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Una notte

di Giuseppe Bisegna
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Pubblicato il 01/10/2008 19:46:31

S'addice passeggiar di notte ai demoni e ai gatti, e io allora forse un po’ demone lo sono, e anche un po’ gatto, nel completo nero, elegante e discreta cornice ad un corpo carico di pensieri e forse sono anche un po’ suicida, perché la mia passeggiata notturna lo so, ma fingo di non saperlo, mi porterà su uno dei tanti ponti della città, che scavalca l’acqua gelida e putrida di un fiume stanco di scorrere e di vedere e sentire sempre le stesse cose.
Eh la notte, che magnifica cosa, ti parla come una poesia, con l’intuito e con le percezioni, il giorno invece, involgarito dalla frenesia parla come la prima pagina di un giornale, con strilli, clamori e colpi di scena.
Trovo di una bellezza unica caricarmi la pipa di un odoroso tabacco e farmi cullare dalle volute di fumo a spasso nella notte; una notte preferibilmente umida e fresca, che a parer mio sposa perfettamente la pipa e la sua natura, che nemmeno la compagnia di una donna o della donna, potrebbe eguagliare la bellezza di alcuni momenti e stati d’animo che una buona pipata sa regalare.
La pipa, come diceva un mio caro vecchio amico è una donna meglio della donna, sa dare piacere e allietare i momenti infelici, ma non si lamenta, non si fa aspettare, sa capire il tuo umore, non ti tradisce, non ha amiche, non ti mette pensieri e una volta che la pipata è finita il ricordo di tale piacere resta giusto quel po’ e poi svanisce come il fumo, alcune donne invece anche se hanno tagliato la corda da un bel pezzo proprio non vogliono saperne di sparire.
È notte inoltrata, i tacchi delle mie scarpe fanno fin troppo rumore in questo fresco silenzio, da lontano arriva l’urlo squarciato di qualche automobile che va ancora in giro, qualcuna ancora gira per la città, tagliando i riflessi dei lampioni sull’asfalto lucido. Dovrebbero abolirle le automobili, hanno violentato il ventre delle città e continuano a farlo, partorendo figli degeneri, esauriti e indiavolati sempre in corsa contro l’ultimo minuto, sempre pronti a scaricare tutta la frustrata cattiveria contro chi interrompe per un istante, al semaforo o ad uno stop, la frenetica corsa al secondo, guadagnando minuti su secondi ma non aggiungendo nemmeno un decimo alla meschina vita che gli è stata riservata.
Tutto ha un tempo, imposto, in queste gabbie da matti, più si ha tempo e più si cerca di intossicarlo di appuntamenti, di compiti da sbrigare, nessuno mai che si prenda il tempo per passeggiare senza una metà su quel viale e non su quell’altro, per prendere un buon caffè in quel chiosco lì in quella piazzetta così bella, per leggere quel libro con quella bella rilegatura, per ascoltare quel qualcuno sconosciuto che sembra non abbia nulla di interessante da dirci; perché, qualcuno di voi ha cose più importanti da dire o da fare di qualsiasi altro? Inutile affannarsi signori, sotto un buon metro di terra ci si finisce tutti, e nello spazio di quattro tavole certo non ci sarà posto per quello che avrete accumulato, ci sarà posto solo per un corpo, il vostro, quindi cercate di accumulare voi stessi, è un consiglio da amico, di uno che stanotte sarà l’ultima.
Fortuna del mio cappotto, comincia a fare fresco, un cappotto nero e lungo a cui ho fatto cambiare la fodera, quella di “serie” era banalmente nera, io ne ho fatta cucire una a motivi e colori psichedelici, è una soddisfazione tutta mia, togliermi l’indumento scuro e discreto e svelare come uno scrigno un caleidoscopio di colori, un pugno nell’occhio dei curiosi.
Un cappotto che non mi costò molto, ma che calza in maniera impeccabile, non è mai fuori moda; la moda, che cosa sciocca e insulsa, dove sta scritto che un manipolo di personaggi ambigui e frivoli debba dire cosa si indossa oggi o domani? Gli stilisti sono tutti ipocriti, ne avete mai visto uno che indossi gli abiti che produce? Io mai. E poi cosa producono se non sciocchezze e addobbi da baraccone, stando a loro le donne sarebbero tutte guerriere o mandriane, coperte a suon di stivali, cinturoni, borchie e mantelli, insomma quello che cent’anni fa avrebbe indossato un proprietario terriero a cavallo. Mentre gli uomini tutti damerini impomatati chiusi in ridicole camicette inamidate e in pantaloni da macero.
Mah! mi resta talmente difficile come la gente riesca a farsi trasportare da tanta ridicolaggine, la massa è una cattiva madre, partorisce figli senza ragione e amor proprio, trovo quasi eccitante restare al di fuori dei circoli viziosi, dei soliti locali, dei soliti amori, delle solite parole, delle solite cazzate, permettetemi, del solito e monotono spettacolo dell’uomo, imbastito sulla mediocrità, sull’osceno e sul sensazionale e sul “tanto lo fanno tutti” , resto fuori non per protesta o per una velata frustrazione, ma per il solo gusto di farlo, carico di presunzione ritengo che ci siano cose più degne di me!
Metto le mani in tasca per stringere a me il cappotto, fa freddo o è l’ultima ora che si avvicina, sento nelle tasche qualcosa, un pacchetto di fiammiferi, un rosario, qualche centesimo, un pezzo di carta, lo apro, è gualcito, un abbozzo di poesia, forse qualcosa che pensai per lei. A volte se non ci fosse la poesia sarei perso, ma anche lei purtroppo oggi si è avvilita e poi mi rende sempre nervoso e scontroso quando mi dicono – dai, recitami una poesia - le poesie non si recitano, se ti interessa la leggi da te, la poesia parla da sola non ha bisogno di intermediari, se hai il coraggio devi porti tu di fronte alla pagina e sfidarla, stai sicuro che avrà qualcosa da dirti.
Eccolo qui il ponte, mi sporgo dal parapetto, abbastanza alto e con poca acqua in questo tratto del fiume, farà male, ma sarà un attimo, svuoto la pipa nel frattempo, aspetto.
Si avvicina un uomo, forse un libero disperato come me,
-avete una sigaretta? –
-no, non fumo sigarette, sono troppo volgari –
-ah, volgari? contento voi… -
-anche voi a spasso di notte, un disperato pure voi? –
-stacco da lavoro tardi e mi piace tornarmene a casa nella notte, disperato? Si abbastanza, ma mai infelice –
-giusto ben detto amico mio, mai infelice! –
-arrivederci –
-arrivederci –
L’incontro inatteso se ne andò con un bel sorriso sincero tra le guance ricamate di una barba fulva e sottile.
Aspetto ancora, osservando il marmo bianco del parapetto. Passa un gatto, lo guardo è simpatico, amo troppo i gatti.
Non so quanto tempo sia passato, una macchina si ferma a scaricare pacchi di giornali fuori un edicola, la cosa mi fa pensare che tra non molto sarà l’alba.
Accidenti non si è visto nessuno e di aspettare il giorno non mi va, risistemo la sciarpa, mi stringo nel cappotto e mi incammino verso casa, ebbene si, ho un ego talmente spropositato che sarebbe deprimente morire senza un pubblico che assista al mio tragico e teatrale epilogo!


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