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Raccolta di poesie di Stefano Verrengia
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

A Vladimir Majakovsky

A VLADIMIR MAJAKOVSKY.

Come hai potuto, fratello?

Quale fardello era più pesante

dell’essere Poeta, profeta

rosso, fosso di metafore?

Era l’Amore, il tonfo battito

del cuore pulsante che cade

nel pozzo profondo del dolore?

Ingoiavi proiettili e sputavi versi

di metallo nel ballo d’orrore

e disperazione del tuo flauto

di vertebre, nelle tenebre

allettanti nelle quali le strofe

ci lasciano di sera,

soli, con al fianco che brilla

la Luna o la pistola.

Mi consola, mi consola il pensiero …

il nero sfavilla lucido

nella memoria di chi lo sa apprezzare,

accettare, comprendere.

E t’invidio, invidio il coraggio

della tua disperazione,

la sinfonia con la quale

hai detto “basta!”

a questa grama malinconia,

“basta!” alle rotte impervie

di questa nave piena di falle:

bum!, un tuono,

e poi la Notte.

*

Cane randagio

CANE RANDAGIO

 

Se mai ricorderai il mio viso,
ricordati che ero un cane randagio,
un adagio profondo fra i frutteti,
gli ulivi e l'abbaiare dei contadini,
vini profumati da pensieri solitari, 
che hanno fuggito le urla e la burla
delle ipocrite città, delle velleità umane. 
Non so, forse sono pronto, 
forse lo spero, 
che un pero mi cada addosso 
o che il fosso, la terra e le tenebre
siano più morbidi dei torbidi, 
duri, malanni dell'animo. 
Ho cercato, disperatamente, 
i cieli nascosti dalle grigie nuvole, 
mentre il vento suonava 
il suo eterno flauto 
e cauto fischiettavo 
l'Ave Maria di Schubert, 
appoggiato con i gomiti 
sui romiti silenzi del meriggio. 
E densi, inutili, stupendi 
mi son parsi i giorni 
dove ho parlato 
con il prato, con le betulle, 
candide fanciulle danzanti 
nei canti delle brezze di Maggio, 
dove un faggio, saggio maestro, 
mi ha insegnato che la grandezza
di un albero deriva dalle sue radici. 
E con la mia bici ho pedalato 
vicino le nubi, e ho respirato, 
per pochi attimi, 
l'immensità. 

Se mai ricorderai il mio viso, 
ricorda che ho intriso 
il mio cuore nell'inchiostro, 
ne è uscito nero, un mostro 
ruggente, dolente, insaziabile, 
che ovunque ha posato il suo passo 
ha lasciato un'impronta oscura, 
che ho vissuto sottoterra, 
come un tasso, e sono quasi soffocato
scavando come un pazzo 
per cercare un po' d aria 
per questi fragili occhi. 
Forse sono pronto, 
forse lo spero. 
Non mi importa 
che altri si ricordino di me. 
Non appena si aprirà la porta, 
il cancello, e sarà buio, fiamma 
o tersa benedizione, 
quando persa sarà la mia voce 
nella foce del tempo, 
nel suo pozzo infinito, 
il mio unico ed ardito 
pensiero è che tu, gemente, 
con una lacrima che ti solchi
il viso come un aratro, 
semini in te un mio verso. 
Solo lì, solo lì, in quel momento, 
io sarò compiuto e dal baratro
sboccerà la mia Poesia, 
e comprenderai che il mio amore
aveva altra forma, quella del dolore.

*

Suite notturna

SUITE NOTTURNA 

Scivola la Notte sul mondo
come una veste di seta nera 
che le feste d'amore in fondo
ad un bicchiere e la sincera
volontà scova. E trova,
il mio animo selvaggio ed ardito,
quel che nel profondo cova
il cuore tuo, con un solo dito.
Oh maliziosa, oh maliziosa,
tu sai che al ladro non si ruba?
Oh maliziosa, lieta maliziosa,
la tua gola canterina tuba
e fa fuggire strane brame:
e così s'intrecciano trame
con le sottili lenzuola
e il mio cuore si consola
di questo tedio, di questo niente,
con un sospiro. Non mente
una bocca quando è piena,
la macchina non frena
se i freni son guasti.
E siano per l'anime nostre pasti
così il silenzio, e la quiete:
che il buio abbeveri la sete. 

*

L’attesa

RIMEMBRANZE

 

Ti ricordi? Ti ricordi

il profumo evanescente

delle ortensie e dei gerani

mentre i cani abbaiavano

ai vicini?

Ti ricordi le carezze del vento

mentre lento il Tempo

ci scivolava addosso

come un tiepido raggio d’Aprile?

La gioia febbrile sussurrava

in segreto le eterne gioie

di un faggio immerso

in un terso mattino.

Ed io ho sognato,

ho sognato come un bambino

di volare lontano

come un palloncino

colmo di vane speranze,

di facili illusioni.

E che effusioni d’amore

mi volgeva la Natura!

Sembrava avesse cura

di me e mi abbracciasse

con le sue montagne,

che mi bisbigliasse

infiniti segreti

nei silenzi del tramonto.

Ma la vita non fa sconto

a chi crede, a chi vede

oltre le nuvole

il buio incommensurabile.

Ed abile, abilissimo,

per moltissimo tempo

ho mentito a me stesso,

ho nitrito indomito

come un’onda inarrestabile

verso la sponda della speranza:

ma avanza, avanza la disperazione

ad ogni passo, divora

ogni cosa come la Notte

che la botte di vino, una gonna

o un gatto rende ombre leggere

di un flebile lampione …

ed il dolore ha reso fiere

le mie mani dell’impugnare

una penna sporca di terra,

dello scavare

nel foglio un solco

dove seminare i neri semi

della Poesia.

Non è molto, ma è quel che resta

di questo stolto esistere,

di questa festa insensata

dove si balla e si danza

dalla culla alla tomba

attendendo il nulla.  

*

Fiori elettrici

FIORI ELETTRICI

Ogni tanto dalle nuvole

vedo saettare fulmini

che si aprono come fiori,

colmi di odori bruciati

nell’aria frizzante

finiscono lì dove

pare il mondo culmini

in un eterno divagare.

Viaggiare, ancora viaggiare,

come uno zingaro

senza meta a caccia

di un singolo passo

di un semplice ballo

che valga una intera canzone.

Amare, ancora amare,

come fosse l’amore

l’infinito raggiungere

quel che dobbiamo

lasciare andare.

E i miei sogni

Sono ormai

putrescenti cadaveri

sbranati dai vermi.

Inermi, piedi miei,

inermi volgete il passo

verso le strade

più vuote, fredde e scarne,

le strade malridotte

e le meno belle,

senza lampioni …

oh piedi miei!,

si vedono le stelle!

 

 

Un giorno forse,

quando una statua

lucida colma di fiori

e di belle parole

coprirà la mia polvere,

un giorno forse,

quando sarà il Tempo

a mostrare ai nuovi

quel che io fui,

forse un malato,

forse un dissennato,

forse un Poeta,

sarò nelle lettere

della mia penna

e guarderò

gli occhi

di un uomo

colmi

di disperata esaltazione

come me

di fronte

ad una poesia.

 

Un giorno

vedrò il sole

lentamente

abbassarsi sull’orizzonte,

placido e seducente

come il corpo di una donna

ribollente d’amore,

e lì, nel magico languore

di un verso evanescente

come il fumo

di un camino quasi spento,

scivolerò nei sogni

lontano come una nuvola

trascinata dal vento.

*

Suite di un attimo

SUITE DI UN ATTIMO

 

A volte, con un tuo bisbiglio,

sembri sfiorarmi l’anima

come una brezza di Maggio.

Bianco giglio, l’amarezza

di un Poeta non potrai

mai capirla.

I nostri neri lai

sono i sinceri latrati di un cane,

sono i carati di un pezzo d’oro,

sono uno stupido coro di una chiesa

sempre più vuota, sono la ruota

di una macchina che mangia

l’asfalto, sono il cobalto

di un cielo di Febbraio.

Non potrai mai capire

il dolore del sentire

l’oceano dentro ma essere

solo una barchetta usurata

che imbarca acqua,

pronta ad affondare.

E in quest’onta che è la vita

guardare stelle lontane

e naufragare con lo sguardo

fino a sentirmi un dardo

lanciato oltre il tempo …

E col poco fiato che mi rimane,

voglio sussurrarti dolci versi

che persi voleranno come polvere,

come tersi lampi d’azzurro

in un tiepido Giugno ...

e dedicarti rime che siano concime

per il nostro giardino,

per quell’attimo divino

che provo quando è covo

d’amore il tuo sguardo,

quando è Poesia

il silenzio delle nostre labbra.

E bevo a fiotti dal tuo cuore,

come da una fontana rigogliosa,

Speranza, Eternità ed Infinito,

un invito alla vita e alla dolcezza.

Ma è un ebbrezza tutto ciò,

e quella fontana è solo vino

che domani mi lascerà

arida la bocca, come un deserto.

E’ avida la mia penna,

avida come una spada in battaglia:

mai pavida affronta il vento

come un folle Don Chisciotte!

E tu, fresco geranio,

non senti l’uranio nel mio cuore,

che fa marcire tutto ciò che tocca

con la sua bocca putrida,

con la sua lurida accozzaglia

di tenebrosi pensieri.

La mia Poesia raglia,

in questi pascoli erbosi,

negli ombrosi attimi

dove il sole non la sfiora.

E l’eternità, l’eternità cos’è?

E’ solo un lampo che squarcia

le tenebre.

E l’infinito, l’infinito cos’è?

E’ solo la tua ciglia

che sfiora la mia.

*

Primavera

PRIMAVERA

 

Eccola, la Primavera

che avanza, che danza

nei suoi colori, profumi,

nei grumi di gioia

negli occhi della gente.

Non si pente la donna

di un bacio fuggito

dalle sue labbra

come una farfalla

in un brivido del vento …

e a stento, a stento

la malinconia ci sfiora

come un’ape un fiore,

e morbida e selvaggia

la spiaggia è il letto

dove il petto può

aprire le sue vele

all’oceano.

E dolce diviene

Il martirio della carne,

le pene patite a pensare

quanto inutile sia la vita

che fra le dita ci scivola

via, come una veste

di raso rosso sangue,

che di noi farà

solo un umido fosso

con una croce sopra,

che della nostra voce

lascerà solo parole.

Ma eccola, la Primavera,

che fiorente avanza

e questa stanza minuta

fa suonare con il suo rosso,

il suo viola, il suo giallo,

il suo arancione, il suo blu,  

il suo verdeggiare

lì dove muta era in attesa

l’anima.

E spera, la mia penna,

nel profondo brama

di rubare col suo pennello

anche un solo colore,

anche una sola sfumatura,

una pura immagine

che trascenda la disperazione,

che si elevi a canzone

che faccia tremare,

anche per un solo attimo,

il fegato e le viscere

di noi maledetti nichilisti,

di noi uomini sprovvisti

di ogni eterno ardimento.

Ed è un tormento, penna mia,

è un tormento indescrivibile

il poter dipingere il sole

e non sentire il suo calore

sulla pelle,

poter dipingere un fiore

e non sentire il suo profumo …

ma eccola, la Primavera

che avanza, con tracotanza

ed indolenza, tulipano di carne,

sapore di stelle che mi scivola

sulla lingua fino allo stomaco.

Consola, smeraldo scintillante,

questo dolore e questa avara

condizione nella quale affondo,

nave che ha per carico

angoscia e tormento,

che amara cerca solo di fuggire

questo oceano grigio!

*

Metamorfosi

METAMORFOSI

Se solo potessi,
vorrei essere un filo d'erba
che ondeggia nel vento, 
o un'eco, che riecheggia
fra le montagne dove a stento
il piede umano arriva.
Se solo potessi,
vorrei essere una riva
dove l'onda si infrange,
sponda minuta e brillante
del gigantesco oceano.
Ma questo animo,
questo maledetto animo
è solo un pesco dai frutti
marci, colmi di vermi,
colmo di inermi pensieri.
Come vorrei darti da bere
solo l'azzurro incontaminato,
farti respirare solo l'immenso
fiato delle giornate d'aprile,
quando la Natura
sembra sussurrarti
in segreto l'eternità.
Quante velleità, quante velleità,
anima mia! Sei solo terra,
arida terra dove non sboccia
neanche l'ombra di un fiore,
dove solo il dolore si eleva
nel suo pulviscolo al mattino.
Oh anima mia, anche la Poesia
ti ha tediato, anche i versi
ormai infastidiscono il tuo naso
come fossero merda!
Cosa perda la vita ai nostri occhi
non so. Una volta era raso
una strofa, delicata illusione
come l'amore di una donna.
Una volta era un bacio
una rima, l'ultima carezza
di uno sguardo.
Ora sono una gonna di una scrofa,
un orrendo petardo
che urla nelle orecchie
come la stupida gente
che lo fa esplodere.
Se solo potessi,
vorrei essere fuoco,
che arde e che brilla,
sfavilla giallo, rosso,
e non sa perché.
Se solo potessi, 
anima mia
vorrei essere tenebra,
buio assoluto, muto
incommensurabile. 

*

De relictis dei

DE RELICTIS DEIS

 

Piccolo crocifisso in marmo della chiesa di un mio paese.

 

Dio, vigilo in questo silenzio sacro,

e il crocifisso del tuo figlio defunto,

di fianco al piccolo e asciutto lavacro,

sembra in una smorfia atroce compunto.

Ecco Signore, ciò che qui rimane,

di questo mondo, tomba di dolore,

dove tranne il nero nessun colore

descrive meglio queste cose umane,

dove anche il tuo adorato prediletto,

come un serpente, si contorce e muore!

E nel cuore non cresce albero o fiore,

ma già si prepara al suo muto letto;

questo di qui rimane,

mio Signore, e anche il tuo prediletto,

che giace storto e cupo nell’aspetto,

sembra sprofondi in un dolore immane.

 

*

Risveglio

RISVEGLIO

 

Non vi è giorno in cui non penso

a quanto sia arduo sognare

galassie lontane, inalare

l’incenso stellare di anni luce

inosservabili, labili attimi

dove si è fratelli dei fili d’erba

cercando di capire cosa serba

per noi l’eternità.

E’ una velleità, uno sciocchezza

da scarafaggio, da minuto raggio

di sole che nell’ebbrezza

del vento si disperde fra i fiori.

Ed i dolori, le angosce si dissolvono,

sciolgono come ghiaccio

a primavera, ed i colori sgorgano

come da una fontana di vita,

ed ardita la mente spera

che la sera sia la dolce illusione

di una canzone che vibra

cantata da una contadina

fra i verdi oliveti silenziosi.

E divina, divina appare l’esistenza,

l’essenza imperscrutabile del secondo,

di questo mondo, palla verde, blu, marrone,

palla che galleggia su questo mare oscuro.

E giuro, giuro che per un attimo,

un attimo soltanto, ho sentito un tremito

infinito nel mio stomaco

affamato di immensità.

