere degli alberi afflitti, ai merli in cerca tra gli sterpi e i rovi in preghiera oltre i cancelli. C'è un sommesso implorare nell'eco lontana delle foglie, nel grido delle lanche secche dei fiumi. . Vorrei per tutti un sollievo, consolare il mondo con una lacrima.
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Tutto torna
Alba. Sicuro luogo vivo, cose nuove in cerca di luce. Essere qui per amore, acutamente, cercando il respiro. . Per la necessità d’infinito si va arando l’oltre dello sguardo. Tutto è già chiaro, tutto torna.
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Siamo soli
Ognuno sta coi suoi ricordi nel silenzio dei nomi. Circondati da remoti pianeti siamo soli.
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Non dorme la notte
Non dorme mai la notte tra le presenze misteriose e care di mondi inaccessibili. Il giardino parla un’altra lingua che non conosco – non c’è stagione dentro al buio. . Lasciami parlare di ciò che manca come qualcosa da portare alla bocca per farne pane. . Lasciami parlare con te quando la notte si addensa sulla fronte e tu resti dentro questa carne – unico sogno o vita che ancora m’insegna a essere viva.
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Farò pace
Farò pace con tutte le parole quelle mancate e quelle cadute nello strame dove raccolgo qualcosa che descrive il perduto come un desiderio inconsolabile o una solitudine.
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Se manchi
So che aspettarti è stare con un fiore in mano sull’abisso. È avere una ferita che chiede una cura.
È un vuoto fedele la tua assenza, se manchi è perché sei parte.
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Le belle cose rampicanti
Le belle cose rampicanti – le rose – hanno dentro un grido, rosse antifone nell’enfasi del verde, scavi continui di radici per salire contro tutto il paesaggio cercando la luce. Salire con lo sguardo – come loro – scegliendo il migliore appoggio, affacciarsi spingendosi in fuori fino a vedere le nuvole muovere il cielo e i piccioni che incorniciano le altane.
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La tua voce
Scrivevo poesie in tane oscure quando non era nata una voce. . Sei venuto ogni notte bruciando il sogno, sei acqua che incendia. . La tua voce, il tuo corpo-voce conosce per sempre il segreto.
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Una parola nuova
Il buongiorno e tutte le altre cose che ti dico sono diventate il mio pane. Sento la primavera nella mia bocca ora che nel vuoto sta tutto il verde.
Gli uccelli assaggiano l’aria come il miglio gettato sui davanzali. Dire albero è una parola nuova.
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Questa la tregua
Questa la tregua tra la vita impaurita e quella accettata per legge: le giornate varie di nuvole dove nidificano le parole in un istante di verde le mie estati messe in fila coi sandali ai piedi e gli abiti domestici lo smalto rosso alle unghie. Il libero pensiero senza resa.
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Non c’è altro
Non c’è altro per noi che questo sguardo d’alba immagini che si sfumano poche righe. Non c’è altro che questo scrivere di noi tra le calme riserve delle tende dove s’affacciano altre vite.
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Dare un luogo
Il fuoco feroce dei gerani assottiglia lo sguardo sotto un cielo sgualcito che annera. Ritirarsi è l’unica difesa contro la tempesta tirare le tende dare un luogo alla pena.
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Materia breve
Siamo materia breve sotto il mormorio dei pioppi – una fragile imbastitura sconosciuti fiori lungo il ciglio della strada.
Dormiamo ancora sotto la neve danzando la tristezza. Solo gli uccelli scrivono in alto quando fa giorno.
Per il bene dei passeri – per il nostro bene – è tempo che la pietra rotoli che la terra apprenda come fiorire.
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Sempre tu stai
Sempre tu stai nel fondo del mio occhio come l’impronta che non tolgo, il bagliore del vetro. . Ogni oblio conserva una luce – una silenziosa resurrezione – ogni albero un anno, la quiete il desiderio.
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Il cielo di Kiev
46o giorno Il cielo di Kiev sta su a malapena dove il mondo è girato a rovescio e i prati non tornano verdi in aprile.
Non c’è differenza tra uomini e fiori: si lascia la terra in un vento feroce.
I morti parlano tutti un’unica lingua e tutti si chiedono come si cade, perché si muore in primavera.
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Quasi pioggia
Questa quasi pioggia è già una soglia di benedizioni per colmare una sete senza nome e i viali primaverili non ne sono immuni.
Temo solo per la tenuta dei fiori.
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Per poco fiorire
Indugia la meraviglia sotto la scorza degli alberi, sotto la pelle nelle vene, nei chiostri del vento. . È di enigmi il giorno, come le rose ancora ignote per poco cielo, per poco fiorire.
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Nella notte
Nella notte hanno abbaiato i cani destando la nostalgia di un corpo che mi accolga come fa una terra. La mia anima selvatica conserva come una cauta specie di dolore. Non esco mai indenne dalla notte.
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Voglio una parola
Voglio una parola che parli – la parola misteriosa e veggente – che riconosca galassie nelle venature delle foglie, le sfumature su cui poggia il cielo. . So dire poco, assai meno di quanto in vita ha fatto mia madre. Conosco i piccoli segni sui muri, ma il prodigio che fa sbucare le viole è un dondolio ignoto alle labbra.
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Sul confine
Tengo a bada i lupi notturni, metto in salvo il respiro. Nelle profondità che non vedo stanno insieme il silenzio e il suo grido. . La vita sta tutta sul confine tra la pelle nuda e la mano che l’accarezza, tra la corteccia e la gemma.
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Ogni mancanza
Ogni mancanza dovrebbe cedere alla primavera – che sia d’ala o di verde – le parole fiorire dai lunghi silenzi come un giuramento.
Esse sono qui, tu scrivile sulle punte gialle delle forsizie, spargile come semi di girasole. Abbandona il pianto, come le gemme presto saremo fuori dall’inverno.
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Bianco su bianco
Abbiamo questa non un’altra età possibile, la nostra vita scampata ai pericoli, al diluvio, agli anni senza amore. . Dobbiamo imparare a vedere – come gli occhi vedono belli i fiori anche in inverno – avere le giuste diottrie per una poesia che scriviamo bianco su bianco.
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La soglia che varchi
Voglio occupare tutto il tuo bianco entrare la sera nei tuoi perdoni nelle orazioni che chiedono pioggia. Voglio essere il seme dei tuoi versi il nome, il pensiero che non lasci la soglia che varchi per abitarmi.
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Una forma d’attesa
Osservare l’inverno è una forma d’attesa – impresa delle pause emblemi di silenzio, di respiro. Un inchino nel tempo dell’assenza.
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Orfana la sera
Orfana la sera, orfane le spalle – quel loro aspettare. Orfana e dolce tutta la mia pena nel desiderio nella smania di scandire le stagioni col tempo – le ricorrenze i capoversi – fino alla coincidenza. Orfane le mani – questo mai toccarti nella solitudine di un foglio bianchissimo. Gli occhi rimasti chiusi nella sovrana luce del mattino.
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Quasi alla fine di un anno
Tu sempre ti avveri – alba – dove si fa colore il cielo, lieve la vita nella tua mano piena di silenzio.
Quante volte siamo nati negli inverni bianchi, col caparbio desiderio dei fiori. Tu dici ci sarà gennaio ad accudire il mistero e poi aprile. Ci baciamo nel tempo breve. Ci baceremo ancora.
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Forse la neve
Non so il motivo, forse la neve dentro gli occhi e poi il silenzio rimasto sui rami. Le parole si perdono – quelle infinite che si vorrebbero dire – negli istanti rappresi. Solo una piccola corte d’uccelli ancora racconta un inizio.
Buon Natale !
* acquerello di Silvia Molinari - dal web
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Dickinsoniana
Per la porpora dell’alba ha covato la notte – per il bisbiglio dei passeri – per la prodigiosa gioia – come accade agli uccelli in festa per poco pane.
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Poesia di tremore
C’è una poesia di tremore nell’attesa un continuo chiedere la pronuncia del nome – il tuo sigillo – quando si frantuma la notte e viene alla luce tutto il nascosto con la vita delle creature alate e noi che abbiamo dormito il sonno invisibile degli alberi nella neve. . Torna l’incedere del battito, il sangue a scorrere, il palpito comune, l’amore quando somiglia a ciò che non muore.
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Frammento d’autunno
La pioggia farà tacere le foglie e i nostri nomi al secolo nella bassa statura delle erbe. Tu dimmi come salvare le rose.
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Dovrei scrivere
Dovrei scrivere di tutto il giallo e di tanto altro rosso nel soffio di poche parole lungo il viale del tramonto. Scrivere delle vite le comparse le scomparse il nascere sempre in modo diverso ma ugualmente il finire. Di tutto il tempo vedere la nudità mentre si scrive per dire qualcosa delle cose sole di tutto ciò che non resiste.
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L’unica cosa che torna
L’unica cosa che torna dall’ombra è quest’alba, versando il suo rosa nel bianco di tutte le assenze. Qui suonano le campane e in cielo si stanno formando i larghi stormi per l’addio avvistato in controluce. Nessuna voce tra l’una e l’altra vita, solo un conversare acceso d’uccelli. I morti non parlano più del tempo.
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Dove si replica l’autunno
Da qui non è mai vana la sera, l’opera ultima che snuda l’orizzonte, il canto appartato nelle gole. Da qui venite, ospiti cari del ricordo.
Questa è la verità di quest’ora incerta sulle siepi e sulle case, questa è la sua misura – un palmo di silenzio e di memoria, l’addolorato trattenersi delle foglie.
Qui, dove si replica l’autunno, viene il giorno dei miei morti.
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Decàde ottobre
Decàde ottobre nel giallo dei crisantemi, nelle assenze incrostate di dolore. Eppure è autunno, tempo di piantare bulbi e semi, di scavare nella terra bagnata, ricoprire tutto di pietose foglie.
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Se lo sapessi
Se lo sapessi te lo direi. Ma non lo so. Non so perché sia così ardua la notte.
Io che dell’alba ho fatto una casa per sempre, una culla per neonati; io che mi vesto dell’autunno, conosco solo le foglie appuntite, la mia corona di spine.
Se io lo sapessi, ti direi quanto sia stretto l’inverno, il passaggio. La croce.
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Au nom de la rose
In nome della rosa piegata sullo stelo d’ottobre, che non dice niente della pioggia nelle ossa del dolore e delle spine acute, esposte, rosse del colore della sera il grande colore dentro le piaghe. È per questa rosa che si prega – che si resta vivi – quando il cielo viene giù e si sta come un prato sotto la grandine e non c’è strada diversa o sentiero in questa vita, in questa terra arata passata a ferro e fuoco.
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Essere rondine
C’è un discorso interminabile tra gli uccelli e il cielo, il volo una preghiera perpetua, un’intercessione che aggiunge oro al distacco delle foglie e al mio corpo disteso nell’aria che mi governa quando non sono bestia di bosco nella tana dei solitari compiti. . Essere rondine. Dove fioriscono i ciclamini sui balconi bagnati di pioggia sciogliere le ali, lasciare ogni cosa al suo niente credendo sempre in un’altra via.
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Ti presto la mia bocca
Ti presto la mia bocca come la foglia rosso acceso di una siepe familiare per il sorriso chiaro di chi ha visto Dio tra fili di gramigna; le labbra stupite del fiore che ancora non ha nome.
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Ogni cosa persa
Ogni cosa persa o trovata ha un dolore nascosto, se lo vedi, nel risvolto delle foglie smarrite tra i viali. . Quello che la luce insegna è la rivelazione dell’ombra in margini di cielo, dentro un fragile tempo. . Ad ogni alba sai che la vita è esposta alle intemperie, alla luce e al buio, alla prossimità della solitudine.
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Muove la sera
Muove la sera il suo sciame d’abbandoni e di ricordi. Sorgerà il sole un’altra volta, lo giuro tornerà la rosa rossa – eloquenza del fiorire – la parola dalla bocca dei miei morti.
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Verso casa
alla mia nuova casa Verso casa non crolla il cielo le nuvole sbiadiscono lontane. Sono tracce di rosso le ultime, come fili d’un’antica legatura. . Cosa dirà dei morti – mi chiedo – questo cielo. Dall’alto cadono i giorni, le stagioni, disegnano porte, passaggi da cui l’oltre può tornare dove vita è stata e vita è ancora.
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Autunnale
Riprenderemo a parlare dietro i balconi sfioriti nel tempo della luce nascosta dei bambini tornati all’asilo. . Riprenderanno a parlare di noi le poesie distese sul tavolo della cucina a ricordare i bagliori tra i rami le rosse code d’uccelli smarriti. . È l’autunno dei giorni prossimi al buio dove ascoltiamo le voci lontane dei morti (dei vivi) che chiamano da una terra dietro le nubi con mani rimaste ad aspettare i nostri ritorni.
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Il rosso si addice ai compleanni
Le cose hanno bisogno di terra: il rosso dei gerani si addice ai compleanni. Ho fatto radici nell’alba come un albero che beve la voce, l’amabile eloquio degli uccelli. C’è l’oro nel setaccio dell’autunno.
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Di nulla e di tutto
Passano i nomi: ti ricordi i nomi? Io sto ai tuoi occhi come il nome sta alle cose che diventano giorno. Fuori i gesti delle case dove la vita risponde al richiamo di settembre. Lunedì fittissimo di nulla e di tutto.
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Non lasceremo l’estate
Noi non lasceremo l’estate – non ancora – la sua luce e la rondine. Non ce ne andremo in un soffio lungo la siepe senza more. Non lasceremo il posto dove un tempo accoglievamo le parole orfane. Vedi, l’uva è quasi pronta maturerà in un attimo – nella notte – Noi non lasceremo l’estate il sole che bacia le mura di casa quell’azzurro improvviso dove passa la rondine e resta solo il cielo.
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Levami le lacrime
Levami le lacrime dagli occhi o piangerò tutte le acque del corpo con tutte le stelle del cielo. Asciuga il sale dai miei occhi – tu lo vedi – piango come l’inverno. Mi hai fatto conoscere l’estate mentre nascevo la seconda volta nel mezzo di una terra profonda. Levami le lacrime, ridammi le foglie: tutta quest’acqua mi ricorda l’inverno.
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Come guardare il cielo
L’acqua si confonde dentro l’acqua e la terra nella terra. Saremo un indistinto niente che è stato un giorno. Portavamo alta la rosa sopra il capo: l’autunno ha tolto il fiore e la spina è senza foglia. Abbassiamo gli occhi proprio ora che è più chiaro. Nessuno ci ha detto come guardare il cielo.
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Se ai santi diciamo
a P. Se ai santi diciamo i giorni riceviamo sulle labbra la salute e l’intenzione tra fessure d’aria consacra alla clemenza il grido delle rondini e le lingue rampicanti delle rose. Da tempo sappiamo che i miracoli non seguono i corsi d’un dettame umano: sono fonte libera che sgorga da un’argilla anche arida d’amore e sparge fiori rossi lungo i campi.
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L’inverno dei merli
Questi paesi sono rimasti soli su vie di erbe amare e pietre lucide di pioggia. Dai tetti sono migrate miriadi d’uccelli e la ruota del mulino non macina altro che il tempo. È vicino l’inverno dei merli spauriti, dei dettati di neve agli usci.
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Fino agli estuari
La notte ha lasciato intatta l’acqua della rosa, il tono del tuo respiro profondo; goccia dopo goccia si distillerà l’estate, concederà la sua temporanea immortalità, fino agli estuari del giallo.
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Chiedimi
Chiedimi un argento d’acqua tra le rive, il riverbero del sogno l’immagine attardata tra le righe in attesa di un verso nel declivio della voce l’ombra china sull’estate, il refrigerio tenuto in serbo per l’amore.
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L’afa sulle rose
Il dolore toglie la cornice ai giorni l’alba rimane un’inspiegata fedeltà. Hanno spine acuminate gli occhi spilli notturni per le labbra chiuse. Delle doglie ci si scopre prossimi. Il fuoco brucia l’avorio del tempo le rondini non restano per sempre. Che ne sarà di questi pochi versi? L’afa sulle rose mi ricorda il mese: anche la gramigna d’estate secca.
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La traiettoria degli uccelli
Esce dalla visuale la traiettoria degli uccelli in volo verso un altrove sconosciuto. In fondo è così, delle storie sappiamo solo l’inizio, il transito. Solo essere qui conta oltre il sogno e i pensieri sciolti sotto il melograno. O forse l’attesa – il suo profilo che tocca i margini del tempo – unico possesso per eludere l’impossibilità nostra di vedere oltre.
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L’ingratitudine dell’estate
Luglio, principio di arsura. La distanza dalla tua bocca dissangua i miei versi, la lontananza mi asciuga gli occhi. Vorrei vedere salva la gioia degli uccelli: forse anche loro temono l’ingratitudine dell’estate.
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Nessuno s’accorge del cielo
Può durare notti intere l’attesa di una parola, la foglia cadere o la neve gli occhi fissi nel punto in cui tutto è scomparso, la linea che ha inghiottito il giorno. È un privilegio d’occhi leggere tra i segni, dove nessuno s’accorge del cielo.
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Ancora voce
Il suono è nelle vocali. Proprio dove cade l’accento – un’emergenza segreta – la domanda trafitta nel tempo arato dal ricordo, l’artificio della memoria per salvarsi dall’assenza. Ogni ombra è spazio negato – tolta visione – ma dentro ancora voce non parola, voce che chiama dal buio, senza rimedio.
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Non c’è altro da fare
Non cessa l’assolo dei passeri all’alba come a espiare una mancanza che la notte ha reso più viva. Non c’è altro da fare che questo tornare a chiamare senza stancarsi, senza respiro. E scrivere lettere solo d’amore con le parole prese dalla tua bocca.
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L’erba parla
L’erba parla come parlano i morti dal basso fondo scuro cresce un respiro, una sembianza, una voce. C’è il fango, la neve, l’ombra, la pietra. Non occorre sapere dove il nome è scritto per sempre. Abbiamo confini in comune con l’erba dei campi, le radici affondate ma i morti nessuno li vede.
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Non passano i treni
Non c’è nessuno che viene a trovarci. Abbiamo steso zerbini sulla soglia di casa, lucidato maniglie d’ottone, ma nessuno ha bussato alla porta. Anche il vento se ne sta oltre le nubi. Non passano più i treni dalla Bullona. Avevamo scritto versi sui muri, erano sogni confusi in un prato di steli, erba secca tra i sassi è ciò che è rimasto. Siamo eterni soltanto se dura il ricordo.
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Credo alla tua parola
Credo alla tua parola quando si fa culla del nome – respiro speso lungo i margini del corpo a farne casa scrivendo l’età delle mie ossa il dolore dei piedi scalzi la ruga sulla fronte. Il giorno ha assoldato centurie d’uccelli per la profezia – perché io rinasca come l’erba. Ho sempre avuto il cielo a reggere la pioggia a dire il mio tempo vegliato. Ora attendo la pronuncia della tua bocca – un fiato o un belato su fogli bianchi – per tornare viva quasi da un al di là.
