Nella palude che sta passata la nuca
s'avvolge refrattaria alla luce un'idea a suffragio
del fatto che, temuto il caso che s'avveri, allora s'avvera
con ostinazione, la cosa che temi.
Tornano alle tempie soppalcate a dirmi che non sono altro da loro
gli inquilini del terso piano
dai cui allori di cemento armato predicono il futuro
deducendo che sarò, dalle vene a sbalzo
un altro quando, confuso e delicato.
Mi piove dentro una sconfitta così dolce e rammaricata
da diluire il sangue a più quieto fluido
e i tendini s'allentano in tensioni meno crude.
Non voglio che mi aumentino la dose, tengo duro o vuoto il sacco
pieno di piume e spine e spighe di grano?
L'infermiere che mi misura la pressione prende appunti
da consegnare a chi di dovere
paventa la possibilità che possa tornare nell'acquario
se non lascio che mi curino come vogliono loro.
Intanto i miei pensieri rubati da ladri violenti, violentatori scaltri
senza semi, non mi perdonano.
Quando basterebbe venire qui per farsi due conti.
Nell'acquario poche finestre cambiano l'aria aperte sull'oltre
può capitare che altri pesci la mordano per rifarsi i denti invano.
Può capitare di perdere il controllo sul proprio pensare
come fosse essere risucchiati in un vortice di vuoto ad occhi chiusi
e con le mani legate dietro la schiena in cerca di un fondo
su cui poggiare i piedi nudi di nuovo.
In cerca di luce dal basso.
Avallando la falsa prospettiva che la salvezza
possa arrivare solo per grazia.
Dimenticando che il comportamento che tieni nel pozzo
sia altrettanto determinante.
E' una relazione, come la vuoi sbilanciare?
Scrivere potrebbe servire, da consumarsi le unghie
se riesci a liberare le mani
oppure attaccare la parete a morsi
cantando le canzoni magari, che ti fanno coraggio.
Nell'acquario.
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