E giuro, giuro che per un attimo,

un attimo soltanto, nel canto

del merlo, del tordo, nell’abbaiare

di un cane il mio spirito sordo

ha sentito Dio.

*

Rapsodia in Re min

RAPSODIA IN RE MIN

Mi scorri dentro,
lurida e imperiosa
come il Tevere,
putrida strofa
di becere sensazioni.
Pura e luminosa
come un raggio di luna,
invece, 
le volte del buio
illumini, pallido
riso della galassia.
Il mio cuore è intriso,
affogato nella poesia,
come un bimbo
che non sa nuotare. 
E in questo limbo
come bisbiglia
l'azzurro al mattino,
come bisbiglia
l'azzurro al mattino ...
ma urlano selvagge
le tenebre,
urlano come l oceano
ruggente, con tuoni
e onde sugli scogli.
Questi cieli Bianchi
che sono i fogli 
e questo cannocchiale
di nome penna
non hanno visto
che buio, il buio
dell’inchiostro,
il mostro che mi mangia
l'anima come un Goya
senza pace,
come una brace
la legna scricchiolante
come ossa malandate...
e andate, andate
sono le giornate
in cui gioivo di una donna,
di un buon vino,
immerso nella luce
come in una vasca immensa
a rilassarmi,
e l'eterno era la mensa
dove potevo mangiare
a sazietà stelle ed infinito.
Ora c'è il nulla che bussa
al mio petto,
ora c'è la polvere
che mi accarezza
in queste stanze trascurate,
in queste danze macabre.
Curate, curate miei pensieri,
velieri scricchiolanti
dalle vele lacerate,
curate le rotte
e affogate nell'orizzonte,
lì dove l'onte sbiadiscono
oltre le grigie nuvole,
lì dove una fonte
ignota questo nero fiume
fa fluire.
Versi miei, piume di gallo,
vi spenneranno per il brodo:
ciò di cui godo non mi darete
e finirete con me nella merda, 
nell'immondizia e nella fossa. 
Ma non preoccupatevi, 
la poesia è un cibo 
che può andare di traverso
a chi non sta attento 
alle ossa. 

*

Poema interiore

POEMA INTERIORE

 

Ancora ricordo quel giorno

in cui aprii un libro

che come un deltaplano

mi fece planare

su valli verdi

dove andare

libero come un cavallo

senza briglie pronto

a nitrire al cielo.

Fu come una dose

che ti scorre nelle vene

e che delle pene

e del martirio

della carne

ti solleva

avvelenandoti.

Si, quelle pallide

parole, quelle lettere

maleodoranti

di quel vecchio libro

comprato per un euro

da uno sdentato libraio

su di una povera bancarella

furono l’edera velenosa

che si è arrampicata

prima sulle gambe,

poi, pian piano,

si è arrampicata

fino al petto,

riempiendomi

di bolle e malattia.

Ma fu una magia,

quel delirio che provai:

assurda perdizione

nella canzone

dei sassi sussurranti.

E bramanti volarono

i pensieri fra le infinite

stelle e le belle

bocce di una donna

truculenta che posava

le sue labbra sul mio ombelico

brontolante come un uragano.

Quando presi la penna

in mano mi sentii

come un adolescente

che prende per la sua prima

volta in mano il cazzo

per abbandonarsi

a sfrenate fantasie

sulla sua amichetta

che mostra i primi seni

e ammiccante vuole conoscere

l’amore della carne.

Posare sulla carta

una bic e il suo inchiostro,

che scivolava come

un implacabile

fiume nero

senza argini

e costrizioni,

senza paura

di inondazioni ...

ambivo

solamente la liberazione

e la distruzione …

le parole debordarono

sui campi del mio intelletto

e l’effetto fu quel che mi aspettai:

una meravigliosa catastrofe.

Furono sterminati i fiori,

sterminati gli alberi da frutto

e tutto affogò

in inesorabili acque nere.

E quelle sere

in cui nuotavo

con maschia delizia

in queste acque del caos

e alzavo lo sguardo

e con gli occhi

un dardo gettavo

di desiderio e bramosia

verso l’infinito universo

che nel pensare ardevo  

poter spostare

con una semplice

bracciata.

Ero lì, sempre fisso,

nell’amata confusione

di una tigre

che mastica

le nuvole con fermi

canini e serrate mandibole.

Non ci volle molto tempo

a comprendere

in che razza di guaio

ero andato a finire …

scrivere fino a morire,

con quella penna

che prima diventava

coltello, poi pennello,

poi sciabola, poi machete

pronto a spezzare

i verdi rami

di questa jungla

di nome esistenza.

E non ci volle molto

e comprendere

di che essenza

fosse questa

mia malattia:

placido tremore,

amore per la pazzia.

E così era,

è impossibile

nascondersi

a sé stessi.

Mi accorsi subito

Che come me,

malati della mia malattia,

ve ne erano ben pochi:

fuochi flebili

su questo mare del niente.

Compresi anche

che non ci si nasce

con questa tendenza

di ricercare

in una formica,

in un granello di sabbia,

in un briciolo di pane

l’essenza dell’eternità.  

E così camminavo

sconsolato per i marciapiedi,

freddo e meditabondo,

a caccia dell’infinito

nascosto fra due versi,

fra due crepe dell’asfalto.

Di cobalto coloravo

le parole nei tristi giorni

dove naufragavo

malinconico

nell’oceano di suoni

di una chitarra di strada,

altre volte un lieve

tramonto arancione

mi rincuorava del fatto

che la morte

avrebbe azzittito ogni dolore

cullandomi dolcemente

sul suo grembo

come una madre benevola.

Tante altre volte

consumavo il mio tempo

seduto su di una panchina

a dipingere con le parole

quel quadro misterioso

di nome universo.

Stelle, pianeti, galassie,

buio …

tutto mi ispirava

la nostra enorme insignificanza.

Molto spesso vagavo di stanza

in stanza, per poi affacciarmi

al mondo dall’intimo balcone

dove potevo osservare

l’oceano sprigionarsi

nella sua vastità,

come uno sputo

per una formica.  

E mi perdevo, assurdamente,

con la mente labile

come una foglia in una tempesta,

come un’onda nella marea.

E su questa sponda dell’esistenza,

dove tutto si contorce

nei marasmi del dolore,

dove ogni colore che brilla

poi sbiadisce verso il bianco,

non demordevo nella voglia

di imbrigliare ogni doglia

in una catena di rime.

Quanti teschi ridenti

godevano della vita

spalancando le loro

mandibole tremolanti.

Ma io ero già

un morto consapevole.

E me ne accorsi un giorno,

quando vidi una donna

sdraiata su un letto nero

con in mano una croce

e con un gelido silenzio

negli occhi.

Anche lei, anche quel vuoto

contenitore di sogni ed ambizioni,

quel cassone di immondizia

dove furono gettati

tempo addietro

sporchi pensieri,

adesso era nei neri

meandri dell’occulto.

E chissà cosa nasconde

la morte

dietro il suo sacro silenzio,

chissà cosa nasconde

il buio nel suo eterno

attendere l’ultimo

canto di luna.

Da lì i miei occhi

si tramutarono

in cinici occhi di corvo,

da lì, con occhi di gatto,

appresi cosa

vuol dire vedere

gl’uomini nel buio:

ombre evanescenti

che girano l’angolo

per finire non si sa dove.

Eppure ricordo ancora quel mattino

dove mi svegliai

con il sole negli occhi:

aprii la finestra

e aria e luce entrarono

come una benedizione.

Sotto casa una canzone

napoletana intonava

una vecchierella

e le note leggere volavano

nell’odore di sfogliatella

e caffè.

Il golfo di Napoli

immenso si stagliava

e sembrava profondo

come l’animo di ogni

Poeta di questa terra.

Le donne avevano

pesche al posto dei seni,

dolci da mordere

come frutta di stagione.

I capelli scuri e intricati

come le vie di Spaccanapoli

e la malizia nello sguardo

che tutte sembravano

un po’ puttane,

un po’ bigotte.

Mi ruggiva l’animo

come una belva affamata.

Finalmente una illusione,

una illusione potente!

La gente salutava

come fossi loro fratello

e il calore nell’animo

sembrava riscaldarsi

come un vulcano.

E’ come se sentissi

ancora il Vesuvio

scorrere nelle mie vene.

Ho sempre odiato l’amore,

nel suo renderci deboli

come leoni in gabbia,

elemosinando il loro pasto.

Quante volte Cupido

mi ha lanciato

la sua freccia avvelenata

e mi ha riempito il sangue

di dolci illusioni.

Torta dopo torta,

ne vorresti fino a scoppiare

ed avere un infarto.

Ma questo la mia penna

lo sapeva, aveva bisogno

di quel sogno impossibile

da scrivere fra due galassie.

Ci fu una sera in cui

fui colto da uno strano ardore

e scrissi una poesia d’amore

su un fazzoletto in un bar,

con al fianco una birra.

Molte volte ho cercato

di rinchiudere l’oceano

fra due lettere …

una sigaretta in una mano

e la disperazione nell’altra,

questa vita ha consumato

ogni goccia del mio sangue,

quasi fossi una maledetta

fontana di dolore.

Molto spesso

sono inciampato

in un sogno

e sono caduto

di faccia

in una pozzanghera

in un giorno di pioggia,

mentre guardavo

le nuvole

aspettando

che un fulmine

scrivesse con l’elettricità

un verso

che non avrei mai

potuto scrivere …

e quante notti

mi sono seduto

sulla sabbia

in solitudine

per aspettare

quello sparuto

ed ultimo raggio di luna.

Sono sempre stato

un manigoldo,

ma questo tu lo sai,

mia siringa, penna mia,

iniezione di infinito,

eternità ed illusione!

Quante volte ti ho utilizzato

per sedurre una bella

donna ad aprirmi

le sue gambe

come fossero

un bel libro da sfogliare,

un oceano da solcare

con la mia prua

volitiva

sempre alla ricerca

di nuovi atolli

dove abbandonarmi

al mare, al sole,

ai granelli di sabbia

e al sussurro del vento.

Sempre ti ho usato,

sempre ti ho usato,

candido pugnale!

La vita è un oceano

nel quale gettarsi

per poi lavarsi di quel sale

che causa un fastidioso prurito.

E così, andando per vie

sconosciute,

per le mute strade

di un fresco pomeriggio

d’estate,

la mia gola

non si è mai negata

un bicchiere d’azzurro

e l’infinito silenzio

dell’universo,

mentre disperso

nei pensieri

vagavo fra Giove e Plutone

immaginando

cosa provi

un fascio di luce

nel dissolversi

lentamente

come nebbia

al mattino.

E chino,

ancora oggi,

mi ritrovo

a cogliere

quei pezzi di nuvole

per poi metterli

in un vaso

che innaffio

con sangue

e dove con il naso,

ogni tanto, con velleità,

inalo a polmoni spiegati

un soffio di eternità.

 

*

Majakovskij insegnami

MAJAKOVSKIJ INSEGNAMI

 

Lancio un frisbee 
giocando sulla spiaggia
come fosse un disco volante,
danzante nella leggerezza
della mia universale superficialità,
della mia eterna velleità. 
Una Bud in una mano
e nell'altra una Winston blu 
che emana il suo fumo
fetido e mortale
mi ricordano come consumo 
la mia vita, 
fra banali rime e l'ardita
brama di spararmi 
rapidamente un proiettile 
in faccia, fra questi occhi
che ciechi osservano 
questo mare del niente.
E ardente bruci 
il sole fra i truci secondi
della mia vita da bruto:
È muto dio 
fra questi vicoli bui,
dove m'addormento 
come uno squalo
nell'abisso. 
E il crocifisso 
s'infiammi, 
forse anche quel 
pazzo di Cristo 
avrebbe voluto così,
assieme ad un razzo 
per fuggire sulla luna,
lontano da quegli idioti 
degli apostoli e dei vangeli,
di Pilato e dei religiosi zeli. 
Ah Majakovskij, insegnami 
il segreto dei silenziosi proiettili,
del coraggio di zittire 
questo maledetto 
silenzio che ci balla dentro
come il vento di Febbraio!
In questo cielo spento 
come una natura morta
è risorta la regina 
di tutto quel che dura 
odiosamente da ere:
le pere con la ricotta, 
la rotta e la stella marina.

*

Il silenzio della notte.

IL SILENZIO DELLA NOTTE

Svanisce ogni rumore
e si respira il buio.
Ed in questo occulto
dolore le tenebre
mi divorano l'anima
come una marea che avanza
inesorabile sulla riva, 
e si spegne la speranza 
come la luce di una candela 
fioca al soffio leggero 
del silenzio della notte.
E al peggio
mi conduce
il mio pensiero:
la Morte, amante
tenera e terrificante,
con un dolce bisbiglio
mi consola e mi promette
che infinite lenzuola
saranno il mio nero
giaciglio.
Il Dolore, cinico amico, 
mi porge con le sue mani 
rinsecchite una bottiglia, 
un coltello e una pistola. 
E la Poesia, nei fragori 

affamati del mio pigolare, 
gettandomi dal nido 
con le mie ali di carta 
dice:" Vola o muori." 

*

La vergine dei boschi.

LA VERGINE DEI BOSCHI

Con la voce dolce chi culli

Nei sogni più profondi,

leggera come il vento,

effimera come l’uragano?

 

Vorrei che cullassi me,

sui tuoi seni turgidi,

e mi cantassi quella

dolce ninna nanna

che prima Orfeo,

poi San Francesco,

cantarono per ammansire

le bestie più selvagge

e spietate.

 

Come sai allentare la mia Fame?

Perché adesso la mia Fame

si è trasformata in appetito

degli occhi?

Mi basterebbe anche

Il solo averti con gli occhi,

rubare il tuo Amore

come una gazza ladra

un gioiello brillante.

 

Dove vai, danzando

come una foglia

fra i sogni e gli uragani?

 

Sei un accordo di dolcezza

e note benevole di fiori

e boschi incantati ...

Hai paura dei lupi?

 

Ti prenderei a morsi

come il buio morde

la mezzaluna di Settembre,

e ti farei uscir sangue

per ricordarti che non

sei un elfo di boschi

fantastici,

ma solo una donna

dalla voce incantata.

Lascia il tuo lago delicato,

dolce e limitato,

colmo di libellule,

usignoli e lepri, 

vieni ad assaporare

l’oceano

sconfinato

e vieni a sfiorare

lo squalo negli abissi

con le tue mani

sottili e sguscianti

come murene,

ti guiderò io.

 

Sai che le bestie

sono spietate?

Non conoscono

sentimenti,

ma solo Fame

e Paura,

e questo li spinge

nella vita.

 

Hai Fame, hai Paura?

Vuoi assaggiare

per un attimo il terrore

della Materia?

 

Sarò così folle,

o mia dolcissima

amata,

che ti stenderò

su di un letto

come su di una

bara e ti amerò

fino a romperne il legno!

