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Raccolta di saggi di guido brunetti
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Filosofia/Scienza

Il concetto di essere umani

Guido Brunetti

Il concetto di essere umani

 

L’epoca in cui viviamo richiede la necessità di un forte ripensamento sul significato di essere umani. Preliminarmente, dobbiamo dire che il concetto che abbiamo di noi stessi cambia nelle diverse epoche, culture e civiltà. Le risposte alla domanda “chi siamo”, invero, sono incerte e lacunose. Non siamo solo ragione e logica, ma anche sentimenti ed emozioni.

 

Noi siamo corpo-cervello-mente. Da un lato, c’è la prospettiva naturalistica e neurobiologica, che riduce l’essere umano a una questione neurale e materiale. La mente (l’anima) non esiste. I processi mentali sono processi del cervello. Dall’altro, c’è la visione opposta, quella che privilegia la non riducibilità di “Homo sapiens” alla dimensione corporea e cerebrale. La natura umana non è cioè riducibile alla neurobiologia, alla chimica e alla fisica, in quanto possiede qualità specificamente umane, come l’immaginazione, il linguaggio, la mente, la coscienza, la creatività, la dimensione morale, un certo grado di libertà, ecc.

 

In realtà, non siamo fatti di una sola natura: né tutti neurobiologia, né tutti cultura o società. L’esistenza umana non è “determinata” una volta per tutte, né sul piano genetico né in altra forma. L’uomo è “parzialmente libero”, ha la possibilità di operare scelte, contrariamente alla visione espressa dal determinismo, che non ammette scelte né il libero arbitrio o l’autodeterminazione.

 

Filosofi, neuroscienziati e teologi per millenni hanno esaminato questioni di questo genere, come l’essere, il senso della vita, il dover essere, senza riuscire, afferma Bjorn Larsson nel suo libro “Essere o non essere umani” (Raffaello Cortina, 2024), a pervenire ad una soluzione convincente. Finora, non abbiamo avuto alcun progresso in materia. Quello che possiamo dire circa l’umanità dell’uomo è che la prospettiva genetica “non è tutto”, c’è qualcosa di più. Il concetto di essere umani è infatti legato a qualità fondamentalmente umane: libero arbitrio, intelligenza, il sapere, l’empatia, la moralità e altre numerose capacità.

 

I neuroscienziati deterministi hanno una concezione monista e rifiutano che la mente o l’anima abbiano un’esistenza indipendente dal cervello e ritengono che tutto sia spiegabile in termini di materia e di fisica. Ci sono invece coloro che credono che la mente e la coscienza non si possono ricondurre alle sole leggi fisiche e alla materia. Due quindi le teorie principali: l’uomo è “determinato” da fattori innati, genetici: L’altra visione mostra al contrario che l’uomo non è “determinato” dal corredo genetico, ma ha una mente e una coscienza. Sono due modi distinti di esistenza, quello della materia e quello della mente.

 

Purtroppo, la mente o la coscienza non si possono esaminare con metodi scientifici, non si possono cioè dimostrare con dati incontrovertibili. Che cosa dunque è un umano? Che cosa lo rende tale? E che cosa significa essere degli esseri umani?

 

L’umanità dell’uomo consiste nel fatto di essere un’anima dotata di facoltà intellettive, sociali, morali ed etiche. Sono caratteri che distinguono la nostra specie da tutte le altre. L’attributo di umanità pertanto non è una proprietà innata. L’Homo sapiens sapiens è diventato quello che siamo solo grazie a una scoperta sfociata in “un’innovazione e in un’invenzione”, non sulla base di “mutazioni casuali e determinismi genetici (Larsson).

 

L’umanità dell’essere umano “dipende” da facoltà acquisite e acquisibili e dal rapporto di interazione con altri esseri umani. Non si nasce umani, possiamo diventarlo. La nostra umanità è precaria, non è garantita. Si può perderla in qualsiasi momento. Non è un dato, ma una potenzialità.

 

Nel tempo è nata la cosiddetta “scienza dell’essere umano”, la quale non è un sapere monolitico, ma un insieme di discipline che vanno dalle neuroscienze, alle scienze naturali e alle scienze umane, producendo invero settori di conoscenza sempre più “frammentati”, privi di collegamenti.

 

Oggi, le neuroscienze, la genetica e la biologia evoluzionistica, con la teoria darwiniana fondata sulla selezione naturale, sono “paradigmi egemoni”. Gli esponenti principali, come Pinker e Sapolsky, sono convinti che esiste una natura umana prodotta dall’evoluzione e dalla genetica, le quali tuttavia esprimono un sapere “diabolicamente complesso”.

 

Alla fine del Novecento, l’invenzione di nuove metodiche di brain imaging hanno finalmente consentito di osservare l’attività del cervello in tempo reale.

 

Mancano ancora le basi di una teoria unificata della mente e della coscienza e non sappiamo ancora il momento in cui la mente è scaturita dal cervello. Molte strutture del cervello, soprattutto quelle più profonde, poi, non sono accessibili alle nuove tecnologie.

 

Una scoperta importante inoltre riguarda il fatto che l’attività del cervello è in buona parte “non cosciente”. La realtà di questi processi inconsci ha indotto alcuni neuroscienziati a negare di conseguenza l’esistenza del libero arbitrio: se le nostre decisioni vengono prese a livello inconscio, è evidente che il carattere cosciente delle nostre decisioni è “puramente illusorio”, ossia il libero arbitrio “non esiste”.

 

La conclusione è che le ricerche neuroscientifiche hanno molto da insegnarci sul modo in cui il cervello opera nella vita reale, quando lavoriamo, pensiamo, agiamo, amiamo, studiamo o portiamo a spasso il nostro cane. Per le neuroscienze contano solo i dati sperimentali, cioè “riproducibili”. Inoltre, alcune teorie sul funzionamento del cervello non sono “verificabili” sperimentalmente.

 

Autorevoli neuroscienziati hanno asserito al riguardo che le scienze naturali non aiutano a “spiegare” e comprendere la mente e la coscienza, e né tantomeno l’essere umano. La scienza moderna, fisicalista e materialista, in sostanza, risulta “incompatibile” con ogni dualismo ontologico di mente-cervello, non ammettendo che la materia e la mente possano essere realtà “distinte”. I processi mentali sono processi del cervello.

 

Riteniamo, d’accordo con altri neuroscienziati, che l’errore del naturalismo scientifico sia quello di non considerare che tra “l’essere e il dover essere”, tra i neuroni, le sinapsi e i geni da un lato e la morale, i principi e i valori dall’altro “c’è molto di più, per Larsson, di quello che appare”. Ci sono tutte le nostre facoltà, come il concetto di sé e degli altri, la creatività, la coscienza, il linguaggio, ecc.

 

Il tratto peculiare dell’essere umano è una combinazione di bene e male, miseria e nobiltà, eros e thanatos, egoismo e altruismo, bontà e malvagità. Esseri umani non si nasce. L’umanità va acquisita, conquistata, sviluppata e tramandata. Essa si può smarrire, è precaria, irta di ostacoli.

 

 

 

 

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- Scienza

Neuroscienze: l’incredibile avventura del cervello

 

Guido Brunetti

Neuroscienze: l'incredibile avventura del cervello e della mente

 

   Da sempre, filosofi  scienziati hanno indagato il fascino del cervello e della mente. Ma è solo a partire dal Novecento che inizia, come sottolinea Anais Roux nel suo libro " Il cervello felice" (Edizioni, Sonda, Milano), ad essere esaminati gli stati mentali e cerebrali, grazie soprattutto all'avvento delle neuroscienze, ossia l'insieme delle discipline che studiano il sistema nervoso, e delle formidabili tecniche di brain imaging. L'opera della Roux spazia nei più diversi settori delle neuroscienze, come la plasticità cerebrale, l'empatia, il sistema limbico, il sistema del piacere, l'amore, l'orgasmo, i sogni, lo stress, il cervello dei bilingui.

 

   Negli ultimi anni, la ricerca neuroscientifica ha conseguito notevoli progressi, elaborando nuove teorie sul funzionamento del cervello e della mente. Sembra che la prima struttura cerbrale sia comparsa in un vermiciattolo 500 milioni di anni fa. Secondo autorevoli studiosi, l'evoluzione del cervello è stata determinata da  diversi fattori, come i geni, le cindizioni ambiental e l'alimentazione.

 

   Si ritiene poi che circa 7 milioni di anni fa, alcuni primati assunsero la posizione eretta, evento che permise loro di difendersi dai predatori e di essere più efficienti nella ricerca del cibo e nel costruire utensili  sempre più complessi.

 

   Tra le più grandi scoperte, citiamo l'Elettroencefalogramma (EEG, 1929), che permette di misurare e registrare l'attività elettrica del cervello e la Risonanza Magnetica (RM, 1973), la quale ci consente di ottenere una visione molto precisa del cervello. Altre scoperte sono legate a uno dei principali neurotrasmettitori del cervello, la dopamina, considerata alla base del benessere, del piacere e della gratificazione.

 

   Nel 1985, inoltre, viene riconosciuta la neuroplasticità del cervello, la capacità dei neuroni di modificarsi e rimodellarsi per tutta la vita. Il cervello può quindi acquisire saperi e nuove conoscenze. Per molto tempo, gli scienziati hanno pensato che dopo i 25 anni, il cervello fosse ormai maturo e che le connessioni sinaptiche e il numero dei neuroni fossero immutabili,

 

   Questa teoria è stata smentita verso la fine degli anni Novanta, quando        i neuroscienziati hanno scoperto che la neuroplasticità cerebrale era molto attiva sino alla fine della vita. I neuroni infatti comunicano tra loro attraverso miliardi di connessioni. E' stato inoltre scoperto che negli adulti, il cervello è capace di creare nuovi neuroni (neurogenesi) per tutta la vita.

 

   L'essere umano poi è in grado di capire e sentire quello che provano gli altri. Questa capacità  è  l'empatia. Collegata con l'empatia è un'altra scoperta, quella dei "neuroni specchio" effettuata nel 1991 dall' équipe del neuroscienziato Giacomo Rizzolatti. Sono gruppi di neuroni che si attivano quando un soggetto compie un'azione, ma anche quando osserva un altro individuo fare la stessa azione.

 

   Il cervello è composto di circa 100 miliardi di neuroni. Ha la funzione di controllare l'intero corpo, e regolare i vari organi e i muscoli. E' formato da due emisferi, l'emisfero destro che controlla la parte sinistra del capo e quello sinistro che contolla la parte destra.

 

   Concludendo, diciamo che non esiste ancora una teoria definitiva che spieghi la struttura e il funzionamento del cervello e della mente, l'origine della coscienza e la nostra essenza di di esseri umani. Le ipotesi spesso vengono corrette e smentite. La stada è ancora lunga, anche se molto affascinante.

                                                                    

 

 

 

 

 

 

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- Scienza e fede

Dio, la scienza e le prove

 

Guido Brunetti

Dio, la scienza e le prove

 

   Dio e scienza, fede e ragione, l' Universo e il senso della vita: sono le grandi domande del nostro tempo. Ci troviamoo a confrontarci con alcuni dei maggiori misteri irrisolti della storia del pensiero umano. 

 

   Le neuroscienze, ma così altri campi della conoscenza, mostrano un interesse sempre crescente nell' indagare la dimensione del sacro e del trascendente, come possibilità di risposta a queste straordinarie questioni.

 

   In realtà, scienza e fede rappresentano due delle più importanti conquiste dell'umanità e possono fornirci prospettive diverse, ma complementari dell'uomo e del mondo, attraverso un fecondo dialogo che ci può arricchire ed elevare. Sono temi affascinanti, anche se complessi, difficili e delicati.

 

   Un contributo importante alla loro comprensione è fornito dalla recente opera  di Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies "Dio, la scienza, le prove" (Edizioni Sonda). Attraverso un'ampia, documentata e rigorosa analisi e sotto molteplici visioni, l'opera esplora sia l'idea di un Dio creatore sia la scienza e la religione, cercando di approfondire il modo in cui questi settori di ricerca possono convivere e interagire. Essa comprende le conoscenze più aggiornate sulla possibile esistenza di un Dio creatore.

 

   Due sono le ipotesi, quella che sostiene l'esistenza di Dio e l'idea che ritiene che non esista nient'altro al di fuori dell'Universo materiale. La ricerca non si limita alle prove scientifiche, ma ma presenta anche quelle esaminate dalla fiosofia e dalla morale.

 

   L'Universo ha avuto inizio, come suggerisce la teoria del Big Bang, allora non possiamo- afferam il premio Nobel per la fisica, R.W. Wilson, "evitare la questione della creaione". Infatti, proprio la sacoperta di Wilson sulla " radiazione fossile" mandò in frantumi la convinzione secondo cui l'Universo non ha né inizio né una fine.

 

   La teoria del Big Bang rappresenta il modo in cui l'Universo ha avuto inizio e si è sviluppato. Secondo questo scienziato,, nessuna delle iptesi formulate propone una spiegazione scientifica convincente su come in ultima analisi l' Universo abbia avuto inizio. Inoltre, non esiste nessuna scoperta scientifica che possa negare o mettere in dubbio l'esistenza di Dio (Zichichi).

 

   Credere in Dio, sino a poco tempo fa, sembrava incompatibile con la scienza. Oggi, la scienza sembra essere diventata "alleata" di Dio, mentre la tesi materialista vacilla sempre di più. Le scoperte scientifiche di questi ultimi anni, soprattutto quelle della matematica, della fisica e della biologia, hanno infatti "rivoluzionato" la nostra concezione del mondo, riaprendo il problema dell'esistenza di Dio.

 

   In realtà, a  partire dal XVI secolo, le teorie scientifiche sembravano convergere in modo tale da minare e far vacillare l'idea dell'esistenza di Dio. e della fede, descrivendo un Universo meccanico. Darwin teorizzava l'idea di una evoluzione basata non su un intervento divino, ma dalla selezione naturale, mentre Freud sosteneva l'esistenza di una umanità che non è padrona dei propri pensieri, in quanto dominata dall'inconscio. Quello che emerge, è un materialismo basato sulla fede in un universo "meccanicistico e determinstico".

 

   Si tratta quindi di stabilire quale delle due seguenti tesi è vera, e cioè "l'Universo è stato generato da un Dio creatore", oppure "l'Universo è esclusivamente materiale" e non esiste nient'altro al di fuori dell'Universo fisico. Se l'Universo è esclusivamente materiale, fisso, immobile, allora l'Universo non può aver avuto né un inizio né una fine. Al contrario, se l'Universo è l'esito di un Dio creatore, allora, si può sostenere che esso abbia uno scopo e sia ordinato e intellegibile, e dunque abbia avuto un inizio.

 

   La convinzione che l'Universo abbia avuto un inizio, si deve sia alla teoria del Big Bang (l'idea dell'esplosione originaria dalla quale è nato l' Universo) sia alle diverse scoperte in diversi settori delle scienze naturali e umane., come la cosmologia, la termodinamica, la matematica, la fisica e la filosofia.

 

   Queste scoperte sono state in grado, secondo gli autori, di fornirci "prove sufficienti" dell'esistenza di un Dio creatore. Il premio Nobel per la medicina, Roger Sperry, ha scritto al riguardo: "Ci opponiamo con i massimo rigore alla concezione materialista e riduzionista della natura e della mente umana. Gli scienziati materialisti- ha proseguito- hanno rifilato alla società e persino a loro stessi soltanto della spazzatura". Da parte sua Einstein, uno dei più grandi scienziati del XX secolo, si è avvicinato ad una concezione deista, arrivando a credere in un Dio creatore.

 

   Concludiamo, affermando che la scienza è legata al metodo definito "naturalismo metodologico"  ritenuto necessario per investigare la realtà. La verità scientifica è una verità esatta, ma incompleta e non definitiva. Esistono infatti questioni esistenziali più profonde, quelle che Popper ha chiamato "questioni ultime" alle quali la scienza non è in grado di dare una spiegazione.

 

   L'uomo non può fare a meno di parlare di Dio, di fede e di scienza. Il bisogno dell'idea di Dio è un'esigenza innata, biologica. In noi, è presente un forte istinto che ci spinge alla ricerca del significato e del trascendente. Non credere in Dio, come ritengono molti scienziati, è una visione che resta al di là della scienza e della prova empirica.

 

   La scienza non è in grado né di sostenere l'esistenza di Dio né di negarla. La scienza non ha fornito alcuna prova che l'esistenza di Dio sia necessariamente errata.

 

                                              

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- Filosofia/Scienza

Giornata mondiale del malato

 

Guido Brunetti

Giornata mondiale del malato

 

L’11 febbraio ricorre la Giornata mondiale del malato istituita il 13 maggio 1992 da papa Giovanni Paolo II con lo scopo di sensibilizzare le istituzioni sanitarie e la società sul problema dell’assistenza e delle cure mediche, superando l’amarezza della solitudine, dell’indifferenza e dell’abbandono.

 

La sofferenza nasce con l’uomo, è un fattore originario, biologico, naturale dell’esistenza. A sua volta, il termine salute indica non solo assenza di malattia come viene comunemente intesa, ma capacità di esercitare al massimo le proprie qualità fisiche e mentali.

 

Oggi, la funzione della medicina non è soltanto quello di curare, ma soprattutto di prevenire, rimuovendo le cause patologiche. La salute è quindi ‘lo stato di benessere completo, fisico, mentale e sociale’ (ONU)”.

 

Nell’antichità emerge una concezione magico-religiosa della malattia intesa come punizione divina e trasgressione verso le norme religiose e morali. Questa visione è presente in molti autori, come Omero, Eschilo, Sofocle ed Empedocle. E’ con Ippocrate (460 a.C.) che la malattia e la salute si staccano da una visione metafisica e vengono descritte come evento dovuto a cause naturali.

 

Il passaggio definitivo da una medicina non scientifica a una scientifica avviene nel XVI secolo, quando prevalgono le teorie organiciste fondate sul metodo induttivo. Arriviamo alla rivoluzione della medicina contemporanea del Novecento, che tuttavia ha un prezzo molto alto: la tendenza alla spersonalizzazione e alla disumanizzazione del rapporto medico-paziente, come mostrano gli studi condotti da illustri medici.

 

L’umanità non è perfetta. La sofferenza è una triste compagna, cupa e oscura, dell’essere umano. E’ una sofferenza individuale: sofferenza del corpo, ma soprattutto sofferenza dell’anima, ansia, depressione, angoscia, avvilimento.

 

Gli sviluppi tecnici della medicina, in realtà, tendono a ‘ridurre’ il malato a un corpo passivo, cancellando così la sua soggettività e impedendo un rapporto personale con il medico, che per noi è di fondamentale importanza.

 

Il ricovero in ospedale poi offre un’immagine desolante, un’esperienza trumatica: la mancanza di informazioni comprensibili sulla propria salute, la disciplina, il regolamento, l’ansia per gli esami di laboratorio e per le cure, la fretta, l’atteggiamento di distacco, di sufficienza, di paternalismo, di algidità mista spesso ad arroganza di tanti medici e infermieri, la mancanza insomma di empatia. Sono tutte situazioni penose che proiettano l’impotenza e la totale subordinazione del malato ad un sistema fondato su interventi tecnici e burocratici.

 

Talora, i problemi del paziente vengono ‘mistificati’ dal significato magico delle medicine, spesso inutili o dannose. Il malato ridotto quindi a malattia, a un meccanismo rotto, a un guasto biologico.

 

Il primo farmaco, la prima forma di cura, cura del corpo e cura dell’anima, è il rapporto empatico medico-paziente, Un rapporto che deve essere sempre intessuto di gentilezza, disponibilità, calore umano e saggezza. La gentilezza è per noi la più alta forma di educazione e di rispetto. E’ l’aperura di un’anima verso un’altra anima. Senza queste qualità, la medicina risulta sprovvista di antropologia relazionale e il medico appare come dimezzato, un burocrate, un somatologo. Essere medico è tensione morale: il fare bene e rispettare il malato.

 

Anche le parole hanno una grande risonanza sul malato. Le parole definiscono la dimensione della cura o della non-cura. Possono procurare speranza e conforto. Le parole infelici invece possono causare ferite che- ha scritto il grande psichiatra Eugenio Borgna- ‘sanguinano’ e non si cicatrizzano più’.

 

I farmaci quindi non bastano. Uno dei più gravi guasti inferti alla professione medica è che molti medici hanno smesso di visitare i pazienti, fidando solo nelle indagini di laboratorio. In realtà. la visita medica stabilisce una relazione terapeutica medico-paziente. In questo modo, la medicina ha ottenuto in tecnologia ciò che ha perduto in umanità. Abbiamo una medicina che si dibatte tra disumanizzazione ed esigenza di umanizzazione. C’è una evidente crisi di identità e la difficoltà di elaborare congruenti strategie e di gestire il doloroso destino del malato.

 

Che cosa fare? La sanità -ha scritto l’eminente giurista Sabino Cassese- ‘soffre di malattie croniche, è molto malata’. C’è necessità dello sviluppo e della diffusione di una cultura sanitaria. L’ippocratica ars curandi non è solo scienza, ma deve ritornare ad essere la teoria dei rapporti tra due esseri umani: il medico e il malato. Un rapporto fondato sui rapporti dell’antropologia curativa e del rapporto interumano. Davanti alla sofferenza e al dolore non si può vivere nella routine, nella fredda e neutrale consuetudine consacrata dall’uso.

 

Ricerche, al riguardo, hanno dimostrato che la creazione in ospedale di un clima di accoglienza, calore umano, rispetto, disponibilità e gentilezza determina una positiva influenza sulla stessa malattia e sulla stessa cura. E’ prendersi cura, accudire. Una struttura sanitaria è un luogo speciale, che dunque richiede personale speciale., E’ il luogo della sofferenza e dell’angoscia, del dubbio e della speranza. Deve essere pertanto- lo ribadiamo- il luogo dell’empatia, del calore umano, della disponibilità e soprattutto della gentilezza.

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- Filosofia/Scienza

Neuroscienze psicoanalisi arte e creatività

       

 Guido Brunetti

Neuroscienze, psicoanalisi, arte e creatività

 

Introduzione

Scienziati, filosofi e antropologi hanno analizzato il fenomeno dell’arte, a partire dall’antica Grecia con Platone e Aristotele, proseguire nel Medioevo e Rinascimento e giungere sino agli autori moderni e contemporanei.

 

Sono state prodotte numerose teorie e ipotesi, le quali mostrano come sia difficile definire il concetto di arte. Le concezioni variano da epoca a epoca. L’arte è un evento ancora carico di mistero, che accompagna l’uomo nella gioia e nel dolore. Essa poi è in gran parte sconosciuta alla mente inconscia dell’artista. E’ un fenomeno complesso, che coinvolge le funzioni del cervello, le emozioni e i sensi.

 

Le neuroscienze attraverso le moderne tecniche di brain imaging hanno rivelato che le esperienze musicali e artistiche provocano variazioni della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca, della respirazione e di altre funzioni neurofisiologiche.

 

La creatività, un miracolo del cervello umano e della mente. L’ arte, in particolare la musica, esprime un linguaggio primordiale, è l’essenza, è l’universale ante-rem, che esprime, per Nietzsche, una grande forza simbolica e la “terribilità del mondo onirico”. Per noi, l’attività artistica- la poesia, la pittura, la musica- è ciò che suscita emozioni, sentimenti, affetti. E’ godimento estetico, produce forze spirituali, attiva aree cerebrali, sistemi neurali e stati d’animo. E’ una condizione liberatoria, che procura una soddisfazione di carattere universale, è intuizione, immaginazione, un momento della vita dello Spirito.

 

L’arte è un miracolo del cervello e della mente perché, d’accordo con H. Heine, tra pensiero e fenomeno, spirito e materia. In verità, non si potrebbe scrivere sull’arte, poiché questa esprime l’inesprimibile (Huxley) e si situa laddove il linguaggio “termina” (Critchley). Nella creatività, c’è un sottile complesso di sensazioni che il linguaggio non può nemmeno “nominare” (Langer).

 

Evidenze neuroscientifiche documentano come l’arte, specialmente l’esperienza musicale, genera stati transitori di estasi, i quali sviluppano un senso di “fusione” per mezzo del quale il soggetto si identifica con la realtà esterna “a cui viene attribuito un significato profondo e personale (James). In questo fenomeno sono coinvolti diversi elementi, come la perdita del senso del tempo, la derealizzazione, la depersonalizzazione e alterazioni dello schema corporeo.

 

L’arte inoltre è armonia, muove emozioni e sentimenti, produce stati di serenità e sedazione neuromuscolare, acquista le menti sconvolte, ha effetti terapeutici. Essa comprende anche fantasie inconsce, effetti di latenti rimozioni, sofferenza sublimativa e spirituale, significati simbolici. E’ fondamentale la forza dell’inconscio nella creazione artistica. La musica- ha sostenuto il poeta Addison- è “il bene più grande che i mortali conoscono ed è tutto quanto di celeste abbiamo in terra”.

 

Che cosa è l’arte?

E’ uno dei problemi più antichi che scienziati e filosofi hanno affrontato. Le neuroscienze hanno compiuto in questi ultimi anni un evidente progresso nella comprensione delle basi neurali dei fenomeni mentali e artistici. L’arte in quanto espressione del cervello è un tema che è oggetto di analisi e sperimentazione neuroscientifica. Oggi, i neuroscienziati hanno il vantaggio di poter verificare le loro ipotesi, analizzando il cervello in maniera diretta ed empirica. Recentemente, è nata una nuova disciplina definita da Semir Zeki “neuroestetica”.

 

Le neuroscienze mostrano che l’arte, il bello, la bellezza, la creatività sono il frutto dell’attività dei neuroni. L’arte è iperbole, esagerazione, distorsione della realtà; essa è intesa a procurare sensazioni piacevoli. Tutte le culture poi possiedono forme artistiche, come la pittura, la musica, la poesia., ecc. L’arte, secondo alcuni autori, è una “categoria culturale” (Clifford), una forma di comunicazione di stilemi legati al mondo materiale e spirituale, un meccanismo di “deformazione” della realtà. Altri studiosi hanno sottolineato come essa sia un’attività che produce simboli: parole, colori, suoni, forme, movimenti. Il pensiero primitivo mette in evidenza “un’istanza trascendentale” (E.H.Spitz) come immagine di culto.

 

L’arte? Definire l’arte risulta tuttavia impossibile. Lo ribadiamo, è un mistero. Rimane la domanda: che cosa fa sì che riceviamo piacere da forme, colori, suoni, versi e racconti? Secondo “L’American Heritage College Dictionary”, l’arte è parte del sapere che ha a che fare con la natura e l’espressione della bellezza, così come si manifesta nelle arti.

 

Ha inizio con Platone, il quale ha sostenuto che la bellezza è indipendente da colui che la osserva. Se qualcosa è bello, lo è e basta. Le preferenze estetiche, per Humphrey, derivano da una “predisposizione” tra gli uomini e gli animali a ricercare quelle esperienze attraverso le quali possono classificare gli oggetti del mondo.

 

Autorevoli neuroscienziati hanno affrontato il tema della bellezza, esaminando i processi neurali, e sono giunti alla conclusione che la bellezza è una “funzione cerebrale”, la capacità di elaborare le informazioni di colui che le percepisce.

 

Circa l’origine dell’arte, alcuni ammettono l’esistenza di un cambiamento improvviso nelle creatività umana, che ha avuto luogo fra 300.000 e 400.000 anni fa. Altri ritengono che si è trattato di un processo graduale che risale a oltre un milione di anni fa. Per Darwin, la creatività è una facoltà intellettuale dovuta alla selezione naturale, mentre secondo Ellen Dissanayake, il senso artistico è un comportamento biologico, universale, comune cioè a tutte le culture, ed è utile alla sopravvivenza. Il bello è qualcosa che si è evoluto nel corso di milioni di anni di sviluppo sensoriale, percettivo e cognitivo dell’essere umano (Gazzaniga).

 

Esperimenti hanno mostrato che un bel dipinto, un brano musicale e una poesia attivano aree cerebrali e sistemi neurali, suscitando intense reazioni emotive. E’ stato accertato che i feti rispondono alla musica con cambiamenti nel battito cardiaco (Gagnon). E’ stato provato che il corpo produce uno stato di euforia ed ebbrezza, dopamina ed altri oppioidi, un aumento dell’attività cognitiva e delle nostre capacità di pensiero quando ascoltiamo la musica che ci piace.

 

Arte e follia

Gli stupefacenti progressi delle neuroscienze e della genetica hanno dimostrato poi l’esistenza di un legame tra pittura, poesia, musica e follia. Le biografie di poeti, artisti e compositori hanno rivelato la presenza di depressione, disturbi dell’umore e suicidi in queste persone. Platone nel “Fedro” descrive una forma di delirio e di esaltazione di cui ritiene siano autrici le Muse. L’idea che l’origine dell’arte sia da ricercare nella malattia mentale appartiene soprattutto al Romanticismo. Il poeta lord Byron ha scritto al riguardo: “Noi del mestiere siamo tutti pazzi. Alcuni sono affetti da gaiezza, altri da melanconia, ma tutti siamo più o meno toccati”. Numerose evidenze scientifiche indicano che artisti, scrittori e persone creative sono “più malati”.

 

Psicoanalisi e arte

Prima delle neuroscienze, un contributo fondamentale alla comprensione dell’arte è stato fornito dalla psicoanalisi, che si rifà a Freud, il cui principale interesse era quello di scoprire i contenuti dell’inconscio, ponendo l’accento sui conflitti e le pulsioni. A questa idea è legata la concezione dell’arte nel Romanticismo. A Freud è attribuita la visione di un’opera d’arte ce ci “cattura” e ci “coinvolge” in complesse attività mentali, come il piacere regressivo, il celare e lo svelare, il comporre e l’udire. L’enfasi è posta sulla “continuità” del sogno con l’arte.

 

I sogni nel pensiero freudiano hanno significati che sono legati alla veglia e ai desideri rimossi. Egli postula l’inconscio come “fonte” di tutte le produzioni artistiche e psichiche. Per comprendere l’opera d’arte come sogno, bisogna- precisa Ricoeur- svelare “il notturno dell’uomo”. Nel modello onirico della psicoanalisi, la funzione dell’arte si riferisce ad “una comune esperienza dello spirito” (Kris) trasmessa per mezzo di simboli.

 

La teoria psicoanalitica applicata alla creatività comincia con “Gli studi sull’isteria” (1893) e con “L’interpretazione dei sogni” (1900) nei quali Freud scopre l’inconscio e sviluppa i concetti di rimozione e transfert, e traccia un modello della mente.

 

L’arte, per il padre della psicoanalisi, è “un piacevole camuffamento” dei desideri proibiti di natura erotica e aggressiva. Successivamente, considera la forma artistica come “rappresentazione” del funzionamento dell’Io. L’esperienza artistica viene ricondotta alle prime relazioni del bambino, alle fasi della simbiosi e della separazione e ai fenomeni “transizionali” descritti da Winnicott. Nella visione freudiana, l’artista è un soggetto che “si stacca dalla realtà” e lascia che i suoi desideri di amore e gloria si realizzino nella vita della fantasia.

 

Il vero godimento dell’opera poetica proviene dalla “liberazione” di tensioni psichiche. Da parte sua, la persona che osserva un’opera d’arte subisce un processo di “ricreazione”. L’artista, ritenuto un soggetto ipersensibile, fragile, posseduto, è dotato della capacità di “attingere” alle sorgenti più profonde e ai segreti più nascosti dell’animo umano.

 

Conclusione

Uno dei grandi meriti delle neuroscienze è quello- d’accordo con il grande neuroscienziato Eric Kandel- di plasmare il nostro modo di “assaporare” le opere d’arte e di comprenderne il significato. Neuroscienze e arte hanno molti punti in comune, che vanno promossi e stimolati poiché entrambe possono essere illuminate da un fecondo dialogo. L’arte, in sostanza è la capacità di creare e produrre qualcosa di originale mediante l’immaginazione.

 

Dobbiamo precisare che la valutazione dell’oggetto creativo presenta una certa arbitrarietà: un dipinto, ad esempio, può essere giudicato in senso positivo da un individuo e in senso negativo da un altro. L’arte non esiste obiettivamente, ma nel cervello degli individui.

 

Sono stati ideati infine test per la misurazione della creatività, come il test di E. Torrance (1966), che misura diverse tendenze creative, come la fluidità del processo ideativo, l’originalità, l’elaborazione, la flessibilità, ecc.

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- Filosofia/Scienza

Cervello e musica

 

Guido Brunetti

Cervello e musica

 

Insicurezza, ansia, disagio, aggressività, individualismo sono i sentimenti che ci accompagnano in questa età dell'inquietudine. E' una società liquida, prevale l'anomia, l'assenza di norme, fatto che fa emergere le pulsioni primordiali e istintive dell'essere umano.

 

Abbiamo bisogno di risvegliare in noi emozioni e sentimenti. La musica è al riguardo un potente strumento capace di muovere l'animo umano e le grandi capacità della mente e del cervello.

 

La musica è l’arte più antica, un fenomeno ancora carico di mistero, che da sempre accompagna l’essere umano nella gioia e nel dolore. E’ un evento complesso che coinvolge sistemi neurali, aree cerebrali, sensi, emozioni e sentimenti.

 

Nella letteratura greca e latina, i riferimenti alla musica riguardano aspetti prevalentemente terapeutici. Gli effetti sedativi e curativi della musica vengono segnalati sin dall’epoca pre-omerica nel mito di Orfeo ed Euridice. Molte ricerche mostrano l’efficacia della musica nel trattamento della follia, della sciatica e dei morsi della tarantola. Altri studi sottolineano il tema sugli effetti positivi nei disturbi mentali, stati di melanconia, pene, paure, affanni e tristezze. Plinio parla del potere musicale nella cura degli strappi muscolari e della gotta.

 

Filosofi, teologi e musicisti hanno fornito dai tempi dell’antica Grecia con Platone e Aristotele molteplici teorie. Sant’Agostino ci ha lasciato un’analisi fondamentale dell’esperienza musicale. Le scienze neurologiche hanno esaminato gli effetti delle lesioni cerebrali nelle attività musicali, dando utili informazioni su aree del cervello implicate nella musica.

 

Il linguaggio musicale, a differenza di quello verbale, non ha alcun riferimento con la realtà. E’ il linguaggio delle emozioni e la sua forza simbolica, come hanno indicato autorevoli studiosi, è legata alla vita affettiva. La musica si riferisce all’essenza, viene prima delle cose, è l’universale anterem, la lingua primordiale che esprime un forte potere metaforico, la “terribilità” del mondo onirico, notturno.

 

E’ stato dimostrato che il suo ascolto può provocare una sindrome neurologica chiamata “epilessia musicogena”. Come abbiamo detto, la musica resta un evento carico di mistero e come tale “impermeabile” (Henson) ad ogni tentativo di analisi scientifica. Essa- ha scritto R.Hooker- è un fenomeno che “delizia tutte le età e si addice ad ogni ceto. Un fenomeno provvidenziale nella gioia e nella tristezza”.

 

Evidenze scientifiche rivelano che le esperienze emozionali suscitate dalla musica provocano variazioni della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca, della respirazione e di altre funzioni neurovegetative. Durante il suo ascolto inoltre si verifica un aumento dell’attività muscolare. Molto intenso è quindi il godimento ricavato dalla musica. “E’ un miracolo la musica, perché- secondo Heinrich Heine- sta tra pensiero e fenomeno, fra spirito e materia”. Essa si situa laddove “il linguaggio termina” (J.Westrup). Arriva ad esprimere “l’inesprimibile, cioè il silenzio” (Huxley). Quel sottile complesso di sensazioni che il linguaggio “non può nemmeno nominare, tantomeno esprimere” (Lauger).

 

Sotto l’impatto di stimoli musicali e delle loro proprietà evocative può accadere un insolito fenomeno: gli stati di estasi, un particolare stato trascendentale di consapevolezza cosmica (Critchley), una sensazione estatica che può comprendere la perdita del senso del tempo, la derealizzazione, la depersonalizzazione e alterazioni soggettive dello schema corporeo.

 

La musica muove i sentimenti e le emozioni. Essa è armonia. L’universo è tenuto insieme da “una certa armonia di suoni”. Aquieta lo spirito e dà sollievo alla mente da tribolazioni e inquietudini. Per Proust, essa esprime tenerezza, passione, coraggio, serenità. E’ il bene più grande che i mortali conoscono ed è, per Addison, “tutto quanto di celeste abbiamo in terra”.

 

Molti autori hanno esaminato gli effetti dei disturbi mentali sulla creatività musicale. L’ipotesi di una relazione in materia risale ad Aristotele, il quale osservò che tutti quelli che eccellevano in filosofia, poesia e in altre arti tendevano ad essere di temperamento melanconico.

 

Sappiamo che Strauss era affetto da ansia fobica, mentre Schumann soffriva di distimia. Beethoven, Berlioz, Lizst, Paganini, Wagner ed altri soffrivano di disturbi della personalità. Nella pratica psichiatrica e neurologica, la musica ha un valore profilattico e terapeutico.

 

A partire dai popoli primitivi, i guaritori usavano la musica per curare le patologie mentali. Si pensava che la musica avesse un’orine soprannaturale. La terapia musicale raggiunge il suo vero significato con Orfeo (1350 a.C.), un cantante-guaritore della Tracia, il quale lodava l’armonia cosmica e riusciva a trattare le passioni umane e curare i pazienti con la musica incantatrice.

 

Nelle teorie di Platone, Aristotele ed altri filosofi dell’antica Grecia, la musica aveva un ruolo importante nel campo dell’educazione, delle relazioni interpersonali, dell’arte, delle cerimonie religiose e della vita pubblica. Sia nell’antica Grecia che nell’antica Roma, i casi psichiatrici venivano trattati con il canto. La stessa medicina araba, a partire dall’ottavo secolo, fu influenzata da queste concezioni. La teoria di un’armonia onnipotente si diffuse nella comunità scientifica dell’antichità, rimanendo valida fino ad epoche recenti. Il principio è che la musica esercita un’influenza profonda sulla personalità dell’essere umano e particolarmente nella sua vita emotiva ed affettiva.

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- Filosofia/Scienza

Nel nome del Padre. La magia del Natale

Nel nome del Padre nella magia del Natale

Intervista al professor Guido Brunetti

 

 

Definito da neuroscienziati di fama mondiale come “umanista-scienziato, scrittore completo e dotato di una cultura universale”, Guido Brunetti ha accolto, nonostante sia impegnato nella stesura di un suo nuovo libro su temi di neuroscienze, il nostro invito ad esaminare una questione di grande attualità, quella della figura del Padre (Dio e uomo) in occasione del Natale. “

 

"Nel nome del Padre": professor Brunetti, qual è il senso di questo concetto? 

 

“Nel nome del Padre è l’incipit del segno della croce, il simbolo primordiale e universale del credo cristiano. La paternità di Dio nel Natale è centrale anche se questa festività è legata all’immagine materna, la Madonna con il bambino. La storia dell’arte è una storia di madri, dalla Madonna di Raffaello alla Madonna di Leonardo, Botticelli, Tiziano, ecc. Nella concezione della civiltà occidentale, il padre per eccellenza, San Giuseppe, è una figura secondaria, un complemento, un sostegno”.

 

La paternità di Dio è connessa con quella dell’uomo?

 

“Il tema del padre è di grande attualità. Nel terzo millennio, l’uomo attraversa una profonda crisi che genera un mondo di fragilità, inquietudini, dubbi. Non ci sono più le antiche sicurezze derivate dal ruolo dominante conferitogli dal sistema patriarcale. La profondità ultima del Natale è che Dio Padre ha generato Cristo e porta la vita di Dio, il Logos, la Parola in noi. Nel bambino della natività, noi possiamo riconoscere il volto del Padre. In molte religioni, poi, Dio viene invocato come Padre. Non vi è che un solo Dio, il Padre onnipotente. La paternità ha quindi un valore teologico e liturgico. Nella letteratura dell’Ottocento, ad esempio, la paternità è una questione dominante, rappresenta il lato oscuro della storia, la sua malattia”.

 

Il padre avviato sul viale del tramonto?

 

Autorevoli studiosi sostengono che di padri ‘c’è bisogno’. Si avverte una ‘nostalgia dei padri’ legata alla loro assenza nella famiglia e nella società. Mentre la società ‘invoca’ il ritorno dei padri, la biologia e la genetica ne invocano ‘l’inutilità, l’irrilevanza’, una paternità a rischio di estinzione. Il padre è una figura problematica, inquieta e incompiuta. Spesso è stato percepito come ‘un corpo estraneo’ nella straordinaria rappresentazione simbiotica madre-bambino”.

 

Come nasce la paternità?

 

“Il costituirsi della paternità attinge a molteplici saperi, come la biologia, l’antropologia e l’etologia e si sviluppa con il pensiero filosofico, religioso e letterario. Nella tradizione ebraica e in quella cristiana sono presenti elementi simbolici e religiosi del padre. La paternità è un fatto umano, culturale, anche se ha connotati legati al divino e ai miti”.

 

è il ruolo della scienza?

 

“Le neuroscienze in questi ultimi anni stanno mostrando attraverso ricerche su animali, ormoni e cervello che tra i due sessi esistono differenze notevoli nel funzionamento di sistemi neurali e meccanismi del cervello. Il cervello femminile è più portato per l’empatia, mentre il cervello maschile per la sistematizzazione. Notevole poi il contributo della psicoanalisi, la quale pone al centro dello sviluppo mentale del bambino il desiderio incestuoso, l’amore per la madre e il desiderio di uccidere il padre per averla. Questa concezione, per Freud, designa gli inizi della religione, della morale, della società e dell’arte. I miti greci propongono una drammatica lotta tra padri e figli. Il peccato originale espiato dalla morte del figlio di Dio, altro non è che l’antico delitto: l’uccisione del padre. Il padre teorizzato da Freud è il padre di Edipo, che uccide il padre per avere la madre, è Dio, il padre ebraico, il padre cristiano. E’ l’esperienza di ogni nascita e di ogni crescita. Il padre si pone come legge, ordine morale, religiosità, ma è un padre ucciso. Egli ha una valenza simbolica: il verbo, la parola, il divino, il significante, il nome del Padre”.

 

Il padre nella società.

 

“Si parla di una società senza padre, di una svalutazione della sua immagine, senza alcun investimento emotivo ed affettivo, priva di processi evolutivi di identificazione e dunque carica di sentimenti di frustrazione e di aggressività. Siamo di fronte a una società piena di adulti ‘bambinizzati’ e di bambini ‘adultizzati’. Anche la coppia è scomparsa, non esiste più una famiglia come ‘unione, ossia secondo Paolo del ‘duo in carne una’. Il mondo degli adulti poi attraverso i modelli proposti dalla moda e dalla televisione presenta sempre più archetipi di incerta identità: non si sa se essi siano maschi o femmine. Nell’era postmoderna, quindi, l’ideale paterno è in ‘disfacimento’, è un totem da abbattere, un’epoca segnata dalla morte del Padre, la morte di Dio. E’ il dramma dell’umanesimo ateo”.

 

Quali sono le cause principali?

 

“D’accordo con altri autori, le cause di questa crisi sono molteplici, le più importanti riguardano il nuovo ruolo sociale svolto dalla donna, che ha sottratto molte prerogative all’uomo e messo in discussione la sua antica posizione dominante e il femminismo. I sintomi che troviamo più frequentemente nell’uomo contemporaneo sono ansia, depressione, disturbi ossessivi, paura della donna e aggressività spesso irrazionale che può sfociare nell’azione omicida o suicida”.

 

L’uomo, simbolo del patriarcato.

 

“Il termine appartiene al pensiero evoluzionista e indica una struttura sociale a predominio paterno. Oggi, patriarcato è parola dileggiata e odiata spesso per ignoranza, pregiudizio e cattiva cultura. Invero, il sistema patriarcale è la più antica forma di organizzazione sociale. Si è affermato in virtù di due esigenze fondamentali: proteggere la madre e il piccolo e procurare loro cibo sufficiente. Evidenze scientifiche mostrano che in tutto il regno animale si ritrova il ruolo protettivo del maschio. Durante il periodo della gravidanza della donna, nell’uomo avvengono cambiamenti negli ormoni che agiscono sul cervello e che stimolano l’accudimento”.

 

Quali sono gli aspetti negativi dell’uomo?

 

“Purtroppo, il ruolo del padre non comprende soltanto azioni nobili. Egli è capace di compiere brutalità, aggressioni e violenze. Sono meccanismi neurobiologici ereditati da migliaia di anni di evoluzione. Gli istinti di cura, amore e assistenza (eros) sono connaturati in tutti i cervelli, così come maltrattamenti, femminicidi, infanticidi e omicidi (thanatos) L’essere umano insomma è una combinazione di vita e morte, bene e male, egoismo e altruismo, miseria e nobiltà. L’uomo post-femminista e post-patriarcale appare ancora come un enigma, là dove, lo ribadiamo, prima c’erano soltanto certezze. Egli è alla ricerca di una nuova identità, di una ridefinizione di sé e del proprio ruolo.

 

Il nostro auspicio è che egli possa diventare protagonista della seconda nascita, evento che si alimenta della maturità e della coscienza del padre, sia nella relazione padre-figlio che in quella uomo-donna”.

Anna Gabriele

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- Letteratura

Viareggio Terra di ferina bellezza

Guido Brunetti

Viareggio “Terra di ferina bellezza”

 

Mare, sole, spiaggia, serenità, rilassamento sono le qualità che da sempre hanno fondato le potenzialità di sviluppo e di valorizzazione del patrimonio ambientale, culturale ed economico di Viareggio. La perla della Versilia è così diventata una delle mete balneari predilette non solo dagli italiani, ma anche dagli stranieri. Sia il mare che il sole sono infatti potenti alleati della salute, del benessere psico-fisico e della bellezza della pelle. La città è anche famosa per il suo Carnevale, uno dei più importanti del nostro Paese.

 

Viareggio è avvolta dalle dolci carezze dei caldi raggi del superbo sole d’estate, che folgorano, d’accordo con D’Annunzio, i monti alpestri, quando “tremolano” le onde del Tirreno, mentre le paranzelle “scivolano” sulle acque come le ninfe antiche.

 

Qui, la terra di Viareggio mostra le sue epifanie e si muta in umanità primigenia, con lo stupore e i suoni e i silenzi e l’estasi lirica.

Una sinfonia di forza e di leggerezza dello spirito, una infinita tranquillità d’animo, un accordo di colori, luci, forme, simboli, atmosfere.

 

E’ il fascino e il mistero di Viareggio. Che mi hanno portato a definirla “Terra di ferina bellezza” e a dedicarle un carme che si intitola “Ode a Viareggio”, i  cui versi sono stati incisi su una targa marmorea dal Comune affissa su una parete della scuola dell’infanzia, in Darsena.

 

Viareggio mi si manifesta in una meravigliosa epifania del luogo. E’ il luogo dell’anima, il luogo della mia anima. Una condizione dello spirito, quello status che gli antichi filosofi greci chiamavano euthymia e eudaimonia, uno stato di benessere e di serenità, una ricerca di felicità intesa come principio dell’esistenza, che tende, come sosteneva Platone, al bene e alla virtù.

 

L’immagine di Viareggio espressa da questa ode assume non soltanto una dimensione creativa, ma anche una valenza universale, eterna, metafisica, le cui radici si possono rintracciare a partire da Omero, Platone e Aristotele, attraversano il Medioevo e il Rinascimento e giungono al Romanticismo e alle teorie del Novecento.

 

Emerge un affresco animato da un profondo respiro spirituale. Mare, monti, colline, spiaggia, sole, cielo: è l’ascesa dello spirito che ritorna nel suo mondo.. L’esaltazione della natura e del cosmo, in cui è contenuta Viareggio, mira a contemplare l’infinito e la bellezza del creato. Su tutto aleggia l’anima dell mondo e la dimensione del trascendente e dell’aldilà metafisico.

 

L’atmosfera di Viareggio creata dai versi dell’ode “rilascia- ha scritto il poeta Pietro Menditto- veramente sensazioni di una tranquillità straordinaria. Sono versi che “appartengono alla poesia da giudicare tra le grandi opere. E’ vera poesia”. Un auspicio poetico- aggiunge Menditto- “che fa onore a uno scienziato-umanista qual è Brunetti, una figura che apprezzo e stimo sommamente”. Brunetti -conclude- onora la cultura e la scienza per il contributo di sapere che apporta, ma anche per la profonda e classicamente signorile umanità che impronta il suo stile di autore, permeato di un’etica profonda di cui si sente la mancanza”.

 

In questa direzione vanno anche alcuni commenti di persone di Viareggio. "L’atmosfera di Viareggio creata dai versi dell’ode di Guido Brunetti- ha dichiarato un’anziana suora- genera in me una grande forza spirituale, ha il potere di alleviare gli acciacchi della vecchiaia e di suscitare nel mio animo sempre nuove emozioni”. “E’ una forma di elevazione culturale ed esistenziale- ha scritto un’altra signora di Viareggio-, un’apertura mentale, un sentimento di liberazione e di gratificazione”. Infine, un famoso e illustre uomo politico di Roma ha dichiarato: “A leggere la bellissima poesia “Ode a Viareggio” mi viene voglia di recarmi nella splendida città della Versilia per sperimentare e rivivere l’emozione che i versi mi hanno generato”.

 

In verità, a partire dal XVIII secolo, si assiste allo sviluppo di località termali e balneari, soprattutto in Inghilterra, divenendo rapidamente sinonimo di status symbol nella nobiltà e nella borghesia. Le località marine vengono privilegiate poiché rispondono al bisogno della cura della persona, del benessere psico-fisico e del clima mite.

 

Il loro sviluppo è anche dovuto al ruolo fondamentale della scienza medica, che mette in luce le qualità dell’acqua salata del mare. Le prime ad affermarsi sono le cittadine che si affacciavano sull’ Oceano Atlantico. Verso la metà del XIX secolo vengono aperti i primi stabilimenti balneari anche in Italia, in virtù di una maggiore attenzione nella cura del proprio corpo, in relazione all’igiene e agli effetti benefici sul piano fisico e mentale.

 

Si sviluppano le prime zone costiere, come la riviera ligure, Viareggio, Venezia, Napoli, Capri, ecc. Sono località accomunate dalla presenza di clienti facoltosi e dell’alta borghesia. Agli inizi del Novecento, la clientela si diversifica e popola le spiagge. Esplode il fenomeno del turismo balneare e il bisogno di mare, sole, spiaggia, divertimento.

 

Negli anni Sessanta del secolo scorso, l’Italia si impone in via definitiva tra le più importanti destinazioni del turismo balneare, che rappresenta uno dei settori più rilevanti dell’economia.

 

Evidenze scientifiche e mediche hanno mostrato al riguardo che il mare, il sole, la spiaggia sono rimedi straordinari, veri toccasana per il benessere dell’organismo. Migliorano l’umore e la circolazione, alleviano disturbi d’ansia, della pelle e i problemi della tiroide. C’è poi una ricarica di minerali e vitamina D. La quale genera un sistema immunitario più forte dovuto all’esposizione dei raggi solari e contribuisce all’attivazione delle cellule del sangue che hanno il compito di proteggere l’organismo da batteri e virus. I sali minerali disciolti nell’acqua marina sono potenti rimedi contro psoriasi, acne e dermatite, e purificano infine le pelli troppo grasse.

 

L’acqua di mare e i raggi del sole riescono inoltre a incrementare il rilascio della serotonina, definita l’ormone del piacere e della felicità, che allevia gli stati di ansia e depressione, lo stress e gli stati di tensione. L’aria di mare libera le vie respiratorie, in quanto ricca di particelle di sali di iodio, calcio, magnesio e cloruro di sodio. Sono elementi che rendono le vie respiratorie più resistenti alle aggressioni virali, come tosse e raffreddore. La vita di mare infine aiuta la riattivazione della circolazione linfatica, che giova a chi soffre di cellulite e ritenzione idrica.

 

Conclusione. Il senso della bellezza di Viareggio

 

Abbiamo definito Viareggio "Terra di ferina bellezza". La bellezza è la qualità capace di appagare l'animo, ha una dimensione "universale" (Platone) e una funzione catartica "liberatoria" (Aristotele), è purificazione dell'anima ed esprime un forte potere simbolico. La bellezza è una forza estetica, metafisica ed etica.

 

Una terra che dunque genera armonia, spiritualità, emozioni, sentimenti, stati d'animo positivi, godimento estetico, attivando sistemi neuronali e aree del cervello, che promuovono il benessere fisico e mentale della persona.

 

Il mare, la spiaggia, il sole hanno, come abbiamo mostrato,  un grande potere curativo, generano notevoli benefici all'organismo e alla nostra salute. Producono sedazione neuromuscolare e tranquillità dell'animo.

 

Qual è dunque il senso della bellezza della terra di Viareggio?

E' un'emozione estetica, un piacere estetico, un senso di benessere e di serenità dello spirito. Una condizione che evoca il senso di "fusione" (Freud) che il bambino prova con la madre "completamente buona".

Nelle frasi finali del "Fedro" di Platone, Socrate è immerso nell'ambiente naturale dei platani e al sole pomeridiano ed esclama: "Oh caro Pan, e quanti altri dei qui dimorate, fate che io sia bello di dentro". Il senso di unione (fusione) con la natura viene nuovamente espresso da Socrate nella "Repubblica": "E quando un animo bello armonizza con una forma bella, e i due sono plasmati in una sola forma, quella sarà la più bella delle visioni per chi ha occhi per vederla".

La bellezza è fusione di anima e natura, di Io e paesaggio. Il paesaggio, il mare, la spiaggia e il sole della "Terra di Viareggio".      

 

Che cosa è dunque la bellezza? "E' il dono di Dio" (Aristotele).          

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- Scienza

La natura ancestrale e biologica della violenza sulle donne

 

Guido Brunetti

La natura ancestrale e biologica della violenza sulle donne

 

Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza istituita il 17 dicembre 1999 dall’ONU, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica su una delle più devastanti violazioni dei diritti umani.

 

Il concetto di violenza indica qualsiasi atto che possa provocare sofferenze o danni fisici, psicologici o sessuali, comprese le minacce di tali atti. La violenza genera effetti negativi sulla salute fisica, mentale e riproduttiva della donna, le cui conseguenze riguardano ansia, depressione, stress, isolamento, incapacità di lavorare e di prendersi cura di se stessa e dei propri figli. E’ un problema di salute bio-psichica di proporzioni globali enormi.

 

I dati della ricerca mostrano che il nostro comportamento ha basi neurobiologiche. Quella dell’uomo è una specie aggressiva. Già Platone scriveva che ‘in tutti noi alberga una bestia selvaggia e senza legge’. Sono comportamenti emotivi e affettivi che originano dalle aree ancestrali, profonde dei cervelli sia umani sia animali. La violenza è parte della nostra eredità primordiale. Tutti i mammiferi fanno esperienza della violenza. Nasciamo con una diversa disposizione al comportamento aggressivo e violento in base al patrimonio genetico, al sesso, al nutrimento ricevuto attraverso la placenta, alle circostanze sociali negative, al testosterone e all’assunzione di fumo, alcol e medicinali durante la gravidanza. E’ un problema psichiatrico e sociale di dimensioni colossali.

 

Nel corso della storia, in epoche e culture diverse, le donne sono state sottoposte a ingiustizie e violenza fisica e psicologica, a umiliazioni, possesso e dominio. Pregiudizi, stereotipi, teorie errate e balzane hanno scandito il mondo delle donne. Secondo queste concezioni durate sino al Novecento, la differenza tra uomini e donne consisteva in una fondamentale inferiorità femminile. All’inizio del XX secolo, il famoso antropologo Gustave Le Bon commette l’errore di affermare che l’inferiorità della donna è ‘talmente ovvia che nessuno perderebbe tempo a contestarla.

 

Sono state le scoperte e gli spettacolari progressi delle neuroscienze a determinare una rivoluzione nelle nostre concezioni e fare finalmente chiarezza sugli aspetti misteriosi e affascinanti delle donne e sui loro specifici, unici e irripetibili talenti neurobiologici, mentali, affettivi e sociali e sulle differenze genetiche, ormonali e comportamentali di uomini e donne.

 

Nuove eccitanti ricerche e prove scientifiche hanno mostrato che uomini e donne provengono da pianeti differenti, ed hanno sensibilità e interessi diversi praticamente in tutti i sistemi affettivi ed emotivi. Conoscere le differenze neurobiologiche, mentali ed emotive tra i sessi comporta rilevanti vantaggi, come la creazione di sistemi di relazione e strategie per realizzare un’esistenza meno aggressiva e violenta; rimuovere pregiudizi e stereotipi negativi; chiarire la natura degli uomini, le loro pulsioni distruttive e autodistruttive e il loro modo di pensare, sentire, agire. Conoscere i due cervelli poi aiuta donne e uomini a provare più comprensione, compassione, intimità e apprezzamento reciproco, e a creare più società umane e civili. Le differenze, che appaiono già durante lo sviluppo fetale, sono profonde e sottili. Evidenze scientifiche indicano che il cervello femminile è programmato per l’empatia, mentre quello maschile è legato all’aggressività. Nella donna, emergono talenti unici, meravigliosi, come la capacità di decodificare i segnali dei più intimi sentimenti altrui, soprattutto stati ansiosi, tristezza o infelicità; osservare e leggere stati d’animo, pensieri ed emozioni; l’abilità nelle cure parentali e nel sedare i conflitti; stabilire profonde relazioni interpersonali; cogliere i toni emotivi nelle voci, nelle espressioni e nei volti; prevedere le esigenze emotive e fisiche dei bambini che non ancora parlano. E’ una domanda che da sempre ha tormentato filosofi e teologi. Sono state formulate numerose teorie, le quali finora hanno rivelato una evidente impotenza nel comprendere e risolvere il mistero del male. Che è una sfida alla ragione e alla scienza. Alla luce di quanto abbiamo analizzato, riteniamo che la società e le istituzioni nell’interesse comune siano fortemente e urgentemente chiamate a valorizzare, contro stereotipi e pregiudizi, i talenti delle donne, affidando loro un nuovo ruolo professionale, culturale e sociale finalizzato al progresso dell’umanità. Una umanità che dovrebbe essere fondata sull’empatia e sui neuroni specchio. Che sono tra le grandi qualità umane, intellettive e morali della donna. La questione è legata ad una dimensione culturale e ad una nuova sensibilità. Senza questa consapevolezza, non ci sarà alcun cambiamento. Tutto continuerà come prima.

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- Scienza

Neuroscienze: il cervello del bambino

                                         Guido Brunetti

                            Neuroscienze: il cervello del bambino

 

  Il 20 novembre di ogni anno viene celebrata la Giornata mondiale del bambino istituita nel 1959 dall’ONU per promuovere la sensibilizzazione dei bambini e il miglioramento del loro benessere fisico e mentale.

 

  Concordiamo con i maggiori autori di neuroscienze nel sostenere che non sembra esistere niente di più complesso e meraviglioso del cervello umano. In virtù del patrimonio genetico e dello sviluppo avvenuto nell’utero, nasciamo con “un cervello unico”(Swaab), in cui le nostre inclinazioni, il nostro carattere e i nostri limiti sono in gran parte stabiliti.

 

  Lo sviluppo, normale e patologico del bambino, è influenzato dal periodo trascorso nel grembo materno e dall’ambiente familiare e socio-culturale. Già Darwin nel 1871 scriveva come lepri e conigli cresciuti in cattività in una gabbia abbiano un cervello del 15-30 per cento più piccolo rispetto ai loro simili cresciuti in libertà.

 

  Il cervello si sviluppa quindi già durante la gravidanza e nei primi anni di vita ad un ritmo rapido. Al riguardo, dobbiamo precisare che esiste una memoria fetale per quanto riguarda il suono, il gusto e l’olfatto. Abbiamo ricordi del periodo trascorso nell’utero.

 

 In verità, negli ultimi anni si è assistito ad un aumentato interesse verso l’infanzia e l’adolescenza considerate come fasi fondamentali della vita. Il campo di indagine in materia è immenso e comprende modelli pluridimensionali e polieziologici per la comprensione dei meccanismi neurobiologici, affettivi e sociali dello sviluppo e delle sue forme patologiche. Capire i bambini è poi un’esigenza basilare per l’influenza che essi esercitano sui valori della società e sulle sue istituzioni.

 

  Il bambino è una realtà vista in modi diversi, secondo le epoche e le culture. Per lungo tempo, egli è considerato un soggetto senza parola, senza intelletto e per alcuni filosofi senz’anima. Uno dei primi autori a sottolineare la colpa innata del bambino, in virtù della teoria del peccato originale, è stato sant’ Agostino. Così, per diciotto secoli, genitori e insegnanti sono stati d’accordo nel ritenere il neonato ‘carico del sudiciume e della lordura del peccato originale’ (Mause).

 

  Fino a tutto il Settecento, l’anima conta più del corpo. Infatti, egli è ritenuto imperfetto, un ‘animaletto incompiuto’. Nel Settecento e Ottocento, l’immagine del bambino comincia a trasformarsi. Il neonato è considerato un essere unico, che acquisisce un valore affettivo, economico e morale.

 

 La psicoanalisi prima e le neuroscienze poi hanno rivoluzionato la nostra comprensione del cervello e della mente, evidenziando l’importanza di questa prima età e delle relazioni tra madre e bambino. Bisogna arrivare alla metà del Novecento quando si afferma un grande principio: per la prima volta, il bambino viene definito come ‘persona’. La Carta dei diritti dell’infanzia del 1959 riconosce e definisce infatti i diritti dei bambini, e fa appello a un’etica umana e medica allo scopo di realizzare il primo principio della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali quanto alla loro dignità e ai loro diritti.

 

 Nuove conoscenze provenienti da molteplici discipline scientifiche hanno dimostrato l’importanza fondamentale della diade madre-bambino e delle esperienze dei primi anni di vita per la salute mentale e lo sviluppo normale o patologico dell’essere umano. Anche dopo la nascita, si perpetua la simbiosi uterina con la madre, espressa da una forte unità dinamica e fisica.

 

 Esperimenti condotti su animali e su bambini hanno dimostrato le conseguenze disastrose della carenza di cure materne, della deprivazione affettiva e sensoriale e della mancanza di un ambiente ricco di stimoli sensoriali, affettivi e sociali. I lavori dei maggiori studiosi hanno documentato gli effetti devastanti della carenza di cure materne, della separazione e della deprivazione affettiva e sensoriale, come disturbi nell’organizzazione e nel funzionamento del sistema nervoso, grave ritardo psico-motorio, disturbi cognitivi, sonno, appetito, anoressia, ansia e depressione. Questa situazione determina conseguenze nei genitori e nella famiglia del bambino.

 

 Dalle ricerche poi sono emersi modelli relazionali patogeni della madre con il bambino, quali l’iperprotezione, la sindrome del bambino vulnerabile, il concetto di madre schizofrenogena.

 

 Alla formazione dei legami affettivi contribuisce l’ attaccamento, che è un processo fondamentale dal punto di vista neurobiologico nello sviluppo del bambino, poiché è alla base della cura dei piccoli, cruciale per la loro sopravvivenza. L’equilibrio mentale dell’adulto non è altro che il frutto del vissuto e dei traumi dei primi anni di vita. Gli studi neurobiologici dell’attaccamento sono stati condotti su modelli animali (macaco, ratti, pulcini, arvicole) e poi sull’uomo.

 

 Il campo di studio del bambino è immenso. E’ una persona con caratteri originali e irripetibili. Questa unicità si riflette sull’unicità della mente e del cervello. Alla nascita e durante la crescita, egli pone problemi specifici che illuminano le qualità del suo essere, la cui caratteristica principale rimane la vulnerabilità. Un essere in divenire, sottoposto a una serie di cambiamenti fisici, neurobiologici, mentali e affettivi. Lo sviluppo del bambino è perciò caratterizzato da una incessante riorganizzazione con fasi accelerate o decelerate durante le quali si verificano momenti di equilibrio e fasi di crisi.

 

 Ogni individuo pertanto si sviluppa secondo un ritmo che gli è proprio. A determinare lo schema strutturale della personalità di base, che condiziona ogni ulteriore evoluzione è il primo periodo di vita del bambino.

 

 L’influenza che la famiglia, la scuola e l’ambiente socio-culturale esercita sulle capacità intellettive, emotive e sociali del bambino è notevole. C’è un principio fondamentale emerso dalla ricerca neuroscientifica: il bambino deve essere trattato secondo la sua natura individuale. La pedagogia, i programmi scolastici, la famiglia e la scuola non possono prescindere dai ritmi individuali del processo evolutivo. Purtroppo, sono principi che non ancora vengono acquisiti né dai sistemi pedagogici e scolastici né dalle famiglie. Questa realtà ha come logico risultato l’emergere di una serie di disturbi psichiatrici, che spesso assumono forme di disadattamento e di devianza.

 

 In molti Paesi, si sta sviluppando una maggiore consapevolezza della grave emergenza della salute mentale nel bambino e nell’adolescente. Infatti, i casi di disturbo mentale, isolamento e abbandono scolastico sono in aumento in tutto il mondo. In Europa, un adolescente su sette convive con ansia, stress, frustrazione, solitudine e bassa autostima. Spesso poi i ragazzi sono sempre più vittime di violenza, bullismo e cyberbullismo. Preoccupa infine il fatto che i ragazzi sfuggono sempre più al processo di integrazione affettiva ed educativa in famiglia e a scuola.

 

 

 

 

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- Scienza

Pensiero moderno, scuola, valori, morte di Dio

Guido Brunetti

Pensiero moderno, scuola, valori, morte di Dio

 

Viviamo in un’epoca di rapidi mutamenti scientifici, culturali ed economici, i quali hanno portato a considerare superati i valori tradizionali e a sostituirli con un insieme eterogeneo di riferimenti. Questa situazione ha generato una società e una scuola “disorientata”, e una profonda insicurezza nella persona, la quale ha perduto la certezza dei principi fondamentali sul piano culturale, morale e religioso.

 

La frantumazione e la crisi dei valori ha contribuito all’emergere di un pensiero filosofico moderno, che ci propone una concezione dell’esistenza che va nel senso inverso a quella di sant’Agostino.

 

Per il filosofo d’Ippona, la città dell’uomo stava crollando e invecchiando. Di qui, l’avvento della città di Dio. Gli studiosi contemporanei invece stanno rifiutando la città di Dio e il mondo di certezze eterne sotto il peso della scienza e della tecnologia.

 

La parola fondamentale della modernità è “Dio è morto” e nulla lo fa resuscitare. Siamo cioè nel regno dell’umano. Ci sono soltanto umani. Una società quindi secolare, desacralizzata, sdivinizzata. E’ l’abbandono di Dio, delle religioni, del trascendente, dell’anima immortale ed eterna.

 

Il mondo di Dio era un mondo sacro, intoccabile, sicuro. Quello del Dio morto è l’addio al passato, l’umanità si emancipa dal sacro e riconosce che non ci sono più “assoluti”, valori, principi, certezze eterne. Il progresso scientifico è l’obiettivo che si prefigge l’umanità impegnata in questa attraversata del deserto.

 

Con la morte di Dio, l’umanità scopre tuttavia di poggiare sul “nulla”. E’ la teoria del nichilismo, che non è solo la corsa dell’umanità verso il nulla, ma è anche l’emancipazione da un Dio “ingombrante”. Di fronte alla rottura violenta della morte di Dio, l’uomo è in crisi e si trova in una grave condizione di smarrimento, privo com’è di principi e di valori. In letteratura, poi, è emersa l’idea di una ribellione totale al vuoto spirituale e alla crisi della ragione di un mondo alienato a se stesso dal benessere materiale.

 

D’accordo con autorevoli studiosi, riteniamo che l’educazione ai valori sia una delle sfide più importanti per gli insegnanti, gli educatori e i genitori. Cosa allora si deve intendere per ‘educazione ai valori’? Quali sono le sue problematiche? Esistono metodi adatti per educare ai valori? In realtà, il termine valore indica cose molte diverse tra loro, come bene di carattere spirituale o di carattere materiale (la vita, la salute, la proprietà). Valori fondamentali sono la dignità della persona, la famiglia, il matrimonio, lo Stato di diritto, la democrazia, la giustizia. Il bene, il vero, il bello, i principi morali, gli ideali sono definiti “valori eterni”. Valori poi sono le qualità positive che rappresentano punti di riferimento fondamentali.

 

Il tema dei valori riguarda in sostanza un problema complesso e difficile, che è legato ad un intricato processo che il pensiero filosofico e pedagogico ha sviluppato nel tempo. Una prima questione concerne la risposta dell’educazione e della scuola alla crisi culturale moderna nella quale vive la società: crisi dei valori e della morale, crisi delle convinzioni di fede, delle norme e delle istituzioni, crisi soprattutto della coscienza dei valori individuali e sociali. Sono morte le antiche certezze, ma le nuove non sono ancora sorte. Eccessivo individualismo e collasso educativo delle famiglie e della scuola connotano l’epoca moderna.

 

In verità, lo sviluppo impetuoso della scienza e della tecnologia ha portato al riduzionismo materialista, una concezione che ritiene possibile fornire una spiegazione completa dell’uomo in termini puramente biologici e fisici. Il miglior indizio della natura dell’uomo non è la visione filosofica o religiosa o morale dell’essere umano, bensì quella scientifica.

 

Per secoli anima e corpo hanno indicato l’esistenza di due dimensioni (dualismo). Oggi, la scienza sostiene che corpo e anima (mente) sono la stessa cosa, soni identici. La mente è un’espressione del cervello (monismo). Il sapere scientifico è convinto che le antiche concezioni del mondo, la dimensione del trascendente e del sacro, Dio, anima, religioni non sono “indispensabili”.

 

L’aumento del benessere poi “sovraccarica” il nostro potere critico, provocando malessere esistenziale, fragilità interiore, rotture dei legami affettivi e sociali attraverso un incessante bombardamento di stimoli e di messaggi edonisti e narcisisti. C’è dunque l’esigenza dell’educazione ai valori, un nome nuovo per “compiti educativi antichi” (Brezinka). L’educazione ai valori indica una nuova definizione dei compiti educativi, come educazione morale, religiosa, civica, politica, sociale, estetica. Educazione ai valori è educazione ai principi. La scuola non deve soltanto trasmettere conoscenza, ma deve formare i sentimenti, le emozioni, gli affetti, le capacità intellettive, ossia la personalità dell’essere umano, la sua formazione morale. Concetto che sta ad indicare l’insieme delle qualità che abilitano ad agire moralmente bene. Oltre alla formazione morale, occorre tenere presenti le inclinazioni, il senso dei valori, gli interessi della persona, la forza spirituale, i legami emotivi, i bisogni, le convinzioni. E’ il percorso idoneo a superare il razionalismo, la corrente di pensiero che ritiene che la ragione, le capacità intellettive e il pensiero razionale siano sufficienti per vivere bene la propria vita.

 

In questa dimensione, è fondamentale l’influsso esercitato dalla famiglia. L’educazione ai valori da parte dei genitori si basa sui seguenti presupposti: 1. avere una scala di valori chiara e condivisa dai genitori; 2. avere una cultura familiare adeguata e coinvolgente; 3. creare gruppi genitoriali, che abbiano idee e interessi comuni. 4. Purtroppo, è molto diffuso il “lasciar fare” acritico. C’è l’idea sbagliata di “tolleranza”, atteggiamento che è legato all’indifferenza, alla mancanza di legami affettivi, all’assenza di convinzioni morali e spiritual.

