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Deus ti salvet Maria (con un inedito)


Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 24/12/2012 12:00:00

 

Deus ti salvet Maria, tu che hai subìto gli alberi ed essi erano

come distinti da numeri e sanguinavano come sanguina una pietra. Non ti vedremo

più sulla terra, Maria, mai più

dritta in piedi nel suo ricatto muto, tu piegata alla forma bellissima di questa carne. Maria io ti riconoscevo

dalle imperfezioni. Vedi, lo vedi

quello che fa il tempo, che silenzio di creta sulle spalle, che solitudine nell’attraversare. Ti riconosco dall’ostilità di un suolo enorme. Troppa cenere, troppo cercare nell’autosufficienza del paesaggio le interferenze degli immortali.

 

il tuo corpo cadeva contro lo sfondo magnetico di questo verde mentre io non avevo paura io non ero più niente non avevo nemmeno una lacrima ero una bruciatura di metallo che aveva visto una creatura morire entrare in uno stato definitivo come altri entrano nel rumore cupo dei luoghi che noi abbandoniamo, nel boato continuo del vento, volontariamente nella radiazione finale. poi l’odore rimane per mesi come uno stato collettivo di abbandono.

 

Maria ti amava come una bambina. Testardamente. Maria ti amava minuziosamente

come un'ape terrestre. Ti voleva soltanto innalzare. Operosa, alacre. Indefettibile. All'arrivo del treno è stata

investita dal caldo umano della macchina – stum

fffffff stum

fffffff – ripetitivo come il cuore

o una gru enorme per la manutenzione dei treni e tu le risorgevi e risorgevi

dalla sua bocca: ancora

ti chiamava. Così ecco il tuo nome si è innalzato

qui, sopra il fallimento della sua carne.

 

 

FI-BO, 17 settembre 2011


*

 

Canzone

 

 

Canto perché ritorni

quando canto

canto perché attraversi tutti i giorni

miglia di solitudine

per asciugarmi il pianto.

 

Ma ho vergogna di chiederti tanto

e smetto il canto.

 

Canto e sono leggero 

come un fiore di tiglio

canto e siedo davvero

dove mi meraviglio:

 

all’inizio del mondo

 

c’è l’ombra bianca delle prime rose

che non sono più amare

perché canto e ti vedo tornare

come tornano a riva le cose:

senza passato,

con il petto lavato

dal mare.

 

Ecco!,

 

sali le scale come un ragazzino

che scrolla dalle ciglia una corona di sale,

dà due beccate d’indice

alla porta, s’inginocchia

in fretta, in fretta

dice: “Vieni!,

ti porto al mare” e mi sorride, dalla sua statura

di nevischio e di rose, dalla sua garza d’anima salvata

dalle piccole cose.

 

Dalla sua bocca bianca ride il mondo

e ridono le cose

trasparenti del cielo

se, girandosi appena

per pudore, dice: “Lo vedi, non ho più paura”

 

come parlando a un’ombra evaporata

nell’innocenza

 

calma delle ginestre, a un fiatare di rose

andato via per le finestre

aperte

fino alle fondamenta.

 

Così mi lasci nell’aperto privo

di peso. E allora canto

lo stare seduti

nel vivo, tutto l’amore privo,

che non smetta

 

la presenza perfetta

di chi non pesa

 

ma è senza volontà, senza maceria, senza l’avvenimento

della materia

 

è solo polvere che tende alla luce.

 

 

Roma, 30 settembre 2010

 

*

 

Anna, tutto quel senso

 

 

Com’era fresco il mondo che portava

sulla bocca al mattino, ancora verde

d’erba sognata, come la innamorava

quella piccola mela che oscillava

come un rosso pianeta

sul melo nano dietro la finestra, che corona

di foglie misurate una per una le metteva

sulla chiara fontana dei capelli

l’ombra grande del pesco e come tutta

l’acqua giallo-ginestra

che era stata spalmata

dal sole nel mattino della sua nascita

sulle pareti della casa

era un annuncio della tua larghezza, Anna, tutto quel senso

è stato

fatto sulla misura del tuo cuore.

 

 

Roma, 10 novembre 2011


*

 

Tra luce e parola

 

 

Mondo che vieni nudo dalla luce

e coli argento liquido

ai bordi

 

Mondo-coppa, radiante

di schiuma e polline

cosa completa nella incandescenza,

argento senza scritte

e definizione

 

Tutto sale all’altezza del mutamento quando è colmo

e trabocca

dal Mondo-onda

 

Vedi il succo maturo della luce sul masso

degli indumenti, vedi

come sta in piedi sulla soglia

il corpo. Tra luce e parola

 

Le cose sanguinano senza ferita, possiedono

magnetismo e aderenza

 

Tra esse il corpo

comincia ad apparire: un frangiflutto

che tiene la luce

fuori dal manifesto delle cose visibili

 

L’aria schiuma rappresa, non-luogo

dell’ustione

 

La bestia umana è un vaso per il cielo

 

Ora il cielo è all’altezza delle sue labbra come una coppa di salnitro

una colata fiorente

 

Ora il cielo

ha posato la testa come un figlio

sul fianco della bestia

 

Tutto loda il calore della bestia

 

                                                     Dai suoi fianchi

comincia la fissione

dell’Inosservato

 

Se la tempesta elettrica scosta la tenda fa come lei che prima di tornare

dal pianeta deserto

si volta, a imitazione del deserto

 

 

Roma, 13.1.2012

 

[per un ritratto (dell’autrice) scattato dal fotografo Simone Casetta]

 

*

 

Roma, all’improvviso, notte (inedito)

 

buio improvviso. il sole

splende sui tetti e non al suolo. il giorno

si capovolge come uno scarabeo

d’oro. sfolgora il metallo delle gru,

i meccanismi e i giunti unti di sole

colano pioggia d’oro.

una grandine chimica, innaturale, incrina

il contratto sociale del cielo

con gli uomini. i palazzi di Roma popolare, della mia bella Roma

contro il sereno: un paradiso caduto

sotto la fiamma liquida del cielo. il cielo butta

da una piaga sulfurea

un rovescio squillante di gabbiani: un luccichio scontento

di ali fatte per capire il mare

batte

pochi metri più in alto

del suolo, quasi che le nuvole si siano chinate

a calare uno sconforto solo terrestre e l’azzurro ne resti tutto

indifferente, scosceso di luce

nel gelo imperscrutabile del padre

 

Roma, 5 dicembre 2012, ore 16.20

 

 


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