 

O mia amata,

io sono pazzo,

ormai così pazzo

da desiderarti

anche se la tua gola

un giorno emetterà

solo un fetore marcente

e i tuoi lunghi capelli

saranno solo

un teschio

pronto a diventare polvere!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

II.

 

Dimmi, bella ninfa

che girovaghi nei miei pensieri,

non hai paura delle belve,

dei lupi, dei puma, degli orsi?

Forse sei abituata ai ruggiti,

forse adori le belve,

ed intoni dolci canti per loro

come una francescana.

 

Vorrei farti assaggiare i miei

denti sui tuoi seni.

 

Eppure mi fuggi,

hai carezzato volatile

come il vento marzolino

i ruggiti di quelle bestie,

hai bevuto nel loro stesso

fiume come una lupa assetata,

eppure stranita fuggi

le mie parole di Poeta.

 

Vaffanculo allora,

per Dio, vaffanculo!

 

I lupi fanno meno paura

di un Poeta,

vuoi insegnarmi questo?

 

I ruggiti son più certi

Dei versi,

i versi barcollano ubriachi,

i Poeti adorano l’abisso,

il buio, il delirio, l’infinito,

non una piana erbosa,

la luce della luna e del sole,

l’istinto animale,

non una tana

umida e certa.

 

Hai ragione ...

i Poeti sono quasi

tutti pazzi,

e forse anche io.

 

Non me ne frega

se le ere si ricorderanno

di queste stupide parole.

 

Voglio fotterti,

qui e adesso,

come un orso

che adori tanto,

trasbordando dalla pelliccia

stupida animalità

e raschiare con i miei

artigli la tua carne bianca

come su una corteccia

a caccia della resina

e della linfa della vita.

 

E’ vero, gli animali

sono abituati

alle sorgenti pure,

ad una luna senza smog,

ad un cielo più brillante,

ad una notte più nera.

 

Anche io vorrei vivere

in una foresta,

a caccia di conigli

o scuoiando serpenti

che attentano alle mie prede.

 

Ma tu non fuggire.

 

Non aver paura di uno

che usa le parole

come il fiume

che scorre nel mare.

 

Non temere questo

ignobile mestiere,

di questa lurida accozzaglia

di infimi psicotici

che vivono

saltando di nuvola in nuvola

come bimbi

di scoglio in scoglio

sui precipizi

più brutali.

 

Cos’è per gli animali,

la Morte?

E’ come per noi

la cancellazione

delle sinapsi?

Dimmi, tu che vivi

in queste erbacce

tanto dolci quanto amare,

dimmi, temono la morte?

O per loro è solo un secondo

di misero dolore?

 

Io non so,

ma al pensiero

il freddo mi fa già tremare

come in una notte d’inverno

senza peli e senza coperte.

 

Vagherò, mia ninfa silenziosa,

sarò silente come il lupo

in attesa della preda,

elastico come il puma

pronto al salto,

brutale come l’orso

volitivo.

 

Vagherò per i boschi

ringhiando i miei versi,

mangiando i libri di carne

dei corpi delle prede,

assaporando il sangue

come una metafora

dolce e succulenta.

Anche questo

può diventar Poesia,

basta che la Poesia

regni in ogni gesto

di questo mondo

di merda. 

 

 

III.

 

I tuoi capelli rossi,

raggi obliqui

di questo tramonto,

rivoli di sangue

colanti dal coniglio

smembrato,

ardenti brame

di un Poeta

dannato all’effimero

ed acre

profumo dei versi.

Si, affogherei

anche nel tuo sangue,

amerei anche

il tuo sangue,

mentre la mia sigaretta

fumante mi annerirà

i polmoni

e la Natura

udrà disgustata

la mia gola tossire

colma di catrame

mentre la tua voce

canterà

la Bellezza

e la mia l’Abominio,

l’Orrore, il Mortifero …

io ti amerò,

come l’Assassino

nel silenzio

contempla

la sua Vittima,

come Dio

che vede contorcere

gli esseri umani

negli spasmi della carne,

io ti amerò

come la Poesia

ama la Pazzia,

come la Morte

adora il Dolore,

come l’Abisso

adora l’Oblio ...

 

non fuggirmi.

Non amare il fiume

placido e calmo,

brillante e dolce,

non amare i cantori

d’arpa e di liuto,

non adorare le foglie

e gli alberi verdi

e rigogliosi.

Ama me,

ama il Caos

come lo amo io,

apprezza il Disordine,

il Solitario

che parla con il suo riflesso

nel fiume

come con un amico.

Forse le ere ti ricorderanno

grazie a queste parole

di muschio,

forse, mentre le tenebre

e la terra sbraneranno

i nostri scheletri,

qualcuno canterà

queste parole

con la tua stessa dolcezza,

qualche ragazzo

vedrà negli occhi

della sua amata

la tomba desiderata

come io vedo in te la mia.

 

Nuda nei laghetti

tutti gli animali

ti sfiorano,

ti scivolano

sulla pelle,

tranne che queste mani,

tranne che questi pensieri.

 

Mi sei lontana come

la Luna dal Poeta

dannato a guardarla,

contemplarla

e non toccarla.

Mi sei lontana

come una mela

in cima all’albero,

ed io ho solo artigli

spezzati

per provare a scalare

questo arbusto maledetto.

 

E quando in una notte

ti assopirai

nuda vicino

qualche radice,

scivolerò silenzioso

come un serpente

per morderti

ed iniettarti

il veleno del mio Amore,

per diventare

la tua ossessione,

e quando stanca

e avvelenata le forze

ti mancheranno,

ti legherò

con la canapa

all’albero,

e non potrai

fuggire la mia persecuzione.

 

O ninfa,

non ti lascerò fuggire

sul dorso di qualche orso,

non sarà qualche volpe

ad ingannarmi

per portarti via ...

la tua voce mi accompagnerà

fino alla morte.

A questo porta l’Amore ...

A questo porta l’Istinto ...

A questo porta la Bellezza ...

chi non prova queste sensazioni

non ama, finge.

 

Non fuggire ...

sono un mostro

più brutale

di una belva?

 

 

IV.

 

Oh Poesia, oh Arte, oh Musica,

ecco, sapevo che prima o poi

la pazzia mi avrebbe posseduto!

Ho pianto, nascosto fra i cespugli,

cercando Lei, Lei, la Ninfa fuggitiva!

L’abisso mi ha inghiottito,

ho più a cuore la Notte

che il Giorno,

apprezzo più il Buio

che la Luce.

Come si chiama

questa sensazione?

Amore, Pazzia?

Non so dire,

piansi solo due volte

nella mia vita.

Dove sei,

Angelo di carne e sangue?

Dove sei mio fantasma reale?

Dove sei mio incubo

Di respiro e voce?

Perché sei scappata?

Ti ho trasmesso timore?

Quale lupo ti ha nascosto

nella sua tana?

Chi belva ti sembrò

più dolce del mio delirio?

Quelle belve non ti amano,

ti hanno, ti posseggono,

non ti potranno mai contemplare

come solo un Poeta

può fare.

Preferisci rintanarti

fra i canini di una bestia

piuttosto che in queste

lettere di fuoco?

Preferisci la pioggia

di una foresta

al caldo di un falò

gigantesco fatto

di poesie brucianti?

 

Mia amata,

mia adorata,

mio idolo,

come potrò vivere

adesso senza contemplare

la Vita?

Come potrò vivere

adesso

con la Morte

negli occhi?

 

*

Sospeso

SOSPESO

 

Su, animo mio, non cadere ora,

mentre il sole indora il mondo

e sullo sfondo il cielo azzurro

rende questo quadro profondo

e spirituale …

e anche se l’Amore

è un bimbo capriccioso

che mette sgambetti qua e là,

che non si accorge del dolore

e di faccia nel fango bramoso

ci fa cadere e poi va,

fugge lontano …

e se la Morte ha in una mano

un dolce nero e puro

e nell’altra uno schiaffo duro,

madre austera, che alletta e poi punisce,

e ogni suo bimbo, colpevole e timoroso,

aspetta su quel suo uscio oscuro,

e sa che appena imbrunisce

prima o poi dovrà rientrare …

e anche se la Vita è un mare

sconfinato nel quale naufragare

è semplice, con le maree, con le sue onde,

e su questa nave di nome Umanità

il capitano comanda, lo sguattero si nasconde

per non lavorare, stanco della sua stessa viltà …

tu, animo mio, non cadere ora,

mentre il sole indora il mondo,

e anche se su questa nave affondo

tu vola via, gabbiano volitivo,

la Poesia sarà la tua casa al di là

di ogni nuvola. 

 

 

*

Se solo il buio

Se solo il buio
mi dicesse sottovoce
perché atroce
debba essere una stella
per chi la vede da lontano,
perché una mano liscia
e tenera come il velluto
possa tagliare come
un coltello affilato ...
e perché sono inerme
alla vita e alla malinconia, 
verme che mi rode
come fossi già carcassa,
e perché l'aria
mi pesa sulle spalle
come terra nera,
austera verità
nella quale 
mi abbandono.
E se per altri è un dono,
per me la vita è stata
un soffio di disperazione,
una stazione vuota
su un treno arrugginito
dove il vento alza polvere
nel grigio silenzio
di Febbraio.
Ed ho cercato
con tutto me stesso,
ed ho sperato
con tutto me spesso,
che il buio
mi dicesse sottovoce
perché atroce
debba essere una penna, 
affilata come un coltello 
nello stomaco e nel cuore, 
pala che il dolore riesuma 
come una bara
dopo 10 anni, 
malanni sotterrati 
nei cupi ricordi ... 
e lupi sono i versi, 
affamati di desolazione, 
sconforto, mali profondi. 
Ed in me Dio è morto
in quei secondi dove ho scorto
l'infinita Notte senza stelle, 
quando il nulla 
ha bussato alla mia porta 
con le sue mani putride, 
fatte di fango e dannazione. 
Ed invidio molto
il canto incosciente 
dell'usignolo, 
il ruggito della pantera, 
La preghiera dello stolto! 

*

Anime nude

ANIME NUDE. 

I. 

Ricordo i tempi in cui
da ragazzo sfruttavo 
gli idioti come un prete
uno stupido credente,
quando nella mia rete
di pescatore di disperati
cadevano tossici,
reietti e scimmie urlanti
a caccia di un senso ....
era un tempo dove
amavo le donne 
vogliose di pazzie
inimmaginabili, 
era un tempo dove 
le vie scure della notte
nascondevano le mutande
abbassate e ci si amava
come gli animali 
nella giungla:
i mali erano solo
i genitori preoccupati
di campare e di un pasto,
di un brodino 
e di un po' d'acqua. 
La poesia giaceva 
con me, negli occhi
di una sconosciuta 
al mattino, 
quando il vino
rimaneva solo negli occhi
e i rintocchi della chiesa
ci ricordavano che dovevamo
tornare a casa, 
prima che qualcuno dei nostri 
si preoccupasse che dei mostri 
avessero rapito un loro caro. 
Amaro era il tempo, 
sembrava non passare mai. 
La poesia giaceva 
in un "ti amo" dopo 1 giorno
solo per scopare ancora 
una sprovveduta, 
profumava nel contorno 
di una bistecca e in una stecca
di biliardo in qualche pessimo
pub delle periferie. 
Oh, che meraviglia l'incoscienza!
Un nascondino 
ad occhi chiusi 
fra le nuvole,
volando leggeri 
come fieri falchi 
pronti a picchiare
sulle prede. 
Scalzi sull'erba 
danzavamo al ritmo
delle fiamme di un braciere
saturnino quando le sere
opache nascondevano 
nel buio i sorrisi 
di amanti traditori 
e nei cuori di amanti
traditi, a caccia di un bacio. 
E la poesia giaceva 
in un'onda morbida
che accarezzava 
il bagnasciuga 
come una mano sinuosa
e odorosa la marea
spargeva gli odori 
di luoghi sconosciuti,
e muti i venti 
consentivano 
alle deboli orecchie 
di udire i denti 
di un bacio sbagliato 
e il fiato ansimante 
di una ragazza 
che apriva le sue gambe,
per amore o conoscenza. 
Così andava la vita, 
per questo si respirava: 
guardare una luna che andava
per un sole che sorge. 

II. 

Pagine dopo pagine 
sono state strappate 
dalla mia vita 
dal bimbo dispettoso
di nome Tempo ... 
pagine macchiate 
di infamia 
e ancor peggio 
pagine macchiate 
di onore e dovere: 
piacere per gli stolti.
Ora cerco, nelle sere,
fra una luna e l'altra, 
un po’ di buio 
per la mia anima!
La poesia giace
in un tramonto 
insanguinato,
in uno sconto 
ad un bar 
del centro, 
in un rientro 
di un non so che ... 
ora la poesia giace
in un sole che tace
in una giornata 
uggiosa di Gennaio, 
nel grigio dolore 
di un rumore
di un'auto vecchia 
dal motore difettoso. 
Addio fiori di fiamma,
addio lupi affamati,
pistole fiammanti 
e scazzottate alcoliche ... 
addio angoli bui 
dove la droga 
donava fantasia 
ai deboli e derelitti,
addio ai relitti
che Dio ha abbandonato
negli abissi 
dell'oceano dell'umanità.  
Adesso la poesia 
giace nella pioggia,
adesso la poesia giace
in una brace spenta, 
nella cenere.

 

 

*

Cenacolo impolverato

CENACOLO IMPOLVERATO

 

Dammi una sola lettera,

un solo verso o una sola rima

che possa offuscare i cieli,

Poesia.

Dammi una sola cima

dove io possa guardare

il mondo con il distacco

di chi muore nella pazzia

delle solinghe altitudini

o nelle voragini

della tristezza.

Dammi una sola brezza

che mi sospinga

lontano come una vela

affamata di tempeste,

come teste deste

ai primi tremori

del sole.

Dammi i colori

dei pennelli

di De la Croix,

Michelangelo o Rembrandt,

permettimi di dipingere,

madre dei caduti,

i liuti scordati

e i cantanti muti

di questo misero secolo,

il cenacolo impolverato

di noi anime disperate.

Dammi le parole

che le scuole

non ci hanno mai insegnato,

dammi il fiato

per sussurrare

quanto sia profondo il mare

ed io, Poesia,

renderò onore al tuo dolore

immortale.

