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Raccolta di poesie di Paolo Polvani
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

equilibri

Equilibri




La cisterna sprizzava bagliori d'argento.
L'operaio in tuta arancione ne accarezzava la pelle
con la leggerezza di un equilibrista.

Ai suoi piedi l'orizzonte
manifestava sottomissione e aderenza.

Il cielo era un manifesto
sulle profondità di ottobre.

L'operaio frugava, rovistava
tra gli attrezzi.
Cercava l'obbedienza di una vite, la cieca
fedeltà di un bullone.
Confrontava certi spessori, borbottava.

L'arancio della tuta si spostava
lungo il perimetro della cisterna.

Ottobre era un cielo di invincibile bellezza.

L'operaio sulla piattaforma rimestava
e riponeva, malediceva, forse
era felice.


*

una penna verde

Una penna verde











Semplicemente sento scorrere la vita
mentre l'uomo solo in treno
accanto a me è intento alle parole crociate
e pensa forse a un gatto che l'aspetta a casa
grigio e prepotente, e ha solo lui, e un cappotto
dimesso, stanco di portarlo in giro sui treni,
solo e con quell'idea del gatto nella testa.

C'è anche un sole molto violento, un sole di gennaio
che un po' ci riscalda e un po' ci ubriaca
e io ho una penna verde e aspettiamo la partenza per Matera.



*

qui

Qui









Ci sono luoghi dove è più facile, più facile
guardare un ramo, annusare il fumo che sale dalla legna che brucia
respirare una nuda solitudine pensando ad altre voci.

Non c'è solo la pioggia per dire parole levigate
ora sei qui in nome della tua distanza
sei qui come un vascello un architrave un sogno

sei qui come qualunque cosa e qui
vuol dire in questa penna fluida e qui dov'è più facile
avvertire il peso della tua presenza nell'inchiostro nero
in questo inchiostro che ti rappresenta, qui.

Ci sono luoghi dove è più facile.



*

signor peschechera vincenzo

Signor Peschechera Vincenzo





Ottanta autunni nuotano,
signor Peschechera Vincenzo, nei riflessi caldi del tuo
vino biondo, ottanta luminose scie.

Nel tuo vino si condensa l'asprigno delle rughe
che il tempo, in silenzio, lentamente,
ti ha tatuato sulla faccia.
Ci sono i tuoi migliori anni di contadino.
Il tuo vino è limpido.

Vedo la signora Rosa vacillare lungo le scale
in compagnia della sua artrosi, le parla
come si parla a un cucciolo insolente, minaccia
di lasciarlo digiuno fuori dalla porta, ma poi
con scarto repentino supplica di lasciarla stare,
solo per poco, almeno per le scale.
Questo vedo nel giallo obliquo del tuo vino.

Gli anni del sindacato. La sofferta gioia
del partito. La tessera storica e i figli
che non hanno l'epica nel sangue e trovano
patetica la commozione e anche
l'Internazionale. Nel tuo vino
la parola compagno naviga asprigna,
è sole che struscia la zolla della vigna,
eco che ti accompagna e ti riscalda.

Signor Peschechera Vincenzo nel tuo vino risplende
una dimessa morte. Le hai consegnato le mani
rassegnate, le mani pazienti
come la vigna che non sorride più.

Domina il vino un'allegria aspra, un sorriso sguincio
perché bisogna saper sorridere alla morte,
perché molte rinascite congiunge il vino.

E tu signor vino biondo che risplendi
di ottanta luminosi autunni, delle sue rughe,
della dentiera custodita nel cassetto
con i ritagli, le fotografie,
spediscigli un breve arrivederci.





*

panca

La resa s'abbarbica al silenzio.
Spargono indizi
calzini bianchi e un berretto rosso
di lana. Dorme.

Deragliato in un'ansa di sonno.

E' la stazione di Ancona, è mezzanotte, piove.

Si è dimenticato di sé.


La pioggia attraversa la luce obliqua dei fanali,
lo stridore convulso dei freni, i forsennati
richiami. La ferocia distante dei carri
e i container che contengono il vuoto del mondo.

(Ansimare. Il perdurare
di una pausa)

Il buio evidenzia i suoi labirinti.

In un misterioso punto del percorso
c'è la sagacia di un berretto rosso.

Contro il legno di una panca
quell'uomo agita l'enigma di una giacca corta.



*

A Pino che se ne va

A Pino che se ne va






Così sei morto. Sul pavimento il cacciavite
aspetta le tue mani sporche di grasso e i colpi di tosse
del motore.

E' nella stanza accanto, dice qualcuno.

Se fosse vero ci daresti un segno: una pinza
che cade, uno sportello che si chiude, una valvola
col minimo rotolio che l'accompagna.
Un colpo sulla scocca.