 

Base di partenza, valutare le condizioni della personalità e poi creare e perseguire strategie adeguate. Queste devono essere adattate agli obiettivi educativi, all’età e allo sviluppo emotivo e intellettivo del bambino. Autorevoli studiosi inoltre indicano che l’educazione “indiretta” è più efficace dell’educazione “diretta”. Quella indiretta consiste nell’organizzare la vita dell’educando in modo da favorire esperienze ricche di valori positivi. I modelli più importanti sono le figure parentali e gli educatori. L’attaccamento ai valori nasce nei primi anni di vita e prosegue nell’adolescenza. Sta di fatto che in una società pluralista, i valori non possono essere gli stessi per tutti. Tuttavia, è necessario un minimo comune denominatore di ideali e di principi fondamentali da trasmettere ai ragazzi. Promuovere questo obiettivo resta la funzione principale dell’insegnamento”.

 

Finora, non sembra che il nostro Paese abbia trovato la formula della ‘Buona scuola’, i cui problemi (antichi) non sono stati mai esaminati a fondo e che sono esplosi in tutta la loro drammaticità con la pandemia.

Sta di fatto che la scuola proietta un'immagine di vera emergenza sociale. 

 

La diagnosi di molti esperti, docenti compresi, è severa: parlano di "sfascio", "disastro", "degrado". Un decadimento culturale, didattico e metodologico.

Una scuola che ha rinunciato a formare i ragazzi con contenuti e metodi adeguati, snaturandosi e subendo una crisi di identità allarmante. Essa si regge sull'abbassamento drammatico del livello di preparazione, sull' innalzamento artificioso dei voti di profitto e su riforme scriteriate e demenziali, scimmiottando modelli anglosassoni.

La povertà educativa, per molti pedagogisti, è arrivata a livelli inaccettabili. 

 

 

 

 

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- Scienza

Disturbi mentali

Guido Brunetti

Disturbi mentali

 

 

  Ogni anno, il 10 ottobre, si celebra la Giornata mondiale della salute mentale, istituita nel 1992 dalla Federazione mondiale per la salute mentale e promossa dall’OMS, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della salute mentale; lottare contro i pregiudizi e lo stigma che ruota intorno a questo problema e coinvolgere le istituzioni. La ricorrenza offre l’opportunità di affrontare una delle più grandi sfide delle neuroscienze e della società.

 

  La salute mentale è un elemento fondamentale della salute e del benessere. La salute è ‘uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia o infermità’, come precisa l’Oms. A sua volta, il disturbo mentale è ‘una sindrome legata ai problemi del pensiero, delle emozioni e del comportamento’ che riflettono- afferma il Manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM-5)-‘una disfunzione dei processi psicologici, biologici o dello sviluppo che compongono il funzionamento mentale’. I disturbi mentali sono accompagnati da sofferenza o difficoltà nelle abilità sociali, occupazionali o altre attività. Compito della medicina non è solo quello di curare, ma soprattutto di prevenire e rimuovere le cause di malattia.

 

  Ricerche recenti mostrano che un adolescente su sette presenta un disturbo mentale. In Europa, l’ansia e la depressione costituiscono oltre la metà dei casi. Fra gli adolescenti, il suicidio rappresenta la seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali. Disturbi comportamentali crescono in maniera preoccupante anche nei bambini. Tra i disturbi mentali più diffusi c’è la depressione, che spesso è causa di suicidio.

 

  Sono state sviluppate molteplici teorie, a partire dall’interpretazione magico-religiosa della follia e proseguire identificandola con un’alterazione di tipo medico, a un guasto mentale tutto interno all’individuo, a una malattia del cervello. Si tratta di un percorso che passa attraverso concezioni spiritualiste, somatiche, psicoanalitiche, psicopatologiche e antropoanalitiche.

 

  Invero, già la medicina del II secolo a.C. afferma con Ippocrate che lo studio del disagio psichico abbraccia l’uomo nella sua totalità. Una concezione propria della psichiatria fenomenologico-esistenziale contemporanea, la quale cerca di esplorare nuove modalità di incontro con il paziente e scandagliare l’interiorità dei paesaggi dell’anima, il dolore inteso come lacerazione, straziante sofferenza, profonda ferita, superando lo sterile etichettamento diagnostico e la stereotipia dei ruoli di medico e paziente.

 

  La psichiatria moderna nasce quando entra in crisi l’interpretazione magico-religiosa del disagio mentale. All’inizio, il trattamento assume una gestione puramente repressiva. Successivamente, si sviluppano forme assistenziali educative e rieducative. E’ il trattamento morale della patologia mentale. Le cause dei disturbi psichiatrici vengono ricercate nella predisposizione ereditaria e nella degenerazione biologica. Il malato è ridotto a malattia, a pura negatività, a un guasto biologico.

 

  Nel Novecento, questo modello medico del disturbo mentale va in crisi anche in ragione del fallimento pratico della psichiatria medica e biologica. Non vengono infatti trovate le cause biologiche di questa malattia, né viene elaborato nessun metodo di cura biologico risolutivo.

 

  Gli psicofarmaci, diffusi a partire dagli anni Cinquanta, sono soprattutto sedativi e medicamenti sintomatici, e ‘non veri curativi’ (Jervis). Insomma, accompagnano il percorso terapeutico forme di positivismo psichiatrico, determinismo meccanicistico e riduzionismo scientifico e biologico.

 

  Lo sviluppo delle teorie psichiatriche ha compiuto evidenti progressi, soprattutto per il confluire di molteplici campi di ricerca (psicoanalitico, antropologico, esistenziale, fenomenologico), che hanno condotto a una rifondazione della psichiatria. Emerge una nuova visione che fornisce non solo un valido strumento interpretativo dei disturbi mentali, ma indica un nuovo metodo di cura e un nuovo modello dell’assistenza.

 

  Invero, i farmaci hanno soppiantato tutte le altre terapie. Negli ultimi anni, si è verificata una generalizzazione eccessiva dell’uso dei farmaci con somministrazioni ‘indiscriminate ed inadeguate’; contemporaneamente, si è assistito a molteplici impostazioni teoretiche di ispirazione psicoanalitica.

 

  Oggi, le tendenze più qualificate sono quelle di una concezione olistica dello sviluppo dei processi neurali e mentali. Non vi è dubbio che se la psichiatria vorrà sopravvivere, ha bisogno delle indicazioni e dei dati che provengono dalla ricerca delle nuove neuroscienze.

 

  Come infine non considerare che tutto pesa sulle famiglie, le quali facendosi carico della sofferenza che la malattia produce lamentano un’assistenza ‘ancora ferma agli anni Settanta, dispensatrice di benzodiazepine e altri psicofarmaci’.

 

  Dietro le infinite diagnosi e le classificazioni, si nascondono altri problemi, i problemi umani della vita, le sofferenze, i disagi, l’indifferenza, le difficoltà personali e interpersonali.

 

  La medicina, la psichiatria sono anche scienze umane. Il loro primo approccio è quello di un rapporto umano e umanizzante con la persona (il cosiddetto paziente) e con i familiari. In mancanza di una relazione empatica, ogni terapia è destinata ad essere inadeguata e assolutamente insufficiente.   

 

  Autorevoli studiosi di medicina e grandi clinici da tempo hanno rilevato l’esistenza di una ‘crisi della medicina’, intesa come ‘crisi di formazione’. La ripetuta esigenza di ‘umanizzare’ la medicina rende evidente un paradosso: dover apportare ‘umanità’ a comportamenti che umani dovrebbero essere per definizione e vocazione, ma che umani non sono.

 

 

  L’approccio tecnologico ai problemi del paziente riduce quindi il medico in ospedale a somatologo, a tecnico del corpo scisso. Un medico che appare ansioso, insicuro, diffidente e stressato per i turni massacranti.

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- Medicina

Abbiamo un cervello infinito, ma fragile

 

“Abbiamo un cervello infinito, ma fragile”

 

Il 21 settembre, si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale dell’Alzheimer”, istituita dall’ Organizzazione mondiale della sanità, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere iniziative per la prevenzione e la cura di questa malattia. E' un tema delicato, complesso e difficile che cerchiamo di analizzare insieme con il professor Guido Brunetti, umanista-scienziato e scrittore, il quale ha fornito numerosi, importanti contributi scientifici nel campo delle neuroscienze sia attraverso l’insegnamento universitario che per mezzo di molteplici libri e saggi.

 

Cervello e Alzheimer…

 

“La cura dell’Alzheimer- spiega Brunetti- è una delle grandi sfide del futuro. E’ una malattia che fa paura, può colpire chiunque, mortificando la dignità e l’identità dell’essere umano. Ha infatti un’evoluzione progressiva verso il completo declino cognitivo. Di qui, l’esigenza di un trattamento e di un’assistenza di grande qualità umana, professionale, di empatia e di notevole sensibilità morale”.

 

Come può essere valutata?

 

“E’ una forma di demenza, che implica un progressivo decadimento delle funzioni cognitive, a partire dalla memoria. Le demenze sono patologie con eziologie diverse, caratterizzate da molteplici deficit cognitivi (afasia, aprassia, agnosia, disorientamento spazio-temporale e difficoltà visuo-spaziali). La diagnosi è accompagnata da sintomi ansiosi e depressivi. Il morbo di Alzheimer, descritta per la prima volta nel 1907, colpisce più spesso la donna e appare di frequente dopo i 65 anni di età. All’origine della patologia, c’è la morte massiccia delle cellule nervose. L’ipotesi è che questa malattia sia una forma ‘precoce e galoppante’ (Swaab) di invecchiamento cerebrale. I neuroni si logorano, determinando una graduale decadenza delle funzioni del cervello”.

 

Può spiegarci il concetto di invecchiamento?

 

“Con il passare degli anni, c’è un lento decadimento del cervello, come ogni altra parte del nostro corpo, evento che costituisce l’espressione più evidente della nostra fragilità. E’ una legge biologica inevitabile. Le cellule del cervello cominciano a scomparire, come le foglie che cadono in autunno. Già a partire dai 30 anni, i neuroni muoiono in un ritmo incessante. Diminuiscono i neuroni e le sinapsi, così come diminuiscono i livelli di alcune sostanze quali la dopamina e la serotonina, fatto che contribuisce alla perdita di memoria. Talvolta, le amnesie sono il sintomo dell’Alzheimer e di altre demenze”.

 

Ci sono farmaci per curare queste malattie?

 

"Attualmente non ci sono medicinali che possano guarire le patologie neurodegenerative. Tuttavia, sono state fatte scoperte e messe a punto importanti strategie per l’Alzheimer, le altre patologie neurodegenerative, l’ictus, i disturbi psichiatrici e il processo di invecchiamento. I farmaci esistenti trattano i sintomi, ma non riescono a fermare la morte delle cellule nervose. In molti laboratori, i ricercatori in Italia e nel mondo continuano a lavorare per cercare di scoprire i segreti e identificare i meccanismi all’origine di queste malattie, allo scopo di sviluppare farmaci per colpire il processo patologico”.

 

Ha parlato di scoperte e nuove strategie…

 

“La scoperta rivoluzionaria compiuta dalle nuove neuroscienze negli ultimi anni è la neuroplasticità. E’ il grande talento del cervello, un cervello illimitato, un telaio incantato che tesse e ritesse i suoi fili in maniera incessante. Un organo che ci rende unici e diversi da tutti gli altri esseri viventi. La tesi che ha scatenato la rivoluzione neuroscientifica è che il cervello è in grado di modificare se stesso, di generare nuovi neuroni (neurogenesi) e nuove sinapsi, di continuare a crescere, apprendere, e riorganizzare ogni sua parte in seguito al processo di invecchiamento, ai danni cerebrali e all’ Alzheimer attraverso una molteplicità di stimoli esterni e di esperienze, lungo tutto il corso della vita. Un organo quindi modificabile, flessibile, mutevole. Ogni informazione genera nel cervello un fiorire di neuroni e sinapsi. Più si attivano i sistemi neurali sotto stimolazioni, minore è la possibilità di contrarre una demenza o il morbo di Alzheimer. Eppure, sino a pochi anni fa, nelle Università veniva insegnato che il cervello fosse una macchina fissa e immutabile e che ogni sua parte non potesse essere sostituita o riparata”.

 

Come combattere l’Alzheimer e l’invecchiamento?

 

“Un principio fortemente sostenuto dai neuroscienziati è quello di realizzare un ‘ambiente arricchito’ (enriched environment): un ambiente vario e ricco di stimoli di natura cognitiva, emotiva, motoria e sociale. Usalo (il cervello), altrimenti lo perdi (Use ir or lose it). Numerosi esperimenti hanno mostrato che animali, anche con lesioni cerebrali, inseriti in ambienti arricchiti ottenevano modificazioni nella struttura del cervello, un aumento del peso della corteccia cerebrale e miglioramenti più rapidi e consistenti rispetto a quelli tenuti in ambienti normali”.

 

Programmi e strategie…

 

“Sono stati elaborati programmi di addestramento (Train the Brain) su persone per contrastare l’invecchiamento e ridurre il rischio di Alzheimer, i quali hanno ridotto il declino cognitivo, cambiamenti nel cervello, sviluppo e aumento delle dimensioni dei neuroni, crescita del cervello, riduzione della perdita di volume della materia grigia, prevenzione delle malattie neurodegenerative e un effetto protettivo contro l’invecchiamento e l’Alzheimer”.

 

Questi progetti riguardano anche altre malattie?

“Le nuove terapie neuroplastiche- precisa Brunetti- producono notevoli effetti benefici sul corpo e la mente e svolgono un’azione di prevenzione e terapia. Esse si sono dimostrate molto efficaci anche in soggetti colpiti da ictus e in altre tipologie di pazienti. E’ una scoperta che ha aperto la strada ad una concreta possibilità di recupero. I programmi di training- d’accordo con uno dei migliori neuroscienziati al mondo nel campo della neuroplasticità cerebrale, M. Merzenich- possono avere ‘un’efficacia’ pari a quella dei farmaci nella cura di gravi disturbi psichiatrici, come la schizofrenia, in quanto possono modificare “milioni di connessioni neurali”.

 

Professor Brunetti, come concludere?

 

“Abbiamo un cervello infinito, la struttura più straordinaria e meravigliosa del creato conoscito. Un cervello illimitato, ma fragile. Di qui, l'esigenza di elaborare uno stile di vita, che esprima una felice combinazione di training cognitivo, attività motoria, corretta alimentazione e pensare positivo”. Sono questi i metodi fondamentali per vivere bene, vivere meglio e vivere più a lungo”.

Ely Bianchi

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- Filosofia/Scienza

Che cosa è la coscienza

Guido Brunetti

Che cosa è la coscienza?

 

 

Le neuroscienze continuano a fornire una mole di dati di notevole interesse nell’intento di analizzare il cervello, la mente e la coscienza. Tre parole che nascondono abissi di ignoranza. Nonostante la quantità delle ricerche e delle scoperte, i neuroscienziati sono continuamente alle prese con gli antichi dilemmi. La mente è riducibile a processi meccanici? Non ci siamo ancora avvicinati alla comprensione di come dalla materia del cervello emerga l’immaterialità della mente. La mente è riducibile a processi meccanici? E come riesce la materia a generare il pensiero? Come può un pensiero essere causa di un evento materiale? E come è possibile che un evento materiale, cerebrale possa determinare un evento mentale? Sono alcune delle grandi domande su cui si sono lambiccati il cervello filosofi e scienziati a partire da Socrate, Platone e Aristotele.

 

Ultimamente, è stato Daniel C. Dennett a rispondere a queste domande con il suo nuovo libro “Coscienza. Che cosa è (Raffaello Cortina Editore). In questa opera, Dennett sottopone a una severa critica tutte le teorie sulla mente, spiegando i vari fenomeni che compongono ciò che chiamiamo coscienza e mostrando come essi siano tutti effetti fisici delle attività del cervello. Emerge una visione diversa dai tradizionali punti di vista, rompendo vecchi modelli di pensiero.

 

La teoria di Dennett si avvicina alla prospettiva storico-culturale basata sull’idea che la mente non è un’entità ideale, come la res cogitans di Cartesio, ma un prodotto dell’evoluzione. La conoscenza cosciente si sviluppa cioè per gradi e dipende dal fatto che gli esseri umani sono capaci di monitorare il sistema di autocontrollo attraverso la comunicazione verbale.

 

Abbiamo sviluppato- precisa l’autore- un sistema cognitivo autocosciente, il quale è capace di diventare consapevole del proprio corpo, di cosa stiamo facendo, dei nostri pensieri e dell’opportunità di condividere queste informazioni con gli altri. Bisogna fare molta attenzione- egli ammonisce- nell’adoperare l’allegoria del teatro della coscienza proposta dallo studioso francese, Taine; la coscienza come palcoscenico di un teatro, perché essa può condurci a un grave errore, ovvero all’idea che esista dentro di noi uno spettatore (l’homunculus). Non esiste alcun “io” che guarda dentro di noi. Il palcoscenico stesso è quell’io.

 

Nel nostro cervello, non c’è traccia- scrive Dennett- di un “autore centrale”, che produce un unico e definitivo flusso di coscienza. Invece di un unico flusso, ci sono canali multipli in cui vari circuiti creano “molteplici versioni”. Questi fenomeni sono tutti degli “effetti fisici delle attività del cervello”.

 

La coscienza può essere ricondotta alle leggi della fisica. Essa è “informazione globale” trasmessa all’interno del cervello e scaturisce da una rete neurale la cui ragion d’essere è la “massiccia condivisione d’informazione pertinente attraverso il cervello. Dennett definisce questa concezione “celebrità cerebrale”. Possiamo trattenere nella mente qualsiasi concetto; decidere e assicurarci che sia incorporato sui nostri progetti. La coscienza seleziona e amplifica i pensieri rilevanti. I processi che persistono e acquistano influenza sono quelli che, per Dennett, noi chiamiamo “pensieri coscienti”.

 

La parola coscienza ha un’ampia valenza semantica. Per coscienza possiamo intendere cose diverse, come la vigilanza e lo stato di veglia; la consapevolezza delle proprie azioni, ossia la qualità di avvertire e valutare i fatti che si verificano nell’ambito delle esperienze personali; le percezioni sensoriali (colori, suoni); le emozioni (paura, odio); le sensazioni corporee (piacere, dolore); gli stati d’animo (serenità malinconia) e infine pulsioni, desideri, bisogni. Sono tutti stati senzienti, che iniziano quando ci svegliamo e terminano quando ci addormentiamo.

 

Essi sono “accessibili” solo a chi li prova. Mente e coscienza quindi sfuggono all’indagine scientifica della verifica e della riprova. Non è dimostrabile infatti che il rosso che io percepisco corrisponda a ciò che tu chiami rosso.

 

Il termine latino conscientia si riferisce a una forma di conoscenza dialogica, che si realizza, come afferma Socrate, attraverso un dialogo non solo con gli altri, ma anche con se stessi. Molti autori hanno interpretato il “sé” come composta da una sostanza spirituale (Platone, sant’Agostino, Cartesio). Altri, come un’entità indipendente (Merleau-Ponty, Callagher). Altri ancora, come un insieme di pensieri (Hume).

 

La coscienza, per Dennett, è praticamente l’ultimo mistero che ancora sopravvive. Ci troviamo “nella confusione più totale” E’ un problema che lascia ammutoliti anche i più sofisticati pensatori. Parliamo delle nostre esperienze coscienti o delle nostre abitudini inconsce, ma non siamo sicuri di “sapere” cosa intendiamo quando diciamo queste cose.

 

Come possono corpi fisici produrre i fenomeni della coscienza e della mente? Questo è il mistero. Un mistero della selezione naturale, dell’evoluzione biologica e dell’evoluzione culturale. Le neuroscienze descrivono, per esempio, come uno stimolo luminoso raggiunga la corteccia cerebrale visiva, ma non spiegano come lo stimolo diventi cosciente.

 

Sostenere che la coscienza sorga dall’attività del cervello, cioè, come afferma lo scienziato Francis Crick, da “un pacco di neuroni è altrettanto misterioso- commenta Huxley- della comparsa del genio quando Aladino strofinava la lampada. Come un processo possa cominciare come evento cerebrale e finire in un evento spirituale o viceversa è- rileva Hartmann- di per sé “inspiegabile”. La domanda quindi in che modo da un insieme di segnali elettrochimici un evento acquisti significato, diventi cioè coscienza, è senza risposta.

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- Filosofia/Scienza

Alle origini della coscienza

 

Guido Brunetti

 

Alle origini della coscienza

Come può il cervello dar luogo alla coscienza e alla mente? Autorevoli scienziati lo hanno definito il problema difficile delle neuroscienze. Il problema della coscienza- afferma Mark Solms, neuroscienziato e psicoanalista, nel suo nuovo, brillante e fondamentale libro “La fonte nascosta. Un viaggio alle origini della coscienza” (Adelphi Edizioni, Milano 2023)- è un enigma delicato e complesso. E’ il problema dei problemi.

 

  I più grande enigma di tutte le scienze, il problema difficile delle nuove neuroscienze viene affrontato dall’autore con un metodo in cui confluiscono le sue molteplici, brillanti ricerche realizzate nel corso di un lungo e fecondo percorso professionale e scientifico. La sede della coscienza, per Solms, non è la corteccia cerebrale, come si pensava in passato, ma il tronco dell’encefalo, un’area del cervello molto più antica, una struttura che gli esseri umani condividono con tutti i mammiferi e persino con i pesci. Qui risiede la “fonte nascosta”, la coscienza, con gli affetti, i sentimenti e le emozioni.

 

  Le indagini di “neuroimaging” funzionale del cervello negli stati emotivi mostrano che la massima attività si verifica nel tronco cerebrale profondo. Questa parte del cervello genera gli affetti e i sentimenti che pervadono l’esperienza cosciente. I sentimenti, precisa Solms, sono coscienti per definizione, sono l’essenza stessa della coscienza. Sono questi che determinano il comportamento di ogni individuo. I sentimenti ci raccontano una lunga storia evolutiva di cui siamo completamente “all’oscuro”.

 

  Le ricerche in questo campo sono   basate su studi di stimolazione cerebrale eseguiti su migliaia di animali. I quali, in base a scoperte accettate dagli studiosi, sono creature dotate di coscienza, soggette cioè a intense emozioni, che non sono molte diverse da quelle che proviamo noi.

 

  Esistono sette emozioni di base. Le nostre gioie e le nostre sofferenze non sono altro che il prodotto di questi sette sistemi. Che sono il sistema della ricerca (ricerca di novità, esplorazione dell’ambiente); il sistema del desiderio sessuale; il sistema della rabbia; il sistema della paura; il sistema del panico da abbandono; il sistema della cura; il sistema del gioco.

 

  L’opera si rivela un viaggio affascinante alla scoperta delle origini della coscienza, che getta nuova luce sul problema della mente e delle esperienze fenomeniche soggettive. Finora, sono state elaborate teorie ispirate al monismo e al dualismo. Tra le prime, quella di stampo idealista e spiritualista, la quale considera tutti i fenomeni cerebrali come fenomeni mentali. Per il materialismo o fisicalismo, invece, non esistono eventi mentali, ma solo cerebrali.

 

  Si va dal materialismo eliminativo (la mente non esiste) al materialismo del premio Nobel Crick, lo scopritore della struttura del DNA, il quale scrive: “Le vostre gioie e i vostri dolori, i vostri ricordi e le vostre ambizioni, il vostro senso di identità e di libero arbitrio, in effetti non sono altro che il comportamento di un gruppo di cellule nervose. La mente per il materialismo riduttivo è il risultato di uno stato fisico. Uno stato della mente è insomma uno stato del cervello. La coscienza è un fenomeno cerebrale. E’ la teoria dell’identità di cervello e mente, eventi mentali ed eventi neurofisiologici del cervello.

 

  A loro volta, Eccles e Popper teorizzano l’interazionismo: mente e corpo s’influenzano reciprocamente. Il cervello, dicono, è la base della mente, che a sua volta lo controlla. Altri autorevoli neuroscienziati, come Penfield, Eccles e Sperry, si sono inchinati di fronte al mistero della mente, di come cioè una struttura materiale possa tradurre un’attività immateriale.

 

  Il venire alla luce della coscienza di sé poi è ritenuto da alcuni scienziati un “mistero” che riguarda ciascuno di noi, con la nostra coscienza e la nostra individualità. Coscienza e mente sono quindi   entità al di là dell’indagine scientifica, essendo il risultato di una “creazione soprannaturale” di ciò che viene chiamato anima (Eccles). Sull’argomento, secondo il fisiologo tedesco Emilio Du Bois- Reymon, si deve pronunciare non solo ignoramus (non sappiamo), ma anche un ignorabimus (non sapremo).

 

  Il problema cervello-coscienza, in realtà contiene grandi enigmi che forse “non saranno, secondo Popper, mai risolvibili”. E’ il problema più difficile e profondo del pensiero nell’era moderna. Uno dei più grandi misteri dell’universo.

 

  Ci troviamo di fronte a due diverse concezioni: da una parte, i tentativi riduzionistici, dall’altra, la seduzione del mistero, del soprannaturale, che affascina e rassicura.

 

  Concludiamo, dicendo che isolare i correlati neurali della coscienza, ossia identificare i processi cerebrali che si correlano con l’esperienza è un compito facile. Ciò che è difficile è spiegare “come” i correlati determinano l’esperienza fenomenica e  “perché” l’attività del cervello produce l’esperienza della coscienza. Insomma, come fa la materia (il cervello) a diventare mente (sostanza immateriale)? Come può il cervello passare da un’attività elettrochimica ai sentimenti, alle esperienze soggettive? Sono domande che confermano la parte difficile del problema. L’enigma dunque rimane. La coscienza e la mente rappresentano ancora un problema elusivo.

 

  C’è una speranza. Mente e coscienza sono certamente un problema difficile, ma non c’è motivo per credere che rimarrà irrisolto per sempre.

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- Filosofia/Scienza

Arte, cervello, inconscio

Guido Brunetti

Arte, cervello, inconscio

 

  Indagare l’arte, il bello, la bellezza, la creatività per noi è come immergersi nell’immensità del fascino e del mistero del cervello e della mente e scoprire il miracolo dell’esistenza. Quando siamo colpiti da una poesia, un dipinto o rimaniamo incantati da un brano musicale è la mente che “costruisce” ciò che sentiamo e vediamo. Il cervello è un “telaio incantato”, secondo la bella definizione del neuroscienziato C. Sherrington, che tesse e ritesse i suoi fili ammirati.

 

 L’arte è tra le più elevate e meravigliose espressioni di questo telaio incantato. Noi riteniamo che il valore di un’opera d’arte sia la sua capacità di trasmetterci intense emozioni ed idee. Ci deve catturare e attrarre per la forma, il colore e i contenuti. E avere la forza di rivelarci i sentimenti, le percezioni, le gioie e i tormenti dell’artista. Talora, la presenza del chiaroscuro esprime inquietudine e pathos. Sono parti della sua vita spirituale.

 

 L’arte spazia nella fantasia, nel simbolismo e nell’immediatezza, in cui lo spirito si muove liberamente in un mondo creato dal soggetto. E’ il momento soggettivo, immediato dello Spirito. Un sentimento dell’Io puro, il principio di ogni esperienza soggettiva. Sono esperienze fenomeniche che suscitano sensazioni piacevoli, un godimento estetico, in virtù di un processo mentale che ci consente di identificarci con l’opera e con il mondo soggettivo dell’artista. Un rivivere inconscio le esperienze della creazione. E’ come se l’arte, in ciò siamo d’accordo con Freud, ci volesse “comprare” con i suoi godimenti formali ed estetici, provocando in noi la stessa costellazione mentale che le ha dato l’impresa di creare.

 

 Affiora un insieme di stati soggettivi, gioia e tristezza, felicità e dolore che sono legati all’inizio del pauroso, al conflitto tra istinto di vita e istinto di morte, tra eros e thanatos. Un dipinto infatti è sempre il riflesso di una sensazione profonda e strana, è iperbole, distorsione della realtà o esagerazione intesa a procurare al nostro cervello un piacere intenso. L’arte- poesia, pittura, musica, scultura- è tra le più vertiginose conquiste dello spirito umano. In molte opere, pensiamo ai dipinti di Raffaello Sanzio da Urbino, s’intravvede davvero la luce del paradiso.

 

 Come avviene questo prodigio? Se andiamo alle radici dell’arte per indagare l’evoluzione di quel mondo enigmatico e oscuro che cerca di sottrarsi sia alla ragione che all’indagine neuroscientifica, forse riusciamo a comprenderne la natura. Che cosa è l’arte? L’ arte è uno dei problemi più antichi affrontati dal pensiero filosofico e antropologico. Oggi, le neuroscienze stanno facendo luce sulla comprensione delle basi neurali del fenomeno artistico, potendo verificare le loro ipotesi attraverso l’analisi del cervello in maniera diretta ed empirica. Di qui, la nascita di una nuova disciplina chiamata da Semir Zeki “neuroestetica”.

 

 Psicoanalisti, psichiatri e antropologi si sono occupati spesso del regno delle immagini. Un fenomeno che può apparire nelle visioni degli sciamani, nelle malattie mentali e nell’età infantile. Certamente, è un compito difficile quello dei neuroscienziati dal momento che la scienza si occupa di principi universali, mentre l’arte è la suprema “celebrazione” dell’individualità e dell’originalità umana (Ramaschandran). Quando infatti l’artista compone, si sente come “invasato” da una forza estranea al suo controllo. Si tratta, secondo Platone, di un “divino distacco” dalle norme consuete, di una “mania divina” caratterizzata dall’ispirazione divinatoria, dall’ispirazione artistica e dalla mania amorosa che viene da Afrodite e da Eros”.

 

 In verità, è molto antico il collegamento dell’arte con l’Eros e le pulsioni sessuali. La pittura, la musica e la poesia esprimono continuamente contenuti erotici. “Ognuno, precisa Platone nel Simposio, diventa poeta, appena Eros lo tocca. Sotto la guida dell’amore, Apollo ritrovò l’arte e la medicina, sicché anche lui sarebbe un allievo di Eros”.

 

 Abbiamo una grande varietà di definizioni dell’arte e del bello. Si va dalla più antica concezione dell’arte come imitazione ai concetti moderni di arte come creazione e costruzione. Tutte le teorie confluiscono in due sezioni principali: la prima, considera l’arte come educazione; la seconda come espressione. Il concetto di arte come educazione è la più antica e diffusa. Inizia con Platone e Aristotele, dura per tutto il Medioevo, continua nel Rinascimento e prosegue con Hegel e Croce fino a pervenire alle teorie che attribuiscono all’arte uno strumento di educazione socio-politica.

 

 La concezione dell’arte come espressione si riferisce al carattere contemplativo dell’arte, intesa come forma finale dell’attività creativa. Lo studio sulla creatività si rivela di notevole interesse, poiché l’umanità non fa alcuna cosa se non per merito degli inventori: è l’unico fattore attivo nel progresso umano. Gli individui di genio indicano la via e tracciano gli schemi, adottati e seguiti dalla gente comune (James).

 

 Il processo creativo, nell’antichità, è inteso come capacità di rappresentare la natura. Aristotele attribuisce all’arte una funzione ordinatrice, intesa a chiarire la complessità della storia attraverso le “armonie”. L’arte assume un valore “catartico” nello spettatore, un senso di liberazione dell’anima dalle passioni degli istinti: in ciò, il filosofo greco precorre alcune interpretazioni psicoanalitiche.

 

 Storicamente, la creatività è stata valutata di volta in volta non solo come catarsi, ma anche come attività magica, evasiva, edonistica, didascalica. La funzione catartica della creazione artistica è dimostrata dall’esempio di Goethe, che confessava di essere guarito da una forte crisi depressiva che lo aveva tratto sull’orlo del suicidio, scrivendo il “Werther”. Noi del mestiere- scrive Byron- siamo “più o meno toccati”. Alcuni sono affetti da “gaiezza”, altri da “melanconia”. Sintomi depressivi appaiono nelle opere di Van Gogh, Schumann, Hemingway, Virginia Woolf e di molti altri artisti.

 

 L’arte come mezzo pedagogico di godimento è teorizzato da Esopo, Fedro e Lucrezio. Nel Medioevo, si accentua la dimensione morale dell’arte. L’artista ha il mandato di celebrare la gloria divina. Nel Rinascimento, l’arte è intesa come studio della natura. Con l’Ottocento, si fa strada il problema semantico attraverso molteplici sistemi che vanno dal simbolismo emotivo al concetto della “pura visibilità”. L’arte viene sempre più concepita come fenomeno esistenziale, umano. Questa idea romantica, che si basa su come la vita interiore dell’artista trova espressione nelle sue opere, riesce a ispirare i primi lavori di Freud, contribuendo allo sviluppo delle sue teorie e delle sue scoperte. Dall’opera sul motto di spirito (1905) alle indagini psicoanalitiche su Leonardo da Vinci (1910) e sul Mosè di Michelangelo (1914), Freud torna spesso sul tema della creazione artistica.

 

 L’artista trae la materia per elaborare la sua opera nella “fantasia”. Che si esprime, per il padre della psicoanalisi, attraverso tensioni inconsce e desideri insoddisfatti, confermando le intuizioni dei primi filosofi sull’importanza che assume l’inconscio nella creazione artistica. Nel volume “Il poeta e la fantasia”, l’autore sostiene infatti che quell’essere strano- l’artista- raggiunge la sua essenza attraverso l’immaginazione, che ha le sue origini nell’inconscio, come i sogni e i giochi dei bambini. L’arte è simile al sogno notturno, un mezzo indiretto di soddisfazione dei desideri repressi, nel quale si manifesta la “proiezione” inconscia della personalità, ossia ciò che è nascosto ed incomprensibile.

 

 Come avviene la trasfigurazione dei sentimenti e dei desideri rimossi nell’opera d’arte? Per spiegare il processo creativo, Freud ricorre al concetto di “sublimazione”. Che consiste in una “trasmutazione” da uno stato esistenziale ad un altro. Una pulsione è sublimata se è “deviata” verso una meta non sessuale. La libido desessualizzata s’incanala per vie nuove, producendo opere di alto valore spirituale.

 

 La visione moderna dell’arte tende ad attribuire alla creatività la funzione di un processo mentale, di un comportamento non conformistico e non imitativo. Un comportamento che genera una dinamica fondata su scomposizioni e ricomposizioni del “significato”, seguendo, secondo Umberto Eco, “un procedimento semiotico”. Il pensiero romantico ritiene la creatività come “lo spontaneo traboccare di forti sentimenti, i quali sono una “proiezione” dello stato mentale dell’artista e danno luogo all’emergere del “simbolismo” alla fine del XIX secolo e a molte altre correnti, come quelle espressionista, del fauvismo e del surrealismo.

 

 Sulla base di questa impostazione, dobbiamo sottolineare che l’artista non rappresenta la natura, né la imita, ma la crea di nuovo. Attraverso l’opera, egli “reinventa” la realtà. In questo modo, il processo creativo trascende le esperienze soggettive dell’autore e conferisce all’opera d’arte “un significato universale” (Jung). La creazione di un’opera d’arte quindi diventa l’equivalente mentale della procreazione.

 

 Perché infine un’opera d’arte ci provoca piacere, procurandoci godimento, sentimenti ed intense emozioni? Tutto avviene per mezzo di un neurotrasmettitore, la dopamina, che è il mediatore del piacere. Tutte le volte in cui compiamo un’azione che ci suscita piacere, si attiva, come mostrano le ricerche delle nuove neuroscienze, un meccanismo cerebrale che produce la dopamina. La sindrome di Stendhal spiega come un’emozione provocata da un quadro possa scatenare allucinazioni o svenimento. Il seno scoperto di un dipinto, ad esempio, può innescare il rilascio di endorfine, vasopressina e ossitocina, che sono le sostanze dell’eccitazione sessuale.

 

 Concludendo, diciamo che l’arte è una manifestazione dello spirito umano in cui si fondono ebbrezza ed eccitazione, tormento e umori tempestosi. Ci rende felici e ci riempie di emozioni. Le nuove neuroscienze sono alla ricerca dei meccanismi neurali delle emozioni, le quali originano dalle aree profonde del cervello.

 

 La creatività artistica pertanto rimanda alle implicazioni labirintiche del cervello umano e delle profondità della propria genesi. Essa rimane un evento carico di mistero e di fascino e come tale ancora inaccessibile ad ogni tentativo di analisi neuroscientifica. Resta la riflessione che ogni atto creativo può elevare l’essere umano a una nuova dimensione spirituale. Ha un potere simbolico e tende alla libertà e alla felicità dell’individuo.

 

 Secondo la nostra concezione, l’ispirazione creatrice dell’arte non può non continuare a incarnare una visione trascendente dell’essere. Rappresenta l’ignoto, il non conosciuto. La sua funzione non è quella di descrivere il visibile, ma di cogliere nel visibile “l’invisibile” ( J. Mirò), l’Assoluto, l’infinito, l’eterno.

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- Filosofia/Scienza

Mondo reale e mondo virtuale

Guido Brunetti

Mondo reale e mondo virtuale, mente e coscienza

 

 Il futuro che verrà proietta un vasto spettro di questioni legate al mondo reale e al mondo virtuale, alla natura della mente e della coscienza fenomenica, all’esistenza di Dio e a una vita buona. Stiamo andando verso un mutamento antropologico, che investe le nostre concezioni millenarie e la nostra stessa visione dell’uomo e del mondo.

 

 La speranza è che le straordinarie conquiste delle neuroscienze, della tecnologia e della bioelettronica non riducano lo spirito umano a corporeità, annullando il suo mondo interiore, la sua spiritualità ed eticità, i sentimenti, le emozioni, gli affetti, la sacralità della vita. Questi temi sono al centro delle riflessioni di scienziati e filosofi e aprono nuove meravigliose prospettive sul modo in cui pensare all’esistenza e al mondo.

 

 Esemplare è la recente opera di David J. Chalmers, che s’intitola “Più realtà” (Raffaello Cortina Editore). Un’affascinante, originale e straordinaria analisi di un grande studioso del cervello, della mente e della coscienza (neuroscienze).

 

 Il mistero della mente e della coscienza fenomenica, per Chalmers, non può essere risolto dalle interpretazioni materialistiche, le quali presentano evidenti “limiti”. La natura della mente non può essere spiegata, studiando il cervello, ossia in termini puramente fisici. L’avvincente analisi dell’autore australiano è inserita nell’ambito del nostro futuro scientifico e tecnologico, offrendoci nuove prospettive.

 

 Viviamo in mondi reali e mondi virtuali. Il mondo reale è ciò che è concreto, esiste, effettivo, sensibile. Il mondo virtuale simula la realtà effettiva, è ciò che è possibile. La realtà virtuale è realtà “a tutti gli effetti”, è realtà “autentica”, non è “finzione” o “illusione”. Le entità nelle realtà virtuali “esistono davvero” e sono in grado di offrirci nuove possibilità, nuove paesaggi e una vita “buona”.

 

 Il termine virtuale indica in sostanza qualcosa di analogo a “come se”. Una mela virtuale è “come” una mela, ma non è una vera mela. Ogni volta che un essere umano entra in un mondo virtuale, si crea una sorta di “dualismo”. E’ il problema mente-cervello e mente-corpo. Che nel campo delle neuroscienze è il “problema dei problemi”. L’interazionismo dualistico sostiene che mente e corpo sono “diversi”, ma interagiscono.

 

 Oggi, la maggior parte dei neuroscienziati ha una concezione materialistica, secondo cui il mondo è fatto di materia. E’ la metafisica della scienza moderna, che spiega tutto in termini fisici, anche l’anima, la mente e il comportamento. Secondo autorevoli studiosi, come Chalmers, il materialismo non potrà mai “spiegare” che cosa sia la coscienza fenomenica. Le correlazioni empiriche, spiega, sono “insufficienti” come spiegazioni perché la coscienza “sopravvive naturalmente” sulle proprietà fisiche. Nessuna ipotesi disponibile sui correlati neurali della coscienza- sia funzionalista-computazionale (Baars, Dennett, Churchland) sia neurobiologica (Crick, Koch, Edelman) sia fisica (Penrose) sia biologico-evolutiva- può risolvere il problema difficile della coscienza. La coscienza è qualcosa che va “oltre” il cervello, il corpo materiale.

 

 Che cosa è la coscienza? E’ “un’esperienza soggettiva, personale, privata, unica” di colori, forme, voci, musica, gioia, dolore, fame, felicità. E’ un flusso di pensieri coscienti: pensare, ragionare, parlare. Come può esserci esperienza soggettiva in una realtà fisica? E in che modo il cervello, sostanza fisica, dà origine alla coscienza? Al momento, nessuno conosce le risposte.

 

 E’ diventata famosa la definizione di Chalmers della coscienza come il “problema difficile” (the ard problem). Difficile perché tutta l’esperienza cosciente appartiene al soggetto che sta avendo quell’esperienza. E’ la soggettività che rende difficile il problema della coscienza. La quale è pertanto privata, quindi non può essere “misurabile”.

 

 I neuroscienziati spiegano il problema attraverso “i correlati neurali” della coscienza. Ma la correlazione non è una “spiegazione”. Non sappiamo “perché” e “come” questi processi diano origine alla coscienza e alla mente.

 

 La conclusione è che per prendere sul serio la natura della coscienza e della mente si rende necessaria una scienza “completamente nuova”. Inoltre, una teoria scientifica della mente comporta “uno sfondo metafisico”, che difficilmente “può essere il materialismo”.

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- Filosofia/Scienza

Qual è la relazione tra la mente e il corpo?La mente animale

 

Guido Brunetti

Il rapporto mente-corpo. La mente animale

 

  Fin dall'antichità, a partire dal padre della filosofia occidentale Platone, che coniò il termine anima, la mente e la coscienza rivestono un ruolo frondamentale nella riflessione filosofica greca, latina ed araba.

  Una svolta decisiva è stata operata dalla filosofia del XVII secolo e in particolare dal pensiero di Cartesio, il quale è ritenuto il fondatore della filosofia moderna.

 

 La teoria metafisica di Cartesio afferma che l'essere umano è composto da due sostanze distinte e unite (dualismo delle sostanze): l'anima (res cogitans) e il corpo (res extensa). Le sue riflessioni, come nota Paolo Pecere nel suo libro "La natura della mente" (Carocci Editore), hanno avviato un fecondo processo teorico nell'indagine della mente, che ha portato a sviluppare una corrente di pensiero chiamata "meccanicismo della natura".

 

  La filosofia meccanicistica ritiene che la materia sia alla base della realtà. Di qui, lo studio sperimentale della mente condotto secondo una prospettiva meccanicistica.

  La mente, secondo Hobbes, ha una natura materiale. Le sostanze immateriali sono infatti "inconcepibili". Il soggetto del pensiero è "corporeo". L'ipotesi della materia pensante è stata formulata da un altro filosofo, Locke, il quale sostiene che sia i materialisti sia gli immaterialisti condividono "una fondamentale ignoranza" circa la natura della sostanza. Non sappiamo- dice- in che cosa consista il pensiero. Egli considera la sostanza incorporea come la teoria più probabile.

 

  Un altro autorevole studioso, Wundt, rifiuta il concetto di anima come sostanza metafisica e dichiara che questa sia piuttosto il "soggetto logico", dando in tal modo molta importanza allo studio dei meccanismi fisici dell'azione. Gli oggetti fisici e quelli psichici non sono oggetti diversi, ma hanno un medesimo contenuto. 

 

  Queste teorie, come concorda Pecere, vengono criticate da molti autori, i quali ritengono che le ipotesi meccanicistiche non sono adatte a spiegare la mente e quindi hanno notevoli limiti. Ogni fenomeno naturale, per Giordano Bruno, agisce attraverso "l'anima del mondo". L'anima- aggiunge- si diffonde "oltre il corpo".

 

  Una visione metafisica è quella descritta da Spinoza. Egli sottolinea la dipendenza della  mente e della coscienza da Dio. Tutto ciò che è, è in Dio e niente può essere concepito senza Dio. Mente e corpo quindi sono "attributi divini". Un altro autore, Leibniz, crede nell'unità di anima e corpo e tiene a separare la metafisica dalla scienza naturale.

 

  Nell'Ottocento, scoperte sperimentali e teorie mutano la riflessione sulla scienza del cervello, anche se si rafforza l'ipotesi che i processi mentali corrispondano a quelli materiali. Darwin manifesta la sua teoria dell'evoluzione secondo la quale l'uomo è "creato dagli animali" e le specie condividono una mente simile.

 

  L'anima, per Darwin, nasce come risultato di certe combinazioni materiali. Carl Vogt crede che le attività mentali sono "funzioni" della sostanza del cervello. Dello stesso parere è Thomas Huxley, il quale giudica che i pensieri siano l'espressione dei cambiamenti molecolari nelle sostanze di vita.

 

  Lo sviluppo delle neuroscienze nella seconda metà del Nocento reso possibile dall'introduzione di nuove tecnologie di "brain imaging" accentuano la tesi del materialismo sull'identità della mente e del cervello. Francis Crick evidenzia come la scoperta dei correlati neurali della coscienza coincida con il successo del materialismo. "Tu, le tue gioie e i tuoi dolori, i tuoi ricordi e le tue ambizioni, il tuo senso di identità e il libero arbitrio non sono in realtà- scrive Crick- niente più che il comportamento di una vasta assemblea di cellule nervose". Anche studiosi, come Putnam, Dennett e Churchland reputano possibile dare una spiegazione neurobiologica della mente e della coscienza in termini di attività neurale.

 

  Il materialismo riduzionistico dell' identità cervello-mente riceve molte

critiche basate sull'ipotesi- dice Pecere- che le teorie meccanicistiche non sono adatte a spiegare la mente e quindi hanno notevoli "limiti". Il panpsichismo, a sua volta, ritiene che l'emergere della mente dalla materia è "inspiegabile". Il grande fisiologo E. du Bois-Reymond pensa che non solo la coscienza risulta "inspiegabile", ma che questa "non può mai essere spiegata". Conclude il suo pensiero, affermando "Ignorabimus" (Non sapremo mai).

 

  La coscienza, dunque, resta, per Nagel e Colin McGinn, "necessariamente un mistero", poiché, secondo un altro autorevole studioso, Chalmers, le riflessioni materialistiche dei processi mentali non possono spiegare l'esperienza soggettiva, e "risolvere" il problema della coscienza. Finora, nessuna ipotesi disponibile sui correlati neurali della coscienza- sia funzionalista (Dennett) sia neurobiologica (Crick, Koch, Edelman) sia fisica (Penrose) sia biologico-evolutiva può risolvere- conclude Chalmers- "il problema difficile della mente".

 

  Indagare la mente e il cervello, infine, significa anche affrontare un tema fondamentale, quello delle menti degli esseri non umani, ai quali siamo legati da condizioni biologiche, emotive ed etiche. E' un tema, in verità, che ho analizzato in molteplici pubblicazioni e che tuttavia mi piace sempre riprendere per il grande affetto che ho nutrito verso i cuccioli di cane, Apollo e Kimi, due straordinari esseri che mi hanno dimostrato che cosa siano l'attaccamento, l'affezione, la devozione, la tenerezza, qualità che non sempre noi umani riusciamo a manifestare.

 

  Fin dalle origini della filosofia greca, con Platone, Aristotele, Plutarco ed altri, si riconosce agli animali "la capacità cognitiva". Addirittura, secondo Porfirio, gli animali "parlano in base alle regole che ciascuno di essi ha ricevuto dagli dei o dalla natura.

 

  Forme di conoscenza e una qualche coscienza agli animali vengono attribuite da Leibniz, Kant, Spinoza, Condillac, Voltaire. Il filosofo Hume scrive: "Nessuna verità sembra a me più evidente di quella che le bestie son dotate di pensiero e di ragione al pari degli uomini".

 

  Darwin sottolinea un legame "genealogico" fra tutte le forme di vita. Negli animali- spiega- "interviene non solo una piccola dose di giudizio o ragione, ma anche un senso morale o una coscienza". Etologi, come Frans De Waal, parlano di "contagio emozionale", di "empatia cognitiva", di stati mentali, di altruismo e di senso morale".

 

  I progressi in questo campo danno vita, negli anni Settanta del secolo scorso, all' etologia, disciplina definita come studio del comportamento degli animali. Gli scienziati hanno applicato a questi comportamenti parole, come "sensazione, desiderio, dolore, amicizia, volontà e mente".

 

  Nel tempo, questi temi non si limitano agli animali, ma riguardano altri organismi, come le piante. Pur non avendo un sistema nervoso, le piante mostrano, secondo molte ricerche, "un comportamento intelligente" e "capacità sensoriali" (Trewavas).

                                                                                                        

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- Filosofia/Scienza

Il mistero della mente e della coscienza

 

Guido Brunetti

Il mistero della mente e del cervello

Coscienza umana e coscienza animale

 

  Nel corso dei secoli, la natura della mente e della coscienza è stata al centro dell'indagine filosofica e teologica. Oggi, le neuroscienze stanno delineando- come scrive Anil Seth nel suo libro "Come il cervello crea la nostra coscienza" (Raffaello Cortina Editore)- teorie affascinanti della coscienza e del Sé.

 

  La coscienza è definita in termini di esperienza soggettiva e comprende una complessa varietà di eventi neurobiologici, fenomenologici e psicologici. La coscienza è "indissociabile" dalla mente, fa parte della sua stessa struttura: uno spettro di fenomeni che va dalle più alte attività della mente alla semplice condizione di veglia.

  Finora, non è stata raggiunta alcuna definizione condivisa dagli scienziati. Il termine appare confuso e ha una natura polisemica.

 

  Sul piano neuroscientifico, il concetto di coscienza incorpora un efficiente stato di vigilanza, una capacità di giudizio, un orientamento spazio-temporale, un funzionamento della memoria e dell'attenzione. Sul piano morale, il termine si riferisce a una dimensione interiore e alla consapevolezza della propria identità. La coscienza, inoltre, si identifica con tutti gli stati mentali intenzionali: pensiero, idee, desideri, decisioni, ricordi, speranze, percezioni, sensazioni, consapevolezza.

  La capacità della coscienza di indagare su se stessa e sulle proprie azioni viene chiamata autocoscienza.

 

  Oggi, nonostante il rapido sviluppo delle neuroscienze e l'introduzione delle straordinarie metodiche di "brain imaging", resta fitto il mistero della mente e della coscienza.

 

  La coscienza riguarda prima di tutto l'esperienza soggettiva, la fenomenologia, ed è formata da stati soggettivi, esperienze personali, private, uniche che i neuroscienziati chiamano "qualia": la rossezza del rosso, il dolore, la gioia, la gelosia.

 

   L'esperienza soggettiva è spiegata dagli studiosi nei termini di processi fisici e biologici, i quali si sviluppano in cervelli e corpi.

  Com' è che le nostre esperienze soggettive nascano dal cervello? La formulazione di tale questione è nota come il "problema difficile" della mente e della coscienza, espressione coniata da David Chalmers. La coscienza scaturisce da una base fisica, ma non abbiamo "alcuna buona spiegazione del perché e del come essa scaturisce".

 

  Il problema difficile emerge- precisa Seth- a partire dai filosofi dell'antica Grecia e prosegue con Cartesio, il quale ammette l'esistenza di una sostanza materiale ("res extensa") e di una sostanza immateriale (res cogitans"). E' il dualismo metafisico già teorizzato da Platone.

 

  Attualmente, la maggior parte dei neuroscienziati ritiene che l'Universo sia fatto di entità fisiche e che gli stati mentali e gli stati di coscienza emergano da tali entità. E' la teoria del "fisicalismo" o "materialismo": l'idea che tutti gli eventi sono "determinati" da cause fisiche (determinismo).

 

  A creare la nostra coscienza sono i meccanismi biologici del cervello. E' il cervello a generare la nostra esperienza cosciente. Anche la coscienza di sé è un processo biologico profondamente "incorporato". Le nostre esperienze coscienti di sé e del mondo sono predisposizioni basate sul cervello. E' il cervello che crea la mente e la coscienza. Non siamo computer- scrive Seth- siamo "macchine che sentono".

 

  E' ampiamente riconosciuto- afferma  Chalmers- che l'esperienza nasca da una base fisica, ma non abbiamo una buona spiegazione del perché e del come essa nasca. Perché l'elaborazione fisica dovrebbe dara origine a una ricca vita interiore? Sembra irragionevole, eppure lo fa.

  Come dunque la mente scaturisca da una base fisica rimane ancora un mistero.

 

  Di fronte a questo mistero, la filosofia e le neuroscienze stanno fornendo un'ampia gamma di opzioni: dal materialismo eliminativista ( la coscienza non esiste) al panpsichismo (la coscienza è ovunque).

 

  Gli animali hanno una coscienza e un senso morale?

  Evidenze scientifiche indicano che gli esseri umani non sono gli unici in possesso di substrati neurologici che generano la coscienza. E' accertato che i mammiferi sono coscienti, anche se non è possibile valutare il grado di coscienza di un animale. Scimpanzé, gorilla, orangutanghi, delfini, elefanti e gazze ladre hanno superato il test di autoriconoscimento allo specchio, fatto che dimostrerebbe la presenza di coscienza e autocoscienza.

 

  Il cane  possiede un certo grado di coscienza, ha un senso morale e ha alcune capacità simili a quelle degli umani, come empatia, comprensione, compassione, ecc. Sono capacità non apprese, ma innate. Ho potuto verificare, in molti anni, queste qualità prima con il cucciolo Apollo e poi con il cucciolo Kimi: è stata un'esperienza umana e professionale molto arricchente e gratificante, straordinariamente ricca di emozioni, che ho trattato in molti saggi e articoli. La loro perdita rappresenta un grande vuoto, una forte afflizione, un enorme affetto perduto: sentimenti che il tempo non è riuscito ( e non riuscirà) a lenire.

 

   Studi recenti hanno rivelato la stupefacente complessità dell'autoriflessione animale. Questa competenza si chiama metacognizione (pensare di pensare): la capacità di riflettere sui propri pensieri. Scimmie, ratti, delfini e piccioni posseggono i "rudimenti" di una genuina competenza metacognitiva.

 

  Possiamo dire quindi che il comportamento animale possiede gli elementi di una "mente cosciente e riflessiva".

 

  Le ricerche sottolineano che tutti i mammiferi hanno un'attività cerebrale che appare "molto simile" a quella riscontrata negli esseri umani. Condividiamo con altre specie animali la maggior parte, se non tutti i nostri sistemi cerebrali centrali, anche se il nostro cervello può essere definito "unico" nelle sue qualità.

 

  Sono state riscontrate in particolare notevoli "capacità cognitive" nei polpi. Sono in grado di imparare, recuperare oggetti nascosti, uscire da complicati labirinti, provare molteplici azioni diverse per "risolvere" un problema. Il polpo poi è in grado di assumere colore, forma e consistenza del suo ambiente, al punto da risultare "invisibile" ai potenziali predatori.

 

  Molte specie di uccelli sono particolarmente "intelligenti". Ci sono inoltre ampie evidenze di risposta a eventi dolorosi nelle varie specie di animali.

 

  Appare cosa ovvia precisare che la coscienza animale, dove esiste, è diversa dalla nostra.

 

  Durante l'evoluzione, il senso morale si è manifestato all'inizio nelle cure prestate dagli animali ai loro cuccioli, pratica che poi è stata estesa ai membri della stessa specie. Questo comportamento morale ha basi biologiche.

  Cercare dunque la coscienza al di là dell'uomo, è una grande avventura umana e scientifica.

 

   Concludendo: indagare la mente e la coscienza è un'impresa affascinante e fantastica. E' incredibile che un grumo di materia come il cervello possa dare origine a un universo di pensieri, idee, emozioni, sentimenti, percezioni.  Tutto ciò suscita nello scienziato stupore, meraviglia e sgomento.

 

   

 

 

 

 

 

  Ci sono altri scienziati e filosofi che sostengono invece che l'essenza della mente non puè avere una spiegazione fisica. La mente è tanto fantastica da non poter essere spiegata attraverso neuroni e sinapsi.

                                                               continua

 

 

 

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- Filosofia/Scienza

Cervello e comportamento animale. Elementi di etologia

 

Guido Brunetti

Cervello e comportamento animale. Elementi di etologia

 

   Tutti gli studiosi riconoscono il grande contributo che gli animali hanno fornito alla scienza e alla medicina. Nel corso della storia, gli animali hanno assunto via via il significato di simboli morali, come nelle favole di Esopo, simboli religiosi, per gli egizi, manifestazione della creazione divina in S. Francesco.

 

   E' un vasto campo di studi in cui convergono molteplici discipline quali neuroscienze, genetica, fisiologia, zoologia, che hanno portato alla nascita dell'etologia (dal greco ethos, carattere, costume e logos, discorso) che è la scienza che studia  il comportamento animale. Che può avvenire sia in laboratorio che nell'ambiente naturale.

   

   Il primo studioso degli animali è stato Aristotele. La sua opera "Historia Animalium" è un affascinante studio sul comportamento degli animali e sulle  seicento specie di animali osservati e classificati. A sua volta, il naturalista inglese Charles R.Darwin (1809-1882) è stato il primo autore a sottolineare le attività psichiche degli animali, affrontando sul piano scientifico il problema dell'istinto, una forza vitale innata finalizzata alla conservazione dell'individuo e della specie (Fabre).

 

  Darwin ha formulato nei suoi libri "L'origine della specie" (1859) e ne "La discendenza dell'uomo" (1871) la teoria dell'evoluzione naturale degli esseri viventi. L'evoluzione è l'elemento comune della diversità della vita. Il meccanismo principale dell'evoluzione è la selezione naturale, la quale  interviene sulla variabilità individuale.

 

   Esiste una lotta continua tra gli individui per la sopravvivenza. Nella lotta, sopravvivono e si riproducono solo gli individui più adatti alle condizioni in cui avviene la selezione.

  Tutte le forme viventi- sostiene Darwin- derivano da una o poche specie ancestrali. La specie umana (Homo sapiens) deriverebbe da primati ancestrali, progenitori anche  delle attuali scimmie (evoluzionismo). La selezione naturale. lo ribadiamo, fa sì che gli individui meno idonei a quella situazione ambientale vengono eliminati.

 

   La vita, per Darwin, deriva in sostanza da un' unica forma originaria, poiché tutti i tessuti viventi hanno moltissimo in comune dal punto di vista chimico.. Le ricerche della biologia molecolare ha di recente fornito solide basi a questa idea straordinaria.

 

   Il sistema nervoso dei vermi, degli insetti e dei vertebrati, dai pesci all'uomo, deve aver avuto "un unico predecessore comune" esistito "seicento milioni di anni fa".

   Il genoma umano differirebbe da quello dello scimpanzé dell'1 per cento.

 

   Un altro importante autore è Ivan P. Pavlov (1849-1936), il quale riconduce tutto ai "riflessi condizionati", avviando in tal modo una nuova scuola di pensiero, la riflessologia. Il suo nome infatti è legato alla scoperta del riflesso condizionato sui cani chiamato anche "condizionamento classico" o pavloviano. Il condizionamento si verifica quando uno stimolo diventa un "segnale" per un evento che sta per verificarsi.

 

   Nel suo esperimento, Pavlov fa precedere il suono di un campanello all'azione di dare il cibo a un cane. Nelle successive fasi, gli dà la carne e viene fatto suonare il campanello. Al solo suono del campanello viene rilevato uno stimolo salivare. Il cane associa al suono del campanello l'arrivo del cibo., provocando in lui una secrezione salivare.

 

Successivamente viene sviluppato da alcuni psicologi americani un importante movimento, il "behaviorismo" (comportamentismo), il cui fondatore, J.B.Watson, teorizza che ogni comportamento sia umano che animale è analizzabile in termini di stimolo e risposta (S-R).

 

  Il massimo esponente dell'etologia è Konrad Lorenz (1903-1989), uno scienziato e premio Nobel austriaco riconosciuto come il padre di questa disciplina. Egli studia in particolare le componenti innate del comportamento che vengono descritte nei suoi libri "L'anello di re Salomone", "Il cosiddetto male", "L'etologia, fondamenti e metodi".

 

   Le sue ricerche sull' imprinting mostrano che i comportamenti innati dipendono in una certa misura da fattori ambientali. Il termine "imprinting" indica una forma di apprendimento comune tra gli animali. Il piccolo appena nato "insegue" il primo individuo o oggetto che lo impressioni, come fosse sua madre.

 

   Fra gli studiosi del comportamento animale è stato motivo di accese polemiche per molti anni la netta contrapposizione fra istinto (innato) e comportamento (ambiente, cultura). Oggi, si ammette che non esiste alcun carattere, o comportamento, che non sia frutto dell'interazione tra fattori genetici e fattori ambientali.

 

   Le ricerche hanno nel tempo dimostrato che gli animali possiedono  stati soggettivi (coscienza), qualità sociali, mentali e morali.

   Nel mondo animale, è molto diffuso il comportamento sociale che giunge a vere e proprie forme di "organizzazione sociale" con la costituzione di "società animali". Tra i vari comportamenti sociali, sono stati studiati quelli aggessivi. Secondo Lorenz, l'aggressività intraspecifica è un istinto e costituisce una delle naturali radici della socialità. Secondo altri scienziati, invece, l'aggressività non è un istinto, ma solo la manifestazione dell'istinto riproduttivo e modulabile da fattori esterni. 

 

   Le lotte e le minacce sono spesso "mimate" e raramente giungono a "conseguenze dannose", in quanto vengono attivati meccanismi cerebrali, come la resa, la pacificazione e la subordinazione, comportamenti che interrompono le ostilità.

 

   Le ricerche neuroscientifiche hanno portato alla scoperta che la coscienza non è una caratteristica esclusiva dell'essere umano, ma è presente anche negli animali, e si può accertare sia negli animali che nei bambini attraverso la prova dello specchio. Gli animali dunque hanno emozioni (Frans de Waal).

 

   La coscienza di sé appare molto sviluppata in tutta una serie di animali e costituisce la base per promuovere relazioni sociali. Alcuni scimpanzé, orangutan e anche gorilla si riconoscono allo specchio (D. Swaab). Delfini ed elefanti sono in grado di riconoscersi attraverso uno specchio enorme. Alcuni esperimenti hanno rilevato che anche una gazza si riconosce allo specchio. 

 

   Per quanto riguarda il campo delle facoltà mentali, Darwin ha scritto che "non c'è alcuna differenza fondamentale tra l'uomo e le mammiferi superiori". Gli animali pensano a quello che sanno? E' una questione di diffile soluzione, nonostante i numerosi esperimenti condotti in materia. Attualmente valgono le conclusioni del neuroscienziato Antonio Damasio. Alcuni animali hanno un certo livello di coscienza, ma quali animali la possiedono ci è "ancora ignoto".

 

   Gli animali hanno un senso morale?

   Il comportamento morale, secondo Darwin, "si ritrova in tutte le specie, come i primati, gli elefanti, i lupi". Non è raro osservare che il proprio cane si interessi alla sorte dell'altro e mostri compassione per un altro cane che è rimasto ferito. Ricerche mostrano che se un elefante viene colpito da una pallottola o resta ferito in un incidente, gli altri barriscono e gli prestano aiuto (de Waal).

   Altre ricerhe hanno evidenziato esempi di "autentico comportamento morale" negli animali, come nei delfini, cani, bonobo, corvi, scimmie, scimpanzé.

 

   Inizialmente, durante l'evoluzione l'aiuto reciproco si è manifestato nelle cure amorevoli prestate dagli animali ai loro cucciolo. Successivamente, è stato esteso ai membri della stessa specie. Infine, questo comportamento, secondo gli scienziati, è diventato "il fondamento della morale umana" (de Waal). La morale si fonda in sostanza su fattori biologici, ha cioè una solida base biologica.

 

   Importanti poi si rivelano i neuroni specchio, i quali sono alla base dell'empatia e ci permettono non solo di capire gli altri e condividerne i sentimenti, ma anche di immaginare cosa provano nella sofferenza o nella gioia.

 

   Concludiamo, sostenendo che poiché l'uomo è un animale, è possibile applicare i metodi di studio etologici al loro comportamento.

                                                                     

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- Filosofia/Scienza

La coscienza: il problema difficile delle neuroscienze

Guido Brunetti

La coscienza: il problema difficile delle neuroscienze

 

Stiamo assistendo a un’esplosione di conoscenze neuroscientifiche, le quali ci permettono di esplorare e percorrere paesaggi segreti del cervello e della mente, una terra incognita e misteriosa lasciata per secoli alla speculazione della filosofia. Secondo molti scienziati, la mente e la coscienza nascono da “segnali elettrici e chimici” del cervello. Nascono, secondo i neuroscienziati Panksepp e Damasio da aree inferiori del cervello,

 

La scienza ritiene che l’universo fisico è tutto ciò che esiste (materialismo). L’uomo, come sottolinea efficacemente Federico Faggin nel suo libro “Irriducibile” (Mondadori, 2022), è stato “equiparato” a una macchina, a un computer, che può essere addirittura più intelligente di qualsiasi essere umano. Gli scienziati non ammettono l’esistenza della mente e della coscienza e ritengono che la vita è “meccanica” e che l’universo è senza scopo e significato. Mente e coscienza, in quanto sostanze immateriali, diventano in tal modo il problema difficile delle neuroscienze, il problema dei problemi (Chalmers).

 

Il materialismo nega la teoria del dualismo platonico e cartesiano, che traccia una netta divisione tra mente e materia, asserendo che esiste solo la materia (monismo) da cui deriva anche la mente. Se la mente, come dice il fisicalismo, è il frutto della materia, come può una spiegazione fisica comprendere l’esistenza della mente?

 

Invero, c’è qualcosa di “irriducibile nell’essere umano, qualcosa per cui “nessuna macchina” potrà mai sostituirci completamente. Tra l’uomo e la macchina c’è una “differenza incolmabile”. Questa differenza sta nella mente, nella coscienza e nel libero arbitrio. La materia, per Faggin, non potrà “mai” produrre stati d’animo, emozioni o sentimenti, gioia o tristezza. In una macchina non ci sono simboli e sentimenti. I simboli, il pensiero, il dubbio esistono solo nella mente, non in un ”meccanismo”.

 

La macchina non percepisce il sapore di un dolce, il profumo o il colore azzurro. Noi non siamo soltanto il nostro corpo e tutto ciò che esiste non ha origine solo nel mondo fisico. La mente è un fenomeno fondamentale. La coscienza, a sua volta, è la capacità di conoscere attraverso esperienze fatte di qualia, ossia stati soggettivi. La materia quindi non può produrre gli stati soggettivi, le esperienze di coscienza.

 

L’evoluzione non è opera di un “orologiaio cieco”, ma di “enti coscienti”. Ciascuno di noi ha una natura spirituale, è parte, per Faggin, di un “Uno invisibile”, e in quanto tale “eterna”. Ribadiamo. Non siamo macchine biologiche, siamo esseri spirituali, imprigionati, come diceva Platone, in un corpo fisico, mortale. La materia non può spiegare tutta la realtà. La mente e il libero arbitrio non sono proprietà irriducibili della natura, ma vengono prima della materia.

 

Non possiamo quindi lasciare che il fisicalismo, concetto che indica che tutto ciò che esiste è fisico, inclusi gli stati mentali e gli stati di coscienza, definisca la natura dell’uomo. Il quale comprende sia una natura biologica che una natura spirituale. Il mondo come lo abbiamo creato- scrive Einstein- è “il risultato del nostro pensiero”. Occorre aggiungere al tutto della fisica esteriore “l’interiorità”, una realtà che include la mente, la coscienza, il libero arbitrio e la vita.

 

E’ la mente- afferma il neuroscienziato David Chalmers- che “ci rende umani”. Senza, agiremmo come “robot”, e la vita “non avrebbe alcun senso. Nessuna macchina possiede fenomeni, come i nostri pensieri, le emozioni, i sentimenti, le sensazioni, la scintilla umana di spirito, empatia, amore compassione. La vita, questa vita così affascinante, imprevedibile, antica e nuova, piena di luci e ombre, e di mistero “non è spiegabile, secondo J.L.Borges, soltanto con la biochimica, ma richiede nuove dimensioni che vanno oltre la materia”, e comprende una presenza trascendente, la presenza di una realtà più vasta della realtà fisica.

 

Per il materialismo, la mente è il “frutto” della materia. Ma come può una fisica spiegare l’esistenza della mente o prendere decisioni di libero arbitrio? Come è possibile che una realtà immateriale (coscienza) sorga da una realtà immateriale (il cervello)? Finora, la scienza non ha fornito alcuna risposta certa. Non c’è alcuna seria teoria che considera la coscienza come “proprietà” dei neuroni. E’ inspiegabile. E’ indimostrabile.

 

La coscienza quindi non può essere spiegata “in termini fisici” (E. Schrodinger). La coscienza è in sostanza la capacità di conoscere attraverso un’esperienza fatta di qualia, ossia di sensazioni, sentimenti e significati. Essa è qualcosa di privato, personale, soggettivo, che non può essere “misurata” scientificamente. Si può conoscere solo la materia, la quantità, non la qualità (odori, sapori, ecc.), non la sostanza immateriale.

 

La scienza è una proprietà oggettiva, mentre la mente è una proprietà soggettiva, non è misurabile e non può essere “ridotta” a espressione del cervello, cioè di segnali elettrici e chimici. Sta di fatto che oggi le neuroscienze sostengono che la mente e la coscienza “emergono” dall’attività cerebrale, e descrivono il funzionamento della mente come “pura attività elettrochimica”. Come faccia, lo ribadiamo con fermezza, l’attività elettrochimica del cervello a manifestarsi sotto forma di sentimenti, idee, o emozioni la scienza non è riuscita a dare un riscontro indubitabile.

 

Quello della coscienza, rappresenta, secondo Chalmers, “il più sconcertante problema per la scienza della mente”. A tutt’oggi- ha dichiarato il premio Nobel per la medicina, Rita Levi-Montalcini- “non si conoscono né la sede né la natura della mente”. Che rimane perciò un grande mistero, la grande sfida della neurobiologia (Kandel). E’ un problema irrisolto.

 

C’ un'altra questione molto delicata e difficile da chiarire e risolvere: io sono cosciente, ma non posso dimostrarlo poiché il mio mondo interiore- la coscienza- è privato, personale, soggettivo, unico e non può essere quindi osservato e misurato dall’esterno, cioè scientificamente. Non c’è alcuna possibilità scientifica per provare di essere cosciente. La misurazione dei segnali cerebrali non può “rivelare” i qualia, ossia le esperienze soggettive che un soggetto prova veramente. I qualia non sono misurabili. Non posso pertanto provare oggettivamente che sono cosciente e tantomeno posso provare se qualcun altro lo è.

 

Conclusioni. Le teorie più diffuse delle neuroscienze, della biologia e della fisica sostengono che l’intero universo, inclusi gli stati mentali, consistono di un’unica sostanza. Questa visione materialista costituisce perciò l’orizzonte scientifico e filosofico della maggior parte degli scienziati contemporanei.

 

Finora sono stati sviluppati tre linee di pensiero: 1. Il materialismo eliminativista afferma che la mente e la coscienza non esistono, sono soltanto “un’illusione”. 2. Il materialismo riduzionista “identifica” la mente e la coscienza con i processi neurobiologici. 3. Il materialismo emergentista infine ritiene che la mente e la coscienza rappresentano “un’attività del cervello”.

 

L’unico modello valido quindi per lo studio della mente è quello neurologico, un modello oggettivo e in terza persona (P. e P. Churchland). Mente (sostanza immateriale) e stencefalo (sostanza materiale) “non sono cose differenti”. La mente è parte del fisico. E’ la teoria dell’identità tra mente e corpo, mente e cervello. Stati mentali e stati fisici sono “identici”. Tutto ciò che esiste ha una spiegazione fisica.