 

 

*

Alla Penna

ALLA PENNA

 

 

Spietato
come un fucile
in bocca 
dovrebbe essere 
un verso, 
crudo come 
la carne di uno gnu
appena maciullata 
dal morso di un leone,
pronta a diventar pasto
della fame e delle iene.
Pene non devi avere, 
Penna, in questo secolo
di smielate ipocrisie,
di torte di parole 
per addolcire i lettori:
cerca gli albori, 
cerca il ruggito, il latrato 
ed il fiato della bestia. 
E se per gli altri puzzerai 
come il marciume 
in un cadavere putrefatto,
se tumefatto, orrido 
e virulento apparirà 
il viso di un poemetto 
appena uscito 
da una scazzottata,
fra bottiglie e bestemmie,
fra figlie sverginate 
e padri infuriati ... 
chi cazzo se ne frega?
Prendi una sega 
e taglia una parola 
o taglia una testa: 
per me è festa lì dove
comete danzano 
ai bordi di un buco
nero come foglie
attorno a un uragano,
lì dove ruggisce 
una stella morente,
e l'uomo si zittisce. 
Se la parola 
fosse una pistola 
per me uccidere
sarebbe facile come bere
wishkey fra due tette 
strette e sode,
fiume d'ambra 
fra due grandi montagne. 
Corrode la mia vita
un pensiero più 
nero dello spazio vuoto,
un ignoto disgusto 
per ogni respiro 
ed ogni sospiro ...
e sono lì, con occhi persi
come bimbi fra le giostre 
in attesa che le mostre
dell'universo 
aprano i loro cancelli:
quasar quantici 
dolci e devastanti
come spade brillanti
che fendono lo spazio,
universi dispersi
oltre i nostri occhi,
oltre il nostro pensiero. 
Ed è per questo 
che tu, penna, 
devi essere avida 
come un mitra
assatanato di sangue,
distruttiva come un missile,
o diventare uno shuttle 
che mi porti via,
lì dove la scia
di comete della nube 
di Oort danza 
nella distruzione,
come un uragano,
come un piano 
su una strofa 
viscerale. 
Pennivendoli 
dell'epoca, 
puttane 
di alto borgo, 
non potranno 
mai capire 
che tu, Penna,
brilli più nel sangue
che nel miele,
che il fiele sgorga 
dalla tua punta 
come il veleno 
dai denti di un cobra,
e che hai più odore
nella merda 
che nei fiori finti.
Tu sii veemente,
austera e intransigente,
non piegarti mai:
sei il mio unico
binocolo verso 
le profondità dello spazio,
l'unico sollievo per questo strazio
che mi logora
come un avvoltoio
le viscere ancora calde. 
Loro non sanno,
Penna mia,
loro non sanno: 
potrebbero solcare 
l'oceano 
ma si accontentano 
di una pozzanghera.

*

Il brufolo

IL BRUFOLO

Non oggi.
Non ci abbandoneremo
alla malinconia e al dolore,
mentre il cielo si sveste
delle nuvole e l'azzurro
ruggisce nel mio petto.
Non oggi.
Non ci abbandoneremo
alla silenziosa disperazione
mentre svanisce la foschia
e la magia del mare
si rivela nella sua orchestra
di brezze ed onde
che accarezzano gli scogli,
non mentre i fogli
sui quali scriviamo 
il richiamo selvaggio
dell'albero e dell'erba
sono un dolce letto
sul quale sdraiarci
e guardare con occhi
sognanti l'incomprensibile
infinito che ci avvolge
come un mantello di un mago,
che ci fa sentire lo spago
che lega lo spazio e il tempo.
Non oggi.
Non ci abbandoneremo
a torbidi pensieri
ma ai tuoi morbidi seni
dove mi poggerò 
come su bianchi cuscini
per sognare l'eternità,
per sognare la viltà
di un attimo di illusione.
E la cenere si disperderà nel vento,
e le tenere carni vibreranno
come un violino
sotto i colpi di un archetto
sapiente, vibreranno profonde
come colpi di grancassa.
Oggi l'azzurro ruggisce
nel mio petto,
oggi per me l'infinito
è il brufolo sulla tua
gota destra,
oggi per me l'eternita
è la trota nel fiume
che pescherò e mangeremo
con la selvaggia ferocia
di bestie affamate. 

*

Sospeso

SOSPESO

 

Su, animo mio, non cadere ora.

mentre il sole indora il mondo

e sullo sfondo il cielo azzurro

rende questo quadro profondo

e spirituale …

e anche se l’Amore

è un bimbo capriccioso

che mette sgambetti qua e là,

che non si accorge del dolore

e di faccia nel fango bramoso

ci fa cadere e poi va,

fugge lontano …

e se la Morte ha in una mano

un dolce nero e silenzioso

e nell’altra uno schiaffo duro,

madre austera, che alletta e poi punisce,

e ogni suo bimbo, colpevole e timoroso,

aspetta su quel suo uscio oscuro

perché sa che non appena imbrunisce

prima o poi dovrà rientrare …

e anche se la Vita è un mare

sconfinato nel quale naufragare

è semplice, con le maree, con le sue onde,

e su questa nave di nome Umanità

il capitano comanda, lo sguattero si nasconde

per non lavorare, stanco della sua stessa viltà …

tu, animo mio, non cadere ora,

mentre il sole indora il mondo,

e anche se su questa nave affondo

tu vola via, gabbiano volitivo,

la Poesia sarà la tua casa al di là

di ogni nuvola. 

*

La nostra Via Crucis

LA NOSTRA VIA CRUCIS

Scenderò su di te
come un'ombra
nella notte profonda,
fuggendo fra un raggio
di luna e l'altro.
Scaltro come la morte
sarò il vento gelido
che ti accarezza
e ti fa rabbrividire,
languire nel terrore
evanescente di un faro
che d'un tratto illumina
la tua finestra
quasi assopita,
nel dormiveglia
dove il vero e il sogno
combaciano.
Sarò il fischio
nel tuo orecchio
che rimbomba
quando il silenzio
piomba nella stanza
e l’orrore cala sull’anima.
E per te il lenzuolo
sarà tremendo
come un sudario
e il letto ti sembrerà
una bara che ti vuole
inghiottire, e le mura
ti sembreranno terra
nella quale stai
per soffocare,
dalla quale non puoi
fuggire.
E tutto, tutto ti parrà vano,
profano desiderio di niente,
menzogna della mente,
gogna eterna anche fosse
per un solo secondo.
E il dolore che proverai
sarà talmente profondo
che amerai anche il ricordo
di un filo d erba
che brilla di verde al mattino,
di un cappuccino disgustoso
che ti brucia la lingua,
e rimpiangerai ogni attimo
dove un uomo ti ha calpestato
il cuore, uno schiaffo
di tuo padre o la carezza
di tua madre, rimpiangerai
uno schifoso geco che corre
su un muro e una zanzara
che ronza nel torrido
Agosto...
ogni profumo, ogni rumore,
ogni pentola o piatto
che sbattono in cucina
ti sembreranno Mozart
che intona una marcia alla turca, 
e marcia non ti parrà una mela
ma gustoso anche il verme, 
quando le calde acque 
delle terme nelle quali 
ti rilassi sembreranno 
gelide come passi
nudi nella neve. 
Rimpiangeresti tutto questo
se solo anche tu, come me, 
porgendo le orecchie 
oltre ogni nuvola, 
sentissi quanto atroce
sia questo oscuro silenzio, 
quanto sia sconfinata
questa nera croce 
che ci pesa sulle spalle.

*

Selvaggio

SELVAGGIO

 

Lasciami ruzzolare

come un masso ubriaco

dalle cime della pazzia

fino all’abisso della valle!

Lascia il tuo scialle

volare nel vento

come una vela 

che querela

porti sicuri:

le onde

non possono

essere rinchiuse

fra i muri.

E quando

la mia vita

perderà un’altra

pagina,

spero tanto

che sia macchiata

di birra e di vino,

di amore e mirra:

non mi importa

se sangue o lacrime

saranno l’inchiostro …

Versi, donatemi l’oblio!

E se di notte,

fra il chiostro

d’alberi scuri

dove s’ampliano i sensi,

nel mio incedere

sarò il fiume possente

che scorre

nella foresta,

lascia che dispensi

l’ardente natura

quel che dura

da un’eternità

in noi.

All’alba

coglierò

un ramoscello

che sarà la penna

con la quale

scaverò

una poesia nella terra.

Verso la città

i vecchi tetti

fumano come pipe

di vecchi marinai

sempre pronti

a pescar donne

con le reti

delle storie

del mare:

amare spiagge, mostri,

nulla placa la bocca

di questi squali assetati

di salmastri inchiostri.

Mentre si dipana il nero,

voglio raccogliere

quella foglia

per arrotolarne

la mia doglia,

poi l’accenderò

con un raggio di sole

per sciogliere

l’infinito nel nulla

di una nuvola di fumo.

Consumo la mia vita

respiro per respiro,

verso per verso.

Ho appena visto

un sogno scappare

in una tana

come un leprotto

impaurito …

fuggiva forse da me,

aveva forse percepito

che volevo mangiare

come un lupo inferocito?

Lasciami steso qui:

voglio viaggiare

a pieni motori

in questo nulla sconfinato

come una nave

nel suo andare

su un oceano in tempesta!

Quando sarà

finita la mia festa mortale?

Fai palle di carta

delle mie poesie,

e come fossero i miei occhi,

verso la fonte, verso la fonte,

ti prego lanciali lì lontani,

più lontani,

oltre l’orizzonte,

lì dove stelle infinite

ardite brillano

come lucciole impazzite.

*

Il fango.

L FANGO

Solo e pensoso qui rimango,
con gli scarponi nel fango
senza alcun ombrello
a proteggermi da questa 
nera pioggia dei miei pensieri. 
Funesta brama m'assale
mente austera sfoggia 
la luna il suo spettrale 
Sorriso, mentre il vento
stona come un flauto
incapace. Anima mia, 
quale rapace ti ha strappato, 
lacerato, fatta a pezzi 
come una poesia sbagliata
da gettare nel cestino? 
Quale divino respiro
potrebbe mai soffiarti 
in questo fetido 
sacco di immondizia, 
in questa immonda sporcizia 
che cola merda e sofferenza
dai suoi pori? 
Anima mia non sei 
Né vela né aquilone,
Ma polvere che vola 
nel bisbiglio del vento, 
Giglio marcito 
Di questa arida terra. 
Non esser avida, speranzosa, 
non illuderti nella velleità:
la felicità è l'illusione 
Degli stolti. 
Anima mia, ho creduto 
che la poesia ci avrebbe
Accarezzato con comprensione, 
Come una dolce madre 
Che tutto sa del figlio. 
Anima mia, ho creduto 
Che il muto infinito 
Mi avrebbe sussurrato 
Almeno una volta, 
Almeno una volta 
Parole immense come stelle, 
Ma il suo silenzio
Mi ha ricordato 
Che nulla esce fuori
Dal vortice eterno 
Di questo buco nero. 
Anima mia, ho creduto 
Che il fango sarebbe 
Andato via scrollandomi 
Le scarpe, ma è andato
Il tempo in cui ho creduto. 

*

Una bottiglia di vino.

UNA BOTTIGLIA DI VINO

 

Quante volte ho barcollato

Come un ramo nel vento

O come una barca nella burrasca

Per poi sdraiarmi

Nella vasca per annegare

Nei miei sogni

E soffiare i miei pensieri

Come bolle di sapone

Verso il cesso …

Ma cos’è, la vita?

Una bottiglia di vino

che finisce subito.

E dubito, dubito sempre!,

che Dio sia così buono

con i buoni e così cattivo

con i cattivi, che i rivi

dell’inferno siano colmi

di anime penanti

e che le nuvole siano piene

di angeli inneggianti

così tante noiosità.

Zio Satana ha sempre

Dimostrato onestà,

ci ha dato i sorrisi infuocati

e amiche con il caldo fiato,

ci ha dato una soffice perdizione

e il buio dove la nera

canzone può sussurrarci

la sua melodia proibita.

Ma cos’è, la vita?

Una bottiglia di vino

Che finisce subito.

Non c’è nulla di divino

In un cane sbudellato

Sull’asfalto, che sta lì,

chino come un feto

a marcire al sole

pronto per fiorire

di vermi e mosche,

e noi, qui fermi,

come statue di carne

nell’eterna attesa

che il tempo ci sgretoli

come pane raffermo

nelle mani di un vecchio

sdentato.

E’ infermo il mio cuore,

lo ammetto:

affoga nel suo inchiostro

e la penna non è una buona

fune per fuggire

da queste nere sabbie

mobili, da questa infinita

discesa verso il nulla.

Ma cos’è, la vita?

Una bottiglia di vino

che finisce subito.

A volte è bella

Un’ora che leggera

Vola come un colibrì

Scintillante fra le verdi

Foglie senza doglie

E senza timori,

inabissati nel silenzio

dell’infinito,

quando il sole

abbraccia il mondo

come una rossa coperta

ed esperta la lepre

nella fossa fugge

per fuggire i predatori …

per poi arrivare alla sera,

dove la luna

si tinge di magnolia

e il cielo è una veste

succinta di seta nera

pronta a ricoprire

la luna di gelida sensualità,

di omertosa voluttà,

pronta a posare

ammiccante

come una cantante

su un palco buio,

illuminata da un solo

riflettore.

E così le ore, i minuti

E i secondi che vanno

Giù per la gola:

questo consola

il nostro stomaco

assetato.

Ma cos’è, la vita?

Una bottiglia di vino

Che finisce subito,

un sospiro sospeso

fra le nuvole e l’abisso.

 

*

Se tu sapessi

SE TU SAPESSI

 

Se tu sapessi 
cosa è la Poesia
per un Poeta,
quanto pesa
di dolore e 
di pazzia 
ogni parola 
come pietra 
sulle sue spalle
e che di scialle 
colorati adorna
solo l'abisso 
e la malinconia ... 
riveste d'oro 
le cornici 
di un quadro tetro 
e per metro 
della felicità 
ha solo i versi
che dispersi 
molto spesso
fuggono 
come topi
nelle fogne ... 
se tu sapessi 
cosa è la Poesia
per un Poeta,
mai chiederesti 

quale sia 
la meta del mio cammino,
non mi chiederesti
perché guardo 
un pino solitario
e innevato 
come un rosario
bianco e invecchiato, 
non mi chiederesti 
perché sorrido 
compiacente 
alle tombe 
e son felice
nelle spente 
notti di Febbraio. 
Se tu sapessi 
cosa è la Poesia
per un Poeta,
non ti darebbe 
grande meraviglia
vedere un uomo
che bisbiglia al mare,
vedere un uomo 
che cerca d'amare
il buio oltre le nuvole. 

 

*

Carezza

CAREZZA

 

Ti accarezzerei 
come una fiamma
una foresta, 
scivolando 
nella festa del tuo verde
come un serpente corallo
fra le foglie in ballo 
nella brezza di Settembre. 
Ti amerei, 
come un avvoltoio
ama le carni dilaniate 
della sua preda 
mai cacciata,
e nuoterei nei
tuoi pensieri 
come uno squalo
nel sangue, 
ubriaco di fame 
e di tornare nell'abisso. 
Ti abbraccerei, 
come le lame
di un boia 
il collo del
condannato, 
come una bara
che in un fiato 
nel suo stomaco
di terra 
ti divora e butta
giù.