Ma tu sei morto e tutti ti voltano le spalle, anche i tuoi figli
non ti riconoscono, non riconoscono il tuo silenzio.

Tu continui a guardarli rigirando un sorriso
stranito tra le mani, impacciato
davanti a tanta incomprensione.

La vita ti ha condotto fin qui e adesso
non sta bene che continuiamo a parlarti

sei sceso senza domandare
sei sceso con la faccia buona
quasi chiedendo scusa

e non c'è niente da ridere
niente da ridere.







*

buongiorno

Buongiorno







Al suo paese Aziz è un ingegnere.
Qui fa il lavavetri a un incrocio,
ai semafori di via regina Margherita.

E' abituato ai dinieghi Aziz, li scorge
oltre i parabrezza, a volte
somigliano a minacce.

Nessuno gli ha mai detto: Buongiorno ingegnere !

Del resto non è scritto
sulla bottiglia con l'acqua e con la schiuma,
sul raschiello, sulle mani e nemmeno
sul viso in bilico tra il sorriso e la disperazione.

Però nessuno gli ha neanche detto: Buongiorno Aziz !
A pensarci bene nessuno gli ha mai detto: Buongiorno.






*

un piccolo fuoco

Un piccolo fuoco



Scrivimi.

Mandami un piccolo fuoco,
una striscia di cielo,
una schiera
di sillabe,
un itinerario veloce, matite,
i tuoi confini, una mappa.

Scrivimi.

Uno spartito di adagi
e silenzi,
il sapore di luce
delle parole,
la distanza di un gatto, il mare,
il perimetro dello sguardo.

Un assaggio, un graffio
di solitudine pungente
come la pioggia alla fermata degli autobus,
un calendario propizio, il fruscio
del vestito, una lampada,
un pettine, confondimi
in un labirinto di luci.

Vedi,
mi aggrappo ai dettagli, annaspo
in un'ansa di vuoto,
smarrisco dicembre, dimentico
i pomeriggi in città,
le finestre.

Ma tu rovescia il mio buio, affrettati
a esistere.

Scrivimi.



*

la tua voce è un passero

La tua voce è un passero




La tua voce è un passero, vola
sulla credenza, indugia
sulla sedia, luogo di briciole e tramonti.

Sì, la tua voce è un passero.

Mi grattugia il cuore, spreme
il miele che può illuminare un passero.

Guardala aperta la tua voce, mostra le trame
della notte, i balconi con le tende illuminate,
i silenzi che torturano corridoi deserti.

I paesaggi si susseguono, si srotolano
nella tua saliva.

Con la tua voce preparo una cuccia a misura dell'autunno,
mischio nuvole e ottobre, vento e malinconia,
e chicchi d'uva gialla come gialla è la tua voce.

La tua voce mi si appiccica qui, lungo
il profilo delle colline, sulla linea della nostalgia.

Nella tua voce affiorano le vecchie dita dell'arcobaleno.

Nella tua voce sonnecchia il dolore, come un gatto,
lo addomestichi nel pianto, lo inganni
coi rivoli del tuo sorriso.

Sì, la tua voce è un passero, mi tempesta qui,
col suo piccolo becco arrochito dal mare,
qui dove il cuore perlustra gli uliveti
e indugia dove l'ombra intenerisce il feroce
canto delle cicale,

insegue il sogno dell'erba docile,
a perdifiato, come a perdifiato la tua voce
corre incontro alla mia fame.




*

assaggiare il vuoto

Assaggiare il vuoto







Accade che un giorno spalanchi la finestra e senza
consultare l'orizzonte, senza neanche crederti
colomba, che almeno avrebbe il pregio di uno spunto
poetico, decidi di assaggiare il vuoto, di sperimentare
le dirette conseguenze delle leggi gravitazionali.


E io che cosa avrei dovuto più inventare, non basta
saper sorridere, ascoltare non è una condizione sufficiente.
Ci sono congiunture e adesso la cosa mi appare nella sua evidenza.


Spalancare la finestra e dire sì al vuoto, alla sua bocca aperta,
alla fame di te che manifesta. Erano già in riserva le lacrime
e il muro bianco d'ospedale esaurita ogni possibilità.


La bellezza non è un lasciapassare. Volevi essere accolta
hai scelto il vuoto di un cortile, lo spazio
bianco di un lenzuolo.






*

Bambine in corsa

Bambine in corsa






Tu conservi il perimetro di vento
di certe bambine deliziose che hanno pianto.


La tua magrezza possiede l'astuzia di una gazza.


Tu corri e il mare
sorride alla coda di cavallo che svolazza.






*

la sciarpa norvegese

La sciarpa norvegese




Si sta abbastanza caldi nel mio cuore ?