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Insonnia
M’accompagna insonne la notte, l’uniforme e inerte stato, l’oasi dove il buio si prende tutto il tempo e le cose hanno contorni invisibili. Non vedo mai gli uccelli dormire, non so dove riposano o se hanno ali mai ferme. Chi conosce l’etimo di questo stare pur essendo altrove, il giaciglio della mia consistenza? Chi mi dirà la durata? Invento segni per l’eternità.
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Il favore del vento
Passa il favore del vento nel volo dei pioppi – la semina resta incerta. Un fiato disperso tra le case attraverso i cortili. Su ogni cosa muore l’aria – sottovento la strada che mai accosta. Passa il favore del vento nel modo in cui tutto passa – come somiglia alla vita.
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Quasi senza morte
Ricordo il tempo, la stagione. Ricordo nato dallo sguardo a questo cielo che non fa mai ombra. Ecco cosa chiamo amore, amore che resta intoccato e che torna. Quasi senza morte.
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Sospesa la notte
È rimasta sospesa la notte nell’invisibile buio, tra la pioggia e l’attesa del bacio. Ho liberato parole come lanterne di carta o semi, luminose attecchiscono nel silenzio.
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Fedeli al giorno
Ogni alba impasta di luce il natale delle cose senza neve, in silenzio. È una piccola innocenza che viene avanti coi suoi chiarori diagonali
e la primavera all’angolo della via, lucente, fonde i colori al candore degli uccelli, a colloqui di passeri. Fedeli al giorno impariamo il battito.
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Lungo i margini
Lungo i margini delle pozzanghere scivola il paesaggio urbano frastagliato di alberi e case, bordi dentro cui immaginare il cielo. Si è bagnata la vita in segreto all’ora solita, quando la luce è uno stato di confine e puoi vedere una luna diurna nel verso rovesciato, senza alzare gli occhi, mentre tramonta la notte con la sua insonnia in un altrove fatto d’ombra e pioggia, estremo rifugio d’uccelli e immagini trascorse, inghiottite nelle gole ancora chiuse dei convolvoli.
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La notte ha acceso
La notte ha acceso una candela tra il pensiero e il sogno perché non scompaia il volto e il sorriso alato come una leggera ombra dove ripararsi dall’incuria del tempo.
Si mischiano le ore alla polvere al giro di foglie che riporta l’estate dentro gli occhi. Mentre dormi disteso sulla sponda del tuo fiume il tuo viso si accampa sul mio cuore.
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Poco sopra le viole
Recisa la notte, denudata del suo velo nero; a luci spente vedo salire la vita inquieta – realtà vestita di inni – una migrazione di colori in questa parte di cielo.
Le tuie del parco bevono a una sponda di luce. Gli occhi ad altezza d’orizzonte misurano la distanza dal giorno, il cuore poco sopra le viole.
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Prestami la tua bocca
Prestami la tua bocca per dire le parole – i bambini scalzi hanno la bocca rosa prossima alla meraviglia.
Dammi le parole sulla lingua i semi di tutte le parole che conosci – la voce, il tuo respiro – Se ti leggo le labbra tra le piccole soste imparo a memoria un canto bianco. Cuore dell’alba.
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Su sfondo verde
Non semplicemente l’alba, ma un uccello acerbo che parla di lei con note minime. Forse accadrà che ci accontenteremo di una piccola voce distante, del profilo in tenue luce delle case, o anche solo di vedere spuntare nell’erba un fiore, un quasi nulla su sfondo verde.
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Di notte vieni
Di notte vieni e vagli i miei sogni come la scorsa pioggia d’aprile. Non c’è spreco d’ore prossime né parole da dire apocrife nel tempo serrato tra i corpi dimenticando la distanza con occhi commossi alle acque. Le voci fuori, un richiamo di stelle.
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Arriva alla gola
Arriva alla gola il cuore come un torrente risalito, una stretta. Voglio fare presto, nel lento azzurro che sale trovare il senso. Scandaglio l’alba e il tempo, resta il mistero. Il domani esiste per fede.
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Voglio portare fiori
Andare per cimiteri non è poi così strano. Continuamente la parabola del giorno ci depone a occidente, nella conca dove la luce diviene la cenere delle ore nel braciere del cielo, in esercizi d’addio. Sarà la tua voce presente – o forse il sogno – che mi sospinge lì per guarire il silenzio, perché una poesia mi accolga ancora. Forse saprò cosa sono venuta a cercare, se le parole o la verità su ciò che passa oltre. A Roma voglio portare fiori alla Rosselli.
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Il pane da lontano
Sorvola quest’alba come fa l’allodola – o il passero. Sono il pane da lontano che sfama l’occhio magro. Sono l’erba scura e umida tra le ginocchia. Esserci nella distanza, noi, allattati dal desiderio. Contiamo case e ville e cancelli insieme ai nostri anni. Esserci visti rassicura. E siamo. Raccogliamo ancora in larghi bacili tutte le stelle d’agosto.
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Come dire
Come dire tutto questo? Sempre più vasto il cielo di marzo spalancato a voci acute di molti uccelli, e l’oro nascosto nell’erba tra miriadi di bocche, l’ora già prossima al tuo accadere.
Primavera.
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Le splendenti cose
Volteggia l’alba dei piccoli uccelli nei comandamenti celesti. Credo ancora a un’alleanza di piume a un soccorso di voci per salire.
Scelgo un davanzale da cui vedere quanto spazio c’è tra il cielo e il cuore. Per dire che non sono sole le splendenti cose inosservate.
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Il ritorno
L’alba mi guarisce dalla notte, dalla spina dell’assenza che affama con la sua miseria premendo in centro al petto. Il ritorno è segnato da riverberi e tracce nell’abbraccio del cielo, fili intrecciati, striature. La pronuncia della parola vieni.
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Lattesa di Emily
Nasce nell’attesa la parola che dice la gioia, sul filo sottile delle labbra, sospesa tra l’origine muta e il nome amato – tra il cielo e il prato fiorito. La pazienza è il coraggio dell’assenza, è la certa speranza del silenzio, una lingua che sa stupirsi d’un venire.
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Se fosse questo marzo
E se fosse questo marzo con la sua inquietudine, il suo ritmo ancora avaro di fiori a somigliarci? O sarà il dolore, le lacrime trattenute tra le rime degli occhi – linguaggio privato – a dire la tristezza? Se una cosa ci accomuna è questo stare con l’anima trepida e il fiato corto domandando il senso di una primavera che stenta, alzando al cielo il nostro contorno di pianto.
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In forma di addio
Il passato è una notte aperta alle falene un vorticare di foglie accartocciate nelle dolorose ricorrenze il tuo ricordo assume sempre la forma di un addio.
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L’alba che mi dirà ancora
Baciami la fronte e apri in me la segreta notte, nei sottopassaggi, negli anditi del desiderato sogno – dolcezza sulle tempie, tempesta nelle vene. Insegnami l’arte, la tua parola sulla bocca, fino all’alba che mi dirà ancora la meraviglia di cui sono affamata.
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Il nome e la rosa insieme
Benedetto l’inverno che è passato (cadrà la pioggia, nascerà la viola). Oh, per carità, ora datemi i fiori da nominare uno ad uno – il nome e la rosa insieme. Voglio solo imparare la stranezza del volo delle rondini. Il mio passare per la finestra aperta su ritagli di cielo, sulle punte dei pini dove si infila l’anima.
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Un fremito
Un nuovo spiraglio offrirà l’alba con la sua grazia asprigna, un fremito, come un bulbo deciso a fiorire.
Tornerà il mondo e il suo ronzio nel taglio del vento. Ed è tutto qui il cielo, dove l’azzurro si incaglia. Si alza in volo la mia rondine.
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Quest’acqua che ancora piove
Quest’acqua che ancora piove – per poco, per molto – che farà ricrescere verde l’erba, col tempo i fiori.
È presto e cade da un angolo sbagliato la luce, la pioggia e il suo silenzio. Non so se restare qui aspettandomi qualcosa.
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Ciò che si ripete
Ieri sera è tornata l’estate – nel pensiero – e la luna si è adagiata sopra il dentro del cuore che so bello e vasto quanto il cielo quando attende un venire. È dolce anche febbraio nel segno umano del ritorno. E a ciò che si ripete noi crediamo.
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Quasi si avvera lalba
La notte stringe ancora coi suoi tralci d’ombra e assenze – figure d’alberi e sogni – al culmine del buio. Due ali fuggono via dal davanzale. Fermo sulle labbra il respiro. Quasi si avvera l’alba.
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Farfalle di cenere #GiornoMemoria
A Terezín i passeri tacciono. Piangendo, ancora li vedi – i bambini – aggrapparsi a ogni piccola luce, costruire una casa sull’albero con gli occhi innocenti nel tempo indistinto tra l’inverno e i fiori, smarriti morire tra la pioggia e il silenzio portati via – farfalle di cenere – da un soffio di vento. * Theresienstadt (Terezín) è nota per aver concentrato nel campo omonimo i maggiori artisti, il fior fiore degli intellettuali ebrei mitteleuropei, pittori, scrittori, musicisti e una forte presenza di bambini. Alla fine del conflitto, degli oltre 15.000 bambini di Terezín solo circa 1.800 saranno ancora in vita.
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Dietro i vetri (Alba con giacinto)
Dietro i vetri ancora l’inverno e l’immaginario dei voli
da una piega del cielo l’alba partorisce vergine la moltitudine
da una vena di terra il bulbo metterà al mondo l’azzurra luce.
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Si assottiglia il buio
Si assottiglia il buio fitto che l’inverno ha posto, varchi di una chiara certezza una memoria visitata la parola è prendersi cura di una qualche specie di uccelli, quando portano pagliuzze e canti di fame e gioia la casa è l’attesa del ritorno da trovare dentro gli occhi, nei braccialetti stretti ai polsi, se tra le ciglia mi somigli.
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Col passaggio dell’inverno
Gennaio ha un dogma di solitudine, la vita ne ha bisogno per conoscere l’attesa, per credere al ritorno. Tutto non è mai sùbito, c’è pazienza da vendere nel guardare il cielo finché canti segni d’alba o metta stelle. Proprio questo è il punto: che si colmi il vuoto delle foglie nel legno fermentato si sconta col passaggio dell’inverno.
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Creatura nuda
La tua voce inconfondibile – creatura nuda dell’alba – dolce sulla lingua, essenziale di me, forma che restituisce al silenzio la parola, la poesia per rifare il mondo nel verso più bello delle foglie che tornano ai rami.
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Trova il tempo
qui si è interrato il nuovo come un seme piccolo un bianco sole nascente l’adesso è memoria e vista involontaria poesia dell’istante un sillabario per analfabeti trova il tempo per annusare le rose – profonda essenza – ripeti la liturgia dello sguardo
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Per dire bellezza
Cercare il giusto termine per dire bellezza con l’ostinazione dei passeri quando scavano col becco la terra nei vasi, la parola – quella adatta, fuori clausola – che spieghi lo splendore mai uguale delle foglie, la loro danza indisciplinata sotto un cielo minaccioso di tempesta o nella domestica rivoluzione del sole. Trovare il verbo esatto che non trascuri i silenzi nella leva che spoglia i rami come gli anni mentre tutto va grave al rimbocco della terra.
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Dovrai ancora morire
a mia madre Scrivo attraversando l’autunno: non c’è verso o pensiero che non passi, diventando foglia secca. Forse dovrebbe piovere quell’acqua sottile che manca – le sue mille promesse di verde – ma vedrò prima l’inverno e il pane nascosto nel seme, il tuo corpo stretto dalla neve. Dovrai ancora morire negli occhi, lasciare andare uno sguardo coperto di pianto.
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La quiete del bianco
La quiete del bianco di una neve distesa su foglie accasciate e questo senso di assenza del conosciuto non so dire dove andranno i passeri su quali confini si poseranno nell’affanno dell’attesa di un pane oggi ogni gesto è devozione di mani, un’eccedenza uno spalancamento possibile come il cielo talvolta come una tenue provvidenza. 28 dicembre 2020 - neve a Milano
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Forse verrà la neve
…forse verrà la neve e ci stupiremo del bianco tra i capelli del bisbiglio affamato dei passeri del nostro candido toccare tra le radici il silenzio.
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Recita per me
Recita per me tutti i miei nomi con la parola – una semina tra le pieghe dell’alba. È richiamo la tua voce – segno nitidissimo che lascia sulla pelle un canto – nell’incanto. Ascolto: sono fiore mentre tu mi parli.
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Non sarò lontana
Non sarò lontana dal tuo inverno disegnato dai gesti diseguali e immaginati delle foglie, lì dove i rami mostrano il cielo. Nei giardini chiusi delle parole resti in cima ai pensieri, nella nudità del tempo e dei corpi, delle nostre mani posate distanti da noi, come in questa mattina di bassa stagione, quando scrivere è il solo modo per dirti di me, nella mia ancora intatta infanzia.
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Ancora il tempo (Monologo d’inverno con uccelli)
Ancora il tempo ci ha consegnato intero l’inverno con i pollini diventati neve e le notti che scivolano presto lungo i fianchi dei palazzi. Cortili di nebbia sfumano i pensieri, del mondo il finire, il ricominciare. Conosco il tuo nome – la tua nascita – ma ho bisogno della malinconia delle nenie in canti, della miseria di dicembre per sostare tra i ricordi e leggere la profezia delle sere. Non dovrebbe stupirci tutto questo che poi è accaduto mille volte, ma non mi rassegno a occhi che smettono di guardare dove il nuovo scava un solco netto, quella piega che fa luce. Un’adunanza d’uccelli ha allontanato il mio sonno, creature vaganti in cerca di tutto come anche io so di essere.
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Con la mano allacqua
Andare con la mano all’acqua a un tempo di pioggia a un’insistenza di nuvole. La tristezza del grigio che versa goccia su goccia sarà un rovescio di fronte se le lacrime non bastano a ridare il verde alle foglie in chiaroscuri: dove lo sguardo si perde in fondo, la mancanza è attesa.
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Silenziosi e invisibili
Le finestre hanno sfondi d’alberi e palazzi sempre meno foglie e cornici di autunni grigi. Silenziosi e invisibili grembi d’acqua piovana le nuvole e noi che in disparte attendiamo il soffitto celeste dei prossimi tempi, fra le tende di rovi, acuti e dolci.
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Poi è notte
Ti aspetto nella dolce sera quando la luce cala come un’incrinatura di voce. La piccola luna non ha età. È improvviso l’amore. Poi è notte.
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Oltre il cancello
Oltre il cancello un giardino. Arrampicano le rose legate – le strenue ultime rose – Oltre il ferro battuto un rosso brunito resiste ai margini stinti. Si mettono in salvo le parole tremanti, dall’inverno da un dire estraneo alla voce. Oltre il cancello l’altrove del vento.
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Credevamo fosse il vento
Credevamo fosse il vento che si lamenta tra gli alberi, nel cavo del corpo. Eppure sapevamo del dolore degli anni come una spina arrugginita nella carne, della troppa assenza d’acqua: ogni volto ha la sua ruga, una smorfia, un vento che segna. Ma torneranno gli uccelli di passo a dirci di un bene dimenticato. La bellezza talvolta è un controluce. Se già la notte stringe patti di speranza con il giorno, forse guariremo. Mentre scompare l’ultima stella c’è un assoluto che ne raccoglie i resti.
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I fili sottili dei tuoi capelli
I fili sottili dei tuoi capelli hanno la fragilità di un’imbastitura come i confini della pelle che non riconosci più quando si fa buio attorno. Tutta la vita è così senza difese, con tanti guadi da attraversare, passando ciechi da una riva all’altra, andando stranieri dovunque e a tutto.
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Come l’alba
Come l’alba. Da un soffio lieve si genera ciò che arde. Fuori, ogni cosa ripete il senso, il ritorno. Chiedi agli uccelli. Per natura, lo slancio del volo nelle ossa cave, nelle piume. Così, similmente, noi...
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Erba fradicia
Erba fradicia di luce l’alba rimargina l’aria consumata dalla notte. Venga il canto della pioggia a noi che conosciamo tutto il bene dentro l’acqua. Far conto sui rovesci d’un tempo invariabilmente uguale: ecco l’attesa.
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Poco importa
Poco importa delle colature gialle delle foglie, di colori che splendono, infuocati, se gli alberi non reggono la terra, se non siamo in pace.
La pioggia ha una cantilena che non convince. Non fanno rumore i gesti nei quieti rituali dei morti, nel loro crudo stare in silenzio.
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Non piango lassenza
Non piango l’assenza del verde, ma il tuo volto nascosto per sempre, questa mancanza in più come di frutti che cadono a terra. Sembravano voci i cinguettii perduti in mezzo alle fronde, sono diventati memorie per vivere. Il vento rivendica solo un sussurro, noi il ricordo dei nomi, la raccolta di mani insieme alle mani, i lividi caldi nelle sequenze del cuore.
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Visione terrestre in linea d’ombra
Rare silenziose umane parole in un tempo discontinuo, sperduto se ne va lo sguardo posandosi ora qua ora là tra gli ultimi ori d’autunno, cercando una breve meraviglia e appigli che trattengano ciò che tremando muore – visione terrestre in linea d’ombra – Senza verticale non c’è prodigio.
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Guardare l’alba, il suo viso
Guardare l’alba, il suo viso pallido di partoriente toccando luce ovunque – comunque – anche se rovescia pioggia o un sole avvilito. Nascere o tornare a vivere è per-dono.
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Guardare le foglie
Guardare le foglie in autunno è esercitarsi all'abbandono: ci lasciano le cose, tramonta la bellezza, si posano stanchi gli uccelli. E noi lasciamo i fiori ai morti, sui marmi coi nomi, i morti che non tornano nei giorni muti di passaggio, i fiori che nessuno mai disseta.
Solo i cipressi più alti hanno confidenza con il cielo.
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Bisbigliami una parola
Bisbigliami una parola distinta dai silenzi che l’alba porta accanto, seme di tutte le parole dentro il fiato delle bocche. Parola straniera della straniera terra che mi compone in tutti i versi che fa il vento sull’erba, senza sapere da dove viene e dove va. Le solitudini non si toccano, la parola è voce e corpo che supplisce – essenza, linfa. Non puoi toccarmi senza dirmi.
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Mi ha svegliato il rumore
Mi ha svegliato il rumore del cielo caduto in frantumi. Hanno abbaiato i cani, gli uccelli stanno nascosti. Questa abitudine di scrivere l’autunno partorisce assenze e distacchi. Piccole solitudini. Quanti sono i miei anni? Forse non lascerò impronte quando andrò via. Mi mancheranno le foglie.
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Ogni rovescio di foglia
Scruto ogni rovescio di foglia – ogni mutato colore che fa luce sui rami ad ottobre – e ancora poco so dell’autunno, di quello a cui siamo assegnati: un riparo, altrove, non qui.
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Quelli che diciamo andati
È un espatrio di foglie l’autunno, in un vento che sfronda il cielo; solo gli uccelli che restano traducono l’aria in versi conosciuti, – una scrittura le loro scie – mentre qui si fa la conta degli assenti, quelli che diciamo andati, i giorni.