 

Pensare di comprendere la natura misteriosa della mente e della coscienza, basandosi soltanto sulla conoscenza fisica, ossia sul fisicalismo riduzionista, appare piuttosto una visione ingenua. La realtà è che questa concezione è incapace di descrivere e spiegare la mente e gli stati soggettivi. La mente ha la capacità di “comprendere”, di “intus-legere”, leggere dentro, intuire, immaginare.

 

La mente è creatività, pensiero, empatia, etica. Le macchine non potranno mai fare queste cose. Le macchine funzionano, ma non capiscono, non provano emozioni, gioia, dolore o tristezza. Siamo potenzialmente “infiniti” (Faggin). L’uomo non ha limiti, è illimitato. Abbiamo una “natura divina”, come già pensava Plotino. Questa è la nostra vera essenza. Ogni persona è “un esperimento nuovo nel laboratorio di Dio” (I.B.Singer).

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- Filosofia/Scienza

Il cervello che ripara i danni cerebrali

 

Guido Brunetti

Il cervello che ripara i danni cerebrali

 

 Una delle scoperte più straordinarie e meravigliose delle nuove neuroscienze è la neuroplasticità. Il cervello è plastico perché può "cambiare se stesso". Ha l'incredibile "capacità" di modificare i propri sistemi neurali sia per "imparare" che per "riparare" i danni cerbrali.

 

 I progressi delle neuroscienze disegnano le grandi potenzialità della nostra mente, ma anche il processo di invecchiamento e le patologie, come l'Alzheimer, il Parkinson e la depressione.

 

Il cervello dunque che cambia se stesso. Che si modella e rimodella continuamente, che ci permette di sviluppare nel corso della nostra vita le nostre capacità, di pensare, apprendere, ricordare, cambiare e "ripararsi" dalle situazioni patogene, come ictus e traumi, e prevenire l' invecchiamento e le malattie degenerative. La natura non ha posto limiti alla plasticità del cervello, una struttura che risulta davvero indefinita. Abbiamo un cervello e una mente flessibili, malleabili e perfettibili.

 

 E' qualcosa di favoloso scoprire- ha dichiarato il neuroscienziato Merzenich- che il cervello è malleabile, che è in grado di riorganizzare ogni sua parte. Oggi, infatti, come conferma anche Norman Doidge, c'è una concreta possibilità di recuperare le funzioni dopo una lesione cerebrale, dimostrando per l'appunto le "infinite capacità di adattamento del cervello umano" (Sacks).

 

   Le storie di persone che hanno cambiato il proprio cervello ci porta alle frontiere delle neuroscienze, facendoci vivere le speranze, le ansie e le attese di tanti esseri umani alla ricerca di una nuova esistenza.

 

   Sino a pochi anni fa, la scienza riteneva che il cervello fosse una macchina "fissa e immobile". Agli studenti di medicina- come sottolinea il premio Nobel per la medicina Eric Kandel- veniva insegnato che la mappa cerebrale era "invariabile e immobile" per tutta la vita. La teoria sosteneva che le capacità cerebrali danneggiate non potevano essere recuperate.

 

   I primi esperimenti vengono realizzati sui ratti, insetti, gattini, uccelli e cani. Animali messi in ambienti "arricchiti", ricchi cioè di stimoli, di possibilità ludiche, di spostarsi da un luogo ad un altro raggiungevano livelli di apprendimento superiori ad altri animali cresciuti in gabbie normali e in ambienti poveri.

 

   Di qui, la grande, meravigliosa scoperta: un ambiente "arricchito" produce un cambiamento nel cervello. Si attivano i neuroni, aumentano le connessioni tra le sinapsi, crescono nuove cellule nervose, migliorano le capacità cognitive. I neuroni risultano più veloci, quindi anche i pensieri sono più veloci.

   Un messaggio di speranza: non è soloil nostro cervello a "plasmare" la nostra mente, ma la nostra mente che, con "assoluta certezza" plasma il nostro cervello (McGilchrist).

  Dall'insieme di questi primi, straordinari risultati, nasce un principio fondamentale nelle neuroscienze: use it or lose it, se lo usi ( il cervello), vive; se non lo usi, muore.

 

   Il fenomeno della plasticità si realizza in tutta la vita.

  Tutto quindi dal cervello: quello che pensiamo, facciamo e tralasciamo di fare avviene "grazie al nostro cervello" (Swaab). Il piacere, la gioia, il riso e il divertimento, così come la pena, il dolore, la paura e il pianto, non hanno- ha scritto Ippocrate- "altra fonte che il cervello". 

 

   Uno dei primi casi seguiti negli Stati Uniti riguarda un poeta e insegnante, il quale nel 1959, all'età di 65 anni subì un'emorragia cerebrale, che ne paralizzò  metà del corpo e lo rese incapace di parlare. Il paziente venne sottoposto a un programma di riabilitazione. Imparò a camminare gattonando, poi effettuò un altro programma preparato allo scopo di recuperare la capacità di parlare e scrivere. Dopo un anno, il suo recupero era tale da permettergli di tornare a insegnare. Si risposò e continuò a fare una vita normale.

 

   In un altro esperimento di neuroplasticità (1960), i ricercatori cucirono una palpebra di un gatto, in modo che l'occhio non potesse ricevere  stimoli. Quando l'occhio fu riaperto, gli scienziati trovarono che le aree cerebrali dell'occhio chiuso non si erano sviluppate.

 

   Una ulteriore ricerca fu effettuata nel 1968: venne reciso un nervo della mano. Fu grande la sorpresa di accertare che se si taglia un nervo della mano, questo è in grado di "rigenerarsi" e guarire.

 

   Sono stati poi sviluppati altri programmi di esercizi "arricchiti"  dedicati ai bambini con disturbi di apprendimento e ai bambini autistici. Al termine del trattamento i sintomi di questi soggetti risultarono "diminuiti". 

   Anche programmi mentali indirizzati al declino della vecchiaia e ad allungare la vita media hanno prodotto evidenti miglioramenti sul piano cognitivo e grandi benefici bio-psichici. Queste forme di terapia hanno avuto positivi risultati anche nel trattamento del morbo di Parkinson, nella sclerosi multipla e nell'artrite.

 

   Un' altra massiccia riorganizzazione plastica del cervello si verica in due  fasi della vita: quando ci innamoriamo e quando cresciamo i nostri figli. Nel corso di queste due fasi vengono  rilasciate l'ossitocina, la vasopressina e la dopamina, che sono sostanze (scoperte nel 1950) collegate ai "centri di paceri" del sistema cerebrale. E' stato dimostrato che queste sostanze rinforzano il legame tra genitori e figli, e diminuiscono in bambini cresciuti in orfanotrofio.

 

   Altri casi di soggetti colpiti da ictus invalidanti seguiti da programmi riabilitativi severi e intensi hanno avuto benefici "molto rapidi" fino a rimettersi "completamente". L' ottanta per cento di  pazienti con ictus che hanno perso la funzionalità delle braccia può migliorare in modo sostanziale (Taub).

   Le ricerche hanno finora dimostrato come sia possibile modificare il cervello attraverso terapie riabilitative- fisioterapia, logopedia e terapia occupazionale- in soggetti colpiti da lesioni cerebrali.

 

   Possono essere curati attraverso programmi di psicoterapia basati sulla plasticità anche i disturbi d'ansia, fobie, attacchi di panico, disturbi post-traumatici, disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). Pazienti sottoposti al  neuroimaging prima e dopo la psicoterapia hanno mostrato che il loro cervello si "normalizza".

 

   La neuroplasticità si manifesta anche nel "riconfigurare" i contenuti mentali. La letteratura scientifica riporta casi di persone che hanno perso un arto e che continuano ad avvertire la sua presenza. E' il fenomeno di "arto fantasma" e di "dolore fantasmo" studiato da un medico americano che curava i soldati americani impegnati nella Guerra civile. Gli amputati iniziarono a riferire che i loro arti erano tornati. Ci sono inoltre storie di donne che soffrivano di dolori mestruali e del travaglio anche dopo la rimozione dell'utero.

 

    La spiegazione degli arti fantasma risiede nella plasticità del cervello. Quando una parte del corpo è compromessa- afferma il neuroscienziato V.S.Ramachandran- la mappa cerebrale che gli sopravvive continua a "voler ricevere" stimoli dall'esterno.. Il dolore fantasma viene "prodotto" dalla mente e "proiettato" nel corpo.

 

   Importanti esperimenti realizzati in un laboratorio di stimolazione magnetica cerebrale a Boston hanno dimostrato che è possibile "modificare" l'anatomia del cervello, utilizzando "l'immaginazione". E' stato il premio Nobel Santiago Ramon y Cajal ad avanzare nel 1904 l'ipotesi che i pensieri, ripetuti nell'esercizio mentale, rinforzano le connessioni neurali e ne creano di nuove, sostenendo, per l'appunto, che il cervello "è malleabile e perfettibile".

 

  L'esperimento consisteva nell'usare il pianoforte con due gruppi di persone. I membri del primo gruppo, quello  dell'esercizio mentale, dovevano stare seduti di fronte  alla tastiera di un pianoforte per due ore al giorno per cinque giorni, "immaginando" di suonare e ascoltare le note ascoltate  in precedenza. Il secondo gruppo, quello dell'esercizio fisico, doveva suonare realmente la musica. I ricercatori verificarono che entrambi i gruppi mostravano cambiamenti "simili" nelle mappe del cervello.

 

   L'esercizio mentale e l'immaginazione determinano quindi cambiamenti fisici nelle aree del cervello. Il neuroimaging ha dimostrato che nell'azione e nell'immaginazione vengono attivate le medesime regioni cerebrali (K.M.Stephan). Un'altra ricerca ha mostrato che immaginare di usare i muscoli li rinforza realmente. Avviene in sostanza che l'immaginazione potenzia e attiva i neuroni responsabili di predisporre le sequenze di istruzioni per il movimento, aumentando così la "forza muscolare".

 

   Tutto ciò che la mente, sostanza immateriale, immagina lascia tracce materiali. Ogni pensiero altera dunque lo stato fisico dei neuroni, delle sinapsi e del cervello.

 

   Conclusioni. Dalle meravigliose scoperte delle neuroscienze nasce un principio fondamentale, quello secondo cui il cervello e la mente possiedono qualità prodigiose. Queste qualità vanno tuttavia continuamente sostenute e rinforzate.

   "Use it or lose it": usalo (il cervello), altrimenti lo perdi. Coccolare, stimolare e allenare il cervello, i cui neuroni incominciano a morire a partire dai trenta anni. Tenerlo sempre impegnato attraverso un ambiente "arricchito", ossia ricco di attività piacevoli: hobby, musica, lettura, esercizi fisici, palestra, teatro, cinema, giardinaggio, volontariato, cruciverba, ecc.

   Pensare e agire sempre in positivo, coltivare i propri interessi culturali, movimento e una alimentazione completa e varia.

 

   Tutto ciò migliora l'attività del cervello, produce nuovi neuroni, riduce il declino cognitivo, previene le malattie degenative, come le demenze e l' Alzheimer e rallenta l'invecchiamento. Si perviene a uno stato di serenità e tranquillità dell'animo, che genera il rilascio di sostanze, come ossitocina, vasopressina, endorfine e altri oppiodi. Sono chiamate sostanze del piacere e della felicità.

 

   

    

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- Filosofia/Scienza

Le questioni ultime

 

 

Guido Brunetti

 Le questioni ultime

 

  Da sempre gli uomini si sono posti le stesse domande esistenziali che la filosofia, la religione e la scienza hanno cercato di risolvere nel corso dei secoli. Finora, le grandi questioni dell'umanità sono ancora senza risposte     Esse sono le seguenti:

  1. Il problema della creazione. Da dove ha origine l'universo? E' sempre esistito? E che scopo ha? Perché esiste qualcosa e non il Nulla?

  2. Perché esiste ordine e non il caos nell' universo

  3. Come è emersa e come si è evoluta la vita?

  4. Come è comparsa la cosciena e che scopo ha?

  5. Esiste il libero arbitrio? Se sì, come si concilia con le leggi fisiche?

 

   Insomma, da dove veniamo e dove andiamo, l'esistenza di Dio e dell'anima, il senso della vita, la nascita dell'universo, l'origine e il destino del mondo sono problemi- scrive Corrado Malanga nel suo libro "Io e Dio" (Spazio Interiore, Roma)- ancora ed eternamente attuali. 

 

  Intanto, come è possibile risolvere il problema della creazione? L'inizio dell'universo, per lo scienziato Federico Faggin è qualcosa che è "al di fuori della portata della nostra mente e non potrà mai essere risolto". I problemi della coscienza e del libero arbitrio vengono risolti, asserendo che queste qualità "emergono" negli organismi che possiedono un cervello evoluto". Sta di fatto che la scienza crede che coscienza e libero arbitrio non esistano. Tutto ciò che esiste, per la scienza, è la realtà fisica. Noi saremmo semplicemente il corpo, cioè una macchina. Quando il corpo muore, tutto "finisce". Altri scienziati invece affermano che la mente, la coscienza e la vita esistano fin dall'inizio e che siamo esseri "eterni, coscienti, non corpi deperibili".

 

   Circa il problema di Dio, ci domandiamo: Dio esiste? E se esiste, com'è fatto?".

   

  Filosofi e teologi, come Sant' Agostino (354) e Sant' Anselmo d'Aosta (1033), hanno tentato di fornire una dimostrazione dell'esistenza di Dio. Sant' Agostino pone al centro della sua concezione ontologica Dio definito l'essere supremo, perfetto e immutabile, dal quale derivano gli altri esseri. Dio ha tre attributi: 1. E' essere al sommo grado (Padre); 2. E' verità o Logos che si rivela (Figlio); 3. E' amore che si offre a chi ama (Spirito Santo). L'uomo- afferma- trova Dio attraverso una ricerca interiore.

 

   Nella filosofia agostiniana, fede e ragione non sono in contrapposizione, bensì legate da un rapporto espresso dal principio: crede ut intelligas ( credi per comprendere) e intellige ut credas (comprendi per credere). La definizione caratteristica più profonda di Dio per i teologi è quella di essere Perfetto.

 

   Per Sant'Anselmo d'Aosta, considerato uno dei massimi esponenti del pensiero medioevale, l' argomento ontologico della dimostrazione dell'esistenza di Dio si basa sulla constatazione che le cose del mondo sono caratterizzate da "gradi diversi di perfezione". Se le cose sono più o meno perfette, ciò dipende dal fatto che queste partecipano, in maniera più o meno diretta, di un ente assolutamente perfetto.

   

   Gli attributi di questo ente sono: il sommo bene, la perfezione e la stessa esistenza. Questi attributi- spiega Anselmo- "coincidono" con il Dio della rivelazione cristiana. La perfezione divina poi implica anche le caratteristiche di eternità e intelligenza. L'esitenza delle cose create presuppone quindi l'esistenza d un "sommo principio", il quale non ha bisogno di nulla.

 

   Dio è definito da Anselmo come "l'ente di cui non si può pensare niente di maggiore. Chiunque, anche lo "stolto" o chi non crede in Dio, comprende tale definizione, formandosi mentalmente il concetto di un ente sommamente grande, del quale sia impossibile pensare qualcosa di maggiore. L'esistenza di Dio esiste non solamente nella mente dell'essere umano, ma anche nella realtà esterna, nel mondo effettivo delle cose.

 

   E la scienza che cosa dice?

   Per la scienza moderna, una cosa esiste solo se fa qualcosa, ossia se viene a essere "apparente", che appare ai nostri sensi.

  Dio per essere analizzato deve avere una natura materiale, deve cioè essere osservabile e descrivibile. Per la teologia invece Dio può esistere senza che debba essere oggettivabile. Se Dio esiste, anche l'universo esiste? La risposta è positiva, poiché Dio per definizione è colui che ha creato l'universo. Per i teologi, se esiste l'universo anche Dio esiste.

 

  In realtà, la scienza- come sostiene Corrado Malanga nel suo libro "Io e Dio" (Spazio Interiore, Roma)- appare "incapace" di risolvere il problema, attribuendo la creazione dell'universo al "caso". Entrambi gli approcci risultano incompleti.

 

   Noi, dicono gli scienziati, non possiamo studiare e spiegare Dio perché non è "osservabile". Qualsiasi cosa non possa essere descritta dunque non esiste. Con ciò, rivelando l'esistenza di notevoli limitazioni scientifiche.

   Scienza e religione sono incapaci di "provare" l'esistenza di Dio.

 

   E tuttavia, c'è l'esigenza di affrontare un problema che sembra irrisolvibile, in quanto non abbiamo, secondo Malanga, gli strumenti cognitivi per cercare la soluzione e rispondere oggettivamente.

 

   Abbiamo due concezioni differenti. Da un lato, c'è la religione che fa affidamento sui misteri della fede considerati come dogmi; dall'altro, abbiamo gli scienziati, i quali  al posto dei dogmi della fede pongono i dogmi della scienza, che sono le leggi della fisica, una sorta di religione a cui affidare- sottolinea Malanga- il destino della Creazione.

 

   Gli scienziati vogliono in sostanza sostituire Dio con la teoria dell'evoluzione e mostrare che la selezione naturale e la sopravvivenza del più adatto portano alla complessità dell'esistenza e che dunque, secondo Dawkins, "non c'è bisogno di Dio, di un creatore esterno". L'universo- aggiungono- è apparso fuori dal "nulla". L'evoluzione darwiniana poi  spiega anche lo sviluppo della coscienza e della moralità e non occorre, secondo questi scienziati, un "testo sacro" per dirci come dobbiamo comportarci (Dennett). Le leggi della fisica da sole sono "sufficienti" a spiegare le origini dell'universo e l'evoluzione della mente umana in risposta alla necessità della sopravvivenza.

 

   In realtà, esistono dei limiti alle spiegazioni della scienza. Sono limiti insiti nel metodo scientifico stesso (McGrath). Ci sono questioni esistenziali di più ampia portata e campi del sapere che restano al di là della sua competenza, oltre le sue possibilità.

   La scienza- ha scritto Einstein- può solo accertare ciò che è, ma non ciò che dovrebbe essere, e al di fuori del suo ambito restano necessari i giudizi di valore di ogni genere".

 

   La scienza- come chiarisce il filosofo J. Ortega y Gasset- si caratterizza per il rigore delle sue precisioni, ma lascia "intatte le questioni ultime, decisive".

   La nostra mente ci spinge oltre per indagare ciò che sta al di là della scienza. Come possiamo vivere, restando sordi alle ultime, drammatiche domande? "Da dove viene il mondo e dove va? Qual è il senso essenziale della vita?"

 

   Nella natura umana, per Freud, è insito un profondo istinto che ci spinge alla ricerca del significato e del trascendente. Esiste una visione più complessa e articolata della vita e del mondo, che assume una trama piena di significato. E' una questione che sta a cuore al filosofo Wittgenstein, il quale scrive: "Credere in Dio vuol dire vedere che la vita ha un senso".

 

   Sono questioni che restano al di là dell'indagine scientifica. Sono sfide intellettuali che vanno raccolte ed analizzate. La religione, la credenza in Dio, l'idea dell'anima e del trascendente sono in grado di arricchire la stessa scienza.

   Scienza e religione, ragione e fede hanno prospettive diverse, ma sono complementari. La religione ci aiuta a dare un senso all'esistenza e alla stessa impresa scientifica.  Trovare un senso alla vita significa promuovere il proprio  benessere fisico e mentale, perché ci aiuta a superare l'incertezza e l'angoscia esistenziale.

   Il bisogno di Dio e del trascendente è un'esigenza biologica, innata, universale della persona umana.

    La scienza non può dimostrare l'esistenza di Dio né confutarla.

   Scienza e fede sono due delle più grandi conquiste dell'umanità. Sono espressioni dello spirito umano.                                                                        

    L' essere umano, cercando Dio, cerca e trova se stesso, il proprio io. E' un cammino alla ricerca della conoscenza di sé e delle terre incognite della nostra  interiorità, dilatando in tal modo la nostra vita spirituale. E' la concezione elaborata da Sant'Agostino, che si basa su questo principio: "In interiore homine habitat veritas". Se non scendiamo negli abissi della nostra interiorità- ha scritto il grande psichiatra Eugenio Borgna- non riusciremo mai a fare scelte nutrite di saggezza.

 

  Il pensiero di Agostino- e concludiamo- indica che l'essere umano nella sua ricerca deve "trascendere" le cose del mondo per "cogliere" la sua "radice" nella profondità della sua anima.

   Il tema agostiniano dell'interiorità si ripresenta in Cartesio, nella formula "cogito ergo sum", nella filosofia moderna, con Locke, Berkley, Leibniz, Kant, ecc. e nella filosofia del Novecento (Husserl, Ryle, Wittgenstein).

 

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- Scienza

Disturbo paranoide di personalità

 

Guido Brunetti

Disturbo paranoide di personalità

 

Definizione e terminologie diagnostiche

 

  Il disturbo paranoide è classificato tra i disturbi di personalità ed è caratterizzato da un pattern di diffidenza e sospettosità. 

   Il termine paranoia ( dal greco parà, fuori e nous, mente)  è stato utilizzato per primo da Kahlbaum nel 1842, rilevandone la "specificità" rispetto ad altri quadri morbosi. Il primo studioso a definire il concetto di paranoia come una psicosi caratterizzata da un sistema delirante è stato Kraepelin, seguito da Cameron, Kretschmer, Freud e da tutta una schiera di altri autori.

 

  Il fenomeno della paranoia esiste sin dalla nascita delle prime forme associative tribali, è contemplata nella mitologia greca ed è presente in Ippocrate, Galeno e Aulo Cornelio Celso.

   La paranoia è la formazione di un sistema delirante, sviluppato a partire da certe premesse sbagliate, non dimostrabili. E' un sistema di pensiero coerente, lucido, dogmatico e pseudo-logico.

 

  Nel tempo, sono state proposte numerose terminologie diagnostiche: personalità paranoica, sviluppo delirante di personalità, disturbo paranoide, personalità paranoide.

 

  I disturbi più tipici. 

   

  I disturbi più tipici sono quelli di gelosia- convinzione di essere tradito dal coniuge- e di persecuzione- vittima di complotti o di ostilità.

  Il delirio di gelosia consiste nell'interpretare gli aspetti e i dettagli più innocenti del comportamento del coniuge come indizio o prova di tradimento. La persona può essere gelosa in modo patologico, spesso sospetta, senza alcuna giustificazione che il coniuge sia infedele,  mettendo in dubbio i luoghi in cui egli si trova, le sue azioni, le sue intenzioni e la sua fedeltà. 

   E' un comportamento che produce idee irrazionali, che contrastano con il buon senso, ma che  vengono credute fermamente.

  Il paziente paranoide in sostanza nutre un forte attaccamento affettivo ai propri convincimenti patologici. E' alterazione del rapporto con la realtà.

 

  La personalità del soggetto paranoide.

 

   Il paranoide non dialoga. L'altro è vissuto come persecutore, da cui mantenersi a distanza. Anche i più cari, familiari, amici, compagni finiscono per rivestire i connotati del nemico.

   Egli non è in grado di prendere le distanze dalle sue idee o accettare altri punti di vista, cioè diversi modi di spiegare le cose.

   E' un atteggiamento caratterizzato da ostilità e testardaggine.

 

    Il paziente è resistente ad ogni giudizio. Qualsiasi tentativo di convincerlo con prove di fatto e ragionamenti razionali è destinato a un penoso fallimento.

   Di qui, il termine delirio, che deriva dal latino "lira", il solco traccaiato dall'aratro, per cui "de-lirare" significa "uscire dal seminato", ossia "sragionare".

 

  La sua personalità, secondo autorevoli studiosi, è caratterizzata da: diffidenza, sospettosità. permalosità, dogmatismo, litigiosità, ostinazione, marcato egoismo, freddezza affettiva, alto concetto di sé, sentimento di inferiorità, superbia, fanatismo religioso, ansia, atteggiamento difensivo, aggressività.

 

   Altri  autori hanno parlato di:

Insicurezza, tendenza all'isolamento, al rimuginare, a stare costantemente all'erta, restringimento e coartazione dell'affettività, testardaggine.

 

Definizione di "Disturbo paranoide di personalità".

 

   Il disturbo paranoide di personalità rientra nella definizione generale di "disturbo della personalità".

   Un disturbo di personalità- secondo il "Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali" (DSM-5)- è un pattern costante di "esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell'individuo; è pervasivo e inflessibile, è stabile nel tempo e determina disagio o menomazine".

 

Caratteristiche diagnostiche.

 

   La caratteristica essenziale del disturbo paranoide di personalità è, come abbiamo detto, un pattern di "diffidenza e sospettosità" nei confronti degli altri.

   Sulla base di prove insignificanti o senza prove, questi soggetti sospettano di essere  "ingannati, danneggiati o aggrediti" dagli altri. Dubitano della lealtà di parenti, amici o colleghi e sospettano che gli altri "complottino" contro di loro. Diffidono anche dei complimenti, i quali spesso vengono mal interpretati.

 

Criteri diagnostici.

 

   Sono presenti i seguenti elementi:

1. Il paziente sospetta, senza fondamento di essere sfruttato, danneggiato o ingannato dagli altri.

2. Dubita, senza giustificazione, della lealtà o affidabilità di parenti, amici o colleghi.

3. E' riluttante a confidarsi con gli altri.

4. Legge significati nascosti minacciosi o umilianti su eventi benevoli o osservazioni.

5. Porta rancore.

6. Percepisce attacchi non evidenti agli altri ed è pronto a reagire con rabbia.

7. Sospetta in modo ricorrente, senza giustificazione, della fedeltà del coniuge.

 

Terapia. Trattamento farmacologico e psicoterapia.

 

   Il trattamento psicofarmacologico indicato è di tipo neurolettico. Non si esclude l'utilizzazione favorevole di antidepressivi.

 

   Indicazioni psicoterapeutiche.

 

   L'intervento terapeutico risulta difficile, complesso e delicato. Il disturbo infatti non viene percepito né riconosciuto dal paziente, per cui difficilmente egli è disponibile a farsi curare.

   Il rapporto tra paziente e psicoterapeuta deve essere caratterizzato da un clima sereno e da una comunicazione chiara e realistica.

   All'inizio, il giudizio sul disturbo va tenuto sospeso, lasciato da parte, non va attaccato né rinforzato, ma semplicemente messo ai margini.

 

   Occorre evitare qualsiasi tentativo di dimostrare che la nuova spiegazione dei fatti che si va elaborando è più vera di quella delirante, ma semplicemente che è "un'altra possibile".

   Con pazienza e lentezza, bisogna elaborare un'ipotesi alternativa, che contempli la possibilità del dubbio.

 

   In primo luogo, si tratta di far costruire al soggetto "spiegazioni alternative", ad esempio, chiedendogli: "Se le cose non stessero come lei sostiene, come potrebbero stare?". E' necessario condurre il soggetto a scoprire che possono esistere "diversi punti di vista". Sollecitarlo quindi a scoprire nuovi territori, nuove implicazioni, nuove prospettive, nuove soluzioni, nuove ipotesi.

 

   Queste strategie sono dirette a indurre il paziente a "cambiare idea", a modificare i suoi pregiudizi, e accorgersi di "avere sbagliato". In questa direzione, l'interesse per il suo delirio diminuirà, sarà considerato un fatto passato, sensa senso, ridicolo e di cui vergognarsi.

 

  Il disturbo paranoide di personalità, infine, è stato analizzato anche dalla psicoanalisi. Per la teoria psicoanalitica, questo disturbo è l'espressione di "meccanismi di difesa", di "proiezione": il soggetto attribuisce ad un'altra persona proprie realtà emotive inconsce, paure o confliiti inaccettabili. Egli espelle da sé e localizza- proietta- nell'altro le sue rappresentazioni "intollerabili", "inconfessate", cioè tendenze, inclinazioni, sentimenti e desideri che egli rifiuta in sé. Vengono cioè addossati ad altri soggetti comportamenti malevoli che sono "proiezioni" delle sue paure e dei suoi desideri, fatto particolarmente presente nel delirio di "gelosia paranoica", quando la persona imputa l'infedeltà al proprio coniuge.

  

   

 

 

 

   

 

 

 

 

                         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Letteratura

Il cucciolo Kimi: l’ombra più dolce

Guido Brunetti

 

Il cucciolo Kimi: l'ombra più dolce

 

L'ombra più dolce mai lasciata. Che accompagna in silenzio l'essere nel suo cammino ontologico.

E' l'immagine che proietta il nostro cane Kimi, il quale in tutti questi anni ci ha riempito di affetto, tenerezza, gioia, benessere. Verso il carissimo "cucciolo" Kimi nutriamo in famiglia- soprattutto da parte di mia moglie Anita e mio figlio Valentino- sentimenti di gratitudine perché ci ha aiutato a crescere, donandoci tanti momenti di felicità e di attaccamento.

 

Kimi non c'è più. E' una grave perdita che ci procura dolore e sofferenza. Un vuoto incolmabile. Possedeva una grande capacità di trasmettere emozioni, calore e affezione.

 

Un'immagine onirica tra sogno e realtà, alba dell'avvenire e tramonto della luce, inquietudine dell'animo e serenità dello spirito.

Una poesia, quella di Billy Collins, che è un intreccio di sentimenti, una narrazione struggente. Che mai dovrebbe concludersi. La separazione del cane dal suo padrone.

I versi del grande poeta americano generano intense emozioni, brividi di smarrimento. Un profondo affetto, una devozione, una fedeltà e tanta tenerezza. Ecco i bellissimi versi.

"Un cane sul suo padrone"

Per quanto possa sembrare più giovane,

invecchio più in fretta di lui,

sette a uno

dicono sia il  rapporto.

Qualunque sia il numero,

lo supererò un giorno

e gli starò davanti

come faccio nelle nostre passeggiate nel bosco.

E se questo riuscirà mai

anche solo a sfiorargli la mente,

 sarà l'ombra più dolce

che io abbia mai lasciato impressa sulla neve o sull'erba.

Ti seguirò- conclude il cane- anche dopo la morte".

Una poesia struggente, che penetra nell'abisso sfuggente dell'animo umano.

 

In realtà, la capacità del cane di provare emozioni proviene dalla storia dell'evoluzione. Ricerche sul comportamento animale indicano che la morte di un conspecifico induca in alcune specie di animali comportamenti interpretabili come espressione di "emozioni complesse di dolore e di sofferenza".

Konrad Lorenz, premio Nobel per la medicina assimila l'atteggiamento delle oche che perdono il partner alla prostrazione osservata nei bambini orfani. uno stato generale di abbandono e di perdita, con la testa penzoloni e gli occhi infossati nelle orbite.

Esitono prove che gli animali sentano il dolore. Insomma, nella testa del cane c'è più di quanto noi supponiamo. I cani sono in grado di risolvere problemi in situazioni nuove. I cani guida o per ciechi devono saper reagire in modo appropriato alle novità.

Le emozioni e i sentimenti, come mostrano ricerche neuroscientifiche, nascono da aree del cervello, che coinvolgono il sistema limbico e l'amigdala, Questi meccanismi cerebrali rivestono un ruolo fondamentale nella formazione di legami tra gli individui della stessa specie.

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- Letteratura

Kimi, un amore di cucciolo. Ciao

Guido Brunetti

Kimi, un amore di cucciolo. Ciao

 

   Un anno fa, il 15 novembre 2021, ci lasciava il nostro affezionato e amato cucciolo Kimi- sì, rimani sempre il nostro cucciolo-, il quale per quattordici anni ci ha donato un amore incommensurabile.

  Caro Kimi, è lunga, ampia e durevole la scia di affetto, dolcezza, generosità che hai lasciato dietro di te. Una valanga di affetto. Giorni e giorni gioiosi, belli, gratificanti e trascorsi sotto l'ala della tua tenerezza. 

   Una condizione dello spirito, una tranquillità dell'animo, quello status che i filosofi greci chiamavano euthymìa, la serenità interiore in cui si è governati- precisa Seneca- dal "buon Dio".

 

   Tanti momenti speciali che hanno generato in tutti noi forti sensazioni di benessere fisico e mentale e viva emozione. Sono stati dell'animo capaci di attivare- come mostrano le ricerche nel campo delle neuroscienze- il rilascio di dopamina, vasopressina e ossitocina, sostanze chiamate dagli scienziati molecole della felicità. 

   Il tempo- si dice- lenisce il dolore e l'angoscia, e invece è una perdita che continua a far male. 

   La tua scomparsa ha precipitato la tua famiglia- eri certamente uno di famiglia- in un dolore che non termina mai.

   A cominciare da Valentino, il quale un giorno di tanti anni fa ti prese tra le braccia mentre giacevi in una pozzanghera bagnato e sanguinante in una stradina alla periferia di Napoli e ti portò a Roma. Proseguire con Anita, che ti ha sempre accudito e amato come solo una madre può fare. E terminare con chi scrive.

   Una compagnia speciale, la tua.

   Poggiavi, mentre scrivevo o leggevo, il tuo musetto sulle mie ginocchia, ti sdraiavi vicino alla mia poltrona, nelle passeggiate, ti giravi guardandomi con una tenerezza che mi è impossibile descrivere. Uno sguardo indimenticabile.

 

   Caro Kimi, la tua presenza è sempre forte, viva, struggente. Una presenza gradevole, gioiosa, graziosa, tenera. Ma le voci di dentro, nell'intimo, esprimono una grande pena e tanta commozione. Un affetto senza fine. Un amore che sentiamo nell'animo, nella mente e nel cuore. Sarà sempre così.

 

  C'è un altro, fondamentale elemento che ci conforta. La tua specie, insieme con altre creature "naturali", ha contribuito al progresso della scienza e della medicina, e alla comprensione del cervello umano e della mente; dunque all' evoluzione biologica e culturale dell' Homo sapiens.

   Un grande merito, per noi motivo di onore.

 

 Il tuo immenso calore affettivo, la tua giovialità, empatia, giocosità e mitezza evocano in noi i versi di Eugenio Montale: Ho sceso, dantoti il braccio, almeno un milione di scale/ e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

 Un vuoto incolmabile, che ci fa sentire più soli.

 

Gli scienziati affermano che nell'universo ogni animale ha un suo respiro. L'anima è tutta nel respiro, nell'alito. Secondo la tradizione universale, la vita è insufflata da un soffio  divino, la vita stessa non è che un soffio, un respiro.

L'idea di uno spirito animale, spirito custode o spirito guida (daimon), che assume la forma di un uccello, di un cane o di una farfalla è una riflessione che affonda le sue radici in epoche antiche.

 

In tutti questi anni, ci piace immaginare, caro Kimi, che tu, proprio tu, sei stato il nostro daimon.

Ciao, carissimo, affettuoso e indimenticabile Kimi da Valentino, Anita e Guido.

 

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- Filosofia/Scienza

Il telaio magico

Guido Brunetti

   Il telaio magico

 

  Una profondità insondabile, il grande "profundum" di sant'Agostino. Per millenni, filosofi, teologi e scienziati hanno studiato l'enigma del cervello, della mente e della coscienza, tre parole che nascondono ancora abissi di ignoranza.

   Oggi, le nuove neuroscienze sono alla ricerca di comprendere la struttura e il funzionamento del cervello e di individuare le basi neurobiologiche dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, attraverso le teorie disponibili, come l'evoluzione neodarwiniana, le moderne tecniche di "brain imaging" e la pratica clinica.

 

   Come mostra l'ottimo e godibile libro di Giulio Maira, neuroscienziato di fama mondiale, "Il telaio magico" (Solferino, 2022), ogni giorno si susseguono nuove conoscenze e nuove scoperte, le quali sono destinate a sconvolgere non soltanto i metodi di diagnosi e cura in medicina e psichiatria, ma anche le nostre millenarie concezioni, a partire dai sistemi filosofici. Siamo in grado di vedere e analizzare il cervello mentre svolge in tempo reale le sue complesse e prodigiose attività.

 

 Le gradevoli pagine del nuovo volume di Maira presentano uno stile empatico e luminoso e rappresentano un prezioso contributo al progresso delle neuroscienze.  

  E’ un viaggio alla scoperta dei misteri e delle incantevoli qualità di quel "telaio magico" che ci rende unici e diversi da tutti gli altri esseri viventi. Un cervello che con i suoi cento miliardi di neuroni è considerato dai neuroscienziati la struttura più complessa e meravigliosa del creato conosciuto.

 

  L'opera racconta la dimensione del bello, della bellezza e della felicità, ma anche i sentimenti, le emozioni, il sonno e i sogni, l'intelligenza, la coscienza e l'arte. E' stata proprio l'arte, per Vasari, "espressione della grandezza di Dio", ad aver compreso la vastità e lo straordinario dono del cervello. "Il cervello è più grande del cielo- canta Emily Dickinson- poiché tutto il mondo in qualche modo è contenuto anche nel cervello". Come avviene questo prodigio? Sono le avvincenti e brillanti pagine del "Telaio magico" di Giulio Maira a fornirci gli strumenti neuroscientifici ed emozionali per entrare nel mistero e nel fascino del cervello e della mente. 

 

  L'arte, il bello, la bellezza, la musica sono elementi essenziali nell' innescare il rilascio di sostanze chiamate molecole della felicità, come ossitocina- ormone dell'amore; serotonina- ormone del buonumore-; dopamina, il mediatore del piacere, forse il neurotrasmettitore più importante nella ricerca della felicità. Queste sostanze provocano sensazioni di gioia, piacere e gratificazione e ci coinvolgono profondamente.

   La sindrome di Stendhal è un esempio di questo coinvolgimento, di come una forte emozione scatenata da un quadro possa provocare vertigini, allucinazioni o svenimento.

   Questi processi sono poi favoriti anche dai "neuroni specchio", particolari neuroni che si attivano davanti alle emozioni altrui e ci permettono di immedesimarci davanti a una rappresentazione gioiosa o triste. 

 

 Il funzionamento della mente è molto complesso, ma in ciò- precisa l' autore- sta "la parte più  affascinante del mistero della vita". Lo studio del pensiero umano è insieme "avventura, scoperta, emozione". Consta, il cervello umano, come abbiamo detto, di cento miliardi di neuroni, quasi quanto tutte le stelle della Via Lattea e capaci di realizzare milioni di miliardi di connessioni neurali. La fantastica complessità delle connessioni sinaptiche appare un'armonia prestabilita dall'evoluzione e tale da generare l'imprevedibile e il non codificabile, creando mille e mille sfumature sempre diverse.

 

 Indagare il cervello e la mente è un fenomeno che ci stupisce continuamente, svelandoci con un ritmo che procede sempre in crescendo i suoi immensi, straordinari misteri. 

  La mente forse è il più grande miracolo del creato.

 

  La piacevole e coinvolgente lettura del libro di Giulio Maira mostra che 

il concetto e l’evoluzione del cervello e della mente hanno una lunga storia. Si assume che la parte più antica e primitiva del cervello risalga a circa 500 milioni di anni fa. L’origine del concetto di anima (mente) appartiene alla notte dei tempi: inizia con i testi omerici, l’orfismo e soprattutto con la filosofia greca di Socrate, Platone e Aristotele e gli stoici, prosegue con il cristianesimo per giungere fino al Novecento, quando il cervello, la mente e la coscienza passano nella sfera di competenza delle nuove neuroscienze.

 

 Per secoli, i due termini hanno indicato l’esistenza nell’uomo di due proprietà: una corporea e un’altra incorporea (dualismo classico), chiamata tradizionalmente anima, spirito, soffio, psiche, mente, ragione. Il cristianesimo, compie una suddivisione ancora più esplicita e l’iperuranio di Platone diviene il luogo dell’anima, quando si separa dal corpo. Sant’Agostino sostiene la dicotomia tra anima e corpo e introduce nella civiltà occidentale e nel cristianesimo il concetto di anima immortale concepita come interiorità, come “sostanza dotata di ragione con il ruolo di reggere il corpo”.

 

 Una visione nuova del rapporto tra anima e corpo viene proposta da Cartesio, il quale teorizza il dualismo interazionista, l’esistenza cioè di due sostanze ontologicamente diverse, la res extensa e la res cogitans, il corpo inteso come materia e l’anima come sostanza inestesa. Il dualismo moderno e contemporaneo, con Nagel, Eccles e Popper, ribadisce la distinzione tra le proprietà mentali e quelle fisiche o neurali, ritenendo che esse siano caratterizzate da un processo d’interazione.

 

  Contro queste impostazioni si pone il monismo, il quale, partendo da Democrito per giungere sino ai neuroscienziati di oggi, sostiene che cervello e mente sono la stessa cosa. Alla mente viene negata ogni realtà. Essa è “un’espressione del cervello”, una “scatola nera” (Skinner) di cui non si può sapere nulla. Questa concezione è sostenuta in particolare dal comportamentismo (o behaviorismo), un indirizzo di ricerca che domina la scena del pensiero psicologico negli Stati Uniti, dove prende origine nel 1915, e che ammette come soli dati conoscitivi i comportamenti direttamente osservabili, quantificabili e dunque controllabili dei soggetti, escludendo ogni ricorso all’introspezione, alla coscienza e alla mente.

 Il comportamento, per Watson, è la risposta o la reazione (R) di un organismo ad uno stimolo (S).

 

 Il comportamentismo termina verso la fine degli anni ’50, quando inizia a prevalere una corrente di pensiero chiamata scienza cognitiva, aprendo un nuovo, fecondo orizzonte nello studio del cervello. La ricerca sul cervello e la mente diventa una disciplina autonoma dai settori che l’avevano in precedenza incorporato, come la metafisica, la filosofia, l’etica, la teologia.

 

 A partire dagli anni ’70 del Novecento, emerge un vasto e complesso campo di ricerca: nascono le moderne neuroscienze, un insieme di discipline che hanno per oggetto lo studio del sistema nervoso e della comprensione del modo in cui il cervello possa dare luogo alla mente. Il settore è progredito, come concorda Gazzaniga, in “modo spettacolare” attraverso una enorme quantità di dati provenienti dalla sperimentazione animale e dall’indagine clinica.

 

 Il problema mente-corpo o mente-cervello (Mind-body-Problem) definito “il problema dei problemi” (Vizioli) viene esaminato- come spiega Maira- per mezzo di un ampio ventaglio di metodi, quali le tecniche di neuroimaging o brain imaging, le registrazioni elettrofisiologiche negli animali, le registrazioni dell’EEG e della MEG nell’uomo, le tecniche di stimolazione cerebrale, la stimolazione transcranica e l’esame delle sindromi dovute a lesioni cerebrali.

 

 A scoprire la natura unitaria dei neuroni è stato Santiago Ramon y Cajal, definito il padre delle moderne neuroscienze, con la sua “dottrina del neurone”, ossia che il sistema nervoso è costituito da singole cellule. Successivamente, Charles Sherrington indaga il comportamento unitario del neurone, coniando il termine sinapsi per descrivere la giunzione di due neuroni.

 

 Finora sono stati realizzati notevoli progressi scientifici, come il completamento del progetto genoma, le nuove conoscenze in materia di biologia molecolare, la comprensione dei meccanismi della trasmissione sinaptica, gli importanti sviluppi nella comprensione dei processi del cervello, la natura cognitiva dell’essere umano, la coscienza, le emozioni, le basi neurobiologiche del comportamento.

 

 Nelle neuroscienze moderne, si afferma il materialismo o fisicalismo neuro scientifico dell’identità tra mente e cervello, tra stati mentali e stati fisici. Si sostiene che ogni evento della mente è “identico” a un evento del cervello.   La mente cade sotto il metodo scientifico, sperimentale, spiegata con leggi fisiche e dunque avrà una descrizione e una spiegazione fisica. Essa diventa un evento fisico. E’la riduzione empirica della mente al cervello. Siamo convinti- scrivono F.Crick e C. Koch- che il problema della coscienza sia “risolvibile” a lungo andare soltanto con “spiegazioni a livello neurale”. Il pensiero, per questi neuroscienziati, è “causato” dai neuroni. Le attività dei neuroni “sono processi mentali”.

 

 Noi sosteniamo- d’accordo con i neuroscienziati Giulio Maira e John Eccles - una concezione trascendente dell’essere umano e dell’anima. La teoria riduzionistica della mente, della coscienza e quindi dell’essere umano “ridotto” a entità fisico-chimica, a struttura fisiologica, pertanto, è insoddisfacente e presenta notevoli limiti.

 Oltretutto, è una teoria scientificamente indimostrabile.

   

   L’uomo è una persona con i suoi vissuti, la sua interiorità, il suo io, la sua essenza, le sue gioie e i suoi dolori. Egli ha un valore intrinseco ontologico e dunque etico. Non è “puro corpo”, è un soggetto che ha “una mente, uno spirito, una coscienza, un’anima (Wittgenstein).

 

   E’ una concezione che va oltre il monismo materialista, che riduce la persona a cervello, per approdare a una visione unitaria e sostanziale di corpo e anima spirituale.

 La strada da percorrere è lunga, ma ricca di feconde prospettive.   Nonostante i sorprendenti sviluppi delle neuroscienze, siamo ancora lontani dalla comprensione della “magia”- scrive Giulio Maira- del funzionamento cervello, della mente e della coscienza, entità che rimangono ancora un grande enigma.

 

 Concludendo, la mente umana è- come sostiene Maira- sconfinata dichiarazione d'amore verso Colui che ci ha creato.

   E' la più grande creazione di Dio, un "ponte" tra Dio e l'umanità.

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Filosofia/Scienza

Evoluzione del concetto anima-cervello

 

Guido Brunetti

Concetto ed evoluzione del problema anima-cervello

 

 L’ origine del concetto di anima- in greco anemos (soffio, alito, respiro, vento)- appartiene alla notte dei tempi. Prima del V secolo a.C.- come sottolineano Daniele Bui e Silvio Leoni nel loro libro “Mente, cervello e coscienza” (Casa editrice Mattioli)- “l’anima intesa come pensiero cosciente non esiste ancora”.

L’anima è concepita dal pensiero primitivo come un principio vitale che trasmette vita agli uomini. La sua nascita comincia con le opere di Omero e con l’orfismo e si afferma con la filosofia greca per proseguire con il cristianesimo per giungere infine al Novecento, quando la nozione di cervello, mente e coscienza passa nella sfera di competenza delle nuove neuroscienze.

Si comincia con la concezione dell’uomo composto di anima e corpo (dualismo ontologico). E’ stato Platone a definire per primo l’anima, ricorrendo a un’immagine. Quella di un carro guidato da un auriga e trascinato da due cavalli alati, uno nero, bestiale, l’altro bianco e nobile. Il cavallo nero corrisponde all’Es di Freud, un’istanza ribollente di impulsi aggressivi e di passioni, mentre il cavallo bianco rappresenta il Super-ego freudiano, l’insieme di norme e regole di condotta che stanno alla base del nostro comportamento. A sua volta, l’auriga corrisponde all’Io di Freud ed ha la funzione di mediare tra i due cavalli, tra i nostri impulsi da un lato e le istanze morali dall’altro.

L’uomo- precisa Platone- è composto di due realtà: il corpo, sostanza materiale e l’anima, sostanza immateriale, spirituale e immortale, quindi eterna.

Questa visione, così come la vita e l’opera di Platone sono state segnate dalla sua amicizia con Socrate (470 a.C.). A questo filosofo viene attribuito l’invenzione del nome di filosofia, amore per la sapienza. Socrate riteneva di essere guidato da una strana voce interiore, che veniva dal profondo dell’anima, un daimonion, una voce divina, idea che introduce il concetto di coscienza interiore.

Platone fu colpito da questi argomenti, soprattutto dalla ricerca sull’anima quale oggetto della filosofia, condotta attraverso il metodo dialettico socratico, noto come maieutica, dal greco maieutikè, ossia arte dell’ostetrica, la quale consiste nel sostenere il soggetto a portare alla luce dal profondo dell’anima la capacità di conoscere. Che è quella dell’oracolo di Delfi: “Conosci te stesso”, la propria umanità, la propria personalità.

Una vita senza ricerca, per Socrate, “non è degna di essere vissuta”. “So di non sapere” è il principio che guida Socrate e Platone. Solo chi riconosce la propria ignoranza può progredire nella saggezza, fatto che costituisce il primo passo nel processo di apprendimento. La vera essenza delle cose e del mondo è l’anima a scoprirla, mentre la realtà che vedono i nostri occhi, secondo Platone, è “apparenza, opinabile”. E’ la mente che vede il mondo delle idee, una realtà trascendente che rappresenta il modello che dà forma alla pluralità delle cose.

Il termine Idea indica la “causa universale”, perfezione assoluta, essenza eterna. E’ essere perfetto che non si può conoscere con i sensi, ma solo con la ragione. Le idee non nascono né muoiono. La loro conoscenza conduce l’anima al Bene. L’anima è nel corpo, ma non è il corpo, essa ci lega al mondo delle idee e ci permette di aspirare alla conoscenza.

La filosofia di Platone può essere considerata una filosofia dell’anima. Senza l’anima-afferma- il mondo non sarebbe completo, non sarebbe cioè possibile la conoscenza e può morire. E’ un principio immateriale e non è riconducibile a leggi fisiche. E’ costituita da tre parti: razionale, passionale o irascibile e concupiscibile.

Il dualismo di anima e corpo prosegue con Cartesio, il quale introduce la distinzione tra la mente spirituale- res cogitans- e la materia- res extensa- il mondo dei corpi esterni.

Questi principi perdurano sino alla seconda metà del Novecento quando l’avvento delle nuove neuroscienze determinano un cambiamento di paradigma. Le questioni legate all’anima, alla mente e al cervello passano infatti sotto la sfera d’influenza di questa disciplina avendo a modello il metodo empirico delle scienze fisiche, naturali, producendo in questi ultimi anni un forte, meraviglioso progresso sino a determinare una rivoluzione scientifica in grado di modificare non solo i metodi di diagnosi e cura in medicina e psichiatria, ma la nostra visione del mondo e i principi che per secoli hanno guidato l’umanità, a partire dai sistemi filosofici.

L’anima, intesa come sostanza immateriale e immortale, scompare. Scompare anche il “fondo” dell’anima, lo spirito. E con lo spirito scompare Dio. Svanisce tutto quel mondo morale, religioso e spirituale che da sempre sosteneva la civiltà occidentale.

Scomparsa l’anima, è rimasto il corpo. E’ il tempo del corpo, che è la negazione della ragione, dei valori e della virtù, il tempo dell’esaltazione degli istinti, dell’irrazionale, del soggettivismo. L’essere come spirito, come conoscenza di sé e conoscenza di Dio diventa un lontano ricordo. A una fenomenologia dello spirito si sostituisce un determinismo neurobiologico: tutto è ridotto e sottomesso al fisicalismo e al materialismo.

Abbiamo così una scienza, una psichiatria e una psicoterapia senza spirito e senza anima. Via l’anima, sostituita dalla nozione vaga e debole di psiche o mente. Il concetto di mente prende quello di anima.

Il termine mente è qualcosa che appare molto sfuggente. Comprende il sentire e il conoscere, sentimenti ed emozioni, stati soggettivi e sensazioni fisiche, pensieri e idee. Nel concetto di mente, comprendiamo anche la coscienza, cioè l’esperienza soggettiva di essere consapevoli della nostra vita, e i processi mentali inconsci di cui non siamo consapevoli. E’insomma l’essenza della nostra natura “più profonda ed intima” (Siegel), un processo dinamico in continuo divenire e cambiamento.

Allo stato attuale delle conoscenze, non esiste una chiara definizione di ciò che la mente è davvero. Abbiamo un insieme di descrizioni e definizioni della mente e una vasta rete di discipline che si occupano della mente, come neuroscienze, pratica clinica, filosofia.

Per le neuroscienze, la mente non è altro che il risultato dell’attività dei neuroni, ossia del cervello. L’origine della mente è il cervello. Tutto dal cervello. La mente ha una natura biologica, fisica, priva cioè di significato spirituale. Si sostiene l’identità fra cervello e mente.

Al dualismo di anima e corpo subentra il principio del monismo. Tutti i processi mentali, normali e anormali, sono considerati processi cerebrali. Non esistono eventi mentali, ma solo eventi del cervello.

Finora, nessuno è riuscito tuttavia a spiegare in che modo si passa dalla “scarica neurale” agli stati soggettivi, alla coscienza, alle nostre emozioni e ai nostri pensieri.

Le nuove concezioni delle neuroscienze influenzano anche il pensiero filosofico e addirittura gli orientamenti teologici. La maggior parte degli studiosi prende in maniera decisa la via del corpo, determinando come abbiamo detto la morte dell’anima, dello spirito, del logos e di Dio.

L’inizio del terzo millennio, dunque, presenta uno spostamento definitivo del concetto di anima e della cura dell’anima dal campo filosofico e morale a quello delle scienze naturali. L’approccio è di tipo positivistico-medico-psichiatrico-psicoterapeutico all’individuo e alla sua sofferenza.

Le patologie psichiatriche infatti sono considerate di origine biologica nel cervello. Il paziente cade in tal modo nella “trappola” del determinismo, affidandosi ai farmaci, i quali lasciano “danni irreversibili” e alle tante psicoterapie, le quali non hanno ancora uno statuto scientifico, e sono ritenute da autorevoli studiosi “disastrose”, poiché la discesa agli inferi dell’inconscio non è seguita da “nessuna risalita”.

Abbiamo un mondo che ha perduto la sua “capacità salvifica” e presenta una società di malati alla ricerca di terapie dell’anima di vario tipo, da quelle farmacologiche a quelle psichiatriche e psicoterapeutiche. E’ la fine dell’anima, la morte dell’anima.

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- Scienza

Il cervello plastico

 

Guido Brunetti

Il cervello plastico

 

Una delle più affascinanti scoperte delle neuroscienze realizzate in questi ultimi anni è quella riguardante la plasticità  del cervello. Questa struttura è una vera "spugna" che assorbe gli stimoli ambientali necessari per lo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale della persona. L'estrema plasticità del cervello fa sì che ogni cervello è diverso da tutti gli altri.

 

La neuroplasticità è un "talento unico", la proprietà di modificare se stesso e di "autoripararsi", scrive Michela Matteoli nel suo libro "Il talento del cervello" (Sonzogno, 2022). Può evolversi sempre nel corso della vita ed espandersi letteralmente, costruendo nuove connessioni neurali e sinaptiche.

 

Fino a pochi anni fa, si riteneva che il cervello fosse un organo "immutabile". Oggi, sappiamo che questa teoria è errata, poiché il cervello ha la capacità di modellarsi e rimodellarsi continuamente, di cambiare se stesso e di riorganizzare ogni sua parte per compensare le carenze dovute a traumi o al processo di invecchiamento. 

 

Esperimenti effettuati in materia, hanno mostrato che animali cresciuti in ambienti stimolanti "imparano" meglio di altri allevati in ambienti poveri. La plasticita cerebrale è un fenomeno costante nel corso della nostra esistenza, potendo migliorare le capacità cognitive, aumentare il peso della corteccia cerbrale, modificare milioni di connessioni neurali, e la struttura stessa del cervello.

 

La legge della plasticità- use it or lose it, usalo o lo perderai- si applica in tutto il cervello. Il nostro cervello viene modificato sia dal punto di vista fisico che funzionale ogni volta che impariamo una nuova capacità. Ogni attività- fisica, sensoriale, di tempo libero, ogni apprendimento, pensiero, leggere, studiare, ecc. - "modifica" il cervello e la mente.

 

E' fondamentale allora mantenere sempre in attività il cervello.

Finora, le ricerche neuroscientifiche hanno dimostrato che le strategie fondamentali per la "giovinezza" del cervello, e per rallentare l'invecchiamento e prevenire le patologie neurodegenerative sono: stimolazione mentale, movimento, corretta alimentazione, vita attiva, riposo, sonno e avere un atteggiamento positivo su stessi, gli altri e il mondo.

 

La lettura, ad esempio, così come la musica, il teatro, i concerti, le mostre arricchiscono il nostro cervello, sono una "magia" per la mente (Matteoli): i libri sono un dialogo tra anime, ci fanno sperimentare idee, pensieri ed emozioni di altre persone, ci fanno viaggiare nel tempo e nello spazio.

 

Come hanno evidenziato recenti studi, anche l'attività fisica migliora le prestazioni cognitive e contribuisce alla nascita e alla sopravvivenza dei neuroni, influenzando l'attività cardiaca, la circolazione sanguigna e  controllare la glicemia.

 

Un altro fattore importante è l'alimentazione, la quale deve essere completa e varia. Indispensabili, sono verdure, frutta, cereali, legumi, pesce, pollame.

Il cervello assorbe circa il 20 per cento dell'energia complessiva che consumiamo a riposo. Numerose ricerche affermano che un'alimentazione corretta riesce a ridurre l'invecchiamento del cervelloe e di contrastare malattie, come l'Alzheimer. Il consumo di un'alimentazione ipercalorica compromette aree del cervello, le funzioni cognitive,  metaboliche e del sistema nervoso, inclusi i disturbi della cognizione e l'invecchiamento cerebrale.

 

Una funzione vitale è svolta dal sonno. Una ricerca di alcuni anni fa ha scoperto che topi privati del sonno morivano entro un mese. Il sonno è articolato in varie fasi: si inizia con il sonno leggero, si passa al sonno profondo e si perviene al sonno a movimento rapido degli occhi (REM), fase in cui l'attività del cervello è intensa. L'ideale è dormire sette-otto ore a notte. 

 

Un fattore di rischio è la solitudine. Questa è associata a una riduzione degli anni di vita ed è una minaccia alla sopravvivenza. La solitudine genera ansia, depressione, stress, disturbi che aumentano i livelli di cortisolo, un ormone che ha un effetto dannoso sui processi biologici e mentali.

 

I nemici principali del cervello sono le patologie neurodegenerative, come l'Alzheimer, il Parkinson, la schizofrenia, l'autismo, la depressione. Allo stato delle nostre conoscenze, non abbiamo farmaci che guariscano da queste patologie. I medicinati trattano i sintomi. Occorre adottare strategie di prevenzione, come abbiamo indicato sopra, allo scopo di creare nuovi neuroni e nuove sinapsi e rendere le aree del cervello più plastiche.

 

Uomini e donne, infine, sono "differenti" sia sul piano biologico che fisiologico. Essi sono diversi nell'invecchiamento, nel sistema immunitario, nel linguaggio verbale, nell'aggressività, sul piano affettivo ed emotivo. Il cervello delle donne è strutturato per l'empatia e l'intuizione, mentre quello maschile è orientato alla razionalità e all'azione. Finora, la ricerca ha chiarito che la maggior parte dei cervelli è formata da un insime di caratteristiche uniche, alcune più comuni nelle donne, altre negli uomini.

 

 

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- Scienza

Neuroscienze. Cervello, mente e coscienza

 

Guido Brunetti

Neuroscienze. Cervello, mente e coscienza

 

1. Cervello, mente, neuroni.

2. La mente neurale.

3. La mente relazionale.

4. La mente emotiva. Emozioni, sentimenti, affetto

5. La coscienza e l'inconscio.

6. Empatia, neuroni specchio, teoria della mente.

7. Distubi dello spettro autistico.

8. La vita e le sue avversità.

9. Menti eccezionali. Intelligenza, creatività.

 

1. Cervello, mente, neuroni

 

Le neuroscienze sono agli esordi. Esse sono costituite da un insieme di discipline, che hanno l'obiettivo di comprendere la struttura e il funzionamento del cervello e della mente. La complessità delle funzioni mentali mette soggezione.

Ancora nel XXI secolo, il funzionamento del cervello e della mente rimane uno dei misteri più complessi e fantastici che continuano ad affascinare i neuroscienziati. Con i suoi cento miliardi di neuroni, il cervello è la struttura più straordinaria e meravigliosa dell'universo conosciuto.   

Il cervello è composto di neuroni, cellule speciali che rappresentano l'unità del sistema nervoso. Dalla testa in giù, quest' organo continua con il tronco encefalico e il midollo spinale.

 

Il futuro evolutivo del cervello continua ad essere un'incognita. E' un organo complesso, non è un'opera finita  mai lo sarà, poiché la sua caratteristica è quella di avere una grande capacità di modellaresi e rimodellarsi continuamente in virtù delle continue influenze ambientali e culturali (plasticità neurale). Infatti, se lo coltivi funziona. Se lo lasci andare lo perdi: "Use it or lose it" (D. Swaab).

 

Quel che è certo è che di fronte a un futuro appassionante e incerto, la conoscenza del cervello e della mente porta al progresso della nostra civiltà e della nostra qualità della vita. Il mondo sta cambiando grazie- ha scritto il premio Nobel per la medicina Eric Kandel- ai progressi della scienza e della tecnologia.

 

E' il cervello, plasmato da centinaia di milioni di anni di evoluzione, che ci permette di camminare, vedere, dormire, gioire. Per il grande medico greco Ippocrate (460-377 a.C.), padre della medicina, il cervello è alla base dei nostri pensieri, sentimenti, emozioni, idee. Secondo Platone (427-347 a.C.) invece ciascuno di noi è dotato non solo di un  cervello, ma anche di un'anima non fisica, immateriale, eterna. Anche Cartesio ( 1596-1650) giunge alla conclusione secondo cui tutte le funzioni mentali- pensiero, percezione, decisioni, sogni, sentimenti- sono opera dell'anima non fisica e non del cervello.

E' la teoria del dualismo metafisico.

 

Sin dalla nascita, i neonati hanno la quasi totalità dei neuroni e i loro cervelli vengono modellati da un processo di apprendimento e di memoria dovuto alle connessioni neurali attivate dall'ambiente e dalle esperienze personali.

 

Invero, in questi ultimi anni, le nuove neuroscienze hanno compiuto grandi progressi nello studio del cervello, della mente e della coscienza. Tre parole che nascondono, come ho scritto altrove, abissi di ignoranza. Nonostante i continui avanzamenti, resi possibili dallo sviluppo di tecniche di "brain imaging", cioè di visualizzazione delle funzioni cerebrali, le quali hanno la capacità di indagare l'attività del cervello durante l'esecuzione di specifici compiti, l'argomento continua a rappresentare per i neuroscienziati uno dei  grandi misteri che la scienza è chiamata a indagare e risolvere.

 

Il termine "neuroscienze" è stato coniato dal neuroscienziato americano Francis O. Schmitt per indicare, come abbiamo detto. lo studio scientifico del sistema nervoso, al fine di comprendere la complessità della struttura e del funzionamento del cervello e della mente.

Esse si affermano nel corso della seconda metà del Novecento e comprendono un ampio spettro di discipline.

 

2. La mente neurale 

 

Fino al '900, il compito di trovare una spiegazione alla mente era appannaggio della filosofia e della teologia. Con l'emergere verso gli anni Sessanta delle nuove neuroscienze, lo studio della mente viene analizzato come fenomeno neurobiologico, cioè attraverso il metodo scientifico.

 

La mente (l'anima) non è più considerata come in passato un'entità astratta, immortale e quindi eterna, ma una sostanza materiale e quindi soggetta alle leggi della fisica e della biologia. Per l'uomo- scrive Francis Crick- "nessuno studio scientifico è più fondamentale dello studio del proprio cervello".

 

Alla metà del XX secolo, l'ipotesi dualistica perde di credibilità. Un insieme di dati neuroscientifici "smonta" la teoria dell'anima spirituale e immateriale. I risultati degli esperimenti mostrano che gli stati mentali sono stati fisici del cervello stesso, e non stati di un'anima non fisica.

Si afferma la teoria del monismo.

Non c'è alcuna scienza dell'anima perché- dicono i neuroscienziati- non c'è "alcuna anima" (LeDoux).

 

L'anima quindi scompare. Mente e cervello sono un'unica, stessa cosa. Ciò che pensiamo come anima è il cervello e ciò che pensiamo come cervello è il cervello (P. Churchland). Se allora i processi mentali sono processi cerebrali, non si può capire la mente senza capire il cervello.

 

I risultati di queste ricerche conducono all'emergere di un pricipio alla base delle neuroscienze: "tutti i processi mentali- scrive Eric Kandel- derivano da operazioni del cervello. Ciò che comunemente chiamiamo mente rappresenta un insieme di funzioni svolte dal  cervello. Qualsiasi disturbo (o alterazione) di questi processi pertanto deve avere una base biologica. Di qui, l'affermazione secondo cui la maggior parte dei disturbi psichiatrici è causata da una combinazione di predisposizioni genetiche e di fattori ambientali.

 

3. La mente relazionale

 

In verità, sostenere che la mente è "il prodotto dell'attività dei neuroni" può non essere tutta la verità. Questa idea non porta alla conclusione logica e scientifica che sia soltanto il cervello a dare origine alla mente.

Alcune ricerche mostrano che mente e cervello non sono la stessa cosa e che possono influenzarsi a vicenda (Davidson). Dobbiamo guardare oltre l'attività dei neuroni del cervello in una prospettiva più ampia.

La mente infatti è una questione molto aperta, ha una natura complessa e ricca ed è profondamente "relazionale" (Siegel); può essere pertanto considerata un sistema che è sia nel corpo sia tra noi e altre entità, come le persone e l'ambiente in cui viviamo.

 

L'attività mentale può essere quindi definita come "processo incarnato e relazionale" (Siegel), un sistema cioè interconnesso e interagente che include " non solo il corpo e il cervello, ma anche l'ambiente e le relazioni sociali".

E' allora possibile che la mente, a questo punto, pur  essendo collegata all'attività cerebrale, sia qualcosa di più che non il prodotto dei neuroni.

 

Per il momento, ogni ipotesi deve essere considerata una congettura.

 

4. La mente emotiva. Emozioni, sentimenti, affetto

 

Le emozioni, i sentimenti, l'affetto costituiscono il secondo elemento della trilogia mentale. La mente infatti è stata considerata da molti autori una trilogia, che comprende cognizione, emozione e motivazione, una concezione già teorizzata da Platone (anima tripartita).

 

La comprensione della mente emotiva è di importanza decisiva per capire l'essere umano. Gli affetti sono alla base della nostra vita perché governano ciò che facciamo, ci dicono chi siamo nel mondo. Il cervello e la mente sono fondati sugli affetti attraverso un processo di interazione.

L'essenza di un'emozione è l'esperienza soffettiva, come ad esempio il sentimento di paura, di collera o di gioia

 

Il cervello di tutti i mammiferi, che sono creature molto affettive, è costruito sullo stesso piano, costituito da meccanismi emozionali che producono la coscienza.

 

Le definizione di emozione sono numerose. Su un punto vi è un accordo, con la parola emozione definiamo un aspetto multidimensionale della nostra vita e comprende un ampio spettro di condizioni affettivo-emotive. Essa deriva dal latino emovere , scuotere, smuovere e si riferisce a una vasta gamma di fenomeni cognitivi, viscerali e motori, i quali si manifestano in risposta a eventi interiori ed esterni. Si tratta di risposte in larga parte inconsce, basate su processi ereditari, innati o appresi.

Le due emozioni fondamentali sono il piacere e il dolore, determinando uno stato di attivazione fisiologica (aroussal).

L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali è "universale" (Darwin).

 

La mente emotiva, come mostrano i dati della ricerca nel campo delle neuroscienze, origina dalle aree profonde del cervello (Panksepp). Gli altri animali hanno "esperienze affettive". Sta di fatto che la conoscenza dei sistemi affettivi è dovuta in gran parte alla ricerca animale.

 

Le neuroscienze hanno scoperto che le antiche regioni del cervello contengono almeno sette sistemi affettivi di base: paura (ansia), collera (rabbia), desiderio sessuale, cura (accudimento), panico/sofferenza (tristezza), gioco, attesa.

Di fronte a un pericolo, il cervello di un animale genera sia comportamenti di congelamento o fuga sia reazioni viscerali, come sudorazione, aumento del battito cardiaco e secrezione di cortisolo (ormone dello stress) nel flusso sanguigno.

 

In sostanza, tutti gli aspetti della nostra vita mentale sono influenzati dai nostri sentimenti e dalle nostre emozioni. I sentimenti negativi  possono provocare diverse sindromi psichiatriche (ansia, depressione, stress, ecc).

 

L' affettività, a sua volta, è l'insieme dei sentimenti e delle emozioni connesso all'esperienza vissuta. L'affetto può essere positivo (gradevole) o negativo (penoso). Quando è intenso, si suole definirlo emozione, quando è meno intenso e più duraturo lo si definisce sentimento. 

Il sentimento è l'origine delle emozioni e si riferisce alla componente consapevolmente percepita.

 

Dobbiamo infine precisare che i processi affettivi degli animali non sono così differenti da quelli che accompagnano i sistemi affettivi del cervello degli esseri umani. La comprensione del cervello umano non può essere raggiunta senza lo studio dei processi negli altri animali. Il successo nelle scienze neurobiologiche e il progresso della medicina sono stati "guidati dalle scoperte tratte dalla ricerca animale"(Panksepp).

 

5. La coscienza e l'inconscio

 

Ogni aspetto del nostro cervello presenta due dimensioni, una conscia, della quale siamo consapevoli in ogni momento, e una inconscia a noi totalmente nascosta.

La coscienza è una proprietà fondamentale della mente.                 

Tra cervello conscio e cervello inconscio c'è tuttavia una stretta relazione.

Il cervello riceve continuamente milioni di stimoli e di informazioni. E' impossibile che questa enorme mole di informazioni possa accedere in blocco alla coscienza. La quale è in grado di elaborare soltanto una piccola parte degli stimoli ricevuti. La maggior parte delle funzioni mentali è inconscia, come ribadisce Marcos Quevedo Diaz nel suo saggio "Il cervello inconscio" (EMSE, Milano).

 

Nonostante venga attribuita a Freud la paternità del termine inconscio, questa nozione viene sviluppata dai filosofi tedeschi del XVIII secolo. L'espressione più evidente degli stati inconsci è il sonno. Quando chiudiamo gli occhi, la nostra coscienza svanisce progressivamente fino a sparire del tutto.

 

La coscienza contiene tutte le emozioni, idee, pensieri, sensazioni, esperienze che si organizzano nella nostra mente. E' una dimensione alla quale ha accesso esclusivamente la persona che la sta vivendo. Nessun altro infatti può spiegarci che cosa sperimenta e percepisce dentro di sé un'altra persona. Queste esperienze vengono denominate dai neuroscienziati "qualia". I qualia sono informazioni, esperienze uniche e intrasferibili, come per esempio vedere il rosso, sentire il dolore, ecc. 

 

La caratteristica distintiva della coscienza è infatti la "soggettività", ossia l'esperienza soggettiva e personale che ognuno di noi fa. Facciamo esperienza delle nostre idee, delle nostre sensazioni e dei nostri stati d'animo. Ma non sappiamo ciò che provano o pensano gli altri.

 

Il fatto che l'esperienza cosciente è "soggettiva" pone l'interrogativo sulla possibilità di determinare in modo oggettivo, scientifico le esperienze soggettive. E' possibile spiegare la coscienza su base biologica?

La natura soggettiva e personale dell' esperienza cosciente porta a chiedersi se sia possibile determinare in maniera oggettiva, scientifica queste esperienze soggettive.

 

Alcuni  neuroscienziati ritengono che la coscienza, essendo irriducibilmente soggettiva è al di là della sfera d'azione della scienza, inaccessibile all'indagine empirica (McGinn). L'uomo pertanto non è in grado di capire la coscienza, i suoi stati d'animo in quanto privati e personali. Altri autori, come Nagel e Searle, sostengono invece che la coscienza sia accessibile all'analisi scientifica. Riteniamo come sia fondamentale a questo punto elaborare nuovi metodi per studiare i "qualia".