*

De profundis clamavi

DE PROFUNDIS CLAMAVI

Gigantesca, come il mare,
in te la mia anima pesca
abissi sconosciuti, muti
attimi di immensità.
Lascio i crocifissi
d'oro e viltà
agl'uomini che cercano
l'eterno in un perno
di ferro che s'apre
e mostra solo panche
e un po' di acqua sporca
in un lavacro.
In te tutto quel che è sacro
non si vede, è nascosto,
mosto dell'anima,
piede nell'ombra.
Con te ho dormito
sdraiato sulle nuvole,
cullato dal vento
come una vela
che di sera leggera
sfiorava le onde, 
come una prua 
che di sera leggera
fendeva il buio, 
spada di legno.
Il tuo disegno
non conosco. 
Nessuno lo conosce, 
forse solo le cosce 
di una donna che danza
fra i miei incubi, 
che con i suoi occhi
brillanti mi osserva, 
stelle orbitanti
attorno a un buco nero. 
Ti prego, aleggia 
fra i miei versi 
come cieli tersi 
in un malinconico
Gennaio. 
Ti prego, fertilizza 
le mie rime 
come concime 
per le petunie:
il dubbio, il vino 
e la disperazione 
hanno bruciato 
questa terra
ed i miei pensieri 
son contadini 
incapaci di far
fiorire anche solo 
un verde germoglio. 
Questo foglio è un pozzo
senza fine, 
e sulle pareti ha spine, 
roveti inestricabili 
che non mi fanno
risalire:
sono intrappolato 
come una mosca
nella fitta tela 
di questo dolore. 
Ti prego, Poesia, 
dammi solo una parola, 
anche una sola 
che mi illuda,
che la mia anima nuda
trascini nel vento. 

*

Confutatis Maledictis

CONFUTATIS MALEDICTIS

Giorno dopo giorno, notte per notte,
nello scorno e nel dolore vago,
randagio cane o spezzato spago,
in quest'ora di più furiose lotte.

E verso il nulla così m'addentro:
un verso, una bara o una croce
di questo buio che mi porto dentro
non hanno trovato alcuna foce.

E guardo il mare, guardo il cielo,
altare di nuvole ed onde, cade
poi lo sguardo su quel tuo velo
che qui mi separa da quelle strade,
finestra, dove un tempo, con zelo,
speravo, credevo! Cosa accade? 

*

Una poesia qualunque.

UNA POESIA QUALUNQUE

Amiamoci come cani,
ruggendo come leoni
fra i milioni di fili d'erba,
selvaggio letto
con la luce o l'ombra
come lenzuolo.
Scolo un Bourbon
e scrivo una poesia
che sia madida di sudore
ed affanno, del tuo ansimare
e del tuo urlare intonato
come la regina della notte.
Non me fotte più nulla
dei versi ipocriti
e delle strofe al miele
di questi mediocri 
pennivendoli del 21° secolo. 
Io sono un animale, 
un cinghiale inferocito, 
un rinoceronte impazzito, 
un felino ferito 
che si lecca la zampa
dopo la caccia allo gnu. 
Non cerco alcuna 
gru per le mie rime... 
si alzeranno quando saranno
polvere nel vento, o lo sarò io. 
E sento, sento in me 
una rabbia furibonda, 
un'onda irrefrenabile 
che vuole divorare
il bagnasciuga. 
L'oceano si sta 
impadronendo di me. 
Terminata la poesia
ti sveglierò, 
egoisticamente 
ti sveglierò, 
e ti scoperò ancora
fin quando la mia ira
non diventerà lira, 
un accordo dolce
come un usignolo. 
Mi scolo un oceano
e poi mi consolo 
con qualche verso
ubriaco di disperazione. 
Questa vita è una canzone 
tediosa, mi ha stancato. 
Sono stufo di questo secolo 
di poetucoli da 4 soldi 
che si ficcherebbero 
la penna su per il culo
anche solo per un applauso, 
un raglio di un mulo. 
Sono stufo di questo secolo 
dove abbiamo tutto 
non avendo niente, 
dove le stelle son spente 
e accese le luci, 
dove le bocche arrese
sono quelle dei veri.
Dentro di me ruggisce 
un uragano
e non si può contenere
con una boccia di vetro. 
E’ tetro il mio pensiero, 
ma tu, da questo albero nero,
cogline i frutti,
i rutti, le oscenità, 
le radici profonde. 
Ti prometto che un giorno
caverò dal cielo una galassia
e te ne farò una collana
spaventosa e terrificante,
una margherita ombrosa
e infinitamente pesante,
tale che si spezzerà
il tuo collo delicato. 
E già so che domani 
mattina avrò dimenticato 
tutto, ogni divina ambizione
di scrivere una poesia
qualunque, ispirato
da una sbornia 
qualunque. 
Lascia questo 
foglio sul tavolo, 
Grazie. 

*

Il nulla

IL NULLA

 
Lì dove mi giro,
il Nulla. 
In una culla piangente 
che ancora incosciente
non sa che 
il peggior pianto è silenzioso, 
il Nulla. 
Nell'amoroso bacio 
di due teschi innamorati, 
nelle vele lontane 
sui fiati oceanici, 
il Nulla. 
E pensare che un tempo, 
animo mio, 
ogni verso era una droga, 
ogni strofa un'estasi
e fra due morbidi versi
penzolavano i fulmini. 
Ma ora siamo inciampati 
in questa pozzanghera
di fanghiglia e vermi, 
la nostra chiglia 
sì è incagliata 
fra questi scogli 
e nei brogli di questa 
rete siamo finiti, 
pesci senza speranza, 
danza senza musica. 
E lì dove si nasconde il vero, 
nel nero sussurro del silenzio, 
o nelle feste sgargianti 
fra seni e sorrisi violenti
l'ho trovato: 
il Nulla.

*

Alla Notte

ALLA NOTTE

Notte, lenzuola
Di seta nera,
Unica vera tela di un saggio
Pittore dove solo un raggio
Di luna cade, cola
Come il colore bianco 
Ad olio... 
Coprimi notte, 
Dal tuo stesso gelo, 
Baciami notte, 
Velo da alzare
come un burka
Che sotto nasconde
Una donna bella e dolce
Come il mistero. 
Il nero è il colore
della mia anima, 
con sfumature sul grigio. 
Li dove non c'è rumore
Non si può sentire il dolore. 
Li dove non c'è colore 
Invece ci son tutti, 
dai più belli ai più brutti. 
Notte, nero sacco 
Di immondizia che
Ha dentro l'universo
Intero... o forse no. 
Dove la butteremo
La spazzatura 
Quando non ci starà 
Più dentro? 
Notte, accarezzami
con le tue mani nere
fatte di dolci incubi
O sogni feroci, 
purché io dorma, 
purché gli atroci 
pensieri si assopiscano
anche se su cuscini 
di pietra. 
S'arretra la mia anima,
teme il tuo bacio
come fosse quello di Giuda. 
Cruda e la vita
Per chi teme, 
Per chi spreme ogni attimo 
per trovarne la poesia. 
Coprimi notte:
La mia anima trema
Come un ramoscello 
Nella tempesta. 
Coprimi notte:
ho paura che l'alba
mi annoiera' ancora. 

*

Estate

ESTATE.

Oh sole, ardi le chiappe 
sode di quella turista 
sprovvista dell'italiana 
malizia, della profana 
Avarizia d'amore e di lusso. 
Vorrei toccarle, 
come un prete il tabernacolo,
morderle delicatamente 
con le labbra come 
un'ostia morbida 
e solubile, 
come un volubile attimo. 
Se lei sapesse quanto 
mi bolle il sangue 
fuggirebbe come 
inseguita dalla lava
D'un vulcano, 
come un agnello
Da un lupo. 
Ma io son cupo, 
sole, per me il bello
si nasconde nell'abisso
di un dirupo,
in un crocifisso arrugginito
che brilla alla tua luce
D'oro e di sangue. 
E langue l'animo mio, 
langue nel terrore, 
si nutre dell'orrore, 
e cade sull'onda 
Che s'infrange
sul bagnasciuga,
sulla ruga della vecchia
sdraiata a riva, 
sulla carne viva 
Di una spigola scuoiata 
Finita non si sa come
Sulla sabbia asciutta. 
Sole, ardi le tette 
Di quell'americana,
rendile rosse come 
Due mele succulente:
voglio accontentarmi
Di quel che la gente
Comune s'accontenta. 
Togli dalla mia testa 
l'eterno e l'infinito,  
togli le stelle e le galassie,
togli l'inferno e la poesia, 
la magia del tutto col niente,
del costruire un mondo
con poco inchiostro. 
Un verso è un mostro 
che divora l'anima, 
un leone che ti sbrana 
le viscere fin quando 
Non lo liberi dalla sua strana
Gabbia di paura e sbando. 
Sole, ardile il ventre ti prego, 
fai brillare il mare 
di una stupenda illusione, 
fai si che la tua canzone
Di luce e immensità 
Sì propaghi come un'orchestra
Di fiati e violini 
alla finestra di un carcerato! 
Fra queste sbarre d'ossa
Mi sento soffocare, 
In questa camicia di forza 
Fatta di carne e disperazione 
Sto per impazzire! 
E non so se ardire 
la morte sia una cosa giusta,
se la frusta del Diavolo 
sarà più rovente di questo
Tuo raggio che odio 
come il cavolo
al posto del gelato. 
È un soffio leggero
questo nero 
Che mi porto dentro, 
un soffice vento 
pronto a spingermi
non appena il piede
Metterò male sul ciglio 
Dell'abisso. 
E nulla valgono 
i bagliori, le feste 
E la canzone 
di questa stagione 
rovente, nulla vale 
fin quando non arderai 
Le chiappe di quell'americana
e le renderai rosse e dolci
come un cocomero 
ad Agosto. 
Quante donne 
Hanno fatto mosto 
Della mia anima, 
pestando il mio orgoglio 
Con piedi luridi 
di terra e convinzioni, 
di ragioni e ruvidi 
pensieri le loro labbra
Sempre pronte 
A proferire.  
Ma è estate, sole,
ardi come mai
Hai fatto prima!
Ardire, questo è il problema!
Nessuna rima
Fra mare e orizzonte
Riesce a placare
Questa tempesta 
Che sta devastando
La casa della mia anima:
niente placa 
Questa funesta brama
Di fulmini e tuoni
Che danzano 
Come amanti 
Al loro primo ballo!
E tutto non varrà niente,
sole, finché la mente
Mia non desidera 
Quel che desiderano 
Gli altri, 
finché i buchi neri
E le galassie balleranno 
Nel mio cranio 
Come uranio in una bomba,
come vermi in una tomba,
In questo mio dolore chino,
finché non mi accontenterò
Di un fiore ma vorrò il giardino

*

Mirabilia

MIRABILIA

 

Non sapremo mai se nei boschi

Dei sogni conosceremo

Un albero dai frutti dolci

Come il silenzio.

Penso ancora a quel vento

Che faceva cigolare i rami,

quella terra sotto la mia schiena,

quel cielo nei miei occhi,

la bocca vuota ma felice.

Fra le foglie si nascondeva il sole,

e dal mio promontorio

la musica del mare

mi cullava come una imbarcazione

fra le onde sconfinate.

L’immenso si nascondeva fra le cose,

i fiori si chinavano al vento

come tanti sudditi

che si chinano al loro padrone.

Temerario, non avevo paura

Di affacciarmi dal precipizio

Sul mare,

di vedere il sole

che si rifletteva

e faceva quella distesa

un letto d’oro

dove vedere assopite

le proprie angosce.

L’infinito si stagliava

Sotto e sopra di me,

e come un gabbiano i miei

occhi folli

volavano verso l’orizzonte,

incuranti, verso il ciglio del mondo,

sperando di cadere in un sogno.

E non volevo altri miracoli,

se non il cielo nei miei occhi,

la bocca vuota ma felice.

*

Pasqua a Dachau

PASQUA A DACHAU.

 

Cristo per noi non è morto.

Anche a noi cinge il capo

Un recinto di spine.

Non è risorto

Il Signore negli occhi

spietati dei latrati

dei cani tedeschi.

Teschi non vedo,

ma ovunque scheletri.

Feretri e canti

per noi sono la cenere

e i pianti dei dannati,

i fucili urlanti

come penne

dai comandi disperati.

Divenne in noi colpa

la colpa di altri.

La nostra polpa,

le nostre viscere

non nutriranno il ricordo

dei cari, ma solo la terra.

In questa serra di sangue

Non crescono fiori,

ma dolori e malattia.

E dell’umana follia

E dei suoi quadri insanguinati,

Siamo le ultime vittime,

gli ultimi silenzi disperati.

*

Il silenzio del mattino

IL SILENZIO DEL MATTINO

Con le braccia aperte
Come ali nell’azzurro
sento il vento
Scivolarmi
Addosso,
Sento la fresca carezza
Del sole mattutino.
E dopo aver aperto
Le finestre la tua pelle,
Pesca prelibata,
Assaporo.
O come ristoro
Il mio pensiero
Quando col mio dito
Ti scivolo sulle schiena
Come la rugiada
Su un petalo succoso,
Quando col mio dito
Ti scivolo sulle gambe
Come un rivo
Nei boschi.
I foschi pensieri,
Per un attimo,
Sembrano svanire,
Solo per un attimo.
E mi sembra di udire
Le nuvole.
Mi sembra di udire
Il prato, il mare e il vento
E le loro parole
Incomprensibili.
E un'estasi 
Ed un'illusione
Così potente che vorrei
Fosse eterna,
Ucciderei per far si
Che fosse eterna
Come il buio galattico. 
Guarda come sventolano
Le tende, 
Sventolano come bandiere
Che rendono fiere
Intere nazioni. 
Ma per me, 
Mia Venere, 
Tu sei la mia nazione, 
Tu sei la mia fierezza, 
Tu sei la mia magione, 
Tu sei la mia interezza, 
Dolce, gigantesca e stupida
Come un mare piatto, 
Un coatto desiderio
Di vita. 
Come splende il sole, 
Come brilla e fa risplendere
I fiori, gli alberi e le cose, 
Come profuma 
Di assoluto 
Questo muto mattino
dove a stento
Si possono udire 
Solo il mare, le nuvole
E il vento. 

*

Tramonto nella tempesta.

TRAMONTO NELLA TEMPESTA.

 

Che desolazione che mi dai, Tramonto!

tutto langue e si affievolisce

come un fiore che marcisce

e a cui la tempesta non fa sconto:

fulmini, grandine, vento, dolore …

tutto si spegne e perde colore,

tutto decade, tutto si piega

e l’infinito orizzonte si nega

dietro questo spesso muro nero.

E alle onte mortali qui presenzio:

un cane fugge la pioggia, un pero

si spezza e s’infiamma, e licenzio

l’animo da questo eterno mistero

mentre tutto si avventura al silenzio.

*

Ballata per la poesia.

BALLATA PER LA POESIA

A volte vorrei scrivere
di albe incandescenti,
ardenti amori di folli
Sentimenti, di passioni
spezzate, erosioni
della roccia e del verso.
Ma mi son perso,
anima mia, perso
in questo nero silenzio
in cui solo la brezza
A volte le foglie
fa tremare...

Poesia, salvami
Da me stesso!