Sono qui, da solo, con la muta nostalgia
dei tuoi occhi, col fruscio lento
di un ruscelletto di parole



e le piccole gonne
crescono ? e il vento ?
fa una bella figura tra le lunghe
gambe il vento ?




Io sono qui, che bruco
dalle tue letterine bionde, seguito a ruminare
la fresca erba della scrittura.



Bevo barbagli, lucori, fantasmatiche albe
e indizi tenui e quanta luce filtra
dagli spiragli delle parole




e le fragoline ? le intride un’alba
mentre lontano stride, cigola un trattore
e l’ombelico, e il miele ?



Stringiti la sciarpa norvegese e ascolta
il blu del nostro cielo.

*

ivana lavora a modena

Ivana lavora a Modena












Un mattino affondato nel gelo
i singhiozzi del motore, gonfi di lunedì
di nebbia di trattorie di camion
e la fatica dell’alba in mezzo a una luce di biancheria stesa


aggrappato al finestrino l’appennino bianco e assoluto


il freddo e poche orme nella neve, uno sparuto
stormo di uccelli neri, un albero spoglio abbracciato stretto
al gelo dell’aria



*

I segni del tempo

I segni del tempo








I segni del tempo si depositano
sulla tua pelle come una polvere dorata.

Specchiano l’adesione dei miei autunni.

Li accompagno con la punta delle dita
e non posso che amarli
come si ama l’aria.

*

la borsa della giovane impiegata

La borsa della giovane impiegata







Fruga dentro la borsa la giovane impiegata appena messo piede sulla metro.
Mi aspetto che tiri fuori il cielo azzurro alle Maldive e una gita in barca
che tiri fuori lo zio carabiniere salito dalla Puglia
che tiri fuori il sogno di un cane addormentato in una piazza al sole
che tiri fuori le note di un tango aristocratico vibrante di solitudine



che tiri fuori la vertigine della vita e un barlume di disperazione
che tiri fuori il punto G e un orgasmo che sappia di vernice fresca
che tiri fuori un brandello di conversazione una teoria amorosa una ricetta
del cous cous alla libanese con lo zafferano



che tiri fuori l’amico massaggiatore che la palpa per verificare i meridiani
che tiri fuori la mamma con gli occhi sempre sul ciglio della commozione
che tiri fuori una lingua trafitta da una lunga spilla
che tiri fuori una dinoccolata salamandra dono di A.




che tiri fuori uno stranito sentimento della vita misto di attesa e raccapriccio
che tiri fuori un tanga di merletto color pistacchio
che tiri fuori i seguenti nomi: Max Fabio Mirko, e poi Gino Pino forse Savino
che tiri fuori un lamento un clavicembalo un gatto che fa le fusa
che tiri fuori Anna Karenina e ci si tuffi a pagina duecentoventitre



*

per il sorriso di loretta

Per il sorriso di Loretta












Nel taschino della giacca, Loretta,
ho rinvenuto tracce del tuo sorriso.

Piccoli frammenti sotto la cravatta.

Sgorgava limpido. S’infilava
tra i fogli di quaderno.

Mi è scivolato fino in fondo al cuore.

*

un discorso per te

Un discorso per te




E’ un discorso per te, Barbara,
sì, proprio tu Barbara Roacci che abiti in via dei Gigli 7,
che negli occhi accompagni uno stuolo di cherubini
pronti a imbracciare trombe ad ogni battito di ciglia.

Nei tuoi occhi dimorano
gli spaventosi e dolcissimi sprofondi delle colline
e i sospiri notturni del mare di Numana
che intristisce se tu non lo guardi.

Che meraviglia sarebbe, Barbara, fare colazione con te, nel tuo giardino
sotto lo sguardo fintamente distratto, geloso, dei tuoi gatti.

Annaffiare segretamente il desiderio
di guardarti mentre ti addormenti sul divano,
o accarezzi la musica, o scrivi una poesia

e poi guardare Aziz e Samad che nuotano
nel vasto oceano del cuore

e leggere attentamente la targhetta

DOTTORESSA BARBARA ROACCI
PSICOTERAPEUTA

è di ottone ? è bombata ? forme rotonde
accompagnano bene il nome Barbara.

Semplicemente amare il tuo essere al mondo.

La vita ci maltratterà.

Ma adesso mi regala una dolcezza di ciliegie:
il verde delle colline di Agugliano,
i tuoi occhi che prendono stabile dimora nei miei versi.

*

Gli anni delle donne

Caramelle






Verrò in via delle vigne quattordici a passarti
l’ultima delle mie caramelle, è lì che abita
in forma di zucchero l’orto di tua madre
e si gonfiano di rosso i pomodori nel cerchio
delle alpi e l’insalata
ha il suono familiare di una porta che sbatte.