 

In quale momento dell'evoluzione, l' essere umano ha sviluppato la coscienza e a partire da quale età, diventiamo coscienti?

Evidenze scientifiche indicano che sia i neonati sia gli animali  hanno "un livello di coscienza" misurabile attraverso l'elettroencefalografia (EEG). I cervelli di tutti i vertebrati poi sono organizzati "in modo simile". La struttura del cervello è "comune". Tutti possediamo il midollo spinale, il tronco encefalico, il talamo e la corteccia.

 

Molti neuroscienziati ritengono che la coscienza abbia avuto origine come un'estensione delle influenze emotive primordiali quali gli istinti della sete, il bisogno di mangiare o il desiderio sessuale.

Recenti scoperte nel campo della paleontologia hanno rivelato che un certo grado di "protocoscienza" sia apparso 315 milioni di anni fa.

 

Numerose ricerche evidenziano che la coscienza incomincia ad emergere quando il feto inizia a svilupparsi, ossia alla fine dell'ottava settimana di gravidanza., quando egli comincia a percepire e reagire agli stimoli.

Nel periodo dell'allattamento, il neonato "sperimenta" una "coscienza approssimativa" del mondo esterno. In questa fase, il cervello inconscio è "responsabile" della quasi totalità delle nostre funzioni: piangiamo per la fame, il freddo e la mancanza di affetto, e ci calmiamo al contatto di nostra madre.

 

 Quando affiora l'autocoscienza o coscienza dell'Io?

L'essere umano acquisisce la capacità di riconoscere la propria immagine riflessa verso il diciottesimo mese di vita. L'autocoscienza è comparsa per la prima volta circa 5 milioni di anni fa, quando il ramo delle scimmie si separò da quello degli ominidi.

 

L'autocoscienza poi non è, come è stata a lungo ritenuta, una capacità esclusiva degli esseri umani.. E' stato dimostrato che individui appartenenti ad altre specie sono capaci di riconoscersi guardando la propria immagine riflessa in uno specchio. Alcuni esperimenti hanno mostrato che certi animali non umani- scimmie, scimpanzé, delfini, elefanti, corvi e gazze- possono esprimere comportmenti "autocoscienti".

 

6. L'empatia, i neuroni specchio, la teoria della mente

 

Un rilevante contributo alla comprensione degli stati mentali è stato fornito da una delle più grandi scoperte del Novecento, quella dei "neuroni specchio" nei macachi rhesus avvenuta nel 1992 ad opera dell'équipe di Giacomo Rizzolatti nell'Università di Parma.  I neuroni specchio sono un insieme di neuroni che si attivano sia quando la scimmia vede un altro individuo compiere un'azione, per esempio portare cibo alla bocca, sia quando esegue lei stessa quell'azione.

 

Questo gruppo di neuroni consente all'osservatore di essere in grado di ottenere una rappresentazione di ciò che un altro soggetto sta per compiere. Per la prima volta, questi hanno fornito una base per comprendere l'empatia, l'interpretazione delle azioni altrui e l'interazione sociale. Ci forniscono la capacità unica di metterci al posto dell'altro e di vedere il mondo dal suo punto di vista, comprendendo le sue azioni, le sue emozioni e le sue intenzioni.

 

Questa loro caratteristica ci aiuta a spiegare il possesso di una "teoria della mente", della lettura della mente, cioè dell'attribuzione mentale negli altri, come stati soggettivi, intenzioni, scopo, paure, desideri, emozioni, credenze.

 

Il cervello umano, che pesa mediamente 1300 grammi, è formato, lo ribadiamo, da 100 miliardi di neuroni. Il termine neurone è stato coniato nel 1891 dallo studioso tedesco Wilhelm Waldeyer. Una delle scoperte fondamentali delle nuove neuroscienze è che i neuroni hanno la capacità di ricevere, elaborare e trasmettere l'informazione mediante segnali elettrici e segnali chimici attraverso le sinapsi. Si calcola che ogni neurone sia collegato con altri 10.000 neuroni.

 

I neuroni- scrive S. Ramòn y Cajal- sono cellule fondamentali dalle forme "delicate ed eleganti, sono le misteriose farfalle del'anima, il cui battito delle ali potrebbe forse, un giorno, chiarire il segreto della vita mentale".

 

La capacità di mettersi nei panni degli altri, di sperimentare i sentimenti, le emozioni e le sofferenze altrui viene indicata con la parola "empatia" coniata dallo studioso americano Edward Titchner. Di qui, l'elaborazione di quella che è nota come "teoria della mente". Che è la capacità, come abbiamo detto sopra, di attribuire desideri, pensieri e intenzioni agli altri soggetti, nonché di interpretare le loro azioni. Questa capacità comincia a manifestarsi già nei bambini tra i tre e i cinque anni.

 

L'essere umano possiede il sistema dei neuroni specchio?

 Numerosi esperimenti hanno mostrato che anche negli esseri umani  si attivano le stesse aree cerebrali  quando osservano un'azione e quando la eseguono, possiedono quindi un sistema specchio. Per la prima volta, uno studio realizzato nell'Università di California (2010) ha registrato l'attività dei singoli neuroni specchio negli esseri umani, riproducendo il risultato ottenuto anni prima nei macachi. Successivamente, un' altra scoperta metterà in  luce come i neuroni specchio costituiscano un sistema distribuito in "diverse aree del cervello".

 

Finora, possiamo dire che tutti i dati della ricerca dimostrano che i primati, umani e non umani, "riconoscono e comprendono le azioni altrui. La scoperta dei neuroni specchio ha rappresentato una "rivoluzione scientifica destinata nel tempo a rivelare ancora molti segreti.

 

La scoperta dei neuroni specchi risulta cruciale in molti aspetti del nostro sviluppo cognitivo, affettivo, emotivo e comportamentale. Una delle funzioni principali è quella che ci permette di provare empatia verso gli altri, mettendoci al loro posto e sperimentando il loro stato d'animo, il loro compoertamento e le loro emozioni, come tristezza, sofferenza, dolore, paura, disgusto, senso dicolpa, gioia.

L'empatia e il contagio emotivo si sviluppano durante i primi mesi o anni di vita.

 

Le ricerche poi indicano che esistono differenze generali osservate tra uomini e donne e che la capacità di empatizzare è "una variabile continua" e quindi ci saranno alcuni uomini particolarmente sensibili nella sincronizzazione emotiva con le altre persone, e allo stesso tempo, donne cui "non risulta facile comprendere gli stati d'animo degli altri".

 

Il sistema dei neuroni specchio inoltre svolge un ruolo decisivo nel processo di imitazione e di apprendimento, contribuendo al progresso culturale e all'evoluzione umana. Neonati di 12 0 20 giorni sono già capaci di imitare i gesti facciali e menuali degli adulti. Successivi studi hanno evidenziato che i comportamenti imitativi e l'apprendimento non sono un'esclusiva dell'uomo, ma sono presenti in diverse specie animali.

 

7. Disturbi dello spettro autistico

 

Varie ricerche suggeriscono che una disfunzione del sistema dei neuroni specchio può essere coinvolta nei disturbi dello spettro autistico. Che è un disturbo complesso, il quale comprende un una vasta gamma di sintomi e include autismo, sindrome di Asperger, disturbo generalizzato dello sviluppo, disturbo disintegrativo dell'infanzia e la sindrome di Rett (DSM-5). Questi comportamenti furono descritti per la prima volta da Leo Kanner (1943).  La sindrome di Asperger prende il su nome dal medico austriaco Hans Asperger, che per primo ha identificato e studiato un gruppo di bambini con comportamenti nell'interazione sociale, nelle abilità comunicative e negli interessi.

 

Secondo alcuni studi, l'incapacità di empatizzare o di comprtendere gli stati mentali delle altre persone e quindi di sviluppare la teoria della mente dell'altro potrebbe dipendere da "un malfunzionamento dei neuroni specchio".

 

I disturbi dello spettro autistico colpiscono gli uomini più delle donne e possono avere cause diverse, come anomalie genetiche, anomalie della crescita cerebrale e alterazioni della connettività tra aree cerebrali. 

 

8. La vita e le sue avversità

 

Il funzionamento del cervello determina le nostre possibilità, i nostri limiti e la nostra personalità. Questa struttura fantastica e complessa si realizza su un terreno spesso aspro, pieno di sfide, ostacoli e prove quotidiane. Le nostre capacità di affrontare l'esistenza e le avversità della vita sono legate a un processo di interazione tra il sistema genetico e l'ambiente socio-culturale e familiare. Le variazioni indotte da questo processo determinano - precisa D.J.Feder nel suo saggio "Resilienza" (Edizioni EMSE, Milano) "risposte differenti" di fronte alle "avversità" della vita.

 

Già nella letteratura latina viene indicata l'idea secondo cui l'esistenza è irta di difficoltà. Virgilio  afferma "Sic itur ad astra" (Così si sale alle stelle), mentre Seneca dichiara "Non est ad astra mollis e terra via" (Non esite alcuna via semplice dalla terra alle stelle).

 

Le neuroscienze sono in questi ultimi anni alla ricerca di individuare, analizzare e comprendere i meccanismi di sistemi neurali e neurobiologici che sono alla base delle avversità, ossia della cosiddetta "resilienza", un termine che in questi ultimi tempi viene continuamente evocato.

 

E' una parola che è stata presa in prestito dalla fisica per indicare la resistenza di certi materiali che si piegano, ma non si spezzano. Secondo lo studioso E.E. Grotberg, il concetto di resilienza significa la capacità di affrontare e superare le avversità della vita,  di sopportare lo stress e gli stati d'ansia, e persino uscirne "rinforzati".

Alla base della resilienza, secondo ricerche svolte nel campo delle neuroscienze, ci sono vari fattori, come risorse provenienti dall'ambiente familiare e socio-culturale; risorse legate alla propria personalità; l'abilità di interagire con gli altri e di risolvere problemi.

 

Si tratta di un comportamento che si sviluppa- chiarisce Cyrulnik- soprattutto a seguito dell'acquisizione di adeguati rapporti primari di affetto con le figure parentali. E' la teoria dell' attaccamento sviluppata da John Bowlby. Di fronte alle avversità, un "attaccamento sicuro" consente alla persona di superare le difficoltà attraverso un "adattamento positivo" (Luthar). Questa capacità poi è legata anche alla nostra visione della vita, fatto- spiega il famoso autore austriaco Viktor Frankl- che ci proietta verso il futuro, stimolando la costruzione di nuovi progetti.

 

Fattori rilevanti per promuovere la resilienza sono la capacità di individuare e di gestire le difficoltà, i tratti della personalità, l'autostima, i legami affettivi sicuri, le dinamiche interpersonali.

 

Esperimenti neuroscientifici hanno rilevato l'esistenza di un legame tra resilienza e neuroplasticità, che è la capacità del nostro cervello di modificarsi continuamente a seguito dell'aumento di connessioni neurali indotto dalle esperienze quotidiane.

 

Un rilevante fattore per comprendere e sviluppare risorse capaci di affronare le difficoltà dell'esistenza e i disturbi come l'ansia, la depressione e lo stress è la psicoterapia. Il termine psicoterapia comprende l'insieme delle pratiche basate sulla relazione umana tra paziente e psicoterapeuta allo scopo di attuare interventi volti a "modificare" processi fondamentali nell'ambito delle emozioni, sentimenti, idee, pensieri, legami, comportamenti (Feder). I risultati di alcune ricerche hanno evidenziato che la psicoterapia produce anche cambiamenti neuro biologici (Kandel). 

 

9. Menti eccezionali. Intelligenza, creatività

 

Il genio, il talento, le menti eccezionali, l'arte, la creatività sono tra i temi più antichi che la filosofia e l'antropologia hanno affrontato.

Oggi, le neuroscienze sono alla ricerca di individuare i principi e le leggi universali che sono alla base di questi fenomeni. Sta di fatto tuttavia, che il talento è la massima esaltazione dell'individualità, della soggettività. Il genio, l'artista, la creatività, secondo i neuroscienziati, hanno basi neurobiologiche, sono l'esito dell'attività neuronale, il frutto cioè delle connessioni fra le molteplici aree del cervello e fra i sistemi dei neuroni. Sono espressioni del cervello, come il linguaggio, la musica, la letteratura. 

 

Sono qualità dell'uomo capaci di "creare" qualcosa di origine, che non esiste. Tra intelligenza e creatività esiste una relazione. Un cervello prodigioso richiede un'intelligenza superiore ed è legato ai tratti caratteriali e della personalità, alle abilità cognitive e alle risorse dell'ambiente.

 

Sono fenomeni complessi, ancora misteriosi, i quali hanno cause multiple. I più importanti sono i fattori genetici, i fattori ambientali e il caso.

All'inizio del Novecento, la nascita della psicometria ha portato allo sviluppo di scale, come il test per l'intelligenza di Stamford-Binet e quello per il pensiero creativo di E. Torrance (1966), per valutare l'intelligenza e misurare le capacità mentali. Il risultato de test può essere utilizzato per calcolare il punteggio globale, come il quoziente intellettuale (Q.I.).

 

Una caratteristica fondamentale della genialità è l'intelligenza. Il termine intelligenza è- d'accordo con José Viosca, autore di "Menti prodigiose" (EMSE), una nozione "sfuggente e controversa", che presenta molti significati ed è legato alla comprensione, alla risoluzione dei problemi, alla conoscenza e al raggiungimento di obiettivi. 

E' un concetto poliedrico e complesso che comprende la capacità di ragionare, pianificare, pensare, comprendere e apprendere.

Ci sono molte forme di intelligenza: linguistica, logico-matematica, spaziale, corporea, interpersonale, musicale. Ci sono evidenze scientifiche che mostrano come i geni e l'ambiente contribuiscano al grado di intelligenza.

 

Anche il concetto di creativtà risulta ampio, complesso e vario. E' inspigabile e possiede una connotazione magica. Il termine creatività ha molti significati, deriva dal verbo creare, dar luogo cioè a qualcosa di nuovo, generare idee nuove.

 I soggetti creativi hanno la tendenza a creare, formulare e pianificare pensieri e progetti. E' un processo   influenzato da fattori genetici, sociali, culturali e storici. Alcuni autori hanno legato la creatività all' illuminazione, alla "repentina sensazione di comprensione nella risoluzione di un problema".

Come l'intelligenza, anche la creatività può essere valutata e misurata attraverso test. Il più noto è il test di Torrance della creatività. 

 

Sta di fatto che le cause della creatività e i processi mentali che hanno luogo vanno cercate nel cervello. Finora, le ricerche mostrano che "non esiste nessun luogo cerebrale associato con sicurezza alla creatività" (A.Dietrich). Questa non può quindi essere "localizzata" nel cervello, né è possibile "comprendere" la sua  base cerebrale. Questo significa che i processi creativi avvengono in tutto il cervello.

 

L'attività creativa rimane ancora uno dei misteri del cervello. L'origine delle menti prodigiose deve essere trovata nella complessità dell'essere umano. Siamo ancora all'inizio nella conoscenza del cervello e della mente, nonostante i progressi e le scoperte spettacolari. 

                                                                   

 

 

 

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- Filosofia/Scienza

Tecniche di brain imaging e coscienza

 

Guido Brunetti

Tecniche di "brain imaging" e coscienza

 

Lo studio della mente e della coscienza come argomento di indagine scientifica nasce con lo sviluppo delle tecniche di "brain imaging", le quali ci danno la possibilità di "visualizzare" il cervello in azione. Queste metodiche, come precisa Christof Koch nel suo libro " Splendori e miserie del cervello" (Codice edizioni) rappresentano "una svolta" nelle ricerche sul cervello e la mente.

 

Nel 1990, il cranio è diventato trasparente a seguito dell'invenzione della risonanza magnetica funzionale (fMRI) ad opera dello studioso giapponese Seiji Ogana, una tecnica potente e innocua, la quale ci permette di visualizzare l'attività dell'intero cervello. E' il perfezionamento dell'elettroencefalografia (EEG), la vecchia registrazione delle onde del cervello inventata negli anni Trenta del secolo scorso.

 

Negli anni Sessanta è stata poi elaborata una tecnica ancora migliore, la magnetoencefalografia (MEG). Con queste tecniche, oggi possiamo tracciare l'intera sequenza dell'attivazione del cervello e aprire una nuova finestra sulla mente. Grazie alla loro scoperta, possiamo dire che il mistero della mente è stato "violato", poiché fRMI, PET e Meg ci forniscono un'immagine sempre più nitida e dettagliata della struttura e del funzionamento del cervello nell'esercizio delle sue funzioni.

 

La mente è una sfida alla concezione scientifica del mondo,  Senza la mente- scrive Christof Koch nel suo volume "Una coscienza" (Codice Edizioni)- "non esiste nulla". Agiamo e ci muoviamo, vediamo e udiamo, amiamo e odiamo, sperimentiamo il nostro corpo e il mondo attraverso le nostre esperienze, i nostri pensieri e i nostri ricordi.

 

Resta ancora un mistero come avvenga tutto ciò, cioè come il cervello produca stati soggettivi, gioia e dolori, splendori e miserie.

E' l'antico problema del rapporto cervello-mente.

Cervello e mente compaiono insieme, ma non sappiamo perché. E' quello che un autorevole scienziato, Chalmers, ha definito "l'arduo problema". Molti studiosi considerano "insolubile" questo divario tra cervello e mente. Sta di fatto che la scienza rimane l'unico metodo affidabile per comprendere la realtà, anche se la scienza non è immune dall'errore: è irta di conclusioni erronee, di frodi, di lotte di potere e di capricci umani.

 

Non sappiamo per quale ragione esista la mente, né sappiamo di che cosa sia fatta.

 

Punto di partenza di qualsiasi ricerca sulle basi neurobiologiche della mente e della coscienza è il cervello. Capire come nascono i nostri stati soggettivi, le esperienze coscienti, i "qualia" dei neuroscienziati, ossia la rossità del rosso, il colore giallo, il dolore a una mano, un odore o un ricordo è il primo

passo per la comprensione del rapporto mente-cervello.

 

Sono state attribuite al cervello molte funzioni. La sua funzione fondamentale, secondo Zeki, è la ricerca della conoscenza, ossia la formulazione di concetti, idee e pensieri. E' un'operazione che il cervello esegue fin dalla nascita e in pratica su ogni cosa in cui si imbatte. Questa capacità è resa possibile da "una macchina neurologica di complessità immensa".

 

Lo splendore del cervello è quello di "generare" moltissimi concetti e infondere significato al mondo. Il cervello produce anche indicibili sofferenze. E' la finitezza dell'uomo, il disagio esistenziale e l'impossibilità di trovare una soluzione. Sembra che l'umanità sia condannata per sempre a non trovare una felicità adeguata.

 

Lo splendore del cervello tuttavia consiste nel trasformare il malessere esistenziale in imprese creative: nelle opere d'arte, nella letteratura, nella musica. La creatività vale anche per i bambini. Essa è attributo di ogni cervello. E' la strategia del cervello per supplire ai propri limiti e alle proprie miserie.

 

Abbiamo parlato di stati soggettivi della coscienza. Qual è allora la funzione della coscienza? Questa può essere definita come "la vita mentale interiore". Coscienza è ciò che c'è quando si prova qualcosa. Si ritiene al riguardo che molti animali, soprattutto i mammiferi, posiedano alcuni connotati della coscienza: essi vedono, percepiscono gli odori, sperimentano il dolore, la sofferenza, la gioia e la realtà.

 

Oggi, la posizione scientifica dominante è il "fisicalismo", una teoria che sostiene che tutto è "riducibile" alla fisica, alla materia. Dio e l'anima di Platone, Socrate e di tutta una lunga tradizione filosofica sono stati estromessi per sempre dal discorso razionale e scientifico. D'accordo con altri autorevoli neuroscienziati, riteniamo che questa concezione sia troppo "limitata" per spiegare l'origine della mente. La mente, gli stati soggettivi coscienti sono "distinti" dalla realtà fisica. L'esperienza della gioia o della tristezza è qualitativamente "differente" dai neuroni o dalle sinapsi. E' una concezione rozzamente materialistica. Concludiamo, affermando che l'identità tra cervello e mente  non è dimostrabile scientificamente.

 

 

 

 

 

 

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- Filosofia/Scienza

Frammenti di neuroscienze

Guido Brunetti

Frammenti di neuroscienze

 

Negli ultimi anni, si è notevolmente accresciuto l’interesse per le neuroscienze. Oggi nel mondo ci sono decine di migliaia di studiosi del cervello. Nei secoli, sulla natura del cervello e della mente si sono succedute ricerche ingegnose, ipotesi fantasiose, ricerche strampalate, ingegnose o macabre indagini anatomiche o teorie che nel tempo hanno mostrato la loro inconsistenza e fragilità scientifica.

 

Il cervello è stato paragonato di volta in volta a un orologio, una centralina telefonica, un computer, a una macchina o a un dispositivo idraulico. Sono state spese ingenti somme nello sviluppo di farmaci per il trattamento della malattia mentale, ma “non è chiaro- precisa Matthew Cobb nel suo libro “Mente e cervello” (Einaudi)- come, e nemmeno se, molti di questi trattamenti, così ampiamente prescritti, funzionano”.

 

La comprensione del cervello con i suoi cento miliardi di neuroni appare finora la struttura più straordinaria e meravigliosa dell’universo conosciuto. Sembra un sogno “irrealizzabile”, ma la scienza è l’unico percorso in grado di raggiungere questo traguardo. Alcuni scienziati sostengono che non saremo mai in grado di conoscere la natura del cervello e la sua incredibile e misteriosa capacità di generare la mente. Fatto, in realtà, mai provato. Altri autori invece dicono che forse un giorno l’uomo riuscirà a risolvere questo mistero, e comprendere cosa il cervello è, cosa fa e come lo fa. Sono i limiti della ricerca scientifica sottolineati anche da Du Bois-Reymond, quando afferma: “Ignoramus et ignorabimus”, non sappiamo e non sapremo.

 

Attualmente, le neuroscienze mostrano che la mente è un “prodotto” del cervello, ossia dall’attività dei neuroni. Nel passato, gli scienziati hanno considerato il cuore e non il cervello l’organo fondamentale del pensiero e dei sentimenti. Negli scritti di oltre quattromila anni fa, nella Bibbia e in altre opere la mente- l’anima- era basata sul cuore. Anche Aristotele concepisce il cervello come sede del pensiero e delle emozioni. E’ grazie a Galeno (129 d.C.), uno dei pensatori più influenti della civiltà occidentale, che ci provengono dati ricavati dalla ricerca sugli animali circa il ruolo fondamentale del cervello nel comportamento e nel pensiero.

 

Uno degli autori più influenti che diede rilievo al ruolo centrale svolto dal cervello e dalla mente fu Cartesio. Gli esseri umani si distinguono dagli animali, secondo Cartesio, “soprattutto per il possesso di un’anima e per l’uso del linguaggio”. Nell’uomo- aggiunge- interagiscono le due parti fondamentali del suo essere: la res cogitans e la res extensa. Sino al XVIII secolo, il ruolo centrale del cervello sembra condiviso da tutti gli studiosi. La mente è considerata “proprietà” del sistema nervoso. A sua volta, Darwin evidenzia una “stretta relazione” tra pensiero e cervello. Ma è il cervello a generare il pensiero. Che viene visto come “secrezione” del cervello, come la bile per il fegato.

 

Mente, cervello  e corpo, per i neuroscienziati, sono "una cosa sola".

 

In verità, il cervello è fatto come ogni altra parte del corpo di cellule, che lo studioso tedesco Waldeyer chiamò neuroni. Questi sono entità separate. Il cervello ha una natura “plastica” (Santiago y Cajal). E’ come un giardino pieno di un numero infinito di alberi, che possono “generare” molti rami, fiori e frutti “sempre più vari e squisiti”. Dalla rete di cellule vengono generate, secondo R. y Cajal, la mente e la coscienza.

 

I neuroni si incontrano, c’è un sistema di comunicazione. La comunicazione di un neurone con un altro si chiama “sinapsi”, termine introdotto da Sherrington che deriva dal greco e sta per “abbraccio”. Il cervello è definito da questo neuroscienziato un “telaio incantato”, dove milioni di “sfavillanti navette” tessono un disegno sempre nuovo, un’armonia di variazioni. La vera natura della mente- conclude- è “un mistero”. Non si vede, non si tocca, si aggira nello spazio del nostro mondo.

 

Secondo il neuroscienziato Paul MacLean, abbiamo tre cervelli. Uno di questi è il cervello “rettiliano”, la parte più antica del cervello, il responsabile dei nostri comportamenti più primitivi. Il secondo è il cervello mammaliano ereditato dai mammiferi inferiori; mentre il terzo è un tardo sviluppo evolutivo che ha reso l’uomo peculiarmente uomo.

 

Uno dei problemi più grandi e difficili per i neuroscienziati è come il cervello genera la mente e la coscienza. La questione è stata per secoli appannaggio dei filosofi. A partire dalla fine del Novecento, gli scienziati hanno cominciato ad affrontare il tema, riguardante la natura della coscienza. Purtroppo, nonostante centinaia di libri e migliaia di articoli, non vi è “accordo” sul come il cervello produce la coscienza.

 

La coscienza, per lo scienziato britannico Stuart Sutherland, è “un fenomeno affascinante, ma elusivo; è impossibile specificare che cos’è, che cosa fa, o perché si è evoluta. Nulla che valga la pena di leggere è stato scritto a riguardo”.

 

All’orizzonte, non vi è il barlume di una risposta, malgrado le immense innovazioni tecnologiche espresse dai metodi di brain imaging. Gli scienziati faticano persino a concepire una definizione precisa di “che cosa è un cervello”. Non sappiamo che cosa fanno i neuroni e nessuno sa ancora spiegare perché l’attività dei neuroni genera la coscienza, come sostengono i neuroscienziati. Tantissime idee, c’è un’ondata gigantesca di dati, ma molte teorie sono vaghe e inutili. Fascino e mistero del cervello e della mente: è il titolo che ho dato al mio nuovo libro.

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- Scienza

Attaccamento

Guido Brunetti

L’attaccamento

 

La psicoanalisi ha messo in evidenza il ruolo fondamentale dei bisogni relazionali del bambino. Lo sviluppo del soggetto è visto come la realizzazione di processi interpersonali. La crescita dell’individuo dipende, secondo la teoria psicoanalitica, dalla qualità e dal tipo dell’incontro intersoggettivo. Molte ricerche hanno infatti mostrato che bambini separati dalle loro madri mostravano, come diremo in seguito, molteplici disturbi della personalità.

 

I dati delle ricerche hanno dimostrato che i bambini, come i piccoli di altri primati, possiedono meccanismi cerebrali innati e geneticamente determinati che li induce a sviluppare relazioni di attaccamento nei confronti dei caregiver. Il termine attaccamento indica un fondamentale processo neurobiologico, che è alla base della “cura” dei piccoli, un momento cruciale per la loro sopravvivenza.

 

I nostri cervelli sono organizzati per la “cura di sé e la cura degli alteri”. In tutti gli animali- precisa Patricia S. Churchland- vi sono circuiti neurali che presiedono alla cura del proprio benessere e nell’aver cura degli altri. Evidenze sperimentali suggeriscono che questi comportamenti sono dovuti a trasformazioni evolutive del cervello dei mammiferi. Cruciali si sono rivelati cambiamenti evolutivi nel cervello legati alla separazione madre-bambino, alle emozioni negative di ansia e paura o a una minaccia, e al sollievo e al piacere che provengono quando il genitore si ricongiunge alla prole.

 

L’attaccamento è una “disposizione” a estendere la cura agli altri e all’essere angosciato dalla separazione. Anche i mammiferi non umani hanno valori sociali, si prendono cura dei piccoli e a volte anche dei compagni, dei parenti, cooperano e si riconciliano dopo un conflitto. Quando i suoi piccoli sono in pericolo, per la mamma topo il loro benessere ha lo stesso valore del suo benessere. I piccoli fanno parte del suo spazio omeostatico: essi sono nutriti, puliti, tenuti al caldo, protetti dai pericoli, proprio come “se fosse lei a doversi nutrire, pulire e mantenere al caldo”.

 

Il passaggio dall’aver solo cura di sé alla cura degli altri dipende dai meccanismi neurali che “maternalizzano” il cervello delle femmine e dall’ossitocina, dalla vasopressina e da altri ormoni. Il rilascio di questi ormoni innesca nel cervello dei mammiferi il comportamento materno, compresi l’allattamento, tenere caldo, pulito e sicuro il piccolo. Gli oppiacei hanno un ruolo importante nel legame materno e la femmina che allatta riceve il piacere che proviene dal rilascio di queste sostanze. Tutto ciò contribuisce a sviluppare un processo di attaccamento, una disposizione rivolta anche ad estendere la cura non solo a se stessi, ma anche agli altri.

 

 

Anche i mammiferi non umani hanno valori sociali: si prendono cura dei piccoli, dei parenti, a volte anche dei compagni, cooperano e si riconciliano dopo un conflitto. Nei roditori, la cura del manto e l’essere leccati da parte della madre hanno effetti positivi sul comportamento sociale dei piccoli (Meaney). Esperimenti hanno accertato che i sistemi cerebrali sono organizzati per prendersi cura della “sopravvivenza e dell’ autoconservazione” (Panksepp). L’avere cura di sé costituisce pertanto una funzione fondamentale del cervello. Il quale è strutturato per ricercare il benessere.

 

Le prime ricerche sull’ attaccamento sono state condotte dallo psichiatra inglese John Bowlby negli anni Cinquanta del secolo scorso. La sua teoria rappresenta un primo, fondamentale tentativo di definire la “propensione” che gli esseri umani hanno nel formare “legami affettivi” tra il bambino e le figure di accadimento, e l’ansia e lo stress che seguono alla rottura e alla deprivazione di tale legame. Il bambino- sostiene Bowlby- ha “una innata tendenza” a sviluppare un legame di attaccamento con la madre o con chi si prende cura di lui (caregiver).

 

La sua ricerca dimostra che bambini nel primo anno di vita, separati dalla loro madre mostravano reazioni comportamentali di “disperazione, distacco, protesta”. Il bambino elabora un “comportamento di attaccamento”, che ha l’obiettivo di creare la “vicinanza” con il genitore perché lo accudisca, lo protegga e soddisfi i suoi bisogni. Fatto che assicura la “sopravvivenza, l’adattamento e la crescita del piccolo.

 

Studi su animali hanno evidenziato che la deprivazione materna sviluppa disturbi psichiatrici e alterazioni delle strutture neurologiche cerebrali. Le sue prime manifestazioni psichiche vanno considerate come il risultato della cellula madre-bambino. Normalità e patologia dello sviluppo mentale del bambino dipendono quindi da come vengono assolte le funzioni materne.

 

L’attaccamento diventa allora la “sincronia biologica” tra due organismi finalizzata a “regolare” lo stato affettivo del neonato e creare importanti modifiche del cervello. I risultati di molteplici ricerche confermano che le esperienze precoci hanno un ruolo di primo piano nello sviluppo cognitivo, affettivo e sociale del bambino. Già K. Lorenz aveva sostenuto che i piccoli delle oche seguivano la madre anche se non li nutriva.

 

Quattro sono i principali modelli di attaccamento del bambino: “sicuro”, “evitante”, “ambivalente”, e “disorganizzato”. Secondo John Bowlby, per comportamento di attaccamento s’intende- scrive nel suo libro “Cure materne e igiene mentale del fanciullo” (Editrice Universitaria, Firenze)- “qualsiasi forma di comportamento che porta una persona al raggiungimento o al mantenimento della vicinanza con un altro individuo. E’ un comportamento particolarmente evidente -aggiunge- nella prima infanzia, che caratterizza l’essenza umana dalla culla all’ultima età. E’ un legame “profondo e duraturo”, che prevede scambi emotivi e affettivi reciproci.

 

Tutto ciò indica che la nostra salute mentale, lo sviluppo del cervello e della psiche sono legati alla relazione affettiva con le figure parentali. Ricerche empiriche hanno dimostrato che se il bambino rimane in assenza della figura verso la quale ha sviluppato il comportamento di attaccamento, si verifica uno “stato depressivo”, un “distacco emotivo”, un sentimento di “collera”. Un bambino che abbia subito traumi di separazione sviluppa in sostanza varie forme di patologia, come ansia, reattività, aggressività, stress, devianza, disadattamento, un falso Sé e tendenza al suicidio.

 

Relazioni insufficienti, bambini privati della madre, comportamenti materni di tipo ansioso, di rifiuto, ostili, sbalzi di umore sono fortemente dannosi soprattutto nel primo anno di vita: sono “turbe da carenza affettiva” secondo una celebre definizione di René Spitz.

 

Concludendo, tutte le ricerche dimostrano che le “cure materne” prodigate al neonato e poi nell’infanzia hanno una rilevanza fondamentale nello sviluppo cognitivo, affettivo e sociale della persona. Con il nome di “cure materne” si definisce una situazione in cui il bambino è unito alla propria madre da un legame affettivo intimo e costante e in “un’atmosfera calda” (Bowlby). Esistono poi prove sperimentali che la “carenza di cure materne”, la sindrome cioè della “carenza affettiva” o malattia del bisogno sentimentale, secondo Spitz, provoca effetti dannosi sullo sviluppo della personalità del bambino, come disturbi psichiatrici e traumi, i quali si ripercuotono sul resto della sua vita.

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- Filosofia/Scienza

Le ferite dell’anima

Guido Brunetti

Le ferite dell’anima. Gli abusi sessuali

 

Il fenomeno degli abusi sessuali del clero in Italia e nel mondo suscita indignazione e pone gravi problemi di natura psichiatrica, sociale e giuridica. Il mio rapporto con la Chiesa e i preti? Premesso di essere abituato a esprimermi secondo scienza e coscienza, preciso di nutrire verso la Chiesa e i sacerdoti un profondo rispetto. Da bambino, ho studiato a Nemi, splendida cittadina alle porte di Roma, nel collegio dei Mercedari. Sono stati anni fondamentali che mi hanno fornito, nella scia dell’educazione familiare, una solida cultura classica in latino e greco e una salda formazione intellettuale, morale e spirituale. Serbo per quei magnifici sacerdoti-docenti una enorme gratitudine”. E’ una questione che genera ferite nell’anima. Sono le ferite che emergono soprattutto con gli abusi sessuali, e aggravati ultimamente dalla pandemia, colpendo in particolare i ragazzi e le persone fragili. A partire dai primi anni del XXI secolo, il fenomeno degli abusi sessuali sui minori da parte di sacerdoti e religiosi ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale e dei media. Le inchieste prendono avvio negli Stati Uniti d’America a Boston, dove finiscono sotto accusa 89 sacerdoti e l’allora arcivescovo. I dati mettono in luce decenni di abusi sessuali da parte di sacerdoti. Negli anni successivi, la questione coinvolge molti paesi dell’Europa e le denunce cominciano a provenire da tutto il mondo. Emerge- sottolinea Lucetta Scaraffia che con Anna Foa e Franca Giansoldati è autrice dell’ottimo e documentato libro “Agnus Dei. Gli abusi sessuali del clero in Italia” (Solferino, 2022) un quadro preoccupante di dimensione mondiale. La pedofilia, gli abusi sessuali del clero, questo “mistero del male” finisce per corrodere e avvelenare la Chiesa. Il termine pedofilia indica una patologia caratterizzata da ricorrenti impulsi sessuali e fantasie sessualmente eccitanti, riguardanti la pratica di attività sessuali con un bambino. Secondo il ‘DSM-5, Manuale diagnostico dei disturbi mentali’, gli impulsi o le fantasie devono avere una durata di almeno sei mesi. Il profilo clinico del pedofilo mostra conflitti e difficoltà nei rapporti con gli adulti, e ansia e paura nelle relazioni con le donne. Di frequente, nell’infanzia, questi soggetti sono stati a loro volta vittime di tali comportamenti sessuali. Le cause sono molteplici, vanno cercate nello sviluppo cerebrale all’interno dell’utero e nelle prime fasi dopo la nascita. Anomalie nello sviluppo neurologico intrauterino, il disturbo antisociale di personalità, il disturbo da uso di alcol e di sostanze e il disturbo ossessivo- compulsivo possono aumentare la probabilità dell’espansione del disturbo pedofilico. La sessualità poi è determinata da fattori genetici e dall’interazione prenatale tra gli ormoni sessuali del bambino e il suo cervello in evoluzione. Ciò vale anche per le donne pedofile. E’ un mito che le donne siano immuni dalla pedofilia. Molte violenze sessuali sui bambini sono compiute perlopiù da madri che abusano dei propri figli. La pedofilia è una patologia mentale, ma non dobbiamo dimenticare che il ricorso al concetto di patologia non ci deve far dimenticare che questo comportamento è un crimine che va dunque punito penalmente”. Qual è la reazione della Chiesa? Papa Francesco è intervenuto più volte sulla questione, sottolineando “tolleranza zero” verso gli abusi sessuali. A sua volta, papa Benedetto XVI ha storicizzato il problema degli abusi sui minori, collocandoli nella cultura permissiva degli anni Settanta, quando esplode la rivoluzione sessuale. Ratzinger ammette che i comportamenti delle gerarchie ecclesiastiche di fronte agli abusi rappresentano ‘una grandissima colpa’. In questa direzione si pone anche padre Lombardi, il quale sulla ‘Civiltà Cattolica’ riconosce ‘la responsabilità istituzionale della Chiesa’. Serve, secondo il cardinale Bassetti, già presidente della Cei, “un cambiamento autentico”. La Chiesa- aggiunge il cardinale Hummes “non può chiudere gli occhi di fronte ai casi di pedofilia tra i propri preti”. Il problema degli abusi nella Chiesa riveste ‘ un aspetto diabolico’, che indigna e fa soffrire il popolo dei fedeli. Sono d’accordo con Lucetta Scaraffia, docente di storia all’Università di Roma La Sapienza e cattolica, quando afferma che “le resistenze sono molto forti”. Storicamente, gli abusi sessuali ci sono sempre stati nelle Chiesa e nella società. Si verificano nelle famiglia, nelle scuole, nelle società sportive, ecc. Sta di fatto che il termine pedofilia e quello di abuso sessuale non compaiono nel Codice di diritto canonico. L’abuso è considerato un peccato contro il sesto comandamento e non come un crimine su una persona, per di più fragile e immatura. Nel settore delle donne abusate, delle suore e delle religiose, il problema risulta ancora più allarmante. Il numero degli abusi è ‘molto alto’. Le denunce vengono valutate come ‘relazioni romantiche’, infrazioni contro il voto di castità, piuttosto che ‘un abuso sessuale e di potere’. Nelle suore, predominano la paura, il dolore, l’angoscia, il silenzio, la devastazione dell’anima. I danni psichici e mentali sono ‘spaventosi’. Vite rovinate per sempre. Vicende dolorose terribili. La riflessione sulle vittime di violenza sessuale incomincia a partire dagli anni Settanta. La normativa giuridica puniva il delitto in questione come delitto contro la morale. Con la legge del 1996, lo stupro diventa un reato contro la persona. Sono molte le ricerche sui disturbi psichiatrici e di personalità che insorgono nelle vittime. I danni compiuti da un sacerdote risultano ancora ‘più gravi di quelli commessi in altre situazioni da familiari, docenti, medici, allenatori e baby-sitter. Il sacerdote è, lo ribadiamo, un rappresentante di Cristo, viene chiamato Padre, vissuto come una figura genitoriale, sacrale. L’abuso assume perciò una valenza incestuosa. Ricerche scientifiche mostrano l’insorgenza di effetti drammatici, dannosi e devastanti sul corpo e sulla psiche delle vittime degli abusi sessuali. Effetti che hanno conseguenze deleterie nel corso dell’intera esistenza del soggetto abusato. Sono numerosi i disturbi psichiatrici, come traumi, ansia, depressione, dissociazione, disturbi della personalità, fino a tentativi di suicidio. Esiti perversi che danneggiano l’esistenza della persona e il suo sviluppo intellettivo, emotivo, sociale ed etico. E’ una devastazione dell’anima. Il profilo clinico dell’autore degli abusi sessuali rivela un soggetto immaturo ed emotivamente infantile. Alla diagnosi, risultano inibiti, frustrati, remissivi, ma potenzialmente aggressivi e violenti. Sono, questi soggetti, autori di disturbi mentali, ma anche autori di gravi crimini sessuali, con disturbi di tipo paranoide e schizoide. Concludendo, c’è la forte esigenza di una maggiore e più incisiva presa di coscienza nella Chiesa. Un’ assunzione concreta di responsabilità. Deve essere un’espressione di verità. Bisogna chiamare bene il bene e male il male. E’ opinione di molti studiosi poi che gli istituti per curare i preti pedofili non hanno dato esiti positivi. L’aspirante sacerdote al suo ingresso in seminario dovrebbe essere sottoposto ad esame diagnostico da parte di un’équipe formata da psichiatra, psicologo ed assistente sociale, e ad un periodo di osservazione di tre mesi, al termine dei quali redigere una relazione conclusiva. Parliamo di un male che sconvolge per sempre intere vite umane, la società e la missione sacrale del sacerdote e della Chiesa. E’ una vicenda penosa, dolorosa e tragica. Che, abbandonando ogni letteratura retorica, richiede immediati e concreti interventi, individuando un disegno strategico sul piano psichiatrico, sociale e giuridico per un’azione preventiva, diagnostica e terapeutica. Le malattie vanno curate per evitare che si aggravino e diventino incurabili”.

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- Scienza

Dalla mente umana alla mente animale alla mente delle piante

 

Guido Brunetti

Dalla mente umana alla mente animale e alla mente delle piante

 

Come è nato l’universo e come funzionano il cervello e la mente umana sono due grandi interrogativi che il XXI secolo ha di fronte. Ciò che caratterizza l’essere umano è il cervello definito la struttura più complessa e meravigliosa dell’universo conosciuto. Tutto quello che pensiamo e facciamo avviene nel nostro cervello. Noi- scrive Swaab- “siamo il nostro cervello”. Che pesa circa un chilo e mezzo ed è costituito da 100 miliardi di neuroni. Ogni neurone stabilisce un contatto con altri dieci mila neuroni. Si sviluppa così una rete di connessioni lunga circa 100 mila chilometri.

 

Cartesio ha paragonato il cervello a un organo della chiesa. In virtù dell’enorme sviluppo delle tecniche di brain imaging, nuove scoperte avvengono in continuazione nel campo delle neuroscienze. Il cervello umano ha una lunga storia che copre milioni di anni, ma la scienza del cervello e della mente è agli esordi. Il cervello e la mente rimangono ancora un mistero. Dobbiamo pronunciare- scrive Du Bois-Reymond- non solo “ignoramus” (non sappiamo), ma anche un “ignorabimus” (non sapremo). Grandi neuro scienziati, come Eccles, Penfield e Spery, si sono inchinati di fronte all’enigma del cervello e della mente, di come cioè una struttura materiale possa tradurre un’attività immateriale.

 

E’ stato Platone a teorizzare il concetto di anima, vista come soffio, vento, principio vitale. L’anima è stata definita come sostanza immateriale, immortale e dunque eterna, distinta dal corpo (dualismo metafisico). Anima e corpo- res cogitans e res extensa- sono due mondi assolutamente distinti (Cartesio).

 

La classificazione tradizionale divide le teorie ispirate al dualismo da quelle ispirate al monismo, per il quale non esistono eventi mentali, ma solo eventi cerebrali. Con l’avvento delle neuroscienze verso la metà del Novecento la teoria del dualismo perde ogni credibilità. Per il fisicalismo riduzionista, gli stati mentali sono stati del cervello. Mente e cervello sono identici. L’anima è “ridotta” al corpo, al cervello. L’anima, per le nuove neuroscienze, non esiste. In verità, la teoria riduzionista secondo cui la mente non è altro che un’attività del cervello è indimostrabile.

 

Il cervello degli animali.

 

Le straordinarie e affascinanti scoperte scientifiche sugli animali hanno segnato il progresso nella comprensione del cervello umano, della medicina, della psichiatria e dell’umanità. Soltanto attraverso lo studio del cervello animale è stato possibile avviare la comprensione del cervello e della mente umana, dei nostri processi cognitivi, affettivi ed emotivi. I modelli animali hanno reso realizzabile una seria conoscenza delle nostre funzioni cerebrali. La ricerca animale sull’insulina ha salvato decine di milioni di bambini da una morte prematura.

 

Il comportamento di esseri umani e animali risulta in modo simile quando vengono attivati i meccanismi cerebrali. Questa scoperta è stata resa possibile dagli esperimenti condotti sugli animali. Il cane (pensiamo ad Apollo e Kimi che ci hanno dato grande affetto e moltissimi momenti di gioia, serenità e tranquillità), ma così gli altri animali nascono con la capacità di apprendere, memorizzare e utilizzare le proprie esperienze per migliorare i comportamenti futuri. E’ la capacità ad imparare. Qualità che sono da includere tra le funzioni mentali. Questo significa che negli animali è dimostrabile, almeno in un certo grado, il possesso di funzioni mentali.

 

Ogni animale ha una sua personalità costruita sulla base degli effetti della genetica, delle proprie esperienze e dell’ambiente. Molti autori descrivono la presenza di una coscienza negli animali. I segni di attesa o di delusione negli animali fanno ritenere che esista una coscienza animale. Hanno emozioni, come gioia, dolore, noia, ansia, ecc. I cani “amano, soffrono, gioiscono, sono consapevoli- scrive Marshal- di dover morire”. Ho riscontrato in Kimi il senso preciso dell’empatia e della comunicazione emotiva ed affettiva. Il cane al riguardo si mostra molto “esperto” nel predire cosa farà il suo padrone. Ho verificato questa scoperta in molti comportamenti del mio cucciolo Kimi. E’ una capacità che viene definita “lettura della mente”, ossia la caacità di “attribuzione mentale”.

 

Lo scienziato de Waal presenta molteplici esempi che mostrano la presenza della morale negli animali. Hanno comportamenti di solidarietà, di cooperazione, di altruismo, che esprimono sentimenti morali. Evidenze scientifiche indicano che tutti i mammiferi sono creature “intensamente affettive”, ricercano cibo ed evitano pericoli e predatori. Gli animali hanno la capacità di individuare chi coopera e chi non collabora, chi è amichevole e chi mostra ostilità, chi domina e chi è subordinato. I cani, ad esempio, sono creature giocose, compiono gesti ludici, invitano a giocare e riescono a comunicare che la loro intenzione è amichevole e non aggressiva.

 

Gli animali sono intelligenti: possono risolvere problemi e sono dotati di “flessibilità cognitiva” (Marsh). Essi sono in grado di mappare e ricordare il contesto spaziale del loro ambiente. Sanno dove è casa e dove cercare cibo. Di qui, la scoperta che molti animali hanno sistemi nervosi. Tutti i mammiferi sognano. Il nostro cucciolo Kimi quando sogna scuote le zampe, emette strani suoni o muove la bocca.

 

Nei mammiferi, l’accudimento per il benessere dei piccoli è un “obbligo”. La cura dell’altro denota l’emergere di ciò che alla fine confluisce nella “moralità” P.Churcland). In questi comportamenti sono coinvolti l’ossitocina e altri oppioidi. L’avere cura di sé e dei propri piccoli è una funzione fondamentale del cervello, il quale è “programmato e organizzato” per la cura di sé, dei piccoli e degli altri (Porges).

 

Gli animali hanno poi sentimenti emotivi. Lo studio di questi meccanismi cerebrali negli animali rappresenta un sicuro percorso scientifico per comprendere i sentimenti e le emozioni degli esseri umani. Esistono quindi “somiglianze cerebrali e di comportamento” tra l’uomo, il cane e gli altri animali. Alcuni autori hanno parlato di “psicologia degli animali”.

 

La mente delle piante.

 

I fiori e le piante non sono soltanto un delizioso ornamento, sono esseri viventi che hanno “una vita mentale”. Essi sono capaci di percezione, movimento, decisione, orientamento, interagire tra loro, cognizione sociale, elaborare strategie finalizzate ad uno scopo.

 

Le piante poi sono generose, opportuniste, competitive. Hanno una vita sociale, percepiscono i segnali provenienti dall’ambiente circostante e adottano comportamenti necessari alla sopravvivenza (Darwin). Queste capacità rientrano nella definizione di “processi cognitivi”.

 

In sostanza, le piante- scrive Umberto Castiello nel suo libro “La mente delle piante” (il Mulino)- “sono intelligenti”, e dunque possiedono “una psicologia” che può essere studiata e verificata, analizzando il loro comportamento in termini di stimoli e risposte (S-R). A queste conclusioni stupefacenti e incredibili sono pervenuti gli scienziati sulla base di numerosi esperimenti effettuati in Italia e in altre parti del mondo.

 

I dati della ricerca rivelano che i comportamenti delle piante sono “molto simili” a quelli che si osservano negli animali. In realtà, le piante non hanno un cervello, ossia un sistema nervoso. Come è possibile allora parlare di processi cognitivi nelle piante? Finora, non abbiamo una risposta.

 

Evidenze scientifiche sostengono che le piante sono organismi che possiedono “tutti e cinque i sensi comunemente conosciuti: vista, udito, tatto, gusto e olfatto”. Le piante sono capaci, come abbiamo detto, di percezione, riescono a ricevere informazioni dall’ambiente circostante e interpretarle. Attraverso meccanismi fisiologici, esse percepiscono stimoli luminosi, tattili, uditivi, olfattivi e gustativi, proprio come gli esseri umani e gli animali. Percepiscono inoltre la temperatura, l’elettricità, l’umidità e i campi elettromagnetici.

 

Gli “occhi” delle piante.

 

Attraverso molecole fotosensibili (fotorecettori) simili a quelle dell’occhio umano, le piante percepiscono la luce e sono quindi capaci di “inclinarsi” verso quella direzione. Oltre alla luce, le cellule (che agiscono come lenti) permettono alle piante di “vedere” il mondo circostante, come riconoscere la forma e le caratteristiche di altre piante. Anche le radici sono dotate di recettori idonei a “catturare la luce” (Yokawa).

 

Le “orecchie”.

 

E’ stato Darwin a studiare per primo la percezione uditiva delle piante. I suoni, recepiti attraverso piccoli organi, hanno la capacità di indurre nelle piante “modificazioni fisiologiche”. Il suono poi influenza la crescita delle piante ed ha la capacità di modulare l’espressione genica. E’ stato dimostrato che il canto degli uccelli determina “un aumento” dei germogli nelle piante di zucchine (Schwartz). Il rumore dell’acqua che scorre nel suolo induce nelle piante di pisello un aumento della crescita delle radici in direzione della fonte dello stimolo acustico. Altre ricerche evidenziano che diversi stili musicali sono in grado di “determinare” effetti sulla crescita delle piante, come ad esempio un aumento della lunghezza dei rami e della fioritura.

 

Il “tatto” delle piante.

 

Le piante hanno la capacità di percepire e interpretare gli stimoli tattili, almeno dieci volte meglio degli esseri umani. I segnali tattici servono a valutare i pericoli, ad approntare le contromisure e a modificare la loro crescita.

 

Il “naso” delle piante.

 

Con il termine olfatto, si intende la capacità della pianta di reagire a molecole chimiche volatili.. Nelle piante, l’olfatto è uno dei “sensi” più sviluppati, capace di ricavare informazioni olfattive presenti nell’aria, ed elaborarle allo scopo di prendere decisioni conseguenti. Dagli esperimenti effettuati risulta che mettendo in un sacchetto un frutto maturo insieme con uno acerbo, il frutto maturo viene “annusato” da quello acerbo, il quale raggiungerà in tal modo una maturazione rapidamente. Ciò è possibile grazie ad uno scambio di informazioni reso possibile dall’emissione di un ormone vegetale chiamato etilene.

 

Quando vengono attaccate da insetti, le foglie liberano gas ed emettono sostanze nocive. Esse percepiscono inoltre i loro stessi odori e quelli delle piante vicine. L’olfatto, infine, utilizzano l’olfatto per la loro crescita e sopravvivenza. Il “gusto” delle piante. Come negli esseri umani e negli animali, anche nelle piante l’olfatto e il gusto sono “intimamente connessi”. In risposta agli attacchi di insetti e batteri, esse rilasciano varie sostanze chimiche volatili per avvertire le piante vicine.

 

Il senso del gusto

 

Riveste un ruolo importante soprattutto nelle piante carnivore, le quali sono dotate di appositi meccanismi per intrappolare le prede, come insetti, ragni e farfalle. Il gusto è molto sviluppato anche nelle radici attraverso le quali le piante assorbono nitrati, fosfati e potassio.

 

Il movimento delle piante.

 

Le piante si muovono. I movimenti sono molteplici e rapidi, come ad esempio i movimenti delle piante carnivore allo scopo di “chiudere” le trappole e ripiegare le foglie dopo una stimolazione tattile. Le ricerche hanno dimostrato che i movimenti sembrano “pianificati” e “guidati” da fattori emozionali per raggiungere un obiettivo.

 

Le ricerche di Darwin hanno dimostrato che i movimenti delle piante sono “universali” e tendono a crescere e muoversi in direzione della luce. Esse hanno, come gli altri esseri viventi, un orologio biologico, che permette loro di muoversi in maniera differenziata in base alle diverse fasi del giorno.

 

Le piante imparano e ricordano.

 

Il freddo, il caldo, la siccità o la salinità non solo possono essere “ricordati” dalla pianta, ma alcune memorie possono essere “trasmesse” alle generazioni future. Le piante apprendono la direzione del sole. Le ricerche hanno indicato che nessuna pianta selvatica potrebbe sopravvivere “senza il ricordo delle esperienze passate”.

 

La memoria avviene attraverso la trasmissione di segnali elettrochimici, che caratterizzano la fisiologia delle piante. Memoria e apprendimento sono utili nelle piante per difendersi da insetti, molluschi o mammiferi, e da infestazioni di parassiti. Mettono in atto risposte di difesa per mezzo di sostanze chimiche tossiche, le quali provocano la paralisi dell’insetto o di altri animali.

 

 

Gli esperimenti in materia infine hanno evidenziato che le foglie di una pianta hanno un comportamento di “apertura e chiusura” dopo una stimolazione tattile (Eisenstein).

 

La comunicazione nelle piante.

 

Le piante comunicano tra di loro e con l’ambiente attraverso migliaia di molecole chimiche volatili. Sono messaggi cifrati di suoni, colori, forme e odori. Si tratta di messaggi che vengono ricevuti e decodificati da altre piante e servono spesso per respingere gli insetti. Il morso di questi animali attiva la produzione di sostanze che non solo aumentano le difese della pianta, ma servono anche ad avvertire le altre piante circostanti.

 

Oltre ai segnali chimici anche quelli visivi hanno un ruolo nella comunicazione tra le piante, cambiando colore, posizione e forma.

 

Le piante scelgono.

 

Come gli esseri umani e gli animali, le piante hanno “recettori” che rilevano le informazioni, che servono per prendere decisioni, come ad esempio “quando fiorire e germogliare”. La vita sociale delle piante. Il Sé e il non-Sé. Le piante hanno un’attitudine sociale, come cooperare, competere, evitare o tollerare le piante vicine. Possiedono un Sé, riescono a “distinguere” se stesse dalle altre, riuscendo a “discriminare” elementi provenienti da altri organismi (il non-Sé) da elementi provenienti dal proprio organismo (il Sé).

 

Riassumendo. Le piante mostrano la propria intelligenza, possiedono abilità cognitive, sensibilità ed emotività, apprendono e ricordano eventi passati

Si fa strada una nuova frontiera, "un nuovo tipo di scienza", che mette insieme- afferma Monica Gagliano nel suo libro "Così parlò la pianta" (Nottetempo)- "la scienza sperimentale e la metafisica- lo spirito- e le fa dialogare".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Filosofia/Scienza

Che cosa significa essere umano

 

 

Guido Brunetti

Che cosa significa essere “umano”

 

 

Che cosa significa essere “umano” ? Il termine umano o umani ha molti significati. E’ come un grande albero- ha scritto Edoardo Boncinelli nel suo nuovo libro “”Umano” (il Mulino, 2022)- che ha “una molteplicità di radici e di ramificazioni e che non può essere facilmente sradicato né spogliato”. Umano è proprio dell’uomo, è l’essere umano, l’uomo. E’ ciò che deriva dall’uomo. Dal latino “umanum”, proviene da “homo”, uomo, umano. Il tema sulla natura e l’essenza umana è stato avvertito fin dai primi filosofi, a cominciare da Protagora, il quale definisce l’uomo “la misura di tutte le cose”. All’origine, c’è la definizione dell’uomo in rapporto a Dio. La Bibbia scrive: “E Dio disse: facciamo l’uomo a immagine e somiglianza nostra”. Anche Aristotele parla di un “elemento divino” nell’uomo. Sull’uomo come immagine di Dio insistono Calvino e altri pensatori. Spinoza sostiene che “l’essenza dell’uomo è costituita da certe modificazioni degli attributi di Dio”. Da parte sua, Hegel afferma che l’uomo è “essenzialmente Spirito e lo Spirito è Dio. Il cristianesimo, per questo filosofo, è definito come “la posizione dell’unità dell’uomo e di Dio”. Essere uomo, secondo Sartre, è “tendere a Dio; o se si preferisce, l’uomo è fondamentalmente desiderio di essere Dio”. Sono poi numerose le definizioni che esprimono qualità proprie dell’uomo. La più famosa è quella secondo la quale l’uomo è “un animale ragionevole”. Questo concetto esprime la visione del pensiero greco e l’essenza del pensiero di Platone (l’uomo come animale capace dei scienza) e Aristotele ( l’uomo è l’unico animale che abbia la ragione). Socrate e Platone delineano un tipo di uomo volto soprattutto alla conoscenza di sé e a potenziare la natura dell’anima per renderla la “migliore possibile”. Si tratta di una concezione accettata dagli Stoici e dal pensiero medioevale. L’ idea di uomo come ragione è sottolineato anche da altri filosofi. L’uomo- dichiara Pascal- “non è che un giunco, il più debole della natura, ma è un giunco pensante”. Anche Cartesio riduce l’umano al pensiero, a coscienza immediata, spirito, intelletto, ragione. Già Plotino aveva scritto che il posto dell’uomo è “nel mezzo tra gli dei e le bestie ed egli inclina talvolta verso gli uni, talvolta verso le altre; certi uomini sono simili agli dei, altri alle bestie e i più tengono il mezzo”. L’umano è anche capacità di perfezionarsi. L’uomo- dice Kant- ha quel carattere che egli stesso si fa in quanto sa “perfezionarsi” secondo i fini da se stesso derivati, onde come animale fornito della capacità di ragionare “può farsi da sé animale ragionevole”. Questo concetto viene ereditato dalla filosofia contemporanea, soprattutto dall’esistenzialismo americano, quando sottolinea che l’uomo è ciò che egli stesso può o vuole farsi; che continuamente egli progetta il suo modo di essere o di vivere effettivo. L’uomo come possibilità di “progetto” è ammesso anche da Heidegger, Sartre, Dewey e altri autori. Qual è infine la qualità principale dell’essere umano? Un grande umanista, Pico della Mirandola, indicava nella “dignità” la qualità “centrale” dell’uomo, quella su cui puntare per guardare alla nostra esistenza come processo di maturazione. Conclusione. Possiamo definire che cosa sia “umano” un essere vivente dotato di natura e di spirito, di corpo e anima, ragione e sentimento, coscienza e linguaggio. La potenza della nostra mente e le capacità del nostro cervello rappresentano i “tratti essenziali” (Boncinelli) della nostra natura di esseri umani, qualità che ci pongono in posizione unica fra i viventi. La conclusione è che tentare di rispondere all’interrogativo “Cosa vuol dire essere umani”? non si può pervenire a decisioni definitive, poiché “l’umano” è sempre in divenire, e quindi indefinibile.

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- Filosofia/Scienza

Neuroscienze. Elementi fondamentali

 

Guido Brunetti

 

Le neuroscienze. Elementi fondamentali

 

Le misteriose finestre dell’anima e del cervello. Le splendide proiezioni del cervello e della mente sul mondo in una sinfonia di colori e forme, immagini e pensieri, emozioni e simbologie

 

1. Introduzione. Il libro, allergia alla lettura

2. Più grande del cielo

3. Le straordinarie metodiche di brain imaging

4. Un miracolo

5. Il cervello plastico

6. Neurogenesi e sinaptogenesi

7. Contagio emotivo

8. La musica e il cervello

9. Cervello maschile e cervello femminile

10. Un “Centro divino” nel cervello

11. Un figlio perfetto e su misura

12. Verso un futuro post-umano

13. Le scoperte

14. Neuroni e sinapsi

15. Il cervello uno e trino

 

1. Il libro, allergia alla lettura

 

Per la mente, la lettura è un momento magico e pieno di fascino, perché il libro è un dialogo tra lettore e autore, ci porta in mondi lontani e sconosciuti, ci avvicina ai pensieri e alle emozioni di altre persone, ci fa viaggiare nel tempo e nello spazio.

La lettura potenzia le capacità intellettive ed emotive, aumenta la comunicazione fra le aree cerebrali e attiva nuovi collegamenti tra neuroni e tra sinapsi.

 

La lettura può ridurre il declino legato all'età, è associata a un minore rischio di demenza e di Alzheimer e protegge la funzione cognitiva e la memoria.

 

Purtroppo, leggiamo poco e male, come mostrano alcune ricerche. Persiste la crisi del libro e siamo negli ultimi posti tra i paesi in Europa. I dati sono sconvolgenti: ci sono 20 milioni di italiani che non leggono libri e il 55 per cento di essi non legge nemmeno un libro l’anno. Sembra che abbiano una sindrome allergica alla lettura.

 

In compenso, abbiamo una sindrome bulimica della scrittura. Nel mondo, si pubblica infatti un libro ogni 30 secondi, 120 all’ora, 2.800 al giorno, 86mila al mese ! Sono molteplici le ragioni. Qui rileviamo che a partire dai primi anni di vita la lettura è percepita dal bambino più come obbligo e costrizione psicologica che come piacere culturale e spirituale o godimento estetico. In realtà leggere è come creare un’opera, come sognare o amare.

 

E’ dialogo, espressione di sentimenti e di idee; è entrare in un mondo magico; discendere e svelare i più profondi e oscuri meandri del cervello; è conoscere sé stessi, gli altri e il mondo. E' scoprire la grandezza dell'uomo, la sua nobiltà spirituale, la sua creatività, ma anche le sue miserie morali, la sua malvagità e le sue pulsioni distruttive. E' un po' come svelare l'essere umano. Che è- ha scritto Zola- un po' angelo e un po' bestia umana".

 

In questa vasta e feconda dimensione, lo scrittore assume la veste del sacerdote laico dell'umanità. Egli infatti- afferma la Bibbia- è la persona più vicina a Dio, sommo sapiente. Lo scrittore è insomma come una lampada che illumina o dovrebbe illuminare e accompagnare i passi della vita. Una funzione che è caratteristica del cervello umano.

 

2. Il cervello è più grande del cielo

 

Il mistero del cervello, della mente e della coscienza ha esercitato fin da ragazzo, un grande fascino. Sono tre parole che nascondono ancora colossali abissi di segreti e di ignoranza. E rappresentano per i neuro scienziati la più avvincente e straordinaria avventura mai intrapresa dalla specie umana. Penetrare l'ignoto, è la grande sfida delcervello umano. Il cervello è stato definito la struttura più complessa dell'universoconosciuto. Comprende 100 miliardi di neuroni e ogni neurone ha circa 10mila contatti sinaptici.

 

Una realtà immensa. Già intuita dai poeti. Il cervello- canta la poetessa statunitense Emily Dickinson- "è più grande del cielo ed è più profondo del mare". Un' altra poetessa, Maria Luisa Spaziani, scrive: "Non ha colonne d' Ercole il cervello", Sono versi che magnificano in maniera stupefacente la fenomenale ampiezza e profondità della mente e del cervello. Le fantastiche scoperte della nuova scienza del cervello e della mente,realizzate con gli incredibili metodi di brain imaging, stanno determinando una "rivoluzione scientifica" destinata a sconvolgere non solo sistemi di diagnosi e cura in medicina e psichiatria, ma anche le nostre concezioni millenarie, a partire dai concetti filosofici, e la stessa visione che abbiamo dell'uomo,della società e del mondo.

 

Esse ci permettono poi di penetrare nei nostri più intimi pensieri e stati d'animo: come pensiamo, agiamo, cosa proviamo. Le metodiche di neuroimaging ci consentono di vedere quali parti del cervello si attivano quando un soggetto compie un'azione o è impegnato in un determinato processo mentale. Temi attraenti: una sinfonia di pensieri, emozioni, simbologie, creatività. Sono le misteriose finestre dell'anima, le splendide proiezioni del cervello sul mondo, in uno straordinario processo di interazione con le esperienze. Accostarsi alla mente è come "quando- ha scritto un fine autore- gli angeli si radunano in cielo e suonano Mozart” [Karl Barth).

 

3. Le straordinarie metodiche di brain imaging

 

Sono state scoperte tecniche avveniristiche rivoluzionarie, come il brain imaging: è la visualizzazione del cervello in tempo reale (risonanza magnetica, PET, fMRl, EMC, MTS). E' possibile visualizzare e misurare per ogni millesimo di secondo le incredibili e complesse attività del cervello; seguire gli eventi nell'istante in cui si svolgono ed esaminare gli effetti di una lesione situata nel punto voluto.

 

In pratica, possiamo seguire le attività dei neuroni e della mente, come la memoria, le emozioni, le percezioni; il pensiero filosofico, il calcolo matematico, il pensiero creativo, nel momento in cui si formano le idee si concatenano le parole. Fino a lambire la mente e la coscienza. Possiamo in sostanza vedere quali regioni del cervello entrano in azione,durante qualunque attività intellettuale. E' il miracolo della mente.

 

4. Un miracolo

 

Ogni giorno, in ogni istante della vita, si verifica un miracolo in ciascun essere umano. Questo miracolo è la capacità del cervello, che è un'armonia prestabilita dalla biologia, di generare l'imprevedibile, di acquisire cognizioni e di trattenerle in una dimensione misteriosa- la memoria- e di impiegarle per costruire nuovi pensieri, nuove idee simbologie, nuove emozioni, di generare il mistero della musica, della poesia, del libro, dell'arte.

 

Come avvenga questo miracolo è la immane sfida che i neuroscienziati stanno affrontando. Siamo ancora agli inizi. E tuttavia, negli ultimi anni abbiamo appreso sul cervello che nei precedenti 5 mila anni. E' il prodigio della mente,che tesse e ritesse come un “telaio incantato" i suoi tessuti dai mille colori e motivi diversi. Fino a pervenire alle grandi scoperte odierne.

 

5. Il cervello plastico

 

Contrariamente a quanto si pensava fino a pochi anni fa, il cervello non è un organo rigido e predeterminato, ma ha una struttura plastica. Si modella e rimodella continuamente a seguito della sua interazione con le esperienze. E' una vera e propria rivoluzione scientifica per l'umanità, ma soprattutto nel processo di sviluppo del bambino, nell’invecchiamento e nel mondo dell’educazione.

Più l'insegnamento è stimolante, arricchente, vario e ricco di contenuti e motivazioni, più si attivano le connessioni tra i neuroni, e più cresce il quoziente intellettivo del bambino. Addirittura, il cervello cambia anche materialmente. Un cambiamento che avviene non soltanto durante il periodo dello sviluppo e dell'apprendimento a scuola, ma lungo l'intera esistenza.

 

6. Neurogenesi e sinaptogenesi

 

La scoperta del cervello plastico ha poi portato la ricerca a un'altra meravigliosa scoperta: quella sulla neuro genesi e sulla formazione di nuove connessioni sinaptiche. Fino a poco tempo fa, gli stessi neuro scienziati pensavano che dopo i 16anni di età, il cervello fosse maturo e non potesse essere modificato e rigenerare i suoi neuroni. Oggi sappiamo che non è così.

I neuroni possono rigenerarsi sia durante lo sviluppo che in età adulta. In questo momento, mentre leggete questo testo, si sta verificando nel vostro cervello una vera e propria tempesta di attività neuronale, soprattutto nelle persone che sono attratte dai temi sul cervello, la mente e la coscienza. La lettura, come abbiamo detto, modifica le connessioni dei neuroni e delle sinapsi.

 

Attivare in modo adeguato e continuo i neuroni del cervello significa poi prevenire anche i devastanti ed irreversibili danni del morbo di Alzheimer e del morbo di Parkinson. Una intensa attività mentale esercitata dalle persone anziane riesce a proteggere il loro cervello contro il processo di degenerazione biologica e contro le demenze senili. Occorre quindi tenere sempre presenti questi due fondamentali principi: "Se non lo usi (il cervello) lo perdi". “Se lo usi, lo migliori". Le ricerche hanno poi rivelato che gli anziani che vivono in strutture assistenziali dimostrano un deterioramento cerebrale, che colpisce le facoltà mentali e la memoria.

 

Lo stress, 1'ansia, la depressione, i conflitti in famiglia e sul lavoro modificano il cervello. E' stato rilevato che basta un viso triste per indurre al pessimismo, insicurezza, tristezza. Al contrario, un volto sorridente e sereno migliora lo stato d' animo e crea condizioni mentali positive, benefiche. In questa maniera, a scuola, i bambini apprendono di più. In un ambiente di tranquillità interiore e di forte motivazione, un sistema pedagogico che preveda rimproveri e punizioni risulta antieducativo e dannoso per la salute emotiva del bambino.

 

Ricerche sugli animali- nei ratti e nei piccioni- hanno scoperto infatti che le punizioni e i rimproveri sono inutili e controproducenti. A compromettere poi sempre più il funzionamento emotivo del cervello del bambino sono le ore passivamente trascorse davanti alla televisione; un peggioramento nella qualità dell'educazione del cervello emotivo; genitori ansiosi e depressi o frustrati e stressati; il computer; la crisi della scuola e della famiglia.

 

7. Il contagio emotivo: viso- viso, occhio- occhio, pelle- pelle

 

Le ricerche hanno accertato che il contatto tra la madre e il figlio, un intenso rapporto emozionale e lo stesso sguardo o il viso materno generano elevati livelli di oppiacei, la produzione di dopamina e una cascata di ossitocina. Tutte sostanze che creano uno stato di benessere, serenità, calore affettivo, un alto grado di euforia e di piacere sia nel bambino che nella madre.

 

Si produce tra le due persone un forte legame cervello- cervello, che provoca un flusso continuo di emozioni, sensazioni, messaggi, serenità, gioia di vivere e di esistere. Si determina un grande processo di contagio emotivo. Un contagio viso-viso, occhio- occhio, pelle- pelle. I neonati assumono infatti l'umore delle loro madri. Si è scoperto che i neonati di madri depresse, sono irritabili, meno attivi, meno attenti e insoddisfatti. Presentano poi reazioni di stress, un elevato battito cardiaco e possono dunque soffrire anch'essi di ansia e depressione.

 

L' empatia e il contagio emotivo non sono un'emozione unicamente umana. Sono sentimenti sperimentati in laboratorio con le scimmie, i ratti e i piccioni. Ulteriori esperimenti in laboratorio hanno accertato che se un topo o una scimmia erano agitati o in pericolo o manifestavano soltanto espressioni di dolore, il compagno di gabbia entrava anch' egli in agitazione e cercava di prestare soccorso. I topi, le scimmie e i bambini condividono lo stesso impulso: avvertono un sentimento analogo di partecipazione verso la sofferenza di un proprio simile e si adoperano a prestare aiuto.

