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Giotto 4

di Salvatore Solinas
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Pubblicato il 18/02/2015 13:09:46

La coscienza individuale e collettiva della civiltà occidentale, per quanto si adoperi a superare, dimenticare, non può liberarsi dal rimorso per le immani catastrofi che hanno insanguinato il Novecento. La memoria non può cancellare le guerre, le stragi di milioni di esseri innocenti dove alla stolida ambizione di generali e guerrafondai si mischiavano in un mixer esplosivo la follia di dittatori e la stoltezza di uomini politici.

I versi in latino sono leggibili nei due sensi, da destra a sinistra e da sinistra a destra. Nel medioevo si credeva fossero dettati da Satana in persona.  Ora servono a evocare il demoniaco che si cela nell’opera umana.

 

 

“Io generale presi la collina

in un mattino di furiosa pioggia,                                           380

i miei soldati come topi a frotte                        

lasciavano le tane di fanghiglia.

Quanti son morti sotto la mitraglia

insozzando la terra di ventriglia

avranno onore e lapide e medaglia

a me  un comando di maggior prestigio

forse un governo in pace o un ministero.

Patrii confini , Alpi, rosse correnti

fragorose di sangue, cimiteri

d’elmi forati , lapidi perdute                                                     390

dove fiorisce timido lo spino

seppelliste il valore e la ferocia”      

“Sento i miei baffi d’istrice vibrare

aghi di ghiaccio sul labbro rappresi.

La nuda fredda steppa fu fatale

sempre ai colleghi miei predecessori.

Anche il Francese che lasciò l’impronta

nella gelata mota della piana

non mi fu di consiglio a miglior sorte.

Io che con matematico disegno                                               400

volevo liberare l’universo

da quella bruta razza d’animali

e condussi spogliate le gazzelle                         

ai neri forni, ai densi fumi eterni

che ingrigivano il cielo tristemente

resistetti fino all’ultima casa

all’ultimo bambino per me armato”

“Quale mandria condussi incatenata                             

per miglia e miglia d’innevate dune.                                          

Quanti affidai ai venti siberiani                                           410                                                                                                                                                     

perché ne cancellassero ogni traccia.

Quando sfiniti dal cammino, esausti

si piegavano al suolo senza fiato                      

come giumenti al giogo dell’aratro.

Mia Rush come il lamento delle gru

Somiglia al pianto fermo delle madri.

La pietà delle icone è perduta

nel fondo buio di sabbie paludose.

Quanti nella demenza dei tormenti

non conobbero il padre né il fratello!                                           420

Nell'ebbrezza del sangue la paura                    

s’insinuava come una larva insonne

rendendo più feroce la follia”

“Gli scienziati mi avevano avvertito,

non era una palla di cioccolato

non un fungo del prato, un ombrello

che le signore portano sui viali

a passeggio per riparo dal sole.                        

A Washington brindai quella mattina

all’esito felice della guerra.                                                         430   

Non mi turbava il sonno la visione                        

di quei visi nipponici sbiaditi

esplodere in coriandoli di  carne.

Da quel giorno cadde una pace fredda

come neve sul campo di battaglia”.

“Sono nata in un hangar del deserto

nel segreto fu il mio concepimento

dietro le siepi di filo spinato.                                      

Ricordo il giorno dell'esperimento

sotto il sole polveroso e cocente                                                 440

i loro sguardi attoniti la mia                              

smisurata felicità mostrando

l’infinita potenza, l’assoluta

libertà di trascorrere nel cielo

con un volo infuocato di gabbiani.

Ricordo una città come le altre

i palazzi di pietra le fontane

fabbriche grigie fumanti officine

periferie di case diradanti

nella verde campagna contadina                                                450          

tanto azzurro sopra di me e di sotto.                        

Non potei trattenere la fissione

era un immenso orgasmo primordiale

che strappa le lenzuola, abbatte i muri

urlo nei cieli perfidi di lino

nei paradisi di bollenti nubi

scarlatti laghi amari di veleno.

Dietro di sé lasciò desolazione

e una morte invisibile nell’ aria”

In girum imus nocte tenebrosa                                                  460

la mia voce di bronzee risonanze            

sentore di cantina nel mio cuore

et consumimur igni nera stella.

 

 


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