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Ti sei accorto
Ti sei accorto dell’autunno, delle foglie che hanno un verso steso? La vista ha un limite sensibile nell’oscuro mistero della notte, eppure teneramente nasce ogni giorno che viene amando la fragilità della carne, delle foglievive nei tappeti d’amore. Dolore è il disseccare dei margini nel vivo del sangue, quando si sceglie di ricordare tutte le cose che tramontano nel rosso, come le rose.
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Ancora non distese ali
Il crescente autunno insegna come si inclina la luce nella sera senza tregue e la nostra origine straniera.
Qui si coltiva la speranza come i campi da arare, qui e altrove tra le foglie ancora non distese ali.
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Lalba ha un silenzio
L’alba ha un silenzio che protegge la schiettezza della luce e le mie spalle curve d’autunno nella sveltezza del tempo. Questa carta è un ospizio di parole e foglie gialle la prova che scrivo poco o tutto e il tremare dell’ombra.
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Se allimprovviso
Se all'improvviso non viene la parola, resta il pensiero di finestre alte affacciate sull’oro delle foglie in controluce, del vento che smuove l’aria lucida d’ottobre e nei cavedi sospinge quelle secche. Si abbassa il cielo dell’autunno per gli uccelli e le partenze, l’aria azzurra e profonda, senza fine e così vicina da toccarci...
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Lascia che ti porti
Dedicata Lascia che ti porti con me dentro l’autunno, ora che l’estate ha lasciato il posto ad altro stupore. Posa la tua mano di foglia tra il costato e il respiro, lì dove preme il battito che ci ripete il cielo. Ci toglieremo le piume per restare, quando gli uccelli navigano il cielo intero e nulla lasciano d’intentato. Saremo pioggia di verde trasfigurato in oro, appoggiate le schiene, i respiri alti sopra i rami.
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Liberammo le nostre foglie
Liberammo le nostre foglie di carta nell’autunno: l'ora d’oro rosso ci chiamava. Parole accese sulle labbra negli occhi i semi di stelle che l’estate aveva sparso. Fummo senza nome un tempo, ma non più. Noi eravamo fiori di cielo, una forma di gioia luminosa attecchita sulla nostra tristezza.
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Obbedisce all’autunno
Obbedisce all'autunno il desiderio che brucia come febbre e l'arrossire delle foglie nello smosso d'aria tra i rami nel lascito di tante partenze di ali distese al vento non più qui.
Ancora piccoli fiori nell'erba le parole siano benedette se portano a vedere il cielo spingendo in alto le assenze e il tempo ciò che con accordi diversi sempre si versa e si riversa uguale. Nota: la musica di sottofondo alla lettura è tratta dal web Hauser: 'Alone, Together' from Dubrovnik
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Lascia i tuoi occhi
Lascia i tuoi occhi sulla mia bocca per imparare l'amore quando si tace – come si deve –
Le parole hanno bisogno di suoni, i corpi di essere pelle. Le rose chiedono carezze d'acqua.
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Consolazione
C’è un piccolo uccello sul davanzale, spalanca il becco, dice la sua poesia: è un canto, un filo di voce che va da una ringhiera all’altra proprio lì dove ogni mattina stendo ad asciugare le lacrime della notte.
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Un soffio di vento
Ancora non tramonta la luna e scrivere è il rito iniziatico soffiato nella bocca agli infanti è vedere il tuo corpo seguire la linea dei fianchi fino a saperti.
Cerco un soffio di vento che si insinui tra le grate che ci sollevi come le ali degli uccelli che vanno in un punto irraggiungibile agli occhi.
Abitare l’altrove ci restituisce vivi al presente a quell’adesso di sguardi e di mani che fa di ogni parola una casa degli occhi un destino.
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Tutto ha un posto
Tutto ha un suo posto anche la sera che si raccoglie nel silenzio delle cose quando il buio smargina la terra su cui cade
un diluirsi di luci al tramonto profonda radice dell’imperiosa notte.
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Non so descriverti
Non so descriverti il verde buio del bosco e nemmeno l’agosto caldo e spoglio di quest’anno incomprensibile. Dovrei usare suoni non appropriati al canto delle miriadi di piccoli uccelli venuti a rallegrare il mio tempo interiore. Sarebbe un peccato sprecare i segni con la tristezza incisa nella memoria. Solo vorrei un profondo scambio d’amore.
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Il nostro passare
Non fioriranno più le montagne dei tuoi sguardi, non daranno dopo la pioggia quel profumo acuto gli abeti senza colpa, troppa la tua fretta d’andartene, di scavalcare i calendari futuri. Oggi il cuore è da rifare. Non chiede se non continuare a fare una strada verso il mondo e la sua capienza di alberi, stelle e uccelli – nostra parentela – e vicoli di passaggio da percorrere interi. Paesaggio amato, il nostro passare.
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Vorremmo a sera
Vorremmo a sera fare ordine tra i libri e le foglie nell’aria appassita, allineare le ore in cui le domande si accrescono, sistemare il tavolo e ascoltare l’umile melodia senza strepiti del tramonto.
Congedarsi è un tempo lentissimo con rami di poche parole e i gerani ai balconi ancora rossi nelle prime ombre.
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Sarà il lieve malore
Sarà il lieve malore di lasciare casa le poche voci nelle strade i fruscii delle tende spostate dal vento o forse l’infelicità di non poter più dire.
C’è un senso di abbandono nell’erba nel passaggio da un cielo a un altro le finestre chiuse su una ferita d’aria. Solo le rose a guardia del presente.
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Mare e poi cielo
Quando avrò imparato a memoria il nome degli alberi, degli uccelli conoscerò tutti i voli.
Saprò che parte del reale salda a terra e quale si fa pioggia, inondazione, mare e poi cielo.
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Nutrimento primo della voce
La solitudine nasce nella notte tra le mani rimaste senza le parole – fuochi accesi nel buio – il loro suono inconfondibile che varca lo spazio della lontananza.
Nei capelli poco prima del chiaro il bisogno delle dita di carezze dei nostri fiati nel respiro unico quando guardo questo cielo d'alba come a un manto che ci copre con il senso del dire o del non dire. Nutrimento primo della voce.
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Basterà il giallo
Per dire di oggi basterà il giallo che fa dell'estate una stagione perenne e le labbra digiune d'acqua. Di me capirai il desiderio dentro gli occhi, sulle mani ardenti l'attesa della pioggia estrema carità accordata ai fili d'erba.
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Kintsugi
Scopri le fratture sul corpo le ferite da rimarginare, le piaghe. Quel tuo corpo è il mio – coppa scheggiata – quel sacro corpo che lacrima anima che nel sonno impara l’abbandono. D’oro vorrei i sigilli liquide vene nei polsi alle tempie, i solchi riempiti da vivo splendore. Se esiste il miracolo, è questo. Se esiste il miracolo, è oro tra le dita.
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Tu, Amore
Tu, mio pensiero notturno nella fioritura della rosa ferita dell’alba acqua nel palmo trasparente bellezza del vuoto e del pieno delle cose nate interminato viaggio. Amore.
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Sul ramo nudo cercare
Sul ramo nudo cercare il punto d’origine delle foglie o delle onde sorvegliare il nascere dell’increspatura, la schiuma bianca di un’infanzia ventilata che ci spingeva oltre da qui, un modo per fuggire la sponda arida del dolore quando non viene la pioggia (o l’amore) a consolare.
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Mi prendi in braccio
Ancora l’alba spande i suoni della vita vegliata nelle piccole ore di quiete.
Tu sei già qui e mi prendi in braccio come una donna piccola – appena nata – da allattare con le tue parole.
Se mi tocchi la bocca col respiro parlerò la lingua dell’estate quella che sanno gli alberi e gli uccelli e in cielo le nuvole quando migrano.
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Il tuo essermi padre
In tutto questo bianco di muri asettici, di lenzuola sterili stese sull'umidità del corpo stanco dal dolore - la fame e la sete - guardo i tuoi occhi di prato verde, senza nuvole, con quella luce oltreconfine che pare la mia stessa. Non c'è moneta che possa pagare di più del tuo essermi padre. Ti tengo nella stanza più segreta una mano sulla fronte, per questa figliolanza mai dimenticata che così grande forse non sapevo di avere.
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Orizzonte chiaro
Imprevista alba la tua voce mi attraversa, la tua mano senza più attesa mi percorre un fiato leggero sulla pelle.
Dove sei – a volte ti domando – per immaginarti, per trovarti cielo negli spazi tra le foglie orizzonte chiaro dei miei occhi.
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Quando viene l’alba
Quando viene l'alba che separa – le cose dal nulla, la notte dal giorno – tu vieni a farmi intera.
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Mentre piove l’alba
Mentre piove l’alba d’estate imbastisco poche righe chiare – segni minuscoli, scalzi – ti parleranno delle spine bagnate dell’euforbia, di lacrime che lavano il viso e le mani e le ferite nel pianto della resina…
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Il respiro a sigillo
L’alba torna per ricordarci quanto chiaro hanno gli occhi anche quando è sera e il posto dove posare le mani. Sale sulla pelle un filo d’aria ci accarezza senza disturbare quello che nell’intimità accade, la voce, il respiro a sigillo.
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Terrapieni e viole
a Patrick Kavanagh e ai suoi terrapieni di acetosella Ti ho portato a vedere le altitudini dove è usanza immaginare i morti
dove la pioggia si scioglie con la tristezza e straripa nella conca delle mani fino alla gola aperta dei fiori, nei gusci nei nidi
una pietà che fa salvi i terrapieni, gli orti di confine le viole.
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Come non dormono i poeti
Questo lutto serale che vede consumarsi in essenze di meraviglia la luce, mi rovescia gli occhi e li interra nel solco della notte come talenti da conservare intatti, che non vadano smarriti cercandoti dove non riposi il capo, come non dormono i poeti e tutta la stirpe degli esseri che hanno ali.
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Se mi chino
Se mi chino a toccare terra con le ginocchia stanche, fradice, sento frusciare le spighe d'erba dove si spandono i soffioni, il rumore della radice che affonda.
Resta a misura di una pioggia e del fango il mio stare nel dialogo tra alto e basso che fa di ogni fiore un giardino e di un'aria di cielo la spartizione delle nuvole, dei rami di poche parole il crescere di un bosco.
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Tutto il verde
Metto a dimora un'azalea, come quando si semina una speranza quieta o un respiro che somigli appena a una preghiera affidata al passaggio delle nuvole.
Sapere cosa veramente dura oltre l'alba infante, dando margine al vento e al seme, se darà fiori da radici sottili, come l'erba che mi ricorda tutto il verde che c'è.
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Pensieri-uccelli
arrivano e poi se ne vanno in un batter d'ali senza lasciare traccia se non un'ombra rimasta nella coda dell'occhio
fuggono verso luoghi che non conosciamo come fossero i nostri anni spesi semi in cerca di una terra dove ancora fiorire
li vediamo andare oltre i nostri confini allargandoci gli occhi portandoli ad altezza d'infinito
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Mi canti nella bocca
mi canti nella bocca la tua estate, la rotta ariosa delle nuvole sopra la bonaccia, l’assolato sogno che si mostra intero – sempre luminoso –
il fabbricare delle api dentro il favo, una febbrile danza che va da fiore a fiore, nell’ombra della sera il lusso concesso della rosa – il suo profumo –
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Eppure danzo
Cosa sa di noi la rosa indecifrabile nella luce che ci sfugge? Cosa ne sanno dell’amore i cieli segnati d'ali di nuvole passanti e rondini?
È muta la sera come un’espiazione di troppe parole uno sguardo lento che si allunga sul limpido tramonto.
Sono immobile, eppure danzo.
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Amo tutti i nomi
Abbiamo avuto in dote la gioia e insieme la pena o un desiderio che non cede, non sfuma nell’occhio d’un tempo singolare. Cosa c’è stato di mio nel tuo?
So che se potessimo voleremmo d’abbracci e saremmo come i sorrisi quando nascono – il centuplo in terra –
Sei l’acqua nella bocca di chi ha sete, il laccio stretto al mio polso e il sollievo. Rimani la mirra appoggiata sul respiro. Amo tutti i nomi che mi hai destinato.
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Arrossano i boccioli
...tutta questa vita screziata è una gloria d'acqua risentita nei corsi di maggio
dentro il richiamo delle sere umide nella danza sospesa del glicine o il tremore di labbra sulla fronte per cui alzarsi a trascurare le notti
timide arrossano i boccioli le rose.
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Mossa
La vita alla porta senza rimedio come un lavorio lento d’api
tiene banco l’eccelso pieno dell’estate – interminati spazi del giallo nell’erba –
la gioia è una fontana che brilla mossa.
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Non ho visto i liriodendri
Le voci si indovinano degli uccelli in un silenzioso stare che consuma il tempo nella dipartita della primavera. Non ho visto fiorire i liriodendri alla conca del mercato dismesso ogni evento di strada. Si sono persi i giorni variopinti e bradi delle passeggiate ospiti dentro stanze voraci di misure a preparare le buone maniere degli incontri. Fuori la straripante pretesa dell’amore sprecato. Nota: la musica di sottofondo alla lettura è tratta dal web Juan Antonio Vargas y Guzman - sonata VIII per chitarra
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Se mi guardi
dedicata Sempre se mi guardi sono nuda
tu che con carezze navighi l’onda dei miei capelli e i pallidi stagni dei miei occhi riempi di vita tua.
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Il cielo fa la spola
L'alba ha infiniti passaggi, porte invisibili dove il cielo fa la spola tra la stanza e il glicine, incessantemente si attorciglia alla vita a questo minuto concreto.
E io che non so nulla se non il verso dei passeri e i fiori annegati nel verde, vorrei annusare dalle tue mani il profumo del mattino, la piccola aria che respiro, la tua voce.
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Lanima imita i fiori
Dalla bocca butta un canto verde un getto come all'orchidea che non sai se sia radice o stelo fino all'inarcarsi salendo un poco soltanto più scuro il tono cercando in cielo la conferma del fiore.
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Ianua coeli
Responsorio il canto solo scambiato coi fringuelli – naturale voce che non si dà per vinta. Come uccello di confine carteggio in cielo nuovi voli – parabole minime scritture sacre. Trattengo un verso nella gola – parentela d’infinito. Sarà giusto farne uso? … Che misura hanno le mie ali?
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Solo noi siamo rimasti
La stagione è andata avanti coi fiori dolci – nascondigli delle api – e le uova azzurrine dei merli.
Solo noi siamo rimasti come alberi ancora ingombri delle foglie secche, dietro vetri in stanze troppo strette a comprenderci, ammalandoci di luce il poco che basta per dire oggi.
Ogni giorno spostiamo in là il domani e non parliamo più del tempo. Riposti gli orizzonti, con le parole facciamo una culla per la notte scura. E la luna, madre di costellazioni, si fa a noi più grande. Vicina. Nota: la musica di sottofondo alla lettura è tratta dal web
Giuseppe Tartini – Concerto in Re maggiore per violoncello e orchestra
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Arso legno
“Il cervo è dato ai denti dei cani” (François Mauriac) Tutto è compiuto, giunta l’ora terribile che raggela il cuore. La pretesa umana ha consumato il crimine, ha spento l’incendio. Straziato il corpo, della gola ammutolito il grido e chiuso l’imbocco, messa la pietra a sigillo. Niente più osa varcare il silenzio. E noi... come formiche disperse intorno ad arso legno ormai freddo.
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Restando noi
Mi attengo ai fatti variando il punto di vista la sommità da cui mi sporgo per vedere gli alberi fermi fiorire
e in basso il grido minuto dell’erba che rimane per terra anche quando il vento la implora
non si snoda da qui la strada ora che nessuno la percorre
perché le cose stanno così restando noi vivi.
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Sono pochi i luoghi
Sono pochi i luoghi dove non nidifica la primavera. La speranza è in questa terra, nel suo aprirsi a chi la sfiora per caso, come un’aurora o un seme. Come un perdono. Io vorrei dismettere la mia pelle secca, avere nuove foglie da indossare – magari colori – e una voce, il suo saper migrare oltre, ma c’è un silenzio da custodire e la presa in carico del dolore.
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Innaffio i fiori
Innaffio i fiori la giusta dose d'acqua quotidiana quanta ne prende la terra non di più. Una sola misura per due di farina nell'impasto come il respiro profondo a gonfiare il petto non si può oltre il giusto. Vorremmo tutto e altro ancora qui dove manca lo sguardo per quanto lo si spinga tra le case strette, vicine che s'appoggiano l'una all'altra quasi a dire il modo di stare e forse basta già il dato e guardare il poco o il molto quanto avremo in questo giorno che non sappiamo.
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Uno spreco d’acqua
Vola via il piccolo uccello venuto a beccare nella terra dei vasi come da una ciotola di riso dolce offerto ai poveri. Siamo dentro una malinconica distanza. Uno spreco d’acqua ha germogliato il selciato – un tarassaco da marciapiede – e le mie primule così vicine alle cose quotidiane.
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Ho ripreso a leggere
…che vi è di nuovo in tutto questo, oh me, oh vita ! Risposta: Che tu sei qui, che la vita esiste e l’identità, Che il potente spettacolo continui, e che tu puoi contribuire con un verso. - Walt Whitman - Sui rami della betulla improvvisamente le foglie. Ovunque ormai la primavera non è più una cosa ricordata. Ho ripreso a leggere Whitman. Credo in te, anima mia… sorella dell’infinitamente altro. Ignoro a quanto ammontino le perdite e quali i perché confusi nelle pieghe delle solitudini domestiche. Tutto si tiene nell’amore. Un’ape accorta si è fermata sui giacinti. La magnolia fiorisce a oltranza.
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Il cielo è solo
Sarà ancora la primavera prossima di fiori e altri splendori e un convento d’api? I carrubi della piazza hanno lunghi baccelli scuri. I bambini giocano ovunque con niente, scherzano con la lucida solitudine dell’acqua. Bisbiglia tra le gramigne e il favagello solo un brivido di vento. Tutto è quasi un nonnulla ignorato di bellezza.
Le piccole cose sono piccole cose. Senza, il cielo è solo.
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Più luce
Uscire dalla porta come prima senza incertezze né distanze. La mattina è solo un altro bollettino. Ci sono i fiori ma non li frequento e l’assenza fa ricordare la bellezza. Reclamo le mani, un legame saldo che mi ricongiunga al tutto, non questa volontaria rinuncia che precipita le cose nel silenzio di un respiro che si abbrevia. È come quando cala lenta la sera e si vorrebbe più luce. 4 marzo 2020 - tempo di lentezza e solitudine
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Ore acerbe
Nel cuore della camelia ci sono stanze tutte da percorrere con le dita in margini d'erbari vivi e misteri infiniti se il cielo è uno spazio senza cancelli dove sconfinano gli uccelli e i respiri dei biancospini in queste ore acerbe di luce e di primavera.