 

E' la scoperta dei neuroni “mirror”, i neuroni specchio. Sono stati scoperti gruppi di neuroni che si attivano quando vediamo qualcuno soffrire e siamo spinti ad aiutarlo. E' il meccanismo neuronale per cui soffriamo per la sofferenza altrui. Altruismo ed egoismo, odio e amore, bene e male, eros e thanatos, hanno tutti una base biologica. E' stato scoperto che un neonato di soli 41 minuti di vita riusciva a imitare i gesti eseguiti dal ricercatore. Già dalla decima settimana, il bambino è capace di imitare espressioni di felicità o di tristezza o di rabbia della madre. Anche la madre, a sua volta, imita, in forza dei neuroni specchio, le espressioni facciali del figlio.

 

Studi successivi hanno dimostrato che se i topolini appena nati vengono lisciati e accarezzati sul pelo del dorso, il loro cervello si sviluppa diversamente da quello dei topolini che non hanno ricevuto lo stesso trattamento. Il bambino privato dalle carezze e dell'affetto materno presenta un cervello "inadeguato", che si manifesta attraverso gravi disturbi nel suo sviluppo intellettivo, emotivo e sociale. Bambini istituzionalizzati mostrano un "arresto" del loro sviluppo sia mentale che fisico, anche in modo permanente. Le esperienze in sostanza lasciano una traccia anche fisica nelle connessioni cerebrali. Questo fenomeno si può verificare a otto giorni di vita, a 80 anni o fino all' ultimo respiro.

 

Abbiamo un cervello "affamato" di nutrimento offertogli soprattutto dalla qualità del proprio ambiente. Alcuni neuro scienziati ritengono che 1'autismo sia causato da un danno al sistema dei neuroni specchio, che comporta assenza di empatia, mancanza di capacità sociali e deficit del linguaggio.

 

8. La musica e il cervello

 

Anche nel campo della musica, le neuroscienze hanno realizzato fondamentali progressi. La musica attiva alcune strutture del cervello, che creano uno stato di euforia, modificazioni fisiologiche come un brivido lungo la schiena e cambiamenti nel ritmo cardiaco. Inoltre, è stato dimostrato che i feti rispondono alla musica con cambiamenti nel battito cardiaco.

 

Esperimenti condotti in materia hanno scoperto che il corpo produce una condizione di ebbrezza, rilasciando gli oppiacei, quando ascoltiamo musica che ci piace. Esistono prove che una melodia gradevole provoca il rilascio di dopamina, che oltre ad essere la sostanza del piacere, genera un umore positivo, influenza lo sviluppo intellettivo, le capacità motorie e spaziali e le qualità matematiche. Si tratta di una grande scoperta.

 

Gli esperimenti hanno dimostrato, ad esempio, che i musicisti presentano alcune aree cerebrali più grandi che non nei non musicisti. La musica poi aumenta la massa di talune strutture neuronali, accresce il Q. I. e incrementa la memoria. I suonatori di violino inoltre hanno un'area del cervello più grande coinvolta nelle dita della loro mano sinistra. La musica, ma così 1' arte in generale, è fermamente radicata nel cervello e nella biologia dell'essere umano.

 

9. Cervello maschile e cervello femminile

 

Il funzionamento del cervello di uomini e donne è diverso fin dalla nascita. Perfino nel neonato di un giorno, il cervello femminile è più empatico e comunicativo. Le ricerche neuro scientifiche indicano che le prime differenze fra i sessi si manifestano già dall'ottava settimana di sviluppo fetale, in ragione soprattutto dell'avvio dell'attività ormonale e delle differenze biologiche dei nostri cervelli.

 

Il cervello femminile possiede più neuroni specchio, i quali permettono alla donna di interpretare i segnali verbali e non verbali dei più intimi sentimenti delle altre persone, come ansia, sofferenza o malessere. Per questi motivi, è risultato che le donne piangono quattro volte più degli uomini. Gli esseri umani sono gli unici animali che piangono, arrossiscono, provano sensi di colpa e vergogna . Gli effetti degli estrogeni- ormoni sessuali- spiegano poi perché il numero di donne che soffrono di depressione stagionale (winterblues) sia tre volte maggiore rispetto agli uomini.

 

10. Un “Centro divino” nel cervello

 

Un' altra delle scoperte più affascinanti e inquietanti è quella sull'esistenza di un " centro divino" nel cervello umano. Esperimenti di brain imaging hanno accertato che Dio, la moralità, la religiosità, la fede hanno una base organica all' interno del funzionamento del cervello. Esistono meccanismi neurali nel nostro cervello che riguardano queste figure. E' stato inoltre mostrato che Dio, credenze religiose e istanze morali sono "generati" da reazioni del cervello, che sono comuni a tutti gli esseri umani. Da questo fecondo campo di ricerca sono nate due discipline: la Neuroetica e la Neuroteologia.

 

11. Un figlio perfetto e su misura?

 

In questa fantastica cavalcata nel mondo meraviglioso del cervello e della mente, la scienza si avvia anche alla ricerca di un "figlio perfetto" e "su misura". L' immagine di “figli su misura" e di un “figlio perfetto" da un lato genera turbamento, dall' altro viene incontro a un desiderio antico come il mondo.

 

Da anni i neuro scienziati studiano la selezione del partner. L' uomo da sempre è alla ricerca della compagna più intelligente e più bella. L'odierna fecondazione in vitro permette di selezionare il sesso e i caratteri. Si può scegliere 1'embrione, nella speranza di avere un figlio da sogno. Si cerca una clinica allo scopo e si possono leggere le caratteristiche proposte: colore dei capelli, statura, grado di istruzione. E trovare 1'ovulo con i tratti desiderati.

 

12. Verso un futuro post- umano ?

 

Siamo davvero al post- umano ? In virtù della diagnosi pregenetica, oggi abbiamo la possibilità di "forgiare"la natura dei nostri figli. E' possibile poi identificare geni responsabili di molte malattie neurologiche e psichiatriche. Stiamo muovendo verso un mondo nuovo che può attrarre, ma può anche spaventare. Stiamo costruendo una società psicocivilizzata, capace di produrre pillole della felicità e droghe intelligenti, con la prescrizione negli Stati Uniti di psicofarmaci persino a bambini di 2 anni. Ma posto che saremo capaci di creare mappe dei geni e di selezionare i tratti poligenici, è proprio vero che essi determineranno la persona? La nostra risposta è assolutamente negativa.

 

I geni da soli non potranno mai determinare 1' essere umano. Un essere unico e differente. Il cervello ha una natura unica, individuale, personale. Non esistono due cervelli eguali. L' essere umano è una combinazione di mente, geni, esperienze e di altri fattori che finora non sono stati ancora individuati.

 

Il cervello, come abbiamo detto, ha una struttura plastica: si modella e rimodella continuamente attraverso le incessanti esperienze che variano senza interruzione. E' un organo costantemente in divenire, nel bene e nel male. Anche per queste ragioni, la ricerca sul cervello ci lascia sempre sbigottiti. Esperimenti di brain imaging hanno provato che oggi è possibile identificare emozioni vere ed emozioni false attraverso i muscoli facciali; prevedere il comportamento futuro; distinguere i ricordi veri da quelli non veri; determinare la verità su un crimine o un'azione violenta, attraverso l'individuazione delle informazioni presenti nel cervello; e trovare infine - fatto stupefacente- l'area del cervello che si illumina quando si pensa a Dio o a una persona cara.

 

l metodi di neuro imaging possono inoltre rivelare crimini passati e perfino prevedere future inclinazioni in un bambino o in un adulto. Alcuni neuro scienziati parlano già di una “riprogettazione" degli esseri umani e della creazione di una nuova specie geneticamente attrezzata. Ci avviamo dunque verso la nascita di un figlio perfetto geneticamente e verso 1' uso di terapie sensazionali per prolungare la vita. Altri autorevoli scienziati sono convinti che sia già tra di noi la prima persona che raggiungerà i 150 anni. E' davvero 1' arrivo di un futuro post- umano ?

 

13. Scoperte

 

Perché i neuro scienziati ritengono che la ricerca sul cervello sia la più grande e straordinaria avventura mai intrapresa dalla specie umana? Perché "fin tanto che il nostro cervello rimarrà un mistero, l'universo, riflesso dalla struttura del cervello, rimarrà anch'esso un mistero"(Santiago Ramòn Y Cajal). E' il cervello infatti alla base dell'inarrestabile marcia del progresso e della civilizzazione.

 

Le nostre menti, le nostre misteriose finestre dell'anima, che è il titolo di un mio libro, possono spingersi ai confini dell'universo e penetrare nell' infinitamente piccolo. In questo senso, possiamo dire che il cervello umano è “quasi divino". Le scoperte delle neuroscienze hanno svelato i fondamenti fisico- chimici della vita e posto le basi per eliminare in futuro la maggior parte delle malattie e dei deficit genetici.

 

La ricerca sul cervello è poi interessata a fornire risposte alle domande sull'origine e la natura della vita, sulle basi biologiche della natura umana, sull'evoluzione dell'esistenza, sull' origine dell'etica e della religione, le ragioni dell'arte, il significato della sessualità, perché dobbiamo morire e il ruolo dell'ambiente nell' evoluzione biologica e culturale dell'essere umano. Se un miracolo è un fenomeno che trascende la nostra possibilità di comprensione, allora la mente umana è qualcosa di molto simile a un miracolo.

 

14. Neuroni e sinapsi

 

I neuroni se vengono utilizzati vivono, altrimenti muoiono. I neuroni e le sinapsi infatti possono essere modificati dall' esperienza, dall'apprendimento e dall' acquisizione di nuove conoscenze. Il neuro scienziato Sherrington chiamò sinapsi gli interstizi, parola di origine greca, che significa collegare, connettere, unire.

 

15. Il cervello, uno e trino

 

In questi ultimi anni, sono stati compiuti stupefacenti progressi sul cervello c la mente. Le ricerche mostrano la meravigliosa e incredibile realtà del cervello umano, una straordinaria struttura unica nell'universo conosciuto. Un cervello diverso da qualsiasi cosa l'uomo abbia mai costruito. E per questo, fonte di continue sorprese per gli stessi neuroscienziati.

 

Il cervello umano può essere paragonato a una casa costruita un po’ per volta nel corso di milioni di anni. Sull'architettura di questa casa, Paul MacLean, uno dei più grandi protagonisti delle neuroscienze moderne, ha elaborato una interessante e affascinante teoria. Il cervello- egli afferma- è una struttura trinitaria- "triunebrain"-, che consta di tre formazioni sovrapposte: il cervello rettiliano, cosi chiamato perché il suo aspetto è simile al cervello di un rettile, ilcervello limbico o cervello mammaliano e il neocervello o cervello dei mammiferi recenti.

 

Il primo rappresenta la parte più antica e profonda del cervello e si è evoluto - sostengono Ornsteine Thompson- più di 500 milioni di anni fa. Al cervello rettiliano sono legate 1'aggressività e la violenza. E' una pulsione autodistruttiva c distruttiva. Il secondo cervello avrebbe fatto la sua comparsa da 300 a 200 milioni di anni fa, E' la sede delle emozioni. L' ultimo, il neocervello, apparve circa 200 milioni di anni fa. E' la parte più nobile del cervello, É' ciò che ci dà la nostra peculiare qualità umana: siamo in grado di capire, pensare, ricordare, comunicare, creare.

 

Queste treformazioni fondamentali del cervello presentano tra loro grosse differenze strutturali e chimiche. Eppure riescono a fondersi e funzionare come un cervello "uno e trino". E’ proprio vero- osserva il neuroscienziatoVizioli- che la trinità domina la nostra cultura. Infatti, se dal campo della fede, passiamo alla scienza del cervello, ritroviamo un'analoga concezione trinitaria. Il cervello dunque è anch' esso una struttura trinitaria. L’analogia con la Santissima Trinità non è solo formale, nel senso che tutti e tre i cervelli costituiscono "un cervello funzionale unitario", quindi un "cervello uno e trino".

 

Certamente, deve esserci qualcosa di magico e di affascinante nel numero tre. Platone infatti descrisse il cervello come una coppia di destrieri perigliosamente guidata da un auriga. Anche lo scienziato sovietico, Lurija, ha concepito l'organizzazione del cervello nei termini di tre unità funzionali: la prima deputata a regolare il ritmo sonno-veglia, la seconda a ricevere le informazioni, la terza preposta alla programmazione delle attività motorie e intellettuali.

 

Infine, trinitario è anche il modello della mente proposto da Freud. Secondo il padre della psicoanalisi, la mente è formata da tre istanze. La prima è l'Es, il mondo degli istinti, delle pulsioni e dei desideri. Che ci porta ad agire secondo il principio del piacere immediato, senza pensare agli effetti della nostra azione. La seconda e il Super-Io, che è l'insieme degli obblighi, delle proibizioni, dei tabù tradizionali impressi nel nostro cervello dai nostri genitori. La terza istanza e l'lo, il quale riflette sulle conseguenze delle sue azioni, rinuncia al piacere immediato per quello differito, cioè per il principio di realtà, e trasforma gli impulsi in comportamenti ragionevoli.

 

L'lo è una struttura di mediazione tra l'Es e il Super-Io e quindi guida di entrambe le istanze psichiche. Questo modello, in base alle scoperte delle neuroscienze, ha ricevuto un riconoscimento scientifico, in quanto considerato fondato su una base biologica. Il cervello rettiliano infatti corrisponde sul piano anatomo-fisiologico all'Es, cioè agli istinti primordiali; il cervello mammaliano equivale alla sede dell'Io, mentre il neocervello corrisponde al Super- Io, preposto alla coscienza morale, alla critica e al giudizio.

 

Quando, di fronte al male e a certe efferatezze, diciamo che si è liberato il rettile che è nell' uomo, affermiamo una realtà. Che i neuroscienziati hanno verificato, scientificamente, che Platone aveva intuito e che Freud ha teorizzato. Freud riteneva che l'lo avrebbe preso la guida dell'intero comportamento dell'essere umano. In realtà,i fatti sono andati in modo diverso.

 

A partire dagli anni Sessanta e Settanta, i ragazzi e i giovani hanno cominciato a contestare e a ribellarsi ai genitori, agli insegnanti, all' autorità e alla società. Si è progressivamente affermata un'educazione e una pedagogia del "laissezfaire", del permissivismo. Una filosofia basata su una pedagogia che proibisce di dare ordine e punizioni, di dare insomma la direzione, le indicazioni e gli orientamenti di un sano e maturo comportamento.

 

L' Io, cioè l'individuo, il ragazzo, si è sentito libero e indipendente, guidato da pulsioni e da una sorta di delirio di onnipotenza Sono poi crollati i valori che per millenni hanno guidato la coscienza morale degli esseri umani, mentre la società è diventata multiculturale, fatto che ha frantumato il sistema di principi etici valido per tutti. Il risultato è che oggi viviamo una profonda c drammatica crisi morale e spirituale, una crisi politica ed economica.

 

Crisi che ha investito l'individuo e il mondo globale. La stessa famiglia è in profonda crisi. La stessa scuola è in profonda crisi, mentre molti ragazzi sono disorientati e insicuri, in conflitto, immaturi. E' allarme sociale. Gli studi hanno dimostrato che cresce il numero di ragazzi e bambini che soffrono di disturbi psichiatrici, ansia e depressione, malessere e insonnia, inquietudine c aggressività fino alle forme di violenza, arroganza, ineducazione.

 

E' emergenza educazione. Gli insegnanti sono demotivati, molti vivono la scuola con ansia. Tra i miei pazienti, ci sono anche insegnanti. Ebbene, si svegliano al mattino con l'angoscia di andare a scuola, con 1' angoscia di subire forme di aggressività e maltrattamento da parte degli alunni. Che non sono universitari, ma ragazzi di scuola media.

 

Andrea Zanzotto, uno dei maggiori poeti del Novecento, ha scritto: "Viviamo una condizione che coincide con una psicosi vera", una vera malattia. "Oggi c' è una emergenza umana". Una società arrogante, priva di umiltà e altruismo, di generosità e di empatia. Tutta orientata all' interesse individuale, all' egoismo, a soddisfare, come un bambino, le proprie pulsioni. C'è una desertificazione della coscienza sia individuale che collettiva.

 

Ci salverà l'arte? come ingenuamente ha scritto un poeta. Oppure, la scienza del cervello e della mente? Fintanto che rimarrà un mistero il cervello umano, rimarrà un mistero anche il mondo circostante. E’ sul neocervello e su un nuovo umanesimo – come concorda il premio Nobel Kandel – che noi facciamo affidamento. E’ un organo incredibile, la struttura più complessa e straordinaria dell'universo conosciuto. Un organo che sta "cambiando" il mondo e la stessa esistenza umana, con la sua creatività, immaginazione, intelligenza, innovazioni e con la sua capacità di far fronte alle risposte sociali.

 

Molte risposte dunque ci possono venire dalle nuove neuroscienze. Si tratta allora di migliorare la conoscenza del nostro cervello, allo scopo di ridurre gli effetti negativi di quel sistema schizofrenico costituito dal cervello rettiliano, riducendo quelle tensioni e quei conflitti interni all'uomo, che altrimenti potrebbero "esplodere", con conseguenze catastrofiche e provocare malessere individuale e sociale di enorme portata e di difficile soluzione.

 

La battaglia più difficile da superare, e concludiamo, è quella tra l'uomo e i suoi due cervelli animali... Gli incredibili progressi della nuova scienza del cervello ci offrono la base per sperare che il neocervello riuscirà a contrastare i problemi sempre più critici e drammatici del nostro tempo. 

 

 

 

 

 

 

 

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- Filosofia/Scienza

La coscienza

 

Guido Brunetti

La coscienza

 

La coscienza, intesa come via di accesso alla comprensione del comportamento umano, si presenta come una struttura complessa, i cui dati sono personali, privati, soggettivi, individuali. Insieme con la mente, la coscienza è una sfida alla scienza e alla ragione. Rappresenta l’ultimo baluardo di un mistero, simile al problema delle origini dell’universo (Botteril). Sembra insomma sfuggire alla ricerca scientifica.

 

Non abbiamo ancora una definizione esaustiva di coscienza. La nozione di coscienza sul piano scientifico è confusa, mistica. Osservare come possiamo averne una non è facile, poiché la coscienza è “inosservabile”. Il problema della coscienza e della mente è una prova di grande rilievo, che coinvolge varie discipline.

 

Invero, noi abbiamo una coscienza immediata dello stato di coscienza, inteso come stato di veglia, ma finora non esiste un consenso generale sulla definizione di coscienza. Le definizioni sono innumerevoli e ognuna di queste si riferisce a ipotesi e teorie della coscienza. Il termine coscienza deriva dal latino “cum scientia” da cui “cum scire”, che è per l’appunto un sapere.

 

Nella storia del pensiero, si sono delineate diverse correnti filosofiche che hanno tentato di indagare gli strati più profondi della coscienza. A partire dai primi filosofi, è emersa la concezione dell’esistenza di due sostanze, l’una spirituale- l’anima, la mente-, l’altra materiale- il corpo, il cervello. E’ la teoria del dualismo metafisico. La mente, per Cartesio, è completamente diversa dal suo corpo, ossia qualcosa di non fisico, d’immateriale. Il corpo è costituito da una sostanza totalmente indipendente dall’anima. Egli definisce queste due sostanza con il termine “res cogitans” (sostanza immateriale) e “res extensa” (sostanza materiale). La res cogitans è il mondo del pensiero, del cogito. “Cogito, ergo sum”, penso, sono.

 

La scienza finora non è stata in grado di dare una spiegazione della nostra unicità, ossia dell’unicità dell’Io e dell’anima. Di qui, l'attribuzione da parte di John Eccles dell’origine della mente ad “una creazione spirituale o sovrannaturale. Ogni anima, per Eccles, è una “creazione divina”.

 

La coscienza si esprime attraverso esperienze soggettive dette “qualia”. I qualia sono fenomeni soggettivi, incomunicabili. Nessuno tranne quel soggetto che lo ha esperito è in grado di sapere come sia quel vissuto. Attualmente, sia la filosofia della mente che le neuroscienze sono prevalentemente “riduzioniste”. Mente e coscienza sono concepite come stati del cervello, un insieme cioè di funzioni cerebrali.

 

La teoria moderna delle neuroscienze postula una “identità” tra processi mentali e processi neurali. Il principio è il seguente: i fenomeni della mente sono fenomeni dei neuroni, ossia fenomeni puramente fisici del sistema nervoso. La mente è semplicemente il cervello, una realtà fisica, materiale. Secondo la teoria dell’identità e del fisicalismo riduzionista, la mente non è “sopra il corpo”, è il corpo.

 

Due pertanto le ipotesi: secondo il dualismo, la mente è distinta dal corpo, essa è una cosa pensante (Cartesio). Per il monismo, invece, la mente è il cervello (Amstrong), è fatta di carne, di materia, nulla di più. La mente è il cervello “mascherato”. La questione principale per il materialismo eliminativista è che gli stati mentali “non esistono” e che ci sono soltanto “stati neurologici” (Churchland, Quine, Kuhn).

 

Filosofia e psicologia, secondo le neuroscienze, non sono in grado di cogliere e descrivere l’attività del cervello. Questa visione comporta il rifiuto di qualsiasi riferimento alla filosofia e alla psicologia. Churchland sostiene con forza che la psicologia deve essere eliminata e sostituita dalle neuroscienze, in quanto “incapace” di penetrare in profondità una realtà molto più complessa.

 

E’ un orientamento già presente nella scuola behavioristica, un movimento che si afferma a partire dagli anni ’20 del Novecento, e che cerca di sbarazzarsi di ogni riferimento alla mente e alla coscienza per concentrarsi soltanto sui fenomeni osservabili, sul comportamento, così come appare. In quanto, esperienze soggettive, gli stati mentali “non sono accessibili” all’indagine scientifica. Come reazione al behaviorismo, nasce negli anni ’60 del secolo scorso il cognitivismo, il quale pone al centro delle sue ricerche lo studio dei fatti della mente.

 

Contro ogni tendenza riduzionistica, ci sono autori che sostengono come i fenomeni neurali vadano visti come “modi” di esprimersi della mente. La prima caratterizzazione dell’uomo è l’ Io, cioè la proprietà dello Spirito-Psiche. La vera comprensione dell’ Essere, pertanto, non può risultare dalla ricerca neuro scientifica, ma dalla continua riflessione del suo “senso” metafisico e fenomenologico. Nell’uomo, per Jaspers, vive una “Essenza diversa”, qualcosa di completamente estraneo al mondo animale. Si tratta dello Spirito, dell’Anima, della Psiche.

 

L’Essere-Essenza, secondo questa concezione, comprende proprietà superiori, come ad esempio il pensiero, che non appartengono a nessun altro animale. Il problema è allora quello di accertare chi è colui che muove il pensiero. Per molti autori, è l’Io-Coscienza, una sostanza  considerata come una unica unità. L’Io è l’essenziale dell’essenza umana, mentre la coscienza è il “presupposto” di tutti gli atti dell’Io. Le neuroscienze quindi non possono non tener conto di quanto ci proviene dalle riflessioni di filosofi e teologi dall’antichità ad oggi. In questa visione, la mente diventa l’espressione di ciò che avviene nel cervello, il “promotore” di attività cerebrali.

 

Il punto cruciale rimane ancora il mistero del legame tra mente e cervello: come può una sostanza spirituale modificare una sostanza materiale, e a sua volta come può una sostanza fisica modificare una sostanza spirituale? Il problema finora non è stato risolto, per alcuni autori è un mistero insolubile. Tutto ciò è “oscuro” (McGinn). D’altra parte, se il materialismo neuro scientifico- si chiede McGinn- è vero, noi saremmo degli “zombie”, con la credenza di avere una coscienza.

 

Sta di fatto che noi “non conosciamo” nulla della mente, come possiamo affermare che ci sia “identità” della mente con il cervello? L’uomo “non è riducibile”- precisa questo autore- alla sua fisiologia. Esiste infatti un “abisso” tra neuroni e coscienza, tra natura mentale e natura fisica. La mente, insomma, non è il cervello. La conclusione è che noi non possiamo risolvere il problema mente-cervello perché “non possiamo vedere la mente”.

 

Così sembra che un nuovo principio creativo debba essere ammesso nell’universo. Questo principio “può essere chiamato Dio” (McGinn). E’ una conclusione che coincide come abbiamo notato all’inizio con quella illustrata da Eccles. Noi perciò- concorda Alva Noè- “non siamo il nostro cervello”. Il cervello è solo “una parte” di ciò che noi siamo. La nostra mente è qualcosa che non può essere resa “oggetto” di una scienza naturale. Noi- aggiunge Roger Penrose- non sappiamo come definire la coscienza perché non sappiamo cosa essa sia. Come può infatti la nostra percezione del rosso, della rossità o della felicità avere qualche cosa a che fare con la materia? E’ un mistero.

 

Conclusione.

 

Il concetto di coscienza, d’accordo con S. Sutherland, è “impossibile da definire”, se non in termini “inafferrabili”, senza una vera comprensione di cosa veramente significhi coscienza. Sull’argomento, precisa questo autore, “non è stato scritto nulla che valga la pena di leggere”. Non abbiamo ancora svelato il mistero della mente, della coscienza e della mente. Tre parole che nascondono abissi di ignoranza. Alcuni autori sostengono che esse rimarranno per sempre un enigma. Ci troviamo di fronte a un vasto oceano di ignoranza. Tutto ciò dovrà stimolare la ricerca, un campo che siamo sicuri potrà fornirci nuove conoscenze e nuovi meravigliosi progressi.

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- Filosofia/Scienza

Cervello-mente. Aspetti filosofici e scientifici


Guido Brunetti

Cervello-mente: aspetti filosofici e neuroscientifici

A partire dagli anni settanta del secolo scorso, la ricerca sul cervello e la mente, da sempre oggetto della filosofia diventa al centro dell’interesse delle nuove neuroscienze. Queste nascono dalla convergenza di discipline diverse ed hanno lo scopo di studiare la struttura e il funzionamento del cervello e della mente. Lo sviluppo poi di metodiche di brain imaging hanno rivoluzionato lo studio del sistema cerebrale.
Le neuroscienze si basano sul metodo dell’esperimento concepito come il solo giudice della verità (Feyman), ovvero l’unica verifica della validità di un’ipotesi.

Unità di mente e cervello.

Le neuroscienza sostengono il principio dell’ unità di mente e cervello. La mente infatti perde la sua qualifica di sostanza immateriale e viene assunta dai neuro scienziati come sostanza biologica, ridotta cioè a materia.
L’anima scompare. Scompaiono anche l’idea di Dio e tutte le altre certezze metafisiche.

Mente-cervello. Un problema antico e mai risolto.

Un problema antico e mai risolto, è quello di come la mente agisca sul cervello e come essa nasca dall’attività cerebrale. Non è stato ancora compreso il legame che intercorre tra la componente immateriale e quella materiale, tra mente e cervello. Anche la spiegazione di un’interazione fra cervello e mente avanzata da molti autori finora non ha trovato alcuna conferma.

Psiche. Origine.

Il termine psiche nasce in Grecia e si riferisce al respiro, al soffio vitale o all’ombra che abbandona il corpo dopo la morte e prosegue la sua esistenza nell’Ade. Successivamente, la psiche prende il nome di anima,, mente, coscienza.
Socrate afferma che l’anima si separa dal corpo e va verso il Dio buono e saggio. Per Platone, l’anima ha una natura divina, è immortale e immateriale e quindi è eterna.
S i tratta di una visione che unisce Platone, Aristotele e Cartesio con gran parte della filosofia moderna. Per Aristotele, corpo e anima costituiscono un’unica entità. La mente è “pensiero puro” che tuttavia potrebbe esistere separato dal corpo.

Dualismo e monismo.

La concezione sulla natura della mente si divide in teorie dualiste, le quali ammettono l’esistenza di una sostanza immateriale (mente) e di una sostanza materiale (corpo, cervello), e teorie moniste, le quali accettano l’esistenza della sola materia. Un tempo, la maggior parte dei neuro scienziati e dei filosofi seguiva la concezione dualista.
Oggi, neuro scienziati e la maggioranza dei filosofi aderiscono ad una concezione materialista e riduzionista.

Il cervello crea una sua propria immagine.

Evidenze neuro scientifiche mostrano che il cervello non funziona registrando un’immagine “esatta” della realtà, ma crea “una sua propria immagine”.

Coscienza.

L’idea di coscienza si riferisce al senso di interiorità, agli stati soggettivi (qualia per i neuro scienziati) e al dialogo con se stessi, secondo le teorie di Plotino e sant’Agostino.
Ad inaugurare l’idea moderna di coscienza come luogo del soggetto è stato Cartesio.
L’essere è fondato sul principio: io penso, cogito ergo sum. Dubito, quindi penso, esisto.
L’essere umano è formato di due sostanze: il corpo e l’anima, res extensa e res cogitans.
E’ un campo di studio particolarmente seguito dalla fenomenologia e dalla psicoanalisi.
Il concetto di coscienza è stato messo in dubbio da molte teorie, come il comportamentismo e lo strutturalismo.

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- Filosofia

Alla ricerca del gioiello dentro me

 

Guido Brunetti

 

Alla ricerca del gioiello  dentro me

 

Il cervello, la mente e la coscienza, che sono ancora il mistero più grande dell’universo, sono stati oggetto di studio filosofico, metafisico ed etico fin dai tempi antichi. Nel Novecento, questi temi sono passati nella sfera di competenza delle neuroscienze. Non c’è conoscenza che non abbia come base la ricerca di se stessi, del proprio Io, della propria interiorità. Seguire il cammino misterioso che porta all’interno è premessa alla realizzazione di una vita dotata di senso. E’ un cammino compiuto da un’ottima scrittrice, Anna Llenas, attraverso libri di racconti illustrati per bambini. Tra i suoi volumi, un testo ricco di bellissime e suggestive immagini intitolato “Il gioiello dentro me” (Gribaudo). Veniamo al mondo- scrive l’autrice- “con un gioiello molto prezioso dentro di noi”. Questo gioiello è la nostra essenza, la nostra anima, il nostro io più vero. E’ il nostro bene più prezioso. Ci fa sapere chi siamo, ci fa sentire “liberi e felici, capaci di tutto”. I racconti, le fiabe costituiscono un potente strumento pedagogico nel favorire lo sviluppo cognitivo, affettivo e sociale del bambino. Il racconto di una storia poi rappresenta uno dei momenti in cui adulto e bambino possono sperimentare un fecondo processo di interazione e di crescita umana e psicologica reciproca. Fate, miti, giganti, individui, re, regine, personaggi fantastici, credenze, paure scandiscono le trame fiabesche e possono essere elementi in grado di preparare il bambino ad affrontare con più sicurezza le vicende della vita. Freud sostiene che elementi contenuti nei racconti si possono ritrovare nell’analisi dei sogni, ossia nei simbolismi onirici di natura inconscia, nei miti e nei motti di spirito, facilitando l’accesso al mondo oscuro e segreto del fanciullo, alle sue dinamiche affettive ed emotive. In questo senso, si rivela un compito prezioso quello di condurre il bambino a inventare la costruzione di storie, le quali diventano una proiezione del suo mondo interiore. Il racconto può dunque trasformare i suoi desideri in insegnamenti per la sua emancipazione, svolgendo perciò una funzione catartica e portando a soluzione i suoi conflitti, le sue paure e le sue insicurezze. I racconti, le fiabe hanno anche una funzione terapeutica. Si possono acquisire importanti fattori diagnostici e numerose implicazioni nel trattamento di stati di ansia, sofferenza, inquietudini. Tutti elementi idonei alla conoscenza e alla comprensione degli stati soggettivi dell’ Io, della propria interiorità. E’ stata la fenomenologia a offrire gli strumenti per un’indagine approfondita delle esperienze soggettive della coscienza e per cogliere il senso autentico della soggettività e dell’interiorità, degli universi culturali e dell’essenza dei fenomeni. La fenomenologia è uno dei movimenti filosofici più influenti del XX secolo, una nuova filosofia che mette in primo piano l’interiorità della persona, che è all’origine di ogni funzione cognitiva. Il suo impatto sulle neuroscienze e sulla psichiatria è stato evidente, fornendo chiavi di lettura in un mondo ancora pieno di incertezze e lacune. La dimensione dell’interiorità, da Cartesio e Kant, sarà destinata a segnare la filosofia e la teologia occidentale, l’esistenzialismo, la fenomenologia di Husserl e molte correnti dello spiritualismo moderno. Conoscersi, scendere negli abissi della propria soggettività, là dove abita la verità è il principio della propria conoscenza, di quella degli altri e del mondo. E’ nell’interiorità- scrive sant’Agostino- che si manifesta la verità. “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas”. L’uomo deve tornare a se stesso, non deve uscire da sé per cogliere la verità. Il “cogito” diventa il fondamento del conoscere, il luogo privilegiato della verità, consentendoci di scendere nelle “terre incognite” del nostro Io, ed aprirci al futuro, all’infinito, che è il mistero nel quale è immersa la nostra esistenza.

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- Arte e scienza

L’arte nel bambino. Una poesia di Giulia Brunetti

 

 

La creatività nel bambino

 

Una poesia di Giulia Brunetti, di a. 9

 

                   Al mio papà                       

Al mio papà strepitoso

che sempre è con me scherzoso.

Oggi, che è la festa del papà

scrivo una poesia per te.

E dirti quanto ti voglio bene.

Voglio paragonarti alle dolci amarene,

anche se siamo in un periodo complicato.

E festeggiare a casa insieme con te accoccolato.

Giulia Brunetti

 

(G.B.) Questa poesia è stata scritta da Giulia Brunetti, di anni 9, il 15 marzo 2022, in occasione della festa del papà. Giulia frequenta la quarta elementare con profitto. Ha una sorellina, Azzurra, di anni 5. Non risulta aver frequentato alcun corso di linguistica o di metrica. La sua poesia è cadenzata da una vena intimistica, interiore, e da stati d'animo genuini, naturali, originali; libera da sovrastrutture, condizionamenti o artifici culturali o intellettuali. Sono parole delicate, chiare e suggestive. I versi scandiscono temi universali ed eterni, come l’amore, gli affetti tenui e delicati, il bene.

C’è poi un importante riferimento al momento storico che stiamo vivendo. Ci ha colpito, al riguardo, la scelta delle parole. Dimostrando un raro senso di equilibrio e maturità, Giulia non ha utilizzato quei termini così intensamente drammatici ed ansiogeni che quotidianamente televisione e stampa ci propinano. Ha scritto infatti, “periodo complicato”.

I suoi, sono versi in cui trionfano l’incanto della vita e i sentimenti. La sua è la voce di un’anima, un’anima genuina e pura.

 

Come possiamo spiegare ulteriormente i versi di Giulia? Come possiamo spiegare la poesia? Spiegare la poesia è un enigma. La qualità estetica ha in prevalenza una natura inconscia e appartiene al mistero del cervello umano, un cervello che rappresenta con i suoi cento miliardi di neuroni la struttura più affascinante e meravigliosa del creato conosciuto. Noi riteniamo la poesia una delle più alte, misteriose ed universali espressioni della mente umana. Definire tuttavia la poesia o l’arte in generale è una esperienza quasi impossibile, poiché le definizioni cambiano di continuo. Un dipinto, ad esempio, può essere considerato bello da una persona e brutto da un’altra. E’ un’attività su cui non vi è ancora alcun consenso. La questione inizia con Platone, il quale afferma che la bellezza è “indipendente”da chi la osserva. A sua volta Kant sostiene che l’arte è “nell’occhio” di chi la osserva. Per la tradizione critica del romanticismo, la poesia è definita come “lo spontaneo traboccare di forti sentimenti (Wordsworth). Negli ultimi anni è notevolmente cresciuto l’interesse per l’arte, il bello e la bellezza. E’ nata in materia una nuova disciplina chiamata neuroestetica. Ciò in virtù delle brillanti scoperte conseguite dalle neuroscienze nella conoscenza e nella comprensione dei meccanismi cerebrali e dei sistemi neurali legati alla poesia, alla musica, alla pittura. Nella letteratura scientifica sono presenti casi di bambini che possiedono un talento artistico. Secondo molti autori, i bambini artisticamente dotati sono forniti di “una sensibilità più intensa alla stimolazione sensoriale”. Gli studi mostrano al riguardo che le fantasie e i temi che assorbono un artista derivano principalmente dai primi cinque o sei anni di vita (Kris). Attraverso un processo complesso di introiezione e identificazione, i genitori, definiti in psicoanalisi “oggetti primari”, vengono gradualmente “interiorizzati” dal bambino. Di qui, l’importanza della “ricostruzione” delle esperienze e delle fantasie della prima e seconda infanzia del poeta, le quali sono due fasi in cui si formano nella mente i tratti fondamentali della sua personalità. La creatività diventa l’esito di forti energie psichiche, un “dono d’amore”, la “predisposizione” a un’empatia (Greenacre). Il fascino della poesia, ma così dell’arte in generale, consiste nella possibilità di liberare il cervello da condizionamenti e lasciarlo spaziare libero, volare nell’aria, alla scoperta di sensazioni nuove, emozioni, sentimenti inespressi. Gli eccezionali risultati delle neuroscienze mostrano che se viene attivato attraverso stimoli adeguati e significativi, il cervello del bambino è in grado di padroneggiare anche questioni complesse, difficili e delicate, come ad esempio, la poesia. La ricerca mostra che alla base della creatività infantile esiste quel “piacere funzionale”, che consiste nel combinare nuove strutture e nuove strategie mentali (Piaget). La creatività risponde in sostanza all’antica aspirazione del filosofo e dello scienziato nel ricercare “l’ eccellenza dell’uomo”, in quanto ogni atto creativo ha la forza di elevare la persona umana a nuova dignità. Rappresentative appaiono le considerazioni di un grande scrittore e medico, Anton Cechov, secondo le quali, le arti, con la scienza, tendono “all’eterno e all’universale”. Esse cercano “la verità, il senso della vita, cercano Dio”. La psicoanalisi ha fornito fondamentali contributi alla comprensione della creatività, penetrando più di ogni altro approccio precedente nella mente dell’artista. Dal punto di vista genetico o evolutivo, Freud considera il comportamento umano (e dunque quello artistico) come se fosse determinato dalle prime esperienze di vita, ossia dalle relazioni primarie del bambino con la madre, il padre e i fratelli, o dalle esperienze conflittuali precoci. La poesia diventa un “prodotto combinato” di pensieri, sentimenti e percezioni. L’artista- chiarisce Freud- è “originariamente” un essere che va oltre la realtà e lascia che i suoi stati mentali, i suoi desideri si realizzino “nella vita della fantasia”. Il contenuto di una poesia o di un dramma- aggiunge il padre della psicoanalisi- può esercitare su di me “un’attrazione forte, proviamo un intenso piacere estetico”, poiché il verso riesce a sprigionare “fonti psichiche profonde”, ha una funzione “liberatoria”, catartica, una sublimazione. Condizione che ci permette di entrare in contatto con la nostra interiorità e con le zone più profonde e oscure del nostro cervello. Ma è anche un rivivere inconscio lo stato emotivo e mentale del creatore. E’ un dialogo tra due anime: l’anima del poeta e quella del lettore. Alcune evidenze scientifiche indicano che la poesia, la musica o la pittura possono provocare effetti emozionali così intensi da indurre reazioni neurofisiologiche e produrre il rilascio di dopamina e di altri oppioidi, che sono le sostanze del benessere, della gioia e della tranquillità dell’animo. Favorendo in tal modo un cammino di perfezionamento, un fecondo percorso esistenziale, un’apertura al futuro. La poesia finisce per rappresentare “l’ideale dell’Io” e incarnare il desiderio inconscio dell’essere umano di “trascendere” i suoi fattori biologici e sociali (Otto Rank). Si determina una condizione che induce serenità e sedazione neuromotoria, quello status che i filosofi greci chiamavano eutymia, il modo di essere interiore in cui si è governati dal “buon daimon”, dallo spirito guida, e in cui si può sperimentare lo stato di eudemonia, di felicità. Il poeta proietta nei suoi mondi magici immagini, stati d’animo, sensazioni, simboli, metafore, processi intrapsichici che alterano e influenzano la realtà attorno e producono cambiamenti psichici, raggiungendo la profondità dell’inconscio. La creatività allora diventa un “discendere” nelle oscure e intricate radici delle cose e un “risalire” da esse avvolti, per Cézanne, nel colore, immersi nella sua luce. Nel bambino, l’attività creativa forgia legami tra il suo mondo interno e quello esterno, genera un ponte tra l’illusione e la sua fantasia, richiamando la “fusione simbiotica” e l’onnipotenza magica, la separazione, la perdita e il riavvicinamento (Winnicott). In lui, fantasia e realtà, illusione e onnipotenza magica si mescolano. Ma come è possibile che il poeta possa raggiungere la sua essenza? Che cosa lo rende capace di trasportarci con lui e di suscitare in noi forti emozioni di cui- d’accordo con Freud- non ci ritenevamo capaci? Sono stati fatti diversi tentativi per rispondere a queste domande. In particolare, è stata proprio la scoperta di Freud della “fantasia inconscia” e del “simbolismo” a rendere possibile una interpretazione psicoanalitica della poesia. Sono state evidenziate, tra l’altro, come le opere d’arte esprimano simbolicamente il contenuto latente delle angosce universali dell’ essere umano, un nuovo mondo, l’equivalente spirituale di una sensazione perduta. Un altro potente contributo alla comprensione della creatività ci proviene dalle neuroscienze. La poesia, la letteratura, la musica, la pittura e altre forme artistiche attivano sistemi neurali, aree del cervello e connessioni sinaptiche, generando nuove emozioni e fecondi processi cognitivi, affettivi ed estetici e alleviando il peso della sofferenza indotta da stati di ansia, depressione, disturbi dell’umore e stress. L’arte può diventare un sicuro strumento diagnostico e terapeutico delle nevrosi e di altri disturbi psichiatrici. Concludendo, i primi anni di vita della persona umana sono particolarmente importanti per determinare lo sviluppo del potenziale cognitivo e creativo. La famiglia e la scuola devono favorire l’attività creativa nei bambini. Sviluppare la creatività significa sviluppare l’intelligenza, la concettualizzazione, la capacità di analisi, giudizio e sintesi del ragazzo. Lo studio della creatività nel bambino è dunque di notevole importanza, poiché l’umanità non fa alcuna cosa se non per merito degli inventori. E’ l’unico fattore attivo nel progresso della civiltà. Le persone di talento infatti indicano e tracciano gli schemi adottati e seguiti dall’umanità.

 

Quali conclusioni trarre? Una bambina di 9 anni, come Giulia,  è caratterizzata da pura potenzialità. Ha davanti un percorso esitenziale ritmato da un processo di sviluppo mentale, affettivo ed emotivo, che rappresenta la messa in atto di quella potenzialità.

La sua crescita sarà scandita dall'azione combinata di molteplici componenti, come la componente genetica, quella socio-culturale e ambientale, le dinamiche interpersonali con le figure parentali, le varie esperienze della vita e gli eventi casuali.

 

Giulia è una "res cogitans", un soggetto pensante. L'entità che pensa dentro di lei non è una parte del suo corpo. E' qualcosa di immateriale, di spirituale.  E' parte della sua unicità. La mente- l'Io- di ciascuno di noi infatti è diversa da quella di chiunque altro.

 

La sua vita sarà un viaggio cadenzato da fasi che non ci sono conosciute. E' un continuo divenire, un perenne fluire di esperienze. L'esistenza è la metafora di un viaggio, per conoscere se stessi, il mondo e gli altri, e per realizzare le proprie qualità.

In questo percorso, c'è una dimensione metafisica, il senso della propria vita, della presenza nel mondo. Giulia la strada la scoprirà mentre sarà in cammino.

E' un viaggio alla ricerca del gioiello dentro di sé, delle voci di dentro, della propria interiorità, della propria spiritualità, del proprio Io. E' iniziazione di crescita e di formazione. E' ricerca di verità e di scoperta.

E' il cammino di Ulisse e di Enea, ossia il cammino dell'essere umano, che riesce ad affrontare le sfide della vita per raggiungere la meta.

Gli strumenti per affrontare questo itinerario sono, secondo noi, equilibrio, saggezza, maturità. Come abbiamo mostrato all'inizio di questo saggio, in Giulia questi elementi sembrano già affiorati in embrione. Se la nostra affermazione si rivelerà assennata, quello di Giulia potrà rivelarsi un viaggio meraviglioso.

 

 

 

   

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- Scienza

La psichiatria: la dimensione fenomenologico-esistenziale

 

Guido Brunetti

La psichiatria e la sua dimensione fenomenologico- esistenziale

 

La psichiatria, nonostante il nome greco ( psyché  e  iatria , cura dell'anima) ha una storia recente. Si ritiene che il primo a parlarne in "De philosophische Arzt" sia stato il medico e filosofo tedesco, Merchior A. Weikard (1742).

Il pensiero illuministico afferma che la malattia mentale è una malattia del cervello, mentre per i romantici è una separazione dalla totalità, l'essenza più profonda dello spirito, la ragione essendo una follia ragionata (Schelling). Il suo cammino passa attraverso scuole spiritualiste (homo coelestis), somatiche, psicoanalitiche (homo natura: l'istinto di Freud), psicopatologiche e antropoanalitiche (homo existentia).

 

Invero, già la medicina del II secolo a. C., cioè alla sua nascita, afferma con Ippocrate che lo studio della follia abbraccia l'uomo nella sua totalità. Una concezione propria della psichiatria fenomenolico-esistenziale, come mostra l'ottimo libro di Carla Eugeni e Raffaele Tumino "La dolcezza psichiatrica di Adelmo Sichel. Il paradigma della cura" ( Aras Edizioni).

La persona, l'essere con gli altri, sono al centro delle riflessioni di A. Sichel, un approccio fenomenologico-esistenziale che rappresenta la base del volume. Qui, filosofia, psicoanalis e psichiatria cercano di esplorare nuove modalità di incontro con il paziente e scandagliare l'interiorità dei paesaggi dell'anima, il dolore inteso come lacerazione, straziante sofferenza, profonda ferita, superando lo sterile etichettamento diagnostico e la stereotipia dei ruoli di medico e  paziente.

 

La teoria psichiatrica moderna nasce quando entra in crisi l'interpretazione magico- religiosa della follia. All'inizio, il trattamento viene concepito come repressione e reclusione in luoghi separati. Con Pinel, nasce il trattamento morale della follia. Le cause della malattia psichiatrica vengono ricercate nella predisposizione ereditaria e nella degenerazione biologica.

 

Dopo l'inizio del Novecento, il modello medico e biologico della psichiatria va in crisi, non essendo state trovate le cause biologiche delle psicosi e delle nevrosi né alcun metodo curativo risolutivo. Gli psicofarmaci, diffusi a partire dagli anni Cinquanta, sono soprattutto sedativi e medicamenti sintomatici, e non veri curativi.

 

Anche se dobbiamo riconoscere la feconda prospettiva del naturalismo psichiatrico (psichiatria organica, psichiatria biologica, neuropsicologia) non si può cadere nel "riduttivismo", come sostenuto autorevolmente da Ludwig Binswanger, per il quale la psichiatria è una scienza dell'uomo, dell'esistenza, esistenza che non è solo "natura", ma è anche "cultura e storia", ossia è anche "persona".

 

L'impostazione fenomenologico-esistenziale analizzata da Eugeni e Tumino ha avuto la sua delineazione più compiuta nella dottrina "antropoanalitica" (Daseinsanalyse) sorta con Binswanger. La base ontologica del nuovo metodo di studio in psichiatria si rifà alla fenomenologia di Husserl e all' esistenzialismo di Heidegger.

L'uomo ( il paziente) è concepito come un "essere-nel mondo", un "essere-con gli altri". Egli è visto come "soggetto", "persona", globalità, e non  "cosa", sovrastando in tal modo ogni reificazione dello psichico e ogni riduzione a un modello. Le psicosi non sono considerate come "deviazioni" dalla norma, ma "particolari modalità del possibile dell'uomo".

 

L'onticità della persona si articola sul versante dell'intersoggettività, in termini di "rapporto" e "incontro". L'Io (la coscienza) si pone sempre come "intenzionalità", come "relazione". Questa visione scandisce il tempo del noi, della "noità", non più il tempo dell'Io.

L'esistenza è coesitenza.

Il mio corpo non è un "corpo", cioè non corpo-oggetto, ma corpo soggetto. E' soggettività. E' "intermediarietà" dell'incontro con l'altro (Merleau-Ponty). L'altro si svela come un'esitenza, come espressione di "senso e significato". E' in questa prospettiva che si pone l'incontro psichiatra-paziente, cioè l'incontro psicoterapeutico.

Questa nuova concezione psichiatrica confida proprio sulla "noità".

 

L'incontro dello psichiatra con il mondo psicotico si compie sul piano verbale. Il "logos" diventa lo strumento essenziale della cura, la dimora dell'essere, l'umanità dell'uomo. In tale propsettiva, è importante "decodificare" in modo adeguato i linguaggi psicotici, come ad esempio lo "sguardo" del paranoide. Un'espressione che ci aiuta a comprendere il suo mondo interiore: la sua sospettosità, il suo guardarsi intorno, l'evasività. Sono tutti sintomi del suo "non-volersi- confrontare" con la presenza dello psichiatra.

Lo sguardo del paranoide diventa manifestazione di un mondo percepito ostile, minaccioso, persecutorio, enigmatico, ansiogeno.

 

Un altro tipo di incontro è il "silenzio". Che non va inteso necessariamente come silenzio di opposizione o di negativismo, ma può essere considerato un invito all'incontro: in questo caso il silenzio riempie i vuoti di un dialogo "verbale e costruttivo" (Callieri). Vale al riguardo l'importanza di talune caratteristiche umane dello psichiatra, come la disponibilità, l'empatia, la capacità di darsi, il bisogno autentico di comprendere il paziente, un atteggiamento di tolleranza e di accettazione.

Queste qualità costituiscono una svolta antropologica, una vera "rivoluzione copernicana" della psichiatria contemporanea.

 

Si tratta di analizzare con attenzione il modo di manifestarsi concreto di singole espressioni fenomeniche, i cui "aspetti costitutivi" sono: diffidenza, sospettosità, ostilità. Analoga attenzione deve essere rivolta al modo di fronteggiare determinate situazioni: guardingo, perplesso, chiusura, ritiro, aggressività, indifferenza.

Nel delirante paranoide e paranoico, l'altro è il persecutore, l'autore cioè di trame ai propri danni da cui occorre mantenersi a distanza.

Il paranoide non dialoga. Si sente controllato, seguito, spiato, comandato.

Anche i più cari, familiari, amici, compagni finiscono per "rivestire i connotati del nemico".

E' questa, per Callieri, la vera malattia esistenziale, la malattia mortale kierkegaardiana o kafkiana. Non bastano allora capacità tecniche, ma empatia e intuizione, ossia una "sensibilità creativa" (Sichel).

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- Filosofia/Scienza

Il cervello uno e trino

Guido Brunetti

Il cervello uno e trino

 

La struttura del cervello è stata paragonata da alcuni neuro scienziati ad una casa costruita un po’ per volta nel corso degli anni. Uno dei più grandi autori delle nuove neuroscienze, Paul Mac Lean, concepisce infatti il cervello come una “struttura trinitaria”, consta di tre formazioni che nel tempo si sono sovrapposte: il cervello rettiliano, il cervello limbico o mammaliano e il neocervello.

 

La parte più antica e profonda del cervello viene designata come il cervello rettiliano perché il suo aspetto è simile a quello del cervello del rettile, una struttura coinvolta negli istinti primordiali, nella violenza e nell’aggressività dell’uomo, che avrebbe fatto la sua comparsa circa cinquecento milioni di anni fa. Questa area corrisponde all’ Es di Freud. Il cervello limbico si è formato fra trecento e duecento milioni di anni fa e corrisponde all’ Io freudiano. Il neocervello è la parte più grande dell’encefalo umano e appare circa duecento milioni di anni fa. E’ l’area più nobile del cervello, ci consente di pensare, capire, comunicare, ricordare, creare. Corrisponde al Super- Io di Freud ed è il luogo preposto alla coscienza morale, al giudizio e alla critica.

 

Tutte e tre queste strutture costituiscono un cervello funzionalmente “unitario", quindi un cervello “uno e trino”.

Ritroviamo questa concezione nella Santissima Trinità, in Platone che descrive il cervello come una coppia di destrieri guidati da un auriga e nel modello di Freud: Es. Io e Super-Io.

La trinità domina quindi la nostra cultura.

Nel numero tre deve esserci- ha scritto Vizioli- qualcosa di “magico”.

 

Il cervello umano, in sostanza, è una combinazione di bene e male, Eros e Thanatos, vita e morte, miseria e nobiltà, egoismo e altruismo, odio e amore. Quando di fronte a certe efferatezze, diciamo che si è liberato il rettile che è in noi, affermiamo- aggiunge il neuro scienziato Vizioli- una precisa realtà che Mac Lean ha scientificamente verificato, Platone intuito e Fred teorizzato.

 

Il cervello ha un peso che varia tra i 1.400 e i i 1.600 grammi, assomiglia ad una noce ed ha la consistenza di un avocado. Sono circa 100 miliardi i neuroni che compongono la sua struttura. I punti di contatto fra le cellule nervose sono costituiti dalle sinapsi. La trasmissione tra i neuroni o cellule è di natura elettrochimica, cioè consta di impulsi elettrici.

 

Ha un fascino ambiguo il cervello, può produrre- precisa Vizioli- la cappella Sistina o il Requiem di Mozart, ma anche Auschwitz, Hiroshima e la tragedia di Medea, la quale uccide i figli per vendicarsi di suo marito.

Dall’armonica integrazione delle funzioni delle aree del cervello, emerge quella che è certamente “la più grande meraviglia del creato”: il pensiero.

 

La mente umana rimane ancora una entità misteriosa, rappresenta una barriera che difficilmente, come sostengono autorevoli neuro scienziati, la scienza potrà superare nonostante l’impegno della filosofia, della teologia, della fede e della metafisica. I più grandi neuro scienziati, come Penfield, Sherrington e i premi Nobel Eccles e Sperry, dopo aver dedicato le loro vite allo studio del cervello e della mente si sono inchinati di fronte al mistero di queste due strutture. E’ un mistero che sempre suscita nei neuro scienziati un senso di meraviglia, soggezione e sgomento.

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- Filosofia/Scienza

L’anima ridotta a sostanza materiale

 

Guido Brunetti

L’anima, sostanza immateriale, “ridotta” a materia

 

La credenza nell’esistenza di due entità ontologiche- anima e corpo- come due dimensioni costitutive dell’uomo è antica, costituisce una tradizione nelle culture, nelle religioni e nelle diverse correnti della filosofia. L’anima è vista come una sostanza immateriale e immortale, e dunque eterna. Questo orientamento viene definito dualismo metafisico. La divisione cioè dell’anima dal corpo.

 

Le neuroscienze moderne e autorevoli esponenti della filosofia contemporanea hanno perso la nozione di anima e parlano della dualità mente-corpo o mente-cervello. Il dualismo è alla base del pensiero degli antichi filosofi greci, soprattutto di Socrate e Platone, l’autore che ha inventato il termine “anima”. L’idea di un’anima immateriale è sostenuta anche da Aristotele, sant’Agostino e dall’antica medicina ippocratica. Nella filosofia moderna, la figura più famosa è quella di Cartesio (1596). Egli considera la mente e la coscienza personale come un’espressione dello spirito immateriale di Dio nella mente dell’uomo.

 

In contrasto con il dualismo è sorto un secondo filone denominato monismo, una scuola di pensiero che concepisce il cervello come un organo della mente. Esiste un’unica realtà, quella materiale. Mente e cervello non sono due entità distinte, ma formano una “unità”. C’è identità fra cervello e mente. Per il monismo, tutto è fisico. La mente è “ridotta” a materia, gli atti psichici sono eventi fisici. Si tratta di un materialismo che viene chiamato riduzionismo e fisicalismo.

 

Una forma di monismo materialista o fisicalismo è il comportamentismo. Questa concezione, che ha dominato la ricerca per quasi tutta la prima parte del Novecento, intende studiare soltanto il comportamento esterno, la realtà fisica osservabile, tralasciando l’introspezione e la mente ritenuta una “scatola nera”, la quale non rientra nel campo di oggettività della scienza e quindi delle neuroscienze.

 

Le neuroscienze riducono gli atti mentali ad atti neurali, ad eventi cerebrali. Gli atti mentali sarebbero privi di valore scientifico. Nei primi anni Settanta del Novecento, il comportamentismo comincia gradualmente a perdere influenza quando si afferma il cognitivismo, il quale si focalizza principalmente sull’attività della mente, vista come “elaboratore di informazioni” e sulla cognizione negli esseri umani.

Le scienze cognitive costituiscono un nucleo interdisciplinare in cui le neuroscienze avranno un ruolo rilevante.

 

La rivoluzione neuro scientifica moderna ha inizio circa cinquant’anni fa con lo sviluppo di nuove, fantastiche metodiche di brain imaging, le quali permettono di osservare in vivo cosa accade nel cervello umano mentre un soggetto compie varie attività. Il termine neuroscienze viene coniato nel 1972 dal neuro scienziato Francis O. Schmitt e indica l’insieme di discipline dedite allo studio del sistema nervoso dell’uomo e degli animali. Esse seguono un metodo rigorosamente empirico: osservano, misurano, descrivono, formulano ipotesi. Respiriamo, pensiamo, immaginiamo, parliamo, ricordiamo grazie al fatto che questi processi comportamentali sono “governati” dal sistema nervoso, in particolare dal cervello.

 

Per comprendere la mente quindi occorre studiare il cervello fisico, “riducendo” la mente, come abbiamo detto, a realtà fisica, a espressione del cervello, dal momento che le neuroscienze devono basarsi sulla realtà fisica, su osservazioni oggettive dei fatti. Di qui, l’equivalenza fra mente e cervello, i quali pertanto diventano un organo unificato. “Riduzionismo” significa che “A non è che B”. Non esiste alcuna attività umana in cui non ci sia “qualche rapporto” con il cervello (J.J. Sanguineti).

 

Nascono nel tempo le neuroscienze affettive, le quali studiano i circuiti cerebrali adibiti alle emozioni, ai sentimenti, agli affetti. Lo sviluppo di questo campo neuro scientifico mostra poi come anche gli animali abbiano comportamenti emotivi. E’ opinione comune che le regioni primitive del cervello e l’amigdala siano la fonte dell’ emotività e della paura.

 

Riepilogo.

Le neuroscienze, così come le altre scienze, si basano sul metodo empirico, sull’osservazione sperimentale dei fatti, della realtà materiale. La scienza esamina e descrive le parti osservabili e misurabili del mondo reale. L’anima, la mente, l’ipotesi Dio, il trascendente, le religioni non possono essere indagati con i metodi scientifici. Sono fuori dalla scienza, poiché non sono oggetti reali, fisici, materiali, ma sostanze immateriali. Per poter studiare la mente, le neuroscienze operano il principio del riduzionismo, “riducono” la mente ad oggetto fisico, materiale. La mente viene esaminata in tal modo come qualsiasi oggetto fisico, un oggetto “osservabile e misurabile”. Secondo questa concezione, la mente non esiste come entità separata dal cervello. Cervello e mente, lo ribadiamo, sono “identici”. Gli atti mentali sono “ridotti” ad atti neurali. La mente perde quindi il suo statuto di sostanza immateriale.

 

Questa visione elimina ogni aspetto metafisico della mente, superando il problema mente-corpo e mente-cervello. Non c’è dualismo, poiché la mente è considerata una proprietà del cervello, una manifestazione dei neuroni.

 

Conclusione.

La concezione secondo cui la mente è il frutto dell’attività del cervello è "indimostrabile" La riduzione degli atti mentali, delle azioni umane a processi cerebrali è ritenuto da molti autori un “errore”, che “banalizza” la persona umana (Alva Noe). La nostra mente e la nostra coscienza non sono “incapsulate” nel nostro cervello, ma sono “estese” anche fuori dal nostro corpo, ossia nel mondo, nelle persone e nelle cose con le quali “interagiamo”. Insomma, l’io- lo spirito- non è il cervello umano. L’uomo non può essere “ridotto” a “scariche neurali”. La soggettività umana ha come nucleo la persona e non può dunque essere risolta in puri processi neurali. Il cervello non pensa, non agisce, ma è la persona che vive, pensa e agisce, servendosi del suo cervello.

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- Filosofia

Il senso della vita

 

Guido Brunetti

Il senso della vita

 

La modernità ha pensato di sostituire l’anima, il trascendente, Dio con la scienza e la tecnologia. L’ illuminismo ha perseguito il suo disegno di rendere l’uomo padrone del mondo. La realtà purtroppo ha dimostrato il fallimento di questo obiettivo. La terra- ha scritto Horkheimer- “splende all’insegna di trionfale sventura”. L’analisi della condizione umana mostra, d’accordo con autorevoli filosofi, l’assenza di un più generale e unitario senso della vita. Siamo dissociati. Lo siamo da noi stessi e dagli altri. E’ questa la condizione psichica e sociale che i filosofi da tempo denominano “morte di Dio”. Siamo senza padre, senza una propria identità. Sono morti anche gli ideali morali, sociali e politici. Il senso metafisico dell’affermazione di Nietzsche- “Dio è morto”- è anche la mancanza di fiducia nella dimensione del sacro e del trascendente. Il mondo sovrasensibile dei fini, per Heidegger, “non regge più la vita”. Manca una visione che dia forza alla nostra vita interiore. Il tema della morte di Dio è stato fatto proprio dai filosofi, in particolare da Hegel, Nietzsche e Heidegger. Un universo “privo di senso” (Noah Harari), che rimuove le domande esistenziali e le trasforma in richieste, come “Quanto guadagno?”, “Che cosa mi compro?”. L’Homo sapiens viene sempre più spodestato dall’Homo consumens. In verità, siamo stati noi- dichiara Nietzsche- a “uccidere Dio”, e siamo noi a subire angoscianti conseguenze. Su di noi infatti alita “lo spazio vuoto”. Ed è proprio perché la natura umana è “corrotta”, come sostiene Pascal, c’è l’esigenza di far “risplendere” la grazia divina. Qualcosa di divino si manifesta nell’interiorità umana. “Dio- precisa Seneca- è dentro di te”. E’ il daimon Socrate e Platone, la personificazione, per Sant’ Agostino, di un’energia divina. Di qui, l’esigenza di riscoprire la concezione dell’uomo come anima, come dimensione spirituale, libertà e creatività, superando la mera dimensione biologica, materiale dell’essere umano. In ciò risiede il senso autentico della vita. Che va cercato in noi, nella nostra interiorità. E’ il bisogno profondo e fondamentale dell’idea di Dio, del sacro e del trascendente. Certamente, rimane il mistero della vita, il mysterium fascinans e il mysterium tremendum, una relazione che affascina e attrae, ma che genera anche tremore e sgomento (Rudolf Otto). Dobbiamo continuare a porci le grandi domande sul perché esistiamo, da dove veniamo, dove andiamo, qual è il senso dell’esistenza.

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- Filosofia

Anima, corpo, trascendente

 

Guido Brunetti

Anima, corpo, trascendente

 

   Le riflessioni sull' idea del divino, del trascendente e dell'anima sono sviluppate a partire dai primi filosofi, soprattutto da Socrate e Platone. 

   Socrate è considerato dal pensiero filosofico antico, moderno e contemporaneo uno dei massimi esponenti della tradizione filosofica, uno dei modelli più alti di quella umanità ideale sostenuta nel mondo antico, una delle sorgenti perenni dellla riflessione filosofica.

  

   Il punto di riferimento più forte resta tuttavia Platone, il filosofo greco che ha "inventato" l'anima ( in greco psyché, "soffio", "spirito"), una sostanza spirituale, indipendente dal corpo e perciò immortale. Egli è considerato il padre della filosofia occidentale e le sue idee hanno influenzato non solo tutta la storia della filosofia, ma anche lo svolgimento dello spirito e la teologia cristiana. La formazione filosofica di sant'Agostino è platonica.

   La storia della filosofia occidentale altro non è- ha scitto Whtchead)- che "una serie di note in margine a Platone".

   Similmente al suo maestro Socrate, Platone considera l'anima qualcosa al di là del mondo  sensibile, un'entità spirituale ed eterna, un'essenza universale, un archetipo di tutte le cose esistenti.

 

   Il principio e la radice della molteplicità degli esseri è l' Uno, il principio Uno e supremo. La realtà sensibile, per Platone, è una forma degradata del mondo delle idee, un'imitazione del puro, eterno e immutabile mondo delle idee, in particolare dell'idea del Bene. Di qui la sua avversione per l'arte e la poesia considerate come una "copia" imperfetta dell'unica vera bellezza, quella delle Idee.

 

  L'uomo, per il filosofo, è composto di due realtà (dualismo platonico): il corpo ha natura materiale e appartiene al mondo sensibile, mentre l'anima è di natura spirituale e proviene dal mondo delle Idee.

   Il corpo è la parte materiale, mentre l'anima è una realtà distinta dal corpo, il quale è una sostanza materiale che per noi rappresenta- scrive nel libro Gorgia- " una tomba". La morte diventa allora una "vera liberazione". Fuggire dal corpo e andare al più presto lassù, nell' aldilà, è l'ideale dell'uomo sapiente, poiché soltanto nel mondo delle idee si coglie pienamente la verità, e con essa si raggiungono pienamente la felicità, la purificazione da forme di vita sempre "inferiori", il Bello e il Bene. La ricerca del Bello e della virtù si acquisisce attraverso l' "eros", l'amore, che va sempre potenziato e coltivato.

 

   Le idee sono le cause delle cose. Esse sono eterne e immutabili. Al loro vertice c'è l'idea suprema del Bene, che si identifica con la Bellezza e la Verità. Alle Idee ci conduce l'Eros, l'amore. L'oggetto dell' amore, che si identifica con la filosofia, è la bellezza, la quale è presente non solo nel corpo, ma anche nell'anima. Per Platone, l'Eros si trasforma in una metafisica, etica e politica.

   A sua volta il Bene non nasce dalle ricchezze e dai piaceri. E' dalla virtù che nascono tutte le ricchezze e tutti i beni dell'uomo.

 

   Nell'uomo, inoltre, si manifesta qualcosa di divino e  di demonico,   qualcosa che i filosofi greci chiamavano "daimon". Il daimon è un evento divino, segno o voce divina, una funzione di Dio. E' un'entità che soccorre l'uomo a fare il bene, impedendogli di fare il male. Si tratta di una spinta interiore, un'intima energia naturale volta all'autorealizzazione, a realizzare il proprio essere. E' l'essenza dell' essere  umano. Il daimon è una guida, una voce interiore, che nasce dal profondo dell'anima e ci induce a fare il bene e ci impedisce di compiere il male. E' la nostra coscienza.

 

   L'artefice divino di tutte le cose, colui che unifica i due mondi, quello sensibile e quello spirituale, è il Demiurgo, il Dio dei cristiani. Dal Demiurgo deriva anche la formazione dell'anima del mondo. Come le anime umane, anche i cieli e gli astri- afferma Platone- sono dotati di intelligenza, una capacità che si diffonde per tutto il cosmo.

 

   Noi quindi siamo la nostra anima. La funzione dell'anima è quella della conoscenza del bene e del vero, a partire dalla conoscenza di noi stessi, portando alla luce gli elementi di verità e di conoscenza che sono in noi (maieutica). E' un processo incessante di ricerca. Il riconoscimento del vero sapere è il primo atto della sapienza ( "scio nihil scire"). Una vita senza ricerca non è degna di "essere vissuta".

 

   L'essenza dell'uomo sta nella sua anima. Egli deve occuparsi soprattutto della sua anima perché- aggiunge Socrate- diventi migliore il più possibile.

   Che cosa è il bene? Il bene- risponde Socrate- è scienza, è conoscenza. Cosa è il male? E' ignoranza, desiderio- precisa Socrate- di fare   il male.

   Chi fa il male e perde il controllo delle proprie azioni ha smesso- dichiara Platone- di essere realmente umano, poiché non usa la ragione, non agisce moralmente bene.

   

   La vicenda umana è dunque frutto di un percorso di conoscenza che "sfocia" nell'impegno per migliorare la propria anima. E' un percorso di conoscenza. Il principio dell' oracolo di Delfi "conosci te stesso" è agire in questo senso. Il metodo dialettico socratico, noto come "maieutica", cioè arte dell'ostetrica, consiste nell'aiutare l'essere umano a portare alla luce dalle profondità dell' anima la capacità di superare le proprie contraddizioni interiori e avviare il processo di conoscenza. Un processo che gli consente di aprirsi alla dimensione divina e del trascendente. Una prospettiva che rappresenta l'esigenza più profonda di ogni uomo.

   Corpo e anima costituiscono la forma del "dualismo" platonico. L'uomo, come abbiamo detto, è infatti composto di anima e corpo.  

 

 

 

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- Scienza

Neuroscienze e psicoanalisi

Guido  Brunetti

Neuroscienze e psicoanalisi

 

Ci troviamo agli albori di una nuova ed eccitante epoca nella ricerca della comprensione del cervello e della mente. Invero, il dibattito sul cervello è stato dominato per quasi duemila anni dalle ide di Ippocrate (460 a.C) e di Galeno (130 a. C.).

 

Oggi, abbiamo due prospettive in materia. Una è rappresentata dalle neuroscienze, le quali studiano il cervello “oggettivamente”, presentando “fatti concreti”. La seconda prospettiva riguarda la psicoanalisi, la scienza della soggettività, la quale studia il mondo interno della mente, gli stati mentali soggettivi, come la coscienza, i sentimenti, le emozioni, i sogni. Questa disciplina ha una natura astratta.

 

Lo scopo delle neuroscienze è comprendere le facoltà mentali, gli aspetti consci e inconsci del comportamento ( sensoriale e motorio, emotivo e cognitivo). Le riflessioni si spostano dall’ambito filosofico e religioso a quello scientifico. Nella scienza del cervello non c’è spazio per “alcuno spirito”. Scompare anche l’idea di anima e di Dio. Ci sono solo dinamiche di una materia complessa. La parola God , Dio, viene sostituita con un’ altra, la di gene.

 

In questa feconda linea teorica, si pone il libro di Shimon Marom “La psicoanalisi e la scienza del cervello. Spazi per un dialogo” (Casa Editrice Astrolabio). Dopo aver sottolineato i tanti errori metodologici degli attuali orientamenti del “riduzionismo neurobiologico”, Marom afferma che le neuroscienze  sono in grado di di stabilire “linee guida”, mentre la psicoanalisi trae ulteriori motivazioni per definire i propri concetti.

 

 

 Dalla ricerca delle neuroscienze emerge un principio fondamentale, quello secondo cui che il cervello, pur essendo un orga­no corporeo, come lo stomaco, il fega­to o i polmoni, possiede proprietà dav­vero prodigiose, speciali e misteriose, che lo contraddistinguono da tutti gli altri organi: è la sede della mente, e in qualche modo determina la sensazio­ne di essere noi stessi, qui e ora, nel mondo.

 

Il tentativo di comprendere in che modo ciò possa accadere — come cioè la materia possa diventare mente — co­stituisce il problema mente-corpo. Il quale rappresenta un enigma affronta­to sin dall'antichità. Di diverso, rispet­to al passato, è l'emergere in questi ul­timi anni di un approccio scientifico, teso a risolvere quell'antico mistero.

