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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Cotta di Dio

Romanzo

Luigi Raciti
EdiGiò

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 22/12/2009 19:45:00

Concetta di Dio è una giovane del sud che desidera ardentemente farsi suora ed essere vicina a Dio al punto da essere il suo pasto, vuole essere per Dio una bella bistecca preparata a puntino, per questo elide il proprio nome di una sillaba e lo trasforma in Cotta. Purtroppo la via della giovane verso il convento è assai impervia ed accidentata in quanto Concetta dà segni di disagio mentale, sino a punte di vero e proprio squilibrio con raptus talvolta violenti e si lascia andare spesso in considerazioni sul mondo cristiano che sebbene sostenute da ferrea logica lasciano di sasso le menti più pervicacemente cattoliche. La strada della giovane giungerà ad un inatteso bivio col destino, incarnato in due giovani braccianti agricoli di fede musulmana che la condurranno con loro, la sete di divino di Cotta la porterà a diventare una fondamentalista islamica e ad essere – forse – coinvolta in un attentato suicida. Questo aspetto della fede della giovane, che in questo tratto incarna molte altre persone ad ogni latitudine, sottolinea come la ricerca di una fede profonda ed una maggiore vicinanza al divino, può essere facilmente manipolata e trasformata in fondamentalismo, che è la peggior malattia dei nostri malandati tempi. Spesso il fondamentalismo trova terreno fertile nel disagio mentale, o sociale, nel desiderio di riscatto, sociale o celestiale, e nel desiderio di essere più credenti dei credenti, e dimostrare ciò al mondo che sembra non capire. A fare da contraltare a Cotta vi è la voce dello psicologo che la segue, il dottor Musso, il quale, dà la voce all’io narrante ricapitolando gli avvenimenti che hanno condotto Concetta al punto in cui è arrivata, ai limiti della criminalità. Il dottor Musso ripercorre la storia delle sedute di analisi per fare rapporto al proprio superiore ed attraverso questo meccanismo l’autore del libro espone le vicende al lettore; questo metodo si rivela assai efficace e dipinge degli sprazzi della vita di Cotta/Concetta tali da illustrare tutta l’esistenza della ragazza e apre agli occhi del lettore tutto il ventaglio esperienziale e del vissuto della protagonista senza dilungarsi mai in descrizioni di vita giorno per giorno. La narrazione è molto bella ed avvincente, la ricostruzione delle sedute psicanalitiche, non tedia e non si trasforma in un trattato scientifico, sebbene l’autore del libro svolga la stessa professione del dottor Musso, ma anzi viene resa in modo molto umano, mostrando come dietro l’aria spesso professionale ed inscalfibile di un analista in realtà vi sia un uomo in carne ed ossa, divorato da tanti incubi ed incertezze, quasi come ne ha il paziente. Il libro è scritto con un linguaggio molto bello, spesso musicale, con le frasi che vanno a chiudere con cadenze simili a quelle di un adagio musicale, accompagnando il lettore in modo assai fluido ed assolutamente godibile. il linguaggio mescola aspetti tecnici a coloriture poetiche e vi si trova talvolta un ritmo riconducibile al triplo aggettivo caro alla marchesa di Villeprisis di proustiana memoria. Un elegante preziosismo che accompagna lo svolgere del racconto è la descrizione dettagliata delle specie vegetali spontanee della zona in cui si svolge il racconto, Cotta è una grande conoscitrice delle flora locale, sa riconoscere tra le erbe che appaiono tutte simili ciò che è buono e sa come gustarlo al meglio. E oltre a queste coloriture l’autore talvolta costruisce metafore proprio sul mondo vegetale, su di un albero sradicato, su di una pianta che cresce, su una che non può più farlo. Forse in questa ricerca da parte di Cotta di erbe buone tra le tante amare o cattive vi è proprio una delle chiavi del racconto, ovvero cercando un livello superiore per la propria vita è meglio cercare nel mondo comune, di tutti i giorni, ciò di cui abbiamo bisogno, ciò che ci fa sentire puri per essere dati in pasto a Dio, piuttosto che andarlo a cercare o tentare di costruirlo, non ce n’è bisogno, è già ogni giorno sotto i nostri occhi, basta saperlo riconoscere. E cercarlo nella natura circostante rammenta “Il cuore infinito” di Anna de Noailles ed il suo indicare nella natura la nostra origine, il nostro divenire e la sicura compagna della vita.
Un particolare plauso va all’autore per il suo uso della lingua italiana, molto bello, nella sua articolata semplicità e per aver proposto una storia tanto originale, quasi priva di una connotazione temporale per l’universalità del tema trattato, ma di averlo saputo inserire in un contesto attuale in modo esemplare.

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