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A piazzale Baracca
In quell’angolo di piazza dove vendono fiori ai passanti torneranno gli anemoni viola nei vasi tra i ricordi in cui ancora mi perdo di tempo in tempo un profumo diffuso nell’aria essenziale e una forma che si addensa nella memoria – parola insillabata – un canto già di primavera una lingua imparata che riconosco.
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Oltre i tetti
Oltre i tetti l’andare e venire degli uccelli e scie d’aerei si incrociano in un cielo dissestato – quasi un rammendo malfatto –
Troppo stretto tra i palazzi quest’alito di sera. Un filo rosso mi attraversa – residuo della quotidianità – sullo sfondo un’illuminazione che pur spegnendosi ancora abbaglia.
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Sapendo di trovarsi
Nel rifugio di compieta il mio cuore è ancora un uccello che canta sebbene la sera, un usignolo venuto a fare il nido nell’orecchio buono in cerca di una terra lontana.
Basterebbe sentirlo il vuoto dell’assenza – portarne in due il peso – la mancanza di ciò che morendo nella piega del mondo ci consuma gli occhi e le parole, abbandonarsi al buio sapendo di trovarsi.
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Poesia dell’assenza
Febbraio porta un vuoto tra le mani – mese avaro – e nelle vene il pulsare d’un ricordo che ferma il respiro. È violenza quel rosso disperso dei tramonti tra i vasi spogliati delle rose, poesia crudele dell’assenza.
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Nel posto semplice
Il cielo lassù, io lì sotto, in basso a destra – perfetta distanza, doverosa – nel posto semplice dove mi hai lasciata, tra i tuoi gerani amati fino a sera ora rossi fiori d'altre latitudini.
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Esistenza in vita
Infine ha piovuto e forse pioverà ancora, in questo tempo di malinconia e di nebbia, in un’ora tarda che smonta ormai spoglia di luce. Eppure in questo palmo di terra – mio corpo e dimora – fertile mi ha resa un’altra semina, un fidanzamento di sguardi, un’impensata rinascita, quel battito – nascosto nei pensieri – così prossimo al respiro delle rose. Una nuova prova di esistenza in vita.
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Il tuo silenzio
Se così fosse, il tuo silenzio aprirebbe improvvisa una faglia dentro il mio corpo, uno smembramento, una scissione. Tutto andrebbe in pezzi. Le mani, il cuore, i fianchi: continenti alla deriva. Il pensiero, la voce, il viso, gli occhi e le palpebre dove, a che distanza da me stessa? Più nessuna notizia di me qui né sui giornali del mattino.
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Ancora non sappiamo quando
Ancora non sappiamo quando, come accadrà, troppo pochi indizi e il disarmante nulla dell’inverno che il vento ha trasportato a suo piacere.
Forse basterebbe domandare – tu che fai, primavera? – senza una risposta, ma solo quell’inquieto stare dei bambini che non vogliono dormire la vigilia di Natale.
Stare. Finché qualcosa in un filo di luce colpirà il nostro occhio inetto, quando saranno i fiori ormai aperti l’impeccabile riscontro e andremo a dormire scordando cosa abbiamo atteso.
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Ancora è gennaio
Da quest’erba viene la vita, dalla terra, dalle foglie cadute e rinate. Oh, gli anni trascorsi, quelli che hai, che abbiamo! Tutto torna nelle vene degli alberi – linfa dov’è vuoto tra le mani, curvo, nella conca dei palmi – anche se nulla è qui adesso nel colore sfumato della sera. Ancora è gennaio.
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Raccoglievi la brina
Con le mani raccoglievi la brina nel palmo del dolore tra la dafne fiorita e gli ellebori, dove l’orizzonte non ha case tra gli occhi e l’infinito. Sei andata oltre con la pazienza del giorno che succede al giorno. Era l’inverno delle cose chiare – la neve rimasta appesa ai rami – e ti sei fatta piccola, così piccola... Ma cresci ancora, madre mia, cresci nel cuore rosso dei gerani, tra i fiori a cui parlavi come a figli. Continuano a durare le tue rose.
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Frammento prima della sera
…forse ora dovrei scrivere dei versi quanti bastano a dirti come finisce il giorno nel filo rosso dentro gli occhi consumandosi nel fuoco come brace mentre mendica un ultimo canto d’uccelli una voce soltanto udita nel tantissimo orizzonte...
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In luci di addii
Si soffre della gioia – della vita – il troppo breve passare come di uccelli tra i rami sfogliati nella stagione che tutto consegna in luci di addii.
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Dire dell’inverno
Dire dell’inverno e degli alberi del pensiero di vento che li attraversa e la luce sul tremore dell’erba.
Dire dei cieli chiari appoggiati sui rami del seme di neve che abiterà nel cuore dei frutti.
Con le stesse parole non tacere il miracolo leggero come l’ala di un passero umile apparenza nel fiato di bestie. Santo Natale 2019
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Biglietto d’auguri per Natale
painted by Dawn Stacey - dal web La neve, si dice, verrà presto. Tu mandami un biglietto per Natale. Vorrei quei biglietti dai colori chiari – niente oro e argento, neanche il rosso – amo quelli con le tinte più sfumate dei paesaggi che immaginano l’inverno. E un volo di cigni bianchi in alto appena sopra l’orizzonte sopra i nidi abbandonati dall’autunno sugli sterpi resi rigidi dal gelo. Scrivilo per tempo che mi giunga nella Notte alla Vigilia quando ogni cosa ha il trepido stupore dell’attesa. Sarà come sentire la tua voce pronunciare la promessa che nulla più ci mancherà domani.
Cura tutte le parole trattienile un poco sulla lingua, scaldale col fiato della bocca. Lo sai che come me soffrono il freddo.
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Come i rami sciolti
Sono qui i passeri del mattino sul davanzale beccano poche briciole e un ricordo di neve. Basta l’aria alle gole, alle voci: è la natura degli uccelli essere canto senza domanda.
Questo battere d’ali da niente, il brivido che attraversa la pelle fin dove trova riparo il silenzio, serve come i rami sciolti dalle foglie a meravigliarci dell’inverno.
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Un sentimento lieve
Il tremare estenuato delle foglie, gli alberi soli – radici impastate d’acqua e terra – col vento tra i rami la stagione si riprende il silenzio che le spetta. Non resta che indugiare nel tramonto segnato appena di fragili stupori. Comprendere la necessità di una sola poesia è un sentimento lieve, in fine un abbandono.
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Allude alle rose
Piove, niente di nuovo. È un mondo avviluppato di rampicanti spogli e sterpi. E quelle fioriture autunnali - verticali, fragili - da portare in salvo.
Devo a te, l’esiguo lembo tra la casa e il cielo, ciò che lega la foglia al ramo con venature fin dentro al cuore. Cosa vuoi che scriva? Cerco il dettaglio che m'innamora, che ancora allude alle rose.
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Da qualche parte
Da qualche parte, come qui, è autunno: le foglie disperse la pioggia e un minuto di sole. Altrove e qui sono lunghe come scale antiche le memorie e le ombre parlano ai vivi. Ti scrivo e il silenzio si annida tra i rami, si bagnano le parole qui dove sono, lì dove sei.
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Foglia d’autunno
È notte, finché non odo il verso dei passeri, la lingua presa a prestito dall'alba per dire il colore del cielo dove la luce viene irrevocabile fa nel movimento l'intaglio del mondo cominciamento, traccia d'alberi e foglie
sono foglia anch'io, ardente d'autunno.
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Nellinfermità dellautunno
I palmi rivolti alla sera alla solitudine di palpebre chiuse e scrosci di pioggia nell’infermità dell’autunno si infilano i giorni come perle di legno che cingono i polsi losanghe di luce al tramonto scie nere d’uccelli qualche ignoto passante che si perde per via la notte acquattata tra le foglie cadute.
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Ancora cogliere fiori
Tutta la vita in queste righe d’aria tra segno e segno. In una scrittura lieve la forma della rosa. Nulla resta dentro il solco a noi stranieri in questa terra – qualche traccia sulla carta pochi versi detti sottovoce – se non curiamo le parole. Ciò che non ami non dura. Dirlo e ancora cogliere fiori.
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Sui pensieri quel bianco
Come allora torna novembre – senza malanimo – disegnando i tuoi paesaggi in luce fioca e spoliazione. Forse ancora non so - ti dico - non ho compreso che l’assenza non è questo abbandono di foglie o un silenzio di parole – semenza d’inverno – ma sui pensieri quel bianco eterno di neve di pietra che più non rende forma.
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Il brulicare infinito
L’universo è un fatto piccolo
Basterebbe una leggera curvatura della schiena, chinarsi, accarezzare i fili d’erba di novembre, in silenzio, ascoltando tra la ruggine di foglie un vento mai di poco conto o un canto tra le righe della pioggia. Curare delle rose rampicanti la crescita lenta lungo i muri, tra le crepe. Riconoscere l’infinitesimo, trascurabile, nutrito di polvere e di fango, il brulicare infinito che nella zolla muove l’universo intero.
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Con le mani nude
Con le mani nude nella terra scura all’invaso dei bulbi
per un attimo ho sentito l’autunno nelle dita l’imbrunire dentro il verde
poi il grigio ad infoltire il cielo e le intuite piogge.
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Come un’annotazione
In giorni fatti come questo odo il pianto tenue del legno – esodo di foglie – una continua cantilena che recita agli alberi la nudità, l’assenza prossima in luoghi comuni in tanto rosso che torna, torna a sbiadire il verde sempre. Torna nel segno estremo del tramonto – a un tratto acceso – come un’annotazione per mai dimenticare la bellezza.
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A motivo dell’autunno
A motivo dell’autunno torna nelle foglie l’oro il lato nascosto delle pagine una lingua silenziosa la parola essenziale del commiato. Il verde ha segni inguaribili macchie rosse come stimmate inchiostro sciolto sui palmi una scrittura imprecisa. Gli uccelli trovano altre vie.
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Migrazioni
Sono pur vere queste mattine, la costanza del cielo malgrado la pioggia. Io seguo le vie degli uccelli e le nuvole mi conoscono bene. Se ne va la rondine a rivedere i confini dell’Africa. Resta qui la mia parte terrena – in questa casa d’autunno – con la caparbia impronta del volo, nel distacco di foglie abituate al vento.
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Ritrovo le parole
Quando mi accovaccio sulle gambe e faccio il verso agli uccelli domestici o respiro nel respiro di un bacio in braccio a un dormiveglia
allora ritrovo le parole che sfamano briciole sparse sul davanzale e un'avvisaglia di luce attesa al mattino risposta perfetta al mio bisogno di cielo.
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Un ricordo d’azzurro
Oltre i vetri un lieve maltempo – io coi miei nuovi malanni – e soltanto un ricordo d’azzurro precipitato nei fiori dell’ipomea. Presto mancherà anche il verde. Forse per vie misteriose di sottilissima cura qualcuno raccoglierà i petali sparsi delle rose inchinate, quasi come si guarisce l’infelicità di parole non dette, di poesie abbandonate che più non si leggono.
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Voglia di pioggia
Milano è asciutta. Volere la pioggia mette la sete. È affidato a settembre spegnere i fuochi d’estate. Dice chi ha fede che il tempo cambi domani, ma il bisogno di piovere è oggi. Basterebbero lacrime o anche solo un presagio da una breve mossa di vento. Sono donna d’acqua, lo sai. Tu dentro me sei diluvio.
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Di certi luoghi
Di certi luoghi conosci le storie. Io non so se questo posto mi appartenga, se sia mio o di altri, sommerso da vite già state. La vita divora le cose che mai farai in tempo ad amare se non t’affretti. Per questo ti amo dalla distanza, quando mi aspetta la sera, da dove sempre mi manchi.
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Dentro ogni giorno d’attesa
Svegliarmi ancora al buio e amarti da lontano tra il lamento infantile dei gatti e la sfumatura rosa che sale sui tetti quando l’alba si apre sul letto di un’altra notte e parlare con te come fa il vento che incontra le foglie verdi del bosco pensare a te – il desiderato – che quando non vieni si ferma il tempo dentro ogni giorno d’attesa.
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Ti direi delle foglie
Arriva fin qui l’odore di pioggia mentre ancora è nascosta nel bosco: le volpi corrono, gli uccelli tacciono e le montagne, mio cuore, le montagne hanno pesi di nuvole. Se fosse sera ti leggerei un libro che racconti l’infanzia che nulla sospetta del nulla e sa immaginare com’è il Paradiso. Se fosse autunno ti direi delle foglie.
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Delle rose l’appassire
Il tempo spoglia con uno sgarbo di pioggia a disperdere i petali – o un vento avido che toglie e non rende – Primavera è già stata coi suoi unici fiori addosso cadrà l’addio delle foglie. Delle rose è l’appassire d’essenza solo un respiro.
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Tra le dita di un saluto
Rivedo la bellezza tua propria nella controluce del sole – alba d’agosto – Sei qui solo per me evocata dal tempo dal luogo. Tu dolorosa assenza – spina della rosa – tu ora chiarore tra le dita di un saluto.
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Nostalgia
Arriva l’alba, lascio tutta l’insonnia sul davanzale come fuori si lega un cavallo che ha corso poso lì l’andare dei pensieri e il loro affannarsi dentro il silenzio delle stelle tengo per me la nostalgia – cura dell’assenza – qualcosa come una garza lieve stesa sulla ferita conto gli anelli degli alberi per misurare il tempo passato per sapere del ritorno.
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L’aria dell’alba
È limpida l’aria dell’alba, netta. Niente di ciò che è stata la notte è rimasto. Le finestre di fronte aperte o ancora chiuse sono segni che raccontano. È un dono credere a quello che appare. Tra poco tutto si aprirà, si farà luce e suono. Io non ho più sonno.
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Appena un cenno
Appena un cenno di canto del piccolo uccello una ripresa timida della pioggia – poche larghe gocce sui tetti – solo un accenno di voci incerte se durare.
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Sono rondini
Stamattina sono rondini, una traccia scura nel cielo sul ciglio bianco dell’alba. A desiderarne il volo si può compiersi ala, corpo leggero nel vuoto. Levare il viso all’aria fa spalancare gli occhi, come al buio. Ma la luce, la luce che sale, fa vedere. Allora guarda. Guarda.
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Dove dormono gli uccelli
Dormirò dove dormono gli uccelli – un solaio, una gronda – la finestra affacciata e la quiete di tutto sotto lune di memoria. Io, figlia scalza andrò bianca dentro il sogno la meraviglia nella bocca. Silente poesia tu restami, notte.
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Civico 19
Sono certa del posto. È stato casa mia e la sua tutta la vita con me. Che qui ancora sia nota ai rimasti è fatto sicuro. Così non mi serve salire le scale, bussare alla porta: nello spazio dov’era, è. Passo per il giardino, mi volto, lei mi saluta.
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Voi, gli amati
Voi, gli amati andati via, siete ciò che viene a riva nel ricordo, come onda che sempre va e ritorna e lascia bianca schiuma, umida lingua che ancora mi parla.
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Si consuma lestate
C’è un prato nello sguardo, i fiori spontanei, acceso il verde d’erbe e i gialli soli del tarassaco. Tra larghe malve le infinite pagliuzze per la costruzione dei nidi.
Lì si consuma l’estate, Amore, come mi consuma il tuo silenzio nelle ore di pianura assolata. Il silenzio è un deserto di polvere se le lacrime restano dietro agli occhi. Per tre volte ho pianto e sono rinata terra umida di rugiada.
*
Il pensiero affiorato
a Chi un giorno mi ha scritto che l’innocenza ‘vede’ Dio Il pensiero è affiorato anche stanotte tra le rose e il gelsomino quando eravamo io e il giardino soltanto. Come accade ogni attimo? Lì dove i nostri desideri si toccano è notte, è giorno, non esiste il tempo. Mi fai dono d’una vista nuova. Ho un privilegio, solo io lo so: mi affaccio alla finestra e posso guardare. Guardo. E penso: ‘Sì, ora vedo’.
*
Disincanto
Voli di passeri sparsi, la voce sgraziata delle cornacchie che cercano resti, l'odore amaro dell'oleandro e il profumo stanco dei fiori quando l'afa li sciupa: in un attimo è colma la stanza d'un sentore acre d'estate. Quel fiato caldo e la tua assenza già mi consumano, come un dolore.
*
Nella prima estate
È chiaro il cielo ai voli spiegati di rondini altissime grida biondi brusii d'api tra l'oscillare di spighe d'erba e il silenzio in penombra di foglie. Abbeverata d'azzurro la terra.
A quest'amore nuovi eravamo. Nel sottovoce della notte la carezza di parole per saperci.
*
Giugno
Matura il fervore dell’erba, ondeggiano le spighe dei forasacchi al vento – scorre lieve, prende e lascia. Il blu della veronica in terra sparge un volto di cielo, il giallo accendersi dei prati impollina gli occhi di splendore. Lucente estate che avanzi, ogni atomo di polline sparso è divenuto un mondo, tra galassie e galassie di verde vibra docile a invisibili cause – sgombro l’azzurro da nubi. Noi con in bocca steli agrodolci oggi assaggiamo miracoli.
*
Oltre il vetro desideri
Oltre il vetro desideri l'odore dell'erba tagliata e giugno nuovo – l'effluvio dei tigli lungo la via. Ti prende la nostalgia di gerani rossi affacciati, la cura di mani anziane, da stringere nell'addio terrestre e un ritrovarsi. Nel cercare i nessi della vita ti perdi nella fedele linea dell'alba – è lì che sfuggono? Ti rimane l'attimo e respirare per risalire con le creature alate in fondo al cielo che schiarisce.
*
È lo stesso verde
È lo stesso verde che fiorisce – le bocche di leone ai lati del giardino – lo stesso profumo carico di luce del caprifoglio affollato d’api – le api consacrate di Emily – che tornano – ritornano – per vocazione come parole dimenticate e riaffiorate alle labbra miele amoroso di poesia. Incessante ciclo di benevolenza. Ogni volta resurrezione. Sento il mio polso, il medesimo battito.
*
Come un salmo devoto
Come un salmo devoto al mattino una preghiera d’ore antiche e nuove l’amore è una dedizione costante l’assiduità di uno sguardo al quieto saltello del passero la carezza alla scabra corteccia degli alberi, la dolce venatura di foglie nate le lacrime di resina dei pini è la silente attesa di una parola che tarda non nostra che pure mai si comprenderà intera come la vita tutta la vita e i suoi istanti i segni presenti la piccola zolla di terra dove tu resti stanza infinita che abiti.
*
Le riconosciute
Quando posso, ti porto qualche fiore fresco dai prati, margherite per lo più, o se so che non tornerò a breve – i fiori appassiscono presto – metto in quel piccolo vaso qualche ramo verde o una piuma che ricordi a noi qui la bellezza del cielo. E poi parole ogni volta nuove, eppure ogni volta le stesse, le riconosciute.