Confesso, terribilmente
confesso che ho sognato
Per un attimo l'eternità,
di indossare un cappotto
Di luce che mi proteggesse
Da questa Siberia dell'anima!
Ed esanima la mia penna,
dottoressa sapiente,
questo spirito in rigor mortis
Con un bisturi ancora
Più gelido, fatto di metallo
E disperazione. 

Poesia, salvami 
da me stesso! 

Confesso, confesso
che ho sognato 
per un attimo l'infinito, 
un ruggito indomabile
come l'oceano in tempesta, 
una festa di stelle, 
di galassie e comete, 
sete di oscure fonti, 
pure come gli squali
E i fondali più tenebrosi. 
Ma nulla, nulla ho trovato, 
se non acqua di cesso! 

Poesia salvami 
da me stesso! 

Confesso, terribilmente
confesso che ho sognato
la morte, l'illusione della pace, 
per fuggire questa brace
sulla quale la mie carne
di maiale sta trasudando
grasso e angoscia, 
nel cui passo fatale
ho sperato di cadere
in un sogno di angeli 
cornamuse e dolce vizio,
E non in un precipizio.
Ma è stupido un uomo
Che spera, ardentemente
Spera.

Poesia, salvami
Me stesso!

Confesso, confesso
di averti sognata poesia,
mente il vento sfogliava
L'azzurro come un libro
Immenso e profondo,
E non nascondo che
Per un attimo ho tremato,
sperando di leggere
una sola parola,
Anche solo una parola!
Ma è stupido un poeta,
stupido come
Un bambino, non si
Consola se non con
Il latte della madre.

Poesia, salvami
Da me stesso! 

*

Se mi cercherai

SE MI CERCHERAI

 

Se mi cercherai, 
cercami dove fiorisce
un ruggito selvaggio
all'ombra di un faggio,
di un olivo o un tulipano,
li dove s'infrange un'onda
come una bionda
che irrora la gola di un povero
assetato. 
Se mi cercherai,
cercami dove una penna
lacera l'aria come un cavaliere
indomito, li dove il vomito
diventa un oceano 
di disperazione e dove è il nero
canzone e canto un veliero,
dove l'infinito si frantuma
e la luce consuma 
fino a diventare tutto,
dove un rutto è melodia 
e un verso uno schiaffo
dolce e tormentato come Saffo. 
Se mi cercherai, 
cercami dove lieve 
come un lenzuolo è la morte
e la neve pesante 
come bianchi macigni,
dove i cigni starnazzano 
e si ammazzano per un
raggio due stelle. 
Se mi cercherai, 
cercami dove tutto ebbe inizio,
dove per sfizio 
palle di atomi 
hanno iniziato 
a danzare nel caos. 

*

Furia

FURIA

Cos'è questo sentimento
che mi divora dentro
come una iena
un cadavere ancora caldo?
Mi logora, sbrana il pensiero,
saldo al mio stomaco
con i suoi canini affamati,
insaziabili.
latrati di sangue
emetto da questa
gola animale,
da bestia selvaggia
che ha per collare
e guinzaglio la cravatta
e per gabbia una giacca,
un sorriso.
O come sono inviso
all'uomo, come disprezzo
il duomo, la casa ed il bar,
le cortesi maniere,
le stupide preghiere
e le sere fra tediose
parole di questi
uomini di cartone.
Canzone mia,
il tuo nutrimento
sia sempre il sangue!
Lascia a queste
bocche ipocrite
il caviale ed il gourmet,
lascia loro il te
e le brocche di vino
francese.
Per noi maiale
ed il vino campestre

con offese
E maleducazione,
sorprese
per noi anime
Complesse!
Lascia loro
queste parole
di seta e velluto,
questo riso
di peste, ossuto 
corpo di muse 
violacee ed oscene.
È altrove la meta 
del nostro cammino,
altrove i nostri 
occhi si posano 
lì dove si sposano 
le stelle ed il buio, 
lì dove ruggisce 
indomito il romito 
canto del vento. 

*

Il ragno

IL RAGNO

 

Io ti invidio,

che non conosci

il terrore del gelo

delle notti solitarie,

quando l’orrore

assale la mia anima

come una nera pantera

che si fionda

da un albero sulla preda.

Così certa, Anthea,

amore mio, tu non conosci

gli scrosci dei fiumi

dei boschi oscuri

dove cammino

cercando stelle riflesse

nelle acque di questo Stige,

cercando la salvezza

dallo schivo e fatale pensiero.

E vivo, in quest’ebbrezza

Oscura che mi esalta

E mi abbandona,

che opprime la mia anima

come una pistola sulla tempia.

E nulla mi consola,

neanche il tuo corpo

e il tuo sorriso malizioso,

neanche la poesia

che, come un ladro bastardo,

mi ruba ogni giorno

di un pezzo d’anima,

che mi mostra il mare

e poi vuole affogare

nel suo immenso

ogni mia maledetta

frustrazione.

Io ti invidio,

che non hai mai

sentito quella canzone

tetra che promette

che la fossa sarà

riposo e pace,

che mi ricorda

che tace il dolore

lì dove tace il cuore,

lì dove tace l’umanità.

E tu sai, sai perfettamente,

come avrei dato la mia vita

solo per esser chiamato “poeta”,

per scrivere una strofa d’acciaio,

un verso di diamante,

una rima devastante

come un uragano.

Ed a volte ci penso,

lo ammetto:

accetto il mio petto

come un tronco secco

per gettarlo nel camino

e riscaldarmi in questo

infinito gelo,

per scongelare

il triste pensiero …

ma questo fuoco nero

non riesce neanche

a riscaldare le mie parole!

La penna trema

Nelle mie mani

Come un fucile

ad un cadetto

In guerra,

come un ramoscello

nel vento di Dicembre.

Non te lo nascondo,

mia dolce mosca:

a stento potrò

andare avanti ancora,

a stento potrò

guardare

questa notte fosca

senza provare

disgusto in questo angusto

anfratto di dolore.

La malinconia

È una tirannica regina

Che ha per scettro

Follia, fame ed angoscia.

E le lame del pensiero

Hanno tagliato le mie vene,

la mia carne,

come fosse burro,

e hanno riempito

la coppa di questa

puttana del mio sangue

avvelenato,

del mio sangue disperato.

Io ti invidio,

perché tu non conosci

il Dubbio, che si attanaglia,

si nasconde come un ratto,

che sguscia fuori dalla sua

tana e squittisce fastidiosamente,

e del banale formaggio

non lo farà cadere in trappola,

non mi permetterà

di ammazzarlo

e di gettarlo in un cassonetto

per non rivederlo mai più.

Non ho più poesia

Nelle mie corde:

il fumo, il vino e la disperazione

le hanno logorate,

corde di violino usurate,

dal suono osceno.

E mi dimeno,

come un pazzo

con la camicia di forza,

ma mi legano fili

invisibili, ragnatele

indistruttibili,

ed il ragno

sta per venire a prendermi,

sta per divorarmi.

*

Solitudine

SOLITUDINE

 

Notte che sogni,

notte che vai,

notte che sussulti,

notte che in lai

contorti le sorti

urla il tuono

al mare increspato …

come il fiato

di una donna

ansimante

la brezza

mi accarezza

l’orecchio

e lo specchio

mi mostra

la parte più bella

di me: la sagoma buia

di un sogno oscuro.

E caparbio e duro

Con penna e carta

Provo a contenere

Fra due lettere

Il cielo inferocito,

fra due versi

l’infinito andare

di questo tempo

convesso,

e in una poesia

me stesso.

*

Il treno inarrestabile

IL TRENO INARRESTABILE

 

Mi avventuro, treno sfrecciante,

Fra queste terre sconosciute,

e lì dove mi giro vedo prati

verdi e campi e serre,

e fiori lussureggianti

e coltivatori stanchi.

Molto spesso

Mi accosto ad un fiumiciattolo,

e vedo papere starnazzare

e pescatori gettar la lenza

a caccia di un misero pasto

e vedo il sole brillare nelle acque

e di notte galleggiare

qualche bianco pallone

perduto come una luna

da un bambino disattento.

E quando il cielo è spento

Cosa vedo nelle grandi città

Nelle quali passo

Quatto quatto

Sperando che salga a bordo

Qualche donna benpensante

Che poggi il culo

Sui miei duri sedili

Per andare a cercare

Il nascosto amore

Di lenzuola segrete!

La mia rete elettrica

Mi porta sempre

Nuova energia,

e mai posso fermarmi,

però, a guardare

effusioni d’amore

tanto eccitanti quanto proibite …

e allora sulle ardite rotaie

non spezzo mai il mio cammino

di ferro

e continuo nel mio andare

a caccia di nuovi

e inusitati luoghi

di qualche inaudita

cittadina di mogli

bramose e di mariti

distratti.

Ma non posso fermarmi,

sempre a caccia di anfratti

più oscuri dove

la vita mi mostri

qualche dolce e tremenda

visione.

E molto spesso ho visto

Ciò che gli uomini

Pensano di vedere

Nei loro sogni più arditi:

ho visto albe fiammeggianti

trasformarsi in brillante azzurro

fino a divenire buio ancora,

e poi stelle brillare più del sole

mentre lucciole intingevano

le loro ali sdraiate nell’erba

illuminandosi all’amore …

E ancora campane

Risuonare nell’etere opaco

Fra preghiere disperate

A caccia di una tavola

Oltre la tenda azzurra

Che si trovava innanzi

Gli occhi loro.

E denti volare

E zigomi fracassarsi

Come bicchieri di vetro

Mentre ragazzi

Urlavano come scimmie

A caccia del loro albero

Dove arrampicarsi

E dove poter rovistare

Nella pelliccia

Degli amici qualche pulce gustosa

E succulenta.

Molto spesso ho visto

Morire un uomo

Che aveva per letto

L’asfalto

E per coperta il cartone

E ho visto

Ladri attendere

Come lupi

Con una zanna

In mano

Dietro un albero

Qualche innocuo

Passante

Per mozzicargli il portafoglio.

E ho visto giovani

Vomitare come cascate

La loro disperazione

E ragazze perdersi

Fra molte braccia

Irsute a caccia

Di un abbraccio

D’affetto che il padre

Non gli ha mai dato.

Ma io non mi stanco,

l’elettricità scorre

nelle mie vene

e ancora cammino

col muso di metallo

in avanti come la prua

di una nave fra i colpi

di un mare in tempesta,

fra giorni che si sopiscono

nelle bore raggelanti

delle terre del nord,

fra la rugiada delle foglie

che brilla nelle albe

delle terre del sud,

nella pioggia incessante

che ossida la mia carne …

non ho paura che un giorno

il tempo farà di me una carcassa

di ferro da gettare

in qualche buio magazzino

o liquefatta in qualche

forno infernale,

finché l’elettricità

scorrerà nelle mie vene

potrò correre fra boschi

bui o svettare su una montagna

fiancheggiando un mare

scintillante sempre a caccia

del capolinea,

lì dove lo spazio e il tempo

si dissolvono come polvere,

lì dove, nascosto a tutti,

il cielo si ricongiunge

alla terra e zampillano

a fiotti le eterne feste

delle albe fiammeggianti

e dei turbinii delle tempeste.

*

Il nero altare

IL NERO ALTARE

 

Al tuo nero altare, Poesia,

ho posato le mie viscere.

d’ogni fiato ed ogni verso,

d’ogni parola, lettera o rima,

di tutto quel che concima

il mio corpo come il cibo

ed il sangue, come la merda

e le ferite, delle più

ardite orchestrazioni

che il mio pensiero

abbia mai suonato

vagando oltre i cieli,

sospeso nel buio

dell’universo sconfinato …

ho fuso per te,

alchimista inesperto,

amore e morte,

pazzia e saggezza,

magia e trucco,

metalli rari

che in quest’era

di idioti son destinati

ad essere nient’altro

che la cornice

di una scimmia urlante

ignara del circo

pagante in cui

si pavoneggia,

impregnata

di squallidi profumi

e adornata d’oro

e stupidità. 

Altre volte ancora

scarnificherei la mia

stessa pelle per farne

tovaglia del tuo altare,

altre volte ancora

ucciderei mia madre

pur di sentir brillare

le fanfare

non appena mi avvicino

al tuo marmo gelido,

bello e insensibile.

Mai a nessun Dio

mi sono genuflesso,

a nessun tabernacolo,

nessuna croce

mi ha spinto a piegarmi

se non quella penna

masticata

e quel foglio

sul quale ogni giorno

non mi resta

che scriverci col sangue.

Langue la mia vita,

ma tu no:

eterna e insensibile

come il Tempo,

al tuo nero altare

controverso

si inginocchieranno

gl’uomini, gli Dei,

il sole e l’universo!

*

La nera coperta

LA NERA COPERTA

 

Magica, come la notte, 
Avvolgimi di una nera coperta
E portami lì dove aperta
Una finestra 
Mi mostri la luna. 
Fragile ginestra, 
La vita è una minestra 
Insipida ed il mio sangue 
Non è un buon sale
Con il quale condire
Questo insensato morire, 
Vivendo. 

Un giorno, forse, la poesia
Tornerà ai suoi antichi albori,
Quando gli allori 
Erano brillanti corone 
E prone le stelle si piegavano
Come muse alla sua penna
Pronte a farsi dipingere
In tutta la loro maliziosa grazia. 
Ma quel tempo non è oggi.
Oggi cerchiamo più tempo
Sprecando il tempo. 
Oggi è prosa, oggi è una rosa
Che ha sul suo stelo merda,
E non petali. 


Ma tu, magica come la notte, 
Avvolgimi in una nera coperta
E portami dove scoperta 
Come una donna 
La galassia mi mostri 
I suoi segreti, 
Senza pudore!
I versi sono preti 
Ai quali un poeta 
Deve confessare tutto, 
Anche se non crede, 
anche se non vede 
Che buio nel buio. 
Muoio, muoio vivendo!
E svendo la mia anima 
al diavolo ogni giorno
Per un po’ di fuoco 
Che mi riscaldi 
Da questo gelo eterno!
Anche l'inferno 
È meglio di questo purgatorio
Di silenziose penitenze,
Di questo dormitorio 
Dove anime si assopiscono
In limbici sospiri, 
In giri di lenzuola. 
La vita è una scuola
Dove i maestri 
Morte, Amore, Dolore 
e Pazzia ci insegnano, 
Con sguardi di scorno, 
Che tutto brilla, 
fino alla fine del giorno. 

Ma tu, magica come la notte, 
Avvolgimi in una nera coperta
E portami dove esperta 
Concedi ai poeti, 
malati, pazzi e disperati,
I fiati dei buchi neri, 
Il verso lirico di una particella
Nel vuoto,
Il respiro dell'universo ignoto. 

*

La rosa di vetro.