Gli autunni vengono con passo leggero e io
mi arrampicherò sul tuo accento di montagna,
sulle gutturali che sono rocce aspre, su certe
consonanti che imitano il tumultuoso gorgoglio
dei torrenti. Le tue mani forse mi cercavano,
tentavano un approdo, ma tu lo sai
che il nostro sole è la solitudine
e la promessa di non vederci più
è già nei nostri passi.


L’ho visto il gatto, e quella lunga scia di tristezza.
Ho visto la fabbrica e la fretta dei viaggi.


Le mani si cercavano e ridevi di un riso
notturno e c’era la pioggia e il buio
e il momento era perfetto per perdersi,
per scivolare via come un addio.


*

Gli anni delle donne

Donne sottotraccia

a Marina Benetazzo
tra le hostess Alitalia
la più bella







Ma come sottotraccia, Marina !
ma se hai passeggiato sulla testa del mondo,
se sopra i mandorli in fiore di Nagoya,
a diecimila metri, hai fatto la pipì,
nel cielo azzurro di Nairobi
ti sei lasciata scivolare in una breve parentesi
di sonno, o sotto ti scorreva il Perù,
verde e scosceso, mentre sistemavi il trucco


ma come sottotraccia se i tuoi occhi
hanno dato la scossa all’occhio liquido,
lascivo di certi emiri con la barba
più di qualsiasi sura del profeta


ma come sottotraccia, tu hai riconosciuto la bellezza
dell’India prima di qualsiasi Beatles o finto guru
o esotico turista e porti nel cuore gli struggimenti
dell’Africa, ti trascini dentro quella nuvolaglia,
quei turbamenti, quelle dolorose vertigini
che la bellezza possiede come corollario


ma come sottotraccia, io l’ho riconosciuto il lampo
di sorriso da bambina mentre nel bosco
sfilava la corsa dei cinghiali,
ti ho vista sulle salite dei sassi Simone e Simoncello
incedere dritta sui bastoni, lo zaino rosso,
sicura sulle creste dei calanchi

e il ventotto novembre chi parte per lo Yemen ?
non io, che appartengo a quella famosa stirpe
di chi rimane a terra, mentre le donne
sottotraccia come te spiccano il volo


*

Gli anni delle donne

In patria


a Laura Ciaghi, cooperante in Palestina












Dove lo trovo il tuo passato di bambina sulla neve
e il lampo di felicità del morso sulla mela ?

eccolo è qui, nel tuo bellissimo naso dolomitico,
nell’azzurro degli occhi, nelle tre erre
che conservano il suono delle pietraie, delle nevaie
sulle quali librarsi con la felice furia dell’aquila.


Sull’alpe della Luna i cinghiali
hanno fiutato l’odore della Val di Fassa e i caprioli
hanno visto la tua pelle bianca, il fazzoletto
da contadina di montagna e il bastone di nocciolo
rubato ai Pirenei. Camminavi in bilico
tra la perfetta gioia e l’argilla sdrucciola dei calanchi
ed era bello sapere che il tuo dialetto arabo di Haifa
ha il sapore buono dello strudel, è tutto inumidito
dalla neve trentina, impastato dal sole che filtra a stento nelle faggete.

Il tuo passo spalanca meravigliose finestre.


*

L’età delle donne




Il tuo sorriso è una bandiera

a Laura, postina a Parma






Che ne sa il granducato di Parma
del tuo accento di barese tosta,
che ne sanno i pervicaci ciclisti del campo di fave
di tuo padre ferroviere, che ne sanno dei carciofi
acquattati dentro un mite novembre,
che ne sanno i teatri e le piazze delle perfidie,
degli sguardi biechi di Montrone e Canneto,

e le finestre ariose, i tetti rossi
sospettano la grazia agreste di un filare di vigna ?


Il tuo sorriso è una bandiera. Vedrai,
un giorno ti regalano una mucca, un campo
di girasoli, un ciliegeto, per il tuo giubbotto giallo,
per le raccomandate, per il tuo sguardo di bambina
buona, per la tua voce di postina saggia, vedrai.


Un giorno torni a casa col trattore, con la falciatrice,
torni a casa con l’ape, il motocarro, vestita
del tuo sorriso, del bianco polveroso della Panda,
con la borsa vuota e la fatica della posta consegnata.


Vedrai, Laura, un giorno lo sguardo di Parma si riempirà di gratitudine.
Tu, Laura, sei una compagna con gli occhi umidi e le poesie
sul comodino, i romanzi della Feltrinelli,
sei una compagna con la sciarpa e la voce buona.


Che ne sa il granducato del tuo sorriso, eppure tutto
ne risplende.