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Raccolta di poesie di Valentina Calista
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

In questa lunghezza chiamata tempo

In questa lunghezza
chiamata tempo
vi è un’interruzione
chiamata vita.

Esplosione di riti,
ciclici disegni
portano il pensiero
alla percorrenza
dell’esistere.

Se c’è un’interruzione
è la vita.
Dall’etere all’utero,
dall’utero all’umano.

Le bocche della gioia
celebrano festività
ad ogni punto
interposto
tra gli eventi e la vita.

In questa lunghezza
chiamata eterno
c’è un’interruzione
chiamata vita.

*

Ammainare lo sguardo

Ammainare lo sguardo
aldilà di una stanza,
fuori tendere la mano
sfiorando le curve del vento
e ricordarsi del proprio nome
per non dimenticare l’origine.

*

Penetrata la luce dentro i rami

Penetrata la luce dentro i rami
ho per caso scoperto la malinconia
nel luogo esatto dove ho conosciuto
la gioia.
Capita anche a me di leggere Wislawa
e di pensare al suo piccolo sorriso,
superbo come un generoso tramonto
dopo un pesante pensiero di vita.

Settembre ama il fruscio dei pensieri
e il calare del sole dentro una nostalgia.
Settembre, la lontananza è giunonica
come il letargo nel cuore in inverno.

*

Penelope


Non è qui che si celebra il vacuo
della quotidiana e manesca follia.
Non qui, non ora, in questo taglio
che finalmente si lacera di luce.

Vorrei nascondermi dal male, amen,
ma non posso abbassare la testa
a terra, dove gli occhi si fanno neri
come la terra che piangono amara.

Sentire il fiato di una giornata finita
nel docile attimo della buonanotte
del sole, quando saluta la tua bocca
e tutte le palpebre si fanno chiuse.

Penelope , per un attimo le mani
intrecciano il tempo lungo la tela,
lungo gli istanti dilatati dai sospiri
così vani che i giorni sbattono le ali.

*

Provo a riprendere tra le mani tue parole

Provo a riprendere tra le mani tue parole,
viali bianchi incisi di polvere e stanchezza
che ti vedono riposare con la schiena morbida
poggiata come piuma sulla tua quercia già cantata,
con le ginocchia all’aria fresca e le mani pensili
a cogliere le piccole cose da te raccolte nel novero.

Ci guardiamo da due mondi: il linguaggio del silenzio
tesse discorsi nella presenza di noi.

Mi appari lieta e luminosa, margherite sul tuo seno
e la mia guancia ti saluta lacrimosa, gioia luminosa.

Ci siamo incontrate a metà strada, nel sogno della casa
della mia infanzia sempre presente: era l’alba il giorno
il tramonto la notte, ciclico tempo mutevole, stagioni.

Pietra,
tu, parlavi col silenzio di me, a me, nell’attesa
che io sentissi finalmente la tua assenza, per sempre,
Presenza.
Non mi sei lontana se non per spazi, luoghi,
ma ogni parola riletta è una Pasqua di te rinnovata.

*

È per l’ubriachezza dell’assenza

È per l’ubriachezza dell’assenza
che ci ricordiamo di vivere sempre.
Per quel momento dove il fiato s’arresta
e le mani si fanno pianura di ghiacciaio.

Poi, si risanano le memorie come lunghe
orazioni da fissare sul piano del marmo.
E sappiamo – finalmente – d’essere soli
nell’eterno esistere della nuda presenza.

La bellezza ci richiama, di lacrimazione
contaminata, a riordinare immagini remote.

Il muretto della casa – sopra il quale la mia mano
posava – sentiva il calor fatuo del sole di giugno,
e racchiuse in sospensione l’estate a mezzogiorno.

Un procedere d’intermittenze l’upupa ci donava.
Tuttavia, risiede quell’istante di dolcissima apatia
nei sempre celesti angoli del profondo ricordare.

*

E starò a guardare


E starò a guardare
i tuoi occhi lanciarsi
per i pendii desolati
dei miei sogni fumanti:
tu, ferrosa gaiezza di me.

Se per nulla lottammo
questo è il tutto che desidero
di noi, cigni umidi baciati
dall’unguento d’acqua fiumana
che discioglie queste aride zolle
dove la vita rimase incastrata.

*

Anche questo è ritrovarsi

Anche questo è ritrovarsi:

vederti dormire nello spazio del tempo

dedicato alla nascita di una parola nuova,

momento dove il silenzio si fa discorso

bramando attenzione dai suoi ascoltatori:

Noi. Le infiltrazioni d’acqua sulla zattera

non porteranno sempre serenità impensata.

Eppure abbiamo imparato a nuotare le onde

e capire quando è ora di far finta di annegare.

*

OLTRETUTTO, Edizioni PulcinoElefante

http://valentinacalista.wordpress.com/2013/10/13/9029-valentina-calista-oltretutto-ori-di-luigi-mariani-edizioni-pulcinoelefante-2/

*

È per l’ubriachezza dell’assenza

È per l’ubriachezza dell’assenza
che ci ricordiamo di vivere sempre.
Per quel momento dove il fiato s’arresta
e le mani si fanno pianura di ghiacciaio.