LA ROSA DI VETRO

 

Tu non sai
Cosa mi hai dato
Con le tue calde
Cornamuse ed i flauti
Di vento e nuvole
Nei quali ho sognato,
Ho sognato come
Uno stupido bambino!
Son alieno a quest'era
Di muse di plastica,
Di spastica brama
Di vivere, insensatamente.
Ma la mia mente,
La mia mente è un uragano,
Un piano di note folli,
Di colli di bottiglia
Spaccati in una rissa.
La mia mente è un'orgia
Di disperazione e tulipani,
Papaveri e arancione
voglia di dipingere
La velleità.
E la viltà è l'arma
Dei caduti,
Liuti di cartone,
Canzone di polvere,
Strofa di rovere
E maledizione.

Tu non sai
Cosa mi hai dato,
Un fiato fra gli affanni
Delle sigarette
E della ragione,
Un piatto di pennette
Al salmone
Nei quali ho dimenticato
Di essere chi sono.
La poesia non mi ha
Tirato fuori dal caos
Imperscrutabile
Di un battito di ciglia,
Di una danza di buchi neri.
La poesia non mi ha
Tirato fuori dai tremori
Di un vento di Dicembre,
Ed a stento riesce
A coprirmi con una coperta
Di versi e di parole.

Tu non sai cosa
Mi hai dato
In questa tempesta
Silenziosa, in questo
Buio immenso
Che non mi ha mai
Svelato niente!
Sono un demente,
Lontano dal genio
Come un profano
Dall'occhio di Dio.
E mio è il dolore
Di veder le stelle
E provare ancora
Un'immensa tristezza,
Pezza per pulire
I cessi di un pub.

Tu non sai
Che amarezza si prova
Nell'alcova sognante,
Dove piante rigogliose
Marciscono perché
Mai le ho innaffiate,
Perché nell'errate
Poesie ho soffiato
Il loro ossigeno puro!
È duro il pensiero,
Come un macigno
Al piede sull'orlo
Del fiume,
Come piume perdute
Da un'allodola qualunque.
Dunque, comprendo.

Tu non sai
Che comprendo Buchner,
Majakovskyi e Rimbaud,
Che sono pronto
A mollare tutto
Per l'illusione dell'illusione,
Per un rutto dopo
Un buon pranzo,
Per un avanzo di cielo
In un'alba opaca,
Per una lumaca succosa.

Tu non sai
Ma una rosa di vetro
Ho raccolto,
Spaccata e tagliente
Come un coltello da carne,
Come un orpello della mente.
E la donerò, la donerò
Con pazzia
A qualsiasi donna
Che sorriderà
Alla mia poesia,
che tremerà
Per un mio verso
Perso nel buio. 

*

Pioggia

PIOGGIA

 

Ti ho cercato, 
lì dove l'inferno 
arde di una fiamma
nera ed inesauribile
polverizzando ogni speranza,
lì dove danza 
il caos ed il mare in burrasca,
lì dove il canto casca
fino a diventare
un urlo di disperazione. 
Ti ho cercato lì dove
le nuvole ed il cielo
turchese si mescolano
con divina passione,
lì dove il vento accarezza
le gardenie, i girasoli 
ed i tulipani,
lì dove i soli 
brillano di infinito 
splendore,
lì dove un colore
diventa sgargiante
come un coltello,
lì dove un pennello 
cattura un atomo. 
Ti ho cercato in un 
goccio d'inchiostro,
in un pulsante 
su di una tastiera,
su una scogliera
scintillante
dei mari del sud,
in una Bud 
o in un vecchio
libro ad 1€ 
sulla bancarella
di qualche povero
che racimola qualche spiccio, 
nel riccio di qualche donna 
colma d'amore,
nel dolore di un caro
inghiottito dalla terra
e dalla polvere. 
E’ così, poesia, 
che ho capito, 
che ho appreso:
mi sono arreso 
e ti ho vista 
scivolare per un attimo, 
per un secondo,
come una goccia 
di pioggia sulla mia anima. 

*

Memento

MEMENTO

 

Quanto ricordo il placido

Andare del mare cullante

E Le vele spiegate tirate

Dal vento!

Ero stupido e giovane

Come un orango

Danzante

Al selvaggio tango

D’amore.

Non conoscevo l’orrore

Del silenzio e il dolore

evanescente di una luna opaca.

Il mio cranio

Era una cloaca

Di vino, sogni e pazzie,

le mie poesie

scazzottavano fra loro

come marinai in taverna

alla ricerca dell’oro

di un vascello inabissato

in mari profondi.

Ad oggi, se ripenso

A quei giorni,

rimpiango l’idiozia

e la magia

di un puledro indemoniato

che nitrisce al vento!

E’ andato il Tempo,

acerba primavera

che da verde mela

matura e s’infiamma.

E’ andato il Tempo,

fugace vampata

d’estate che ti

accalda e fa languire.

E’ andato il Tempo,

petali d’autunno

che cadono leggeri.

E’ andato il tempo,

gelata corteccia

dell’inverno eterno.

E così, così finiremo

In questo infinito

Mare nero:

naufraghi nell’universo.

 

*

Rime a cazzo.

RIME A CAZZO

 

A te, che vuoi provare
il sentire di un poeta, 
che vuoi modellare
la creta del mio spirito
con le tue mani 
Dolci e delicate, 
che non hanno 
Mai sfiorato merda, 
neanche per pulirti 
Il culo. 
A te, che vorresti
Sentire il mare 
Che ti si smuove 
Dentro nei suoi uragani
Ma che non senti altro
che un piccolo sciacquone
Che vorticoso 
Porta nelle fogne 
La tua urina. 
A te, che divina, 
nel tuo ampolloso 
incedere, vuoi far credere
di essere speciale, 
come se caduta
Dalla tua astrale
Dimora fossi a noi
Venuta, bellezza 
Irraggiungibile. 
A te, regalo questa 
Pezza con sopra 
Qualche verso
e qualche rima fumosa,
questa pezza bucata 
Dalla cenere di una sigaretta,
sporca di scarpetta 
Nel pomodoro 
E di vino rupestre,
ricordo del campestre
Idillio dove ti ho scopato
la prima volta 
Approfittando della tua
Ubriacatura. 
E lo so
che leggendo questa 
Poesia rimarrai 
Nobilmente scandalizzata 
Dal mio linguaggio gretto, 
onesto e leggero. 
E so che citeresti 
Antichi latini o greci,
ricordando la purezza
della forma dei loro testi,
la solennità dei loro versi;
ma anche a Orazio 
E Catullo giravano 
I coglioni, forse a Catullo
Un po’ di più. 
E non me ne frega
Più un cazzo della gente,
io scrivo per me, 
egoisticamente per me:
la poesia è diventata
Uno specchio 
Dove mi vedo 
Più scarnito, più stanco
E svogliato, 
annoiato dall'uomo,
galvanizzato dai buchi neri,
dai blazar e dalle tempeste
Elettromagnetiche;
vorrei morire e rinascere fulmine,
un fotone in un fascio di luce,
una truce valanga
che svanga il presuntuoso
Alpinista a caccia di adrenalina.
A noi uomini non basta
Mai chi siamo,
cerchiamo sempre di più, 
un tocco in più di colore
Sul quadro,
una forchettata di più 
Nel piatto di spaghetti … 
Anche se siamo sazi,
solo per ingordigia.
E non sopportiamo 
Una giornata grigia,
cascasse il sole.  
Ognuno abbia 
Ciò che vuole,
mia brillante duchessa;
l'ubriacone la bottiglia,
il drogato la siringa,
il credente la sua croce,
Il suo Corano o il Gonzo ... 
Lascio all'uomo il suo culmine. 
Ma io, io vorrei rinascere
Fulmine vibrante 
Nella tempesta,
goccia d'oceano
Che si frantuma 
Sugli scogli 
Schiumante di rabbia
E potenza, veemenza 
Naturale. 
Vorrei rinascere pugnale,
per esser estratto dalla guaina 
E conficcarmi come un dente
Di lupo nelle viscere 
Di un condannato. 
Vorrei essere un fiato 
O un violino pronto
A suonare Mozart,
pronto a vibrare 
nell'aria sciabolando
Come una spada 
Brillante e invincibile. 
C'è chi cerca 
Gloria eterna e fama,
c'è chi cerca denaro
o un rogo d'amore,
Nella maledetta poesia ... 
Ma io cerco solo un sfogo,
uno sfogo per questo tormento
Che mi porto dentro,
Fastidioso come una mosca
E doloroso come un pugno 
Nello stomaco.
Non cerco la Tosca 
O il Macbeth, 
non cerco l'Everest,
La catechesi del verso ... 
Quindi non rompere 
I coglioni e prendi 
Queste rime a cazzo.

Lascio all’uomo il suo culmine,

lascio all’uomo i versi

di seta e le strofe di velluto,

ovunque egli si perda,

in un anacoluto

o in una dieta di parole,

e mi tengo la mia

merda.

*

Ballata del buio

BALLATA DEL BUIO

 

Il buio mi ha colto,

ed io non ero pronto.

 

Troppo spesso

Ho bramato la morte,

non lo nascondo:

un infinito silenzio di nubi

morbide come un’ovatta

pronta a tamponare

l’emorragia di queste mie

esistenziali ferite.

Ardite le mie rime

Accarezzano l’abisso

E i miei versi, o i miei versi!,

sempre di più si stringono

come un cappio attorno

al collo, un cappio

di maledetti pensieri

sempre più stretti e soffocanti!

 

Il buio mi ha colto,

ed io non ero pronto.

 

Son pochi gli uomini

Su questa terra

Che possono comprendere

Un Poeta …

pochi possono comprendere

che egli vede l’arancio

delle note di una chitarra,

il profumo di una parola,

l’amaro sapore

di un quadro triste.

Pochi possono comprendere

Che becchino crudele

sia il foglio bianco,

e che pala efficiente

sia l’inchiostro,

lupi affamati

pronti a scavare

con i canini

l’animo nostro

fino alle budella,

fino al fegato e allo stomaco.

 

Il buio mi ha colto,

ed io non ero pronto.

 

Ho vissuto albe incandescenti,

fiammanti amori,

candide ebbrezze,

fulgide illuminazioni,

cupi giorni,

notti profonde,

tristi baci …

ma mai, mai e poi mai,

qualcosa per me

avrà più importanza

di guardare l’universo

e perdermi

come una vela nell’oceano.

 

Il buio mi ha colto,

ed io non ero pronto.

*

Orione

ORIONE

 

Sono avide d'azzurro 
Oggi le vele, 
Ed in un sussulto 
Del tramonto 
Le onde si infrangono
Come docili carezze,
Come lembi di fiamme 
Che accarezzano 
Una foresta,
Come una lama 
Il collo prima di far
Cadere la testa. 
Ed anche io, vela ubriaca, 
Corro verso 
La curva dell'abisso
Per cadere nella notte: 
Non so cosa troverò 
Dall'altra parte
Ma è sempre meglio
Di una fragile tempesta. 
Non mi importa 
Della pioggia o dei fulmini,
Scaverò con il timone
Un verso nell'oceano 
Sulle rotte di Magellano,
E danzerò come 
Una goccia d'acqua 
nel tifone
Del Pacifico
A caccia di una stella
Mai trovata. 
Chissà su quale 
Isola esotica cadrò 
Alla deriva, 
Li dove è viva 
L'Antica alba 
E le labbra delle donne
Hanno il sapore della terra,
Mentre Madonne 
Vestite a stracci 
Scambieranno abbracci
Per qualche Moneta
Con marinai ubriachi. 
E nei rauchi canti 
Delle taverne unirò 
Lo scricchiolio 
Della mia chiglia 
Che ha affrontato
Iodio e schiaffi
Dei neri marosi 
Delle acque profonde. 
E ubriaco di pioggia,
Di sole e di sale, 
Mi riaprirò ancora
Al vento, 
Pronto a farmi 
Sospingere verso il Maestrale
ed i porti del nord,
Dove impetuosi 
I fiordi ci osservano passare
Insieme a fiori di ghiaccio 
E puma dalla pelle ocra. 
E mentre fuma, 
Il vecchio nostromo,
Come inonda di tabacco
E vecchie storie di mare
Le intere brezze!
Amare, amare giornate
Mio scafo di cristallo!
Abbiamo cercato 
Nella Senna, nel Tamigi
E nel Nilo il filo 
Trasparente
Dell'eternità,
E quante volte,
In piena notte,
Ci siamo persi
Sotto Orione, 
Cullati dalle maree ... 
Scivolando verso
Oriente su onde di seta,
Navighiamo nel sakè 
E con la prua puntiamo
Ancora le tigri dell'Africa,
Dai canini affilati 
E dalle pelli ferocemente
Screziate. 
E così,  lentamente, 
Scivolando da un’alba ad
Un tramonto, veloci
Come fulmini, 
Scafo mio, 
Mi aprirò affinché il vento
Ci porti sempre 
Li dove il sole ruggisce 
E dove il buio avvolge
L'anima come un mantello
Di un mago infinito. 
E lì,  sempre li il nostro ago,
La nostra bussola 
Indicherà la via:
Li dove il sole ruggisce,
Li dove di notte,
prua a vento, 
Sventolando inerme
Sotto Orione,

sotto stelle amare,
il mondo svanisce
Nella canzone del mare.

*

Locus Amoenus

LOCUS AMOENUS

 

Un giorno sprofondai 
Nella tristezza
Come il sole nell'orizzonte.
Ardevo, Ardevo come
Quella schifosa palla
Infuocata ma ero piccolo
Come il pallone ingenuo 
Di un bimbo che cade
In un fosso o un fiumiciattolo. 
Rincorrevo uno scoiattolo
Come un sogno 
Evanescente al mattino ...
Cercavo solo di capire,
Cercavo di capire
Cosa voglia dire 
Morire ed amare,
Amare da morire
E morire per amore,
questa frasi tanto
Stolte quanto essenziali,
Queste parole dolci 
E fatali, al contempo. 
Ed io ero giovane 
E forte come un pino
Rigoglioso, ancora
Non spezzato dalle tempeste
E dagli inverni. 
Ancora non capivo,
Non capivo nulla della vita
E della gita in questo corpo,
di quanto fosse caro
Questo affitto 
Con il suo prezzo
Di dolore e di malinconia,
Con il suo prezzo di follia,
disperazione ed orrore. 
E correvo nei prati,
Calpestando i fiori
Ed ammazzando 
Le formiche, le lucertole
Ed i vermi, ridevo 
Delle bettole dove vedevo
Gli adulti rantolare 
Come macchine ingolfate,
Per dimenticare rate,
Bollette e puttanate varie. 
Ed ero così immensamente
Felice della mia infelicità,
E non sapevo cosa fosse:
la tosse della sigaretta 
Di mio padre, il canto
Del gallo e l'erba tenera
Che brillava di rugiada. 
E mia madre, dolce
Come la luna, 
Nelle notti mi cullava
Fra due nuvole, 
Ed a volte penzolavo 
Dal cielo come un fulmine.
Ed al culmine, al culmine 
Del desiderio e dell'estasi, 
potevo anche credere 
Che Dio esistesse, 
Potevo anche credere
che Cristo fosse
Morto per me,
Fosse risorto per me
Dal sepolcro polveroso 
Come in un film,
come in una strana fiaba
O nel teatro di Mario,
E che il sudario 
Fosse un magico sipario. 
E i venti di notte
Risuonavano nel buio
Come flauti di un'orchestra,
e la maestra era una cattiva
Strega da beffeggiare
E da fuggire,
Per non morire nei suoi
Noiosi insegnamenti. 
Ed i tormenti erano
Il non avere una brioche,
Un abbraccio o il bacio
Di una dolce bimba,
Il cacio nella pasta
O la mela che brillava

di tedio e salute. 
E mute mai furono
Le stelle, mai!
Anche nei guai
E nelle angosce,
Non dovevo inabissarmi
Fra le cosce di una donna
Per dimenticare,
Mi bastava guardare 
La vastità del cielo,
Mentre mia zia 
Mi indicava l'Orsa Maggiore 
E l'Orsa minore,
Mentre l'odore del latte
Sì emanava per la stanza
E la danza nel mio stomaco 
Attendeva solamente i biscotti.
Ancora non comprendevo 
Il dolore di Salieri
o di Tasso, Majakovskij, 
Baudelaire, Hoffman 
O Molière ... 
ancora non comprendevo
Come sussurri dolcemente
Una pistola nel cassetto
Quando il letto
Sembra una dolce bara
Dove trovare la cara assenza, 
l'essenza di questo caos
Imperscrutabile, 
L'essenza di questo 
Silenzio metafisico.
Non comprendevo
Ancora il dolore 
Del mare, che onda
Dopo onda le amare
Giornate spazza
Col loro tedio,
Non comprendevo
Il dolore di una tazza
Fracassata sul terreno,
Che nessuno avrà cura
Di ricomporre,
Ma solo di buttare.
Non comprendevo
il dolore del vento.