 

La questione mente-corpo oggi viene riguardata come quella della "co­scienza", per cui la formulazione del problema da "come emerge la nostra mente dal cervello" è diventata "come emerge la nostra coscienza dal cervel­lo". L'ipotesi straordinaria — ha scritto F. Crick — consiste nel fatto che pro­prio "tu", con le tue gioie, i tuoi dolo­ri, il tuo senso di identità personale e il tuo libero arbitrio, non sei altro che "la risultante di una miriade di cellule nervose". Di per sé, le singole cellule del cervello non sono "mentali"; però quando esse si connettono insieme, ciascuna, secondo i neuro scienziati, contribuisce a creare un si­stema, e il tutto diventa la mente.

 

L'impegno di Crick e dei neuro-scienziati, nella loro ricerca dell'ani­ma, consiste nel cercare di individuare quali siano le regioni cerebrali e quali i processi che costituirebbero i "corre­lati neurali della coscienza", al fine di scoprirne la sede. Gli studiosi che si occupano, nell'ambito delle neuroscienze, del problema mente-corpo, cioè della natura della "coscienza", so­no persuasi che la vita mentale sia il "prodotto" di una rete di centri neura­li.

 

Ciascuno di questi centri sarebbe correla­to ad una funzione mentale, per cui una volta raggiunto l'obiettivo di tro­vare una correlazione analoga per tut­te le diverse funzioni, si sarebbe otte­nuto il quadro completo della mente. Le funzioni mentali, in sostanza, ven­gono assunte come "il risultato"  dell’ azione combinata di tutto il cervello.  Attualmente, il concetto che i correlati neurali delle funzioni menta­li siano sistemi funzionali complessi ri­sulta una posizione condivisa dagli studiosi di neuroscienze.

 

Ai fini di una maggiore compren­sione della coscienza, Solms e Turn­bull propongono che il fattore deter­minante nel collegamento delle nostre percezioni, che confluiscono nel for­mare l'esperienza della coscienza, sia il fatto che esse emergono a partire dalle nostre percezioni interne, le quali sono a loro volta vissuti percettivi del nostro Sé corporeo.

 E proprio per­ché ciascuno di noi esiste come un'en­tità corporea unica che la nostra co­scienza viene vissuta in modo unifica­to. In ultima analisi, si ammette che il corpo viscerale costituisce la base del­la mente.

 

A sua volta, il metodo di studio della mente impiegato dalla psicoanalisi riguarda la possibilità di percepire la mente attraverso l'introspezione o l'autoconsapevolezza cosciente del “mondo interno”. La capacità di guardare "all'interno" rappresenta la proprietà essenziale di una mente, L'Io, che noi tutti percepiamo attra­verso l'introspezione, può anche esse­re percepito per mezzo dei nostri sen­si esterni. La mente, dunque, è intima­mente connessa con il processo d'in­trospezione, che realizza così un'espe­rienza integrata del mondo interno e di quello esterno, radicandola nella sensazione di fondo che genera il Sé. Il computer può anche acquisire la capa­cità dell'intelligenza, ma non quella della coscienza perché non possiede al suo interno la capacità di autoconsa­pevolezza. La  psicoanalisi ci dà l'accesso ai funzionamenti interni della mente.

 

Per la comprensione del cervello e della mente, occorre pertanto considerare lo sviluppo di un modello di relazioni tra costrutti psicologici denominati "oggetti relazionali". I primi oggetti vissuti dal bambino sono le parti del corpo della madre. Questa figura divente  un oggetto ambivalente, cioè un oggetto sia buono sia cattivo. E' l'archetipo di una madre "amorosa e di una madre terrificante" di Jung. Esistono poi anche oggetti relazionali interni legati all'io, al sé, all'oggetto interno della madre e di altre figure.

 

Ogni individuo quindi si costruisce dei modelli di se stesso e del mondo. Non esiste una mente isolata dalle sue relazioni con le menti altrui.

Gli oggetti relazionali poi si riflettono nell'anatomia e nello sviluppo del cervello e costituiscono un fattore determinante nello stesso sviluppo fisiologico umano.

 

Sevono nuove concezioni per scoprire ulteriori aspetti relazionali e riconoscere che il cervello, per Marom, è un "ammasso" di neuroni, tutto il "resto", tutto ciò che è "significativo" è "là fuori", nelle relazioni con il cervello e la mente hanno con le proprie esperienze personali e con il mondo.

Vogliamo dire che la questione cervello-mente molto al di là dei sistemi neurali e dei meccanismi cerebrali e fisiologici.

 

L'obiettivo è allora quello di giungere ad una integrazione e a un dialogo relazionale fra neuroscienze, psicoanalisi e altri campi della conoscenza. Le due discipline sono diverse nei linguaggi e nei mezzi d'indagine, ma condividono gli stessi obiettivi. Il premio Nobel Kandel ha scritto che le neuroscienze forniscono alla psicoanalisi fondamenti scientifici. Di qui, la nascita della neuropsicoanalisi. Molti autori al riguardo affermano che la psicoanalisi dovrebbe essere ricondotta alle neuroscienze.

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Filosofia/Scienza

Alla ricerca del cervello e della mente

Guido Brunetti

 

Alla scoperta del cervello e della mente

 

Abstract.

La ricerca dell’identità, della conoscenza e della cura dell’anima è alla base della riflessione dei primi pensatori, a partire da Socrate e Platone. I temi del cervello e della mente nel Novecento sono poi passati sotto il dominio delle neuroscienze, le quali stanno fornendo una messe di dati sull’ eccezionale complessità del cervello e delle sue fantastiche reti neurali.

 

Parole chiave. Anima, mente, cervello, interiorità.

 

Premessa.

In principio, l’anima, lo spirito, il soffio. Poi, la psiché. Quindi, la mente e la coscienza. Che stanno emergendo come alcuni dei temi centrali e più stimolanti delle nuove neuroscienze. Alla ricerca di sé. Già nell’oracolo delfico “Conosci te stesso” e in Platone c’è l’invito a cercare il sé, la propria interiorità. Perché dove c’è l’anima, là ci sono “vibrazioni”, l’unità del tutto, l’universo della mente, la rete dei simboli e dei miti. Conosci te stesso è una esortazione alla riflessione. Il precetto della conoscenza di sé è un viaggio interiore.

 

Il sé nella visione dei pensatori antichi è un principio di vita “immortale” e di intelligenza capace di trascendere il divenire e che avrebbe preso il nome di psiché, anima. Invero, la domanda sulla natura della psiche- scrive Franco Fabbro nel suo libro “Che cos’è la psiche. Filosofia e neuroscienze” ( Casa Editrice Astrolabio, 2021) è “antica quanto la stessa umanità” ed ha “indirizzato per sempre il modo in cui l’uomo occidentale ha pensato a se stesso”. Di qui, gli stretti rapporti che “intercorrono tra la filosofia e la scienza”. L’opera di Fabbro è animata infatti da una notevole integrazione tra istanze umane, filosofiche e spirituali e le molteplici teorie delle nuove neuroscienze, fornendo una varietà di prospettive.

 

Indagare la natura del cervello e della mente si rivela un cammino che conduce alla philosophìa, all’amore della sapienza e ad esplorare la verità. Il principio “conosci te stesso” rappresenta un fondamentale fattore per interrogarsi sulla “essenza” propria dell’uomo, per elevarsi alla contemplazione dell’universo e dunque pervenire alla conoscenza integrale. Interrogarsi sulla natura dell’uomo.

 

Uno dei primi autori a teorizzare questi concetti è stato Socrate. Il suo scopo era quello di dimostrare che l’essenza della natura umana sta nella sua psiché, ossia nella sua anima, e quindi in ciò che consente all’essere umano di diventare buono o cattivo. Secondo Socrate, l’uomo deve occuparsi soprattutto della sua anima, in modo che essa diventi migliore il più possibile. Il concetto di “anima” e della “cura dell’anima” rappresentano il “cardine” del socratismo. Curare l’anima significa innalzarsi al di sopra della “finitudine umana” e conoscere la saggezza e il divino. Vuol dire scoprire la “radice celeste” della natura umana, il “seme divino” che riposa in essa.

 

Il dominio delle neuroscienze.

Oggi, questi argomenti sono passati definitivamente sotto il dominio delle nuove neuroscienze. L’antico problema anima-corpo viene riformulato sul piano neuro scientifico. L’anima è scomparsa dai testi delle neuroscienze ed è stata sostituita dal concetto di mente. Le funzioni mentali sono ritenute non più entità metafisiche, ma il risultato dell’attività dei neuroni. Non solo le nostre attività mentali sono l’esito di processi cerebrali, ma queste plasmano l’intera nostra esperienza. L’emergere della coscienza e del sé promana dalla plasticità delle connessioni sinaptiche e dalla trasmissione degli impulsi tra un neurone e l’altro (LeDoux). Il cervello diventa così il vero protagonista della commedia umana. Non esistono, secondo autorevoli neuro scienziati, eventi mentali, ma solo cerebrali. E’ provato- scrive Eric Kandel, premio Nobel per la medicina- che “tutti i processi psichici, normali ed anormali, sono funzione del cervello”.

 

La mente, per il materialismo o fisicalismo, è il “risultato” di uno stato fisico. Uno stato della mente è “uno stato del cervello” (Feigl, Smart). Comportamento e coscienza, tanto negli animali, quanto negli esseri umani, sono per intero il risultato- precisa Griffin- di eventi che hanno luogo nel loro “sistema centrale”. Per questa via, è emersa la teoria della “identità” tra fenomeni mentali e fenomeni neuro-fisiologici. C’è insomma identità di corpo e mente.

 

Il mistero della mente.

Tra i “sette enigmi del mondo”, il fisiologo tedesco Emilio Du Bois-Reymond enumera quello dell’origine del pensiero e del linguaggio, pronunciando non solo un “ignoramus” (non sappiamo), ma anche un “ignorabimus” (non sapremo). I problemi della mente e del cervello sono considerati così delicati, difficili e complessi che per definirli vengono usate le parole “enigma” e “mistero”. Il neuro scienziato Vizioli sottolinea al riguardo le “conversioni mistiche” di autorevoli neuro scienziati, come Penfield, Eccles e Sperry, che si “sono inchinati di fronte al mistero della mente, di come cioè una struttura materiale possa dare origine ad un’attività immateriale”. Il venire alla luce della coscienza di sé e di ogni individualità- scrive Eccles- è “un mistero” e si trova “al di là dell’indagine scientifica… è il risultato di una creazione soprannaturale di ciò che in senso religioso è chiamato anima”.

 

Il problema mente-corpo- afferma Popper- contiene “grandi enigmi” che forse non saranno “mai risolvibili”. E’ un problema che rappresenta uno dei più grandi misteri dell’universo. Da una parte quindi il riduzionismo, dall’altra la seduzione del misterioso, del soprannaturale.

 

Conclusioni.

Partendo dall’assunto neuro scientifico che la mente è un “prodotto” dei processi neurali, gli scienziati sono impegnati a comprendere “come” e “dove” avvenga nel cervello la nascita della coscienza. Sta di fatto che i neuroni non producono idee, non creano pensieri o la “Cappella Sistina”, il “Requiem di Mozart”, l’arte di Raffaello o il verso di Dante. Per noi è la mente che permette al neonato di riconoscere il volto della madre, alla gazzella di riconoscere l’odore del predatore e all’individuo di riconoscere la sinfonia di Mahler

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- Letteratura

Caro “cucciolo” Kimi, ti scriviamo

Caro “cucciolo” Kimi, ti scriviamo

 

Noi sappiamo perché ti scriviamo. Affetto, tenerezza, gioia, nostalgia, sofferenza. Tanti anni di intesa e complicità istintive. Anita, io e Valentino, che un lontano giorno di 14 anni fa ti prese in braccio tutto bagnato e sanguinante abbandonato in una strada alla periferia di Napoli, ti abbiamo amorevolmente accudito, assistito e voluto un bene immenso.

Sei stato uno di famiglia. Un grande dono della Provvidenza.

Chi non ha mai posseduto un cane, non sa- ha scritto Shopenhauer- “cosa significhi essere amato”. Il cane- ha aggiunto Victor Hugo- è “la virtù che non potendo farsi uomo s’è fatto animale”.

Queste stupende considerazioni generano in noi la convinzione che l’umanità sarebbe un mondo meraviglioso e pieno di fascino se possedesse la dolcezza, i sentimenti e il cuore del cane.

 

Caro Kimi, ci manchi, ci manchi ogni giorno. E noi non sappiamo come colmare questo immane vuoto.

Ci manca la tua benevolenza, il tuo stile affabile e socievole, i tuoi sguardi, la tua intelligenza, la tua curiosità.

Ci manca la tua grande capacità di intuire i nostri comportamenti e le nostre parole.

Eri privo di egoismo, aggressività, ipocrisia, slealtà, invidia o cattiveria, in un mondo egoista, aggressivo, malvagio.

 

Ti abbiamo tenuto sempre accanto, mite, sincero, fedele.

Una creatura trasparente.

Tornare a casa e sapere che già all’ingresso c’eri tu, pronto a scodinzolare e farci festa era sempre un  momento carico di emozioni e di allegrezza. Momenti di felicità che servivano a compensare la tua tristezza della separazione.

Hai dimostrato di essere un soggetto interamente affettivo. Ci hai allietato l’esistenza, riempito di serenità, letizia, dandoci tanta voglia di vivere. La tua presenza ha migliorato le nostre giornate e dunque le nostre vite.

 

Non ci sono parole per quello che hai fatto per noi.

 

Ti siamo perciò debitori di tutti i meravigliosi giorni vissuti  grazie  alle continue cascate emotive che hai saputo darci. Sei sempre presente in ogni angolo di casa, sei sempre presente in ogni strada che percorriamo E tuttavia spostarci da una stanza all’altra o attraversare i viali che portano alla nostra abitazione senza la tua presenza fisica è per noi un fatto che ci reca una grande afflizione, una grande sofferenza interiore.

 

Sappi, caro “cucciolo” Kimi che il nostro affetto non è mutato, né mai potrà mutare.

E’ un affetto che si sostanzia attraverso un dialogo interiore, un dialogo consolatorio, un esercizio di struggente nostalgia.

 

Ci hai dato forza e, d’accordo con Seneca, tante lezioni di vita.

Con te, carissimo “cucciolo” Kimi, abbiamo perduto un pezzo della nostra esistenza. Ma rimarrai sempre nel nostro cervello e nel nostro animo, con l’affetto di sempre.

 

Il lettore ora potrà capire perché ti abbiamo dedicato tanti saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali.

 

 

                                          Anita, Valentino e Guido Brunetti

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- Scienza

Il cane arricchisce il senso della nostra esistenza

Guido  Brunetti

Il cane arricchisce il senso della nostra esistenza

 

   Le straordinarie e affascinanti scoperte tratte dalla ricerca scientifica sul cane e sugli altri animali hanno segnato il progresso nella comprensione del cervello umano, della medicina, della psichiatria e dell’intera umanità.

   Gli esseri umani dovrebbero tributare rispetto e considerazione verso queste creature. L’uomo, tuttavia, è troppo impegnato nella cura e nello sviluppo del proprio Io per dedicare al mondo animale l’attenzione che merita.

 

   La violenza sugli animali, le torture, le sevizie, i maltrattamenti, lo sfruttamento e

l’abbandono dei cani, soprattutto nei mesi estivi, rappresentano l’autentica cifra stilistica della malvagità umana.

   Gli studiosi sono concordi nel ritenere che questi comportamenti violenti sono legati a quelli sulle persone.

   Il cane buttato, ad esempio, dal cavalcavia è il bambino (o la bambina) ucciso o gettato in mare dal genitore. La letteratura è piena di casi di violenza su bambini e animali.

 

   Di tutti gli  animali- ha scritto Max Twain- l’uomo è “l’unico crudele”: l’unico a infliggere dolore per il piacere patologico di farlo. La civiltà di un popolo, la sua grandezza e il progresso morale, si riconoscono, per Gandhi, anche dal modo in cui tratta gli animali.

 

  Il comportamento di esseri umani e animali, come mostrano le ricerche neuro scientifiche, risulta in modo simile, quando vengono attivati i meccanismi cerebrali. Questa scoperta è stata resa possibile dagli esperimenti condotti sugli animali.

Oggi, possiamo dire che gran parte della ricerca sul cervello è il frutto degli studi eseguiti sul cane e sugli altri animali.

 

Il cane ha capacità sociali ed è in grado di capire gli sguardi meglio degli scimpanzé, prestando attenzione sul luogo dove il suo padrone sta guardando ( Marcus). Questa creatura, ma così anche altri animali, nasce con la capacità di apprendere e di utilizzare le proprie esperienze per migliorare i comportamenti futuri. Questo comportamento è stato chiamato “l’istinto a imparare”.

 

Il cane, come mostrano le evidenze scientifiche e le mie molteplici osservazioni fatte sul nostro “cucciolo” Kimi, ha una sua personalità. Invero, ogni animale ha una personalità individuale, costruita  sulla base degli effetti della genetica, delle proprie esperienze e dell’ambiente.

   Sono stati riscontrati i vezzi delle diverse razze di cani nei minimi particolari. Nelle mie passeggiate nel prato con il cane Kimi ho potuto osservare un’ampia varietà di comportamenti nei cani.

 

   Da tempo, molti dati scientifici forniscono prove che il cane e tutti i mammiferi sono creature “intensamente affettive”.

   Ed è per questo grande affetto che è venuto meno con la scomparsa del caro “cucciolo” Kimi che oggi ci sentiamo in dovere di rendergli sentimenti di gratitudine convinti come sia impossibile colmare un enorme vuoto interiore.

   Il suo affetto non è così differente, pur in diversa forma, da quello manifestato nel cervello degli esseri umani.

 

   E’ stato accertato, inoltre,   che in situazioni di pericolo le persone e i ratti manifestano reazioni di paura simili. Altre ricerche hanno poi indicato che esseri umani, scimmie, topi e altri animali mostrano cambiamenti neurali e ormonali in situazioni di paura.

 

   La conoscenza di sé rappresenta un elemento importante nell’agire umano, ma anche gli animali sono motivati. Ricercano cibo ed evitano pericolo e predatori. Un’altra meravigliosa scoperta riguarda  l’evoluzione del cervello dei primati nell’elaborare aspettative.

   Gli animali hanno la capacità di individuare chi coopera e chi non collabora, chi è amichevole e chi mostra ostilità, chi domina e chi è subordinato.

   I cani, ad esempio, sono creature giocose, compiono gesti ludici, invitano a giocare e riescono a comunicare che la loro intenzione è amichevole e non aggressiva.

 

   Tutti i mammiferi inoltre sognano. Il nostro cane Kimi quando sogna scuote le zampe, emette strani suoni o muove la bocca. E’ stato accertato che i cani spesso possono allattare piccoli di altre specie o piccoli con cui non sono imparentati.

   Questa rivelazione ci porta ad un’altra fondamentale evidenza scientifica: nel regno animale, la cura della prole è un “obbligo”.

 

   Nei mammiferi, l’ accudimento per il benessere dei piccoli può comprendere anche estranei. La cura dell’altro denota l’emergere di ciò che alla fine confluisce nella “moralità”(P. Churchland). In questi comportamenti sono coinvolti l’ossitocina e altri oppioidi.

 

Come i cervelli si curano di qualcosa? I cervelli sono “programmati” per prendersi cura  della propria sopravvivenza. L’avere cura di sé è una funzione fondamentale del cervello. Il quale è organizzato per cercare il benessere. Per gli esseri umani e per i mammiferi, il benessere dei propri piccoli ha lo stesso valore del loro benessere.

 

Sta di fatto che i circuiti neurali sostenuti dall’ossitocina e dalla vasopressina, che sono sostanze estremamente antiche che datano almeno 700 milioni di anni, molto prima della comparsa dei mammiferi, sono predisposti alla cura di sé, dei piccoli e degli  altri (Porges).

 

Come si realizza l’attaccamento nei mammiferi? Il comportamento di accudimento  è innescato dal rilascio di una varietà di ormoni. Il principio che emerge è: “proteggere me stesso” e “proteggere la mia prole” e “gli altri”.

 

Il rilascio di oppiacei crea uno stato di gratificazione e benessere. E’ una situazione che abbiamo sperimentato nell’osservare la gioia dimostrata dal nostro “cucciolo” Kimi quando torniamo a casa, durante le passeggiate al parco e in tantissimi momenti della vita quotidiana. La compagnia con Kimi rappresenta una fonte continua di contentezza e di festosità.

 

   Il “cucciolo” Kimi riesce infine a intuire quando decido di portarlo a passeggio oppure prendergli un biscottino. E’ una conferma delle scoperte neuro scientifiche di questi ultimi anni. Il cane si mostra straordinariamente “esperto” nel predire cosa farà il suo padrone. Questa capacità viene definita “lettura della mente”, ossia “la capacità di attribuzione mentale”.

  

   Al riguardo, dobbiamo dire che la coscienza è una caratteristica di tutti i mammiferi. I principali elementi anatomici che stanno alla base della coscienza sono “molto simili” in tutti i mammiferi.

   Sempre il nostro cane Kimi mostra continuamente sentimenti di gioia, talvolta anche di tristezza o paura. Se mi sposto, ad esempio, in un’altra stanza, dopo pochi secondi mi viene a cercare. Mi guarda, si rassicura ed è tranquillo. Egli  sente la tristezza della separazione e l’esultanza del ritorno e della compagnia.

Concludendo, il nostro cane presenta le nostre stesse somiglianza cerebrali e di comportamento. La compagnia di un cucciolo di cane ci rende più umani.

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- Scienza

Affetto e gratitudine verso il cucciolo Kimi

 

Guido Brunetti

 

Affetto e gratitudine verso il "cucciolo" Kimi

 

La ricerca nel campo delle neuroscienze mostra, tra l’altro, che gli animali hanno sentimenti emotivi.

Il cane, ad esempio, è pieno di emozioni e di affetti.

L’interazione con il cane ci rende più umani (T. Grandin).

Una grande quantità di dati sperimentali e la nostra esperienza maturata attraverso quattordici anni trascorsi con il caro “cucciolo” Kimi, che ci ha lasciato il 15 novembre 2021, determinando in famiglia un vuoto incolmabile e una sofferenza nell’animo e nel cervello che le parole purtroppo non sanno descrivere, indicano che il cane possiede una gamma completa di affetti ed emozioni (Panksepp).

 

Lo studio di questi meccanismi cerebrali nel cane e negli altri animali rappresenta un sicuro percorso scientifico per comprendere i sentimenti di noi esseri umani. Al cane, gli scienziati riconoscono un ruolo importante negli studi sul cervello umano.

 

E' una creatura altamente empatica e sociale, fatto che permette di fare luce anche sulle emozioni. Lo scambio di empatia e fiducia crea un senso di gratificazione e una speciale relazione con il cane (Nayasawa).

L’influenza reciproca tra l’essere umano e il cane è in grado di generare nel cervello umano un accrescimento dei livelli di dopamina, serotonina, ossitocina ed endorfine, definite le sostanze della gratificazione e del benessere (Goodfellow).

 

Il contatto visivo, le carezze, il calore affettivo e i tanti comportamenti gioiosi che suscitano tenerezza e accadimento mostrano il valore di “regolatori emotivi” che questi sentimenti creano.

Nel nostro cervello vengono attivati gli stessi sistemi neurali e le stesse aree cerebrali sia quando coccoliamo il nostro cucciolo Kimi sia quando  Kimi poggia il suo tenero musetto sulle nostre ginocchia oppure quando passeggiando alza di tanto in tanto il suo dolce sguardo verso di noi.

 

Soggetti con disturbi di ansia  o depressione sperimentano un evidente beneficio dopo aver preso un cucciolo. Di qui, il suo impiego come valido sostegno nella terapia dei disturbi psichiatrici. Il cane, come indicano numerose ricerche, influenza la salute fisica e mentale delle persone. Il legame uomo-cane può determinare processi cerebrali e mentali che facilitano comportamenti positivi ed affettivi.

 

Sentiamo verso il caro “cucciolo” Kimi un grande affetto e una enorme gratitudine per tutto il bene, l’attaccamento e i numerosi momenti di gioia e di serenità che ci ha dato. Ci manca moltissimo, anche se la sua immagine, il suo viso, i suoi comportamenti sono impressi nel nostro animo in maniera incancellabile. Non vederlo più, non essere seguito in ogni zona della casa, non averlo qui vicino come sempre quando scrivo, non poterlo portare a passeggio, accarezzarlo e seguirlo mentre nel prato gioca con altri cani o insegue una lucertola: tutto questo fa male, e crea in me, in mia moglie e mio figlio un dolore infinito, un gran vuoto. Era uno di famiglia, uno di noi. Abbiamo perduto una creatura che tuttavia rimarrà sempre una presenza gioiosa e molto cara.

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- Filosofia/Scienza

Alla ricerca della coscienza

Guido Brunetti

Alla ricerca della coscienza

 

   La coscienza? E' uno dei più difficili e complessi interrogativi che le nuove neuroscienze stanno affrontando negli ultimi anni. E' anche una delle più affascinanti sfide poste ai neuroscienziati nel secolo XXI.

   Finora, sono stati compiuti straordinari progressi nel campo del cervello, della mente e della coscienza, soprattutto grazie alle interessanti metodiche di brain imaging.

  

Oggi, siamo in grado di osservare il cervello mentre svolge funzioni mentali e motorie e mentre si trova in differenti stati sentimentali, affettivi ed emotivi.

   Tante scoperte, tanti avanzamenti, ma il cervello, la mente e la coscienza- l'essere umano- restano "grandi sconosciuti". Sono tre parole che nascondono ancora abissi di ignoranza. Appare quasi impossibile definire il concetto di coscienza, se non in termini inafferrabili e incomprensibili. Sull'argomento- ha scritto S. Sutherland- "non è stao scritto nulla che valga la pena di leggere".

   E' ancora un mistero.

 

   In questo progredire delle neuroscienze, un prezioso contributo è fornito dal nuovo libro di Vittorino Andreoli, che s'intitola "L'origine della coscienza" (Solferino). Un testo gradevole, ricco di umanità, passione, entusiasmo e  scienza. E' un percorso condotto in un flusso inarrestabile di idee, riflessioni, concetti, ipotesi alla scoperta dei tanti volti dell'uomo, un essere che si rivela  "un grande sconosciuto".

 

   Il termine coscienza si riferisce allo stato globale dell' essere attento, consapevole     e vigile.

    La sua funzione è quella di renderci conto di quello che proviamo. Essa ci dice se qualcosa è "buono" o "cattivo".

La coscienza è individuale e immateriale, appare una struttura complessa e variabile, che emerge da un processo continuo, perciò non può essere considerata immutevole, fissa e meccanica. Il segno più evidente degli stati soggettivi è il linguaggio verbale e il linguaggio non-verbale, quello dei gesti e della mimica.

   Ci sono parecchi livelli di coscienza. Uno dei più rilevanti è la coscienza di Dio, insieme con quelli rappresentati dalla trascendenza, da un mondo altro, da qualcosa che è "totalmente alieno dall'esperienza umana".

  

Non esiste uomo, per Andreoli, che non avverta la coscienza della trascendenza, non c'è cultura della storia passata e presente che non l' abbia considerata.

   Anche chi nega Dio è costretto a considerarlo come colui che crede, per il fatto di negarlo.

 

   L'idea di Dio è insomma una caratteristica dell'essere umano. E' un fatto biologico, innato. E' un bisogno dello spirito umano. E' "dentro" la persona.

   La scienza non potrà mai dire se esiste o non esiste Dio, ma può affermare che Dio  "serve alla propria esistenza". E' impossibile una dimostrazione scientifica dell' esistenza di Dio.

   Fede e ragione sono due dimensioni complementari, parti della conoscenza, esprimono un livello particolare di coscienza ed entrambe aiutano a vivere e progredire.

 

   La scienza non può pretendere di avere il privilegio del sapere, né tantomeno della verità. Essa non conduce necessariamente alla verità, ma alla probabilità, alla possibilità.

   La via di soluzione non scientifica dei problemi dell'uomo e del mondo risulta altrettanto fondamentale di quella scientifica. La fede costituisce un'esigenza dell'essere umano.

 

   Da sempre considerata patrimonio della filosofia, il concetto di coscienza si è trasformato in un argomento scientifico, a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso.

   Alcuni autori, soprattutto tra i filosofi, continuano a ritenere che gli stati soggettivi della coscienza, le nostre esperienze interne, le nostre sensazioni- i "qualia"- non possono mai essere esaminati scientificamente perché sono vissuti  personali, soggettivi.

   I neuroscienziati non sono d'accordo, ritengono che è possibile indagare la coscienza e trasformare la soggettività in una scienza. Gli stati soggettivi- affermano- scaturiscono da reti neurali. Il compito delle neuroscienze è quello di ricercare i meccanismi oggettivi, biologici coinvolti nei processi soggettivi. Grazie a una serie di metodi sperimentali, oggi è possibile seguire "gli schemi di attività neurale" che intervengono negli atti coscienti (Dehaene) attraverso l'introspezione, ritenuta una fonte di informazione attendibile.

 

   Invero, la coscienza rappresenta una parte limitata della mente. La maggior parte della nostra vita mentale, come aveva già sostenuto Freud, procede in modo inconscio. Una ricerca al riguardo mostra che il 95 per cento delle nostre azioni è determinato dall'inconscio. La coscienza pertanto è in grado di spiegare solo il 5 per cento del nostro comportamento (Chartrand). Questa posizione, oggi, è ampiamente accettata anche dai neuroscienziati.

   Sta di fatto che la coscienza, secondo le moderne neuroscienze, è una funzione evoluta, una proprietà biologica emersa dall'evoluzione, poiché è "utile". Essa quindi occupa un importante ruolo cognitivo, potendo affrontare questioni che la mente inconscia non può esaminare.

 

Concludendo, siamo ancora all'inizio, le prospettive sono eccitanti. Dobbiamo rispondere a tante domande. Cosa è l'autocoscienza? I bambini sono coscienti? Qual è l'esatto momento nel quale emerge la coscienza? Gli animali sono coscienti?

 

                        continua

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- Filosofia/Scienza

Ipotesi Dio e ipotesi degli errori casuali

Guido Brunetti

L’ ipotesi Dio e l’ ipotesi del caso

 

  Filosofi, scrittori e scienziati da sempre si confrontano sulle grandi questioni dell’esistenza: le origini dell’universo, Dio, il senso della vita, il rapporto tra scienza, ragione e fede, evoluzionismo e creazionismo.

 

 Sta di fatto che ragione e Dio, scienza e religione, creazionismo ed evoluzionismo rappresentano alcune tra le più rilevanti conquiste dell’umanità. Presentano posizioni diverse, ma sono complementari, poiché appartengono alla dimensione dello spirito. Di qui, l’esigenza di superare antiche e puerili incomprensioni e contrapposizioni per collaborare e interagire, al fine di promuovere il progresso della cultura e della scienza.

 

 

  Oggi, il termine evoluzione indica la teoria biologica secondo cui le specie vegetali e animali si sono modificate nel corso dei tempi. Tutti i viventi sono tra loro “imparentati” e rappresentano una fase transitoria di un lento processo di trasformazione. L’evoluzione, per Darwin, avviene per selezione naturale, la sopravvivenza degli individui più dotati nella lotta per l’esistenza.

 

 La scienza è tuttavia legata al metodo naturalistico, perciò  non è in grado di dare spiegazioni su quelle che Popper ha definito “questioni ultime”, come per l’appunto, l’idea di Dio, la fede, il trascendente o la religione. Da parte sua, il creazionismo è la dottrina che pone a fondamento dell’universo la creazione divina, come indicano i racconti della “Genesi”. Che cosa fare? Accettare l’incertezza, che vuol dire probabilità.

 

 La probabilità- afferma Roberto Volpi nel suo godibile volume “Dio nell’incerto. L’altra scommessa di sapiens” ( Leg edizioni)- regna ovunque. Tutte le nostre azioni sono l’espressione di probabilità. La massima incertezza riguarda la domanda: come è nato l’universo? Il mondo-risponde la scienza- è nato dal Big Bang, il grande scoppio, l’esplosione dalla quale ebbe inizio l’universo circa 13,8 miliardi di anni fa.

 

 Il punto oscuro, mai chiarito, è che non sappiamo come è nato il Big Bang, né su che cosa è esploso o perché è esploso. In sostanza, le ipotesi sull’origine del mondo riguardano quella quantistica e l’ “ipotesi Dio”. Entrambe le teorie non sono tuttavia valutabili scientificamente. Tutto inizia quindi con un’esplosione inaudita, spargendo in ogni direzione un’immane quantità di materia, dando così origine al mondo. E’ una supposizione inspiegabile e misteriosa.

 

 Anche l’ “ipotesi Dio” resta al di là della scienza, fuori da ogni analisi scientifica. Dio non può essere indagato con i metodi scientifici. La scienza perciò non può negare né affermare l’esistenza di Dio. Tuttavia, l’ “ipotesi Dio”, per il filosofo e teologo Joseph Ratzinger, è “più ragionevole” di altre ipotesi, perché è fondata su criteri di “ragionevolezza”. La ragionevolezza di Dio- precisa il papa emerito- costituisce un potente fattore di interazione tra ragione e fede e risiede nella creazione del mondo e della vita e nella procreazione. Non è quindi “ ragionevole” considerare l’uomo, come sostengono molti scienziati, nient’altro che il prodotto di “errori casuali”.

 

 Circa poi la presenza di elementi di fantascienza nella teologia sostenuta da alcuni studiosi, Ratzinger risponde che, in verità, la fantascienza “esiste nell’ambito di molte scienze”, come le teorie fisiche sull’inizio e la fine del mondo e la teoria dell’evoluzione. Le quali sono “visioni, immaginazioni, congetture, ossia fantascienza”. Il gene egoista di Dawkins e la concezione elaborata da J. Monod sul caso e la necessità sono “solo ipotesi di fantascienza.

 

 La teoria dell’evoluzione come dominio assoluto dei geni è una costruzione “favolistica”, che non riesce a dimostrare scientificamente né i grandi salti delle specie né la nascita della coscienza. Per gli evoluzionisti, Dio non esiste e il mondo non ha bisogno di Dio. Gli esseri umani e l’universo sono il risultato di “errori casuali”, frutto del caso e della necessità. Dire questo non è fare scienza. Dio è un modello che risulta “ineguagliato” nell’ universo.

 

 Concludendo. C’è la stessa probabilità che Dio esista o che Dio non esista. Credere in Dio, vuol dire, d’accordo con Wittgenstein, dare un senso alla propria esistenza. L’idea di Dio, del trascendente e dell’anima è, come dimostrano le ricerche delle nuove neuroscienze, un bisogno biologico, innato, naturale dell’uomo. La scienza, lo ribadiamo, non è in grado di dimostrare l’esistenza di Dio né confutarla. Ripetere che Dio non esiste e che il mondo non ha bisogno di Dio, come stancamente si ostinano a dire genetisti e neurobiologi con il sostegno della teoria evolutiva di Darwin non è fare scienza, ma esprimere soltanto opinioni, congetture. Sono affermazioni generiche, grezze, “quasi primitive”, idee arroganti e stantie, superate, in quanto non sostenute dalla forza della dimostrazione scientifica.

 

 Invero, nel corso di milioni di anni, l’uomo ha subito notevoli cambiamenti rispetto ai nostri parenti più prossimi, gli scimpanzé, dai quali ci siamo separati, venendo da un progenitore comune, come dimostra il fatto che abbiamo lo stesso DNA (98-99 per cento). L’essere umano ha sviluppato infatti la stazione eretta, il linguaggio, il pensiero astratto e simbolico, la coscienza e l’autocoscienza, l’arte, la poesia, la musica, la pittura. Appare dunque pretestuoso e azzardato, d’accordo con Volpi, il tentativo di biologi e genetisti di spiegare queste differenze come “conseguenza” del DNA. Il DNA conta meno.

 

 Che cosa allora distingue l’uomo dagli animali? E’ il pensiero. E’ la sua capacità di “pensare Dio”. Non è la scienza- afferma con forza il grande filosofo e teologo Ratzinger- a operare l’enorme salto tra gli uomini e gli altri primati, ma la visione religiosa del mondo”. L’uomo è un essere religiosus. Non sta tutto nella sua materialità, ma nella sua essenza, nella sua entità spirituale, trascendente, religiosa.

 

 Mettere in discussione, come fanno molti filosofi e scienziati, la superiorità dell’ Homo sapiens, sostenendo che non c’è alcuna differenza fondamentale tra la mente umana e quella animale (F. De Waal) è un errore. La mente- il pensiero- ( realtà immateriale) e non il cervello (realtà materiale)- è al “vertice” dell’ Homo sapiens. E’ il pensiero che lo porta a comprendere la realtà del mondo, l’ambiente e i comportamenti di altri soggetti. Nessun altro vivente possiede questa capacità. L’uomo non è di conseguenza un vivente la cui mente non è che “una variazione” della mente animale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Scienza

Perché serbiamo memoria del caro ‘cucciolo’ Kimi

 

     Guido Brunetti 

Perché serbiamo memoria del caro "cucciolo" Kimi

 

Il  presente saggio ha lo scopo di ricordare il nostro “cucciolo” Kimi- l’ombra più dolce mai lasciata- che non c’è più; le capacità del cane circa intelligenza, affetti, emozioni, coscienza e autocoscienza, morale, “teoria della mente”; la sua funzione terapeutica nella cura dei disturbi psichiatrici; la sua qualità di generare effetti benefici sul piano bio-psichico e mentale; di dare gioia, serenità, tranquillità nell’animo e momenti di felicità; il suo grande ruolo infine ricoperto nel favorire il progresso della scienza, della medicina e della psichiatria.

 

 Come mostrano molteplici ricerche neuro scientifiche, il cane ha contribuito al progresso dell’umanità e della scienza, e al benessere bio-psichico e mentale dell’uomo.  Da sempre rappresenta un sicuro sostegno psicologico, emotivo e affettivo per gli esseri umani, una fonte di gioia e di serenità, come evidenzio nel presente lavoro, portando la testimonianza del mio  amatissimo cane, Kimi, scomparso il 15 novembre 2020 dopo quattordici anni, lasciando un dolore indicibile, un vuoto incolmabile, struggente nel mio animo e in quello di mia moglie Anita e di mio figlio Valentino, il quale in un giorno piovoso di molti anni fa  lo prese  con sé sanguinate e sofferente mentre giaceva in una pozza di fango e sangue per le ferite, abbandonato in una strada alle porte di Napoli.

“E’ un’immagine- ricorda commosso Valentino- scolpita nel mio animo. Tornavo a Roma da Napoli, dove avevo partecipato come avvocato ad un processo. Uscendo dalla città, vedo che sul ciglio della strada era steso   un cucciolo di cane. Scendo dall’auto, mi avvicino. Aveva lo sguardo assente e impaurito, nessuna reattività neuromotoria né emotiva. Una scena per me carica di pietà, angoscia e sofferenza, e rabbia. Rabbia perché una  creatura  abbandonata è agli occhi di madre natura una cosa proibita.

Lo prendo tra le braccia, lo accarezzo e lo adagio sul sedile dell’auto, gli pulisco la ferita, fasciandola con il mio fazzoletto e cerco di asciugarlo. Corro quindi veloce verso Roma, poggiando la mia mano sul suo capo.

Giunto a casa, lo adagio su una poltrona e lo rifocillo. Non si regge in piedi, è denutrito, stremato, debilitato. Ancora sporco di sangue e di fango, corro subito dal veterinario. Che gli presta le prime cure. ‘Se viene accudito e assistito in modo adeguato- dice il veterinario- si riprenderà’.

 

Torniamo a casa- prosegue Valentino-, gli porgo un biscottino. Ha difficoltà a prenderlo e a mangiarlo. Lo accarezzo. Gli parlo. Cerco di dargli i croccantini. Lo rassicuro. E così fino al momento di andare a dormire. Nel dargli la buona notte, gli accarezzo il musetto. Lo guardo e scorgo una lieve reazione muscolare ed emotiva. Sembra la fine di un incubo infinito.

Raggi di sole dopo un nubifragio.

Ora Kimi ( è il nome che gli ho dato) mi guarda. L’immagine del suo sguardo così tenero mi commuove. La scena dolente e drammatica dell’inizio, mi è rimasta  nel cervello e nel cuore ed è una scena che mi accompagnerà per sempre.

 

 Dopo pochi giorni, Kimi si ristabilisce, appare in buone condizioni fisiche, è vivace, dà e vuole affetto.

E subito diventa uno di famiglia.

Comunichiamo benissimo e ci comprendiamo in maniera straordinaria perché usiamo il linguaggio universale dell’affezione, dell’empatia e della generosità.

Una storia triste e drammatica che si risolve a lieto fine: una vita salvata. Mi viene in mente- conclude Valentino che fatica a trattenere le emozioni- un principio contenuto nella Bibbia: ‘Chi salva una vita, salva il mondo intero’.

 

Quella di  Kimi è una storia che ha generato in noi, che lo abbiamo tenuto in una condizione di accudimento e affetto, tanta gioia e benessere biopsichico.

 

La sua scomparsa è  stata  una grande perdita. Una grave separazione, un distacco che, d’accordo con Emily Dickinson, è un abisso di pene. Lasciare il suo bene, il suo affetto, la sua devozione, la sua fedeltà e la sua tenerezza e il suo tenero e gioioso sguardo.

‘E’ l’ombra più dolce mai lasciata’ impressa nella nostra mente e nel nostro  cuore per usare un bellissimo verso di un grande poeta americano, il quale fa dire al suo cane: ‘Ti seguirò anche dopo la morte’. Una perdita che fa male, che genera malessere e brividi di smarrimento.

 

Ci conforta sapere che Kimi apparteneva ad un mondo, quello animale, che ha dato un decisivo contributo allo sviluppo della scienza. Gli scienziati cercano nel cane e negli altri animali le risposte ai misteri del cervello umano. Soltanto attraverso lo studio del cervello animale è stato possibile infatti avviare la comprensione del cervello e della mente umana, dei nostri processi cognitivi, affettivi ed emotivi. Senza modelli animali non sarebbe realizzabile alcuna seria conoscenza delle nostre funzioni cerebrali.

Le storie di successo delle scienze neurobiologiche, della medicina e della psichiatria sono dovute alle meravigliose scoperte tratte dal cane e dagli altri animali. La ricerca animale sull’insulina, ad esempio, ha salvato decine di milioni di bambini da una morte prematura.

 

Kimi possedeva molte qualità.                                     

 

Ci sono prove schiaccianti che nel cane, ma così anche in altri animali, sono presenti affetti, emozioni e attitudine all’apprendimento.

Ricerche neuro scientifiche poi indicano che anche nel cane sono presenti aree cerebrali che costituiscono la base della coscienza. Animali, come i cani, sono dunque coscienti, hanno una coscienza primaria. Ovviamente, un diverso grado di coscienza rispetto all’uomo.

Ci sono inoltre evidenze scientifiche che esiste addirittura un certo grado di autocoscienza, di consapevolezza di sé.

 

Esperimenti approfonditi hanno rivelato poi che nel cane c’è un sistema morale, il quale si è sviluppato a partire dagli istinti primordiali animali milioni di anni fa.

 

Nella mia ricerca su Kimi ho moltissime prove di stati di empatia, altruismo, coscienza e di comportamenti morali.

Anni fa ero seduto con un libro nelle mani. Ero triste e assorto nei miei pensieri per un evento luttuoso. Mi accorgo che il mio cucciolo mi osservava come per capire il mio stato d’animo, indeciso se avvicinarsi. Aveva uno sguardo colmo di   affetto e tenerezza, cosa non sempre praticata dagli esseri umani. Lo guardo anch’io con tenerezza, gli sorrido. Lui rincorato si avvicina e poggia il suo musetto sulle mie ginocchia. E’ stata una scena commovente, un grande prova di empatia, un comportamento consolatorio. Una grande sensibilità morale.

 

Questa testimonianza conferma ciò che molte ricerche hanno dimostrato. Il cane è dotato di una “teoria della mente” e di empatia. Ha la capacità di “sintonizzarsi” con i sentimenti e i pensieri di altri soggetti. Ha l’attitudine a comprendere gli stati mentali altrui, come emozioni, intenzioni, desideri, credenze, conoscenze. Il cane capisce se nel suo interlocutore c’è stato un cambiamento di umore. E’ quanto ha fatto Kimi con me nell’esempio sopra descritto.

 

Il ‘cucciolo’ Kimi possedeva anche capacità intellettive.

Ricerche nel campo delle neuroscienze  precisano che nel cane sono presenti  diversi livelli di intelligenza, come l’abilità a farsi capire e a capirci. E’ in grado poi di comprendere gli sguardi e ha capacità sociali.

 

L’interazione con Kimi pertanto ci ha fatto stare bene, una condizione che abbiamo vissuto fin dall’inizio, quando espressi su di lui questi stati d’animo.

 

E’ placido e dignitoso.

Non piagnucola sulla sua condizione,

né piange sui peccati che non ha.

Mite, gioioso, buono, tenero.

Parla con gli occhi e con la sua armonia gestuale.

“Virtù umane” non possiede: non odio, né malvagità, invidia, egoismo, cinismo, maldicenza.

E’ un dono della Provvidenza.

 

 

Da quanto finora detto, si può comprendere come il cane sia da questo punto di vista un regolatore emotivo e un terapeuta, giovevole in campo medico, psichiatrico e psicoterapeutico. Induce sedazione neuromotoria, calma, tranquillità nell’animo, dà affetto, gioia e momenti di felicità, trasmette emozioni. L’insieme di questi meravigliosi doni produce effetti benefici sulla salute e il benessere bio-psichico e mentale della persona, attraverso una cascata di ossitocina e altri oppioidi, considerati sostanze del benessere e del piacere, riducendo in tal modo stati d’ansia e di depressione, stress, inquietudine e i tanti malesseri indotti dalla vita moderna.

Il cane dnque dà salute e lenisce la sofferenza umana.

 

Su tutti questi aspetti, ho parlato di Kimi nei miei libri sul cervello, la mente e la coscienza e su riviste scientifiche, come la “Rivista di psichiatria” e “Neuroscienze”.

Durante questi quattordici anni, Kimi – e non ci stancheremo mai di ribadirlo con forza- è riuscito a inondare la nostra esistenza di bene, calore affettivo ed emotivo, tenerezza, gioia e serenità. E tanto amore e tanti momenti indimenticabili di felicità.

Un legame solido, forte, speciale, attraverso continue dimostrazioni di affetto.

Un rapporto empatico, anche per mezzo di un incessante contatto visivo, offrendoci continuamente motivi di meraviglia.

 

Si è  creato così un sentimento affettivo di appartenenza che nel tempo è diventato indissolubile. E’ quel sentimento che lega i genitori ai figli, sperimentato con Kimi attraverso passeggiate quotidiane, nella cura e nell’accudimento, nell’igiene, nell’alimentazione, nelle carezze.

 Questa, la sua incommensurabile essenza affettiva ed empatica. E’ stato un meraviglioso dono della Provvidenza. Lo sento sempre presente. Non posso uscire senza rivedere e percepire la sua forte presenza mentre cammina al mio fianco. Una grande afflizione.

 

Kimi continua a restare con me, con mia moglie Anita e con mio figlio Valentino. La sua dolce e tenera presenza fa parte di quei ricordi dai quali non si esce mai.

E’ la nostalgia di Kimi: un ricordo di gioia, ma anche di dolore perché non c’è  più.

 

Kimi è stato un angelo che si è staccato dalla schiera degli angeli ed è sceso sulla Terra per rendere lieta la nostra esistenza. Ora, egli è tornato tra gli angeli.

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- Filosofia/Scienza

L’etica della gentilezza

Guido Brunetti

L’etica della gentilezza e la sua funzione terapeutica.

 

Il 13 novembre ricorre la “Giornata mondiale della gentilezza", un anniversario particolarmente importante in una fase della nostra vita sottoposta da tempo a disagi, tensioni, ansia e stress. Apparentemente semplice e comprensibile, il concetto di gentilezza assume molte forme e significati. Soprattutto nella nostra epoca, estranea e indifferente ai valori, all’interiorità e alla generosità, la gentilezza è un elemento necessario alla conoscenza, alla crescita dell’individuo e alla cura di ogni umana sofferenza.

 

E’ un sentimento fortemente legato alla saggezza, la quale ha una dimensione etica, come concorda il grande psichiatra Eugenio Borgna. E’ l’arte di ‘condursi’ nella vita per conseguire quello che ci si prefigge come ideale etico. Non c’è segno esteriore di cortesia- ha scritto Goethe- che non abbia un profondo senso morale. Oggi, avvertiamo molto la mancanza di gentilezza, ossia di educazione, cortesia, affabilità, buoni sentimenti, nobiltà d’animo, elevatezza morale e spirituale. In questo senso, essa è anche empatia, che si declina in base alle teorie filosofiche e neuro scientifiche.

 

Si tratta di comportamenti, come mostrano le ricerche neuro scientifiche, che affondano le proprie radici nei circuiti cerebrali più antichi, evolvendosi dagli inizi ancestrali nei cervelli dei rettili, milioni di anni fa. L’investimento sulla gentilezza, solidarietà o empatia, si fonda su un insieme di meccanismi del cervello e sistemi neurali preposti all’accudimento dei neonati e allo sviluppo dei legami affettivi.

 

Nella storia dell’Occidente, la gentilezza è soprattutto legata alla cristianità, la quale valuta come sacri i sentimenti generosi delle persone espressi attraverso la carità, l’amore e l’altruismo. La gentilezza, per il filosofo e imperatore Marco Aurelio, è “la delizia più grande dell’umanità”, un fattore importante- secondo Darwin- per l’evoluzione della specie e dell’umanità, un indicatore- aggiunge lo psicoanalista Winnicott- di salute mentale, che ci rende- precisa Rousseau- “pienamente umani”. Dunque, la gentilezza come valore umano, sociale e morale.

 

Recenti ricerche nel campo delle neuroscienze mostrano al riguardo che anche gli animali hanno una tendenza alla generosità. In pratica tutti i mammiferi, e gli uccelli, manifestano l’impulso all’accudimento. Questi impulsi provengono da meccanismi del cervello innati ed hanno la capacità di aprirsi all’ascolto e al dialogo, di scendere nelle terre sconosciute della nostra interiorità. E’ cura e attenzione per gli altri. Ci avvicina al dolore e alla sofferenza e ne lenisce le ferite. Non c’è cura, cura dell’anima e cura del corpo, se non è ‘intessuta’, per Borgna, di gentilezza e saggezza. La salute mentale di tutti i mammiferi è legata in maniera decisiva alla qualità di questi sentimenti. Nell’attivazione di tali rapporti emotivi ed affettivi, un ruolo rilevante è svolto dall’ossitocina e da altri oppioidi, i quali possiedono una quantità di effetti positivi per il benessere fisico e mentale della persona.

 

La medicina e la psichiatria hanno bisogno di parole ‘delicate’ e piene di gentilezza, prudenza e saggezza. Le stimmate della gentilezza si rivelano nel modo di ascoltare, comprendere e rispettare. Anzitutto, occorre scegliere le parole giuste, quelle che non feriscono, ossia che generano ferite che sanguinano. Esse possono salvare o perdere una persona. Si devono perciò scegliere le parole che salvano e aiutano a vivere. I farmaci, soprattutto in psichiatria non bastano. Le parole gentili curano, hanno una forza non solo umana e morale, ma anche terapeutica, salvifica. E’ pertanto importante anche il “modo” in cui si dicono. Di qui, il rilievo che assume il linguaggio delle parole, il linguaggio dei volti e degli occhi, degli sguardi, delle lacrime e del dolore. Parole gentili e voci garbate, rispettose, educate e voci gridate, aggressive e rozze.

 

Una parola poco gentile pronunciata dal medico può causare, lo ripetiamo, “ferite che sanguinano”. Ricerche di autorevoli medici e studiosi di medicina mostrano che il medico, la medicina e la sanità attraversano una forte crisi. Essi hanno acquistato in tecnologia quello che hanno perduto in umanità. Un cambiamento traumatico, una rivoluzione antropologica. Una barriera calata tra medico e paziente. Un processo di “disumanizzazione”.

 

I medici appaiono ansiosi, insicuri, frustrati, demotivati, stressati e dunque poco gentili, non empatici, scostanti, rigidi, aggressivi, algidi. Sono sintomi messi in opera per controllare le loro ansie e la loro insicurezza. Sono meccanismi di difesa già studiati in psicoanalisi. Emerge un medico burocrate, somatologo, attento solo ai dati di laboratorio. Il tecnico di un corpo diviso. Scompare la persona del malato. Che diventa un Io scisso, frantumato, senz’anima. C’è solo un insieme di organi su cui indagare, spesso in modo ossessivo. Il paziente diventa una macchina e il medico un meccanico. Con la persona, sono scomparse le antiche, nobili virtù del medico, come bonomia, calore affettivo, serenità, conforto, sostegno, affabilità, gentilezza, empatia. Tutte qualità invocate inutilmente di una professione che gradualmente “rinuncia” alla propria vocazione “umanolgica”. Sono qualità fondamentali in ogni cura, del corpo e della mente. Sono alla base della stessa cura.

 

C’è una forte esigenza di ‘umanità’ e ‘umanizzazione’. E’ un vistoso paradosso: quello di dover rendere umano ciò che umano e soltanto umano dovrebbe essere per “statuto e definizione”, e che invece si ammette essere “scaduto” a “disumano”. Una cura stravolta in “incura”. Il risultato è una progressiva “de-professionalizzazione” del medico con la privazione di ogni rapporto interpersonale empatico. E’ la “disumanizzazione” della medicina. Una realtà percepita anche da molti medici. Per curare e guarire non basta la scienza. Ci vuole l’anima. Che è disponibilità umana, capacità di empatia, di comunicare e di relazionarsi con l’altro. Occorre una dimensione etica dell’educazione medica, la quale esige il possesso di un bagaglio di valori e qualità, al centro dei quali ci sono i bisogni dell’essere umano. Che non è solo corpo, ma è soprattutto spirito, mente, coscienza, Io, emozione, sentimento, essenza. Una persona che deve essere curata in un ambiente altamente umano e umanizzante. Dove non ci siano mancanza di gentilezza, arroganza o supponenza, ma rispetto, educazione, disponibilità, sensibilità, sostegno, calore emotivo. A tutti i livelli.

 

Per molti autori infine la gentilezza è considerata un sintomo di fragilità e di debolezza. Spesso, essa è vista come una forma di moralismo, egoismo o ipocrisia. Per alcuni studiosi, la virtù dei ‘perdenti’, un sintomo di narcisismo. Secondo Nietzsche, la gentilezza rivela una ‘cattiva coscienza’. Per il filosofo Hobbes, gli uomini sono ‘bestie egoiste’, l’esistenza è ‘una guerra di tutti contro tutti’. Sono considerazioni che rinviano alle ultime scoperte delle neuroscienze. Queste dimostrano che il cervello umano è una combinazione di egoismo e altruismo, eros e thanatos, bene e male , pietà e crudeltà, miseria e nobiltà.

 

Concludendo, mi piacerebbe vivere in un Paese in cui oltre all’osservanza di principi e regole, si coltivasse l’etica della gentilezza e dell’empatia.

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- Filosofia/Scienza

Un mondo senz’ anima

Guido Brunetti

Un mondo senz' anima

 

Fino al Novecento, l' anima è stata al centro della riflessione filosofica. Gli antichi Greci credevano nell' esistenza di una realtà immateriale, l'anima, e di una realtà    materiale costituita dal corpo.

E' il dualismo  ontologico.

 

La speculazione filosofica sull'anima nasce con la teoria di Platone sull'esistenza di un' anima, indipendente dal corpo e dunque immortale ed eterna. Essa è considerata il principio della vita, espressione delle attività spirituali, cognitive, affettive ed emotive dell'individuo.

 

A partire dalla seconda metà del secolo scorso, il sogno di penetrare   nel mistero della mente e del cervello è stato assunto dalle neuroscienze, le quali sono l'insieme degli studi condotti sul sistema nervoso. Le formidabili scoperte compiute in questi anni dalla scienza del cervello mostrano   che il percorso è fecondo di notevoli prospettive

. Attraverso gli eccezionali metodi di "brain imaging", abbiamo la possibilità di penetrare nei più profondi meccanismi del cervello e di studiare le attività mentali, come la percezione, la memoria e il controllo motorio.

 

E' con l'avvento delle nuove neuroscienze che si verifica l'eliminazione dal campo della ricerca della nozione di anima. La scienza moderna così ha smarrito l'anima.

E' una scienza senz' anima. Che rifiuta in tal modo un'impostazione metafisica della questione. Il pericolo è che l'essere umano finisca per perdere la propria identità e tutti quei valori e certezze che per millenni hanno promosso l'avvento dell' Homo sapiens

L' uomo si sente il padrone assoluto del mondo. Un uomo non più fatto da Dio, ma fatto dall'uomo.

 

Oggi, come rileva Robert Musil  nella sua opera "L'uomo senza qualità" (Einaudi), la vita di società "non ha più anima". In questo volume, l'autore, che si rivela non solo un grande scrittore, ma anche un abile scienziato e psicologo, descrive con mano sicura lo scenario intellettuale e spirituale dell'epoca contemporanea.

 Noi- afferma un personaggio del libro di Musil- "non udiamo più le voci interiori; oggi, sappiamo troppo, e la ragione tiranneggia la nostra vita". C'è un raziocinio "vuoto".

Esiste- precisa Nietzsche- "un'inclinazione intellettuale  verso ciò che è duro, raccapricciante, cattivo, Una profondità della tendenza antimorale. Un'attrazione verso l'orribile" E' una condizione che in molti suscita "un'eccitazione sensuale dolce e forte".

Soggettività e oggettività, sentimento e intelletto, valori qualitativi e valori quantitativi "convivono separatamente, senza alcun rapporto funzionale.

 

E' lo spirito a costituire il luogo in cui l'uomo si costituisce come un insieme organico, come unità e totalità, in cui la parte emotiva, quella più intimamente soggettiva interagisce con la parte oggettiva, la ragione, il logos.

Di qui, il fondamentale ruolo che assume l'anima, la quale sorretta dalle emozioni, dai sentimenti e dalla ragione si pone al di sopra e contro il materialismo e l'arido intellettualismo del mondo moderno.

L'anima è una esigenza fondamentale dell'essere umano. E' lo spirito a qualificarlo come essere superiore.

 

 

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- Scienza

La coscienza: aspetti neuroscientifici

Guido Brunetti

La coscienza: aspetti neuroscientifici

 

Il termine coscienza copre un ampio spettro di significati. Indica anzitutto la capacità di percepire, sentire e di essere coscienti di eventi. Comprende la vigilanza, la reattività all'ambiente, la coscienza morale, l'autocoscienza e la dimensione spirituale.

Ci sono diversi stati di coscienza: gli stati patologici presenti in molte patologie e gli stati di coma; gli stati di coscienza modificati da droghe, alcol, medicine, erbe e piante; gli stati di coscienza neurofisiologici nella fase dalla veglia e al sonno; gli stati di ipnosi clinica e gli stati meditativi.

 

 Su queste ultime categorie si occupa un interessante libro di Maria Paola Brugnoli e Giorgia Salatiello, che s'intiltola "La coscienza negli stati introspettivi e meditativi" (Gabrielli Editori, 2021). Il volume  mostra come la coscienza subisca profonde modificazioni nelle esperienze meditative e introspettive, con la possibilità di acquisire una visione più chiara delle proprie capacità e di aprire il pensiero ad una maggiore consapevolezza interiore.

L'introspezione infatti è alla base della comprensione della coscienza. Poiché non è possibile sperimentare gli stati coscienti di un individuo, occorre fare affidamento sul comportamento "osservabile" del soggetto, allo scopo di individuare gli stati coscienti. Attraverso le esperienze soggettive, introspettive, personali, noi possiamo capire l'esperienza cosciente.

L'ipnosi, l'introspezione e le tecniche meditative, come ad esempio la pratica di "Mindfulness",  modificano le esperienze coscienti, liberano cariche emotive, riducono gli stati di ansia e di depressione e accrescono il livello di autocoscienza.

 

L'esperienza cosciente- ha scritto Chalmers- è quanto di più "familiare" ci sia al mondo, ma allo stesso tempo di più "misterioso".

Infatti, diversi secoli di ricerca non hanno condotto finora alla comprensione su cosa  siano effettivamente la mente e la coscienza.

Il problema principale è come gli stati mentali emergano da sistemi neurali. Come cioè la coscienza possa scaturire dal cervello. Allo stato, non abbiamo alcuna risposta definitiva. Il rapporto mente-coscienza-cervello rimane ancora un grande  e affascinante mistero. Sono temi che rappresentano l'ultima terra sconosciuta rimasta da scoprire.   

 

Sono questioni sfuggenti. La coscienza è un fenomeno attraente, ma elusivo. E' impossibile specificare cos'è, cosa fa o perché si è evoluta. "Non è stato scritto nulla- precisa Sutherland- che valga la pena di essere letto".

"Nessuno- aggiunge J. Fodor- ha la benché minima idea di cosa sia la coscienza o a cosa serva o come faccia ciò che fa". Non siamo in grado di capire come qualcosa di materiale potrebbe essere consapevole. E' un grande enigma.

 

L'aspetto più complesso della coscienza è, secondo Crick e Koch, il cosiddetto "hard problem" dei "qualia", come ad esempio la rossezza del rosso, la dolorosità del dolore o la verdezza del verde. Nessuno è riuscito a trovare una spiegazione plausibile di come l'esperienza soggettiva della rossezza del rosso possa nascere dall'attività del cervello.

 

Poichè non è possibile sperimentare stati coscienti di un soggetto, occorre fare affidamento sul comportamento "osservabile del medesimo, per individuare gli stati soggettivi. Attraverso le esperienze personali, introspettive, noi possiamo spiegare e capire l'esperienza cosciente.

Al riguardo, dobbiamo precisare che gran parte dei nostri comportamenti, compresi i processi emotivi, affettivi e motivazionali, avviene sul piano dell'inconscio, al di fuori della coscienza.

 

Invero, mentre alcuni autori sostengono che non è possibile conoscere la mente e la coscienza, altri studiosi ritengono che un giorno sarà invece possibile comprendere gli stati mentali, i quali possono quindi essere sottoposti a indagine scientifica.

Un'analisi scientifica della mente e della coscienza deve rispondere, per Edelman, a questi interrogativi: come fanno i neuroni a dare origine a pensieri, sensazioni ed emozioni? Come è possibile che una realtà meteriale, il cervello, sia capace di tradurre gli stati di coscienza? Secondo autorevoli neuroscienziati, i due domini sono tanto "dissimili" da non essere conciliabili.

 

Punto di partenza è l'ipotesi che la coscienza sia stata progettata dalla selezione naturale. Occorre allora cercare i "correlati neurali" (NCC) della coscienza con la speranza di chiarire il problema dei "qualia", ossia degli stati soggettivi dell'esperienza cosciente. I correlati neurali della coscienza sono l'insieme di eventi neurali che creano un oggetto conscio.

Secondo la "teoria della selezione dei gruppi neurali" (TSGN) elaborata da Gerald M. Edelman, tutti i meccanismi cerebrali sono emersi nel corso dell'evoluzione dell'Homo sapiens. In virtù dell'evoluzione e dell'azione dell'ambiente, ogni cervello è "unico". Neanche due gemelli monozigoti hanno lo stesso cervello.

 

All'incirca 250 milioni di anni fa, nel sistema talamocorticale comparvero nuovi schemi di connessione reciproca. L'evoluzione dei circuiti cerebrali e delle interazioni ha consentito l'acquisizione di capacità semantiche e del linguaggio, dando così origine alla coscienza.

La coscienza, secondo queste teorie, sarebbe un processo formato da una enorme varietà di "qualia". La coscienza non è  quindi un oggetto, ma un processo, che è necessariamente "privato".

 

Tante ipotesi, tante teorie. Oggi, non è possibile dimostrare che cosa sono gli stati mentali e quelli di coscienza. Le ipotesi e le teorie ci aiutano tuttavia ad approfondire "il fascino e il mistero del cervello e della mente" parole che fanno da titolo al mio nuovo libro.

 

                                                  

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- Scienza

Creatività, invenzione e autismo

 

Guido Brunetti

Il legame tra creatività, invenzione umana e autismo

 

L’uomo ha la capacità di inventare e creare opere artistiche perché  è in grado di capire non solo come funziona un sistema, ma anche come costruirlo e migliorarlo.

I geni legati a questa capacità di sistematizzazione, secondo l’autorevole scienziato Simon Baron-Cohen, si “sovrappongono” ai geni dell’autismo. Si tratta di una concezione ardita e tuttavia sostenuta da una serie di ricerche condotte negli anni dall’autore e dalla sua équipe.

Intanto, che cosa è l’autismo?

Con il termine autismo vengono designati i disturbi dello spettro autistico, cioè disturbi generalizzati del neurosviluppo, comprendenti fra questi la sindrome di Asperger.

 

Il disturbo dello spettro autistico è caratterizzato, secondo il DSM-V, da deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale in molteplici contesti compresi deficit della reciprocità sociale, della comunicazione non verbale e delle abilità di sviluppare, mantenere e comprendere le relazioni interpersonali;  nonché pattern di comportamenti, interessi o attività ristretti e ripetitivi. Le manifestazioni del disturbo variano anche in base al livello di gravità della condizione autistica, al livello di sviluppo e all’età.

C’è un accordo abbastanza condiviso di una eziologia multifattoriale dell’autismo, dove esistono concomitanti fattori organici e fattori psicologici.

 

Inizia nel 1943 la storia recente del “disturbo autistico”, quando L. Kanner pubblica i risultati della sua ricerca effettuata su un gruppo di bambini affetti da ciò che chiamò“ disturbo autistico del contatto affettivo”. I tratti comuni erano: problemi di linguaggio, isolamento, chiusura in un universo ripetitivo, stereotipico e ossessivo, disturbo della comunicazione. Successivamente nel 1944, il pediatra viennese H. Asperger descrive   la sua “psicopatia autistica dell’infanzia” vista come un “disturbo di personalità”.

Il disturbo di Asperger comprende soggetti con disabilità sociale definiti da “alto funzionamento cognitivo e idoneo sviluppo del linguaggio”.

 

Sono state formulate nel tempo molte ipotesi e teorie, alcune in verità del tutto stravaganti, prive di validità scientifica e tese a colpevolizzare soprattutto la figura materna. La quale è la persona che più soffre in una vicenda dolorosa, complessa e delicata, che per noi rappresenta ancora un enigma, in quanto priva sia di sicurezza diagnostica che di terapie certe.

Dire ad esempio, come sostengono molti autori, che all’origine dell’autismo vi sia “un’alterazione del neurosviluppo” che provoca “una conseguente alterazione dell’intera esperienza” significa non dire nulla.

 

Tornando alla capacità dell’uomo di creare e inventare, dobbiamo precisare che questa qualità di sistematizzare significa- scrive Baron-Cohen nel suo recente libro “I geni della creatività. Come l’autismo guida l’invenzione umana”- guardare un oggetto o  un evento come un sistema. Le domande poste dai bambini in continuazione fanno ritenere che dai due anni in poi essi possiedono un “meccanismo di sistema”.

Ogni oggetto, ogni attrezzo è un sistema. Che è governato dallo schema “se- e-allora”: ad esempio, se  hai mal di capo e  prendi un’aspirina allora  il mal di testa passa.

 

La ricerca ha fatto emergere una varietà di cervelli: si va da un tipo di cervello bravo sia nell’empatizzare che nella sistematizzazione ad un altro con un alto livello di empatia e un basso livello di sistematizzazione; e a un altro cervello di tipo opposto: un alto livello di sistematizzazione e un basso livello di empatia.

 

Abbiamo fatto riferimento al concetto di empatia. Il termine empatia indica un meccanismo cerebrale che ha sia la capacità di immaginare i pensieri e i sentimenti di un’altra persona o di un animale sia la spinta a rispondere ai pensieri e ai sentimenti di un’altra persona attraverso “un’emozione appropriata”.

 

Il più grande studio mai condotto sull’autismo ha mostrato al riguardo che un numero sproporzionato di persone autistiche aveva un cervello super sistematizzante. La teoria di Baron-Cohen sostiene che la mente autistica e la mente super sistematizzante abbiano qualcosa in comune.

In verità, il processo di sistematizzazione è stato un potente fattore non solo nel generare la rivoluzione cognitiva, ma anche per l’invenzione, a cominciare dal primo sistema: la ruota. Il secondo sistema di progresso si riferisce alla scrittura, inventata circa 5500 anni fa dai Sumeri. Il terzo sistema riguarda la matematica, 5000 anni fa. Infine, la religione. Sappiamo che, ad esempio, l’induismo ha oltre 4000 anni.

 

Come già abbiamo detto, i geni per la sistematizzazione si “sovrappongono” in parte ai geni per l’autismo. Questo significa che i genitori super sistematizzanti, ossia persone di particolare talento, hanno geneticamente più probabilità di avere un figlio autistico. C’è dunque una connessione genetica tra super sistematizzazione e autismo.

 

Riteniamo che la società abbia una forte responsabilità nell’ individuare, pianificare e attuare una consistente politica  attraverso seri e adeguati progetti educativi, sociali e culturali per venire incontro ai bisogni speciali dei soggetti autistici e delle loro famiglie. Hanno poi necessità di essere seguiti, assistiti e curati da professionisti altamente specializzati nei loro rispettivi campi

Alcuni di loro presentano disabilità sociale, affettiva e intellettuale. Altri possono avere un quoziente intellettivo (QI) nella media o superiore alla media.

Le persone autistiche che non hanno alcuna disabilità intellettiva e che sono sistematizzatori o super sistematizzatori, cioè che hanno un talento particolare, devono essere considerate come tanti tipi naturali di cervello, i quali si sono evoluti, contribuendo alla neuro diversità umana.

L’ansia è un disturbo molto comune nei soggetti autistici (e nelle loro famiglie) in ragione delle molteplici difficoltà incontrate.

Purtroppo, la scuola insegna in modo “superficiale e impreciso”, comunque “non adeguato” per il tipo di mente di queste persone.

I super sistematizzatori, compresi gli autistici, imparano in “modo diverso”. Ci sono soggetti autistici che mostrano di avere talento nel calcolo numerico, nelle lingue, nella memorizzazione. C’è chi ha imparato addirittura dieci lingue.

Tutto questo ci porta a sostenere che alcune persone autistiche hanno menti super sistematizzatrici, mostrano cioè il marchio del “genio”.

 

Sulla base di questa concezione, gli interventi diagnostici, assistenziali e terapeutici devono essere sorretti da un modello multidisciplinare e da evidenze scientifiche. Il piano terapeutico pertanto deve essere personalizzato in quanto fondato sulle esigenze intellettive, cognitive, emotive e affettive di ciascuna persona.

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- Filosofia

Dare un senso alla nostra esistenza. La morte di Dio

Guido Brunetti

Dare un senso alla nostra esistenza. La morte di Dio

 

Lo scopo del nostro lavoro è quello di analizzare e approfondire uno spettro affascinante di questioni e prospettive per comprendere quell'universo che "avvolge ogni essere che contiene un universo".

 

Uno degli obiettivi della nostra vita è quello di curare lo sviluppo della propria personalità, delle proprie qualità umane, intellettuali e spirituali. E' l'avvio verso la ricerca del senso della vita. Che può essre amare e dare, conoscenza, comportamento morale, scoperta del grande mistero del proprio Io, ricerca spirituale, vivere in armonia con se stessi e gli altri, partecipazione all'evoluzione della specie e risvegliare la scintilla divina che è presente in ciascun essere umano.