*
Sguardi
A volte la visione d’orizzonte sconfinato oltre lo sguardo è distolta d’altro più infinito – né cattura l’anima il chiarore – tra l’erba fitta un brulicare bianco di margherite dall’aroma lieve miriadi d’occhi aperti all’ora il cuore giallo che ricalca il sole.
*
L’ora degli uccelli
L’alba è bianca come greto di fiume quando l’estate asciuga – carta velina di cielo – L’alba è un’ora sottile che non riconosci. Se non fosse per quei passeri – ospiti amati – insistenti e felici fatti solo di bisogno d’aria – la loro voce che sa – tu non vedresti come risorge il mondo. L’alba è l’ora degli uccelli.
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Portami a vedere
Portami a vedere la primavera lungo i fianchi del giorno, un vago polline, un profumo, sui rami il nudo ancora e il pieno... Non ci sono altre frasi o versi che rimino di bellezza come quella sfumatura imprevista del cielo, la gioia perfetta della luce che non so trattenere.
È questa la poesia che cerco, quasi invisibile a questa vita mia solo in figura d’apparenza. Poesia che viene e prende casa come una forma conosciuta d’amore o forse se ne è già andata poche righe sotto, come quando non hai più parole e ti restano solo le mani.
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È viola la quaresima
È viola la quaresima degli alberi di Giuda e preme alle finestre. Perché, primavera, continui a fiorire, cieca al mio morire, incurante della luce che in me si spegne? Potrà esserci ancora, qui tra le giunchiglie e il muro, la smisurata dolcezza del sole d’aprile o sarà il dolore l’ultima forma del mio amare? Fuori la stagione semina colori nell’ovario dei prati e la rondine porta rametti di qualcosa che non so più.
*
Quasi un pudore
Profondo di desiderio il venire a te, un restare vibrante in attesa che risponda all’appello la voce. In nome di una fame ti cerco, Amore. Fermo il corpo nel silenzio notturno degli alberi trafitti dal buio, dove solo bisbiglio è il suono. Come una mano mi apro al tuo tocco, piano, come il salire dell’alba, luce appena accennata, quasi un pudore prima del sole.
*
Una porta
(foto personale)
Una porta è legno che affascina, un ingresso verso un'uscita. Qual è il lato che affaccia all'interno e quello per dire un'addio? * Una porta è un passaggio bifronte: io esco - tu entri. Sulla soglia l'incontro che cambia il dentro e il fuori.
*
In me profondamente
Cerco un soffio di vento nuovo o il segreto dell'alba di farsi luce, la misura di un canto prezioso voce di piccoli uccelli fatti d'aria o grido del falco tra le alte vie,
perché a voler dire "primavera" ci si aspetta la meraviglia – un vangelo mai fermo – come la foglia accesa sul ramo o il sole sul capo alzato delle viole, che sua opera è fiorire, ovunque e in me profondamente ancora.
*
Piccola poesia d’amore
Rami di cespugli nudi, eppure già i fiori. Ti cerco anche oggi, col pudore dell’alba. Nel silenzio del verde nascosto, ti aspetto, piccolo passero, a posarti affamato di me.
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Qui finisce l’inverno
Il giallo sui rami prima del verde ormai irreversibile, fatto di tanta bellezza che sola si esprime per dono divino: silenzioso mistero la crescita, il coraggio di gemme che si concedono a vita negli interstizi, nei tagli delle cortecce, il bianco di narcisi su steli che sporgono da crepe nuove e fessure. Qui finisce l'inverno.
E tutto l'amore cercato è negli orli piegati d'una pagina aperta, presto i fiori verranno e domani l'ardente di più della rosa.
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E il vento soltanto
Vorrei dire le cose che prime odono il sonaglio dell'alba – il canto infinito del nascere – la chiara betulla dietro quei vetri, la curva che arriva accennata tra i rami sciolti dal gelo invernale e una dinastia di passeri venuti a beccare molliche,
ma ho negli occhi il giardino di fronte quand'era l'inizio dei campi e più oltre era cielo colmo di cielo: tutti i pensieri si incontrano lì dove ora fitti si stringono gli alberi e il vento soltanto ricorda l'infanzia e le dita non bastano più a contare i miei anni.
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L’altra parte del cielo
L’altra parte del cielo se l’è presa il sole al tramonto tra i rami in controluce – ultimo assalto della bellezza – La sera fanno silenzio i passeri per molti aspetti miei simili.
Tu pensami mentre scrivo poesie perché l’anima non smette la vita. Dentro, fuori, lontano.
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Cosa pretendi di dire
Cosa pretendi di dire piccola poesia nata quasi da nulla (o tutto)? Insolente. Come se oggi non fosse inverno o gelo non mordesse la terra come se non ci fosse distanza dal verde ancora, piogge celate dentro nubi di neve e mani sole. Ma tu vieni per medicare la ferita il taglio della scorza che generando grida. Tu sei il mite schiudersi d’ogni cosa, il ritorno dei fringuelli, come se entrasse in noi un’ampiezza un respiro, un inizio. Tu, calore, strada che porta su. Non declinare, allora, non andartene. Rimani, vento, a resuscitare il mondo.
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È l’alba
È l’alba, lo sai, ciò che trema all’imbocco del cielo in quell’orlo di luce che avanza. Niente si muove. Tutto diviene. Dalla misera assenza le cose – care ombre sapute – tornano in vita. Tra i rami pigola qualche piccolo uccello. Con levità la neve sa scriverne i passi.
Come donarti la meraviglia? Indossarla come pegno d’amore. Di questa vesto i miei occhi – tacendo – mentre già ti vedo rinascere. Di questo magrissimo esistere dei giardini in inverno il silenzio è la forma più pura. È miele sciolto in un bricco di latte.
È tempo di un altro principio – quando profondo è il perdono – il tempo in cui tutto ancora riaccade ma nuovo.
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Prima di sera
Prima di sera vengo a dirti qualcosa delle poesie che amo e di fiori da raccogliere per farne miele sulle labbra, ma tengo nascosto il nome della rosa, d’inverno, come fa la terra con i semi. Solo per quei muti rosai rampicanti lungo i muri – sottili rami dimenticati – vorrei disdire la neve, per poter rivedere a maggio il trionfo delle rose, la loro ardente vittoria su tutto.
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Kaddish* (Gli unici fiori) #GiornoMemoria
...e cieli un tempo lievissimi caddero in frantumi su boschi ignoti – come la neve – su sguardi impauriti d’agnelli dentro recinti senza gesti di cura. ...del desolato inverno calpestarono gli unici fiori... * una preghiera, un pensiero orante, per tutti i bambini morti nei campi di sterminio
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Quando gli anni si scordano
a mio fratello Quando gli anni si scordano d'essere andati, tornano i bambini delle figurine e dei denti da latte in quelle risate che somigliano a me e a te allora, così sciocche da far infuriare il babbo;
tornano le giornate di sole in cortile riportando indietro l'età, quando non sapevamo di noi adesso e io ero solo quella che amava correre veloce, quella che voleva allevare i cani e andare a lezione dai prati.
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Poi è inverno
Poi è inverno. E ci si accorge di quanto sia inospitale questa sosta degli alberi, il tutto dismesso. Resta solo l’attesa della neve. Il cielo bianco come la scrematura del latte e pochi uccelli ancora a volarlo in rari passaggi, per gli altri, andati via, un luogo straniero. Io, parente stretta delle oche selvatiche, come loro, forse, non sono di qui.
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A lungo rimane
A lungo rimane il tuo nome sui fiori di elleboro bianchi nel dove dietro la casa. Ancora e sempre vengo a cercarti lì nel tempo dopo la neve.
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Se silenzio fosse tutto
Se silenzio fosse tutto ciò che dicembre ha da dire non sapremmo di noi di albe già nostre con la voce dei passeri – accompagnamento sublime a quieti pensieri – e questo sentore d’inverno dentro le ossa sarebbe scordare l’estate l'amore nei palmi il colore dei fiori. Moriremmo così un poco alla volta senza neppure la pietà del ricordo.
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È accaduto l’inverno
Quando l’anno finisce nell’aria cruda e fredde stelle disseminate in cornici di cielo si dice: è accaduto l’inverno sugli alberi curvi e i rami sottili e i piccoli uccelli in cerca di pane. Si chiede rimedio – salvezza – domanda estrema di grazia che ancora è solo promessa (forse ricordo d’ignoto chiarore). È miseria l’unico nostro possesso e le radici già bianche dei capelli.
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Sottovoce (Poesia d’inverno)
(dipinto a olio di Letizia Fornasieri - dal web)
Poesia d’inverno spoglia un vivaio di piante allineate. Uccelli passano in volo disertando luoghi comuni. Si sporge tremando l’edera come resta a tremare l’anima curva su rami di brina. Non ancora neve. E quella serena rassegnazione di foglie al distacco è una preghiera da dire – sottovoce – al Piccolo Dio del creato germoglio nato di notte in fredda terra.
Natale 2018
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Ci prende, a volte
Ci prende, a volte, uno stupore come il cielo puro di dicembre che spalanca gli occhi e cresce dentro una lode segreta al Dio delle bianche greggi di nuvole e degli alti transiti di stelle comete.
Tutta questa vita da respirare nell'odore d'inverno freddo sconfina oltre le pareti – misteriosa impensabile nascita –
E rifioriamo in spazi immensi dai corridoi d'un tempo terreno dove cerchiamo l'impronta di una bocca che pronunci Amore più della parola, più dell'aria di ogni parola affiorata sulle labbra.
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Alba silenzio attesa
Il seme che prendo dalla tua rosea bocca – alba silenzio attesa – farà figliare la parola: presenza delle cose nominate. Resurrezione.
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Il vento convoca a lato
Il vento convoca a lato un’adunanza di foglie e necessarie nostalgie. Metto un fiore per te tra le pagine di un libro – petali come fogli di un carteggio invisibile – Così ancora ti parlo. L’inverno tornerà dimora bianca del mio dolore. Come saranno cari allora i caldi colori d’autunno – la benevolenza del giallo! – Ho messo un fiore chiaro in un libro d’ore per custodire la primavera. Una cura quotidiana per quando farà freddo – quando il gelo brucerà le mani – Come imparare la speranza.
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Dietro i vetri
Dietro i vetri trame d’alberi. In strada già voci e urgenze di doveri. Pioggia – ancora non basta? – e foglie sparse a terra nella muta d’autunno. Il volo dei passeri è un guizzo di gioia nel petto. Speranza, forse. Tra le crepe dell’oggi scorre sempre buona la vita. E noi. Sommamente lieti.
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Non so perché
Ogni volta l’alba è un bacio mai dato prima. Le tende hanno un orlo di luce e trine d’inquieto silenzio. Un merlo che vive in giardino mi ha portato il pensiero di te. Tutti gli inverni passati ti fanno più piccola in mente così ancora tengo il conto a matita: ormai sono sei. Nelle sacre crepe del tempo si capisce talvolta l’amore. Fuori il cielo è coperto: non so perché te l’ho detto.
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Se non avessi amato
Oh, se tu potessi vedere oltre la distanza di spazio e di tempo – questo mio non essere lì e qui la tua infinita assenza – sapresti della mia malinconia così affine all’autunno, ormai tarda nostra stagione. Io, foglia gialla aggrappata a te come al ramo che ancora la nutre, temo, lo sai, lo sgarbo del vento, l’incombente possibilità d’un morire altrove da noi. Eppure, se non avessi amato nessuna estate avrebbe illuminato la verdezza dei giorni né le chiare notti d’agosto. Se non avessi ceduto al cuore, mai alba sarebbe sorta più a dire una bellezza che mi dà vita ancora, dentro le ossa, nella carne. E se non sapessi più amare il cielo che muta di tempo in tempo, come potrei dire di luce e nuvole e rossi tramonti e luminose stelle?
Nota: la musica di sottofondo alla lettura è tratta dal web - Gnosienne n. 3 di Erik Satie
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Porto i miei occhi
Porto i miei occhi dentro quella piccola carità di luce – un'elemosina di bene – che del giorno ancora è solo promessa.
Come una tenue premura è la grazia del sole – quasi un'inopportuna gioia nell'autunno morente – a ridare volto alle assenze.
Sia l'Amore il sussulto dell'anima smarrita nel buio – sconfinato lutto della notte – quando viene l'alba e chiaro di nuovo il cielo.
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Parole di confine
Se mi è concessa questa pagina bianca scriverò per te parole di confine nell’inverno che novembre avvicina. Dirò di mattini solo nostri. Ricorderò i cieli notturni d’estate in processione di stelle cadute fino a noi con la stessa grazia delle foglie quando lasciano il ramo. E l’ultimo oro d’autunno negli occhi mentre i fiori si spengono alle inferriate. Eppure c’è bisogno del silenzio perché la lingua rinasca pura. Tu prestami aiuto, conserva la memoria, che mi sfugge lungo le dita la capacità di raccontarne tutta la bellezza.
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Tra pioggia e sole
Lascio inchinarsi il pensiero su questo strano novembre che ha versato acqua su acqua. A terra un tessuto di foglie lucente, la ronda dei passeri al davanzale in attesa di briciole, il loro incessante sperare. E lo stridere doloroso – talvolta – di ciò che va perdendosi, seppure serbi in sé un continuo legarsi alla vita, trattenerla oltre gli strappi. Io ti aspetto in questo tempo sottile – lontano – sotto poche foglie rimaste come il bacio in sospeso tra la mia pioggia e il tuo sole.
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Questa lunga notte
a mia madre Questa lunga notte che ci separa è un muro da sbrecciare col ricordo. Come fosse adesso ti vedo al balcone – i tuoi gerani rossi. Ma quanto è profondo ora il solco quanto negli abissi scorre la vena del sangue che mi ha generato! Sei ombra che s’incrocia col tempo. Gli anni trascorsi sono rami spogliati e ogni alba non colma la distanza. C’è l’autunno sotto un arco di cielo. La preghiera viene alle labbra col suono del tuo nome – senza grido. Schiude porte verso terre di pace.
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C’è un tempo piegato
C’è un tempo piegato, la città perduta nel diluvio. Il vento sfronda gli alberi, porta via o entra profondo e le foglie costringe a terra – trame di bosco sfinite – Cala il silenzio, sfumano le ore come una specie di lunga sera, l'ombra muta delle cose sperse in un tempo sospeso. Rimane l’autunno.
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Declina il battito
I vasi di ciclamini ordinati sul davanzale uno spazio d’esercizio alla lettura della stagione.
Come note parole racchiuse nelle inconsapevoli foglie in controluce nell’oro d’ottobre si adagiano sullo spartito della sera in crescendo.
Lentamente declina il battito.
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Luce d’alba
Ci rincuora l’alba. La luce che sale e dissolve ciò che della notte è stato cauterizza le ferite del buio ridà corpo all’assenza. Dice: apri gli occhi e guarda il nulla che diviene un angolo di mondo – provincia o solo un giardino – pienezza dell’essere apparsa a salvarci. La terra è ancora grembo di speranze, sfera che si muove nella grazia mossa da docili fibre.
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Avrò nostalgia
Avrò nostalgia delle foglie dei colori ardenti e proibiti del nostro autunno. Ricorderanno il ramo che le ha germinate?
Di questa mia terra smossa domani ti scorderai. Della mia bocca che nulla a lungo ha taciuto – forse il bacio –
Presto non ci sarà che il cielo tra i rami esposti. Narreremo ancora l’amore che ci ha tenuti in vita se l’inverno è solo silenzio?
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Forse non sai
Forse non sai che la notte porto il pensiero fino da te. Ricordo l'estate – ricordi? – Si sfiorano i silenzi e lasciano la memoria di un noi taciuto. Sulle labbra rivorrei le parole. Offerte. Come un bacio. Oggi solo il vento ha voce.
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Qualcosa di salvato
Abbiamo ricercato questa grazia nelle strisce lontane d’orizzonte, in screpolature di cieli d’alba mossi – chiare aperture verso l'oltre – lì dove la luce è già sorgente. E se invece fosse proprio qui tra i ciclamini rosa e le ortensie brunite dall’autunno in transito, racchiusa nella fragilità di foglie trattenute per poco in maglie d’oro? Forse è dentro le cose quotidiane, in questi argini umani da abitare, nello sguardo dato a ciò che sfugge – meravigliosa inclinazione – e qualcosa sempre mostra di salvato.
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Come sottovoce
a Chi sa, per tutto il bene Vorrei quest’alba ferma, immobile sui rami luminosa e viva perché il tempo non finisca in un vento d’aria trascinando via tutte le foglie d’ottobre. È autunno qui e attorno ogni cosa pare lasciarci lentamente. Non c’è nulla che resti nella stagione che si spoglia e quando le ore si assottigliano desideriamo di più ma come sottovoce. Ci saremo detti abbastanza che ci amiamo?
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Somigliano all’inverno
Somigliano all’inverno, mia anima, questi giorni chiusi di silenzio. Niente più parole infinite o la voce dei fiori. S’assottigliano le foglie per indossare la stagione e poi perdersi. Tutto è sospeso come prima d’una pioggia, quella che fa i giardini verdi. Come noi, in attesa di uno sguardo che posi l’amore nei palmi. Noi lì immobili senza peccare.
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Lento l’autunno
Gli alberi hanno vuoti sui rami. La stagione che spartisce rame e oro ovunque è la mia casa, ogni anno nuova. E ora vedo cose mai così importanti prima, affiorano gli odori – di torba scura tra le mani e foglie – dentro ripostigli di memoria viva in me che invecchio. Lento l’autunno si fa tempo presente. Arrossisce, s’infiamma. Viene.
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Splendono gli alberi
...così viviamo per dir sempre addio. - Rainer Maria Rilke - Lo si può dire. Splendono gli alberi quando sciolgono l’oro in una cascata di foglie come se si spogliasse il cielo. Si arrendono poi al silenzio. Per un destino di sconfitta esile mi trema l’anima. Nudi ormai, narrano i tramonti – in lingue accese di colori – del luogo dove tutto si consuma. Nel rumore della luce che cade nell’inciampo degli addii, sospingo i giorni a quel movimento del pensiero che mi ricresce il respiro e diviene ricordo in me infinito ancora.
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Sui chiari rami
Sui chiari rami di betulla i preludi dell’alba – trasfigurano le ore dal buio all’oro – tra le rose il silenzio. Sono negli indizi di luce le amorose parole. Riversale nella mia bocca come i ricordi d’estate per i giorni corti. Le tratterrò sulla lingua – lasciami dire – una profezia di cielo timbro di voce dell’azzurro. Nell’attesa ancora nasco.
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Accostati piano
Accostati piano al silenzio, allo sguardo di settembre col colore delle foglie in discesa e i petali delle rose sciupate pronti all’abbandono nel vento. All’alba appena un accenno di cielo e un canto d’aria, un bisbiglio, un frullo d’ali come il tocco della prima volta che un figlio ti si muove in grembo. Nel tacere sta tutta l’attesa: accostati piano al mio silenzio, a questa abitudine d’alzarmi presto con un chiaro di luce tra i capelli e il mattino che mi disegna i fianchi.