*

Il veliero stanco.

VELIERO STANCO

Oggi il cielo è terso,
con nuvole bianche 
E gonfie come tette 
di una donna d'inverno. 
È eterno questo violino
che riecheggia come 
le notturne maree,
come le brezze 
fra le bianche azalee?
Cerco la libertà 
In questo mare bianco
Di nome foglio, 
in questo stanco 
veliero dell'immaginazione ...
ma nulla mi placa, infinito!
Infinita fame di tutto:
d'amore, d'odio, di cibo,
di incenso e birra,
di tutto quel che possa
inebriarmi di una dolce
Illusione che sfibri
questo maglione 
Di carne che protegge
i miei organi, il mio cervello,
Il mio cazzo, il mio fegato
E i miei sogni famelici 
di squalo fra le alici,
di salici verdi sui cimiteri. 
Che austeri maestri, i versi:
ti insegnano che l'armonia
non serve a nulla 
se non ammazzi nella culla,
come padre snaturato,
una strofa che è una scrofa 
Truccata da parigina. 
Ma oggi il cielo è terso,
con nuvole bianche
e gonfie come tette
di una donna d'inverno. 
È eterno questo oboe 
che rimbomba 
Come un tuono 
fino alla sua tomba 
Nell'oceano?
Oh penna mia, 
se solo tu sapessi
Disegnare le curvature 
Dello spazio/tempo 
Per farci scivolare
Una biglia che si impiglia
In un piccolo buco 
Che mostri come il bruco
Possa diventar farfalla,
che mostri come balla
il suo tango 
Quel bastardo di Dio
con il nostro cervello,
questa bottiglia 
Di poltiglia grigia
Che berremo ancora,
berremo fino alla tomba! 
Ma oggi il cielo è terso,
con nuvole bianche 
E grandi come tette
Di una donna d'inverno. 
È eterno questo dolore
Che mi brucia l'anima 
come una costoletta 
Su di una griglia,
che s'incaglia 
Come chiglia 
Nei bassi fondali 
Di questi secolo
di cristallo?

*

Il Piccione

IL PICCIONE

 

Come sarebbe bello
Essere un piccione
Che vola in alto sul bastione
A caccia di briciole di vita
E cagare in testa 
Ad ignari passanti 
Che amari urlano 
Maledicendo ogni piuma
Del mio corpo goffo
E paffuto. 
La mia casa sarebbe il cielo
o un ramo, e camminerei 
Ogni giorno sull'asfalto 
Gonfiando il petto
Per scopare una femmina
Li dove madre natura vorrà.
E se per dispetto un bambino
Dovesse colpirmi con una fionda
Sì nasconda perché dovrà fuggire
Dalla tremenda ira del mio culo 
Che potrebbe colpire proprio
Nel momento in cui il papà 
Gli comprerà il gelato 
Della cristiana domenica. 
Che morte da eroe
Che mi aspetterà!
Morirò sempre a caccia
Dell'amore e delle briciole
Forse schiacciato da un’auto,
Forse beccato da un gatto
O forse così,  perché il tempo
Lo vorrà. 
E quando il sole spenderà 
Il mattino dopo, 
Il mio becchino sarà uno spazzino
Che mi getterà nel tritarifiuti
Finché questo mondo
Non mi risputi in altra forma, 
come un cesso o come navicella, 
come forma di grana, noce
O come croce. 
In questo mi consolo:
un'eternità sottoterra 
Per un attimo in volo. 

 

*

Il nodo.

IL NODO

 

Non vi è modo
che io sciolga 
Questo nodo 
che mi lega 
A te, poesia. 
Fino agli orli 
Della pazzia 
Mi hai trascinato
Con le tue mani 
Che odorano 
Di macinato, letame,
gelsomino, fumo, 
erba fresca appena
Tagliata ... 
E mi consumo, 
sdraiato su questo letto,
nel pensiero più nero,
il più vero d'ogni uomo
solo con sé stesso, 
Che sa di esser solo
nell'umida terra 
Dell'eternità.  
Ed io so che tu sola
Potrai esser salvezza
Per questo ateo disperato, 
per questo fiato spezzato ...
entra nei miei versi di carne,
nelle mie strofe fatte di fegato,
viscere, stomaco e galassie,
nelle mie rime, concime
Di questo giardino 
Dove fioriscono 
Solo papaveri insanguinati,
Girasoli già aridi
mentre avidi
i miei occhi 
Gemono ululati 
Verso la luna. 
La mia penna 
Sta per ammazzarmi, 
dea intransigente, 
dea spietata
alla quale la gente,
lo stupido volgo, 
ha sempre pisciato 
Sopra come il monumento
Di un eroe qualunque! 
Ma io ti proteggerò sempre,
con tutto me stesso, 
E ti custodirò nel cuore,
Nel tuo feroce segreto,
nel tuo atroce insegnamento. 
Concedimi solo un verso, 
uno soltanto, 
che sia il pianto 
di un futuro poeta,
che sia la meta
della sua penna
e che guidi il suo passo,
come per me Baudelaire
o il dimenticato Tasso. 
Concedimi una lettera 
Fatta di fiamme o veleno,
Un'altra che sia una carezza
Dolce come il vento
Nella calura estiva. 
Oh Diva, diva invincibile!
Lascia che io beva
Dal tuo ventre, 
Gigantesco come l'oceano, 
e che l'immensità
Scorra come un fiume 
Nelle piume delle mie parole,
Pronte a librarsi 
Come uno stupido uccello.
Sarò pronto, pittore svergognato,
a dipingere il mio pisello
Che entra nella figa 
Come un torrente
Che sfonda una diga, 
sarò pronto a disegnare
Un cadavere putrefatto
divorato dai topi

Con zanne brusche,  
Un tempo anfratto, 
casa di un uomo,
Ed ora di bigattini e mosche. 
Sarò prono a ritrarre 
Le nostre anime losche, 
In tutta la loro brutalità, 
in tutta la loro ferocia 
Di scimmie intelligenti.
Sarò pronto a viver di stenti,
Sarò pronto a tutto purché 
Tu faccia di me 
La salvezza di un disperato, 
purché io sia lo sconto 
Di pena d'un carcerato. 
Fai di queste fragili melodie
Le omelie dei reietti,
dei diseredati e dei bastardi,
dei tardi e di tutti coloro 
Che fanno oro di un goccio
Di luce, del truce respiro 
Che ci riempie il corpo
Prima che sia la terra
A Pesarci addosso 
Come l'universo,
Eppure è solo un fosso. 
Mi consolo, 
Mi consolo col tuo violino
Dolce come un gelsomino
Bianco, ma son stanco, 
stanco del sole,
Stanco dell'amore,
Stanco del mare, 
stanco dell'infinito,
Stanco come Sisifo 
Dannato, come il latrato 
Di un vecchio cane 
Che ha rincorso 
Rane e lepri 
Nei boschi, 
nei foschi sentieri
Di questo ignorare. 
Ad amare son tutti bravi, 
ad odiare solo gli schiavi
son predisposti, 
ma ad essere indifferenti,
Indisposti alla vita, 
Sono veramente pochi:
E’ a loro che guardo, 
A loro, gelidi Epicurei, 
Con occhio bastardo. 
Ma io so già 
Che non mi arrenderò, 
Perché sento l'eternità,
Sento la musica 
Del vento scivolare 
Sull'erba come pioggerellina di Marzo,
Come la mano di un amante
Il seno caldo dell'amata,
Come il vento una montagna. 
E già sento le scosse
In questo petto,
Come lava che stagna
Sotto un vulcano,
Come un tuono fuggito
Verso gli abissi, 
Come il ruggito selvaggio
Di un raggio mattutino. 
Poesia, Concedimi 
Un solo verso, 
O una sola parola,
Consola questo tormento:
Ho cercato di fuggirti, 
Ma non vi è modo
Che io sciolga 
Questo nodo. 

*

Il rivolo

IL RIVOLO

 

Scivolo 
Come un rivolo
D'acqua piovana 
Che s'incanala 
Nelle crepe dell'asfalto
Per finire 
Verso le fogne
Dell'umanità. 
In qualche 
Oscuro vicoletto 
Ho sfiorato il tacco
Stretto di una puttana 
Che con il petto 
A balconcino 
Sì appresta
A fare un pompino
Ad un giovane
Che vuole divertirsi
Con soli 20 euro. 
Come duole 
Il buio sul mio dorso:
Solo la luna 
S'intravede 
Fra le nere nuvole
Nelle mie acque 
Quasi perdute! 
Tutto tacque 
Prima della pioggia, 
Tutto tacerà ancora.
Quante macchine 
Mi passano sopra 
Per schizzare 
Un po' della mia acqua
A qualche passante indifeso...
Lo ammetto, è divertente! 
Forse è demente, 
Forse è infantile, 
ma non c'è nulla di vile
In queste macchine giocose 
Che si beffano di passanti 
Impomatati e gli rovinano
Il Dior o il Valentino,
L'Iphone o il panino gourmet.
E’ chino il ciglio della strada, 
La fogna e sempre più vicina!
Ma non mi preoccupo, 
Non mi preoccupo per ora:
Tutto tacque 
prima della pioggia,
Tutto tacerà ancora. 
Come giovani donne
In una notte di festa
Ballano le foglie 
Nel vento di Settembre, 
E qualcuna sembra
Già pronta a cadere
Fra le mie braccia 
Acquatiche;
Bere troppo non fa 
Bene a nessuno. 
Quante pene 
Avrà sofferto questa foglia
Che ormai solca 
La mia superficie 
Con voglia indolente
Come una nave 
Verso l'orizzonte ... 
Oh, nave tenace, 
Il nostro orizzonte 
Sono le fogne!
La grande fornace 
Non incancrenirà, 
Non rinsecchirà 
La tua linfa: 
Sarai ninfa 
Del sottosuolo
E potrai sfiorare 
Solo topi, cadaveri 
E merda. 
Chi perda non so, 
Non so a chi tutto
Questo schifo crearlo
Piacque:
tutto tacque 
Prima della pioggia,
Tutto tacerà ancora. 
La vedo già da qui
La cascata nera, 
La graticola e lo scroscio,
Moscio il mio scorrere non è:
Delle spine e la rosa 
E’ uguale la fine, 
È’ uguale il lutto. 
Tutto tacque 
Prima della pioggia, 
Tacerà ancora tutto.  

*

Colori

COLORI

 

Un giorno mi svegliai

Nel turchese,

immerso in un giallo

incandescente

aprii i miei occhi

striati come

la pelle di un serpente,

verdi e marroni,

e guardai

la corteccia

bruna dei tuoi capelli.

Sprofondai

Nel rosso abisso

Delle tue labbra

Con la mia lingua

Come un assassino

Con la sua grigia lama

Nel sangue della vittima.

Un arcobaleno di fiori

Si distendeva nel giardino,

e divino pensai fosse

l’esistere, il trasparente

respirare del mio naso.

Ha invaso la mia mente

Quella sordida e opaca

Follia degli specchi sporchi,

appannati dal caldo

di una doccia

bollente

dove io,

esente

dal guardare

il bianco del mio corpo,

ho sempre creduto

di esser sano

come il rosa.

E’ vero che un giorno

Il plumbeo bagliore

Di una lapide

Risplenderà

Di un giallo girasole

Di un raggio

Fuggitivo.

Ma io,

mia Musa violacea

come un ematoma,

affogherò con

la mia nave iridescente

fatta di parole

in un mare d’inchiostro,

come ogni buon capitano

sogna di fare.

E’ un mostro, la vita,

un blu scuro

che si appresta

al nero.

Ed è per questo,

ed è per questo …

lasciami brillare

come un ceppo

di legno secco,

folle e crepitante:

giallo dentro,

sfumando

verso il rosso.

*

Valzer degli scheletri.

VALZER DEGLI SCHELETRI

 

Cosa siete, voi che maldestri

Danzate scricchiolando

Come porte di case infestate

Dai fantasmi?

In questa stanza

Miasmi mortiferi

Mi fanno comprendere

Che qui l’unica

A festeggiare

È la morte.

Sorte beffarda

vi ha toccato

con il suo cancro,

con il suo tocco oscuro. 

Cos’è questo luogo?

La stanza di un ospedale,

un cimitero risvegliato,

l’anticamera dell’inferno?

Eterno mi sembra

Il tormento,

dannati a danzare

nell’aumento

del vostro dolore.

In quale momento

Vi accascerete a terra,

vi si spezzeranno le ossa

come pane croccante

pronto a nutrire il Tempo?

Questo non so …

Scheletri,

che quadro maledetto

ispirate alla mia penna!

Siamo nulla al cospetto

Del malvagio universo,

sempre pronto

ad inghiottirci

come una voragine

infinita nella quale,

prima o poi,

per sbaglio tutti metteremo

il piede funesto.

Danzate, danzate, danzate,

lesto è il passo

e nessun Dio lenirà

questo martirio,

forse solo la dea morfina

vi illuderà della pace …

chissà che stanza

nasconde l’ultima porta,

chissà cosa comporta

accettare l’ultimo buio:

danzate, scheletri silenziosi,

leggeri

come una nube di polvere,

danzate nel dolore

che rende deboli perfino i lai,

danzate fino all’ultima porta,

che dove ci porta

non sapremo mai.