 

Socrate sostiene che il senso dell'esistenza è riconoscere che l'essenza della natura umana sta nella sua psyché, ossia nella sua anima, e quindi in ciò che permette all'uomo di diventare "buono" o "cattivo". Egli deve occuparsi soprattutto della sua anima in modo che essa diventi " migliore il più possibile". 

 

Si tratta di uscire dalla caverna, liberandoci- come afferma Platone- dalla prigionia determinata dai bisogni istintuali.

Così inizia- scrive Vito Mancuso nel suo nuovo saggio "A proposito del senso della vita" (Garzanti, 2021) la nostra esistenza, "la vita fuori dalla caverna

dell'ignoranza e del conformismo".

Il pensiero di Platone si rivela fondamentale quando si discute sul senso della vita, del vero, del bello e del bene.

 

In realtà, lo statuto metafisico della condizione umana si basa sui principi del bene e del male, principi che sono in continuo conflitto tra loro. Essi corrispondono alle due pulsioni originarie teorizzate da Freud: pulsione di vita (eros) e pulsione di morte (Thanatos). Una conferma ci proviene dalla ricerca delle neuroscienze, le quali mostrano che il cervello umano è una combinazione di bene e male, egoismo e altruismo, miseria e nobiltà, violenza e malvagità, odio, invidia e amore.

 

Fin dall'antichità, l'uomo ha cercato di comprendere il significato e il senso della vita. E' un tema ricorrente in filosofia, letteratura, poesia e arte. Per la filosofia greca, il senso della vita consiste nel curare l'anima. Il pensiero moderno e contemporaneo, d'accordo con le neuroscienze, identificano l'esistenza come progettazione e realizzazione della propria individualità e aspirazione alla perfezione.

 

 Ha un senso porre la domanda su qual è il senso della vita? L'uomo che considera la propria vita e quella degli altri priva di senso- dichiara Albert Einstein-  "non è semplicemente sventurato, ma quasi inidoneo alla vita".

Invero, pochi riflettono sul senso della vita. La nostra civiltà, per Mancuso, "rimuove" le domande esistenziali. E' infatti in corso un forte processo di regressione che mira a mettere in crisi l' Homo sapiens e a farci retrocedere all'Homo faber et consumens, attraverso lo "spegnimento" della coscienza.

 

Cresce così il malessere personale e sociale, quella condizione psichica che i filosofi denominano da più di due secoli "morte di Dio", in quanto non più capace di  generare senso e progettualità.

Il primo a parlare di morte di Dio è stato lo scrittore tedesco J.P.F. Richter in un romanzo del 1796. L'espressione non mira certamente a promuovere l'ateismo, ma a far comprendere "quanto fosse terribile la negazione dell'esistenza di Dio". Anche Hegel dichiara che "la religione dei tempi moderni" si basa su questo sentimento:" Dio stesso è morto". Da parte sua, Nietzsche mostra nel libro "La gaia scienza" (1882) le angoscianti conseguenze della morte di Dio: "Siamo stati noi ad ucciderlo: voi ed io! Siamo noi tutti i suoi assassini!". Alla fine, Nietzsche non può fare a meno di invocare Dio: "Cerco Dio! Cerco Dio!".

Al riguardo, dobbiamo precisare che il tema nietzscheiano della "morte di Dio" non è una banale proclamazione di ateismo volgare, ma un necessario passaggio per affermare la morte dell'anima e di tutti quei valori che hanno scandito nei secoli la vita dell' umanità. La condizione umana, per Nietzsche, ma così anche per Platone, è caratterizzata da iniquità e ignoranza, schiavitù, passività e menzogna, malvagità, sopraffazione e ingiustizia.

 

Al pensiero di Nietzsche sulla morte di Dio, Heidegger dedica un saggio nel quale si legge: "Il mondo sovrasensibile dei fini e delle norme non suscita  e non regge più la vita. Quel mondo ha perso da sé solo la vita: è morto. Questo è il senso metafisico dell'affermazione "Dio è morto".

Notevole al riguardo le riflessioni di Dostoevskij. Se Dio non esistesse- afferma il grande scrittore e psicologo- tutto sarebbe permesso, anche le più enormi atrocità. Senza Dio, l'uomo è abbandonato, poiché non trova in sé né fuori di sé possibilità esistenziali.

 

La modernità ha pensato di sostituire Dio con la scienza e  l'illuminismo, perseguendo l'obiettivo di togliere all'uomo la paura e di renderlo padrone. "Ma la terra- scrivono Horkheimer e Adorno- interamente illuminata splende all'insegna di trionfale sventura".

 

Oggi, la crisi del soggetto, della società e del mondo è da tutti percepita. E' un'esitenza legata al mistero della vita, al mysterium fascinans e al mysterium tremendum, ossia a una relazione che affascina e attrae, ma che genera anche paura e timore. Si parla, al riguardo, di "postumanesimo", poiché la natura umana sembra "minacciata" da più parti.

 

Noi pensiamo che la morte di Dio sia in sostanza la fine delle illusioni, il crollo dei valori, dei principi e delle certezze filosofiche e teologiche. Emerge un mondo incerto e irrequieto, dominato dal dubbio e dal caos, senza punti di riferimento.

Di qui, il nichilismo che sta ad indicare sia la morte di Dio che i falsi valori della civiltà occidentale con l'esigenza di creare la figura del "superuomo", un essere in grado di accettare la vita nella sua caoticità e di imporre la propria volontà di potenza.

 

Sono tutte questioni cui si potrà rispondere, come concorda il filosofo argentino J.J.Sanguineti- soltanto con il sostegno delle filosofia, delle neuroscienze, dell'antropologia e dell'etica. Discipline che hanno lo scopo di approfondire l'essenziale dell'essere umano nel suo rapporto con il mondo e le altre persone, e che contengono "verità irrinunciabili", ovvero "primi principi" sulla nostra esistenza, sull'esistenza del mondo diverso da noi, sulla nostra capacità di conoscere il bene e il male, il giusto e l'ingiusto, sul senso della vita e sui progetti esistenziali.

Per comprendere le grandi questioni che scandiscono la vita umana, il punto di riferimento è il pensiero antico, a partire da Socrate e Platone. Abbiamo già parlato di Socrate. Ci riferiamo a Platone, il padre della filosofia occidentale e l'inventore dell'anima, una sostanza spirituale indipendente dal corpo e immortale (dualismo ontologico) quando si discute  sul senso della vita, del vero, del bello e del bene. Socrate e Platone ci costringono a riflettere sulle cose esistenti, sulla realtà, il mondo, l'anima, la virtù, la felicità.

 

                                                           

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- Scienza

La neuroplasticità: una grande scoperta per l’umanità

Guido Brunetti

La neuroplasticità, una grande scoperta per l'umanità

 

Alla nascita gli esseri umani sono impotenti. Camminano dopo un anno. La nostra sopravvivenza dipende in sostanza da chi ci sta vicino. E' una situazione molto diversa da quella di altri mammiferi.

Le giraffe, ad esempio, imparano a stare in piedi in poche ore; un cucciolo di zebra è in grado di correre dopo quarantacinque minuti dalla nascita, mentre i delfini nascono nuotando.

Rispetto agli esseri umani, essi sono molto indipendenti.

 

In realtà, gli animali hanno un ruolo cruciale in molti campi della scienza. Il cervello dei ratti e dei topi presenta "notevoli somiglianze" con il cervello umano. Sembra quasi "impossibile"- scrive David Eagleman nel suo libro "Il tuo cervello. La tua storia" (Corbaccio)- distinguere le "differenze" tra il neurone di un ratto e il neurone umano. Entrambi i cervelli si "attivano" quasi nello stesso modo e seguono gli stessi stadi di sviluppo.

Il termine neurone indica la cellula fondamentale del sistema nervoso. La comunicazione tra i neuroni avviene attraverso la sinapsi.

 

Tornando agli esseri umani, diciamo che nel cervello di un bambino si formano due milioni di connessioni neurali.. Un bambino di due anni ha oltre "centomila miliardi" di sinapsi. Le sinapsi che non vengono usate vanno perdute, mentre si rafforzano se sono utilizzate.

Man mano che si procede verso l'età adulta, le connessioni subiscono una potatura. Crescendo, il 50 per cento delle sinapsi viene eliminato.

 

Se al cervello umano non viene fornito un ambiente "arricchito" si registra uno sviluppo inadeguato.

Ricerche effettuate in materia hanno mostrato che bambini  cresciuti senza stimolazione sensoriale e privati di una normale interazione umana e sociale avevano difficoltà di apprendimento, un quoziente di intelligenza (Q.I.) sotto la media e presentavano sintomi di "sottosviluppo cerebrale" insieme con un ritardo nell'apprendimento del linguaggio.

Queste ricerche poi hanno indicato che quando i bambini vengono "inseriti" in un ambiente "sicuro e amorevole" il loro cervello si sviluppa nella norma.

 

Sino a pochi anni fa, si credeva che lo sviluppo del cervello fosse completato alla fine dell'infanzia. Gli studi hanno invece dimostrato che il processo evolutivo del cervello prosegue fino ai 25 anni di età attraverso periodi di "riorganizzazione" neurale e di cambiamenti dei meccanismi cerebrali, della nostra identità e della nostra personalità.  Anche nell'età adulta, il cervello continua a cambiare.

 

Questo fenomeno è dovuto a una grande scoperta neuroscientifica: la scoperta della neuroplasticità, la straordinaria proprietà del cervello di adattarsi e cambiare, di modellarsi e rimodellarsi continuamente in virtù dell'esperienza. Ogni esperienza lascia infatti la propria impronta.

Esperimenti realizzati al riguardo, hanno evidenziato che le dita della mano  dei violinisti si sviluppano "in modo intensivo". I pianisti invece sviluppano entrambi gli emisferi, poiché usano entrambe le mani nel suonare. Queste esperienze dimostrano che la struttura fisica del cervello è stata alterata.

Odori, sapori, conversazioni, ecc., sono situazioni che "attivano" differenti gruppi di neuroni.

 

Gli esercizi cognitivi, come lettura, scrittura, apprendimento di nuove abilità, musica, movimento, interazione, attività fisica sono tutte attività che mantengono attivo il cervello.

Al contrario, fattori psicologici negativi quali ansia, depressione, angoscia, solitudine vengono collegati a un "rapido declino cognitivo".

 

Un'altra grande scoperta è legata al processo della neurogenesi. La formazione di nuovi neuroni a partire dalle cellule staminali neurali, che in alcune regioni cerebrali, come l'ippocampo, può avvenire nel corso di tutta la vita.

 

Ogni cervello, guidato sino all'ultima età dalle esperienze e dai geni presenta una vita interiore diversa. Il cervello è "unico". I cervelli hanno esperienze soggettive diverse. Ciascun cervello quindi contiene una propria versione della realtà.

 

La nostra mente cosciente, il nostro Io, è solo la parte più piccola della nostra attività. Molta parte del nostro comportamento- come ha mostrato per primo Freud- è il prodotto di un processo mentale inconscio. L'azione dell'Io inconscio si estende pertanto oltre il controllo del nostro corpo e modella la nostra vita.    

la mente cosciente è solo una parte dei nostri processi mentali. La parte più importante dell'attività che genera i nostri pensieri e i nostri comportamenti resta "sommersa, nascosta".

 

I nostri cervelli sono collegati attraverso un'ampia "rete" interattiva. Siamo esseri  umani profondamente sociali. Le nostre capacità sociali sono "radicate" nel nostro sistema neurale, biologico. Noi, fin da bambini, abbiamo "incorporato" le "antenne sociali".  Questo significa che il cervello possiede già "istinti innati", cioè "programmati" per interagire. (Eagleman) ed è in grado di "decodificare" le emozioni altrui, basandosi, ad esempio,  su movimenti ed espressioni facciali degli altri.

Guardare qualcun altro che prova dolore oppure provare noi stessi il dolore "coinvolge" lo stesso apparato neurale. E' questo il significato del concetto di empatia. Provare i sentimenti e le emozioni dell'altro. Soffrire la sofferenza altrui, sentire il dolore di un'altra persona. La vista di qualcuno che soffre in sostanza "provoca" la reazione delle nostre aree cerebrali coinvolte nel dolore.

 

Un' ultima riflessione riguarda il rapporto tra cervello e computer. E' possibile programmare un computer per fargli acquisire la consapevolezza (coscienza). Finora, possiamo dire che "quand'anche riuscissimo a sviluppare computer che imitino l'intelligenza umana, essi non sarebbero in grado di "capire" cosa stanno dicendo. Non ci sarebbe alcun significato nelle cose che farebbero. C' è insomma un "abisso" tra i simboli che "non hanno un significato" e la nostra coscienza.

 

Siamo ancora all'inizio di un lungo e meravigliuoso percorso umano e scientifico. Alcuni scienziati ritengono che la nostra biologia possa "trascendere" i limiti del cervello e seguire una nuova rotta verso il futuro. Nei prossimi anni scopriremo molto di più sul cervello e la mente. Oggi, siamo ancora avvolti da molti misteri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Filosofia/Scienza

La natura fenomenica della coscienza


Guido Brunetti
La natura fenomenica degli stati soggettivi

Sul problema degli stati soggettivi, filosofi e scrittori sin dall’antica Grecia hanno cercato di analizzarne la natura mentale e fisica.
Il termine coscienza sta ad indicare una vita interiore: vista, suoni, odori, amore, odio, invidia, gioia, sofferenza, pensieri, ricordi, progetti, immaginazione, sogni, paure, desideri, speranze. Come questi stati fenomenici siano venuti al mondo, rimane un mistero profondo.
Per Aristotele interrogarsi su cosa sia l’anima è “una delle cose più difficili che ci siano”. L’enigma mente-corpo dura fin dalla notte dei tempi.
La fisica, la chimica, il DNA dei nostri geni non ci dicono nulla sulla coscienza.
Oggi, la maggior parte dei neuro scienziati sostiene che la coscienza è una “proprietà” del cervello e dei sistemi fisici in generale. Sono esperienze soggettive che appaiono “radicalmente diverse- afferma Christof Koch nel suo libro “Sentirsi vivi”- dalla materia fisica che costituisce il cervello umano.

Qual è dunque la relazione della mente con il cervello? Molti autori dicono che la mente emerge dal fisico, altri studiosi invece sostengono che la mente è sempre stata presente e addirittura precede l’avvento del cervello. Un’altra domanda è: quando ha inizio la coscienza? La prima esperienza è avvenuta durante il parto oppure all’interno del ventre materno?
Sono tutte questioni che un tempo erano prerogative di filosofi e teologi e oggi vengono esaminate dalle neuroscienze.
In questi ultimi anni in materia sono stati compiuti notevoli progressi, soprattutto grazie a metodi all’avanguardia che consentono di analizzare in profondità il cervello, facendo luce su questi oscuri abissi.
La ricerca sta affrontando il problema delle impronte neurali della coscienza per scoprire quali insieme di neuroni attivano funzioni coinvolte nelle esperienze soggettive.

E gli animali hanno esperienze? I primati, le scimmie e gli altri mammiferi sentono i suoni e partecipano agli eventi della vita?
Alcuni studi mostrano che vi è esperienza in pappagalli, corvi, polipi, api. Secondo autorevoli studiosi, alcuni animali forse sono in grado di condividere con l’uomo il grande dono della coscienza. Ci sono “notevoli somiglianze” fra il cervello umano e il cervello degli altri mammiferi.
Dal punto di vista genetico, gli esseri umani sono “strettamente legati” agli scimpanzé. La differenza è dell’1,23 per cento.
Non siamo nemmeno così diversi dai topi. Quasi tutti i loro geni hanno una loro controparte nel genoma umano. Tra il cervello umano e quello di topi, cani e scimmie si sono differenze quantitative non qualitative. Il comportamento dei mammiferi è “affine” a quello delle persone.
Il cane prova sofferenza e dolore, fatto che provoca il rilascio degli ormoni dello stress.

Sta di fatto che la coscienza appare qualcosa di “inafferrabile” e taluni autori hanno rilevato come non sia possibile definirla.
Coscienza è in sostanza qualsiasi esperienza fenomenica: un tramonto, il sorriso di tua madre o di tuo figlio nella culla, il sapore delizioso di un cibo, il dolore e la gioia, ecc.

Esisto altri aspetti della mente, come il vasto campo dell’inconscio già esplorato da Nietzsche, Freud,e Pierre Janet. La maggior parte dei processi mentali è inaccessibile alla coscienza.
Essere coscienti significa “sentirsi vivi” (Koch). Fare esperienza vuol dire essere coscienti, cioè esistere. Da ciò, Cartesio trasse la seguente conclusione: “Cogito ergo sum”. Penso, dunque sono. E’ un’affermazione analoga a quella espressa da sant’Agostino: “Si fallor sum”, ossia se m’inganno, esisto.

Ogni esperienza poi indica uno stato soggettivo distinto, ciascuno con un’ampia fenomenologia di colori, linee, forme, trame. Ci sono stati soggettivi uditivi, olfattivi, tattili, sessuali, ecc. Ciascuna esperienza cosciente esiste per sé. È strutturata, è una ed è definita. E’ privata, personale, ed inaccessibile a chiunque altro. La mia percezione del colore rosso è esclusivamente mia. Anche se io e noi guardiamo il medesimo tramonto, voi potreste percepire una tonalità diversa, fare esperienze differenti e avere associazioni diverse da quelle che producono in me.
E’ insomma un’esperienza in prima persona della coscienza, è una proprietà singolare della mente ed è pertanto più difficile da studiare degli altro oggetti, i quali possono essere studiati dalla scienza in quanto dotati di proprietà, come massa, moto, struttura molecolare. Che sono quindi accessibili all’indagine scientifica. Gli stati soggettivi invece hanno una struttura immateriale.

Qui risiede il grande mistero del problema mente (immateriale)- cervello (materia): da un lato, c’è una esperienza soggettiva; dall’altro, c’è l’esperienza oggettiva.
Ho dunque conoscenza della mia mente, delle mie esperienze fenomeniche, soggettive, ma non posso avere esperienza diretta delle altre menti. Posso solo dedurne l’esistenza.

Numerose prove mostrano che pazienti affetti da split-brain (cervello diviso), pazienti cioè il cui corpo calloso è stato reciso, hanno due menti coscienti. Ogni emisfero ha la sua propria mente, ciascuna con le proprie caratteristiche (Bogen, Gazzaniga).

Qual è la sede dell’anima?
Dai primordi del pensiero umano e sino al XVII secolo, si pensava c il cuore fosse la sede dell’anima. Oggi, sappiamo che è il cervello a essere il sostrato della mente e delle emozioni.
E’ stato Ippocrate, il padre della medicina, a sostenere che il cervello controlla la mente e il comportamento. Tutto- egli dice- proviene dal cervello: gioie, dolore, sofferenza, sconforto, delizie.
Si deve allo scienziato spagnolo, Santiago Ramon y Cajal, la scoperta dei neuroni quali cellule che compongono il cervello, una struttura intrecciata di neuroni distinti, che si toccano in giunzioni note come sinapsi.

Il contenuto della coscienza è “instabile” poiché cambia di continuo. Quando dormiamo, la coscienza svanisce. Il sogno è un altro stato di coscienza. Attraverso l’uso dell’elettroencefalogramma (EEG), alcuni ricercatori nel 1953 scoprirono che il cervello addormentato ogni notte passa tra due stati diversi: sonno con movimento rapido degli occhi (REM) e sonno profondo o senza movimento degli occhi (non REM). Durante il sonno Rem, il cervello è attivo come durante la veglia.

Gli stati patologici di coscienza comprendono il coma e lo stato vegetativo che fa seguito a un trauma grave, a un ictus, a un sovradosaggio di droghe o alcol, ecc. In questi casi, la coscienza svanisce, anche se alcune aree del cervello restano attive.

Qual è il rapporto tra cervello ed esperienza soggettiva?
Crick e collaboratori hanno elaborato la teoria dei “correlati neurali” della coscienza. Questi sono definiti come “i meccanismi neuronali minimi che insieme sono sufficienti perché vi sia uno specifico percetto cosciente” (Chalmers). Questo significa che la mente è “correlata” al cervello, il quale per l’appunto genera esperienze o stati soggettivi, dando luogo alla coscienza.
Ma come può la mente (sostanza immateriale) essere generata dal cervello (sostanza materiale)? La domanda racchiude quello che è stato definito “il problema difficile”, il grande mistero. Un mistero difficile e forse persino, per alcuni autori, “impossibile” da sostenere.

Finora inoltre non sappiamo ancora quale valore evolutivo sia connesso all’anima senziente. Il mistero si infittisce se pensiamo che gran parte delle nostre esperienze soggettive avviene oltre il confine della coscienza.

Come abbiamo visto, le neuroscienze sostengono che materia e anima sono un’unica sostanza. Invero, questa idea è stata già sostenuta dai filosofi presocratici dell’antica Grecia, Talete e Anassagora e poi da Giordano bruno, Schopenhauer e d altri.
A cominciare dal Novecento c’è stata una svalutazione della metafisica con la negazione dell’anima e della coscienza. Si è affermato il primato del materialismo o del fisicalismo.
E tuttavia, la coscienza non potrà mai essere una conquista delle macchine e dei computer. Nemmeno il software più sofisticato può dirsi cosciente (Koch). I nostri stati soggettivi non possono essere “ridotti” ad alcuna forma di computazione. I computer potranno “simulare” qualsiasi cosa, inclusa l’intelligenza e la coscienza, ma essi non saranno “mai coscienti”. La coscienza non è nei computer, nemmeno quando parlano la nostra lingua. Dentro non c’è niente: intelligenza sì, ma senza stati soggettivi.
Ciò detto, dobbiamo affermare con fermezza che la luce interiore dello spirito e degli stati soggettivi è presente negli esseri umani. Siamo infatti dotati di notevoli capacità cognitive, come linguaggio, pensiero simbolico, io, creatività, ecc.

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- Filosofia/Scienza

Cervello, mente e coscienza: un legame misterioso

Guido Brunetti

Cervello, mente e coscienza: un legame misterioso

 

Venticinque secoli di studio non sono stati sufficienti a comprendere il cervello, la mente e la coscienza. Tre parole che nascondono ancora abissi di ignoranza. Nonostante  la mole imponente di dati e informazioni raccolti grazie alle metodiche di "brain imaging", tutte le ipotesi non sono riuscite a svelare che cosa siano il cervello e la mente. Per non parlare della coscienza. Finora non esite alcun accordo su una teoria condivisa.

 Ogni tentativo di dare una definizione formale di coscienza, appare, come scrive Crik, "fuorviante e restrittivo".

 

La domanda più cruciale per i neuroscienziati è come la mente, e dunque la coscienza, emerga dall'attività neurale. Alcuni autori sostengono l'inaccessibilità della mente alla comprensione sperimentale, poiché gli stati soggettivi sono accessibili direttamente solo al soggetto che li esperisce (McGim). Altri studiosi invece ritengono che gli stati mentali sono riconducibili agli eventi fisici delle cellule nervose (materialismo eliminativo) e pertanto possono essere studiati  come ogni altra funzione osservabile del cervello (Libet). L'esperienza cosciente, per Searle, è un fenomeno reale, un "processo biologico" che coinvolge i neuroni del cervello.

Ci troviamo tra una concezione meccanicistica e un mentalismo altrettanto irriducibile. La mente intesa come un aspetto del cervello (monismo) e la mente  vista come un'entità indipendente dal cervello (dualismo).

 

La storia dei tentativi di spiegare e comprendere cosa siano effettivamente la mente, la coscienza e il cervello è lunga. L'arcano non è ancora svelato.

Nel suo dizionario, Sutherland definisce la coscienza "un fenomeno affascinante, ma elusivo; è impossibile specificare cosa è, cosa fa o perché si è evoluta. Non è stato scritto nulla che valga la pena di essere letto". "Nessuno- aggiunge Fodor- ha "la benché minima idea di cosa sia la coscienza, o a cosa serva, o come faccia ciò che deve fare".  Né siamo in grado di spiegare e capire come qualcosa di materiale (il cervello) potrebbe essere "consapevole" (McGim). La mente e la coscienza sono "un mistero" (Quine).

 

 I grandi enigmi riguardano questi problemi: come fanno i neuroni a dare origine a pensieri, emozioni e sensazioni? I due domini, per molti autori, sono tanto dissimili da non essere conciliabili.

In realtà, scoprire in che modo le strutture cerebrali producano la mente è una delle maggiori sfide per i neuroscienziati.

 

Storicamente, alla base delle idee millenarie sulla mente si trova l'ipotesi della "immaterialità della coscienza" (Eccles) considerata "entità inconoscibile". "Ignoramus ignorabimus". Concetti diametralmente opposti vengono sostenuti da tutta una schiera di neuroscienziati. Lo studio scientifico delle basi neurali  della mente e della coscienza- essi dicono- è "empiricamente possibile e direttamente accessibile e trattabile".

Alla domanda di sempre: "Che cosa è la mente?" La maggior parte degli scienziati risponde: "E' ciò che il cervello fa". Il pensiero si basa su eventi cerebrali. La coscienza è perciò una "proprietà" dei processi neurali, un'entità fisica, un oggetto reale, materiale. Insomma, sono i neuroni del cervello a generare la mente e la coscienza.

 

L'enigma della mente risale ai primordi del pensiero greco e purtroppo continua sino ai nostri giorni.

I primi filosofi tendono ad attribuire la mente a un principio immateriale. L'idea di anima e quella di mente nel corso dei secoli si sono sovrapposti. Il concetto di coscienza invece è relativamente recente ed è stato introdotto da Cartesio. Il termine deriva dal latino "scio", sapere. L'inventore dell' anima intesa come struttura spirituale immateriale e immortale e dunque eterna è stato Platone.

Aristotele credeva nell'esistenza di più anime (vegetativa, sensitiva e razionale) viste non nel senso spirituale del termine e destinata a non sussistere dopo la morte. Anche per l'Antico Testamento, l'anima muore con il corpo. E' stato il Cristianesimo a sviluppare una concezione diversa dell'anima, ritenuta un'entità immateriale che sopravvive al corpo, come avevano sostenuto Socrate e Platone.

Da parte sua, Cartesio ammette l'esistenza di un corpo materiale e di un'anima concepita come un dispositivo non fisico, immateriale. E' una teoria che prende il nome di dualismo cartesiano, ossia la distinzione ontologica tra la mente e il corpo. La mente è una sostanza la cui essenza o natura è esclusivamente il pensare: "Cogito ergo sum", "Penso, dunque sono".

 

Una concezione opposta viene sottolineata da Freud quando afferma che la mente è identica al cervello e da Darwin, il quale prende le distanze dal dualismo ontologico per teorizzare l'idea   dell'evoluzione per mezzo della selezione naturale.

 

Perveniamo così al ventesimo secolo quando vengono poste le basi per lo studio sperimentale del cervello attraverso l'introduzione di nuove tecnologie che oggi consentono di "visualizzare" il funzionamento cerebrale umano vivo.

Il primo ad esaminare il problema della coscienza è stato William James, il quale respinge ogni metafisica a priori, ogni filosofia astratta in favore di un metodo pratico definito pragmatismo.

Nasce poi una nuova scuola di pensiero nota come "behaviorismo" o comportamentismo basato sul modello stimolo-risposta (S-R). Il suo vero tema di indagine non è l'esperienza mentale soggettiva, ma il comportamento osservabile studiato con mezzi scientifici e non con tecniche introspettive. Sino agli anni '50 del secolo scorso, la mente e la coscienza sono "tabù" nel dibattito scientifico.

 

Il primato del modello behavioristico inizia ad affievolirsi verso la metà del secolo con la novità delle scienze cognitive, le quali considerano il funzionamento del cervello e della mente come "un tutto integrato", come l'esito di un processo neurale.

Le moderne neuroscienze sviluppano una concezione della mente vista come realtà fisica e perciò suscettibile di esame scientifico. Rinunciando al concetto di una mente immateriale, queste trasferiscono la mente nel cervello. Si consolida in tal modo la teoria del riduzionismo o fisicalismo, l'idea che ogni cosa è riducibile a quantità di ordine fisico. Dunque, la mente- ogni evento mentale- è considerato un "prodotto" dei circuiti neurali dotati della capacità di renderci coscienti. Mente e coscienza sono   un prodotto dell'attività cerbrale.

 

Finora, abbiamo raccolto una enorme quantità di conoscenze, studiato con attenzione i portatori di lesioni cerebrali, esaminato le capacità mentali di  individui con un quoziente intelletivo (QI) eccezionale per capire e spiegare il mistero del cevello e della mente. Eppure, il campo di studio è ancora alla ricerca di valide e accertate teorie per riuscire a inquadrare il problema di come effettivamente funziona la mente.

La questione tuttavia resta sempre lo stesso: come accidenti funziona. Non siamo infatti riusciti a comprendere come una mente immateriale ( di per sé non suscettibile quindi di indagine scientifica) potesse interagire con un corpo materiale.

 

La realtà è che è difficile definire in che cosa consistano la cosciena, gli stati soggettivi, le esperienze personali.

La coscienza manca di oggettività.

Quello che possiamo affermare è che il riduzionismo materialistico o fisicalismo non è in grado di spiegare la coscienza fenomenica, i cosiddetti "qualia".

Non abbiamo "la più pallida idea di come un oggetto fisico possa costituire il soggetto di una esperienza" (J. Levine). Vediamo un oggetto rosso, avvertiamo un dolore, ma dove sono gli eventi capaci di spiegare l'esperienza soggettiva della "rossezza" e la sensazione del dolore?

Concordiamo perciò con altri neuroscienziati, i quali ritengono che gli stati mentali (la mente) siano qualcosa di fondamentalmente "distinto" dai sistemi fisici (il cervello) ai quali non possono essere ridotti (Chalmers).

Anche l'ipotesi asserita ultimamente dal neuroscienziato Michael Gazzaniga nel suo libro " La coscienza è un istinto" (Raffaello Cortina Editore) non ci trova assolutamente d'accordo.

Ma davvero la coscienza è un istinto? E come è possibile che la mente sia un prodotto dell'istinto, ma può essere modificata dall'esperienza personale? Se la coscienza fosse un istinto, gli esseri umani sarebbero come "automi, zombie senza discernimento". Sostenere questa idea equivale a "condannare l'essere umano a una prospettiva puramente deterministica ed avvilente". Sarebbe la scoraggiante "caricatura" dell'uomo come robot alla mercé di "reazioni riflesse".

 

L'essere umano ha un corpo (cervello), una sostanza materiale, ma ha anche una "essenza", una mente, uno spirito, un Io, una coscienza, una capacità creativa.

"Posso concepire l'uomo- scrive Pascal- senza mani né piedi né testa. Ma non posso concepire l'uomo senza pensiero".

 E' lo spirito a distinguere l'essere umano dalle altre creature e porlo in una dimensione metafisica e trascendentale.

E' lo spirito che fa  per eccellenza l'uomo.

 

 

                                                                                          

 

 

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- Filosofia/Scienza

Cervello e mente: alcune riflessioni

Guido Brunetti

Cervello e mente: alcune riflessioni

 

Il termine neuroscienze indica lo studio scientifico dei vari aspetti del sistema nervoso. La ricerca comprende uno dei campi di indagine più fecondi e affascinanti. Finora, straordinari progressi e brillanti scoperte sono stati effettuati sull'evoluzione, le strutture, il funzionamento e le disfunzioni del cervello e del sistema nervoso.

 

Vengono esaminati processi mentali che finora erano ritenuti insondabili, come le basi biologiche dei processi decisionali, della memoria, dei sentimenti e delle emozioni, dell'apprendimento, della coscienza e di molti altri aspetti della vita mentale.

 

Una delle scoperte più notevoli sul cervello è la sua capacità di "organizzarsi". Ogni nuova esperienza, ogni nuova nozione che apprendiamo "provoca cambiamenti" nel cervello. Questi cambiamenti possono modificare le connessioni sinaptiche e tra neuroni, e generare nuovi neuroni.

 

E' il fenomeno della neurogenesi: la formazione di nuovi neuroni nel cervello. Una grande scoperta.

 

Un'altra meravigliosa scoperta è la neuroplasticità del cervello. Il cervello si modella e rimodella continuamente. E' la capacità del cervello di modificarsi in risposta a esperienze o sollecitazioni ambientali. E' un evento che comporta una rivoluzione scientifica soprattutto nello sviluppo e nel processo di apprendimento del bambino e nel campo dell'invecchiamento.

 

L'evoluzione è riuscita a "plasmare" il cervello umano. Abbiamo una mente "rimodellata" dall'ambiente familiare, da quello socio-culturale e dall'interazione con altre persone. Si tratta di un processo che è espressione di un'eccezionale combinazione di fattori genetici e influenze sociali e culturali.

 

La popolazione umana è formata da 7 miliardi di persone. Abbiamo così 7 miliardi di menti che di continuo si modificano l'un l'altra.

 

E' stato dimostrato che nei cuccioli di ratto privati di adeguate cure materne un'esperienza precoce produce una modificazione permanente nel genoma e tale da cambiare il comportamento nella vita adulta. Un meccanismo simile riguarda anche gli esseri umani. Una volta adulti, questi ratti mostrano livelli elevati degli ormoni dello stress.

 

I progressi nel campo delle neuroscienze sono dovuti soprattutto allo sviluppo di nuovi metodi di "brain imaging".

 

La teoria di Darwin sull'evoluzione per selezione naturale è alla base delle nuove neuroscienze.

 

Una questione fondamentale in materia ha per oggetto la coscienza. Coscienza,  cervello e mente sono tre parole affascinanti che tuttavia nascondono ancora abissi di ignoranza. Oggi, i neuroscienziati stanno ponendo le basi per l'affermazione del concetto di coscienza intesa come facoltà cerebrale.

 

Finora, non abbiamo idea di cosa siano gli stati interiori. Se diciamo a qualcuno che il cielo è azzurro, questa persona non saprà se la nostra sensazione di azzurro è uguale alla sua.

 

C'è poi un altro mistero: non sappiamo come faccia il cervello (struttura materiale) a produrre la mente ( struttura immateriale). Alcuni scienziati pensano che non riusciremo mai a saperlo. Altri autori invece ritengono che un giorno saremo in grado di ottenere le giuste risposte.

 

In verita, la ricerca sul cervello e la mente risale a tempi lontani. I primi studiosi ad analizzare il comportamento umano sono stati i filosofi. Infatti, era la filosofia a studiare i sistemi conoscitivi. Con i filosofi, anche le credenze religiose, le conoscenze popolari e le osservazioni sulla biologia dell'uomo hanno fornito elementi di valutazione sul cervello.

 

Nell'antico Egitto, c'era la credenza che nell'aldilà i defunti passassero a una vita immortale.

Nella Bibbia, non si parla di cervello, mentre il cuore viene citato moltissime volte.

Aristotele (350 a.C.) riteneva che la mente fosse proprietà del cuore.

E' con Ippocrate (400 a.C.) che il pensiero, le emozioni e le percezioni vengono attribuiti al funzionamento del cervello.

 

Cartesio, il padre della filosofia moderna, sosteneva che gli esseri umani avessero un'anima immateriale, oltre che un corpo materiale. E' la teoria del dualismo di anima e corpo.

 

Oggi, i neuroscienziati rifiutano il dualismo metafisico e affermano che tutti i processi mentali sono processi cerebrali, fisici (monismo). Mente e cervello sono identici.

 

                                                               

 

 

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- Filosofia/Scienza

L’ origine dell’umanità ed evoluzione del cervello

 

   Guido Brunetti 

 

Le origini dell'uomo ed evoluzione del cervello 

 

Abstract.   Le origini dell’umanità incomincia in Africa con lo sviluppo della postura eretta, che apre la strada all’evoluzione biologica e a quella culturale e che culmina nella comparsa dell’Homo sapiens. In questo processo evolutivo, il cervello ha ereditato l’organizzazione di tre tipi fondamentali di cervello.

 

Parole chiave: Postura eretta, Homo sapiens, cervello, mente, monismo, dualismo.

 

La storia affascinante delle origini dell’umanità, costruita sui reperti paleontologici esaminati con tecniche sempre più precise e sofisticate, incomincia sette milioni di anni fa, si svolge in Africa e giunge sino ai nostri giorni. Essa prende avvio quando dalle molte specie di scimmie antropomorfe si “separa” un tipo che si distingue per la postura eretta, in grado cioè di reggersi su due gambe e di realizzare l’andatura bipede.

 

Lo sviluppo della postura eretta- afferma R. Leakey- “distingue” gli ominidi dalle scimmie antropomorfe e apre la strada a quella evoluzione biologica e culturale che culmina nella comparsa dell’Homo sapiens dopo quella dell’ Homo erectus, che nasce circa due milioni di anni fa, e dell’ Homo habilis (Leakey).

L’Homo sapiens, che compare circa 34.000 anni fa, è caratterizzato dalla coscienza, dall’uso del linguaggio e dalle prime forme d’arte. Con il linguaggio e l’arte, l’evoluzione si avvia verso l’uomo moderno, il sapiens sapiens.

 

Si può ritenere- afferma il neuro scienziato Paul MacLean- che nella sua evoluzione, il cervello si sia sviluppato come un edificio al quale vengono aggiunte via via nuove strutture. Nel tempo, il cervello ha ereditato la struttura e l’organizzazione di tre tipi fondamentali di cervello: il cervello rettiliano (500 milioni di anni fa), la struttura più antica; il cervello mammaliano (250 milioni di anni fa) e il tipo più complesso, il neocervello (100-50 milioni di anni fa). Queste tre strutture funzionano come “un cervello uno e trino”, pur presentando differenze strutturali. Secondo questo scienziato, la mente- il pensiero, le idee, le emozioni, i sentimenti- non è altro che la manifestazione del cervello.

 

Invero, il rapporto tra cervello e mente è un problema che ha una storia millenaria. Per secoli i due termini hanno indicato elementi differenti (dualismo).

Mente e cervello sono i due elementi che  formano l'individuo. Da una parte c’è lo spirito (psiche) e dall’altra, la materia. Cartesio parla di "res cogitans e res extensa". Questo dualismo è già presente nella cultura greca, a partire da Platone, e giunge sino ai nostri giorni.

 

A sua volta, il Cristianesimo compie una divisione ancora più netta e l’iperuranio di Platone diviene il luogo delle anime, quando si separano dal corpo. A questa concezione si oppone il monismo, una teoria che inizia con Democrito e giunge fino all’epoca attuale. Cervello e mente- sostiene tale sistema dottrinale- sono la stessa cosa. Sia la mente sia il corpo hanno una natura fisica, materiale, biologica. La mente è un’espressione del cervello. Essendo la mente “ridotta” a materia, cosa che può quindi essere sottoposta  al metodo sperimentale e scientifico, c’è assoluta identità tra loro. Anima, Dio, il sacro, il trascendente si pongono invece in una dimensione non scientifica, nel senso che non possono essere indagati sperimentalmente in quanto non sostanze materiali.

 

Oggi, la posizione dominante delle nuove neuroscienze è quella del monismo. Non c’è mente senza cervello e non c’è cervello senza pensieri, emozioni, idee. Anche il pensiero filosofico contemporaneo rifiuta il dualismo e riconosce che la mente è “incorporata” (embodied) nel cervello, nel corpo.

La filosofia del '900 rappresenta una forte rottura rispetto al passato. Rifiuta la metafisica, le verità assolute, le certezze, l'essenza. Il suo compito deve essere quello di esaminare le cose, i fenomeni così come appaiono, come si presentano. Di qui, la nascita della fenomenologia, del nichilismo, della morte di Dio teorizzata da Nietzsche e della crisi dei sistemi morali.

Insomma, tutto è corporeo, materia. E' la concezione del riduzionismo scientifico o fisicalismo.

 

Ma un'esistenza senza Dio- dichiara Dostoevskij- significa che tutto è possibile, anche le più grandi atrocità. Chi nega Dio- aggiunge- nega l'uomo. Che è essenza, spirito, interiorità, sentimento.

 

 

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- Filosofia/Scienza

Guido Brunetti autore di neuroscienze. Profilo critico

 

Anita D'Aloisio

Guido Brunetti autore di neuroscienze. Profilo critico

 

  

Abstract 

 

Il presente lavoro ha lo scopo di esaminare la figura e l’opera di Guido Brunetti, autore di neuroscienze, attraverso le riflessioni e le valutazioni di autorevoli neuro scienziati e studiosi di varia formazione culturale.

 

Parole chiave. Cenni biografici, gli studi, la critica, l’impianto concettuale.

 

Introduzione

 

Guido Brunetti vive e lavora a Roma. La sua biobibliografia risulta vasta e multiforme. Ha tenuto lezioni nelle Università di Roma, Lecce e Salerno. Scrittore, è autore di numerosi libri e saggi che spaziano nei più diversi campi delle neuroscienze, della psichiatria e della psicoanalisi. Brunetti è stato definito da autorevoli neuroscienziati un “umanista-scienziato” (Vizioli) e “uno dei pochi autori capace di scrivere un libro sul cervello, la mente e la coscienza” (Boncinelli). Neuroscienziati e studiosi di varia formazione culturale hanno esaminato l’opera di Guido Brunetti, mettendo in evidenza molteplici elementi che la caratterizzano. L’insieme di queste componenti danno origine a un ricco caleidoscopio di conoscenze e riflessioni capace di accrescere i nostri saperi su questioni che risultano di fondamentale importanza per la scienza, anche se ancora avvolte nel mistero, come il cervello, la mente e la coscienza.

 

Cenni biografici

 

A 11 anni, Brunetti lascia definitivamente il suo paese d’origine, Fraine (Chieti), e si trasferisce a Nemi, alle porte di Roma, dove studia nel collegio dei Mercedari sino alla soglia del liceo. Qui, nel solco dell’educazione familiare, riceve una solida cultura classica in latino e greco e una salda formazione intellettuale, morale e spirituale. Studia nelle Università di Napoli e Urbino, ma si laurea a Lecce con una tesi in psicologia differenziale sul trattamento e il recupero dei minori disadattati e insufficienti mentali. Nel 1970 consegue la specializzazione in psicologia nell’Università di Torino. Nel 1960 vince un concorso presso il Ministero di Grazia e Giustizia e lavora negli istituti minorili nel settore dell’osservazione scientifica e rieducazione di adolescenti con disturbi di personalità. Nel 1970 viene trasferito a Roma nel Ministero di Grazia e Giustizia, dove si occupa dell’organizzazione dell’attività di criminologi e psicologi nelle carceri italiane. E’ l’avvio di una lunga e straordinaria esperienza intellettuale e professionale, che gli permette di approfondire sia la struttura e il funzionamento del cervello e della mente che i meccanismi inconsci che motivano il comportamento normale e patologico dell’individuo. E’ una progressiva immersione nel mondo ancora misterioso delle nuove neuroscienze, le quali cercano di studiare e capire il cervello, la mente e la coscienza, tre parole che nascondono ancora abissi di ignoranza. Un grande mistero affrontato dai pensatori sin dai tempi antichi. Esercita la sua attività, oltreché al Ministero della Giustizia, anche presso il Tribunale di Roma, come esperto, e presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dopo queste esperienze, intraprende l’attività sanitaria di diagnosi e cura dei disturbi mentali e psichici sia come libero professionista che presso Centri medico-psico-pedagogici e istituti di riabilitazione neurologica.

 

L'opera al vaglio della critica

 

Questo vasto e variegato itinerario riflette l’evoluzione dei suoi molteplici interessi culturali e scientifici. Si interessa infatti prima alle pedagogie speciali e alla psicologia, poi alla psicoanalisi e alla psichiatria e infine all’affascinante campo delle nuove neuroscienze. Le quali, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, formano oggetto dei suoi studi e dei suoi numerosi libri e saggi. La molteplicità di queste sue competenze viene evidenziata da Francesco Bruno, dell’Università di Roma, il quale sottolinea come il percorso professionale e scientifico di Brunetti si rivela “ricco di diramazioni e di ampie aperture con forti richiami anche di natura etica”, contribuendo in tal modo “al progresso delle scienze neuropsichiatriche e indicando nuovi approcci terapeutici e riabilitativi”. Brunetti riesce infatti ad impegnarsi “in uno dei traguardi più audaci a cui uno studioso può ambire: esprimere una scrittura, agglutinando una molteplicità di saperi e capacità”. Emerge un’opera caratterizzata da “rigore scientifico, ampiezza culturale e tensione morale”. Cosa che pone Brunetti “tra i più competenti autori nel campo delle neuroscienze”.

 

Una visione poliedrica ed articolata

 

Si tratta di un’opera “estremamente poliedrica ed articolata, in ragione- osserva Nicola Coco, anch’egli docente nell’Università La Sapienza di Roma- sia della sua vastità di aree di incidenza sia della consistente omogeneità di indagine”. Da parte sua, Raffaello Vizioli, neuroscienziato di fama internazionale, sostiene che tra i meriti di Brunetti c’è quello di “saper fare cultura e scienza, infrangendo il muro di incomunicabilità che caratterizza il rapporto fra le due culture, quella delle neuroscienze e quella delle scienze umane”. Per questa via- prosegue Vizioli- sarà possibile realizzare la nascita di un nuovo umanesimo in medicina, psichiatria e psicoanalisi, reso sistematico da una conoscenza più profonda del cervello umano. Questa concezione si colloca nell’alveo di quella visione che i pensatori greci chiamarono paideia e Cicerone humanitas. Un sistema di conoscenze scientifiche, filosofiche ed etiche finalizzato all’affermazione della sacralità della vita, contro sofferenza e malattie, fatto che costituisce “il massimo di nobiltà delle neuroscienze e della medicina”. “L’opera del collega Brunetti- spiega Vizioli- si pone autorevolmente nella linea di un meraviglioso filone di studi, che apre nuove finestre conoscitive e diretto a perseguire il più alto imperativo morale delle scienze, quello di applicare le nostre conoscenze per trarne il massimo beneficio per l’umanità”. Brunetti- conclude il neuroscienziato- si conferma “un autore di neuroscienze competente e limpido, per mezzo di uno stile piacevole, brillante e fluente: un merito non da poco”.

 

Una visione globale dell'essere umano

 

I testi del nostro autore- sottolinea a sua volta Edoardo Boncinelli- rappresentano “ un excursus molto ampio sulla nuova scienza del cervello, dalle teorie alle applicazioni nei vari campi delle neuroscienze, della medicina e dello sviluppo umano. Il tutto espresso, o meglio narrato, con competenza e con un linguaggio piano ed accessibile anche ai non specialisti, che è la cosa più difficile quando si ha a che fare con questioni scientifiche”. Affiora un copioso corpus di conoscenze che permette di evidenziare tutto un universo di idee e contenuti da cui inferire- osserva Francesco Bruno- una visione globale dell’essere umano. Risulta un must filosofico, scientifico e letterario non disgiunto da una forza etico-spirituale, a conferma- aggiunge Vincenzo Rapisarda, docente di psichiatria- che Brunetti “possiede una cultura universale”.

 

La teoria trinitaria della persona

 

Possiamo dire che l’impianto concettuale espresso nei suoi libri delinea- spiega Tonino Cantelmi, docente di psichiatria nell’Università La Sapienza di Roma- “un decisivo superamento sia del riduzionismo neuroscientifico sia del riduzionismo delle scienze umane”. “Il professor Brunetti- aggiunge- è noto per aver elaborato la teoria trinitaria della persona”, una concezione dell’essere umano che Brunetti realizza con magistrale perizia scientifica e filosofica. Emerge una persona che assume “un valore intrinsecamente ontologico e quindi etico”. Questa visione rappresenta “un contributo fondamentale soprattutto in un’epoca in cui molte idee mettono in discussione il concetto di umano”. Le sue opere poi sono “un esempio di transdisciplinarità in cui convergono saperi diversi che assurgono a una sintesi unitaria su temi complessi e affascinanti”. A sua volta, Giulio Maira, neuroscienziato di fama mondiale, sostiene che Brunetti “aggiunge tanti importanti tasselli alle nostre conoscenze” nell’intento di “chiarire i punti oscuri che riguardano il cervello, la mente e la coscienza”, cercando di “dare riposte ai profondi quesiti scientifici e filosofici a essi connessi”, attraverso una scrittura “colta, bella e raffinata”.

Completiamo questa panoramica critica sulla figura e l’opera di Guido Brunetti, riportando il giudizio di un noto genetista, Luigi Rossi, il quale ha scritto: “Ho letto su una enciclopedia il profilo di Guido Brunetti e sono rimasto ‘sbalordito’ per quello che ha fatto e sta facendo”.

 

Conclusione

 

La straordinaria e imponente produzione scientifica e culturale di Brunetti e le eccellenti valutazioni di studiosi e scienziati dimostrano sia il valore delle sue opere che la conferma del suo prestigio goduto nel mondo delle neuroscienze e della cultura e lo fanno “appartenere al pantheon dei classici della letteratura neuroscientifica e filosofica dell’età contemporanea.

                                                                                 Anita D'Aloisio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Scienza

C’era una volta...il dottore. Saper essere

Guido Brunetti

C'era una volta...il "dottore". "Saper essere".

 

   C'era una volta.. il "dottore". Che portava con sé valori   considerati un patrimonio "irrimediabilmente" perduto. Un mondo che si fa fatica a riconoscere. L'onesta e garbata faccia del dottore di famiglia. L'umile, povera e misconosciuta figura del medico condotto, accompagnata da una "profonda coscienza affettiva e buono a tutto fare" (E. Shorter).

   Oggi- come rileva con amarezza e rimpianto Cosmacini, medico e storico della medicina- il "dottore non c'è più". E' una figura "scomparsa". Che è entrata in "dissolvenza, consumata, consunta, talora superstite in qualche sconosciuto esemplare".

 

   In realtà, il medico e la medicina, chiamata "arte lunga" o "arte della cura", hanno una storia antichissima. Comincia con la mitologia curativa degli dei dell' Olimpo, dai guaritori e sciamani dell'antico Egitto e della Babilonia, attraversa il sapere medico greco-romano e medioevale e giunge sino alla "rivoluzione" terapeutica, biotecnologica e genetica dei nostri giorni.

   La medicina ci è nota attraverso i poemi omerici (IX sec. a.C). La malattia ha una connotazione magico-religiosa. Essa non fa parte della natura umana, ma è inflitta dagli dei come  "castigo divino" a causa di una colpa dell'uomo.

   La Bibbia afferma che la presenza del medico è un dono del Signore. E' Dio che dà al medico la capacità di guarire. "Onora il medico- dice l'Antico Testamento- perché il Signore ha creato anche lui".

   E' soltanto con Ippocrate (460 a.C.), il padre della medicina, che il sapere medico perde qualsiasi potere divino e rifiuta ogni ricorso alle cure magiche. E' il cervello il responsabile della malattia. Le patologie sono ritenute come rottura dello stato di equilibrio dell'organismo umano. La cura si basa sull'indagine diagnostica, ossia sull'osservazione dei sintomi del malato.

 

   L'età contemporanea è contrassegnata da un progresso scientifico-tecnologico sempre più rapido e inarrestabile. E' in atto una "rivoluzione scientifica" destinata a sconvolgere non soltanto i metodi di diagnosi e cura in medicina e psichiatria, ma la nostra visione dell' uomo e del mondo e i nostri millenari principi e valori a cominciare dai sistemi filosofici.

   La rivoluzione terapeutica dei farmaci e dei vaccini e la rivoluzione dei sistemi diagnostici hanno generato un cambiamento di rotta del ruolo del medico con "ricadute negative" (Cosmacini)    nel suo rapporto con il paziente. Si è verificato un cambiamento traumatico.

   La medicina moderna ha acquistato in tecnologia quel che ha perduto in "umanità".

 

   C'è una forte esigenza di "umanità" e "umanizzazione". Ma tale esigenza contiene un vistoso paradosso: quello di dover rendere "umano" ciò che umano e soltanto umano dovrebbe essere per "statuto e definizione, e che invece si ammette essere "scaduto" a "disumano".

   Una cura cioè stravolta in "incura".

 

   L'antico rapporto interpersonale è stato dunque sostituito con troppa disinvoltura da un insieme di tecniche diagnostiche e il ruolo del medico è "ridotto" a quello di "burocrate", di "somatologo" (Andreoli). Il quale si limita a richiedere gli esami, spinto spesso dal bisogno di prevenire eventuali attacchi alla sua persona più che dall'interesse per la salute del paziente.

   Un comportameto insicuro. Il burocrate di un corpo scisso, di un Io diviso e frantumato dal dolore e dalla patologia.

    E un medico insicuro determina una medicina ansiogena, una medicina del silenzio.

   Una barriera che cala tra medico e assistito.

   Il risultato è una progressiva "de-professionalizzazione" del medico con la privazione di ogni rapporto interpersonale empatico.    

    Sta di fatto che nella cura valgono le parole che si dicono, ma anche il modo in cui si dicono e il tono della voce. Ci sono voci gentili e voci sgarbate, voci rispettose, sommesse, educate e voci "gridate", aggressive e rozze.

    I farmaci sono necessari, ma non bastano. Non c'è cura, cura dell'anima e cura del corpo, se non è "intessuta" (Borgna) di saggezza e gentilezza. La gentilezza è un "ponte" che ci fa partecipare al mondo degli altri, è sorgente di conoscenza e di esperienza. Ci avvicina alla sofferenza e alla comprensione dell'altro. E' scoperta della propria capacità di esprimere empatia.

 

   Una ricerca realizzata negli Stati Uniti ha dimostrato che quando in ospedale si crea un ambiente emotivamente positivo in virtù di medici, e infermieri, disponibili, cortesi, dotati di umanità e di maturità emotiva e psicologica vengono attivati neuroni e aree del cervello coinvolti nella produzione di endorfine e ossitocina. Che sono le sostanze del benessere e del piacere. Hanno quindi effetti benefici sui pazienti e sulla cura.

 

   Invero, la perdita del senso di umanità è una realtà percepita anche da molti medici. Medici che appaioni ansiosi, aggressivi, frustrati, algidi, insicuri, scostanti, non affabili. Medici privi di quella bonomia, serenità, gentilezza affabilità e tensiome umana e morale. Qualità che sono fondamentali in ogni processo terapeutico. Sono alla base della stessa cura.

 

   Con la rivoluzione tecnologica, il medico ha iniziato a porre in secondo piano gli aspetti relazionali con gli assistiti, e fatalmente, come rilevò già nel 1953 il maggior clinico italiano del suo tempo, Cesare Frugoni, "diminuiscono i contatti fra curanti e pazienti".

   C'è dunque "l'incapacità" da parte dei medici di soddisfare i bisogni di conforto, rassicurazione, affetto, cura, soccorso che il sofferente, carico di paure e di ansia "esige" nel corso della malattia (M.G.Field).

   C'è- come è stato scritto- "la disumanizzazione della medicina".

   L'unico modo di rapportarsi al paziente è l'approccio tecnologico. fatto che ha poco da spartire  con l'originaria téchne ippocratica fondata sull' occhio clinico, il tatto, il dialogo e realizzata secondo la maieutica socratica.

   Il paziente diventa in tal modo una "macchina" e il medico un "meccanico".

 

   Per guarire non basta la scienza. Ci vuole l'anima, che è disponibilità umana, capacità di comunicare e di relazionarsi con l'altro.

   Occorre una dimensione etica dell'educazione medica, la quale esige il possesso di un bagaglio di valori e qualità, al centro dei quali, lo ripetiamo con forza, ci sono i bisogni della persona umana. Che non è solo corpo, ma è soprattutto mente, spirito, coscienza, Io, emozione, sentimento, progettualità, essenza, sacralità. Una persona che deve essere curata in un ambiente altamente umano e umanizzante. Dove non ci siano arroganza o supponenza, ma rispetto e gentilezza, educazione e disponibilità. A tutti i livelli.

 

   E invece, si è verificata una svolta antropologico-medica propria di una professione che gradualmente "rinuncia" alla propria vocazione "umanologica".

 

   La medicina?

   Una "grande malata", erosa anche da una crisi della formazione  universitaria, che risulta "carente" sia sul piano della didattica che su quello della ricerca.

 

Invero, la competenza tecnico-professionale del medico non consiste soltanto nel possedere le conoscenze tecniche ( il "sapere") e nell'applicarle ("saper fare"). La competenza comprende anche il "saper essere", il saper essere gentili,, empatici, comprensivi, disponibili, rispettosi verso le esigenze psicologiche e fisiche del malato.

Sono caratteristiche necessarie per avviare un sicuro processo terapeutico e portarlo a compimento.

 

   Il nostro modello di medico (del corpo e della mente)?  

  E' quello indicato già molti secoli fa da Galeno: medicus amicus, medicus gratiosus, medicus philosophus.

 

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- Filosofia/Scienza

L’ uomo che vuole sostituirsi a Dio

Guido Brunetti

L' uomo che vuole sostituirsi a Dio

 

   Il pensiero contemporaneo tende sempre più al "rifiuto" dell'Assoluto e del trascendente e oscilla tra visioni prometeiche di grandezza e tragiche negazioni della propria identità.

   L'uomo, preso da un delirio di onnipotenza, vuole sostituirsi a Dio, enfatizzando la potenza della scienza e della tecnica. Sostituendosi all'Assoluto, egli vuole diventare "uomo-Dio". "La scienza- dicono molti scienziati- non ha bisogno di Dio".

   Nel tempo, si è venuta affermando una dottrina positivista, la quale non soltanto si è allontanata da ogni riferimento alla visione spirituale (e cristiana ) del mondo. Ma ha anche lasciato cadere ogni richiamo all'idea metafisica e morale.

   Gli scienziati in tal modo, privi di ogni riferimento etico ed esistenziale rischiano di non avere al centro del loro interesse la persona umana, cedendo  alla "tentazione" di un potere demiurgico.

   La negazione della dimensione metafisica e l'affermazione del relativismo conducono al rigetto di quei valori che per millenni hanno sostenuto la nostra civiltà. L'immagine di un mondo senza Dio appare così un mondo senza progettualità e finalità, senza speranza. Se Dio non esiste -afferma Dostoevskij- "tutto è permesso. La distinzione tra bene e male scompare. Una condizione che può portare al disordine esietenziale, all'angoscia, alla disperazione e trasformarsi  in una cultura del malessere, della malvagità e della morte.

   La cultura scientifica, filosofica e letteraria contemporanea, opponendosi ad ogni pretesa ontologica e metafisica, sta perdendo il senso della trascendenza e del sacro. L'idea filosofica e teologica della "morte di Dio" elaborata da Nietzsche esprime una "nichilistica" assenza di principi, la fine di tutte le illusioni e delle certezze assolute, il tramondo di codici etici o teleologici, il collasso e la scomparsa di essenze, la crisi della civiltà occidentale. Nasce il "superuomo", un essere che pretende per l'appunto di sostituirsi a Dio.

   Quando l'uomo si è fatto Dio o ha creduto di esserlo, in realtà, "ha fallito".

 

   Il relativismo (rifiuto di verità assolute e certezze  soprannaturali) e il riduzionismo scientifico hanno portato anche alla scomparsa dell'anima, all'abbandono di ogni ipotesi spiritualistica che affermi la supremazia di forze immateriali.

   L'anima, sostanza immateriale indipendente dal corpo, immortale e dunque eterna è stata sostituita dalla mente ( psiche), che ha una natura materiale. I nostri pensieri, le nostre emozioni, i nostri comportamenti- dicono i neuroscienziati- sono eventi del cervello, cioè combinazioni di neuroni. Noi non siamo altro- precisa Crick- che "un insieme di neuroni".

 

In realtà, finora la scienza non è riuscita a spiegare l'origine della mente e della coscienza, ossia a comprendere come fenomeni mentali possano derivare dall'attività elettrochimica dei neuroni e delle aree cerebrali. Non abbiamo elementi per una spiegazione scientifica dei rapporti tra mente e cervello e nessuno conosce la natura della mente e della coscienza.

 

   Ci troviamo di fronte al " grande profundum" di Sant'Agostino, un abisso insondabile, il mistero dei misteri.

   Il neuroscienziato John Eccles  ha sostenuto al riguardo che poiché la soluzione materialistica non riesce a spiegare la nostra anima, siamo costretti ad attribuire l'unicità dell'io o anima a una "creazione soprannaturale". L'anima- spiega Eccles- è "creata da Dio". Un Dio trascendente nel quale credeva Einstein. La scienza occidentale, aggiunge Jacob, premio Nobel per la mediciana, è fondata sulla dottrina di "un universo ordinato, creato da un Dio che rimane fuori della natura e la governa per mezzo di leggi accessibili alla ragione umana".

 

   Numerose ricerche    neuroscientifiche hanno mostrato tuttavia che la spiritualità, la religiosità e la moralità hanno una base innata (Hauser). Fatto che conduce all'idea di Dio e alla fede (Gazzaniga). Parliamo quindi di una sorta di "grammatica univrsale", di una "scintilla divina, spiritale e morale, che agisce in base a principi evolutivi (Green). La tendenza di formare credenze religiose è il bisogno dell'uomo di credere in qualcosa, in qualche ordine superiore, di dare "senso" all'esistenza, alla sofferenza e alla morte. Alla fine, anche il filosofo del nichilismo e del super-Uomo, Nietzsche, ha dovuto risolvere la sua idea della "morte di Dio" con una invocazione liberatoria: "Cerco Dio! Cerco Dio!".

 

 

 

 

 

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- Scienza

L’ipnosi come terapia

Guido Brunetti

L' ipnosi come terapia

   Il termine ipnosi indica uno stato passeggero di attenzione nel soggetto, che può essere indotto da un'altra persona e nel corso del quale "possono presentarsi fenomeni molteplici" (Furneaux). Questi fenomeni comprendono: alterazioni della coscienza e della memoria, aumento della sensibilità alla suggestione e il comparire di reazioni insolite.

 

   Il primo ad introdurre il termine di ipnotismo è stato Braid (1843), definendolo come "uno stato particolare del sistema nervoso determinato da manovre artificiali". A sua volta, Bernheim definisce l'ipnotismo come "un grado di suggestibilità esaltata", intendendo per suggestibilità "l'attitudine a essere influenzati da un'idea e a realizzarla". Charcot lo giudica come "una nevrosi sperimentale". Si tratta, come precisa Granone, di un particolare stato psicofisico indotto da questa pratica terapeutica che permette di "influire" sulle condizioni psichiche, somatiche e viscerali del soggetto.

 

   Il termine ipnosi è posteriore a quello di ipnotismo e si riferisce alla sintomatologia ipnotica come sindrome a sé stante, un modo di essere dell'organismo.. L'ipnotismo invece è la tecnica che permette di attuare tale condizione.

   Uno degli stati che più di frequente si realizzano nell'ipnotismo, definito anche "rilasciamento per suggestione" o "terapia psicosomatica" (Fry), è quello del sonno ipnotico, durante il quale sono molto evidenti le possibilità di agire sulle funzioni psichiche e organiche del soggetto.

 

   Si tende a classificare le teorie sull'ipnosi in due categorie: 1) Teorie che considerano i fenomeni come esito di una particolare sirtuazione del SNC e 2) Teorie che considerano i fenomeni come reazioni di un organismo funzionante alle condizioni offerte da motivazioni, attenzioni, atteggiamenti.

   Le teorie del primo gruppo comprendono le interpretazioni dell'ipnosi come una specie di sonno. Sulla base delle sue ricerche, Pavlov spiega l'ipnosi come uno stato di inibizione corticale in cui focolai di stimolazione rendono possibile la provocazione di reazioni, il cui carattere bizzarro fa pensare a mancanza di controllo e a modificazioni nella massa corticale.

   Le teorie del secondo gruppo comprendono le ipotesi di Bernheim e di Liébeault, le quali considerano i fenomeni come speciali esempi di suggestionabilità in stato di veglia. Freud, al riguardo, sostiene l'importanza della "sottomissione" e parla dell' affinità dell'ipnosi con "la donazione illimitata dell'amore", in cui rimane tuttavia esclusa la soddisfazione sessuale.

 

   Si ritiene che i fenomeni ipnotici e l'esperienza della trance fossero noti già nell'epoca preistorica. Fin dai tempi antichi, Atzechi, Maja, Egiziani, Cinesi, Ebrei, Greci e Romani riconoscevano che stati della coscienza potevano essere utilizzati nel trattamento di varie malattie.

   La più antica descrizione dell'ipnosi si troverebbe, per Wolberg, nel brano della "Genesi" in cui si narra che il Signore fece cadere Adamo in un sonno profondo prima di procedere all'estrazione della costola dalla quale sarebbe stata creata Eva.

 

   I poemi omerici contengono molti riferimenti ai fenomeni ipnotici. Asclepio, dio greco della medicina, alleviava il dolore dei pazienti inducendo stati di coscienza simili al sonno. La medicina antica, medioevale e rinascimentale conserva tracce significative dell'uso dell'ipnosi come rimedio contro numerose malattie. Nei secoli successivi, Marsilio Ficino,  Pomponazzi, Bacone e altri si occupano nei loro studi anche dell'ipnotismo.

 

   Bisogna arrivare al 1700 per trovare applicato l'ipnotismo in Europa. Mesmer pensò all'esistenza di un fluido magnetico che dal terapeura si trasmette al paziente, detterminando la guarigione delle malattie. Ma il fondatore della moderna tecnica ipnotica, J. Faria, respinse tutte le teorie esistenti e le pratiche magiche, non credendo al fluido, proclamando la natura soggettiva dei fenomeni magnetici. Freud spiegò i fenomeni ipnotici con la teoria della "rimozione degli istinti" e con il meccanismo della "traslazione".

 

   L'ipnosi clinica, secondo l' "American Medical Association", è una tecnica terapeutica, un serio strumento della scienza medica, estremamente complesso e delicato, il cui impiego richiede grande competenza, spiccate capacità e serietà scientifica. Non esiste branca medica e psicoterapeutica che non possa beneficiare in qualche misura dell'ipnosi. Che trova applicazione in medicina, chirurgia, ostetricia, dermatologia, gastroenterologia, odontoiatria, anestesi e in tutti i campi dei disturbi psichiatrici e della medicina psicosomatica. Con chiaro successo, sono stati curati: asma, eczemi, allergie, colite, ulcera, cefalee, insonnia, obesità, frigidità, disturbi mestruali, vaginismo, fobie, balbuzie, malattie cardiovascolari, enuresi, disfunzioni sessuali, tossicomania, alcolomania, preparazione al parto, bulimia e anoressia.

 

 

 

 

 

                                                                              

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- Scienza

Arte, creatività e cervello

Guido Brunetti

Arte, creatività e cervello

   A partire dagli ultimi anni del XX secolo, le neuroscienze sono caratterizzate da continui progressi, i quali sono destinati, a nostro parere, a "sconvolgere" non soltanto i metodi di diagnosi e cura in medicina e psichiatria, ma la nostra visione del mondo e le nostre millenarie concezioni, a partire dai sistemi filosofici.

   Questi sviluppi sono stati possibili soprattutto grazie all'uso di metodiche di "brain imaging", le quali hanno permesso lo studio non invasivo del cervello e della mente su basi nuove.

  

  La nuova scienza del cervello ha iniziato a investigare temi fondamentali, come l'intersoggettività, il sé, l' etica, le credenze, l'empatia, l'estetica e molti altri ambiti di ricerca. Oggi, le neuroscienze, ad esempio, possono fornire un notevole contributo alla ricerca dell' espressività umana e della sua esperienza estetica.

   Cervello, arte, creatività, bellezza, musica, poesia appaiono campi pieni di fascino anche se avvolti in un difficile e complesso intreccio di fenomeni ancora carichi di mistero.

  

  L'arte viene considerata dai neuroscienziati come una manifestazione del cervello  e della mente. E' solo analizzando la struttura e il funzionamento del cervello che noi  possiamo trovare alla fine risposte adeguate.

  

  In realtà, come nasce la creatività? Perché l'uomo crea l'arte? Sono   argomenti che i filosofi hanno cercato di affrontare fin dall'antichità. Le influenze di Freud, al riguardo, sono state "dilaganti" (Spitz) ed hanno prodotto evidenti conseguenze nel mondo della creatività.

   Il concetto dell'arte come espressione di stati psichici, ossia delle primitive pulsioni dell' Io ha favorito tra l'altro la nascita del simbolismo, dell'espressionismo e del surrealismo. L'attività artistica poi è associata a momenti di intensa emozione, a stati alterati di coscienza e alla sofferenza. L'artista ha la grande capacità di attingere alle sorgenti più profonde e ai segreti più nascosti dell'animo umano.

Di qui, il valore terapeutico che può avere sia per l'artista che per il pubblico un  prodotto creativo.

 

  Diversamente dai filosofi, oggi i neuroscienziati sono interessati a comprendere l'origine e la natura della creatività in maniera diretta ed empirica, secondo metodi scientifici.

   Sta di fatto che il crescente interesse in questo campo ha dato origine ad una nuova disciplina che Semir Zeki ha chiamato "Neuroestetica". Che è un nuovo settore di ricerca che tenta di coniugare lo studio dell'arte con le neuroscienze.

 

   L'arte, secondo alcuni autori, rappresenta un insieme di impulsi inconsci  in grado di farci vivere alcune tra le esperienze più profonde ed emotivamente sconvolgenti accessibili agli esseri umani (Dutton). Secondo questa visione, espressa attraverso varie ricerche, l'arte serve a comprendere il funzionamento del cervello, il piacere estetico e il bello.

  

  A partire dagli studi di Riegl e continuando con le ricerche di Ramachandran, Kris e Gombrich, oggi sappiamo che le immagini generate dall'artista vengono "ricreate" nel nostro cervello. Un'opera d'arte ci può infatti trasportare attraverso un "continuum" di emozioni diverse, le quali si estendono dal piacere erotico al dolore, dal terrore all'angoscia,  paura della morte alla dimensione del trascendente.

   Le scoperte poi di Damasio e di Panksepp mostrano   che alla base dell'arte ci sono le emozioni. Il ruolo svolto da alcuni sistemi senso-motori e dagli stati soggettivi riveste un importante significato nella realizzazione e nella comprensione dell'attività creativa. Gli esperimenti neurobiologici hanno cercato inoltre di individuare i "correlati neurali" dell' arte e del bello, mostrando che arte e bellezza sono "radicate" nel cervello. Noi percepiamo, sentiamo e avvertiamo l'esperienza estetica.

   L'arte diventa così un concetto "cerebrale ereditario", un'attività neurologica che nasce dalle aree primordiali e inferiori del cervello (Panksepp).

 

   La possibilità di entrare con il lavoro creativo è dovuta in particolare all'attività dei "neuroni specchio" e al fenomeno dell'empatia. I neuroni specchio sono una popolazione di neuroni, i quali si attivano sia quando una persona compie un'azione (afferrare un oggetto) sia nel momento in cui osserva la medesima azione compiuta da un altro soggetto.

 

  A sua volta, la nozione di empatia viene introdotta nella seconda metà dell' Ottocento in Germania. Secondo il filosofo Vischer, la fruizione estetica dell'immagine sottintende un "coinvolgimento empatico" che si configurerebbe in una serie di "reazioni fisiche nel corpo dell'osservatore". Il concetto di empatia è una "manifestazione emotiva" che concerne il nostro profondo rapporto con gli altri e con il mondo. E' un sentire "dentro" gli stati soggettivi e privati di un'altra persona, è comprendere le intenzioni altrui, la realtà, e dunque l'arte, il bello, la bellezza, la creatività.