Poi, si risanano le memorie come lunghe
orazioni da fissare sul piano del marmo.
E sappiamo – finalmente – d’essere soli
nell’eterno esistere della nuda presenza.

La bellezza ci richiama, di lacrimazione
contaminata, a riordinare immagini remote.

Il muretto della casa –sopra il quale la mia mano
posava – sentiva il calor fatuo del sole di giugno,
e racchiuse in sospensione l’estate a mezzogiorno.

Un procedere d’intermittenze l’upupa ci donava.
Tuttavia, risiede quell’istante di dolcissima apatia
nei sempre celesti angoli del profondo ricordare.

*

È il tempo

È il tempo
– questo treno dissennato –
a lasciarci dondolare nelle strade,
nei luoghi, cari o meno cari, dove
siamo tutti noi uguali, umani,
silenziosamente soli con la polvere.

Talora la notte ci insegue parlando
d’un sospiro che si fa pianura d’anima,
quando il fango si scioglie in acqua
e dal mio pulsante vulcano si lava.
Ed è il magma fluente d’esistere,
raccontato nei secoli dei secoli
dove le lacrime sono sgorganti sorrisi.

Anche noi, esistiamo lontano dal terrore,
lontano dall’ombra che -qui,talvolta-
appare a intenebrirci d’insediate ossessioni.

*

In questa lunghezza chiamata tempo

In questa lunghezza
chiamata tempo
vi è un’interruzione
chiamata vita.

Esplosione di riti,
ciclici disegni
portano il pensiero
alla percorrenza
dell’esistere.

Se c’è un’interruzione
è la vita.
Dall’etere all’utero,
dall’utero all’umano.

Le bocche della gioia
celebrano festività
ad ogni punto
interposto
tra gli eventi e la vita.

In questa lunghezza
chiamata eterno
c’è un’interruzione
chiamata vita.

*

Mi fermo

Mi fermo, poso la mano
sul mio petto che tace.
Silente aspetta il fruscio
del tuo passarmi accanto
o della tua mano sfiorarmi.
Il salice posa il braccio
sulla schiena dell’acqua fiumana.

*

Ti aspetto nella mia fragilità

Ti aspetto nella mia fragilità
come notturna presenza che t’ama.
Il sospiro del tuo corpo in lontananza
è apnea del cuore al tuo arrivo.
Gli angeli fingono di dormire.

*

Perpetua ad ogni alba rinata

E di ogni cuore turbato, amato, odiato,
tutte le gioie avrei potuto sentire
e le esplosioni sarebbero state vere.
Ma non so se oggi vale la pena
essere liquidi come inchiostro
o duri come la nera pietra del fuoco.

Poi amore mi chiami forte
ché nell’amara parola non sento più niente
né il cuore né il cielo, né il sospiro,
né il tuo suono che pare così aperto.
Cosa diventiamo dentro questo ponente?
Ad ogni calare di sera l’orizzonte mi chiama,

Perpetua ad ogni alba rinata, ti lavi coll’acqua
del mare di seta, Perpetua che ama la prima
ora nuda della sera.

*

Provo a riprendere tra le mani le tue parole

Provo a riprendere tra le mani le tue parole, viali bianchi incisi di polvere e stanchezza che ti vedono riposare con la schiena morbida poggiata come piuma sulla tua quercia già cantata, con le ginocchia all’aria fresca e le mani pensili a cogliere le piccole cose da te raccolte nel novero. Ci guardiamo da due mondi: il linguaggio del silenzio tesse discorsi codificati dalla nostra onirica presenza. Mi appari lieta e luminosa, hai le margherite sul seno e la mia guancia ti saluta lacrimosa, gioia luminosa. Ci siamo incontrate a metà strada, nel sogno della casa della mia infanzia sempre presente: era l’alba il giorno il tramonto la notte, ciclico tempo mutevole, stagioni. Pietra, tu, parlavi col silenzio di me, a me, nell’attesa che io sentissi finalmente la tua assenza, per sempre, Presenza. Non mi sei lontana se non per spazi, luoghi, ma ogni parola riletta è una Pasqua di te rinnovata.

*

Se non ti parlo

Se non ti parlo non è per l'inerzia del sole
ma del mio labbro teso a chiamarti nel tempo.
Non è l'assenza del desiderio limpido, attesa,
ma la piena del pulsare interno all'orizzonte.
E le tue mani fioriscono sulla terra del mio seno,
vallate timide sotto il maestrale del tuo fianco.
I bacio è velluto,esattamente la tua pelle bruciata
delimita i perimetri delle mie isole frastagliate.

*

Nuovamente insisto

Nuovamente insisto
nell'aprire porte
destinate all'uso delle passioni.

Sulla sera tracciamo dolcezze
un po' acri come il sangue
che l'amore rende forti.

Mi hai passato le mani,
le tue: ecco
che ricolmo le mie lacune
aspettando che ancora si modelli
il cuore nuovo, pulito, un vestito
per questo giorno di festa allegra
risorto nella mia intima trincea.

*

l’apertura del mio domani

È un approccio scaduto:
la danza del passato arriva
come l'uguaglianza dei sessi,
cose rarefatte dall'abitudine.
Saracinesche gli occhi attendono
l'apertura del mio domani.
Vivo l'allegria
dopo ogni morte di pensiero.