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Le rose a settembre
Lo splendore incauto delle rose a settembre è una fragilità che si sfoglia. Come un movimento d'aria di uccelli in volo, il rapido passare delle nuvole o la bellezza breve dei cerchi d'acqua.
Tutto sembra dire una qualche verità su questa vita né mia né tua, io penso alle cose che si perderanno – come anche le foglie – ora che la sola notizia è il vento e l'autunno che viene.
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Vorrei scriverti
Vorrei scriverti che la tristezza è solo un attimo di distrazione, un lieve malore che sfuma in una mattina ancora tiepida fatta di chiari sussurrati e calma di vento.
Ti direi che l'autunno è una sosta, un distacco breve, una ripresa di fiato (se vuoi chiamalo un cauto indugio o appena un'esitazione).
Ma c'è questa luce sempre più obliqua per terra, sopra le cose, tra l'erba cresciuta sul finire come un saluto, e un lungo commiato d'uccelli dentro una stranezza di cielo e quel colore che muta delle foglie il destino e poi l'inverno.
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Sinautunna settembre
Di questo tacere ne ho fatto una stretta al cuore – snodo che non risolve – La luce fa ancora le cose da guardare sebbene la pioggia.
S’inautunna settembre dietro i vetri che mostrano assenze. Resteremo cielo coperto – o giornata muta – un intero universo sotto le palpebre chiuse.
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Si vede l’estate passata
Si vede l’estate passata sul ciglio trascurato del prato tra ortiche cresciute e timide malve e ombre nell’erba gli intrecci di foglie seccate dal caldo più ostile. Può darsi che anche tu oggi dica che farò ora che più non c’è agosto a scrivere per noi queste sere e le notti quiete sotto cieli quasi vicini. Forse il domani che doveva venire se ne è andato nell’attesa d’un cenno lasciandoci a vegliare solitudine e pioggia. Estate e inverno in fondo sappiamo abitano lo stesso medesimo tempo. Nota: la musica di sottofondo alla lettura è tratta dal web - Variazioni Goldberg di J. S. Bach
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Tre righe per settembre
...e il cielo gremito di suoni quando vanno gli uccelli dice come passa l’estate...
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Se c’è una rosa
Se c’è una rosa è nell'indugio del cuore – nel lento sbocciare – il miracolo
la meraviglia nelle insenature di luce – come un’alba – tra i petali mossi appena da un fremito puro.
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Quello che mi porta l’alba
Quello che mi porta l’alba è sempre un’infinità di cose di cui oggi quasi non mi accorgo. L’orizzonte si fa avanti con la sua gloria luminosa i gerani sul balcone ardono delle loro tinte forti e dovrei provare a considerare il canto degli uccelli come istruzioni per sopravvivere. Ma mi raggiunge solo il tuo pensiero e una pena segreta mi occupa il cuore.
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Certi momenti
Certi momenti sono concessi solo per grazia non per merito come quando la luce appena nata si rifugia nel mistero degli occhi o quando certe poesie restano a lungo sulle labbra balbettando l’Amore e questo cielo che ci viene incontro immenso e non parla d’altro e nulla insiste in noi più di questo bisogno infinito.
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Il volo
Un volo d’uccelli traccia il biancore del cielo nel punto più alto dove oggi si scriverà pioggia o sole. Se ne vanno ad ali distese ferendo di luce lo sguardo lasciandoci il dubbio come un gemito d’aria.
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Come uccelli
Vengono in volo le rondini per invisibili vie d’aria in quest’alba che non basta. E siamo noi come uccelli con la smania di cielo che solo dei pini l’antica ombra quieta sebbene cerchiamo qualcosa più certo del giorno più eterno dell’orizzonte che in fondo s’accende a sera: ci ammala il tempo che passa e non si vive con in eredità solo l’esiguità del crepuscolo.
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Porto in dote
Il cielo dell’alba è bianco la linea quasi non si vede. Appena sotto il davanzale il silenzio degli alberi. Il respiro. Dalla notte eredito il venire della luce – un lascito dovuto per le ore sottratte al sonno per restarle accanto. Io porto in dote un fiore di ranuncolo che il vento non ha piegato e poche voci da cortili d’aperta campagna.
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Una nuova rosa
Ci ritroveremo salvati da una distanza che se separa di più affina l’anima. Restituiti a un tempo che la carta non ha ingiallito chiaro di quella chiara luce che ci sorprende all'alba. Tutto il pensiero dedito ha una grazia che non sappiamo che speriamo da un cielo scandalosamente azzurro. E anche solo le parole sono un destarsi dal sonno e vedere nata una nuova rosa.
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Come una preghiera
Salvo le parole dall’altrove della notte, dal lontano ostinato silenzio, per ridartele pure – un vagito appena uscito dalla bocca di un lattante – Sono la casa in cui vive la mia anima, dove sottovoce ripeto il tuo nome, come una preghiera.
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Preludio
Come umile e intatta m’attrae a sé quest’ora fresca d’amore fatta di vie infinite e pure sponda a cui mi appoggio per risalire il giorno dove il tempo ricomincia – eterna stagione dell’alba – luce nuova sui rami e sulle cose.
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Rimane tra noi
Rimane tra noi, a sera, quel congedo ad ora incerta, l’ultimo pensiero prima del sonno, l’esitante tenerezza di un saluto e un tremore inquieto che vede il nulla della notte a cui ci consegniamo, che teme l’assenza delle nostre voci, degli occhi e forse del ricordo.
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Estate
È tutta in questi cieli lisci nella luce netta gettata sulle cose nel profumo caldo dei fieni stesi nel canto infinito dei grilli nel verde più scuro dei boschi la temporanea immortalità dell’estate. E in quel sapore asprigno dell’uva spina che resta sulle labbra ormai rosse le mie labbra che preparano la forma delle mie parole per te.
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Quando l’alba
Quando l’alba viene a chiamarmi con la sua garza di luce che si adagia sul mondo, con i suoi suoni chiari – l’aria fuori ha canti di rondini – diventa preghiera ogni sguardo e io non ho più nulla da aggiungere.
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Notte-assenza
La notte è una forma d’assenza in cui nulla più è chiaro, non i ricordi e neppure i pensieri. Solo un abbaiare di cani, giù, lungo il torrente. Nessuna voce d’uccelli e passi che non riconosco sulla via di casa.
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Un cielo così chiaro
Poche semplici righe perché ormai è giorno perché potevo dire le parole e non l’ho fatto perché certe felicità sono inaccessibili. Perché è struggente la bellezza di un cielo fattosi così chiaro da non meritarlo.
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Non so dove
Svolto la curva dell’alba, lì, dove già ha ceduto la notte coi suoi flebili sogni. E c’è silenzio dalla parte da cui viene la luce. Davvero non so dove il Tutto ricrea il tessuto del giorno, dove, non visto, fa la bellezza a nostra insaputa.
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Qui ha piovuto
Qui ha piovuto un’ora, stanotte, ma poche tracce della pioggia. Sai, il non pensiero è un disamore. Vedo le gocce scorrere sui vetri. Dopo la finestra solo il cielo e null’altro se non immaginarti.
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Frammento d’estate
Piccoli orti persi lungo la campagna i girasoli ritti a guardia dei ricordi e il cielo fino in fondo.
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Dimmi dove
Dimmi dove hai trascorso la notte, se è stata solitudine o avuto amore, se hai ripetuto la domanda sospesa d’attesa che dal buio arrivi un cenno, s’insinui il barlume di un’alba d’estate – chiarore di luce e il suo infinito mutarsi in giorno – Dimmi se come me senti la nostalgia di un’ora che ancora nasca nuova.
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Oggi la curvatura dei rami
oggi la curvatura dei rami del salice è il garbo del collo chino sulle pagine
quando il cielo ha un chiaro solo sussurrato e scriverti qualcosa di necessario
ma forse nessuno legge poesie a quest'ora sul pendio della malinconia
di un vento assente in un'aria che appassisce e manca qualcuno che ti voglia
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Strettamente confidenziale
Nulla sanno gli alti steli della malvarosa dell’adagio delle mani sulla pelle e dei respiri caldi, del doppio battito nell’abbraccio dei corpi. Di ogni singola solitudine.
Nulla sanno di noi, di questo nostro scrivere poesie d’amore.
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Tramonto
Il cielo rosso acceso ancora in quest’aria di sera allargata e il sole che dilegua rapidamente come mai la malinconia.
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Appunto minimo
La nascosta bellezza del silenzio è questo somigliare allo sguardo, così ti scrivo della pioggia di oggi: fuori vedresti le rose disfatte e un arco di cielo senza l’azzurro. Dentro un pensiero mai trascurato e lo scavo della mancanza.
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Se l’amore è un discorso
Basterà dire le parole dell’alba – suoni d’aria, voci d’uccelli – per allontanare la notte, per colmare la solitudine del cielo, perché la luce s’insinui chiara e ci bagni la rugiada? Servirà a qualcosa ripetere tutto l’alfabeto del giorno, se si spegne questa brezza – alito inquieto delle nostre anime che ci sposta, ci solleva – e noi moriamo con lei? Cosa sarà di noi, se l’amore è un discorso e non un destino?
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Parti da qui
Parti da qui. Dalle nuvole, dalla pioggia della notte, fine e scarsa – già finita – che ha aggiunto umidità all’afa. E non stupirti del mistero fatto di fango: come potremmo comprenderlo, altrimenti, noi, che ugualmente siamo sabbia mischiata a lacrime? Come potrei raccontarti della viola selvatica – cresciuta nuova per quei pochi rigagnoli d’acqua scura – quando il cielo sarà cosa leggera, ancora?
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Più azzurro
La domanda si fa più vera all’alba – o forse appena prima della notte – cercare (o trovare?) un destino alla vita trattarne il prezzo per poi accorgerti che ciò che aspettavi l’hai avuto senza debito – la dispiegata bellezza delle cose – Se fosse per me aggiungerei più azzurro.
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Lontananze
Non ti aspetti tanta distanza tutto questo rosa in fondo d’orizzonte tagli di luce e voci d’assenze. Adesso che tornano le ore del tempo vengo a cercarti, ti vorrei raggiungere dalla lontananza dei pensieri, verrei scalza da luoghi sperduti. O forse basterebbe un’assiduità di sguardo e un punto comune da fissare. Ma quest’aria mi trema dentro. Se poi guardo il cielo mi germogliano ali.
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È buio
È buio, del buio della notte, questo nostro camminare incerto. Non ci specchia il cielo profondo. Possiamo solo immaginarci. Raccogliamo pochi frantumi di stelle – fredde, forse già spente – e la luna non è mai al solito posto.
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Oggi il cielo
Oggi il cielo lascia il segno: il suo splendore sotto il rivestimento delle ore, la luce dell’estate che s’impiglia tra le folte frange dell’edera e un mare d’erba alta, con gli uccelli padroni del giorno nell’aperto respiro dell’aria. L’amore non è frutto che si raccoglie da terra è impresa da rami alti – è volo, salita continua – e se della sua bellezza ci viene concessa anche solo qualche sillaba so che saremo salvi.
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Le parole dell’alba
Sono parole ancora acerbe quelle dell’alba, verdi, un dettato per prime elementari. Così, anch’io mi faccio piccola – una piccola cosa – per comprendere la lingua semplice e nuova dell’Amore.
Il bene ha il tempo silenzioso e lento dell’edera – pare immobile, ma è già oltre – e ha tralci che s’arrampicano fino al cielo. Fuori il giardino è fiorito senza che ne avessi coltivato i semi.
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Come una lacrima
C’è questa sera, che scivola come una lacrima scura sopra il giorno, si allunga piano sui miei fianchi e io vorrei accogliere sulle mie labbra le parole che hai perduto, acquietare l’anima in un cielo che ha i colori del perdono. La notte poi ci bagnerà gli occhi, sarà come un’intima carezza, come un tenero bacio dato al palmo della mano – forse è così che viene la Poesia –
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D’improvviso nostalgia
a mia madre D’improvviso nostalgia nel passare di ore canoniche – liturgia del tempo – desiderio di qualcosa che è già stato e forse ora è accanto alla mano che scrive è negli occhi che guardano i tuoi fiori a cui parlo sottovoce come fanno le api d’estate.
È sbocciato intenso il gelsomino a cui pazientemente districavi i rami e ricordo ancora le tue mani – memoria e distanza – quando mi intrecciavano i capelli o quando invece mi stavano lasciando.
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Nuvole
Nuvole bianche passano sulla terra, indecifrabili. Sopra il folto degli alberi, l’esuberanza delle acacie, lassù, corpi erranti tra i nodi del vento. Oh, fossimo come nuvole nei cieli bruciati dell’estate, trafitti dalla chiarità, feriti da tanta bellezza! La vita reclama misure più alte.
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Verranno le parole
Ogni silenzio forse mi condurrà a una voce che mi specchi e verranno infine le parole cercate dalla mia bocca per dire il tuo nome per formare la sillaba pura il sussurro atteso come un balsamo. Sorgeranno – come tra i rami i fiori di magnolia – chiare della verginità che fa l’alba della luce che s’incurva lieve sulle foglie e cresce e dal sonno e dalla notte la vita ridesta in cerca d’amore.
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Uccelli
ad Amina Narimi Amo quelli di Braque. Bianchi, neri, sovrapposti all’azzurro. Poi le rondini e i loro annunci di piogge e primavere e le allodole che spingono la luce fino agli occhi. Sarà che hanno voci di risa e con leggerezza di piume toccano l’infinito, lo navigano – le remiganti mai stanche – lo cercano come un destino. Si slanciano in alto – circolarità del volo – sagome nell’aria come parole sul foglio. E le nostre mani accostate fanno nidi d’uccelli. Senza sarebbe vuoto il cielo.
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Perché piove
Perché piove e non so dare un nome a questo affanno e vorrei leggere i tuoi silenzi come parole nuove perché questo tempo fatto d’aria e d’acqua dissemina nell’erba splendori che non so più vedere alla tua mano voglio chiedere la carezza che manca – il gesto che toglie la distanza – alla voce il suono che mi desta. Se non si spegne il canto – il desiderio che spinge alle cose volute – questa grazia iniziata con l’alba è già profondo respiro.
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Ti ho detto amore
Ti ho detto amore con la lingua dell’alba – la semprevergine – quella che sanno le piccole erbe di un abbaglio che stupisce. Mi sono fatta attesa e desiderio nel silenzio che svela cose impossibili alle parole. Ma tu non sei rimasto per quella sfumatura negli occhi che ricorda le piume degli uccelli e racconta l'infinità del cielo. Mi hai lasciato la solitudine come l'acqua amara della notte tra i petali di una rosa.
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Mentre tutto accade
piove – una pioggia fine – cresceranno i fiumi nel corso instancabile dell’acqua silenzio nel vasto segreto fluire nel movimento arcuato dei rami del caprifoglio nella sorpresa della rosa una spirale di petali stillanti – la sua offerta – e questo modo per risarcire il giorno: essere lì mentre tutto accade.
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Se non conosci
Se non conosci il dolore della ferita – la sua condizione di solitudine – non saprai che le mie lacrime cadono ad ogni scomparire dell’alba e per il silenzio che si disfa,
per la mancata devozione alle rose e per l’incurabile bisogno di bellezza – l’immeritata meraviglia – Per la mia parte degna e per l’indegna.
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Le parole nascoste
Le parole nascoste attendo – rugiada del mattino – la tua voce che percorre le vie conosciute senza più distanze. Fugge il tempo come uccello di passo e già affollano i giardini larghi respiri d’erbe. Come noi la parietaria inquieta si abbraccia ai muri e non sa cosa vuole. Basterebbe sporgersi dalle certezze – essere nuvole affidate al vento – e amarsi anche se non è tempo dai luoghi soliti o da più alti precipizi. Ma a me basta appena questa tua voce che viene a bagnare i miei sentieri e sapere che tutto è nulla senza amore.
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La memoria ha stanze
Calma statica su ombrosi acquitrini di verde limo e lenti i profumi delle rose galliche in esuberanza di petali La memoria ha stanze e stanze infinite da ripercorrere mentre attendo l’alta fioritura dei tigli e resto sulla soglia di giorni ricadenti tra bordure d’astri avvolta da lievi consonanze.
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Conosci la voce?
Conosci la voce delle cose? Dell’acqua che scorre, del vento, delle piante: mormorii sommessi frammenti tra silenzi. È ancora stupirsi del seme nascosto e dell’albero alto e della parola che è germoglio unico della nostra sostanza suono e dell’anima respiro instancabile che muove le pagine come l’aria quando attraversa le foglie o quando la mano le tocca e le inclina mostrando l’invisibile. E di me, terra che tu hai seminato, conosci la vera voce?
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Largo, il vento
Largo, il vento. Apro la finestra. Oggi sono due giorni che piove fitto. I pruni carichi di rosa, il cielo scuro nei rami, la luce chiara nei fiori, e più cielo ancora, là in lontananza. Tu non ci sei. La casa è vuota. Nella stanza mi attraversa il silenzio. Come il vento, respira qui, al mio fianco.
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Scrivo di mattina presto
Fuori le azalee in fiore... scrivo di mattina presto per sciogliere i nodi della notte per rialzare le parole supine la vita scema e rinviene ogni giorno come l’orizzonte e va avanti per grandi aperture o piccole rivelazioni scrivo per dirmi ancora che i gesti dell’amore hanno un destino eterno nonostante l’ordinario e la vita non è obbligo da festa comandata ma respiro veduta in campo lungo il pensiero solca la pochezza e ci sospinge all’infinito...
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Sto in ascolto
Sto in ascolto del silenzio – voce muta delle cose – Odo l’acqua piovere sul verde sulla rosa rampicante che al graticcio forte s’aggrappa come saldo il cuore stringe in petto il continuo pulsare della vita – le radici che mi tengono – Gocce mi brillano dentro lo sguardo.
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Duole il silenzio
Non so altro di te e duole il silenzio caduto tra le righe quasi una spina sotto pelle come se il tacere potesse annullare il pensiero o impedire al cuore di bruciare e si resta inquieti col fiato appeso all’attesa di un qualche sussurro sentito* * con il mio grazie per il “sentito“ a Robert W.P.
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Erbario vivente (o la liberazione del verde)
Non serve uno sguardo allenato per cogliere l’eccedenza dei petali il rigoglio dei prati ricolmi non occorre un senso ulteriore la torsione del collo del gufo o la vista laterale dei sauri non si può ignorare l’apparizione è ovunque il groviglio d’erbe l’accalcarsi infinito di ciò che rivive tutto è un sovrappiù di meraviglia trafigge gli occhi la variegata bellezza lascio che mi sorprenda ancora la liberazione delle cose verde acceso la perseveranza nel ritornare che ha la primavera.
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Le parole del canto
D’improvviso una larghezza d’orizzonte – sorpresa d’infinito – vasta chiarità, oltre le ortensie e il tempo, che reclama uno sguardo fuori misura. Diciamo le parole del canto: alba e notte, fiore e foglia. Gioia, dolore, amore. E siamo più di questo, noi, consanguinei delle nubi e delle rondini. Da quale alto cielo viene la nostra vera voce e il silenzio?