 

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- Filosofia/Scienza

Mente-corpo e mente-cervello

Guido Brunetti

Mente-corpo e mente-cervello

   Nel pensiero filosofico e neuroscientifico, grande rilevanza ha assunto il problema mente-corpo (Mind-Body- Problem). Il neuroscienziato raffaello Vizioli, che ho avutp l'onore di conoscere e con il quale ho collaborato per molti anni, lo definisce "il problema dei problemi". Ultimamente, si preferisce parlare di problema mente-cervello (Mind-brain-Problem) invece che del problema mente-corpo.

   In materia, sono state sviluppate parecchie teorie. Le concezioni elaborate nell'ambito della filosofia della mente si possono suddividere, d'accordo con Moravia, in tre orientamenti fondamentali:

1. quello materialistico (Feigel, Armstrong);

2. quello mentalistico, che interpreta la mente come realtà autonoma (Eccles, Popper);

3. quello ermeneutico-personologico, il quale rivaluta la dimensione esitenziale e soggettiva dell'evento mentale.

 

   Per il materialismo riduttivo o fisicalismo, la mente è il risultato di uno stato fisico. Gli stati mentali sono stati del cervello. Coscienza e comportamento tanto negli animali quanto negli esseri umani sono l'effetto di eventi che hanno luogo nel sistema cerebrale.

   L'orientamento generale delle nuove neuroscienze afferma che "tutti i processi psichici, normali ed anormali, dipendono dalle funzioni cerebrali". E' il passaggio dal dualismo di Platone e Cartesio dell'esitenza nell' individuo di una struttura corporea e di una incorporea al monismo. Che è la riduzione dell'anima immateriale alle funzioni fisiche e mentali del cervello. L'essere umano in sostanza viene "ridotto" a "uomo-macchina".

 

   A partire da Platone, il problema della psiche è stato collegato al tema del "soma" ed entrambi riconducibili al concetto di "anima". Nell'età moderna, è stato Cartesio che ha delineato una prospettiva dualistica e metafisica. Ogni essere umano, per Cartesio, possiede sia un corpo- "res extensa"- sia una mente- "res cogitans".

   L'illuminismo e il positivismo contestano la natura immateriale dell'anima e superano il dualismo  metafisico, affermando la preminenza della tesi materialista dell'unità psico-fisica dell'uomo. Concludendo che l'anima è "nient'altro che una parte del soma, ovvero una funzione del corpo. Nel Novecento, la teoria materialista diventa in sostanza "l'unica verità scientifica attendibile".

 

   Oggi, le neuroscienze considerano "prodotto" del cervello ciò che veniva compreso nel concetto di anima o Io. Tutto è creato dal cervello. Anima, spirito, mente, coscienza, autocoscienza, conoscenza sono tutti eventi dell'attività cerebrale. L'anima è integralmente materialista. La soggettività umana risulta pertanto essere una "trama di eventi neurofisiologici". La mente- precisano i neuroscienziati- è una "rete neurale".

 

   Finora, non esiste alcuna prova scientifica che il cervello "secerne" la mente. Sono temi complessi e inaccessibili avvolti ancora nel mistero. Neuroscienziati, cvome Eccles, Penfield, Sperry si sono inchinati- precisa Vizioli- di fronte al mistero della mente, di come cioè una struttura materiale- il cervello- possa produrre un'attività immateriale- la mente.

   Noi concordiamo con Eccles quando sottolinea che ogni individualità si trova "al di là dell'indagine scientifica... è il risultato di una creazione soprannaturasle di ciò che in senso religioso è chiamata anima".

                                                          

 

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- Scienza

I segreti del cervello

Guido Brunetti

Alla scoperta dei segreti del cervello

 Abstract

L’avvento delle nuove neuroscienze ha prodotto in questi ultimi anni una vasta messe di dati e conoscenze sulla struttura e sul funzionamento del cervello e della mente. Studiare il cervello significa approfondire come pensiamo, come ricordiamo, come riusciamo a usare il linguaggio.

 

Parole chiave: cervello, mente, neuroni specchio, empatia.

Introduzione

Osservazioni cliniche e lo sviluppo della ricerca neuro scientifica hanno fornito una considerevole raccolta di conoscenze che stanno a sottolineare il fondamentale ruolo che il cervello riveste nel nostro essere. Le ricerche ci hanno consentito non solo di esaminare la struttura del cervello, ma anche il cervello in funzione. Disponiamo di molti dati poi sui sistemi neurali coinvolti nello svolgimento delle funzioni cognitive. Siamo, dicono i neuro scienziati, il nostro cervello. Oggi, è possibile trapiantare il cuore, il fegato, il polmone. Sappiamo che il cervello ha una natura plastica.

 

L’evoluzione del cervello

Siamo pervenuti agli splendidi risultati odierni anche in virtù dei metodi di brain imaging. L’evoluzione del cervello è legato a numerosi fattori, come la percezione, il linguaggio, le emozioni, la memoria. Le informazioni entrano nel cervello attraverso i sistemi sensoriali, i quali possono subire alterazioni attraverso malattie, traumi, interventi chirurgici. L’osservazione e la cura di questi malati neurologici insieme con i risultati delle scienze hanno portato a una maggiore comprensione del funzionamento del cervello, come dimostra l’interessante libro di Paolo Nichelli che s’intitola “Il cervello e la mente” (il Mulino, 2020). Attraverso l’analisi di molti casi clinici, l’autore ci accompagna nel mondo ancora misterioso delle neuroscienze per farci scoprire i segreti del cervello e della mente.

 

Come conosciamo gli oggetti. La scoperta dei neuroni specchio

La maggior parte del nostro cervello è in relazione alla percezione visiva, ossia all’analisi delle informazioni che provengono dagli occhi. E’ nel cervello, nel susseguirsi delle immagini che noi possiamo comprendere “la straordinaria rapidità e accuratezza” con cui conosciamo gli oggetti. Tutti i dati dell’osservazione clinica e della ricerca ci dicono che c’è un predominio delle informazioni visive su quelle che ci provengono dagli altri sensi, come ad esempio l’udito e il tatto. Molti anni fa, si riteneva che un’area del cervello percepiva il mondo esterno e un’altra area regolava le azioni. La scoperta avvenuta negli anni Novanta dei “neuroni specchio” ha modificato questa ipotesi. I neuroni specchio sono un gruppo di cellule che si attivano sia quando un soggetto compie un’azione che quando vede che la stessa azione la compie un altro. La loro presenza è stata provata nelle scimmie. Ulteriori studi effettuati con le tecniche di brain imaging hanno dimostrato che la stessa operazione avviene anche nell’uomo. E’ stato notato che quando si osserva soffrire una persona cara, si “attivano” zone del cervello coinvolte nel dolore provato personalmente (Singer). Altri esperimenti hanno mostrato che le stesse aree cerebrali si attivano in presenza sia di “stimoli disgustosi” sia di “un volto che esprime disgusto”. Capire gli altri ci rende più socievoli.

 

La teoria della mente

In realtà, capire le intenzioni degli altri è ciò che rende la nostra specie- precisa Nichelli- “più sociale” di tutte le altre. La capacità di comprendere le intenzioni e di attribuire stati mentali agli altri è stata definita “teoria della mente” (Premarck, Woodruff). Si ammette che la persona “si costruisce” una concezione di come funzionano i processi mentali in relazione ad eventi esterni e a stati psicologici. Noi comprendiamo il comportamento degli altri, secondo la “teoria della simulazione”, perché “sperimentiamo” il loro stesso stato mentale, attraverso i “neuroni specchio”. E’ attraverso questi sistemi neurali che l’empatia concorre a rinforzare le dinamiche interpersonali. In particolare, sono le espressioni del volto e degli occhi a favorire l’interpretazione delle emozioni e le interazioni con gli altri. Per la conoscenza di questi stati mentali concorrono alcune regioni cerebrali quali la “corteccia prefrontale mediale e la giunzione temporo-parietale”.

 

Patologie neuropsichiatriche

Finora, una grande quantità di dati forniti dalle tecniche di neuro immagine ci consente di comprendere anche alcune patologie neuropsichiatriche. I soggetti con autismo, ad esempio, presentano difficoltà a “immaginare” pensieri, desideri e intenzioni, nonché a “sincronizzare” con gli altri espressioni facciali, posture e movimenti. L’autismo è un disturbo dello sviluppo cerebrale caratterizzato da una grave alterazione delle interazioni sociali e da un insieme ridotto di attività e di interessi. La causa principale di questa patologia, i cui sintomi si manifestano intorno al terzo anno di età, è di natura genetica. I soggetti autistici hanno difficoltà a provare emozioni ed empatia. Spesso all’autismo si accompagna anche l’epilessia. Il ruolo dell’empatia L’empatia svolge un ruolo importante nella comprensione delle emozioni degli altri, in quanto esprime una risposta emotiva, una risonanza affettiva. Attraverso il “contagio emozionale”, noi conosciamo e condividiamo ciò che un’altra persona sta provando, intuendo i suoi pensieri e i suoi sentimenti e stabilendo così forti legami sociali. Secondo alcuni autori, l’empatia significa “qualcosa di più” che provare la stessa cosa che prova un altro (Hauser). Implica l’essere consapevoli di quello che rappresenta essere qualcun altro. Si verifica una situazione simile a quella dei neuroni specchio nell’acquisizione della capacità di lettura della mente.

 

Gli animali possiedono la capacità di provare empatia?

Esperimenti condotti in materia rivelano che i topi possono controllare il proprio desiderio immediato di cibo, allo scopo di non causare dolore a un altro individuo ( Knobe). Vedere un topo che soffre o che è in pericolo genera un comportamento empatico. Sul piano dell’evoluzione, si ritiene che l’empatia “riduca” il rischio di danneggiare i membri del gruppo, esprimendo comportamenti altruistici che producono benefici alla comunità. Diversamente, l’assenza di empatia si associa a disturbi psichiatrici. L’empatia poi assume un posto centrale nella creazione del legame madre-bambino. Nell’evoluzione della specie, l’empatia ha una lunga storia di “duecento milioni di anni” (Swaab). Nasce dalle cure materne ed è comune in generale a tutti. Alla sua base ci sono i neuroni specchio.

 

L’ossitocina

A favorire i legami sociali e di fiducia concorre l’ossitocina, un ormone prodotto dall’ipotalamo. Oltre ad essere di notevole importanza nella gravidanza, nel parto e nell’allattamento, questo ormone svolge notevoli funzioni cerebrali. E’ considerato “regolatore” delle emozioni, è implicato nell’attaccamento madre-figlio, nel “grooming”, nell’attività sessuale, nello stress e in tutti quei comportamenti che promuovono armonia e coesione negli individui. Nei rapporti di coppia, l’ossitocina favorisce i rapporti sessuali, riduce i conflitti e promuove la fedeltà.

 

Le terapie

Circa le malattie neurodegenerative, i tremori cerebrali, l’ictus disponiamo- chiarisce Nichetti- di farmaci e di terapie che si sono rivelati “efficaci”. Per la malattia di Alzheimer, ci sono farmaci in grado di “alleviare” il decorso e “aggredire” i meccanismi biologici della malattia. Per il morbo di Parkinson, oltre i farmaci c’è la stimolazione cerebrale. Anche il campo delle neuro protesi ha avuto un importante sviluppo: visive, uditive, per il controllo del dolore e motorie.

 

Conclusione

Nel corso dell’evoluzione, le dimensioni del cervello sono “enormemente aumentate” (Swaab). Ciò che caratterizza l’essere umano è un cervello fenomenale di circa un chilo e mezzo costituito da cento miliardi di neuroni. Ogni neurone ha un contatto con circa diecimila cellule nervose. La     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Filosofia/Scienza

Guido Brunetti: tra neuroscienze, scienze umane e filosofia

"Guido Brunetti: scienziato, umanista, filosofo"

 

   “La ricerca sul cervello, la mente e il trascendente- afferma Guido Brunetti- rappresenta la sfida più avvincente del XXI secolo, la più affascinante avventura mai intrapresa dalla specie umana”. Cervello, mente e dimensione del trascendente sono tra le  grandi questioni che da sempre sono al centro delle sue opere e dei suoi interessi professionali, culturali e scientifici. Sono contributi imprescindibili, che chiunque voglia studiare o solo capire il cervello, la mente e la coscienza, cioè le neuroscienze, dovrebbe leggere. La sua scrittura rivela uno stile limpido e scorrevole, una prosa elegante e classica, che quasi seduce. I suoi lavori infatti spaziano soprattutto nei diversi campi delle neuroscienze, della psichiatria e della psicoanalisi con notevole competenza e capacità. Qualità che lo portano a padroneggiare anche altri campi del sapere, come filosofia e letteratura. Per questa via, egli si distingue per ampiezza di visione, forza espressiva e rigore scientrifico. Rivelando in tal modo, come ha scritto Vincenzo Rapisarda, docente di psichiatria nell’Università di Catania, “una cultura universale”.

  

   Brunetti, uno e trino: neuro scienziato, umanista, filosofo. Una personalità pluridimensionale, poliedrica. Nel segno dell’ unità dei saperi. Ciò che rappresenta la sua “peculiarità” e lo “differenzia” dagli altri autori è il “valore aggiunto” della sua concezione trinitaria della persona umana, una visione non solo neuro scientifica, ma anche filosofica, umanistica e spirituale dell’essere umano e dell’esistenza. Uno dei grandi meriti di Brunetti, come ha sostenuto il neuro scienziato Vizioli, è per l’appunto quello di riuscire a fondere mirabilmente cultura scientifica e cultura umanistica, superando le antiche divisioni fra le varie dimensioni dell’ uomo. “Raro esempio, per Vizioli, di come possa esistere una figura di umanista-scienziato. E Brunetti è "un umanista-scienziato". “Pensiero scientifico, pensiero filosofico e pensiero umanistico- spiega Brunetti- sono portatori di contenuti, di pensiero, che ci aiutano a comprendere l’unità di fondo dello spirito umano, in un processo armonico e all’infinito”. Egli scava nell’anima dell’essere umano, nel sottosuolo oscuro e profondo della psiche e dell’inconscio. Va alla radice della persona.

 

   Come neuroscienziato, egli fornisce “un apporto di estremo interesse- ha dichiarato il grande neuroscienziato Giulio Maira- sulle prodigiose proprietà, ma anche sui tanti misteri che ancora avvolgono il nostro cervello e la nostra mente, e aggiunge molti tasselli alle nostre conoscenze”. Dando “importanti contributi- aggiunge Rapisarda- al progresso delle neuroscienze, della psichiatria e della psicoanalisi”. Approfondisce poi il campo dell’introspezione psicologica e patologica con l’autorità e l’abilità che non tutti gli psichiatri e psicologi possiedono.

 

   Come filosofo, analizza e studia a fondo l’ontologica finitezza dell’uomo e delle cose del mondo. C’è in Brunetti la ricerca sul mistero e l’esistenza di Dio, la cui idea costituisce un bisogno innato, biologico. E’ lo spirito che rende superiore l’uomo. E’ una spiritualità che è l’unica capace di comprendere la dimensione del sacro e del trascendente, al fine di placare il senso tragico della vita, le inquietudini, la sofferenza, la solitudine e la miseria umana. Emerge una condizione umana complessa e difficile, il senso drammatico dell' esistenza.

   Scendendo negli abissi del nostro Io, riesce a cogliere la dimensione più profonda dell' individuo, là dove- osserva sant'Agostino- "abita la verità" (In interiore homine habitat veritas). Alla ricerca cioè delle terre incognite della ragione, delle emozioni, dei sentimenti e delle passioni.

 

  Come umanista, cerca di amalgamare i principi base dell’umanesimo filosofico con la dimensione cristiana, nel solco di un pensiero che va da Platone a sant’Agostino, attraversa il ‘400 e il ‘500 e giunge fino ai nostri giorni. Il logos del cristianesimo- chiarisce Brunetti- “non è contrario al percorso dello spirito umano, ma ne rappresenta la conclusione. E’ un’idea che si fa ascesi e che tende a valorizzare gli aspetti positivi presenti nell’uomo e nella natura. Di qui, l’accento posto sulla dignità dell’essere umano, un soggetto visto nella sua originaria grandezza. E’ un umanesimo, quello di Brunetti, che è reso più consistente da una conoscenza delle neuroscienze e dunque più profonda della mente umana.

 

   In questo contesto, il nostro autore mette in luce la deriva nichilista della società contemporanea e della modernità secolarizzata. La modernità ha demolito l’antico concetto di “analogia entis”, ossia di un essere creato dal nulla a immagine e somiglianza di Dio (trinitario e trascendente), secondo una teoria che sfocia nella “morte di Dio” e della personalità libera e spirituale dell’uomo ipotizzata da Nietzsche. Il pensiero contemporaneo e i progressi scientifici stanno “allontanando paradossalmente l’uomo da ogni riferimento all’assoluto e alla visione spirituale del mondo, lasciando cadere qualsiasi richiamo all’idea morale e a quella metafisica. L’uomo- spiega Brunetti- vuole sostituirsi a Dio, ma un mondo senza Dio, in ciò concordiamo con Dostoevskij, è un mondo senz’anima, senza finalità, progettualità e speranza.

   Se Dio non esiste, allora non può esistere il fondamento della morale, dei valori, dei diritti, né di un Bene e di un Male assoluti (Craig). Senza Dio, per Sartre, svanisce ogni possibilità di ritrovare principi. Senza Dio, tutto è lecito.

   In un mondo, che scredita la dimensione del trascendente e del sacro, tutto è possibile, anche le più terribili malvagità”.

 

   Invero, "Scienza e fede, Dio e ragione" rappresentano, per Brunetti, due delle più grandi conquiste della civiltà umana, le quali hanno il pregio di fornirci "prospettive diverse, ma complementari dell'uomo e del mondo circa il senso dell'esistenza, la nascita della mente e della coscienza, l'origine del linguaggio e del pensiero simbolico e la possibilità del trascendente".

  

   "La scienza non può essere né atea né teista, non può negare né avversare il soprannaturale, ma soltanto ignorarlo per motivi di metodo naturalistico, che è il procedimento necessario per investigare la realtà".

   Esistono pertanto questioni "essenziali"- le questrioni "ultime" di Popper- alle quali la scienza non è in grado di dare spiegazioni, cioè di cogliere "il significato ultimo del mondo", come rileva Einstein, per il quale esiste qualcosa di "essenziale" aldilà del dominio della scienza, oltre l'orizzonte dell'esperienza, al di fuori dei confini dell'esistenza fisica, materiale, dell' uomo. Le nostre esistenze- annota lo scienziato- sono "toccate" dalla trascendenza. La scienza senza la religione è " zoppa", la religione senza la scienza è "cieca".

 

   Le stesse neuroscienze mostrano che l'idea di Dio- il sentimento religioso- nasce da "processi cognitivi consci e inconsci della mente". C'è- dicono i dati delle ricerche- un'area del "divino nel cervello". Sia la narrativa scientifica che la narrativa religiosa ci dicono la medesima cosa: il desiderio di Dio è un bisogno innato, biologico, naturale.

   La spiritualità, in questo contesto, assume il carattere di una tendenza fondamentale, una strategia dell'evoluzione, espressione del bisogno ancestrale dell' Homo religiosus nel cercare la trascendenza.

 

   Nel solco di questa impostazione, l'individuo viene concepito da Brunetti nel suo "insieme, come un tutto integrato in cui i meccanismi mentali e psicologici agiscono sui processi neurofisiologici" in un complesso di "circuiti riverberanti" (Bimbauer).

   Tale visione si dimostra particolarmente feconda in altri terreni nei quali si muove il nostro autore, come la psichiatria, la psicoanalisi e la psicoterapia. Siamo pertanto ben lontani dal modello riduzionistico delle scienze naturali espresso nella famosa tesi di W. Griesinger "Le  malattie mentali sono malattie del cervello". "Vogliamo dire che il problema difficile e complesso della psichiatria non si risolve solo per la via dell'ipotesi neurobiologica". La psichiatria, d'accordo con Binswanger, il padre dell'approccio fenomenologico-esistenziale, è una scienza dell'uomo, dell'esistenza. Esistenza che non è solo "natura", ma è anche spirito, cultura, storia. E' persona, volta a "comprendere" l'altro, ossia l'uomo nella sua "globalità".

 

   Il disturbo mentale è inteso come un insieme di relazioni, vissuti, esperienze, mentre il campo dell'organicità (genetica, cerebrale, endocrina) è un settore del suo ambito. La patologia mentale diventa l'espressione di una interazione biologico-sociale. Fattori endogeni ed esogeni, processi organici e psicodinamici, meccanismi psicoreattivi della personalità, condizioni psico-sociali hanno un profondo significato nell'insorgenza dei  disturbi psichiatrici.

   Da questa impostazione, nasce una concezione olistica dello sviluppo dei processi neurali e psicologici, ossia di "un'integrazione globale neurobiologico-psicoanalitica. E' l'idea di "un modello interdisciplinare" destinato a chiarire e comprendere sempre meglio la correlazione tra concetti psicodinamici e acquisizioni neuroscientifiche, tra "mente-cervello" e "mente-persona".

 

   In questa tensione "natura-esistenza", si pone anche la psicoanalisi secondo una feconda prassi umanistica. La psicoanalisi, secondo Brunetti, propone una teoria generale dello sviluppo dell'uomo, normale e anormale, consentendone la comprensione genetica basata sulla regressione a stadi precoci e libidici, che fanno parte dell'evoluzione della persona umana. Questo approccio rappresenta una guida a una comprensione più complessa del rapporto tra mente e cervello.

 

   Assume pertanto notevole rilievo- spiega Brunetti- il metodo della psicoterapia in psichiatria  soprattutto "nell'individuazione della vita psichica inconscia, che è la grande scoperta del Novecento".

   Oggi, la psicoanalisi ha assunto "una sua dimensione teorica e pratica, costituendo il punto di riferimento di ogni metodo di psicoterapia".

   A sua volta, il contributo della fenomenologia e della filosofia esistenziale ha condotto a una "riformulazione" (Callieri) delle questioni in oggetto e a un modo "radicalmente diverso" di essere psichiatri, superando in tal modo le categorie riduttive biologiche e psicologiche. Secondo questo modello, l'oggetto della psichiatria non è più il cervello, ma la "soggettività" del paziente, la sua interiorità, gli stati soggettivi, interiori, privati, personali.

 

   Il soggetto viene colto nella sua "irriducibile singolarità, nella sua ulteriorità come persona al mondo, come persona, secondo una prospettiva che va da Husserl a Jaspers, Heidegger e Binswanger. L'esistenza è vista come "noità", "coesistenza", è "l'esserci-nel-mondo". "Esse est coesse", è la natura antropologica dell'incontro, "dell'essere-in-relazione".

   L'incontro con l'altro rivela l'altro a me non come oggetto, ma come "esistenza", come "sorgente di senso e di significato". Si tratta di una svolta antropologica, che è la "vera rivoluzione copernicana" della psichiatria  odierna. L'integrazione tra neuroscienze, psicoanalisi e filosofia esistenziale viene dunque a porsi come "un'avvincente possibilità, destinata -riflette Brunetti- a creare nuovi orizzonti di ricerca".

 

   Storicamente, la riflessione sul cervello, la mente e l'anima, per Brunetti, è antica quanto il pensiero umano. Fin dai primi filosofi, si sostiene l'idea di un' anima immateriale, di non corporeo, e dunque indipendente dal corpo e dalle leggi della scienza. Se l'anima è immateriale è perciò immortale.

   Con l'avvento delle nuove neuroscienze nel Novecento, i neuroscienziati non parlano più dell' anima, bensì della mente, la quale viene identificata con il cervello. C' è identità tra cervello e mente. La mente cade in tal modo sotto il dominio del metodo scientifico, sperimentale. Stati mentali e stati cerebrali coincidono. Rimane tuttavia un mistero come il cervello dia vita alla mente, alla coscienza e alle esperienze soggettive.

 

"In verità, l' essenza della natura umana- dichiara Brunetti- sta nella sua 'psyché', ossia nella sua anima. Che è oltre il terreno empirico e fenomenico. Il pensiero umano è incessante ricerca dell' ulteriore, del pensare-oltre, del trascendente, dell' assoluto. Al di là dell' oggetto, del corpo e del cervello, oltre il mondo sensibile. E' un salire e un aprirsi  al sovrumano, un dilatarsi fino all'infinito".

 

 Sono concetti che hanno dato vita a una concezione dell'essere umano che il nostro "umanista-scienziato" sviluppa con magistrale perizia.

   Infatti, Guido Brunetti- scrive Tonino Cantelmi, docente di psichiatria nell' Università "La Sapienza" di Roma- "è noto per aver elaborato la Teoria trinitaria della persona umana, la quale rappresenta un contributo fondamentale al progresso della conoscenza". E' una dottrina che "esprime un decisivo superamento sia del riduzionismo  scientifico che  del riduzionismo operato dalle scienze umane". Emerge una grande visione dell'uomo e del mondo, che concorre ad approfondire l' essenziale della persona, la quale acquisisce un valore intrinsecamente ontologico e quindi etico.

 

   Concludendo, la sua vasta e importante produzione scientifica espressa attraverso libri e saggi e gli eccellenti giudizi di autorevoli neuroscienziati e studiosi, come la definizione di Brunetti di "umanista-scienziato" e quella di essere "uno dei pochi autori in grado di scrivere un libro sul cervello, la mente e la coscienza fanno davvero appartenere Brunetti, come è stato scritto, al "pantheon" dei classici della letteratura neuroscientifica e delle scienze umane".

 Anna Gabriele

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- Filosofia/Scienza

Perché c’è identità tra mente e cervello

Guido Brunetti

Perché c'è identità tra mente e cervello

 

   A cominciare dagli anni Novanta del secolo scorso, le neuroscienze hanno sostenuto che la mente è un "prodotto" del cervello, ossia ha una natura biologica, fisica, materiale. I neuroscienziati in tal modo possono procedere ad analizzare, seguendo il metodo scientifico, l'organizzazione e il funzionamento degli stati mentali e degli stati cerebrali.

  Di qui, l'assunto di Francis Crick secondo cui l'essere umano è " un fascio di neuroni". La mente diventa una proprietà del cervello (Damasio), il collegamento di insiemi di neuroni. Tutti i processi mentali, perfino i processi psichici più complessi, "derivano"- ha scritto il premio Nobel per la medicina, Kandel- da "operazioni del cervello", poiché ciò che comunemente chiamiamo mente- ha aggiunto- rappresenta "un insieme di funzioni svolte dal cervello".

   Attualmente, il pensiero dominante tra i neuroscienziati è decisamente "riduzionista" nella sua insistenza sulle spiegazioni neurali. E' una operazione che ha "strappato" il controllo dell'anima e della mente dalle mani  dei filosofi e dei teologi.

 

   Come, quando e perché la mente emerge? Invero, le caratteristiche "uniche" dell'essere umano comprendono, la coscienza di sé e degli altri, il linguaggio e la vita sociale. Su queste capacità emerge uno speciale attributo umano che chiamiamo mente (Rose).

   Il problema irrisolto e forse irrisolvibile verte su come la mente, che è immateriale, sorga dal cervello, che è materia. Permane dunque un mistero il rapporto mente-cervello. Alcuni neuroscienziati ritengono insolubile questo problema, altri studiosi invece pensano che un giorno possa essere superabile.

 

   C'è poi un'altra importante questione. Se le decisioni sono prese dal cervello, che è un oggetto fisico e quindi sottoposto alle leggi della fisica, la nostra volontà non è "libera" di scegliere fra opzioni diverse proprio in quanto meccanismo neurale elettrochimico.

   Finora, non è ancora dimostrato che noi siamo "un fascio di neuroni", un "pacco di neuroni" o "cellule nervose" in una regressione all'infinito. I neuroscienziati inoltre tralasciano di chiedersi chi siano i "noi" che dovrebbero capire come funziona questo "fascio di neuroni". L'assunzione perciò che la mente non è altro che un prodotto del cervello ci appare un concetto scadente, e comunque deve essere verificato.

   La domanda in che modo da una serie di meccanismi cerebrali un evento acquisti significato, diventi cioè coscienza, rimane ancora senza risposta. Per Cartesio, esistono due istanze ontologiche: la "res extensa" (la materia, il cervello) e la "res cogitans", cioè l'anima che pensa, riflette ed è consapevole di se stessa (coscienza). " di neuroni e di altre cellule, ma siamo anche esseri umani, Siamo un' essenza, una mente che si costituisce attraverso l'interazione evolutiva, ontogenetica e storica dei nostri cervelli e dei nostri corpi con gli ambienti sciali, esperienziali e naturali che ci circondano. Abbiamo la capacità di creare e ricreare i nostri mondi. La nostra conoscenza può essere arricchita dal sapere neuroscientifico, ma non può essere sostituita. Abbiamo una spiritualità, che non può essere "ridotta" (riduzionismo scientifico) ai neuroni e alle sinapsi.

 

Certamente, la mente e la coscienza sono passibili di investigazione scientifica, ma esse non si prestano ad essere "ingabbiate" dai metodi scientifici con le tecniche di brain imaging, gli elettrodi e i nostri armadietti dei medicinali"(Rose). Le nostre menti quindi sono "attivate" dai nostri cervelli, ma non sono "riducibili" ad essi.

    L'emozione che si prova di fronte a un brano musicale o a un tramonto, la gioia di uno sguardo di una persona che amiamo, lo struggimento che si avverte per tanti eventi della vita, lo stato soggettivo, unico che si sperimenta per la "rossità" del rosso, per l'aroma del caffè o per "un buon bicchiere di vino", che per Thomas Mann, è "un dono di Dio", sono tutti stati d'animo che vengono sentiti come diversi da un evento fisico, anche se per ognuno di essi si individuano aree cerebrali attive.

   Concludendo, non possiamo spiegare gli eventi soggettivi soltanto con il loro correlato fisico (neuronale, biologico).

 

  

 

 

 

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- Filosofia/Scienza

Il significato della nostra esitenza

Guido Brunetti

Il senso dell' esistenza e il destino della persona umana

 

   Il percorso umano, sociale ed etico dell' uomo è sotteso da un processo che parte dall' opinione (doxa), da ipotesi basate su  conoscenze incomplete e giudizi soggettivi per giungere alla scienza.

   In questo contesto, qual è il compito dell' uomo di cultura- scienziato, filosofo scrittore-?  Nella "Repubblica, Platone sostiene che il suo ruolo è quello di "amare" la conoscenza nella sua totalità e non solo in qualche singola parte.

   Ma cosa è la conoscenza? E' la scienza. La scienza è conoscenza razionale (diànoia), non è conoscenza sensibile, che è dominio dell' opinione. La congettura ha per oggetto "ombre e immagini". Le quali sono "copie" (Platone) delle idee e delle cose, copie delle "sostanze eterne", le quali costituiscono il mondo dell'essere. Che è il mondo dell' unità e dell' ordine assoluto. Alla sua sommità, tutta la conoscenza, si esprime come conoscenza dell' essere.

   Ciò che assolutamente è, è assolutamente conoscibile; cio che in nessun modo è, in nessun modo è conoscibile. All' essere dunque corrisponde la scienza, che è la conoscenza vera. Al non-essere corrisponde l' ignoranza. L'uomo che non conosce è, per Platone, "uno schiavo che incatenato in una caverna è costretto a guardare sul fondo di essa le ombre degli esseri e degli oggetti".

   La caverna è il mondo sensibile. Le ombre proiettate sul fondo sono gli esseri naturali. La nostra conoscenza è come quella degli schiavi. Se lo schiavo che si è prima liberato torna nella caverna, i suoi occhi saranno "offuscati" dall' oscurità e non saprà "discernere" le ombre.

 

   Il processo di sviluppo consiste allora nel muovere l' uomo dalla riflessione del mondo delle ombre alla riflessione del mondo dell'essere, e nel condurlo in modo graduale a riconoscere la vetta più alta dell' essere. Che è il "bene". Il quale è come il "sole" che non solo rende visibili le cose con la sua luce, ma le fa nascere, crescere e nutrirsi. Così il bene, che rende conoscibili le idee e i pensieri.

   La realtà della vita spesso è animata dalle illusioni, dalle credenze erronee, dagli errori dei sensi o da quelli dell'mmaginazione, che fanno percepire l' apparenza come realtà.

   L' essere umano per superare queste illusioni deve rivolgersi alla parte superiore dell'anima, alla parte più nobile della mente, dai neuroscienziati chiamato "neo-cervello", in contrapposizione alla sua parte più arcaica, il cervello "rettiliano", una pulsione di distruzione e autodistruzione. La stessa cosa fa la poesia, la quale- precisa il grande filosofo greco- "stimola" la sfera più emotiva dell' anima, quella che si abbandona agli impulsi ed ignora "l' ordine e la misura" in cui consiste la virtù. Così operando, il poeta "volge le spalle alla ragione".

 

   Qual è allora il "senso" dell' esistenza umana? E' il cammino dell' uomo verso la conoscenza e la saggezza, alla ricerca della propria interiorità e del proprio io.

   L' uomo che conosce è colui che proietta la sua scelta di vita, la scelta cioè che ciascuno fa del proprio destino nella dimensione del trascendente, nel "mondo di là". Non è il "demone" (daimon) che sceglierà la vostra sorte, ma siete voi a "scegliere" il vostro demone. La virtù infatti è "libera a tutti". Ognuno è responsabile del proprio destino. Un concetto che Cicerone esprime così: "Suae quisque fortunae faber est". Dio- spiega Platone- non è "responsabile".

 

   La vita dell' uomo è invero l' esito di una combinazione di molteplici fattori polieziologici: geni, famiglia, ambiente, scuola, cultura, esperienze, caso. Se egli sceglie con giudizio, può ottenere "una vita felice". Il pericolo è quello di farsi "abbagliare" dai modelli, dai feticci della vita apparentemente brillanti, ma che celano infelicità e male. La sua bussola risiede nella "virtù", nel "bene".

   C'è un solo bene, la sapienza, c'è un solo male, l' ignoranza. Se dunque vuoi diventare "migliore"- chiarisce Socrate- non devi curare solo il corpo, ma anche la tua anima. Poiché l' anima è in grado di cogliere quello che i sensi non colgono.

 

 

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- Filosofia/Scienza

Angelo o demone ?

 

Saggio breve

 

Guido Brunetti

Angelo o demone?

 

Dovunque Dio erige una chiesa/ sempre il demone

innalza una cappella;/ e se vai a vedere,

troverai/ che dal secondo

ci sono più fedeli.

(Daniel Defoe)

                                                                 

Talvolta/ il Diavolo è un gentiluomo.

(P. B. Shelley)

 

Oggi, le straordinarie scoperte delle nuove neuroscienze, realizzate attraverso i metodi di "brain imaging", mostrano che il cervello è una combinazione di bene e male, miseria e nobiltà, egoismo e altruismo, malvagità e bontà.

Ricerche effettuate in materia indicano che bene e male sono proprietà che hanno una base biologica, sono innate, stampate cioè nei geni. Poi, la differenza la fanno i neuroni "mirror", i cosiddetti "neuroni specchio", l'ambiente, l' educazione ricevuta in famiglia e  scuola e gli esempi che ci provengono dal villaggio della società, dalla televisione e da altri mezzi di comunicazione.

 

E dunque l' uomo è un angelo o un demone? Per Pascal, non è né angelo né bestia, e sventura vuole che chi vuol fare l' angelo "faccia la bestia". Penso che il demone- afferma Dostoevskij-  non esista. L' ha creato l' uomo e l' ha creato a "sua immagine e somiglianza".  Un pensiero che evoca  la Bibbia: "Faciamus hominem ad immaginem et similitudinem nostram" (Genesi). Vedendo tuttavia che la malvagità degli uomini era grande, il Signore "si pentì di aver fatto l' uomo sulla terra". La condotta degli uomini è "tale- aggiunge l' Ecclesiaste-  in quanto Dio vuol mostrarli quali sono e far vedere che essi non sono altro che bestie".

 

Talora, l' essere umano ritiene di essere Dio e ragione "perché - spiega Tolstoj- Dio è in lui". Egli- aggiunge il grande scrittore- ha coscienza di "essere un porco e ha egualmente ragione perché il porco è in lui. Ma si sbaglia crudelmente quando prende il porco per un Dio".

 

Contrariamente a quanto molti pensano, "non siamo angeli, ma primati molto evoluti. Siamo pervenuti all' "Homo sapiens" attraverso l' evoluzione biologica e l' evoluzione culturale. Eppure noi- precisa il neuroscienziato Ramaschandran- "non ci sentiamo primati, ma angeli che, intrappolati in corpi di bestie, anelano costantemente alla trascendenza e tentano di dispiegare le ali nel volo".

 

Possiamo concludere queste brevi riflessioni, dicendo che l' essere umano si trova a vivere un pò al di sotto dell' angelo e un pò al di sopra della bestia.

 

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- Scienza

Genio e Morbus sacer

Guido Brunetti

GENIO E MORBUS SACER

1. Celebri personaggi e morbo sacro

2. L'esperienza dolente ed esaltante di Dostoevskij

3. Concetto di morbo sacro

4. Il rapporto medico-paziente, all'inizio di ogni successo terapeutico

5. Il medico, una figura in dissolvenza

 

1. CELEBRI PERSONAGGI E MORBO SACRO

 

Artisti, scrittori, poeti, filosofi, santi, imperatori e molti altri celebri personaggi hanno convissuto con l'esperienza del "Morbus sacer" (morbo sacro, epilessia) come lo definivano i greci. Citiamo, tra gli altri, San Paolo e Giulio Cesare, Maometto, Socrate, Pitagora e Aristotele, Alessandro Magno, Petrarca, Napoleone, Leopardi, Flaubert, Van Gogh, Byron.

 

Compare nelle opere di Dante, Shakespeare, Dikens, Dostoevskij. Nel XXIV Canto dell' Inferno, il sommo poeta descrive una crisi convulsiva. Lo scrittore inglese a sua volta ne parla nel "Giulio Cesare" e nella tragedia "Otello". Riferendosi all'imperatore romano, scrive: "E' caduto a terra nel foro, con la schiuma alla bocca ed è restato senza favella".

 

2. L'ESPERIENZA DI DOSTOEVSKIJ

 

Ma è stato Dostoevskij a raccontare le sue sofferte esperienze  in modo impressionante e drammatico, caratterizzate da spaventose e insieme meravigliose senzazioni. Nella sua opera "L'idiota", il grande autore scrive: "...improvvisamente gli si spalancò davanti un abisso: una straordinaria luce interiore gli illuminò l'anima. Quella sensazione durò forse un mezzo secondo, nondimeno, egli si ricordò in seguito con chiara consapevolezza il principo, la prima nota dell'urlo terribile che gli sfuggì dal petto...Poi, la sua coscienza in un attimo si spense e subentrò una tenebra fitta. Era stato colto da un attacco di epilessia".

 

Attraverso le parole del mite principe Myskin, Dostoevskij continua a raccontare il proprio rapporto con un male che lo accompagnò per tutta la vita. Un disturbo che Freud, con superficialità e inconsistenza neuroscientifica, definì (lui neurologo!) il  sintomo di una nevrosi, attribuibile al complesso edipico.

L'autore paragona il momento antecedente all'attacco  epilettico ad una "visione paradisiaca". Un momento "estatico", arrecando al paziente una visione di "grande bellezza". L'effetto che esso produce- aggiunge- "risulta sommamente armonico e sublime". 

 

Sono pagine di grande intensità emotiva. In mezzo alla tempesta e alla scarica dei neuroni, Dostoevskij sembra attraversare anche momenti di "estrema calma", come vedremo di seguito.

"Ad un tratto, nella tristezza, nel buio e in uno stato di angoscia e oppressione, il suo cervello- scrive- sembrava accendersi di colpo, tendendo in un estremo impulso tutte le proprie energie vitali. In quell'attimo, che aveva la durata di un lampo, la sensazione della vita e il senso dell'autocoscienza sembravano decuplicare  di forza. Il cuore e lo spirito si illuminavano di una luce straordinaria. Tutti i dubbi, tutte le ansie e le agitazioni- aggiunge l'autore- sembravano quietarsi di colpo, si risolvevano in una calma suprema, piena di armonica e serena  letizia, di speranza, di ragionevolezza e di penetrazione suprema".

 

E' un accendersi di sensazioni, sentimenti, passioni, afflizioni. E' un Dostoevski che si rivela un grande psicologo. Possiede la straordinaria, sottile e profonda capacità di rappresentare tutti i lati più oscuri e interiori dell'animo umano, di spiegare l'ontologica finitezza dell'uomo, le sue pulsioni istintuali, la sua complessità e i suoi numerosi conflitti.

Mykin soffre di attacchi del morbo sacro, ma è un principe "buono". Raffigura l'uomo "pienamente splendido" circondato da un mondo popolato da uomini e donne che invece vivono nella "tenebra e nel loro male interiore, e che da quello "splendore" sono attratti e respinti al tempo stesso. Contro il dolore radicale dell'essere umano e contro un mondo dilaniato dalle passioni e dall'irrompere degradante dei tempi nuovi, Myskin vive il lato estatico, lo splendore "dell'istante", che è il tempo delle crisi epilettiche. Lo splendore di Myskin è quella bellezza che  "salverà il mondo".

 

Oltre al principe Myskin, Dostoevskij ha descritto altri personaggi affetti da crisi epilettiche, come Smerdiakov nei "Fratelli Karamozov", Nellie in "Uminiati e offesi", Kilrillov ne "Gli ossessi" e Ordynov in "La padrona".

 

3. CONCETTO DI MORBO SACRO

 

Genio e morbo sacro, dunque. Un binomio ricco di feconde, meravigliose prospettive e di sorprese.

Giunti a questo punto, dobbiamo definire il concetto di epilessia. E' una sindrome caratterizzata da un "polimorfismo sintomatologico"(Vizioli), improvvisa perdita di coscienza (dal greco epilepsìa, attacco improvviso), crisi convulsive e da una serie di fenomeni motori, sensitivi, neurovegetativi e psichici. Si tratta di un disturbo del sistema nervoso, la conseguenza di un disordine parossistico dell'attività elettrica del cervello, provocato da una scarica esagerata di neuroni. E' stato Ippocrate a riconoscerne per primo l'origine cerebrale.

 

Le crisi sono polimorfe e spaziano dalla semplice assenza (pochi secondi di perdita di coscienza) alle mioclonie (brevi scosse muscolari), alle crisi convulsive della durata di qualche decina di minuti con irrigidimento degli arti e del tronco, bava alla bocca, caduta a terra.

 

Si distinguono due tipi fondamentali di epilessia: il grande male e il piccolo male. Essa insorge più di frequente durante l'infanzia, ma può comparire anche durante l'età adulta. Elementi principali sono l'accessualità (compare all'improvviso), la transitorietà della crisi e la tendenza a ripetersi.

L'accesso compare saltuariamente con frequenza varia da soggetto a soggetto, spesso preceduto da segni premonitori e dalla cosiddetta aura (malessere, cefalea, malumore, allucinazioni) o parastesie, come formicolii, solletico, intorpidimenti.

 

Molte le definizioni, come ad evidenziare la sua inafferrabilità: "morbus sacer", "morbus demonicus", "morbus astralis", "morbus herculanus". Sono denominazioni che  indicano  connotazioni magico-religiose, a denotare cioè come gli dei, i demoni e gli astri fossero considerati i responsabili del disturbo.

A differenza di tutte  le altre patologie, l'epilessia- afferma Raffaello Vizioli- è un "pattern", un modello di comportamento preformato del sistema nervoso centrale. Questo significa che, date determinate condizioni, "ogni essere umano può presentare una crisi epilettica". Questa sindrome inoltre presenta una grande varietà di cause, come trauma alla nascita, traumi cerebrali, fattori genetici, ecc.

 

Circa la terapia, dobbiamo precisare che sono numerosi i farmaci indicati per la cura dell'epilessia. E' stato osservato poi che una dieta ricca di lipidi, povera di carboidrati, ipocalorica e con scarso contenuto di glucosio è in grado di ridurre le crisi.

Nella terapia antiepilettica occorre eliminare assolutamente o per lo meno ridurre drasticamente l'assunzione di bevande alcoliche, evitare la perdita di sonno e i cibi piccanti. Importante, infine, non interrompere bruscamente la terapia in corso.

La formazione del medico infine -cultura e professionalità- è "essenziale" per diagnosticare in modo esatto una delle malattie più complesse del sistema nervoso, per eliminare tabù e pregiudizi e per consentire al soggetto una normale vita di relazione. Questo significa che occorre "evitare di medicalizzare un paziente che  si vorrebbe sempre meno medicalizzato" (Vizioli).

 

4. IL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE, ALL'INIZIO DI OGNI TERAPIA

 

 Come in tutte le patologie, anche in quella epilettica risulta fondamentale il rapporto medico-paziente.

In realtà, l'irrompere della tecnica in medicina sta minacciandi di "oscurare" l'importanza di questo rapporto e la considerazione del malato come persona. Il medico è chiamato a sviluppare la sua capacità empatica e di ascolto, mostrando di essere capace di gestire non solo gli aspetti tecnici della medicina, ma anche quelli che includono il rapporto umano. Che per noi, d'accordo con autorevoli studiosi, è la base del successo di ogni terapia.

 

Occorre allora recuperare la dimensione umana della medicina, delle malattie e dei malati.

L'ascolto del medico richiede partecipazione emotiva, capacità di tacere e di interloquire "soltanto al momento giusto e nel modo giusto" (Cagli). La saggezza ha una funzione maieutica di ascolto e di attenzione, di analisi e di conoscenza interiore, di controllo dell'Io e delle proprie emozioni, degli stati d'animo e del mal di vivere.

Una parola non gentile, infelice, pronunciata dal medico può causare "ferite che sanguinano". Una parola gentile, felice, invece, può generare benessere fisico e mentale. Nessuna parola deve arrivare sulle labbra che prima non sia stata nel cuore (Gide).

La gentilezza è saggezza, qualità estranea nell'epoca in cui viviamo.

Non c'è cura, cura dell'anima (mente) e cura del corpo se non è "intessuta" di saggezza e dunque di gentilezza.

 

5. IL MEDICO, UNA FIGURA IN DISSOLVENZA

 

I concetti finora esposti concordano con i dati emersi dalla ricerca di autorevoli studi che mostrano come la medicina moderna abbia acquistato in tecnologia quello che ha perduto in "umanità".

Un cambiamento traumatico.

Una svolta antropologico-medica.

Una barriera calata tra medico e paziente.

Evidenziamo un paradosso presente nella medicina: quello di dover rendere "umano" ciò che che umano dovrebbe essere per statuto e definizione e che invece si ammette di essere "scaduto" a "disumano" qual è una cura stravolta in "incura" (Cosmacini).

E' la disumanizzazione della medicina.

I medici appaioni ansiosi, insicuri, frustrati e dunque aggressivi, rigidi, scostanti, algidi. Sono tutti sintomi di meccanismi di difesa per controllare uno stato di angoscia e insicurezza e contro una minaccia (inconscia) al proprio equilibrio psico-emotivo.

Bonomia, serenità, affabilità, gentilezza, empatia: qualità invocate, ma scomparse.

 

Il medico? Una figura consumata, in dissolvenza, talora "superstite" in qualche sconosciuto esemplare. E' la rinuncia alla propria vocazione "umanologica". Un medico burocrate, "somatologo", tecnico di un corpo scisso. Attento soltanto ai dati che emergono dagli infiniti esami di laboratorio.

Il paziente? E' ciò che risulta da questi esami. Un corpo scisso in un Io scisso, frantumato, senz'anima?

La persona? Non c'è più. C' è solo un insieme di organi su cui indagare. E sempre per tentativi ed errori. La medicina infatti non è una scienza esatta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Filosofia/Scienza

I sogni e il mondo simbolico dell’uomo

Guido Brunetti

I sogni e il mondo simbolico dell'uomo

 

Il sogno è una manifestazione della vita umana. Le sue origini sono al centro della ricerca scientifica e rimangono ancora un mistero. I dati delle   nuove neuroscienze mostrano che la sua sorgente risiede nel cervello umano e  i meccanismi cerebrali dell'attività onirica si sovrappongono con quelli della coscienza, della memoria e delle emozioni. Il fascino del sogno, l'attrazione e la paura che incute fanno parte del mondo simbolico dell'uomo.

 

Fin dall' antichità, nell'antico Egitto e nella Bibbia, il paradigma che emrge dall'interpretazione dei sogni è quello di considerare i sogni quali messaggi e simboli enigmatici provenienti dalla divinità, allo scopo di accedere al mondo spirituale, conoscere i desideri e gli ammonimenti degli dei, prevedere il futuro e comprendere il presente.

Il sogno, per Democrito e la concezione epicurea, è determinato dai "simulacri" delle cose, mentre Platone sostiene che esso non è meno reale della veglia. Si tratta- precisa Aristotele- di  un' attività psichica dell'uomo quando dorme.  Schopenhauer infine, dopo aver ammesso l'impossibilità di effettuare una separazione tra sogno e realtà, conclude che la "vita e il sogno sono pagine di uno stesso libro"

 

Nel Novecento, è stato Freud con la sua opera "L'interpretazione dei sogni" a indagare le zone più profonde della mente per risalire alle radici del trauma per mezzo della psicoterapia. I traumi si celano nell'inconscio e si rivelano nelle forme del sogno, il quale diventa pertanto uno strumento fondamentale per accedere all' inconscio. I sogni, per il padre della psicoanalisi, sono la " via maestra" per la comprensione della mente inconscia.

 

Nell'attività onirica, un ruolo importante, come precisa Vittorino Andreoli nel suo nuovo libro "Le sorgenti del sogno" (Marsilio Editori), rivestono i desideri. Che sono l'espressione del proprio Io, l' estrinsecazione di "un egoismo senza limiti e si declinano come soddisfazione del loro raggiungimento o frustrazione per non averli soddisfatti". Il sogno è dunque una "struttura psichica" (Freud), ha un preciso significato legato ad un "appagamento" di desiderio   e si basa in buona parte su sensazioni lasciate da vicende infantili.

 

Il sogno poi ha anche una valenza di "liberazione" dello spirito dal potere della natura e un mezzo per "affrancarsi" dell'anima dai legami dei sensi (Schubert). Il sogno liberatorio è un sintomo di un evento "conflittuale" o di un "blocco". Spesso è legato a una sensazione di ansia, angoscia, tristezza o malinconia.

 

Nel sogno, l'aspirazione al piacere- libido- preferisce gli oggetti "più proibiti", come la donna altrui o gli oggetti incestuosi: la madre e la sorella per l'uomo; il padre e il fratello per la donna. Altri sentimenti che compaiono fanno riferimento a odio, morte e vendetta verso i "più prossimi" (genitori, coniuge, figli, fratelli). Non tutti i sogni tuttavia hanno questa valenza drammatica. Ci sono anche sogni che esudiscono desideri giusti e bisogni fisici legittimi. Nel sogno avviene l'eliminazione del ricordo, un processo definito "rimozione". Che ha lo scopo di proteggere il soggetto da ansia, angoscia o depressione.

 

L'elemento comune ai sogni REM e a quelli non-REM riguarda il livello di eccitazione- arousal-. Per sognare infatti è necessario un certo grado di eccitazione. Il cervello subito dopo che ci si è addormentati è ancora eccitato. Lo stato Rem è caratterizzato da un'attivazione che interrompe un sonno tranquillo. Anche la fase  del primo mattino è carattewrizzato da uno stato di eccitazione. In mancanza di una soglia di attivazione non si genera alcun sogno.

 

Oggi, le neuroscienze sono pevenute a comprendere molto sulla natura neurobiologica dei sogni, in particolare sulle regioni del cervello e sui processi mentali che appaiono fondamentali nello stato onirico.

Sta di fatto che i meccanismi neurali dei sogni sembrano sovrapporsi ai processi neurali della sindrome psicotica e delle allucinazioni. Ciò conferma la teoria secondo cui l'interpretazione dei sogni può fornire una chiave di lettura per spiegare la malattia mentale.

Nei sogni in sostanza c'è tutto l'essere umano: i suoi bisogni, i suoi sentimenti, gli avvenimenti della sua vita, il suo carattere, il suo vissuto. Nei sogni insomma si rivela la genuina personalità dell'individuo in ciò che c'è di più spontaneo e caratteristico. Per questo abbiamo scritto che i sogni sono la "via maestra" per conoscere il mondo inconscio dell' essere umano.

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- Filosofia/Scienza

Neuroscienze. Affetti, sentimenti, emozioni.

Guido Brunetti

Neuroscienze. Affetti, sentimenti, emozioni

 

Negli ultimi anni, il sistema delle emozioni e dei sentimenti è divenuto uno dei temi centrali delle neuroscienze

Tutti gli aspetti dell' esperienza umana sono caratterizzati dalle emozioni. Le quali sono considerate dalle nuove neuroscienze un fattore ineliminabile per comprendere il cervello e la mente, ossia i nostri comportamenti.

A partire dalla seconda metà del Novecento, sono state proprio le neuroscienze affettive ad avviare lo studio delle basi neurali delle emozioni e ad analizzare i processi mentali legati alle dinamiche degli affetti e dei sentimernti e ricercare altresì i loro meccanismi cerebrali.

 

Letizia e affanno, gioia e tristezza, odio e amore, altruismo ed egoismo, paura e rabbia e disgusto. Sono sentimenti che da sempre attraversano la vita dell'uomo e contribuiscono a definire il nostro io e le nostre azioni. Sono infatti le emozioni a determinare gran parte di quello che siamo. Come conferma Gustavo Charmet nel suo nuovo libro "Il motore del mondo" (Solferino), gli esseri umani   decidono in base ai loro sentimenti. L'emozione insieme con la cognizione e la motivazione forma la trilogia del cervello e della mente.

 

I processi affettivi ed emozionali sono in sostanza "le fondamenta" (Panksepp) su cui si è costruita la dimensione del bello e del brutto della nostra vita. Una delle maggiori sfide delle neuroscienze moderne è quella di "scoprire" in che modo le strutture del cervello possano "produrre" la mente, la coscienza e gli stati affettivi. I sentimenti hanno le loro origini nelle emozioni, ma coinvolgono la ragione e la coscienza. Che sono il nucleo "più irriducibile e prezioso" dell'attività mentale (Boncinelli).

Il concetto di emozione comprende un insieme complesso di elementi soggettivi ed oggettivi, uno stato di "attivazione fisiologica" (arousal) e di sistemi cerebrali elaborati nel corso dell'evoluzione, coinvolti nella sopravvivenza dell'individuo e della specie.

 

Quando parliamo di coscienza, termine che presenta una enorme latitudine di significati, indica in realtà l'autocoscienza, cioè la consapevolezza di sé, della proprie interiorità e della propria posizione nel mondo.

Gli studi condotti su pazienti che vivono con i due emisferi cerebrali separati (split brain), a causa di traumi o di interventi chirurgici, hanno fornito un rilevante contributo all'approfondimento del concetto di coscienza, mostrando che ciascuno dei due emisferi può avere una sua consapevolezza e avere una capacità di apprendere, ricordare, provare emozioni.

 

L'emozione è uno stato dell'individuo che si esprime attraverso una vasta sintomatologia generata dal grado di attivazione del sistema nervoso (battito cardiaco, sudorazione, pallore, rossore, ecc.). Molte ricerche hanno mostrato l'importanza del sistema limbico (amigdala e ippocampo) come centro delle emozioni.

 

Gli stati soggettivi sono in realtà qualcosa di estremamente difficile da definire. Ogni tentativo di dare una definizione di emozione o di coscienza appare pertanto "fuoviante e restrittivo" (Crick). Sono stati dell'animo presenti in tutti i mammiferi e nascono dalle aree "più profonde" del cervello fino ad arrivare alle forme più sofisticate ed alte nella corteccia cerebrale.

 

 Nella concezione psicoanalitica, i sistemi emotivo-affettivi sono alla base della vita mentale e indicano uno stato di tensione associato a una pulsione istintiva, Freud sostiene che le pulsioni umane sono radicate nei nostri bisogni fisiologici e le raggruppa in due categorie: libido e aggressività. Nella filosofia greca classica e nella letteratura antica, già con Sofocle ed Euripide, le "passioni", come ad esempio "eros", sono prese in forte considerazioni. Noi umani- precisa Heidegger- siamo "emozione" prima che conoscenza. La soggettività- la coscienza- non è uno stato, ma un "processo" in divenire. E' ciò che determina l'essere, cioè "l'esserci". Le ricerche neuroscientifiche  dimostrano che le emozioni positive (gioia, felicità, desiderio, soddisfazione, entusiasmo) migliorano lo stato di salute  bio-psichica e mentale ed hanno effetti benefici su molte patologie. Infatti, tutte le forme di disturbi psichiatrici sono legate ad un'alterazione delle emozioni.

 

Le emozioni, che sono esperienze soggettive per lo più inconsce, poi, sono l'essenza dell'arte, della poesia, della musica. Ci permettono di innamorarci e di sentirci legati agli altri. I comportamenti non verbali, come sguardi, tono della voce, movimenti del corpo, espressioni facciali, rappresentano infine elementi fondamentali di comunicazione delle emozioni. Che ci danno la possibilità di percepire gli stati mentali degli altri.

 

 

 

 

 

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- Filosofia/Scienza

Il tramonto dell’anima

Guido Brunetti

Il tramonto dell'anima

 

Introduzione

 

Il concetto di anima ha una lunga storia. Comincia dai tempi più antichi con i testi omerici, l'orfismo e soprattutto con la filosofia greca, prosegue con il cristianesimo per giungere al Novecento, quando la nozione di anima, mente e coscienza passa nella sfera di competenza delle nuove neuroscienze. L'anima scompare. Scompare anche lo spirito.

Le neuroscienze infatti attribuiscono alla mente e alla coscienza una natura biologica. C'è "identità" tra mente e cercello. Tutti i processi della psiche sono funzioni del cervello. Non esitono eventi mentali, ma solo cerebrali.

 

E' il tramonto dell'anima, che subisce un processo di progressivo impoverimento, principalmente con la nascita della psicologia e delle neuroscienze, nelle quali l'anima va incontro- come precisa Carlo Vannini nel suo libro "La morte dell'anima" (Casa Editrice Le Lettere)- "ad una morte, che non è quella spirirtuale, ma una vera e propria scomparsa". Sia le neuroscienze che la psicologia non hanno un concetto di anima e pertanto non sono in grado di spiegare l'anima né precisare contenuti, metodi e strumenti. Hanno un concetto di mente o psiche, che però risulta "incerto e ondeggiante", e comunque privo di significato spirituale.

 

L'origine del concetto di anima

 

L'origine del concetto di anima nasce dalla condizione del respiro, del soffio vitale. Il termine latino anima infatti ha la stessa origine del greco ànemos  (soffio, vento, alito) e rappresenta la vita di ogni essere vivente: animato, cioè animale.

 L'idea di anima in realtà nasce in Grecia. Pitagora è il primo autore ad affermare che l'anima non ha principio né fine e che è immortale in quanto eterna. I primi filosofi costruiscono intorno alla nozione di anima concetti fondamentali, come nùs, logos, pneuma. In questo senso, l' anima non è la psiche teorizzata dalle neuroscienze.

 

Platone, Aristotele, soicismo, Plotino

 

Invero, è Platone l'inventore dell'anima, considerata una sostanza spirituale ed eterna. L'uomo- egli dice- non si riduce a corpo, ma è soprattutto anima, principio "immortale, eterno e indistruttibile". L'anima è vista dal padre della filosofia occidentale come una biga alata composta da due cavalli: uno nero, che rappresenta gli istinti, e uno bianco che esprime le passioni più nobili. L'auriga è la ragione.

A dare un'anima all'essere umano e un'anima universale al mondo è Dio (demiugo). La vita dell'uomo e la vita del mondo sembrano perfettamente integrate poiché la sostanza dell'anima, cosmica e individuale, è la stessa cosa. Il mondo dell'uomo è duplice: sensibile e soprasensibile, il corpo e l'anima. L'anima, infine, è suddivisa da Platone in "concupiscibile, irascibile e razionale". E' una sostanza guidata dalla bellezza e da Eros, che è la passione per il bello. Il mondo sensibile è rappresentato dal mito della caverna, dove gli uomini sono incatenati e non vedono che ombre, ossia copie della realtà. Uscendo dalla caverna, l'uomo non è più frenato dalle passioni, ma si affida alla ragione, potendo in tal modo vedere le cose che sono "al di sopra", di vedere quelle realtà che sono nel cielo, nel mondo delle idee (Iperuranio).

 

 Per  Aristotele, l'anima è la forma di un corpo, unità spirituale tra Dio e l'uomo. Anche per lo stoicismo, l'anima è pensata come parte del divino. Dopo la morte, l'anima ritorna "nell'Uno-Tutto". Ancorato al pensiero di Platone c'è quello di Plotino, uno dei più grandi filosofi del mondo antico. Per questo autore, l'elemento più importante è "l' Uno". L'anima non è separata dall'Uno e perciò rimanda allo spirito, L'essenza dell'anima è l'interiorità. il Sé, l'autocoscienza.

 

Il cristianesimo

 

La Bibbia non possiede una nozione di anima, compare il corpo e il respiro, ma il respiro dell'uomo non è il concetto greco di pneuma. Nel Vangelo di Giovanni, viene espressa una concezione dell'uomo come spirito e di Dio ugualmente come spirito. Per Agostino, la via maestra della conoscenza dello spirito e di Dio è "l'introversione, l'interiorizzazione"(In interiore homine habitat veritas). Per Tommaso D'Aquino, il vertice dell'anima è l'intelligenza illuminata dalla sapienza. La "nùs" è un dono divino, una potenza spirituale in grado di "cogliere Dio".

 

Cartesio, Spinoza, Hegel

 

La sapienza antica, basata sulla conoscenza dell'anima e sulla conoscenza di Dio, continua a influenzare anche i grandi esponenti del razionalismo filosofico moderno, soprattutto con Cartesio, Spinoza ed Hegel.

Cartesio è stato l'iniziatore della filosofia moderna, un autore che ha concepito due regioni ontologiche: "res cogitans"( anima, spirito) e "res extensa" (materia, corpo). L'uomo- egli afferma- è "essenzialmente anima", che trova nel puro pensiero, nel "cogito ergo sum", il primo fondamento di verità.

La mente, per Spinoza, è una parte dell'infinito intelletto divino. Il bene supremo dello spirito è la conoscenza di Dio. Senza l'idea di Dio, nessuna cosa può essere nè essere pensata.

Anima e spirito sono anche al centro della concezione di Hegel, la quale si basa sulla conoscenza spirituale. La malattia dell'anima- aggiunge- è quella di restare confinata nella prigione dello psichismo e non diventare quella che è realmente: "l'universale spirito". Che è conoscenza di sé e conoscenza di Dio.

 

La morte dell'anima. Dallo spirito al neurone

 

Fino al Novecento, il concetto di anima, mente e coscienza rimane al di fuori della scienza, in quanto patrimonio esclusivo della filosofia, dell'etica e della religione. Tutto cambia a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, quando le neuroscienze s'impadroniscono della cognizione di mente e cervello. Anche molta parte della filosofia prende in modo deciso la via del corpo, lasciando cadere- evidenzai Vannini- lo spirito e l'anima. In precedenza, è la strada che nel Seicento e nel Settecento approda al positivismo fino a giungere al comportamentismo e alle scienze cognitive.. E' la via che porta alla perdita  del "logos", dell'anima e di Dio. "Abbiamo lasciato andare- scrive Nietzsche- l'anima. E insieme all' anima, abbiamo lasciato andare tutto quel mondo morale e religioso che per secoli ha sostenuto la civiltà occidentale. Abbandonata l'anima, è rimasto il corpo, dando vita al tempo della negazione della ragione, dei valori e della virtù, il tempo dell'esaltazione degli istinti e dell' irrazionale. La scienza è attenta alle facoltà psichiche, ovvero cerebrali, materiali. A una fenomenologia dello spirito si sostituisce un determinismo biologico sul modello  delle scienze fisiche e di quelle biologiche. E' la "riduzione" dell'anima al cervello, alla materia. E' la malattia dell'anima.

 

La crisi della psicoanalisi e della psicologia

 

Già, ai primi del Novecento si comincia a parlare di crisi della scienza dell'anima: Abbiamo non una psicologia, ma tante psicologie senza anima e senza spirito. Una "Torre di Babele" (Buhler), un sapere "pre-paradigmatico", ossia "non scientifico" (Watson). Alla psicologia insomma viene negata l'esistenza di uno statuto di scienza. Al riguardo, Nietzsche parla di "debolezza" della psicologia, poiché l'io della psicologia è un io sottomesso al determinismo, non è cioè lo spirito, una sostanza che guarda "oltre", alla ricerca di un sè più alto. Anche la psicoanalisi viene accusata di non avere un carattere scientifico e si sviluppa su un terreno irrazionale, in quanto nega l'essenza razionale e spirituale dell'uomo. (Grumbaum).

 

Una società di malati

 

L'inizio del terzo millennio dunque registra uno "spostamento" del concetto di anima e della cura delle anime dal campo filosofico, morale e religioso a quello delle scienze naturali. C'è un approccio positivistico-medico, psichiatrico e psicoterapeutico all'individuo e alla sua sofferenza. La malattia ha un'origine biologica nel cervello. La malattia dell'anima viene perciò curata come si curano il fegato o i polmoni. Tutto è affidato ai farmaci, i quali determinano "danni cerebrali irreversibili", e alle tante scuole di psicoterapia (sono state finora riconosciute   quattrocento scuole). La realtà profonda dell'anima, del "logos" e dello spirito resta in tal modo estranea all'essere umano. E' la fine dell'anima, è la morte dell'anima.

 

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- Scienza e fede

Il rapporto tra scienza e Dio

 

Guido Brunetti

Il rapporto tra scienza e Dio

 

Gli straordinari progressi delle neuroscienze stanno paradossalmente allontanando l'uomo da ogni riferimento alla visione spirituale  del mondo, lasciando cadere qualsiasi richiamo all'idea metafisica e morale.

Il pensiero contemporaneo tende sempre più a rifiutare l'assoluto, oscillando tra visioni prometeiche di grandezza e tragiche negazioni della propria identità. L'uomo vuole sostituirsi a Dio. Ma un mondo senza Dio- afferma Dostoevskij- è un mondo senza finalità, progettualità o speranza, dove tutto è possibile.

Autori come Dawkins, Krauss, Harris e Dennet sono uniti nell'obiettivo comune di confutare l'esistenza di Dio. Essi cercano di dimostrare che la religione è "falsa" e che Dio "non esite". Dio viene sostituito dal concetto di evoluzione teorizzato da Darwin secondo cui il mondo è complesso e pertanto non ha bisogno di un "creatore". L'universo, scrive Dawkins nel  suo libro "L'illusione di Dio", si è "autogovernato dal nulla". E' l'universo, non Dio a "essere infinito".

D'accordo con autorevoli scienziati e filosofi, riteniamo che gli argomenti esposti da questi "Neoatei" non sono "scienza pura". Si tratta di scienza  che ha un solo scopo: quello di "negare l'esistenza di Dio", attraverso "argomenti tendenziosi, piegando e distorcendo la scienza secondo i propri fini" (A.Aczel). In questi autori c'è soltanto un atteggiamento emotivo e dogmatico, che accentua l'antico conflitto tra scienza e fede e li conduce a "screditare" la dimensione del sacro e del trascendente. Si tratta di una contrapposizione "stantia, superata e largamente confutata", in quanto non sostenuta dal "peso dell'evidenza" (Numbers).

In realtà, ci troviamo di fronte ad alcuni tra i maggiori misteri irrisolti della storia del pensiero umano: dare un senso alla vita e al mondo; trovare il significato dell'esistenza; rintracciare la nascita della mente e della coscienza; indagare l'origine del linguaggio e del pensiero simbolico; approfondire la dimensione del trascendente.

La religione- spiega McGrath- non può dirci quanto dista la stella più vicina, così come la scienza "non può spiegarci" la percezione e il mistero del creato. Scienza e fede costituiscono due delle più grandi conquiste della civiltà umana e possono fornirci prospettive diverse, ma complementari dell'uomo e del mondo, attraverso un fecondo dialogo che ci può arricchire ed elevare.

La scienza da sola non può dare risposte sul "significato" della realtà, né è in grado di produrre principi morali. Che vanno invece cercati oltre l'ambito scientifico. La scienza insomma non è né atea né teista (Gould). La scienza- ha affermato E. Scott- non può negare né avversare il soprannaturale, ma soltanto ignorarlo per motivi metodologici, in quanto essa è legata al metodo "naturalistico", necessario per investigare la realtà. La scienza è scienza. La verità scientifica è una verità "esatta", ma "incompleta e non definitiva".

Esistono questioni essenziali più profonde, quelle che Popper ha chiamato "questioni ultime" alle quali la scienza non è in grado di dare spiegazione. Lo stesso Einstein appare preoccupato e rassegnato di fronte all'incapacità della scienza di cogliere il significato ultimo del mondo ed è portato a concludere che esiste qualcosa di "essenziale" aldilà del dominio della scienza, oltre l'orizzonte dell'esperienza, al di fuori dei confini dell'esistenza fisica, materiale, dell'uomo. Il significato ultimo del mondo, le nostre esistenze sono "toccate"- spiega Einstein- dalla trascendenza. La religione- ha scritto questo grande scienziato- "senza la scienza è cieca" e la scienza "senza la religione è zoppa".

La scienza dunque non può né dimostrare l'esistenza di Dio né confutarla.

Oggi, contrariamente all'idea del razionalismo, che sosteneva che la religione nasce dal "sonno della ragione", si rafforza sempre più il concetto che la fede sia "un fenomeno naturale", un'attività cognitiva "innata" dell'essere umano (Bloom). Di qui, la nozione di "scienza cognitiva della religione" introdotta da J. Barrett per definire gli approcci allo studio della religione derivati dalle neuroscienze.

Le ricerche neuroscientifiche infatti mostrano che il sentimento religioso proviene dai "processi cognitivi consci e inconsci della mente".

Sia la narrazione religiosa sia la narrazione scientifica quindi ci dicono- precisa McGrath- la medesima cosa: il desiderio di Dio è "naturale" La visione scientifica e quella religiosa sono due grandi idee del mondo, le quali dovrebbero convivere perchè ci aiutano a capire chi siamo, perché esistiamo e come dovremmo agire. Per questi motivi, l'essere umano "non può fare a meno di parlare di scienza, di fede, di Dio".

La spiritualità alla luce di queste considerazioni si pone come una "strategia dell'evoluzione", una tendenza fondamentale, una predisposizione di tipo evoluzionistico, espressione del bisogno innato dell' homo religiosus a cercare la trascendenza.

Come l'arte, la musica, il linguaggio, il sacro (in latino sacer da cui religio) presenta, per Rudolph Otto, caratteristiche "universali", fra le quali il senso del mysterium tremendum, ciò che sta al di là del comprensibile.

I dati di alcune ricerche dimostrano che nel cervello vi sono aree e sistemi neurali coinvolti nelle esperienze spirituali, le quali sono implicate nella produzione di sostanze, come dopamina, noradrenalina e serotonina. C'è insomma "un'area del divino nel cervello".

Concludiamo, dicendo che finora tutte le teorie rivelano che la scienza non ha fornito "alcuna prova" che Dio non esista. Nessuno pertanto può dimostrare o confutare- lo ribadiamo- l'esitenza di Dio. Scienza e religione sono due saperi che sono complementari nella ricerca della realtà e del senso dell'esistenza, e agire in un rapporto di collaborazione e di mutuo rispetto.