La controversa natura della tua anima
ha radici forti, folte chiome arricciate su prati d'erba a mantici
soffiati dal vento in direzione dei miei polmoni.
Non ti volessi respirare dovrei voltare la faccia
verso l' ombra del burrone
dove ristagna il gemito partorito da sua eco
senza il plauso paterno dei fianchi del monte
o in filigrana, l'apice sedotto del suo vertice confitto in pieno cielo.
Andando a valle, giù lungo i costoni del pensiero quando vortica
potrei immaginarti mia ospite a Civitella in una grigliata mesopotamica
semi di cocomero al fresco serafino.
Mi parleresti dei tuoi viaggi ponendo accenti
sulle immagini cui mi avvicino per temuto credito o mietuto auspicio.
E parleresti quelle lingue che non conosco
per darmi in pasto la tua e la mia.
E' così facile farmi una ragione del perchè ciò non accada
che trovo comunque il tempo di scrivere bugie.
Però dimmi, non sarebbe bello, così d'amicizia un sollievo
sollevato il cuore dai suoi assilli di guardiano?
Tenendo anche l'amore a freno, tenendolo al guinsaglio
abbastanza corto perchè non scappi lontano
lo spazio necessario a farsi un giro
senza per forza doversi guardare intorno con aria implorante
aperta l' aria, parentesi di contorno ad un suffragio universale, shhh!
conosciuto.
Gli occhi, Madonna mia, sono la fine del Mondo.
Perchè il Mondo finisce nei nostri occhi ma un po' si specchia
prima di caderci dentro.
Ti credo turbata come me, toccata dal fuoco o dall'aria
se semina tempeste dove volano gli aquiloni.
Il telaio a misura della mia imperfetta balistica.
Ecco perchè ti riservo la massima cura, distanziali di fabbrica.
Per l'odioso ingrato compito di perseverare in una condotta
che darà i suoi frutti tra centinaia di anni
quando ci saremo scordati i nostri nomi
pur di conservare il profumo di certi fiori di campagna
che nascono tra le spighe di grano
a mezzogiorno senza estate, inoltrata a mano la via maestra
per stagioni di plastica, una pronta consegna del già tutto e subito
fu distratta conseguenza di un amore mai vissuto
se non nei recessi dell'anima
a perdersi nel buio di qualche giorno grigio, fuori condotta
a portata di bocca, in carestia.
Dammi tutto quello che hai, potremmo fare cose simpatiche
guadagnarci lo spazio da vivere nella routine quotidiana del Cosmo
dove appendere i nostri abiti al chiodo e fissare le nuvole
pur di andare via, oltre i confini delle ossa.
Perdendo il lume della ragione
come fosse una fiaccola da incendiarci tutto.
Abbracciami, stringiti a me
fammi sentire i seni nel cappotto, il cuore sotto, l'anima intorno.
Dimmi che non mi lascerai mai, che farai di me quello che voglio
che ci terremo per mano, attraversando il Bardo.
Che il passaggio di stato ci veda complici in un efferato delitto
ai danni dell'Inferno almeno sabato o sabba il prossimo finesettimana.
Al massimo il capo chino, cosparso di cenere o versato sul vassoio
dei nostri debiti quotidiani.
Verificando di soppiatto se un bacio sia atto di fede.
Fermo restando l'inclito battito del colpo a ferire.
Sgusceremo altri sogni sul litorale basso del nostro tramonto.
Sorridendo all'avvenire come si promette qualcosa
a chi sai di non tornare.
Non nasce niente e ogni tanto vive qualcosa
ma se parli alla rosa delle sue spine
ti pungerà d'essere bella prima che tu al primo sguardo la colga.
Giusto il tempo all'uomo di morire o di farsene una ragione
o la malinconica vaghezza di un lontano senso di colpa.
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