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A primavera
Guardi traboccare ovunque, smagliante sui rami scuri, il rosa-viola degli alberi di Giuda ed è come una celata consapevolezza divenuta improvvisamente evidente.
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Primavera attardata
Sei stagione di pruni rosati primavera attardata mentre ancora esita il giorno e il cuneo di cielo tra i tetti vira verso un che d’ombra e di luce.
Mi rifugio nei segni che nascondono e svelano la parola miracolo da preservare – forse soltanto un frammento – il Suo nome che io non so dire.
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Stando qui
Essere qui dove siamo, con il glicine d’aprile aggrappato e contorto, spiovente di grappoli viola lungo il muro e il cancello, e tra le malerbe l’edera scura che si sparge fino alla soglia di casa, è una consuetudine senza catene. Un privilegio. Perché, vedi, solo noi lo possiamo dire: cosa brilla dovunque fin dentro gli angoli più nascosti, cosa splende che ci fa lucidi gli occhi, che ci chiama in questo tempo a metà della strada per l’infinito. Solo noi lo possiamo sapere. Stando qui dove già siamo.
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Le tue parole
Caro, non lo sai? Questo giorno che si apre come rosa, fragile ancora di luce e suoni, sono io che vengo a bussare alla tua porta. Vengo a mendicare le parole dell’amore. Le mie sono poco più che aria, piccole onde dai riflessi d’iride che scivolano a riva e subito svaniscono. Ma le tue – ah, le tue calde, forti parole! – hanno l’impeto d’ogni nuova cosa, segnano la pelle e poi la curano con la saliva lucente della poesia. Sono l’abito da indossare nei giorni e svestire nelle notti quando solo bastano i respiri. Sono l’immagine che si fissa sulla retina – memoria incancellabile – il canto che ritorna nella mente e occupa i pensieri e i desideri accende.
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Come il mare
Uomo libero, sempre amerai il mare! É il tuo specchio il mare… – Charles Baudelaire – Un labirinto il mare. Principio acqua madre senza forma, senza ombra. Voce che grida nel cuore delle conchiglie. Infinito senza tempo, senza dimora. Siamo come il mare. Abbiamo un abisso dentro un’onda che ci muove che sempre incessantemente torna a lambire salmastra la vita.
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È in ogni cosa
Non deciderà per me questa debole pioggia d’aprile né poche schegge di luce o il bordo scuro delle nuvole. Io coltivo un pensiero di bene che addolcisce la pena del buio: l’amore è già in ogni cosa. Che mi perda in questo giorno di non-primavera; e poi ritorni. So che bianco fiorirà il ciliegio.
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Getsèmani
Arazzo vegetale. Trama fitta di rami – pochi i varchi – ad amorevole protezione della memoria. La luce svela nell’intreccio una ad una le foglie. Inciso nel silenzio afflitto degli ulivi il gemito del mondo.
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Certi giorni c’è silenzio
Certi giorni c’è silenzio e quiete. Tra le cose usuali – le nostre, le amate – s’è sparso l’aroma della carta d’Eritrea. Il chiaro di marzo, ormai, ha sciolto l’amaro del mondo. Guardo gli alberi già in travaglio di foglie e di fiori. Questa vocazione delle gemme – docili al tepore, strenue nella pioggia – fedeli all’inevitabile, questa loro attitudine a fiorire nonostante tutto, penso, è simile alla coscienza della vita che noi, forse, appena intuiamo.
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I segni
Eccoli i segni, appena confusi tra i passi assopiti del mattino. Il chiaro dilatarsi del giorno – più terso – ha il senso inafferrabile ed eterno di ogni cosa che muta e ritorna. Il giallo nascere dei fiori, la vita che s'approssima, calda. Scorci di cielo tra le nuvole.
Tutto cerca il varco oltre l’inverno – il passaggio – tutto è pronto a tornare allo stupore, al grido. Odi i rintocchi del vento? Già si spargono gli alati semi. Non dovremo più immaginare. Diremo primavera, ancora.
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Presto, stamattina
Presto, stamattina gli occhi ancora fissi nella notte la luce che tarda a venire la pioggia fitta il silenzio – solo le piccole viole a farmi compagnia – e il pensiero che sempre insiste sulla vita e non dimentica l’azzurro. Se per sapere basta la memoria allora domandami della primavera. In giardino trema la mimosa.
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Malinconica
Credevo ti saresti ricordato di me. Che sciocca pretesa infantile! Accarezzavo in segreto l’idea che al mattino cercassi i miei versi come fa l’erba quando attende la pioggia. Ma non ho mai attraversato il tuo cielo e tu non hai mai passeggiato sulla mia terra. Ora so che non sfoglierai le mie pagine e una malinconia mi prende, triste come un pensiero mai davvero pensato.
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Dalla finestra
Dalla finestra il mio spicchio di prato – l’erba lucidata a nuovo dalla pioggia negli spacchi della stagione –
dice qualcosa di vero sulla vita. Le lacrime dall’alto – o tra le ciglia – sono una consegna di acqua trasparente per pulire gli occhi e il verde cresce anche se nessuno veglia. Anche se manca l’attenzione al poco, al quasi niente delle cose, al marginale – i chicchi rimasti nel campo per i quali solo Dio si prende la briga – l’impensabile verrà alla luce. E a me pure, che sono nulla nell’universo, è stato dato il riguardo, lo spazio che si deve all’ospite nel mio passaggio su questa terra ancora buona.
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Dunque la neve
Dunque la neve. Un premio di bianco per la nudità del mondo. Ma le gemme – ah le precoci, incaute gemme! – ancora tutte chiuse in quella preghiera chiara di vita, cadranno. Per il gelo. Per lo stesso soffice manto che fa belli i profili delle cose. Per il freddo che mi arrossa gli occhi. Cadranno. Una perdita immensa.
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Anche l’inverno
Anche l’inverno va detto. La desolazione della neve e la fame dei randagi. Lo sfregio che il gelo fa alle piante. Il freddo nelle mani l’aria rappresa attorno alla voce. Ovunque considerevoli silenzi. La vita smagrita che vedi perdersi lungo una via in discesa aggrappandosi ai ricordi come fossero il suo mondo. La nostra lontananza e neppure un pasto caldo.
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D’azzurro i prati
D’azzurro i prati hanno una vena – prime corolle aperte – La primavera inizia il rito. Riprende la terra il soffio, il respiro – il nostro stesso fiato – Tornano disseminati i colori che l’occhio scorge in una trama di luce nuova, con meraviglia per noi che nulla sappiamo e non conosciamo dove il vento ha sparso i semi.
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Se sapessi guardare
Se sapessi guardare come guarda Dio nulla sfuggirebbe all’abbraccio. Avrei la meraviglia dentro gli occhi, come quando le nuvole sembrano chiome d’alberi e gli alberi nuvole rosa. Vedrei la linfa calda scorrere fino a gonfiare una gravidanza di gemme, o la goccia liberatoria che comincia il disgelo. Potrei contare tutti i fili d’erba pronti a spuntare e anche le miriadi d’ali di ritorno nella filigrana del cielo.
Se fossi capace d’uno sguardo così rimarrei immobile a contemplare l’istante dove tutte le cose per la prima volta accadono. E non mi chiederei più cos’è l’infinito.
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Come un nido
Come il vuoto di un nido voglio ospitare l’attesa – tempo umano – senza sapere se ancora verrà alta sui tetti la rondine sperare il senso – lingua segreta dell’invisibile – senza pretesa di un definitivo arrivo essere fedele al giorno – preghiera che sale dentro agli occhi – fino a trovare una verità resa chiara da un fiore bianco.
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Dove trovare
dove trovare il prodigio la bellezza da svelare – che rivela – dentro la ruga il solco la ferita delle cortecce dove la scintilla l’improvviso lampo abbagliante – pur se scompare – la parola il segno che toglie il dubbio sostare un istante e guardare si fa acuta la domanda
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C’è tanto cielo
C’è tanto cielo tra i rami che ancora vivono di assenze. Non spicca il giallo delle forsizie. Ancora lontananza. Pochi voli nell’aria fredda e la sopravvissuta speranza dei passeri. Nel primo chiaro d’orizzonte c’è tutta l’attesa dei nidi. L'invernale nudità è cosa che spinge oltre il pensiero. Ma non è compito mio l’accadere della primavera. Io so solo desiderare. C’è ancora così tanto cielo da guardare, prima del verde.
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Chiedo più luce
Chiedo più luce a questa finestra che la notte ancora tiene le redini dell’alba. Non posso scrivere sul foglio. Serve più luce – chiarità nella quale tutto entra – e un silenzio appropriato dove sono pensate le cose. Luce e silenzio per vegliare l’istante, l’attimo che mi sfiora. Forse una rosa nel vaso sul tavolo lascia cadere i petali appassiti.
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Ricordare
Oltrepasso la soglia che confonde la memoria con la cenere. La tua immagine è una bambina col grembiulino bianco, da tenere per mano perché non si perda. Tu continui a esistere – in un tempo d’infanzia – oltre quel varco. A me, qui, resta questo lungo destino di ricordare le tue mani, fino a invecchiare. alla piccola Cecilia, mia madre
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Parola (Come un fiato d’aria)
Come un fiato d’aria – respiro inumidito sulle labbra – sali attraverso il mio corpo, quasi un altro sangue, più caldo, una piena di fiume che irrompe. Tu sola, umana, urgente parola, sei voce della mia anima nuda – l’inedito, il mai detto prima – eco delle infinite cose verdi, genesi di quelle nascoste tra nebbie, polvere e ricordi.
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Breve
C’è un senso di azzurro racchiuso nei fiori che fa chiari gli occhi come il cielo al mattino. Innocente segreta bellezza.
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Si supera l’inverno
Usciamo dalla rassegnazione di gennaio. Bisogna prepararsi, essere pronti a salutare la gemma esplosa sui rami flessi della betulla – le minuscole erbe in crescendo – Dopo i silenzi gravati d’ombre tornano le miti risonanze, cenni lievi di risvegli attesi e voci di chi non è mai andato via. Ho imparato a vedere a occhi chiusi, tra le ciglia, il ritorno del sole, attendendo la ricompensa del verde – l’altissima grazia dei fiori – Si supera l’inverno con forme di speranza.
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Sono qui a domandare
È stato un istante, stamane, alzare lo sguardo al tuo balcone, tra il vuoto del cuore e una strana nevicata di petali. Questo pianto d’albero lo dice: abitiamo una breve eternità, come i fiori a primavera. Uno stretto corridoio di tempo e tutto accade – nascere, fiorire, restare – fino al distacco, fino al vento che porterà lontano la voce. Io sono qui, nella fragilità di un volo, a domandare la giusta razione di vita.
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Dicono che l’inverno
Dicono che l’inverno non è tempo per la Poesia, con quella luce di mezza età e il sole ombra già di se stesso. Ma oggi è un giorno di tenui presagi, di cose nuove dentro cose secche. Nella notte è piovuta un’acqua feconda. Ci sono parole che balbettano in petto, assillano, premono per uscire. Non importa se il mondo è in stallo e noi non sappiamo tutti i modi del canto. È ora di rompere digiuni e silenzi, di rivelare il segreto celato dentro le cortecce, fino alla rinascita che non si può mai dire quando accadrà.
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Insiste la grave notte
Insiste la grave notte oltre il davanzale disabitato. Tra qui e il cielo si è smarrita la neve. Allora dal cuore chiamo forte: – Venite! Luce, uccelli, gemme, iniziate il canto, fate la danza! Voglio toccare le cose invisibili! – Qualcosa manca sempre nell’inverno che ti portò via allora. Questo grido domanda una visita, – la parola chiara, la voce sognata – o un pianto di lacrime che bagni la povertà degli occhi. Tutto è ancora soltanto mancanza. La rosa ha solo spine.
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Nell’ora d’alba, quando la luce
Nell’ora d’alba, quando la luce appare e ha senso dire resurrezione, l’inverno lascia ancora il suo gesto di stanchezza. Allora io raccolgo con le mani anche questo giorno di pioggia che tratteggia sul grigio il suo cipiglio. E mi sgomenta la bellezza che pure in ogni cosa vive unica: nella goccia lucida che fa lucida l’aria col bianco e col celeste – con l’iride tutta – e ovunque è riflesso il cielo. E l’edera sempreverde del balcone insegna al ramo nudo il rifiorire. Dal silenzio germoglia il canto dei primi uccelli, mormora il significato nascosto – una preferenza – e fa tremare il respiro per ogni piccolo dono.
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Mattutino
Profumo intenso nella stanza. Silenzio in pulviscolo d’oro. Sul tavolo spoglio - terreno altare - dal suo trono d’acqua e luce il Giglio regna. Altissimo. Un’epifania.
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Che cos’è un seme
A chi sa immaginare la primavera ancora durante l’inverno. Un seme in terra è talmente piccolo. Un nonnulla silenzioso e forte, promette non una o due, ma infinite cose. Si sa del fiore e del frutto. Ma vedi questo: la gemma appuntita che buca la scorza, i primi petali sciupati come piume di neonati nel nido, la delicatezza cresciuta fino alla mano. Il fiore perfetto e i suoi colori, col profumo che parla in nome del verde e sprigiona qualcosa di irresistibile. Dice “vieni e sarà per sempre” e le api gli ronzano attorno e non smettono fino allo stremo ubriache d’amore. Vedi il gonfiarsi lento del cuore che si fa bacca per la gola del merlo e frutto bello pieno di Dio fino a scoppiare a deflagrare vita in mille e più frantumi di bene che il vento col suo braccio sparge nei suoi domini di cielo, per il suo regno d’aria, su territori infiniti fin dentro la cova oscura del solco e l’immobile attesa. Ci penserà poi la pioggia e dopo il sole, e la speranza: sarà materia loro esaudire il desiderio. Ripetere i passi della danza. Mantenere le promesse.
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Non togliere mistero
Non togliere mistero alla gracile erba o all’albero nudo, alle soffici piume del passero, – al suo vagare spaurito – né al cielo che si colma di luce. Non dire: il fiore è solo un fiore. C’è bellezza. Del tipo che nessuno di noi può dare. Chi ha fatto il tutto così graziosamente – l’Ognibene che continuamente dona – ha voluto anche abitarlo. Inginocchiati e tocca con le mani la terra. Vedi l’Altro dentro questo mondo, l’Infinito racchiuso nel palmo della mano. Non togliere il Mistero. Contempla. * il corsivo è di Clemente Rebora
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Piove sull’anno
Piove sull’anno venuto. Il mondo secco avrà di nuovo vita. Una salute d’acqua scende in chiare gocce a ristorare. A fecondare. Penetra fino alle radici. Fino all’anima. E spero, spero. Sì, spero. Sarà erba verde che bucherà il terreno, un vigore spingerà fuori gli steli teneri. Il turgido delle gemme tempesterà i rami. Nella terra è già piantato un bene. A maggio dirò delle rose.
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Col freddo i viburni
Col freddo i viburni soltanto hanno fiori, indifesi, bianchi della castità di gennaio. Altrove è miseria. Pochi bisbigli e un dolore nascosto che preme nelle nude cortecce, un grido tenuto nella gola d’inverno. Parole inespresse dimorano in margini a pagine, spazi sacri non scritti, pazienti, attendono segni. Senza, si resta smarriti: provare mancanza è universale materia.
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Tu vieni con silenzi d’albe
Tu vieni con silenzi d’albe luminose, giorno, che tutto restituisci allo sguardo e insegni la meraviglia. Si spalancano gli occhi sui doni del tuo apparire, ma per noi è tempo ancora d’attesa. Manca la semina della neve. Mancano i fiori. Nell’inverno che tesse trame di brina, manca il loro impercettibile germogliare.
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L’inverno scrive
(Immagine dal web) L’inverno scrive le sue parole in margini bianchi, sulle siepi e sugli abeti, lungo le rive spoglie di un lungo desiderare. Cade la neve in cristalli perfetti in cui si specchia lo sguardo e la terra risplende come il firmamento lontano. Una luce si posa sul miracolo di Dio: la Parola finalmente detta redime nel silenzio le cose, trasforma l’oscurità del mondo in chiara bellezza. Che sia un Natale di Amore e di Pace e che ci doni le migliori qualità delle pecore di Betlemme: l’umiltà e la presenza nel Presepe. Poi la lana, il formaggio, i paesaggi innevati, le fiabe... E sempre nuovi giorni, come a Natale. Tanti cari auguri a tutti!
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Il vaso e la rosa
"Chi si stupisce regnerà" (Agraphon tradotto da Clemente Alessandrino) Io parto da qui da questo primo riflesso di luce non ancora guardato che ha il senso di un appello. Nel vaso la rosa porta in sé un canto e danza il suo movimento d'amore - un'incarnazione quotidiana - e gli spazi che il sole rivela tra le cose sono corridoi per l'ascesa. Coltivo lo stupore come amo questa rosa che regna incontrastata sul mio mattino.
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Birdwatching
Nel mio inverno nascosto allevo passeri e pettirossi.
Li nutro di baci e pagliuzze grani di riso e stelle di neve in cambio della loro danza alata – un’antica magia.
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Bianco silenzio
Il cielo e la neve consegnano il silenzio ai rami spogli – sillabe smarrite tra noi e la sera – Sola resta la meraviglia: la tessitura del bianco. (Ieri pomeriggio - la neve a Milano)
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Io parlo dell’amore
Io ti parlo dell’amore. Di quello che conosco, di carne e di terra - forse è poco, a volte nulla - ma oggi è lo splendore di quest’alba che sorge nuova, è il raggio vivo che attraversa la pace del mattino, la carnagione più accesa del giorno. È mani e braccia, è albero e foglia. Prato e pioggia e neve. Io parlo dell’amore che non ho dovuto cercare, l’amore che mostra il mistero della rosa. Io ti parlo dell’amore: ho solo la parola per dirlo. Io canto l’amore che sta al centro della voce.
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Verrà la neve
Verrà con l’inverno la neve a coprire i nostri atti incerti a cancellare i nostri passi falsi. Annullerà i confini conosciuti i segni delle presenze. Sono sfioriti gli alberi poi sarà nuda la terra. Di tutto ci priva il tempo perché impariamo la mendicanza. Nei giardini dismessi i passeri vanno in cerca di semi nascosti - la rasserenante fiducia dei piccoli - Io adagio la mia debolezza dentro questa sera di dicembre fatta di cielo e d’attesa.
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La cura del ricordo
Ho udito il grido delle foglie il loro schianto il fragore della caduta – lo strappo, la ferita – e ora ascolto il suono di ciò che manca la voce nascosta di ciò che tace.
Se tutto si incrina si consuma si perde in congedi irrevocabili – se tutto diviene silenzio-assenza – sarà compito la cura del ricordo.
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Sul ciglio
Gli occhi fissi sulla linea d’orizzonte, nel punto da cui viene il presagio della luce, estremo limite tra il nulla e l’inizio. Siamo a un posto di frontiera. Siamo sullo spartiacque, curvi sulle pagine come steli d’erba gravati dal peso della neve. Su quel ciglio di terra e di cielo noi scriviamo poesie e attendiamo l’unica possibile sorpresa. Solo Dio fa nascere la rosa.
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Fa notte
…se l’anima scende dal suo gradino, la terra muore. Amelia Rosselli Fa notte. Si spalanca la porta del silenzio ne nascono stelle. È lì che mi ricordo di te mia anima. È passato un altro giorno sono cadute nuove foglie – semi sparsi incautamente e andati perduti.
Quando mi senti sussurrare piano la notte dico per te preghiere fitte perché tutto torni nuovo domani torni la rosa sul ramo.
Ti affido a questa culla di bellezza – cielo infinito che mi chiama – per salvarti per salvarmi. So che ti riavrò in volo bianca colomba e canterai ancora canterai con voce di bambina.
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Non è mio
È mio e non è mio questo canto che l’alba ha ridestato puro come la neve che fa del mondo una distesa intatta. Estuario di fiume che entra nel mare dove l’acqua con altra acqua si confonde. Vieni da me. Metti la mano e senti tocca il mio polso e senti il meridiano del cuore. Senti l’intermittenza dell’amore il battito che è mio e non è mio.
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Saprai che sono venuta a cercarti
Se il rame dei miei capelli si confonderà col fulvo degli alberi in combinazioni di colori, saprai che sono venuta a cercarti. Mi farò strada passo dopo passo nell’intrico dei tuoi versi, tra le pagine dimenticate e quelle ancora da scrivere.
Vivo è il pensiero di noi sotto cieli percorsi da sciami di stelle, ma non sono più incline alla notte: troppi sono i rimpianti. Dai passeri ho imparato la fragilità come stato dell’anima, ad accettare l’incertezza dell’amore e la solitudine che spaventa.
Se non ti troverò, continuerò ad aspettare paziente che la tua voce mi chiami da una terra appianata e non tarderò neppure un istante: correrò scalza tra le rose, perché certo più ancora dell’alba è questo mio esserti pertinente.
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Gli alberi sanno
Gli alberi sanno che è autunno. Mutano il verde in giallo e in ocra scuro quasi avessero una notizia o la memoria. L’aria inventa un mulinello e solleva le foglie cadute profezia di una rinascita che fino al blu si innalza. Si consuma il cuore in un desiderio di eterno.
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Sarà questo linverno
Guardare la foglia che cade. Immaginare l’assenza. L’inverno sarà questo incerto paesaggio incolore di alberi spogliati dal tempo. Giorni come notti e notti tutte senza sogni. Nessun suono. Una mancanza che ti afferra dentro. Solo l’attesa di un segno.
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Come foglie nel vento
Voglio annotare la bellezza di quest’ora. Il mattino apre le sue porte, l’autunno canta nel rosso degli aceri e infiamma il cielo. So da sempre della luce – e della Grazia – eppure ogni volta è stupore: fin qui la notte, da qui la verità delle cose. Mentre si dispiega l’alba voglio segnarlo nel diario, perché la dimenticanza è un fiume nascosto che dilava i giorni, l’oggi ci sfugge dalle mani come foglie trascinate dal vento.
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Da sempre
Da sempre, all'inizio, c’è un grembo. Una madre, un luogo, un tempo. È grembo questo cielo, ventre eterno che dalle doglie della notte partorisce il giorno. Vedi, mon ami, tutto nasce da un travaglio, da una ferita, la perla dalla valva violata dell’ostrica. Senza crepa non filtra la luce. Matura la vita nella zolla spaccata, nel mistero di solchi dorati come piaghe lucenti * che generano bellezza. * espressione mutuata dalla raccolta poetica di Giovanni Baldaccini, per gentile concessione dell'Autore
*
Silenziosamente
Tra il carminio delle foglie si scioglie il tempo e torna splendido il ricordo: cammino lungo l’autunno cercandoti con gli occhi feriti da un incendio di colori. Presto sarà nebbia il respiro degli alberi. Raccolgo memorie dai luoghi lasciati quando tutti vanno via. Amore e pietà affiorano e il segreto piacere della nostalgia. Silenziosamente mi arrendo al suo venire.
*
Sempre nuova
Il tramonto d’autunno ha un frastuono di colori. Poi tacerà il cielo in un unico mare portando la sera con la sua malinconia. Un silenzio pieno sale e mi somiglia. Ma bisogna restare dentro la parola che non rinuncia a dire lo splendore. In giardino gli alberi sono gli stessi sempre nuova la meraviglia.
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Solamente questo
Anima mia vorrei tu fossi un gesto semplice un bagaglio leggero il respiro lieve che dà l'abbrivio al giorno l'istante in cui passo la frontiera tra una pioggia di foglie in un cielo terso che anche gli uccelli preferiscono guardarlo capace di ricongiungere assolte tutte le storie del mondo. Vorrei tu fossi preghiera un canto piano o una sola nota breve una semiminima sul pentagramma immenso di un cielo così. Solamente questo.
*
Sul finire del giorno
Ottobre a Chapaize ha il rame nei capelli e la gioia dell’oro sulla campagna - c'è sempre la pietra su cui sedemmo e quella nostalgia che lega ogni cosa. Ci sarà ancora il riflesso di noi nelle vetrate e l’eco delle voci tra le volte antiche? Dimmi, il ricordo è solo l’ombra allungata d’un tempo felice? Sarà il rimpianto tutto ciò che resta? Eppure l’autunno ci sfiora e noi ancora ci apparteniamo mentre mi parli sul finire del giorno.
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Fra la notte e l’alba
A tutti è dovuto il mattino, ad alcuni la notte. A solo pochi eletti la luce dell'aurora. Emily Dickinson Fra la notte e l’alba è l’istante in cui nasco. Attendo il suo venire pur se il cuore sospira per le stelle di cui nessuno dirà più il nome per l’apparire di ore chiare. Dove apre la sua ruota il giorno inizia la musica del mio respiro e si illumina l’aria. Tutto è essere in questo splendere. Nulla più mi manca: beve luce la terra, aperti, i calici dispensano balsami.
*
Ha mutato i giorni
Ha mutato i giorni settembre con richiami di pioggia e l'estate scomparsa dalle città e dai volti. I passeri si confondono in un cielo che ha perso il colore. Le stelle svuotano la notte lasciando brividi d'abbandono. Si fanno avanti forti i ricordi a rendere più acute le assenze. E’ stato un sogno breve come questo tempo che passa e sempre toglie qualcosa. E c'è una solitudine del mondo e nostra a cui ancora non siamo giunti.
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Natale era ieri
Per tutto agosto non ho fatto caso all’edera e lei si è seccata. Ma del resto anche le rose muoiono irrimediabilmente nonostante la pioggia. L’estate è venuta e se ne è andata senza grandi proclami bruciando un falò di giorni tutti uguali. Siamo partiti per le mete agognate e mai un pensiero che andasse più in là della porta di casa. Se trascorriamo la vita senza stupirci di nulla cosa faremo quando poche sommarie notizie ci diranno che Natale era ieri?
*
Divenire altro
Il cielo ha ormai segni evidenti. Indizi via via più chiari. Progressioni di luce che sbiadiscono le impronte dei sogni. Da questa terra spaccata in attesa di benedizioni d’acqua, come in un offertorio nasce il sole, materia di fuoco che forgia le cose, le trasfigura prima ancora che lo facciano gli occhi. Niente è più come nella notte, tutto è già altro. Noi siamo un continuo divenire altro.
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Come una piega
Vivrà ancora della memoria questa sera che ci trova su rive diverse? L’estate indolente ha lasciato cadere la vita tra le cose assopite, persino le rose non alzano il capo. Dove sei in questo istante ardente e sottile che si consuma rapido come l’ultimo lampo di luce? Scende l’ombra e come ombra è il ricordo, senza tratti il tuo viso. E il tempo piano sfuma i pensieri. È come una piega su una pagina che nasconde il tuo nome.
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Il tempo del ritorno
Dal tuo perduto esilio, dal distacco che sbiadisce la memoria, vedi il tempo del ritorno? Tornare è sempre riconoscere una strada, è tornare a sentire il profumo delle rose. Nulla può crescere senza una terra e tu non sai più cosa hai dimenticato. Il giardino è ancora lo stesso, il luogo dove ho piantato il tuo seme: lì è sempre primavera. Che ne è stato, cuore, del tuo desiderio di fiorire?
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Occaso
Nel tramonto il cielo sparge la fiammeggiante porpora acceso negli occhi si va spegnendo il giorno e dall’ultima rovente cenere sale alto il grido indomato della terra l’urlo che preme nelle vene del tempo il battito continuo che dentro la notte coverà per noi la domanda ineliminabile della luce.
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Starò muta
L’infelicità è muta. (Simone Weil) Ho pensato: starò muta, nessun suono dalla mia bocca. Relazione interrotta, censurata. Dire non è di precetto. Passo e chiudo. Ma l'uomo è parola, il suo esistere è dalla Parola – Verbo all'origine – soffio, respiro, voce e il taciuto, l’omesso, il negato, è silenzio-inferno. Pesi morti le cose senza chi ne dica il nome, scogli nella nebbia su cui naufragano i pensieri come navi alla deriva. Così, non tace il punto in mezzo al petto, incendiato. Come il grido dell’aquila, chiama a raccolta i venti perché si levi ancora il canto antico e nuovo e l'ultima parola udibile non sia mai "nulla".
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Estate di nuovo
Estate di nuovo sempre uguale a ogni altra: calda e densa come sciroppo. Ore infinite un vuoto da riempire e nessuno a presidiare il quotidiano. Piovesse sarebbe un diversivo un appiglio una scusa per la tristezza. Ma un cielo piatto e indifferente non lascia scampo. Rimane lo smarrimento e una segreta pena per i fiori che appassiscono.
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Profili
Bordi. Pure linee. Volumi ignorati. Eleganza di forme senza sostanza. In distanza le curve di un corpo lo skyline di una città: labili contorni che la luce disegna. Margini. Periferie. Estremi confini custodi d’un unico punto di vista. Sagome. Solo immagini parziali, in fondo. Dov'è l’essenza vera delle cose?
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Nessuno mi assicura
Almeno mi consola il profumo carico dei gelsomini ora che si afferma l’estate quando l’azzurro è ovvio e le infestanti affollano il giardino. Avrei voluto durasse la primavera coi suoi cieli incostanti i rapidi passaggi di nuvole il primitivo fiorire dei semi e il verde che eccede lo sguardo. Nessuno mi assicura mai che tornerà.
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Tutto è accaduto
Stare sugli spalti di sentinella al giorno per spiare il chiarore che colma l'orizzonte. Tra l'intrico del caprifoglio scavare per cogliere la parola non mia l’unica da far risuonare da portare in dono al tempo presente. E quando la macchia ancora soltanto promette la rosa credere ai raccolti futuri a cancelli inebriati di gelsomino e di miele. Attendere desta fino a quando viene la sera e scoprire che tutto è accaduto.
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In maggio, la pioggia
In maggio, la pioggia su viole scomposte e ciliegi sfioriti, sul giorno che passa senza clemenza, e la sera è già scesa nell’ora sprecata, quando, non sai. Affoga la luce dentro strati di grigio, nei rovesci d’umore. Il cielo è più su.
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Al mattino
La madreperla del cielo ha cresciuto il giorno non c’è più distanza diventano parole i sogni. Il sublime è lì nell’erba folta di maggio eppure ti sembra tutto trascurabile un da qui a lì ripetuto mille volte a occhi chiusi a memoria un dovere. Ma non si può negare la bellezza che appare a tua insaputa come l'amore e questo istante da niente è prezioso tutto l'effimero che ti circonda confina con Dio.
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La rondine
Cielo liscio e trasparente e io non sono la rondine - la straniera - alta sui confini del giorno e della notte pronta a varcare il mare perché duri la primavera. Un volo incompiuto il mio. Senza ali di piuma resto ancora incatenata al mio desiderio alle siepi di biancospino alle nuove rose di questo maggio.
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Ti scrivo
Ti scrivo da questa primavera acerba e mutevole come il battere del vento. Le foglie mormorano, riempiono ogni fessura attraverso cui si mostrava ieri il cielo bianco dell'inverno. È un passato così vicino eppure sembra già lontano, scivolato via con il freddo. Ora di bordura in bordura viole, trifogli e margherite. Il sole al tramonto combina la sua luce sulle cose e sul ricordo di noi due. Vedo dileguarsi il giorno mentre il cielo scolora lentamente per trattenere, come la memoria, l’ultimo bagliore dello sguardo.
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Dove hai fatto il nido (2)
(in omaggio a Leonora, con gratitudine) È svanita la mia voce come un seme di fiore soffiato nell’aria. Le parole sono cadute oltremare dove non ho casa né memoria. Potrà un canto riportarti a me? Sosto nel sogno dove ancora posso lasciare il dolore tenerti per mano su una via immaginata e sul pendio del tempo trovare il tetto dove hai fatto il nido.
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Dove hai fatto il nido
È svanita la mia voce come un seme di fiore soffiato nell’aria. Le parole sono cadute oltremare dove non ho casa né memoria. Potesse un canto riportarti a me! Sosto nel sogno dove ancora posso lasciare il dolore tenerti per mano su una via immaginata e sul pendio del tempo trovare il posto dove hai fatto il nido.
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Ricordo in aprile
Nella solitudine di questa sera d’aprile la memoria è un passaggio obbligato. Torna quella sospensione, la distanza, il vuoto che hai lasciato. Tutto fiorisce con l’acqua di questa primavera e se tu fossi ancora qui vedresti l’edera verdissima aggrapparsi al quotidiano come facevamo noi, chiedendo tempo quanto più possibile da strappare al dolore. Ma i giorni sono regalati uno per uno, da recitare sui grani d’un rosario sacro. In lontananza già sfumano le luci del tramonto e i tralci abbandonati del glicine sono imperlati di lacrime viola.
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Oggi un’aria
Oggi un’aria di nuovo aspra e irregolare mi ricorda che la primavera avanza a tratti. Punti di luce e ancora momenti di buio. Non mi rassegno, però. Cerco indizi, tracce al margine del terreno praticabile che affermino la speranza. Anzi no, il miracolo. Presto ci inonderanno i caprifogli.
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Le api e i gigli
Metti un giorno di primavera l’invadenza dei convolvoli e le api dalle ali di vetro che vibrano nell’imbuto dei fiori bevendone i succhi preziosi e ti chiedi ragione dell’affanno del fare mentre i gigli immobili al sole hanno in dono vesti regali.
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Sillaba unica
Soffio sillaba unica libertà umana che accorda all’Essere d’essere dentro la carne a redenzione.
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Resta solo il cielo
Resta solo il cielo quando la sera scende, anfiteatro immenso nell’ombra che viene lieve, mentre scompare il sole e con lui il mondo, giù, oltre la cesura che ci separa dall’infinito. Dal suo grembo umido sorgono i ricordi e la speranza di questo giorno alla fine. Poi affioreranno i sogni e la notte sarà un solco che germina stelle.
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In febbraio
Certi pomeriggi in febbraio hanno una luce sfumata pallida e tiepida come il ricordo di una carezza. Gli alberi portano in grembo una voce rara da ricercare con pazienza o un presagio da considerare. Io cammino lenta tra i viali lasciando cadere le mie briciole d’attesa e l’infinita nostalgia dei fiori.
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Cambia lorizzonte
Cambia l'orizzonte dei pioppi cedui lungo i confini: cielo di pianura incostante al passaggio di nubi e vento che spoglia. Muta il punto di fuga e il paesaggio mancano i segni saputi. Ma lungo i fossi in margini di brina credere ancora che nascano viole.
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Non è unillusione
a Ferdinando Non è un'illusione quest'alba di incontrovertibile luce sorta a far chiaro il buio fondo della notte. Dapprima solo un accenno poi bagliore che nomina le cose e le descrive per noi. Gli occhi ci dicono la verità di quell'orizzonte di cielo di quella striscia d'iride che segna ormai un inizio nuovo. Gli occhi non mentono. Gli occhi sanno del dono che strappa l'esistere al nulla.
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Navigazione a vista
Si cancellano i segni quotidiani nella nebbia. Camminiamo come ombre procediamo a memoria per vie invisibili guidati da luci appena accennate che scompaiono un istante dopo e rami d'alberi che sbucano improvvisi nel grigiore del giorno come puri cenni apparsi a indicare una direzione misteriosa. È così la vita, talvolta. Pochi punti di riferimento intermittenti e navigazione a vista verso una meta che fatichiamo a riconoscere.
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Midwinter
E’ freddo e profondo il cuore dell’inverno. Ho sentito il suo silenzio farsi mantello proprio di quella stoffa di cui è fatto il sogno di cui si cuce la memoria con refe d’argento. Ma è difficile tornare ai giorni verdi e d’oro. La rosa rampicante è riversa sul muro di selce nuda mostra solo bacche vermiglie come piccoli grani di preghiera. Ci vuole tempo per ricordare e pace. Si appannano i vetri col fiato e si possono scrivere col dito i nomi passati. Passerà anche l’inverno marcirà la neve sul ciglio dei fossi si scioglierà il ghiaccio che imprigiona la vita il suo declino sarà come la fine di un regno.
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Fa così freddo
a mia madre nei giorni che precedono il Natale Fa così freddo qui. Raccolgo le ultime foglie sul terrazzo per far spazio all'albero. Vorrei appendere le conchiglie del mare, bianche, di madreperla, che mi ricordino il suono dolce dell'estate. Ma fa freddo qui e il Natale sarà senza di te. Alla fine non cambierò gli addobbi. Sono quelli che ti piacevano. Non mancheranno le luci.
Lo sai, aspetto sempre qualcuno che ami sul serio i miei versi. Fa freddo. In cima metterò l'angelo d'oro.
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Forse annuvola
Si ostina il caldo lungo i fianchi insonni della città come un tarlo del pensiero che arrovella la mente. Nessuna via di fuga poche le speranze rimaste a scrutare un cielo monotono. Svolto l’angolo inseguendo un refolo di vento - anche i merli cercano ristoro. Si implora un temporale estivo. Forse oggi annuvola.
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Il petalo vuole la rosa
Il petalo vuole la rosa, il chicco gioisce solo della spiga, promessa di pane. Il suono grida la parola. La goccia che cade dal cielo si fa fiume sopra la terra, un diluvio d’acqua. Non basta all’ape il nettare di un solo fiore. Il minimo chiede il tutto, il frammento l’intero. E l’attimo domanda l’eterno.
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Comunione
Il venire nuovo del giorno è incontro con le cose strumenti di domanda: chi sei Tu che cerchi me in quest'aria strana e fresca, che chiami e mi corrispondi con la tua voce delicata fatta di un risveglio di vento o del suono della pioggia sottile? Potrò, forse, negarti oggi se sento dire limpido il mio nome tra le ramaglie dei boschi, se mi è dato di incontrarti in quest'ora inattesa e buona, che fa di me e delle cose un solo battito?
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